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FABRIZIO DESIDERI

WALTER BENJAMIN
IL TEMPO E LE FORME

EDITORl1RIUNITI
I edizione: ottobre 1980
© Copyright by Editori Riuniti
Via Serchio 9I1:1 - 00198 Roma
CL 63-2202-6
Indice

9 Avvertenza

11 Premessa logico-storica. « Istantanee » sulle trasforma2ioni


del concetto di tempo dopo Hegel
1. Tramonto dc!l concetto, p. 12 - 2. Ritorno del tcl!!J)O: « Wille
zur Macht » e « etcmo ritorno », p. 16 - 3. Ii Tempo della
scissione, p. 20 - 4. LI Tempo dcll'Erlebnis, p. 23 - 5. Tempo
fenomenolo&ico come tresceadentale dell'Erlebnis, p. 27 - 6.
« Tempo storico» e « Kultur », p. 30 - 7. « Tempo originario»
e Deslruklion delle forme, p. 36.

41 I. Neokantismo, Romantik e critica delle forme


I. A. Metafisica della Jugend: oltre lo Jugendstil, p. 42 - B.
Punti focali, p. 47 - C. Tragedia e Trauerspiel: «tempi• e lin-
l'·u1ggi, p. 48.
IJ. Due poesie di Holderlin: tra ncokantismo e Gcorgc-Krcis,
p. 53.
Hl. A,. La « tent:azione • del Sistema, p. 61 - B. Friihromantile:
la critica come riflessione delle forme, p. 67.
Nota 1: Benjamin e Klec: per wia logica elementare del segno,
p. 74.

79 Il. Lingua, «politica» e utopia teologica


I. A. Indicibile e Nuchtennheit, p. 79 - B. Sulla lingua in gene-
rale e su quella degli uomini, p. 84 - C. Modus essendi, modus
significandi e medium linguistico, p. 93.
H. A. Metafisica della pol:itica: « per la critica della violenza»,
p. 97 - B. Ll frammento tcologice>pOlitico, p. 103.
M:I. A. Il processo storico della traduzione, p. 1.10 - B. Apparenza
e senza-espressione: le Alfinità eletlive, p. 11'8.

127 III. L'« origine del Trauerspiel tedesco>> come storia ori-
ginaria della soggettività .
I. A. La diligenza per Fnncoforte, p. -127. - B. Filologia e inter-
pretazione, p. l•Jil.
11. A. ScritbW'a e Darslellung, p. 134 - B. Verità e Umweg,
p. U7 - C. Critica come mk:ro]ogia, p. 140 - D. Idee - concct-
ti - fenomeni, p. 142 - E. Nome, p. 14.5 - F. Origine e sto-
ricità dcll'-idca, p. 148 - G. Monade e e storia naturale », p. 1,1
- H. Kunslwollen, p. W.
LII. A. 1neatrum historicum I, p. 1'6 - B. Actus tragirus, p.
157 - C. Thcatrum historicum LI: decidere cx nihilo, p. 161 -
D. Cogitatio melancholica, cogitatio allegorica, p. 16.5 - E. Alle-
goria, obnubilatio symbolorum, p. 167 - F. Facies historiae est
scriptura naturùis, p. 169 - G. Scriptura, « castrwn doloris »,
p. 169 - H. Pondcraci6n Mystcriosa, p. 170.
Nota 2: La Torre, p. 17~.

17 5 IV. Esoterismo e materialismo storico: l'impossibile « viag-


gio » in Palest-ina
I. Le lettere sul e Materwismo storico», p. 175.
M. L'imunano krausieno, p. 18-7.

197 V. Benjamin e Brecht: intellettuali e sovrastruttura


I. A. I Versuche iJber Brecht, p. 1,97 - B. Jl nesso intcllettuali-so-
vnstnrttura, p. 202.
I,!., A. Carattere distruttivo e sobrietà brechriana, p. 206 - B.
Masse e costruzione dell'Erjahrung, p. 212.
I.ili. Gli studi sul teatro epico, p. 21,.5.
IV. A. L'autore come produttore, p. 225 - B. Eingreifendes
Denken, p. 2J..5 - C. Operare nella tradizione p. 2411.
Nota 3: Aura, tecnica e storicità della percezione, p. 24.5.

253 VI. Benjamin, Adorno e il« Passagenwerk »


I. A. I progetti della « Passagenarbeit », p. 253 - B. Ponna-
merce e vita quotidiana, p. 2.'8 - C. Urgeschichle della moderni-
tà, p. 261 - D. Struttura«wrastrutrura, p. 264 - E. Immagine
dialettica, p. 2166.
ll. A. I saggi su Baudclaire, p. 269 - B. ili tempo del mercato
e l'eroismo baudolairiaao, p. 272 - C. Erlebnis-Erfahrun_g, p.
Z16 - D. Idéal e spleen, p. Z78 - E. Progresso e Etemo Ritor-
no, p. 281 - F. Merce e allegoria, p. 2&3.-
Jilil. A. Adorno e l'attualità della filosofia, p. 287 - B. Lo
Hornberger BrieJ, p. 292 - C. La mancanza di mediazione e le
ali della costruzione, p. 298 - D. Naturgeschichte e dialettica ne-
gativa, p. 302.

307 VII. Le tesi « sul concetto di storia»


I. A. Metapho,ik e giudaismi, p. YJ7 - B. Lo « stato di pericolo »
della situazione mondiale, p. )10.
]I. A. Politicità delle Thesen, p. }12 - B. Lo schema e generati-
vo» delle Thesen, p. J;l4 - C. Una strana partita a schacchi, p. 3-17
- D. Memoria, redenzione e « _politica », p. 324 - E. e Salva-
zione del passato», p . .3a8 - F. Ein/iiblung, p. }}1 - G. Angelus
Novus, p. 3-)3 - H. Socialdcmoc:razia e « sviluppo tecnico», p.
}35 - ·I. Il tempo e complesso» della contraddizione, p . .3}7 -
L. Rivoluzioni: discontinuum della storia, p. 341 - M. L'inversio-
ne passato-presente, p. )42 - N. C-ostruzione, p. 34.S - O.
Mooade,_p. 348.
liH. A. Tempo woto e lavoro astratto, p. }50 - B. Le politica
e le forme, p . .)!)i2.
In memoria di mia nonna Gina
la piu difficile da onorare
Avvertenza

L'intenzione di questo lavoro è duplice. Da un lato, mostra-


re una possibile costruzione dell'opera di Walter Benjamin, trac-
ciare un possibile percorso dentro le sue pagine sul filo del rap-
porto tempo-forme, e quindi su quello della critica, come logica
che ogni forma esprime-sprigiona al suo interno in quanto tempo
delle sue trasformazioni. Dall'altro, preludere ad una eventuale
/ormulazione di alcune proposizioni intorno al tempo e alla storia.
Di questa duplicità testimonia lo iato tra la Premessa e il corpus
vero e proprio del lavoro. Se questo iato - questa incolmata fen-
ditura nel suo continuum testuale - darà occasione a qual,cuno di
pensare relazioni, implicazioni, opposizioni e possibili sviluppi tra
le trasformazioni del concetto di tempo dopo Hegel (accennate nel-
la Premessa) e qualche tratto del pensiero benjaminiano, allora,
nonostante le sue certe manchevolezze (che non sta a me indica-
re), questo libro avrà avuto un senso. Nel nostro caso sarebbe stato
alquanto indecente e poco serio presentare frettolosamente, come
già date, le connessioni tra l'ouverture logico-storica e la vera e
propria esecuzione del discorso su Benjamin, azzardare quindi, per
una perversa volontà di simmetria, una qualche conclusione. Molto
lavoro anaUtico resta ancora da fare,· molti altri testi sono tuttora
da attraversare, da dissodare filologicamente e teoreticamente.
Il manoscritto è stato consegnato all'editore nell'aprile 1979.
L'esser stato, subito dopo, chiamato ad assolvere a «patriottici»
doveri mi ha impedito di rivedere e/ o rifinire alcune parti come
avrei voluto. Di necessità, la letteratura riguardante Benjamin (e
i problemi qui affrontati) pubblicata nel 1979-80 viene utiliuata
solo marginalmente. In base ad essa si è perlopif' aggiornata qua
e là qualche nota. Inediti benjaminiani usciti di recente in Germa-
nia, come il Briefwechsel 19JJ-40 con G. Scholem (a cura dello

9
stesso Scholem, Frankfurt/ M. 1980) o il Moskauer Tagebuch (a
cura di G. Smith e con una prefazione di G. Scholem, Frankfurt/ M.
1980); non si sono evidentemente potuti trattare.
Durante la preparazione e la stesura del lavoro, decisivo è
stato il confronto con alcuni amici. Ricordo qui e ringrazio: Mas-
simo Cacciari, Ottavio Cecchi, Maurizio Ciampa, Ferruccio Ma-
sini, Roberto Racinaro, Giovanni Spagnoletti. Da loro non ho ri-
cevuto soltanto consigli, idee e critiche, ma soprattutto, e in ma-
niera determinante, la fiducia a continuare in una ricerca, di cui,
in tempi davvero non trasparenti, è assai difficile scorgere l'uti-
lità. Questo libro, poi, non sarebbe forse mai stato nemmeno pen-
sato, se circa sette anni fa non avessi posato lo sguardo su un af-
fascinante « profilo » di Ben;amin apparso su Rinascita sotto la
firma di Ferruccio Masini, che allora non conoscevo. Due anni do-
po l'amicizia con lui sarebbe andata di pari passo con una sempre
piu coinvolgente «immersione» nell'opera benjaminiana.
Desidero inoltre ringraziare il Deutscher Akademischer Aus-
tauschdienst per avermi permesso un soggiorno di studio di un
anno a Francoforte, essenziale ai fini di questo lavoro. Di questo
periodo ricordo con gratitudine, per i cordiali e interessanti col-
loqui che ho avuto con loro, il prof. Hermann Schweppenbiiuser
e il prof. Burkhardt Lindner. Un ringraziamento infine alla Deut-
sche Bibliothek di Roma, insostituibile punto di riferimento bi-
bliografico.
Se i debiti scientifici di cui sono cosciente si riflettono nelle
pagine che seguono, il debito maggiore è /orse nei confronti di
coloro che, al di fuori di preoccupazioni da « addetti ai lavori»,
in questi anni mi hanno posto domande intorno al senso di que-
sta ricerca. Questo debito è tuttora insoluto: a molte di queste
domande, mi accorgo, questo libro non è riuscito minimamente
a rispondere.
(La nota 2 e la nota 3 erano già apparse, con lievi differenze,
rispettivamente su Paragone e su ES.,· il capitolo VI e le prime due
sezioni del VII, riproducono qui - nel primo caso, con qualche
correzione e qualche taglio e nel secondo con non trascurabili ag-
giunte - due saggi già pubblicati rispettivamente in Nuova Cor-
rente e in Metaphorein).
F.D.

