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ANNA BUGNOLO

Università di Pisa

I libros de caballerías tra la fine del Medioevo


e la discussione cinquecentesca sul romanzo

Quando, alla fine del Quattrocento, rinasce in Spagna il genere del ro-
manzo cavalieresco, alimentato dalle nuove possibilità di diffusione del libro
prodotte dalla stampa, comincia una fase storica in cui, con l'avvento dei Re
Cattolici, si aprono inediti orizzonti di trasformazione e di rinnovamento e si
diffonde un sentimento di fiducia che ha fatto parlare anche di messianismo '.
Si tratta quindi di un Fine secolo che ha più che altro il sapore dell'inizio di
un'epoca nuova.
In ambito letterario le forme e i temi tardo medievali vengono rielaborati
con una sensibilità più problematica e spregiudicata, mentre emergono aspetti
che si definiranno meglio durante il secolo che si apre. In particolare, riguardo
al racconto di finzione, si pone ancora una volta, ma nel modo specifico che
qui vedremo, il problema dello statuto del racconto inventato, della sua auto-
rità, del suo rapporto con la verità, della sua funzione, ricreativa o didattica,
nei confronti del destinatario.
A questo proposito è di grande interesse esaminare il corpus dei testi pre-
liminari dei libros de caballerías; infatti le edizioni cinquecentesche di questi
volumi, appartenenti a un genere per eccellenza fantastico, ma che tende a
porsi paradossalmente come storia esemplare, sono corredate quasi sempre di

1
Per il clima messianico nell'epoca di Fernando el Católico si veda A. Milhou, Propa-
ganda mesiànica y opinión pública. Las reacciones de las ciudades del reino de Castilla frente al
proyecto fernandino de Cruzada (1510-1511), in Homenaje a J.A. Maravall, Madrid, Centro de
Investigaciones Sociológicas, 1985, III, pp. 51-62, e per il contesto ispanico complessivo Id.,
Le Chauve-souris, le nouveau David et le roi Caché (trois images de l'empereur de les dernier temps
dans le monde ibérique: XIIF-XVII' s.J, «Mélanges de la Casa de Velázquez», 18, 1982, pp.
61-78; e Id., Colóny su mentalidad mesiànica en el ambiente franciscanista español, Valladolid,
Ambito, 1983.

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presentazioni giustificative, preziose per chi vi cerchi le tracce delle idee che gli
autori avevano delle proprie opere e delle opinioni che presupponevano nel
pubblico2. Ho effettuato quindi una ricognizione per vedere come si pongano
i romanzi riguardo il loro proprio statuto e nel rapporto tra autore e lettore;
per vedere in sostanza se affiorino o meno le preoccupazioni di teoria letteraria
e di responsabilità morale nei confronti dei destinatari che diverranno centrali
nel pieno Cinquecento: inquietudini che concernono la verosimiglianza e l'u-
tilità della letteratura di finzione, la rivendicazione della sua autonomia e della
sua superiorità estetica sulla storiografìa, la legittimazione della sua funzione
ludica ed edonistica.
Ho lavorato su un campione significativo, comprendente circa una tren-
tina di prologhi, praticamente tutti quelli dei libros de caballerías stampati pri-
ma del 1550 e quelli più importanti della seconda metà del secolo3. Le que-

