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Come dire la Pasqua?

Nei paesi dell’oriente cris6ano, da questa no8e chiunque s’incontri per la


strada si scambia un saluto che è sopra8u8o un annuncio di fede: «Cristo è risorto»; «È davvero
risorto». Da noi, piu8osto banalmente, ci diciamo «buona Pasqua». Potremmo dirci «buona
giornata» e forse sarebbe lo stesso. Allora, come dire la Pasqua in modo significa6vo per noi oggi?
Siamo chiama6 a ricercare quel legame inseparabile fra l’avvenimento della risurrezione di Cristo e
il suo impa8o decisivo per l’umanità (così crede la fede della Chiesa oltre ogni dubbio o messa in
ques6one dall’evidenza delle vicende di ogni tempo), un effe8o che percorre la storia da allora fino
ad oggi e oltre.
L’avvenimento, prima di tu8o. Giunge a noi a8raverso il racconto di un’esperienza di fede: le due
donne ne sono colpite e, con 6more e gioia, sono condo8e a riportare il primo annuncio ai discepoli.
Il primo di tan6 successivi, perché da quel giorno, di fede in fede l’annuncio è stato trasmesso,
radicato nel racconto di quel primo momento. Vale la pena rileggerlo o ascoltarlo:
Dal Vangelo secondo Ma.eo. Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della seTmana, Maria
di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un
angelo del Signore, infaT, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di
essa. Il suo aspe8o era come folgore e il suo ves6to bianco come neve. Per lo spavento che
ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L’angelo disse alle donne: «Voi
non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infaT, come aveva
de8o; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli:
“È risorto dai mor6, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho de8o».
Abbandonato in fre8a il sepolcro con 6more e gioia grande, le donne corsero a dare
l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse
si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete;
andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno». Parola del
Signore.
Al racconto appena ascoltato abbiamo acclamato con fede: «Parola del Signore». A8raverso la
proclamazione liturgica il testo è collocato in mezzo tra ciò che è accaduto in seguito all’avvenimento
e la nostra esperienza di oggi. Non è collocato in mezzo per separare, ma per congiungere, per unire
nella comunione, riportandoci al fondamento della nostra fede in forza dell’esperienza delle donne
quella maTna del primo giorno, esperienza che, più oltre, sarà dei discepoli in Galilea. La distanza
che ci separa da quell’avvenimento nei suoi effeT è colmata dalla proclamazione del testo. Come le
donne accogliamo l’annuncio del Risorto. Nella fede siamo ricondoT alla medesima esperienza di
quel primo giorno: il puro trovarsi di fronte ad una tomba vuota, o meglio svuotata, perché un corpo
vi era stato deposto. Un’evidenza ina8esa e imprevedibile, di fronte alla quale le parole dell’angelo
indicano che qualcosa è accaduto: Dio ha agito. Nessun altro. Quanto è accaduto, cioè l’avvenimento
in se stesso, non può essere raccontato, né descri8o; resta avvolto nel mistero; può essere solo
proclamato, secondo le parole dell’angelo: «è risorto dai mor6». Ma mentre l’avvenimento sfugge
ad ogni nostra possibile esperienza, siamo chiama6 a lasciarci coinvolgere dal suo annuncio!
In pieno umanesimo, Pier della Francesco dipinge il Cristo risorto che esce dalla tomba, mentre i
solda6 di guardia restano addormenta6, ignari di quanto sta accadendo. È il tenta6vo (irrealizzabile)
di voler cogliere quell’istante che rimane custodito dal silenzio di Dio. Una traie8oria più efficace era
percorsa dalla tradizione an6ca quando scriveva l’icona della discesa agli inferi di Cristo e le dava il
nome di anastasis (le8eralmente l’a8o del rialzarsi): colui che la morte non poteva tra8enere
rinchiuso nel sepolcro, si rialza e discende a liberare, rialzando da morte, fratelli e sorelle di ogni
tempo e luogo.
Ecco cosa si realizza quando l’annuncio dell’avvenimento è accolto e trova compimento nella nostra
esistenza. La morte fisica è solo l’ul6ma e defini6va delle molte mor6 che possiamo a8raversare nel
corso della vita terrena: morte di speranze e di sogni; morte nell’essere genera6vi; morte di relazioni
e legami; morte nell’umanità per le violenze subite e inferte. Quando la fede accoglie l’annuncio
dell’avvenimento perme8e alla Pasqua di Cristo di spalancare i sepolcri che si sono rinchiusi sopra
di noi: lo scoraggiamento, l’apa6a, i meschini interessi par6colari, la paura, la disperazione di fronte
al futuro. In questo rialzarsi dalla morte esistenziale l’avvenimento della Pasqua si compie nella
nostra esistenza: l’annuncio diventa corpo, secondo il simbolo dell’angelo che si mostra alle donne
in figura corporale.
«Angelo» significa «colui che annuncia». Perché l’annuncio possa coinvolgere le donne «colui che
annuncia» deve mostrarsi in modo corporale, secondo la necessità antropologica di un annuncio che
sia rivolto a donne e uomini di ogni tempo. L’annuncio si compie come un «annuncio bello», un
«annuncio buono», appunto un «Ev-angèlo», proprio quando si incorpora nella vita, si manifesta nel
vissuto del quo6diano. È questo il modo di dire la Pasqua: perme8ere che la Pasqua di Cristo dica se
stessa! Accade quando apriamo il cuore al suo annuncio, con 6more e gioia, dandogli corpo. «Non
c’è nulla di nascosto che non debba essere svelato e di segreto che non debba essere manifestato»
(Mt 10,26). L’avvenimento della risurrezione di Cristo è nascosto nel seno del Padre: non è
raccontabile, né raffigurabile. Ma si rende visibile, si fa corpo, si manifesta nell’agire evangelico di
quando ci apriamo nella fede al dono della vita nuova. Qualunque siano gli appelli che la vita ci
rivolge, qualunque siano i percorsi di sofferenza o fa6ca, i sen6eri di riconciliazione o pacificazione
che interceTamo, accogliere l’annuncio della Pasqua di Cristo ci conduce a viverli con umana
acce8azione e capacità di trasformazione. Verrebbe da dire che solo allora Cristo è risorto, è davvero
risorto. Quanto meno nella nostra vita. La domanda iniziale si trasforma, diventando un appello a
noi stessi: «come dico la Pasqua, proprio io, nella mia esistenza concreta?». Fratelli e sorelle in Cristo,
troviamo un po’ di tempo nei prossimi giorni per una risposta sincera data a noi stessi. E da lì,
riprendiamo il cammino con fede, che sia il nostro ev-angèlo scri8o a8raverso un’esistenza operosa
e feconda di bene. Il Signore è risorto! È davvero risorto!

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