10
Premessa logico.storica
«Istantanee» sulle trasformazioni del concetto di tempo dopo Hegel

Zu lang schon waltcst iibcr dem Haupte mir,


Du in dcr dunkeln Wolkc, du Gott der Zcit! *
( F. Holdnlin}

Quel che segue è prologo al discorso su Benjamin, introdu-


zione all'analisi della sua produzione. Ingresso nell'edificio meta-
forico<oncettuale che i suoi testi costruiscono; non nella guisa
del prefabbricato, del sistema che si riflette nella metafora, nella
frase, ma come materiali che si offrono alla costruzione, che a
questa tendono. Quest'ingresso, certo, è un tortuoso cunicolo. Den-
tro di esso non si vede dove conduce, passandovi attraverso non
si ha alcuna impressione di abitare le stanze benjaminiane. Que-
sto « passaggio » è un Um-Weg, una via indiretta, contorta. Ma
percorrere un Umweg per raggiungere un luogo non ·significa gi-
rarvi attorno invano - Umweg non è lrrweg (falsa strada) e
nemmeno Holzweg (sentiero che si interrompe nel bosco) 1 - ma
compiere dei giri necessari perché la « diritta via» è impenetrabile,
« permanentemente chiusa» (Wittgenstein). Non v'è alcuna stra-
da maestosa e tranquilla - costellata solo dai cipressi della spe-
culazione - che sin dall'inizio mostri la « casa », che diretta con-
duca zur Sache selbst della nostra ricerca. La casa ancora non
esiste; la « cosa stessa » è da sempre celata - e in questo tra-
sformata - dal tempo in cui sorse, dalla sua storia, dalla tra-
dizione che la porta con sé. (Questa è la critica radicale che Be-
njamin proprio attraverso il concetto di Umweg muoverà alla ri-
cerca husserliana, alla sua pretesa di «purezza».)
Dell'oggetto, della materia della nostra ricerca, perciò, non
* Già da troppo tu domini sopra il mio capo, / Tu nella oscura nuvola,
dio del Tempo! (trad. G. Vigolo).
1 E che soltanto il legnaiolo conosce (li, al suo tennine è infatti raccolta la
legna tagliata). Alla necessità cli delineare teoreticamente i rapporti e le differe117.e
tra metodo e percorso del pensiero in Hcidcggcr e Bcnjamin - la peculian=. lettura
del tempo che sottintendono - questo lavoro non dà risposta; ne costituisce,
se cos{ si pub dire, una premessa.

11
si dà Da,stellung che non sia costruzione; ma tutto questo non
è possibile che attraverso Umwege. Questo, che di seguito proponia-
mo come primo, piu d'ogni altro -appare come un vago peregrinare,
su cui r« Invano! » pende come minaccia. Quanto effettivamente
conduca dentro Benjamin, solo il resto della trattazione può con-
fermarlo. Anche se, va detto, questo percorso non è semplice-
mente il quadro entro cui si muove quello benjaminiano, ma per
un « tratto» il punto da cui parte, e per un altro una direzione
da esso divergente. Va da sé poi che queste poche pagine sulle
trasformazioni che subisce il concetto di tempo dopo la crisi del
sistema hegeliano, della sua « capacità » dialettica, non sono che
semplici « istantanee » in cui, tra l'altro, non è per niente visi-
bile il lato epistemologico-scientifico di queste trasformazioni, ma
solo quello del rapporto tra « storia » e « soggetto ». Il proble-
ma del tempo storico, insomma, -attorno a cui concluderà, in tutti
i sensi, la ·produzione benj,aminiana.

1. Tramonto del concetto


La c:oncczionc di Hegcl è propria di un periodo io
cui lo sviluppo in estensione della borghesia poteva
apparire illimitato.
( A. Gr11msci)

In Hegel il tempo non è l'altro del concetto e quindi della


scienza. La distanza tra tempo e concetto è misurabile per la lo-
ro identità: -« il tempo è il concetto medesimo che è là e si pre-
senta alla coscienza come intuizione vuom » 1 bis. Ed il togliersi del-
l'immediatezza di tale identità è dato solo dal percorrere del con-
cetto questa distanza, dal penetrare del sapere in tale « vuota in-
tuizione», dal divenir<0ncepito del puro intuire. Ma questo mo-
vimento del concetto, questa mediazione che toglie l'astratta iden-
tità di tempo e concetto, come indifferenza ad ogni differenza 2 ,
è il tempo stesso mentre viene cancellato, mentre viene eliminata
l'esteriorità indifferente dei suoi momenti (e quindi anche la loro
assoluta differenza). :t l'Er-fahrung1 l'esperienza: niente viene sa-
puto che non sia in essa, dice Hegel. Per questo il tempo non
1 bis G.W .F. Hcgcl, Fenomenologia dello spirito, trad. di E. de Negri, rll'CDZC,
19602 II, p. 298.
Cfr. G.W.F. Hcgcl, E11ciclopedi11 delle scienu filosofiche, trad. di B. Croce,
Bari, 1971, p. 217.

12
·è esterno al sapere ed appare anzi « als das Schicksal und die
Notwendigkeit des Geistes, der nicht in sich vollendet ist » 3,
come .il destino e la necessità dello spirito che non è in sé con-
cluso, che deve, quindi, comprendersi. Se quindi per Hegel il de-
corso temporale non è - come scriverà Benjam.in - la « ma-
dre della Dialettica » « ma solo il medium in cui essa si rappre-
senta» 4, questo medium è necessario. Dire però la necessità del
tempo come medium significa affermare l'impossibilità della sua
nientificazione 5 : quel che si cancella del tempo è l'accidentalità
puramente quantitativa del suo succedersi, la sua « temporalità».
In questo movimento, che non è altro che quello dello spirito
verso il sapersi come tale, del trasformarsi dell,esperienza in sden-
·za, la successione si trasforma in « storia effettuale». Troppo no-
ta è la conclusione della Fenomenologia per insistervi: « la storia
e il farsi che si attua nel sapere e media se stesso, - è lo spirito
:alienato nel tempo ». Se tale farsi presenta nel suo apparire « un
1orpido movimento ed una successione di spiriti, una galleria d'im-
magini» 6, la scienza di questo apparire consegna ognuna di que-
·ste figure (Gestalten) all'Er-innerung, alla memoria; il conser-
·varsi di ogni figura dell'Er/ahrung nell'Erinnerung trasforma la
storia in « storia concettualmente compresa» (begriflene Geschi-
chte).
Come ha inequivocabilmente chiarito De Giovanni 7, soprat-
tutto la Scienza della Logica mostra come in tale orizzonte il tem-
po non è mantenuto nella sua empirica linearità, né tale linearità
.:è semplicemente invertita nella sua successione, ma radicalmente
.criticata e rovesciata (nel senso letterale del termine) nell'arti-
·-colazione logico-storica dei suoi momenti, costruita in processo
.concettualmente compreso, « strutturata ... dalla totalità delle ca-
tegorie» 1 nel reticolo di nessi sistematici che è il presente inte-
so come concetto 9 • Se qui lo stringersi di una reciproca connes-
·sione tra logica e storia spezza « il ·legame univoco e irreversibile
:storia-temporalità» 10, questo è possibile perché la « logica del
3 G.W.F. Hcgel, Phanomenologie des Geistes, Frankfurt/M., 1970, p. 584.
4 W. Benjamin, Gesmnmelte Schriften, a cura di R. Tiedemann e H. Schwep-
pcnhiiuser (d'ora in poi GS), II, 2, Frankfurt/M., 1977, p. 5.30.
1 5 Cfr. R. Bodei, Sistemt1 ed epoct1 in Hegel, Bologna, 1975, pp. 274-275.
6 G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., II, p. 304.
7 In B. De Giovanni, Hegel e il tempo storico della società borghese, Bari,
1970, 10prattutto nelle pp. 129-145.
8 R. Bodei, Sistemt1 ed epoct1 in Hegel, cit., p. 275.
11 B. De Giovanni, Hegel e il tempo storico della societd borghese, cit., p. 131.
IO lvi, p. 111.