2
II paratesto è il luogo in cui si concentrano gli indizi della consapevolezza metatestuale
degli autori. Si vedano in proposito A. Porqueras Mayo, El prólogo como género literario. Su
estudio en el siglo de oro español, Madrid, CSIC, 1957, in particolare il cap. IV; e A. Cayuela, Le
paratexte au Siècle d'Or. Prose romanesque, livres et lecteurs en Espagne au XVIIe siècle, Gèneve,
Droz, 1996, pp. 246 e ss. Cfr. anche A. Porqueras Mayo, El prólogo en el Renacimiento español,
Madrid, 1965. In generale si vedano anche G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, Torino, Ei-
naudi, 1989 e Strategie del testo. Preliminari Partizioni Pause, a cura di C. Perori e G. Folena,
Padova, Università, 1995.
3
II corpus esaminato comprende le seguenti opere, registrate in ordine cronologico, in-
dicando l'edizione consultata (tutte le citazioni saranno tratte dalle edizioni indicate): G. Ro-
dríguez de Montalvo, Amadù de Gaula, (1508), ed. a cura di J.M. Cacho Blecua, Madrid, Cá-
tedra, 1987-88, 2 voli.; G. Rodríguez de Montalvo, Las Sergas de Esplandidn (1510). A criticai
edition, a cura di D.G. Nazak, PhD Thesis, Evanstone, Illinois, 1976 (Ann Arbor, UMI,
1980); Páez de Ribera, Florisando (1510) British Library; J. Martorell e M.J. de Galba, Tirante
el Blanco (versión castellana, Valladolid 1511), ed. a cura di M. de Riquer, Madrid, Espasa-
Calpe, 1974, 5 voli.; El libro del famoso e muy esforcado cavallero Palmerin de Olivia (1511) a
cura di G. Di Stefano, in Studi sul Palmerin de Olivia. I, Pisa, Università, 1966; Primaleón
(1512), ed. a cura di Ma Carmen Marín Pina, Alcalá de Henares, CEC, 1998; La "Coránica del
noble cavallero Guarino Mezquino"'(1512). Estudio y edición, a cura di N. Baranda, Tesi dotto-
rale in microfiches, Madrid, U.N.E.D., 1992; F. de Silva, Lisuarte de Grecia (1514), es. di Sivi-
glia 1525, Bibl. Nacional Madrid; F. Bernal, Fiorisco (1516), Bibl. Nacional Madrid; G. Ve-
lázquez del Castillo, Ciarían de Landanís, (1518), ed. a cura di G. Anderson, Newark (Delawa-
re), Juan de la Cuesta, 1995; G. Fernández de Oviedo, Claribalte (1519), ed. facsimile a cura
della RAE, Madrid 1956; A. de Salazar, Lepolemo. Caballero de la Cruz (1521) Bibl. Catalu-
nya; F. Bernal, Reymundo de Grecia (1524), British Library; P. López de Santa Catalina, Espejo
de Caballerías (1525) es. di Siviglia 1533, Bibl. Nacional Madrid; J. Díaz, Lisuarte de Grecia

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stioni che mi sono posta si possono ricondurre a due nodi di riflessione fonda-
mentali, il primo attinente al romanzo in se stesso, il secondo relativo alla rela-
zione che lo scrittore instaura con il pubblico. Il primo nucleo riguarda il
problema della legittimità della finzione, il suo adeguarsi o meno a criteri di
verosimiglianza; oppure, una volta ammessa la sua natura prettamente fittizia,
la sua giustificazione per mezzo dell'utilità, sia in direzione etica che estetica.
Il secondo concerne l'asse della comunicazione: si vuole indagare in qua-
le grado lo scrittore assuma la responsabilità della storia; se la proponga al suo
destinatario con intenzione didattica oppure ricreativa; conseguentemente, se
il testo tenda a configurare l'immagine di un destinatario sprovveduto e biso-
gnoso di insegnamento, oppure di un lettore scaltro e cómplice.

Non sfuggirà che le questioni poste sul tappeto coincidono in buona par-
te con quelle al centro della discussione sul romanzo nell'Italia del pieno Cin-

(1526), Bibl. Nacional Madrid; F. de Silva, Amadís de Grecia (1530), es. di Burgos 1535, Bibl.
Nacional Madrid; Felix Magno (1531) es. di Siviglia 1549, Bibl. Catalunya; F. de Silva, Florisel
deNiquea (1532) British Library; F. Enciso de Zarate, Piatir (1533), ed. a cura di M." C. Ma-
rín Pina, Alcalá de Henares, CEC, 1997; D. Clemente, Valeriàn de Hungría (1540), Bibl. Na-
cional Madrid; Florando de Inglaterra (1545), Bibl. Nacional Madrid; B. Bernal, Cristalián de
España (1545), prólogo in M. Serrano y Sanz, Apuntes para una Biblioteca de Escritoras Españo-
las, t. I, Mardid, Rivadeneyra, 1905, p. 157; P. de Lujan, Don Silves de la Selva (1546) Bibl.
Catalunya; F. de Moraes, Palmerín de Inglaterra (trad. castigliana I e II parte, 1547-48), ed. a
cura di A. Bonilla y San Martín, Madrid, Miraguano, 1979 e 1981; J. Fernández, Belianís de
Grecia (1547), ed. a cura di Lilia E.F. de Orduna, Kassel, Reichenberger, 1997; D. Ortúfiez de
Calahorra, Espejo de príncipes y Cavalleros (elcavallero del Febo) (1555), ed. a cura di D. Eisen-
berg, Madrid, Espasa-Calpe, 1975, 6 voli.; J. de Urrea, Clarisel de las Flores (1555?), t. I, Sivi-
glia, Sociedad de Bibliófilos Andaluces, 1879; A. de Torquemada, Don Olivante de Laura
(1564), in Obras completas, a cura di Isabel Muguruza, Madrid, Turner, 1994; E. Corbera, Fe-
bo el Troyano (1576), Bibl. Nacional Madrid; J. Romero de Cepeda, Rosián de Castilla (1586),
ed. a cura di R. Arias, Madrid, CSIC, 1979; F. Barahona, Fbr de caballerías (1599), ed. a cura
J. M. Lucía Megías, Alcalá de Henares, CEC, 1997; J. de Silva y Toledo, Policisne de Boecia
(1602), Bibl Nacional Madrid. Sono stati anche visti i prologhi di altre edizioni particolari: le
edizioni italiane del Palmerín (Venezia 1526 e Venezia 1534) riportate da G. Di Stefano, ed.
cit., pp. 779-80; i prologhi di F. Delicado aü'Amadü de Gaula del 1533 e al Primaleón del
1534, riportati da Elisabetta Sarmati, Le critiche ai libri di cavalleria nel Cinquecento spagnolo
(con uno sguardo sul Seicento). Un'analisi testuale, Pisa, Giardini, 1996; il prologo del Lepolemo,
mancante nell'esemplare della princeps conservata alla Bibl. de Cataluña, riportato da M.C.
Marín in M. de Cervantes, Don Quijote de la Mancha, ed. del Instituto Cervantes dir. da F. Ri-
co, voi. complementario, pp. 859-60.