13
tempo » è subordinata a quella del concetto li, anzi - ancor
piu decisamente - perché è il concetto stesso che « costituisce
la potenza del tempo» 12• Il concetto come « assoluta negatività
e libertà » domina il tempo, che è pura negatività, « elemento
negativo del sensibile» 13, modo d'esistere del finito, che non
contiene il principio della negazione di sé. Qui appare il lato me-
diato dell'identità da cui siamo partiti: se il tempo, come pura
diflerenza esterna a se stessa, è il « principio medesimo del-
l'Io =
Io, ... ma è quel principio o il semplice concetto ancora
nella sua completa esteriorità ed astrazione» 14 , la mediazione
di queste differenze nel movimento concetruale è l'accadere qua-
litativo che ne distrugge il giustapporsi quantitativo, il succedersi
come continuo trapassare. Per mantenere la determinazione di que-
ste differenze nella loro compresenza reciprocamente contraddit-
toria, fino a rifletterle nella loro relazione essenziale, nella loro
connessione, e mostrarle come momenti processuali dell'Idea nel-
la sua identità con se stessa, dove l'unità del processo è il con-
cetto stesso.
Ora l'identità del soggetto con sé non è astratta, ma ricca
di determinazioni, è l'identità della differenza, che per questo dif-
ferisce logicamente da quella iniziale. Seppur Hegel non chiarisca
abbastanza questo « passaggio», qui il concetto di tempo si tra-
sforma radicalmente: il tempo stesso assume la forma del con-
cetto. Ma nel concetto non v,è qualcosa oltre il tempo (inteso
come l'astrazione piu generale, l' « astrarre che insieme è ») 15 : il
concetto domina il tempo, lo comprende, lo consuma, ma non
lo travalica 16• La frase hegeliana, secondo la quale « è conforme
al concetto dello spirito che lo sviluppo deJla storia cada nel tem-
po», non va intesa neoplatonicamente, né è lecito vedervi un
prim ontologico del tempo sul concetto. Tutto questo sta solo
a significare che l'immanenza ed effettualità sintetica del concet-
to, la sua verità si alimenta del •tempo pur se nella forma del
suo toglimento. In tal senso il tèmpo è l'elemento cli visibilità
del concetto, il luogo del suo c-onoscersi. t lo « schermo» sul
liIvi, p. 50.
12G.W.F. Hegd, Enciclopedia delle scienze /iloso/iche, eit., II, p. 218.
u G.W.F. Hegcl, Lezioni sulla fis_oloso/ia della storia, trad. di G. Calogero
e C. Fatta, Firenze, 1967, I, p. 184.
14 G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, dt., II, p. 217.
u Ivi, p. 218.
16 Cfr. G.W .F. Hegel, Filosofia del diritto, trad. di F. Messineo, Bari, 1971,
p. 15.

14
quale si « proietta » il movimento della dialettica con le sue fi-
gure, il luogo dove prendono corpo le sue forme 17 : certo senza
tale «svolgimento» fo schermo è solo una informe tela bianca:
astraendo dal « processo dialettico » il tempo è vuoto e come ta-
le - come vuota astrazione - soggiace interamente alla criti-
ca hegeliana. Eppure il tempo, che in sé è solo tale astrarre, non
scompare mai (senza conseguenze) dall'orizzonte del concetto, se
non impedendo ad esso il -movimento dialettico, costringendolo
ad un'astratta identità con sé, da cui ogni potenza sintetica è can-
cellata. Il concetto ha bisogno del tempo e per questo lo assog-
getta a sé. Questa relazione di signoria/ servi tu tra ritmo qualitati-
vo del processo logico-storico ed estendersi quantitativo del de-
corso temporale contiene però la possibilità (anche essa « logi-
ca»: in questo Hegel non è superato), anzi il destino del suo
ribaltamento. Questa è la struttura che genera - ancora una vol-
ta - la forma, le forme della propria negazione, che produce
la possibilità della crisi del sistema hegeliano, come frattura tra
tempo e pensiero. E questo sia perché lo sviluppo quantitativo
delle scienze particolari si capovolge in alterità qualitativa rispet-
to alla « filosofia », alla sua capacità dialettico-sintetica di percor-
rerle e unificarle 11, che, piu al fondo, per il frangersi della strut-
tura formale che identifica {sia nel lato dell'immediatezza, come
in quello della mediazione) tempo e concetto, tempo e soggetto.
La crisi del sistema dialettico è cosi il crepuscolo del con-
cetto sull'orizzonte del tempo, il suo ritrarsi mentre guarda im-
potente all'esplodere in infiniti punti di fuga prospettici di questo
stesso orizzonte 19• E questo processo, dopo Hegel, - se questa
espressione non ha un senso meramente cronologico, né possa in-
terpretiarsi come accidentale caduta, - non sembra destinato ad uni-
ficazione: i « tempi » che lo esprimono non paiono poter giun-
gere ad un loro concetto.
17 Per un'altra similitudine tra cinema e filosofia hcgcliana cfr. Th. W. Adorno,
Tre studi su Hegel, trad. di F. Serra, Bologna, 197-1, p. 152.
11 Cfr. B. De Giovanni, Hegel e il tempo storico della società borghese, cit.,
pp. 203-206.
19 « In questo ritirarsi deJlo spirito in sé, il pensiero si fa innanzi come parti-
colare realtà, e nascono le scieruie. C,os{ le sciCN!e e la rovina, il declino di un
popolo vanno sempre di pan passo.~ (G.W.P. Hegcl, Lrooni sulla filosofia della
storia, cit., I., p. ,1.) Come tutto questo avvenga perchc! in Hcgcl al tempo vuoto,
come astrazione, non sia riconosciuto il suo dominio reale sul processo, non sia
penetrata decostruita quindi l'effettualità della mediazione nella apparenza storica,
non è possibile qui svolgerlo.

1.5
2. Ritorno del Tempo: « Wille zur Macht » e « eterno ritomo »·

S(, s( il Tempo è ricomparso, regna sovrano il


Tempo ora, e col ripugnante vecchio è tornato il
suo demoniaco corteo: Ricordi, Rimpianti, Spasmi,
Paure, Angosce, Incubi, c.otlerc, Nevrosi .
... Sf il Tempo regna; ha ripreso la sua brutal ditta-
tura. E mi spinge quasi io fossi un bove, colla sua
doppia punca. Ani, ciuco, arri! Suda, schiavo! Vivip,-
o aannato.
(Ch. Bndtki,e)

Se il tempo abbandona il concetto, è perché questo,


il Be-grifi, non è piu capace di trattenerne le forme nella sua pre-
sa, di esprimerle. Il concetto inizia qui un percorso «logico•
che lo condurrà ad identificarsi con il suo automovimento for-
male. Se la ratio si « purifica » in forma, il logos non solo cede
il primato alla Tat (all'agire), ma ne perde le ragioni, ne riconosce la
propria Ab-gespaltenheit (il suo essere scis6o); il logos si traduce in
dis-corso. L'Arbeit concettuale, lasciato dietro di sé la dialettica,
come il non permanere presso di sé del concetto, si è trasformata in,
tautologia. Ma il tauto-legein del concetto è ,parlare di sé; l'eterolo--
gico, che fa dialettica ,acquisiva a sé, ~rbendolo, penneanclalo in-
temamem:e come il sangue irl corpo, rimane tale. Tautologia è mono--
logia . .:,8 il solipsismo di Wittgenstein. Il monologo del Tracta-
tus, come Amleto, conclude, sul resto, nel silenzio.
Che con l'esito del pensiero wittgensteiniano stia in ncccssa--
tja connessione quello di Nietzsche, è stato chiaramente mostra-
to dai recenti lavori di Cacciati 31 • « Il conoscere in senso stret-
to - scriveva Nietzsche già nel 1872 - ha soltanto la forma
della tautologia ed è vuoto. Tutte ·le conoscenze che ci fanno com-
piere progressi non sono altro che identificazioni del non iden-
tico, sono cioè sostanzialmente illogiche. [ c.n.] » 21
In questo «vuoto» è l'abisso che separa la relazione tra·
« tempo » e « pensiero » in Hegel dalla trasformazione che questa·
subisce in Nietzsche: ma è il permanere di entrambi sugli argini
contrapposti di questo abisso che li rende ancora « confrontabi-
li». Non è la radicalizzazione critica del progetto « neokantiano »
di Schopenhauer, di elevare la « semplice apparenza » a « unica·
suprema realtà » 22, a segnare la distanza da Hegel. Questi ha,
20 Si veda· soprattutto M. Cacciari, K,isis, Milano, 1976.
21 F. Nietzsche, Il libro del filosofo, a cura di M. Bccr e M. Ciampa, Rom,,.
1978Lp. 56,
z;,c F. Nietzsche, Ùl nascilo dell11 t1ogtdi11, trad. di S. Giamctta, in Opere.,

16
già criticato la distinzione kantiana fenomeno/ noumeno e con que-
sta la tradizione metafisica occidentale 23, mostrando l'effettua-
lità storica delle sue categorie, indicando nell'apparenza la mani-
festazione della verità 24 ed iniziando cosi il « compimento della
metafisica » 25 • La differenza-rottura nei confronti della sintesi he-
geliana è data in Nietzsche dal non essere le forme dell'apparen-
za il movimento rovesciato del concetto 26 • Ed è perché quest'ul-
timo (il concetto) è svuotato della sua sostanza, del suo in sé,
che l'apparenza non è piu rovesciabile in una trama di nessi og-
gettivi, ma solo valutabile-trasformabile 11 •
Di contro all'apparire il concetto sta come volontà di po-
tenza, non contenendo piu, nel suo « in sé», la forma cli quello:
il tempo. L'essere diviene cosi valore 28 • Ma questa trasformazio-
ne è la potenza stessa dell'apparenza 29 , la forma del suo dive-
nire - come « eternamente trasformantesi», « gioco delle con-
traddizioni » - la sua vita. Divenire, trapassare, trasformarsi dove
il concetto-volontà di potere non è piu potenza che domina il
tempo, ma si fa esso stesso tempo: è questo trasformarsi che non
conosce permanenze al suo interno, contraddizione che non co-
nosce risoluzione, conflitto che non conosce conciliazione. Conci-
liazione, come vedremo, non è superamento del conflitto, ma sua
accettazione senza residui, saggezza tragica, divenire, senza riser-
ve, questo stesso processo, volerlo, amor fati 30 •
ILI, t. I, Milano, 1972, p. 122. Radicalizzazione che liquida la residua « diffc--
rcm~a ~tafisic~ tra fenomeno e in sé,. ancora presente in Schopenhauer, pur se
nella fonna dell'apparire e ciel nulla; cfr. per questo M. Cacciaci, Pensiero nega-
liim e razionaliuazione, saggio introduttivo a E. Fink, La /iloso/ia di Nietzrche,
trad. <li P. Rocco Traverso, Padova, 1973, p. 3.5.
21 Or. R. Bodei, Sistema ed epoca in Hegel, cit., pp. 160-162.
24 « L'apparenza è un sorgere e un passare che né sorge né passa, ma che è
in sé e costituisce l'effettualità e il movimento della vita della verità.» (G.W .F.
Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., I, p. 37-343.)
2.'.i Or. M. Hcidegger, Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Milano,
1976, p. 49.
26 Or. l'intervento di B. De Giovanni, in R. Bodci-F. Cassano, Hegel e
Webe,, Bari, 1977, pp. 141-145.
r, Il mondo apparente, cos{, è « un mondo considerato secondo volori, ordi-
nato, trascdto secondo valori »; il « carattere dell' "apparenza" è dato dunque
dall'elemento prospettico! 1>, F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-89, trad. di
S. Giametta, i,n Opere, VlLI, t. lii, Milano, 1974, p. 1J60.
21 Or. M. Heidcggcr, La sentenza di Nietzsche: « Dio è morto», in Sentieri
interrotti, trad. cli P. Chiodi, Firenze, 1968, p. 237; « Nell'apparire dell'ente come
tale, l'essere rimane escluso. La verità dell'essere sfugge; è dimenticata 1> (ivi,
p. 243.)
29 Or. E. Fink, La filosofia di Nietzsche, cit., p. 235.
JO Or. M. Cacciari, Pensiero negativo e . razionaliwwone, cit., pp. 36-43.

17
« La volontà di potenza come vita: culmine dell'autocoscien-
za storica (quest'ultima determina la forma malata del mondo
moderno ... ) » 31 • Forma malata quando è il senso storico a op-
primere la vita, il morto passato a gravare sul presente. Di qui
l'inversione del rapporto passato-presente anche in Nietzsche, che
nella II Inattt«Jle critica violentemente lo Historismus (e quindi
piu lo hegelismo che Hegel stesso). « Solo con la massima forza
del presente voi potete interpretare il passato. » 32 L'inversione qui
ha però spezzato la connessione razionale tra i due termini: cono-
scenza del processo non è il suo rovesciamento in una rete di
nessi concettuali, è interpretar.ione 33 ; il passato, le sue figure, non
è piu tolto-mantenuto nell'Erinnerung, ma solo usabile come stru-
mento per la vita, termine in cui si «semplifica» (o si esplicita)
il presente.
Hier die Rose, hier tanzt, ammonisce Hegel. Ma nessuna
ragione si può ora riconoscere nella croce del presente: solo la
danza di Zarathustra è possibile attorno ad essa, solo le rose della
sua corona vi possono cadere sopra; come annunci della lotta di
« Dioniso contro il crocefisso ».
:8 la frattura tra presente e passato, questo configurarsi del-
la struttura della temporalità come « crisi e null'altro» 34, che
apre il problema del rapporto tra volontà di poten1.a ed eterno
ritorno dell'uguale. :8 il problema del capitolo « Della Reden-
zione» nello Zarathustra 35 • « Impotente contro ciò che è già fat-
to la volontà sa male assistere allo spettacolo del passato» 36 ; re~
dimere è trasformare il « cos{ fu» in un « cosf volli che fosse».
« E chi ha insegnato alla volontà la conciliar.ione col tempo ... ?
Bisogna che la volontà - in quanto volontà di potenza - vo-
glia qualcosa al di sopra di ogni conciliazione: ma come può ac-
cadere ciò alla volontà? » n Nell'eterno ritorno dell'uguale, è la
31 P. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-89, cit., p. 293.
32 F. Nietzsche, Sull'utilit~ e il danno della storia per la vita, in Opere,
III, t. I, cit., p. 311.
33 E questo nasconde lo smembrarsi del soggetto-concetto nella complessità
prospettica, polimorfa, del corpo, nella sua « immane molteplicità i.. Or. per que-
sto il saggio di F. Rdl.a, Dallo spt1%io es/etico allo spazio dell'i,,terpretavone, in
Nuova co"ente, n. 68-69, 1975-76.
34 M. Cacciari, Pensiero negativo e razionali::at.ione, cit., _p. 43.
36 Cfr. per questo M. Heidegger, Chi ~ lo Zarathustra di Nietzsche, in Saggi
e dircorsi, cit., pp. 66-82.
36 F. Nietzsche, Cosi parlò Zarathustra, trad. di M. Montinari, Milano,
1976, p. 170.
37 Ivi, p. 172. La « redenzione del passato» sarà anche il problema del-
l'ultimo Benjamin, ed esplicitamente in direzione di una trasformazione del pas-

18
risposta di Nietzsche. Per la volontà che riconosce l'eterno ritor-
nare di tutte le cose, ogni necessità si curva nel suo voler-potere 38 •
Sta qui certo l' « eroismo » di Nietzsche che Benjamin sottolineerà,
ma questo aspetto non sta scisso, nella forma antropologica del
Sollen, dal lato cosmologico-naturale dell'Eterno Ritorno, come
sostiene Lowith 39 • Non di una semplice conciliazione si tratta in
questo pensiero, ma di un profondo « si» ad una conflittualità
tragica e permanente, per il quale il « gioco crudele delle con-
traddizioni» tocca l'accordo estatico della musica dionisiaca 40 •
Il « tempo», come astrazione del sorgere e del perire, del
«passare» delle forme dell'apparenza, mostra - nel « pensie-
ro » di Nietzsche - tutta la sua effettualità come « potenza »
di queste forme, puro « continuum di forza», « divenire asso-
luto » 41 •
La ripetizione non è all'interno della successione 42 - « ri-
petizione non sorge nel tempo, essa è il tempo» 43 - ma nel
tornare del « tutto» del divenire, della sua « connessione tota-
le», che afferma il suo essere nell'« è» dell'attimo. « Imprimere
al divenire il carattere dell'essere», come la « suprema volontà
di potenza » 44, non è allora conferirgli stabilità, fissare nella
quiete del concetto il suo processo, ma vedere-volere la torsione
di questo, della sua totalità (passata e futura) su ogni momento,
sato stesso; per questo rimandiemo al Villi capitolo di questo lavoro. Clle anche
per Nietzsche, come (in modo assai tonnentato) fa pensare la scena descritta nel
capitolo Ùl visione e l'enigma dello Zarathustrtl, la redenzione del passato non
si esaurisca in una stoica accettazione/comprensione di esso e che, dunque,
l'Eterno Ritorno non sia, semplicemente, il ripetersi dell'identico, ~ attualmente
oggetto di ricerca e dibattito; dr. per questo i saggi di G. Franck e F. Rclla, in
Critica e Storia, materiali su Benjamin a rura di F. Rclla, Venezia, 1'980 e la
raccolta di saggi di Bertaggia, Cacciari, Franck, Pasqualotto, Su Nietzsche, di
prossima pubblicazione presso Liguori, Napoli.
38 Cfr. F. Nict2SChe, Cosi parlò Zarathustra, cit., « Di antiche tavole e
nuove ». p. 261.
3' n questa, ci pare, la tesi fondamentale del suo: Niel%sches Philosophie der
ewigen Wiederleun/t des Gleichen, Berlin, 1935; il primo libro scrio sull'argo-
mento, contemporaneo alla ripresa bcnjaminjana del problema.
43 Cfr. F. Masini, Per un'analisi dei « campi di si1.ni/icato » nel « Cosi parlò
Zarathustra•, in Nuova corrente, ~ . 1·97'-76, p. 564. Ma sul tema del « pas-
sato » si vedano in questo saggio le bellissime pagine 544-5.51. Ora questo saggio
può essere letto in F. Masini, Lo scriba del caos, Bologna, 1978, che costituisce
la summa degli studi masiniani su Nietzsche.
·U Cfr. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1881-82, in I.a 1.aia scienza, trad. di
1:. Masini, Milano, 1971, p. 310 (la versione dei Frammenti è di M. Montinari).
42 Quest'immagine stessa è criticata nei Frammenti anzi citati, p. 320.
41 E. rmk, Ùl filosofia di Nielische, cit., p. 160.
44 F. Nietzsche, Frammenti postumi 188.5-87, traci. di S. Giametta, in Opere,
VIII, r. I, Milano, 1975, p. 297.

19
intrecciandovisi. La conciliazione della volontà col tempo ~ vo-
lontà al di sopra di ogni conciliazione, perché il suo potere nel
presente, il suo prodursi in esso è la necessità del riprodursi del-
l'intero processo; e perciò in tale presente appare il destino del
suo ritorno. « Il centro è dappertutto. Ricurvo è il sentiero del-
1'eternità», cosf che, possiamo dire, il « ritorno dell'uguale» è
già dentro ogni « presente » in cui si .manifesti la « W ille zur
Macht ». L'amor fati nietzscheano nasce dunque dal piacere e dal-
l'amore per il mutamento: per la transitorietà e per la sua tra-
sformazione 45•

.3. Il Tempo della scissione


Et le Temps m'engloutit minute par minutet
Comme la neige immense un corps pris de roideur.
(Ch. Baudel4ire)

« Sf il Tempo è ricomparso», annuncia Baudelaire. E il tem-


po che torna - come chiarirà Benjamin nella decisiva costella-
zione Baudelaire-Blanqui-Nietzsohe - è quello dell'« eterno ritor-
no »; ma proprio qui sta la novità, che l'apparente sempre-uguale
del Ritorno nasconde 46• Il Novum è il ritorno dell'uguale nel suo
rapporto alla « volontà di potenza». C.Omprendendo questo, Be-
njamin afferra l'effettualità dell'apparenza storica, come dominio
del woto-astratto del tempo. Di fronte a questa apparenza la Kul-
tur post-nietzscheana rimane cieca, resta abbacinata dal suo Schein
~ Si tratterebbe, a questo . punto, di far luce sul rapporto ua l'idea del-
l'eterno ritorno e l'essenza della tecnica moderna, rapporto cui enigmaticamente
accenna Heideger: « OlC cos'è l'essenza del moderno motore, se non una confi-
gurazione dell·eterno ritorno dell'uguale? Ma l'esscoza di questa macchina mouice
non è nulla di macchinale e tanto meno qualcosa di meccanico. Alueuanto im-
possibile è interpretare l'idea nietzscheana dell'eterno ritorno dell'uguale in &enso
meccanico~ (Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?, cit., p. 82). Non intendiamo
rispondere; notiamo solo che 1'ug11ale è il prodotto sia nel caso dell'eterno ritorno
che in quello della macchina, ma ciò non dice niente né sul funzionamento di
entrambi (che pure, nella sua modalità, sarebbe configurabile come ripetersi del-
l'identico), né su ciò che, in ultima istanza, lo determina, la sua CS$Cn1411, lo
« svolgersi del suo essere ». Una risposta forse è da cercarla nella funzione deter-
minante che in entrambi i modi di produzione dell'uguale esercita il tempo
llStratto, come energia accumulata nel loro « meccanismo », in ogni suo punto.
Tempo astrtllto non è qui te,,,po meccanico, ma è tempo che si svuota, lavoro
che consuma le sue determinazioni, per muoversi poi nel meccanismo della mac-
china, determinandone il funzionamento.
46 Cfr. H. Pfotenhauer, Benjamin und Nietzsche, in AA.VV., W. Beni11111i11
im Kontest, a cura di B. Lindner, Frankfurt/M, 1978, p. 102.