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quecento4. Affermazione, questa, che abbisogna subito di precisazioni e di at-


tenuazioni: è d'obbligo salvare la distanza tra la coscienza pionieristica dei pri-
mi romanzieri che lavorarono per la stampa e la consapevolezza critica dei let-
terati italiani dopo la riscoperta della Poetica di Aristotele; come anche la
distanza tra l'atmosfera fiduciosa e aggressiva del primo Cinquecento in Spa-
gna e il momento di ripiegamento e nuova responsabilità attribuita alla lette-
ratura in Italia con avvicinarsi dell'epoca della Controriforma.
Ciò premesso, si deve ammettere l'esistenza di un parallelismo: come i
romanzi spagnoli, ma con un impegno e un esito di qualità certamente supe-
riori, Y Orlando Furioso rappresentava il ripensamento e la riproposizione della
tradizione del romanzo medievale, in un assetto rinnovato che ottenne un
enorme successo. La discussione critica attorno all'Orlando Furioso si sviluppò
contrastivamente rispetto all'ideale del poema epico, che quei letterati trovaro-
no delineato nella Poetica di Aristotele. Il romanzo di Ariosto, che pur era così
ben accetto in ambienti colti e popolari, non rispondeva a quei requisiti e ali-
mentò il dibattito su due punti di divergenza fondamentali: la mancanza di
unità d'azione individuata nella costruzione dell'intreccio e la natura inverosi-
mile degli episodi meravigliosi5.
Nei prologhi dei libros de caballerías il primo motivo non emerge: poteva
essere portato a livello di coscienza solo dalla riflessione sulla struttura del rac-
conto così centrale nella trattazione aristotelica. Lo scandalo rappresentato per
la ragione dall'interesse per una storia finta era invece sempre stato motivo di
perplessità; di fronte alle critiche avanzate fin dal medioevo (basti pensare ai
noti versi di Petrarca o, in ambito spagnolo, ai pentimenti del canciller Aya-
la6) si erano sviluppate riflessioni e argomentazioni difensive. Nei testi intro-

4
Sulla quale è sempre fondamentale B. "Weinberg, A History ofLiteraty Criticism in thè
Italian Renaissance, Chicago, U.P., 1961.
5
SulFintepretazione dell'Orlando Furioso, oltre a B. Weinberg, op. cit., pp. 954-1073,
cfr. D. Javitch, Proclaimimga Classic. The Canonization ofthe Orlando Furioso, Princeton U.P.
1991; K.W. Hempfer, Diskrepante Lekttiren. Die Orlando-Furioso Rezeption im Cinquecento.
Historische Rezeptionsforschung als Heuristik der Interpretation, Stuttgart, 1987; e per il contesto
ispanico M. Chevalier, L'Arioste en Espagne, Bordeaux, Università, 1966.
6
È forse superfluo ricordare le parole di Petrarca: "Ecco quei che le carte empion di so-
gni / Lancillotto, Tristano e gli altri erranti, / ove conven che'l vulgo errante agogni", Trium-
phus Cupidinis, III, 79-81) e il rammarico del Canciller Ayala: «Plógome otrosí oír muchas ve-
gadas / libros de devaneos, de mentiras provadas / Amadís y Lancalote e burlas estancadas / en
que perdí mi tienpo a muy malas jornadas» {Libro rimado de palacio, copla 163).