20
(bagliore dell'apparenza). Per questo nel passaggio al nuovo se-
colo il Tempo del Ritorno, con tutte le sue connessioni, sarà ri-
mosso, perduto. Il tempo dominerà, « con la sua doppia pun-
ta», come scissione, nello sdoppiamento del suo concetto. Piu
che di dominio, perciò, qui si deve parlare dell'inizio cli una lotta,
di un conflitto.
In questa scissione il qualitativo del tempo si è ritratto nel-
la coscienza del soggetto, non è piu nello sviluppo complessivo
e si contrappone - senza mediazione - al tempo « scientifi-
co», misurabile, che caratterizza i processi fisici e sociali. Le pri-
me forme in cui questa scissione si presenta - senza conoscere
ancora la natura conflittu~e e il destino tragico che recavano con
sé - sono la durée e il temps-espace bergsoniani.
·Per questo Bergson esprime - soprattutto nelle prime due
opere fondamentali: Essai sur les données immediates de la con-
science (18-89) e Matière et mémoire (1896) - la forma classi-
ca dell'avvenuta rottura del sistema dialettico. E la esprime -<< clas-
sicamente», non da ultimo, perché al di fuori, anche geografi-
camente, della tradizione hegeliana e/o della sua crisi. Nello stes-
so tempo nessuna pagina di Bergson è comprensibile nella sua
«posizione» storica, se non si sottolinea che le sue idee relative
al concetto corrispondono alla fase post-'hegeliana della logica 47 •
Nel senso che il concetto, in Bergson, non contiene la realtà, ma
ne è un sostituto simbolico, cos1 che « on n'aperçoit la réalité qu'à
travers le symbole »· 48 • Nel simbolo la realtà si fissa, si irrigidi-
sce e in questo si falsifica. Il concetto cos{ « fa parte cli quel-
1'immagine del mondo che l'intelletto ha tracciato in funzione di
scopi pratici»~. Questo mondo è il mondo « en dehors de moi,
dans l'espace » 50, quello della nostra « vie extérieure e pour ainsi
dire sociale» 51 ; oltre questa esteriorità, dietro (dentro) di essa
v'è una realtà in sé, il mondo vero « au-dedans de moi », quello
della durée. I passi successivi del pensiero bergsoniano, in dire-
zione di una relazione omologica tra il flusso indistinto, qualita-
tivo, incessante della coscienza e -la corrente spirituale che per-
47 Al contrario di quanto ha sostenuto Horkheimer nell'importante saggio
del 1934 Sulla metafisica bergsoniana del tempo, ora in Teoria critica, a cura di
A. Schmidt, trad. di G. Backhaus, I, Torino, 1974, p. 191.
48 H. Bcrgson, Essai sur les donnies immediates de la conscience, Gcnèvc,
(cd. Skira), s.d., p. 104.
4' M. Horkhcimer, Sulla mela/isica bergsoniana del tempo, cit., p. 177, si
veda per questo anche Bcrgson, Matière et mémoire, Paris, 1911, pp. 190-192.
50 H. Bcrgson, Essai sur les donnles immediates de la conscience, cit., p. 90.
SJ Jvi, p. 10,5,

21
corre il mondo e la sua storia come sua « sostanza», sono, a
nostro avviso, la parte piu debole, piu alla moda del suo pen-
siero; la parte piu legata - paradossalmente - al positivismo,
alla teoria spenceriana dell'evoluzione, di cui al fondo non ne è
che una spiritualizzazione: evoluzione naturale + élan vita/ 51• Nelle
prime opere, invece, tra Dehors e Dedans sussiste opposizione,
fino al presentarsi di essi come luoghi di « deux moi differents »,
di cui però l'uno non è che la « projection extérieure de l'autre,
sa representation spatlale e pour ainsi dire sociale » 53 • Il tempo
che percorre questo « io » - « fantome décoloré » - che « vie-
ne agito» piuttosto di agire è quello dell'aiguille che segna lo
« spazio» dell'orologio, i tratti che coesistono nel suo quadrante.
1:: il tempo come « extériorité réciproque » dei momenti nei qua-
li l'incommensurabile durée viene divisa, analizzata, misurata. !
tempo meccanico, quantitativo: pura cronometria; costituito quin-
di dall'ombra proiettata dalla « eterogeneità qualitativa» della du-
rée nell'ambiente omogeneo dello spazio. Ma in questa « proie-
zione» i due « io », i due « tempi » si ipostatizzano; sul puro
movimento della durée prevale la sua « fotografia » spaziale. L'om-
bra si solidifica nella « necessità » della vita sociale e sono rari,
eccezionali - lamenta Bergson - i momenti in cui riusciamo
a vivere nel tempo-libertà dell'« io vero» 54 , a concepire un even-
to, un fatto della coscienza « dans le temps-qualité oò il se pro-
duit » piuttosto che « dans le temps-quantité oò il se projette ».
Questa eccezionalità percorre anche tutta Matière et mémoi-
re, dove la memoria - analizzata per dimostrare la « spiritua-
lità» della coscienza, la sua non riducibilità a biologici processi
sensori-motori - appare come il luogo di ricomposizione della
dispersione-frammentazione del soggetto, del suo passato in « con-
tinuité réellement vécue » 55 , attualizzazione delle immagini del pas-
sato nel presente dell'azione 56 • Ed è da tale eccezionalità che, co-
me ben vedrà Benjamin, ha origine la recherche proustiana e la
durée - questa vera scoperta bergsoniana - diviene una chia-
ve per comprendere la « scrittura» contemporanea, come risulte-
rà chiaro sin dalla Teoria del romanzo di Lukacs. Quel che qui
comunque interessa è il cristallizzarsi della scissione nel concetto
52 Or. Th. W. Adorno, Dialettica negativa, trad. di C. Donalo, Torino, 1970,
pp. 299-300. .
53 H. Bergson, Euai mr les données immediales de la conscience, cit., p. 177.
54 Cfr. ivi, pp. 104, 11:1 e l•n.
,s.; H. Bergson, Matière et mémoire, cit., p. 192.
56 Cfr. ivi, pp. 176-178.

22
di tempo, come ipostatizzazione dei suoi due momenti; l'asimme-
tria e la frattura che qui si manifesta tra il tempo del soggetto
e quello del processo storico 57 , nei confronti del quale quello si
presenta come l'·« autentico» 58 •

4. Il Tempo dell'Erlebnis
In cil> che pub venire immediatamente vissuto è
contenuto ogni valore della vita, e intomo a qu~
sto ruota tutto il fragore esteriore della storia.
(W. Dillhey)

Il problema di un rapporto tra il tempo del soggetto e quello


del processo storico-sociale complessivo si stempera in Bergson
nel suo sottoporre il processo « sub specie durationis », nel diluire
la «durezza» delle connessioni nel flusso « assoluto» della durée,
nell'ottimismo dell'élan. Qui Bergson fallisce 59 • Questo è invece
il problema affrontato direttamente da Dilthey, in particolare e
con tormentata insistenza nelle ultime opere, da Studien zur Grund-
legung der Geisteswissenschaften (1905-1910) a Der Aufbau
der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften (1910).
Con Dilthey l'Erfahrung ·(esperienza) storico-individuale è già
completamente distinta da quella sua astrazione scientifico-naturale
che i neokantismi a lui contemporanei, da Helmholtz a Cohen,
cercavano di definire e fondare in senso trascendentale 60 ; ed
attraverso tale distinzione è trasformata e ridotta ad Erlebnis
(esperienza vissuta). L'Erleben è l'orizzonte che determina l'og-
getto specifico delle Geisteswissenschaften nei confronti delle
scienze naturali, come pure la specificità delle sue categorie e del
tipo particolare di fondazione che il rapporto oggetto-categorie
esige 61 • Non quindi una fondazione a priori, trascendentale - il
SI « La ro:zza dicotomia dei due tempi in Bcrgson - scrive Adorno, in
DialellictJ negtJliva, dt., p. 300 - registra quella storica tra l'esperienza vivente e
i processi lavorativi oggettivizzati e ripetibili: la sua frammentaria teoria del
tempo è un'eco precoce della crisi oggettivamente sociale della coscienza tempo-
rale. L'inconciliatczza di temps-durée e lemps-espace è la ferita di quella coscienza
scisse, che in qualche modo è unità solo tramite scissione. •
sa Or. G. Lukacs, Il significato tJltuale del realismo critico, trad. di R Solmi,
Torino, 19.57, p. 41.
!i9 Cfr. M. Horkhcimer, SulltJ mettJ/isica bcrgsoniantJ del tempo, cit., p. 183.
60 Sul rapporto tra Dilthey e neocriticismo, dr. P. Rossi, Lo storicismo te-
desco contemporaneo, Torino, 1971 (nuova edizione), pp. 10-11 e 18-19.
61 Cfr. per questo W. Dilthey, Critica della ragione storictJ, trad. di P. Rossi,
Torino, 1954, pp. 136-137.

23
cui esito sarebbe stato fare del concetto una « costruzione stru-
mentale», come Dilthey vedeva verificarsi nelle scienze natura-
li 62 - che presuppone una separazione, una differenza essenziale
soggetto-oggetto, ma riconoscimento, semplice _intendere (Verste-
hen) come le categorie che agiscono in quanto connessione vitale,
« relazione strutturale» nell'oggetto sono le stesse che distinguono
i vari atteggiamenti (Verhalten) del soggetto 63 • Soggetto e ogget-
to nelle Geisteswissenscha/ten coincidono e « l'oggetto è il mede-
simo in tutti i gradi delia sua oggettivazione » 64 • Fondare, per
Dilthey, si identifica allora nella possibilità di rivivere, di penetrare
l'interiorità da cui scaturisce ogni manifestazione della vita 65 ,
di sciogliere ogni forma dello spirito «oggettivo» nelle forze vitali
che lo hanno prodotto 66 • « Non un procedimento concettuale
costituisce il fondamento delle scienze dello spirito, ma il divenire
interiore di uno stato psichico nella sua totalità e la sua riscoperta
nel rivivere. » 67 Questa fondazione, interna, effettuale nel mate-
riale e nei procedimenti che fonda, non il « relativismo storico »
su cui si è molto insistito, costituisce, come vedremo, proprio
il punto debole della diltheyana costruzione del mondo storico.
Nell'Erlebnis il « temps vécu » è condensato-strutturato; esso
è « unità strutturale » 61 • L'« eterogeneità qualitativa » della du-
rée si dimensiona cosf nelle forme degli Erlebnisse, nei loro V erhal-
ten e nelle relazioni interne di questi ultimi: in una « connessione
psichica strutturale » 69 • Erleben non è puro fluire di sensazioni
indistinte, ma un succedersi di singoli Erlebnisse, di « relazioni strut-
turali » in cui un atto determinato implica necessariamente ed
internamente a sé un proprio contenuto 70 , un « esistere-per-me »
della realtà e quindi un essere « sempre cosciente di se stesso » 71 •
La connessione teleologica in cui i diversi modi di « relazione
strutturale » sono legati internamente costituisce i diversi tipi di
atteggiamento dell'Erlebnis, che nella loro reciproca interconnes-

6Z
6J ,s
Or. ivi., p. 159.
Cfr. ivi, pp.
64 lvi, p. 294.
e 337.

65 Or. ivi, p. 148.


66 Sul rapporto di Dilthey con il concetto hegeliano di « spirito oggetth•o -.
dr. ivi, pp. 237-241.
67 lvi, p. 220.
61 lvi, p. 71.
6'J Ivi, p. 73.
'IO Or. ivi, pp. 69-70.
71 Ivi, p. 77.

24
sione formano la struttura complessiva dell'Erleben, la vita psichi.
ca. L'elemento che permette ogni grado di tale connessione è il
tempo, cosi che la temporalità assurge a « determinazione catego.
riale fondamentale » per la vita 72 • Il tempo che entra nella strut-
tura di ogni Erlebnis non è «vuoto», non è « solo una linea
costituita di parti equivalenti» 73 : il presente è cosi « la pienezza
reale di un momento temporale » ed è anzi l'unico modo per cui
il tempo è concreto, è « tempo-per-noi » 74 • Ma il tempo che
l'Erlebnis comprime in sé mantiene la sua forma lineare e la com-
pressione di tale matematica linearità sancisce l'impossibilità
del presente, della sua immediatezza, per l'Erlebnis 75 • Nella con-
tinuità della linea « anche la parte piu piccola è lineare, è un
decorso », per questo « la presenza del passato » nella coscienza
dell'Erlebnis « sostituisce l'immediato Erleben » 76 • :8 questo ap-
partenere del passato all'Erlebnis che ne costituisce l'unità nel
flusso temporale, mentre tale unità non racchiude che la continuità
della successione dei singoli Erlebnisse, il loro passare « senza rot-
tura e senza strappo» runo nell'altro. « Solo in questa successione
- scrive Dilthey - è la pienezza del tempo, cioè la pienezza della
vita. » 77 La connessione propria della vita, dei suoi momenti, è
possibile solo nel ricordo del loro decorso, della loro successione.
Qui si presenta 1a categoria di significato, come rapporto delle
singole parti con il tutto in cui vengono connesse, articolate: rap.
porto che, se non si identifica strettamente con la successione tem-
porale, è condizionato e reso possibile da questa. Questa relazione
di forte implicanza tra connessione, tempo lineare e significato, che
qui si manifesta nel rapporto vita-ricordo, ritorna identica in quello
storia-ricordo 71 • Troppo note, per insistervi, sono le pagine dilthey·
ane sul Verstehen, come ciò che dovrebbe togliere i limiti del.
l'Erlebnis individuale 79 e permettere il Nachbilden {riprodurre) e
il Nacherleben {rivivere) un oggetto storico 10 ; cioè una Ein/iJh.
lung, un « trasferimento interiore» nelle connessioni e forze vita-
r. lvi, p. 295.
73Ivi, p. 138.
74Or. ivi, pp. 138 e 335.
75 Cfr. ivi, pp. 139 e 298.
76 Ivi, p. 298.
11 Ivi, pp. 138-139.
78 Or. ivi, p. 307.
19 Cfr. ivi, p. 227.
IO Or. ivi, pp. 3122-324.

2S
li che lo sottendono e lo producono. Questo per Dilthey si confi-
gura nel rapporto circolare tra « Erlebnis, espressione e intende-
re », per cui l'intendere è « un ritrovamento dell'io nel tu » 11 e la
conoscenza storica si può trasformare in Erlebnis. E il punto « cri-
tico » di questo « circolo » non sta tanto nel rapporto immediatez-
za-mediazione 12 , quanto nel fatto che tale circolarità è praticabile,
« scorre » solo per quella relazione tra connessione strutturale,
linearità del tempo e possibilità del significato, cui abbiamo ac-
cennato. E in questa relazione l'elemento che permette la circola-
zione dei suoi termini è certamente il tempo lineare. Basti richiama-
re, per questo, da un lato che « il rivivere è il muoversi sulla linea
del divenire» 83 , e dall'altro che contenuto dei concetti storici è
« il divenire, il corso di qualsiasi specie » 84 •
La debolezza della « costruzione » di Dilthey è quindi proprio
ciò che permette la fondazione delle Geisteswisse11scha/ten: che
l'Erlebnis sia la « cellula originaria del mondo storico», che la
compattezza delle forme di quest'ultimo si risolva, si « sciolga »
nel suo corpo elastico. Il tempo lineare che l'Erlebnis racchiude
è lo stesso racchiuso nelle oggettivazioni storiche della vita, nelle
sue espressioni, cosi da risolvere (senza salti), attraverso opera-
zioni lineari, queste ultime in ciò che esprimono, nei loro signifi-
cati. La differenza dei « tempi » - l'impenetrabilità delle forme
storiche per la vita - è assente in Dilthey quanto la crisi della
relazione lineare segno-significato 15 • La differenza tra la « strut-
tura della connessione storica » e quella della « connessione psi-
chica» si affaccerà appena, come inquietante domanda, solo negli
ultimi scritti 86 •

Il lvi, p. 293.
82 Come invece sembra sostenere P. Rossi in Lo storicismo tedesco contem-
poraneo, cit., pp. 60-72.
ll W. Dihhey, Critica della ragione storica, cit., p. 323.
84 lvi, p. 376.
M Si veda per questo la ripresa del rapporto espressione-significato in Husscrl,
in Dilthey, Critica della ragione storica, cit., pp. 96-99 e 339-342, dove risulta
chiaro che questo tipo di relazioni nella vita e nella storia sono del tutto imma-
nenti, non governate cioè da alcuna « lege a priori » delle loro possibili trasfor-
mazioni; cosi lo stesso « schematismo » ddlc categorie della vita è del tutto
particolare, non è dato che dal rapporto uniformità-individuazione ncll'immanen7.a
storico-vitale, dai modi di connessione interni alla vita stessa, non è quindi uno
schema in senso kantiano, che risieda in un soggetto trascendentale: i concetti che
lo formano sono « tipi » e come tali « sorgono nel procedimento comparativo »
(ivi, p. 288).
86 ar. ivi, pp. 371,.372 e 378.