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duttivi esaminati, le questioni relative al rapporto tra il vero e l'invenzione, alla


specificità del genere «narrativa di finzione», alla sua possibilità di produrre
piacere e di esercitare una funzione esemplare, si pongono quindi già esplicita-
mente, facendo intravedere spunti di consapevolezza teorica e mostrando
come la pratica stessa della scrittura romanzesca portasse a individuare dei
nodi ineludibili, in gran parte gli stessi che furono poi al centro dell'attenzione
dei letterati italiani.

Innanzitutto si deve notare come i prologhi dell'Amadù de Gaula e del


Palmerín de Olivia, i primi libros de caballerías, forniscano i modelli per i ro-
manzi successivi7.
Nel prologo delYAmadis l'autore, Garci Rodríguez de Montalvo, mette
in relazione il libro che intende presentare con il grande complesso delle «cro-
nache storielle», in cui vengono accomunate storiografìa grecolatina e gesta
leggendarie di cavalieri cristiani (dalla storia di Troia, alle decadi di Tito Livio,
alla Gran conquista di Ultramar). Tuttavia distingue immediatamente da que-
st'ambito l'insieme delle storie finte, a cui il libro dichiara modestamente di
appartenere: in questo modo ne rivendica un'autonomia e una specificità, fon-
data sugli effetti emotivi facilmente apportati dall'enfasi della finzione e dai
suoi aspetti meravigliosi (i «golpes espantosos» e gli «encuentros milagrosos»
sono inverosimili, ma provocano «admiración»). Anzi, nel difendere la pari di-
gnità delle storie finte rispetto a quelle vere sul piano dell'efficacia esemplare,
mostra addirittura una loro possibile superiorità, fondata sulla maggior perfe-
zione a cui le storie idealizzate possono attingere: a volte infatti gli avvenimen-
ti veri sono molto poco esemplari. L'elaborazione letteraria, inoltre, è ciò che
garantisce la trasmissione della memoria: solo la letteratura rende immortali i
fatti storici; la ricerca del bello stile perciò è obbiettivo esplicitamente perse-
guito, di cui l'autore si fa vanto. L'Amadis si presenta quindi come finzione
(«historia fingida»), ma ricca di eccellenti insegnamenti («enxemplos e doctri-
nas») e si propone come modello di equilibrio stilistico.
L'autore infine, sia nel prologo, che in un altro inserto dalla funzione pa-
ratestuale nel Quinto Libro, fa in modo di non assumere direttamente la pa-
ternità dello scritto, attribuendogli origini favolose (il manoscritto antico ri-

7
Per un'analisi più approfondita rimando al mio La finzione rinnovata. Meraviglioso,
corte e avventura nel romanzo cavalieresco delprimo Cinquecento spagnolo, Pisa, ETS, 1997, pp.
37-63.

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trovato in una tomba vicino a Costantinopoli) e addirittura magiche (sarebbe


opera di alcuni tra i più inverosimili personaggi del romanzo, il testimone
oculare maestro Elisabat e la maga onnisciente Urganda la Desconocida). Il li-
bro si ammanterebbe così dell'autorità delle cose antiche e contemporanee ai
fatti, ma nel contempo, coerentemente con l'ammissione esplicita della sua
natura fittizia, verrebbe a porre la sua origine nel luogo di massima evidenza
della finzione, con una torsione che rasenta l'ironia8.
Nel Palmerin, al posto del prologo, compare invece una dedica a un gio-
vane nobile, che si concentra sull'elogio dell'intenzione esemplare del libro e
sulle lodi della famiglia del dedicatario. L'opera è portatrice di insegnamenti
sul doppio piano delle abilità guerresche e delle virtù morali, tali da non sfigu-
rare rispetto alle storie antiche a cui è paragonata; il giovane cavaliere dovrà
farne tesoro tanto da sviluppare la sua buona natura grazie all'acquisizione del-
la virtù. Non viene qui messo l'accento sul carattere fittizio della storia, ma
solo sul suo aspetto esemplare, accomunabile, con un'associazione metaforica,
alle narrazioni delle vere imprese degli antenati del dedicatario. Vengono ad
ogni modo intessute le lodi dell'eccellenza compositiva e stilistica dell'opera, la
quale intende trarre autorità, in definitiva, proprio dal prestigio della famiglia
nobiliare a cui è rivolta, sebbene anche in questo caso l'autore non ne assuma
direttamente la responsabilità e il racconto si presenti come traduzione dal
greco di volumi provenienti dalle cronache di Costantinopoli.

8
A proposito dei capp. 98 e 99 de Las Sergas de Esplandián, segmento narrativo che si
configura come un «sogno-visione», sono state evidenziate analogie con il De casibus di Boc-
caccio e il Laberinto de Fortuna di Juan de Mena: si vedano E.R. González e J.T. Roberts,
Montalvo's recantation, revisited, in «Bulletin of Hispanic Studies», LV, 1978, pp. 203-10 e
E.J. Sales Dasí, Sobre la influencia de las Caídas de Príncipes en elAmadís de Gaulay Sergas de
Esplandián, in Literatura Medieval. Actas del TV Congreso Internacional de la AHLM, Lisboa,
Cosmos, 1993, II, pp. 333-38; e Id., "Visión' literaria y sueño nacional en Las Sergas de Esplan-
dián, in Medioevo y Literatura. Actas del V Congreso de la AHLM, Granada, Universidad, 1995,
pp. 273-88. D'altro canto, accostando l'episodio a quello della Cueva de Montesinos nel Don
Quijote, Maria Rosa Lida vi ha visto una «actitud umoristica» e «critica sonriente de su proprio
mundo imaginario» (Dos huellas del Esplandián en el Quijote y en elPersiles, in «Romance Phi-
lology», IX, 1955, pp. 156-62, le citazioni sono da pp. 158 e 160). Al contrario Edwin Wil-
liamson, pur notando nel prologo l'emergere della preoccupazione rinascimentale sul conflitto
tra storia e finzione, ritiene che Montalvo, nascondendosi dietro l'alibi didattico, mostri un at-
teggiamento incoerente e confuso, lontano dall'ironia cervantina (El Quijote y los libros de ca-
ballerías, Madrid, Taurus, 1991, pp. 87-108).

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Entrambi i testi si rapportano quindi alla scrittura storiografica, di cui as-


sumono come propria la funzione esemplare per il ceto cavalieresco, che nelle
storie degli antichi (non importa quanto favolose) trovava le fonti della sua
educazione. VAmadis però sottolinea la sua differenza come storia finta, deli-
neando uno spazio separato per il romanzo; il Palmerin passa questa distinzio-
ne sotto silenzio. Tuttavia lo statuto dell'opera viene in entrambi i casi dato
come fittizio e la sua giustificazione fondamentale viene trovata nell'esempla-
rità, mentre il rapporto col lettore si imposta su un piano apertamente didatti-
co, senza per questo disconoscere il piacere provocato dall'affabulazione.
Se passiamo allora ad esaminare i prologhi dei libros de caballerías succes-
sivi, possiamo vedere come l'appello all'esemplarità della storia sia l'argomento
più diffuso, comune praticamente a tutti i testi analizzati. L'ammissione dello
statuto fittizio del libro avviene invece con diversi gradi e vi emerge a volte in
modo problematico la questione della verosimiglianza. Alcuni testi denuncia-
no molto esplicitamente una derivazione dal prologo dell'Amadù: quello del
Ciarían de Landants lo imita anche nello svolgimento sintattico e la dipenden-
za si nota anche nel Lisuarte de Grecia di Juan Díaz. D'altro canto la forma del
prologo si fonde presto, già a partire dal Florísando (1510), con la forma del-
l'epistola dedicatoria. Alcuni prologhi vertono quasi esclusivamente sull'argo-
mento dell'esemplarità cavalieresca, senza aggiungere commenti riguardanti la
natura problematica del testo di finzione o le sue doti estetiche - per esempio
nelle traduzioni castigliane del Tirant e del Palmerín de Inglaterra -; ma in ge-
nerale molti aspetti del prologo delYAmadis vengono ripresi e sviluppati.
In particolare l'ammissione della natura fittizia dell'opera ricorre più vol-
te, soprattutto nei libri di Feliciano de Silva: ad esempio nel suo Lisuarte de
Grecia si fa cenno al fatto che molte storie ritenute vere non siano altro che
«fábulas sabrosas»9; il Ciarían riprende lo stesso ragionamento10; nel Floriseo si

9
«Pues muchas historias tenidas por verdaderas, en la verdad son compuestas y fabulo-
sas, [...] y porque en el tal estilo, por ser apacible con afición [...] manifiestas fuessen las doctri-
nas y buenos exemplos que en los tales libros ay, con voluntad de ver las fábulas sabrosas, assi
fueron ordenados».
10
«Y si en la historia algunas cosas dubdosas de creer parescerán — que a mi assi parescie-
ron también admirables — bien debo ser en ello habido por escusado [...]: cuanto más que en
otras crónicas e historias — que también por aucténticas se tienen — se leen cosas muy extrañas,
y algunas en mucha diferencia de las que agora passan. Mas bien pudo y puede ser, pues cosa
alguna no se hizo ni haze sin la gracia de aquel muy alto Señor».