26
5. Tempo fenomenologico come tra_scendentale dell'Erlebnis

Un die scli_BeD Aup / Blickcn


in stiller / Ewigcr Klarheit *
(F. Holderlin)

La critica di Husserl a Dilthey verte anzitutto sul concetto


e la funzione della filosofia nei confronti delle Geisteswissenscha/-
ten e quindi sul problema della loro fondazione 17 • Filosofia non
può essere morfologia strutturale, tipologia delle diverse W eltan·
schauungen nelle quali la filosofia s'è incarnata storicamente. La
riduzione diltheyana della Geschichte a memoria si traduce linear-
mente ,nella riduzione della filosofia a riflessione della sua storia
(la « filosofia della filosofia »), a storiografia filosofica. « Aber
zu Philosophen werden wir nicht durch Philosophien. » 11 Filo-
sofia non è sapienza ma « strenge Wissenschaft » (scienza rigoro-
sa}, la sua ·« idea» non è limitata da alcuna relazione con il Geist
di un tempo determinato 19 , in quanto scienza delle origini, vom
Radikalem. E per questo ha da essere radicale anche nel suo pro-
cedimento. Se Dilthey aveva giustamente intravisto la radice delle
Geisteswissenschaften nell'Erlebnis 90 , ciò che costringe ancora
il suo tentativo in « scienza empirica » dello spirito e quindi in
Historizismus (che condotto alle sue conseguenze estreme trapassa
in estremo « Subjektivismus scettico ») 91 è la mancata fondazio-
ne fenomenologico-trascendentale dell'Erlebnis. Che l'analisi rigo-
rosa delle relazioni essenziali nell'Erlebnis implicasse l'esclusione
da questo dell'orizzonte dell'Er/ahrung, trovava Husserl perfetta-
mente d'accordo 92 • Ma questo significava l'altrettanto rigorosa
eliminazione di qualsiasi riferimento empirico dalla intenzionalità
dell'Erlebnis, il carattere a priori dei suoi correlati oggettuali.
* E gli occhi dei beati / guardano in una quieta / Eterna chiarezza.
r, Cfr. E. Husserl, Philosophie als strenge Wissenscha/1, in Logos Bd. I,
J, 1910-11, pp. 323-341 e in particolare p. 328.
81 Ivi, p. 340.
89 Or. ivi, p. 332.
90 C.omc llusscrl riconosce nel II volume di ldeen, trad. di E. Filippini,
Torino, 1976 (reprints), p. 755.
91 E. Husserl, Phi/osophie als slren1,e Wissenschaft, cit., pp. 324-325.
92 Or. ivi, pp. 3ilt2-.3-1'3. « L'intera Fenomenologia - scrive nelle Vorlesun-
fen sulla "coscienza intima del tempo" - che io avevo in mente nelle Ricerche
ogiche, era Fenomenologia degli Erlebnisse nel senso delle datità della co-
scienza intima e questo è in ogni caso un territorio in sé concluso (ein geschlos-
senes Gcbiet). • Vorlesungen zur Phanomenologie des inneren Zeitbewusstseins,
a cura di M. Heidcgger, in ]ahrbuch fu, Philosophie und phanomenologische
Forschung, Bd. 9, 1'928, p. -482.

27
Con questa eliminazione, in quanto radicale esclusi,me del
« tempo oggettivo » dal campo della ricerca, iniziano le fondamenta-
li Vorlesungen zur Phiinomenologie des inneren Zeitbewusstseins
del 1904-5 (pubblicate solo nel 1928 nello ]ahrbuch a cura di
Heidegger). Il « tempo immanente » al flusso della coscienza non
ha di per sé alcuna relazione col tempo della Erfahrungswelt 93 :
non ha senso supporre una « affinità simbolica.» tra tempo feno-
menologico e « tempo cosmico», si preciserà nel I volume
di I deen ,. . Quel che è esaminato è il carattere « obiettivamen-
te temporale» dell'Erlebnis e dei suoi dati 95 : l'Erlebnis del tem-
po è costitutivo a priori del suo carattere intenzionale e quindi
della « modalità temporale » della sua datità. La temporalità ine-
risce alla struttura della percezione, rende possibile il passaggio
-mantenimento del dato della sensazione, che lo «presenta» -
nella sua ritenzione e nella sua protenzione al successivo - in
percezione della coscienza 96 • La percezione (W ahrnehmung) co-
stituisce cos{ il presente 97 , ma questo non è piu definibile come
puntualità 98 - in un certo senso non Io è piu nemmeno la
Empfindung (sensazione), nell'intreccio tra « presentazione »,
« ritenzione» e « protenzione » 99 - : lo spazio protenzionale e
ritenzionale che racchiude e apre ogni percezione 100 curva dentro
di essa la dimensione dell'Erinnerung, come « riproduzione» del
percepito nella sua relazione all'« adesso » ( « Ripresentazio-
ne ») 101 , e conclude questa curva temporale - l'altro lato della
elisse che « tocca» il presente - nell'orizzonte dell'attesa (Erwar-
tung).
È nel rapporto tra Impression · e Reproduktion, come Modi-
fikation dell' « impressione originaria » 102 e continuo modificarsi
della Reproduktion stessa nel « ricordo», è in questa struttura
9l Ivi, p. 369.
94 Husserl, Ideen, cit., I, pp. 180-181.
95 Cfr. E. Husscrl, Vorlesungen ::ur Phi:inomenologie des inneren Zeitbewusstseinr,
cir., p. 374.
96 Cfr. ivi, p. 406.
97 Cfr. ivi, p. 415.
98 Puntuale è invece l' « attuale adesso » come forma del darsi del continuum
temporale, che continuamente- trapassa in «ritenzione», si trasfonna in « appena
passato », in continuo sfumArc dcll' « adesso :.: ma in tutto questo mantiene la
sua conformazione complessa, )a sua « intenzione ad una obiettività individuale »
(p. 419) e quindi la sua determinatezza, la sua Individualiliit (pp. 422-423).
99 Cfr. ivi, p. 459.
IOO ar. ivi, p. 457.
101 Cfr. ivi, p. 400.
1m Cfr. ivi, pp. 4.50-4.52.

28
stessa della temporalità dei singoli Erlebnisse, come struttura della
modificazione che ne definisce la durata, che gli Erlebnisse si costi·
tuiscono temporalmente nel flusso della coscienza. Ma questo costi·
tuirsi mostra la « doppia intenzionalità » di tale flusso 103 : in
quanto carattere intenzionale dei singoli Erlebnisse, loro unità,
loro durare nel flusso e in quanto intenzionalità come struttura
del flusso stesso, sua permanenza 104 che permette di distinguere
la durata, le singole fasi degli atti di coscienza e che - per que-
sto - non «dura», configurandosi come Urbewusstsein (« co-
scienza originaria ») 105 : temporalità fenomenologicamente origi-
naria identificantesi nel soggetto trascendentale 106 , che rivela
qui la sua costitutività, fondando a priori l'obiettività del tempo
e la temporalità dell'oggetto per I'Erlebnis .
.Pur in questa terribile semplificazione di alcuni temi delle
Vorlesungen può risultare chiaro, da un lato, l'annunciarsi di tutta
la tematica del primo volume delle Ideen, dall'altro, come in questa
analisi Husserl distruggesse letteralmente l'immagine del tempo
come «geometrica» linearità, presente in Dilthey. Eppure il dil-
theysmo, come nota Derrida, appariva a Husserl come un« tentati-
vo seducente » 107 • E, crediamo, non solo per l'insorgere dilthey-
ano « contro la naturalizzazione positivista della vita dello spi-
rito» 101, quanto anche perché le relazioni lineari della fonda-
zione diltheyana davano per risolto, nell'a posteriori, il rapporto
Erlebnis-storia. Questo spiega, a nostro avviso, le tormentate pagi-
ne di Husserl 109 nel II volume di Ideen intorno al rapporto
tra fenomenologia e scienze dello spirito 110 • In queste pagine
si agita la tematica che dalle Meditazioni cartesiane va alla Kri-
sis {tematica che nella sua complessità non abbiamo né tempo
né mezzi per affrontarla): quella cioè connessa al tentativo di risol-
vere la « scissione » tra il .« piano della razionalità » e quello « del-
le connessioni cosali ... determinate» 11t, di fondare quindi il pas-
saggio tra il piano dell'Erlebnis, definito a priori, e quello del-
tOJ Or. ivi, pp. 469-472.
104 Cfr. i\Pi, p. 467.
1os Cfr. ivi, pp. 471-473.
IO& Qr. ivi, pp. 429-436. ·
•07 J. Dcrrida, « Genesi e stru/lura » e la Fenomenologia, in La scrillura e la
di/ferenu, trad. di G. Pozzi, Torino, 1971, pp. 199-218.
,._ lvi, p. 207.
1~ Cfr. E. Filippini, Nota introduttiva a Ideen, cit., p. XL.
110 Cfr. E. Husserl, Ideen, cit., II, pp. 7'3-782.
m Cfr. in proposito le importanti pagine di M. Cacciari, in Di alcuni mo/ivi
in Walter Benjamin, Nt1ova corrente, n. 67, 1975, in particolare pp. 214-216.

29
l' Erfahrung, nella sua empirica storicità, di mostrare infine le re-
lazioni tra tempo fenomenologico-soggettivo. e tempo del mondo.
Sarà questo un disperato tentativo di ricostituire il rapporto tra
« Logica » e « Lebenswelt », di unificare in sistema la « direzione
egologica » della sua ricerca con quella « storico-teleologica » 112 •
L'aver mostrato la legalità a priori delle relazioni tra espressione
e significato (come quelle tra tempo ed Erlebnis) e quindi il
loro non « scaturire » dall'« esperienza » 113 , condurrà all'impos-
sibilità di costruire lo schema tra queste « leggi ideali» e le leggi
reali, storico-empiriche di queste relazioni, di ripristinare « affinità
simboliche» tra il tempo della coscienza e quello della Erfahrungs-
welt. Ragione e storia si accorderanno cos{ solo nell'« idea »,
kantianamente intesa come « compito infinito » 114 • Il logos ritro-
verà il proprio telos, come ragione della storicità, suo senso, solo
nella forma del Sollen.

6. « Tempo storico » e « Kultur »


Omnia habcntes, nihil possidentes.
(G. Simmel)

Le ricerche dell'ultimo Simmel intorno al concetto di « tempo


storico» - e cioè Das Problem der historischen Zeit (1916),
Vom Wesen des historischen Verstehens (1918) e Die historische
Formung {1917-8, ma pubblicato postumo nel 1922) - costi-
tuiscono rispetto a Husserl us l'altra direzione in cui si effettua
la crisi dell'impostazione diltheyana del rapporto Erlebnis-Geschi-
chte e si dimostra storicamente l'illusorietà della sua fondazione.
La critica dell'impostazione trascendentale neokantiana è, in Sim-
mel, ancor piu radicale che in Dilthey, investendo lo stesso modo
della relazione forma-contenuto 116 : l'a priori è solo la funzione
che la categoria, in modo del tutto immanente, esercita dentro ad
un determinato oggetto preso in esame; i « principi fondamentali
costitutivi» della conoscenza si trasformano in principi regola:-
112 J.
Derrida, « Genesi e strullura » e la Fenomenologia, cit., pp. 213-214.
113 E. Husserl, Ricerche logiche, trad. di G. Piana, Milano, 1968, I, p. 92.
114 Or. per questo M. Cacciari, Di alcuni motivi in W.B., cit., p. 220 e J. Der-
rida, « Genesi e struttura» e la Fenomenologi11, cit., pp. 214-215.
m Sul rapporto Husscrl-Simmcl dr. M. Cacciari, Introduzione a G. Simmel,
Saggi di estetica, trad. di M. Cacciari e L. Perucchi, Padova, 1970, pp. XV-XVI.
116 Or. P. Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, cit., pp .. 187-189.