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ammette la falsità della storia, riscattata dall'essere «agradable viva y compen-


diosa» n ; il Claribalte proclama la natura fittizia dell'opera con uno strano lati-
nismo («pulcherrimaficta») che denota un certo grado di fierezza12.
In qualche caso si manifesta un'autentica preoccupazione per la credibili-
tà dell'opera e la verosimiglianza di alcuni dettagli, come ad esempio nel Flori-
sando, dove traspare il bisogno di giustificare incongruenze dovute all'assenza
degli arcaismi linguistici caratterizzanti13; o nel Claribalte, dove troviamo un
ragionamento già apparso ndl'Amadù e che avrà molto fortuna nella discus-
sione cinquecentesca: la verosimiglianza viene creata grazie all'ambientazione
esotica del racconto, che risulta inconsueta e ignota alla maggioranza dei letto-
ri e pertanto appare credibile proprio in quanto non può essere controllata14.
Molto spesso viene ripreso il topos della falsa traduzione da una lingua
antica e prestigiosa, con il ritrovamento del manoscritto in luoghi lontani, o la
sua provenienza magica da testimoni che sono contemporaneamente perso-
naggi della finzione15. Questi procedimenti possono assumere un carattere di

11
«No dexe, suplico, de verla [l'opera], porque aunque de su verdad se dude, de agrada-
ble, bivo y compendioso no tiene duda».
12
«Y cuando algún murmurador quisiere dubdar de la presente historia, no podrá a lo
menos quitarle el nombre de pulcherrimaficta».
13
«E porque algunas personas que esta obra han visto dizen que caresce de antiguo ro-
mance y que tiene algún defecto, porque quando habla con las reales personas les llama y nom-
bra altezas y a otras de menor estado señoría, y a otras mercedes, lo que no se usava en tiempo
antiguo; a esto se responde: Que deve aver consideración como este libro fue nuevamente saca-
do de Toscano en romanze. E por esto es traducido al proprio romance que agora se usa, por-
que lo contrario oviera logar si esta escritura oviera estado siempre en la lengua castellana como
el primero y segundo y tercero y quarto libro de Amadís. E esta es la causa porque aquellos li-
bros están más al romance antiguo que éste».
14
«Muchas vezes me maravillo, serenissimo señor, cómo una historia tan loable ha esta-
do en todo oculta tanto tiempo en aquestos reynos; y por otra parte no me espanto d'elio, por-
que ni los primeros del oriente saben las particularidades y hechos gloriosos que en España des-
de Tubai, su primero poblador, ha acaecido, ni nosotros podemos enteramente saber los que
en aquellas partes sucedieron desde sus primeros pobladores; ni tengo por impossible cosa que
vea d'esta calidad [perché, come Giustino narra della vittoria dei Tartari sugli Egizi] puede ser
verissimile que aquesto acaeciesse tantos tiempos ha que estoviesse olvidado, a lo menos para
nosotros que tan lexos bivimos de Tartaria y que agora pareciesse y viniesse a mis manos no es
inconviniente». Questa argomentazione si ritrova ad esempio nelle riflessioni di Torquato Tas-
so: «l'istoria di secolo lontanissimo porta al poeta gran commodità di fingere», Discorsi dell'arte
poetica in Scritti sull'arte poetica, a cura di E. Mazzali, Torino, Einaudi, 1977, p. 11.
15
Su questo artificio si vedano D. Eisenberg, The Pseudo-Historicity ofthe Romances of

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effettivo ricorso a un'autorità, pur spesso pretestuosa e male accozzata: si tratta


del caso del Florisando, che si dice trovato nella biblioteca di Petrarca, e del Li-
suarte di Juan Díaz, proveniente dalle autentiche cronache di Costantinopoli,
conservate a Rodi dal Gran Maestro dell'ordine di san Giovanni; o ancora del
Felixmarte de Ircania, tradotto dal greco in latino da Plutarco e dal latino al to-
scano dallo stesso Petrarca. A volte però l'esibizione delle circostanze favolose
che circondano l'origine del libro è tale da far pensare a una affabulazione ul-
teriore attorno alla natura fittizia di esso, intesa a coinvolgere la complicità di
un pubblico che viene immaginato esente da eccessivi scrupoli morali riguardo
la finzione e avido, anzi, di storie inventate. Ad esempio Feliciano de Silva
apre la sua serie con la storia di Lisuarte de Grecia, scritta dal «sabio» cronista e
mago Alquife, sposo di Urganda; e già all'altezza del Lepolemo (1521) l'autore,
atteggiandosi a modesto traduttore dell'opera di un sapiente arabo testimone
dei fatti, arriva a inscenare una vera e propria scissione, con due prologhi di-
versi, uno del «interprete» e uno del «autor moro» (il «sabio Xarton»), entram-
bi essenzialmente di natura fittizia. Il doppio prologo viene imitato wéRAma-
dis de Grecia (1530) dove, dopo un testo in cui l'autore compare solo come
traduttore e divulgatore della «cronica», si colloca il prologo del «sabio Alqui-
fe», mentre paradossalmente l'autentica voce di Feliciano de Silva pare emer-
gere solo nelle considerazioni finali attribuite al correttore, che attacca il libro
Ottavo di Amadis, considerato un usurpature della finzione di cui egli vuole
ormai avere l'esclusiva.
Anche Pedro de Lujan, autore del Don Silves de la Selva (1546), inserisce
dopo il prologo-dedica una postilla sull'«Ynvención de la presente historia»,
dove narra la complessa vicenda del ritrovamento dell'originale arabo; e il Be-
lianis de Grecia (1547) viene attribuito a un fantomatico «sabio Fristón»; ma

Chivalry, in Romances ofChivalry in thè Spanish Golden Age, Newark, Juan de la Cuesta, 1982,
pp. 119-129; V. Cirlot, La ficción del original en los libros de caballerías, in Literatura Medieval.
Actas dellV Congreso Internacional de la AHLM, Lisboa, Cosmos, 1993, IV, pp. 367-73; M.C.
Marín Pina, El tópico de la falsa traducción en los libros de caballerías españoles, in Actas del III
Congreso de la AHLM, Salamanca, Biblioteca Española del Siglo XV, 1994,1, pp. 541-48; E.
Sarmati, Le fatiche dell'umanista: il manoscritto ritrovato nei libri di cavalleria. Qualche riflessio-
ne ancora sul motivo della falsa traduzione, in Letteratura narrativa cavalieresca in Italia e Spa-
gna. Circolazione e trasformazione di temi e firme medievali nel Rinascimento (1460-1550). Atti
del Colloquio Internazionale del Romanisches Seminar dell'Università di Colonia (Colonia, 3-5
aprile 1997), in corso di stampa.

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90 Anna Bognolo

chi più sviluppa il procedimento è Antonio de Torquemada, autore dell' Oli-


vante de Laura (1564), che antepone al romanzo una favolosa narrazione auto-
biografica in cui la «Sabia Ypermea» gli consegna il libro da tradurre16; proce-
dimento imitato in seguito dall'autore di Febo el Troyano (1576) che narra la
sua fortunosa acquisizione del testo donatogli dall'anziano Claridoro, vissuto
ai tempi dell'antica Troia.
Spesso, come avveniva per YAmadis de Gaula e il Palmenti de Olivia, vie-
ne elogiata l'eccellenza dell'aspetto estetico: Paez de Ribera e Juan Díaz lodano
la prosa di Montalvo17; e Francisco Delicado nei suoi testi introduttivi consi-
dera YAmadis e il Primaleón esempi di ottimo stile, degni di essere imitati18.
Spesso infine persino il piacere provocato dall'abbandono alla finzione viene
visto come profittevole: nel Lisuarte di Feliciano de Silva si adduce l'antico ar-
gomento per cui il diletto è essenziale nell'awicinare gli incolti alla lettura19;
nel Florìseo si nota l'utilità della lettura amena come ricreazione, per ricostitui-
re le forze degli ingegni applicati di solito ad affari ben più importanti20; da

16
Su questo testo si veda il commento di I. Muguruza, Sobre elprólogo del Don Olivante
de Laura., in M.E. Lacarra, Evolución narrativa e ideológica de la literatura caballeresca, Bilbao,
1991, pp. 127-44.
17
«Después de aver leydo muchas crónicas, diversas historias de singulares y esforcados
cavalleros, de ninguna tanto dulcor la amarga y gruessa corteza de mi ingenio sacar pudo como
de la gran historia de Amadís de Gaula. No solamente por su sabrosa y apazible materia, como
por no menos discreto y elegante estilo, subidas philosophales sentencias, saludables y conve-
nientes enxemplos de los que la sobredicha historia está tan reabastada y guarnecida que lo so-
brado della haría estremada honra al menguamiento y pobreza de otras de tal primor carescien-
tes» (Juan Díaz, Lisuarte de Grecia).
18
Utili anche per l'insegnamento della lingua spagnola agli italiani, cfr. E. Sarmati, Le
critiche ai libri di cavalleria nel Cinquecento spagnolo (con uno sguardo sul Seicento). Un 'analisi
testuale, Pisa, Giardini, 1996, p. 121 (vedi anche le osservazioni a p. 71).
19
«Porque en el tal estilo, por ser apacible con afición, assi a los dotos como a los que no
lo son, manifiestas fuessen las doctrinas y buenos exemplos que en los tales libros ay [...]. Por-
que esto paresce por esperiencia: que muchos famosísimos libros de excelentes dotrinas veo es-
criptos los quales, si a los dotos sus exemplos no están muy inotos, a todos los otros qu'el sabor
de su secreta excelencia no alcancan [...] por no estar en estilo común escriptos, acompañados
de fábulas y historias sabrosas, los dexan de leer. Assi que todas las cosas donde buenos exem-
plos se puedan tomar no se deven dexar de oyr, puesto que fabulosas sean».
20
«Podrá vuestra señoría a vezes recrear su illustre ingenio del cansancio que en sus pro-
vechosos estudios le han puesto. Lo qual no será poco utile para la mejor conservación de las
viriles fuercas de su ingenio».

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I libros de caballerías tra la fine del medioevo e la discussione cinquecentesca sul romanzo 91

canto suo l'autore del Claribalte rivendica la funzione della letteratura proprio
come intrattenimento e consolazione21, aspetti espliciti anche nel prologo del
Espejo de caballerías22; mentre Diego Ortúnez de Calahorra, l'autore dell1Espe-
jo de Príncipes, indugia sui vantaggi apportati dalla lettura dei libri, che allon-
tanano dai vizi indotti dall'ozio23.
È evidente quindi che nei testi preliminari dei libros de caballerías si trova
più di qualche spunto di riflessione sul ruolo e la funzione del romanzo, sul ri-
conoscimento della sua natura fìttizia e la sua originalità rispetto alla storiogra-
fia; vi si trova anche l'impostazione di una relazione più paritaria con il pub-
blico, che si vuole coinvolgere sempre più in un rapporto di complicità, dove
il richiamo alla funzione esemplare, sempre ribadito, diviene via via più prete-
stuoso, mentre si fa decisamente avanti la legittimazione del diletto che la fin-
zione procura. Temi vicini a quelli al centro della discussione italiana, dove si
dibatte la questione dell'autonomia del romanzo dalla storia e dall'epica, si ri-
vendica la superiorità dell'invenzione sull'imitazione della realtà e si difende il
piacere del meraviglioso esplorando l'apertura di orizzonti permessa dall'idea-
lizzazione, mentre si rinnovano le preoccupazioni sulla responsabilità morale
degli autori e sulla necessità di armonizzare meraviglioso e verosimile, affinchè
il romanzo possa continuare a convincere e affascinare non solo i lettori più
avidi e facilmente accontentabili, ma anche i letterati più esigenti.

21
«Por ser tan agradable escritura, en la ora que la vi la desseé para vuestra recreación
[...]; espero en Dios que con esta leción vuestra señoría tendrá alguna ora menos importunas
que las pasadas».
22
«Que jamás otro libro de más pasatiempo ni más bien ordenado ley. E parecióme no
convenible cosa querer yo solo gozar de su letura dexando cosa tan apazible debaxo de estran-
gera lengua escondida [per questo decisi di tradurla]».
23
«Hay otra especie de libros, de poesía e historia compuestas, los cuales, ya que no sean
para tanto provecho, son para alguna manera de placer y recreación del hombre. Que leyéndo-
los en algunas horas de ociossidad, sirven y aprovechan a la ánima en la apartar de la ociosidad,
la qual es gran materia para el vicio, y muy aparejada para la infamia [...] Y demás desto que es
tocante al ánima, por otra parte, leyendo algunas desocupadas horas en estos libros, se recrea el
ánimo y se levanta el corazón, adelgázase el ingenio, avívase el juizio, despiértase el sentido. Los
enfermos alivian sus enfermedades, los presos sus prisiones, los afligidos sus infortunios [e tutti
vi trovano esempi validi] especialmente quando el principal intento de los autores destos libros
y historias es de recrear el ánimo y aprovechar el ánima, levando siempre adelante alguna ale-
goría o moralidad. [Perché i buoni consigli si gustano meglio] a bueltas de sabrosas historias,
como se dan las buenas medicinas amargas enbueltas en la sabrosa adúcar».

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