30
tivi » 117, che si verificano 111 nelreffettivo svolgersi del proces-
so conoscitivo. Che questo fosse tutt'altro che semplice relativismo,
ma sforzo di «comprensione» della dinamica dei processi stori-
co-sociali, dei passaggi a nuove « configurazioni » della Kultur stes-
sa, è già stato messo ben in evidenza 119• D'altro canto questo
«tono» fondamentale della ricerca simmeliana già in Die Pro-
bleme der Geschichtsphilosophie (1892, ristampata con importan-
ti variazioni nel 1905 e nel 1907) 120 - l'opera di Simmel piu
vicina alle teorie diltheyane - faceva giustizia delle illusioni ran-
kiane (tuttora, in fondo, presenti in Dilthey) di cogliere l'evento
storico « qual esso era effettivamente stato» e determinava una
persistente distanza dallo Historismus, che permetterà a Simmel
i' successivi sviluppi nella considerazione del problema-storia. Que-
sti si chiariranno soprattutto a partire da Der Begril/ und die
Tragodie der Kultur (1911). Qui Simmel del rapporto tra Erle-
ben e Iorme storiche - come oggettivazioni della vita - non
cerca il luogo della fondazione - interno al rapporto stesso e
quindi tale da rendere possibile la circolarità conoscitivo-vitale
dei due termini - ma della sintesi. L'accento cade sulla differenza,
sull'alterità di forma e vita, non solo perché la vita oggettivandosi
diviene una formazione del tutto autonoma, ma anche perché nello
stesso processo del comprendere il «Tu» è Vrphanomen, feno-
meno originario quanto l'« lo », di fronte al quale sta in tutta
la sua « autonomia », « lontana·nza » e impenetrabilità 121 • E il
luogo della sintesi nella relazione conflittuale tra le ossificazioni
del processo vitale, del suo divenire e questo stesso «divenire»
colto nella sua immediatezza come puro Leben, è la Kultur: essa
è « sempre soltanto la sintesi di uno sviluppo soggettivo e di
un valore spirituale oggettivo » 122 • La Kultur è dunque il luogo
di mediazione effettiva tra la Bildung del soggetto e lo sviluppo
117 G. Simmel, Philosophie des Geldes, Leipzig, 1900, p. 68 {cit. in P. Rossi,
op. cii., p. 223).
Ili Sul metodo sperimentale simmeliano c:fr. S. K.racauer, G. Simmel, in Das
Ornament der Masse, Frankfurt/M., 1'9n (ma il saggio è del 1920), il quale però
insiste troppo sulla funzione dell'analogia in tale metodo; si vedano soprattutto
le pp. 242-248.
119 Da Cacciari nella cit. Introduzione ai Saggi di estetica di Simmel, dr.
in particolare pp. IX-m.
110 Or. P. Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, cit., pp. 205-217.
121 G. Simmcl, Vom Wesen des historischen Verstehens, in Bruclee und
Tiir, a cura di M. Landmann, Sturrgart, 19.57, pp. 66-68.
122 G. Simmel, Concetto e tragedia della cultura, in Arte e civiltà, a cura di
D. Formaggio e L. Perucchi, Milano, 1976, p. 95.

31
delle forme storiche, il punto d'accordo tra tempo individuale e
tempi storici immanenti alle varie forme, come logica specifica
del loro sviluppo 123 • Ma è proprio questa « logica specifica»,
questa differenza di tempi - presupposta dalla scissione sog-
getto-oggetto già presente nel fondamento della Kultur, nella sua
struttura 124 - che non rende in akun modo necessaria la loro
connessione. L'assenza di «parallelismi», la divaricazione tra que-
sti « tempi», se, da un lato, portava Simmel a riconoscere l'impor-
tanza della tematica della « scissione » affrontata (o forse, subita)
da Bergson, dall'altro, indicava già l'inservibilità della soluzione
bergsoniana: scoprire l'omologia tra « essenza» del processo e
durée. Per questo nel saggio Henri Bergson del 1914, Simmel,
oltre a sottolineare l'originalità della lotta di Bergson contro il
meccanicismo, delle sue analisi del tempo della vita come altro
da quello della « fisica » 125 , riconosceva anche l'aspetto consola-
torio del pensiero bergsoniano 126 , dato soprattutto dal non osser-
vare la tragica necessità per la vita di trasformarsi in «non-vita»,
e ne metteva cosf in luce le aporie epistemologiche, l'unilateralità
e l'impotenza della categoria del« flusso assoluto » per comprende-
re il processo, anche storico, della vita 127 • « Il mio problema
- scrive nel Diario postumo - è nello stesso tempo: obiettivazio-
ne del soggetto o piuttosto: desubiettivazione dell'individuale ... ,
o anche: il significato eterno del temporale. » 128 In altre parole
la « maturità della vita», il suo esprimersi in Kultur consiste nel-
l'esserci « tanta vita da rendere viventi i contenuti, e tanto conte-
nuto da riempire completamente la vita nel suo processo » 129 •
La « logica specifica » delle forme di questo processo impe-
disce però di comprenderle, riducendole al ritmo del puro accadere.
Il continuum dell'accadere si spezza nel discontinuum delle diverse
logiche che dominano le forme, ma in modo che queste ultime
non si presentano, di per sé, nella loro separatezza, bens{ frantuma-
te nello «scorrere» generico del tempo. Questo è il problema
del~ tempo storico»: riconoscere l'intreccio tra la « comprensione
atemporale », oggettiva di un accadimento (la sua « logica »)
121Ivi, pp. 98 e 103-104.
m Or. ivi, pp. 97-98.
125 G. Simmel, Henri Bergso11, in Zur Phi/osophìe de, Kunst, Potsdam, 1922,
p. 130.
12' Or. ivi, pp. 143-144.
IZ7 Cfr. ivi, pp. 144-14.5.
128 G. Simmel, Saggi di estetica, cit., p. ll.
129 Ivi, p. 31.

32
e la sua « temporalizzazione » 130 • La comprensione della stori
cità di un avvenimento non è data dal constatare la successione-con-
catenazione dei suoi momenti 131 , ma dall'analizzarne la disconti-
nuità, atomizzandoli, per mostrarne l'unità-continuità concet-
tuale 132 • Solo in tal modo dei « contenuti storici » hanno la « for-
ma della vita, dell'effettualità vissuta»: la loro unità è tale solo
in quanto inerisce alle loro « particelle marcate concettualmente »,
il collegamento interno ai loro elementi è prodotto solo da « una
sorta di Interpolazione, che fa scorrere attraverso gli spazi vuoti
l'idea di un vivente, ininterrotto accadere » 133 • Comprensione
storica (historisches Verstehen) è dunque la produzione di un
contesto di continuità, che imprime ai semplici accadimenti la For-
ma-Storia 134 • Questo aspetto produttivo-costruttivo della « com-
prensione storica» certo non è assoluto, arbitrario. Se la compren-
sione di eventi storici come forme implica una comprensione og-
gettiva (sachlich) della loro interna «logica», ciò significa rico-
noscere un soggetto immanente al loro « autosviluppo » m, ma
l'efficace vitalità di un tale « soggetto ideale » è tale solo peoché
questo è Um/ormung ,(trasformazione), « obiettivazione » di una
vitale subiettività « sovraindividuale », che noi stessi avvertiamo
in noi 136 • Cosf si determina il « concrescere (Verwachsung) di
motivi storico-psichici e oggettivi all'interno del fenomeno com-
plessivo del comprendere » 137 e contemporaneamente la circola-
rità tra seelisch (psichico) e sachlich (oggettivo), come momenti
metodicamente isolati di un « accadere compreso storicamente».
L'Erleben si presenta allora come f'« apriori che dà forma» alla
« conclusività senza fratture » di ogni contenuto storico, introdu-
cendolo nella continuità di uno sviluppo 138 • Il ritmo dell'Erleb-
nis, il suo « tempo » è dunque il « conduttore formale » della com-
prensione di quei « contenuti oggettivi» (Sachgehalte) dell'acca-
llO Or. G. Simmcl, Das Problem der historiscben Zeit, in Briicke und
T iir, cit., p. 48.
m Cfr. ivi, p. 12.
m Cfr. ivi, p . .54.
l3l lvi.
134 Or. G. Simmcl, Vom Wesen des historiscben Verstehens, cit., p. 71.
135 Ivi, p. 81. Tale riconoscimento è decisivo nel determinare l'autonomia dei
vari linguaggi delle diverse «storie» della Kultur: «Effettivamente» - dirà Sim-
mel - ci sono solo storie particolari.» ( Die historische Formung, in Fragmente
und Au/siitze, Miinchen, 1923, p. 1.53.) Nessuna concessione quindi alla teleolo-
gia di una Universalgeschichte, alla possibilità di comprenderla (dr. ivi, pp. 151-1,52).
136 G. Simmel, Vom \Vesen des historischen Verstehens, cit., p. 81.
m Ivi, p. 83.
1.11 Ivi.

33
dere storico, che, d'altra parte, solo nella loro logica connessione
possono spiegare il loro farsi storicamente concreto. La relazione
tra l'Erlebnis e il farsi Geschichte -del semplice accadere (Gesche-
hen) è necessaria, ma non sufficiente 139 • L'« esser vissuto» dei
vari contenuti, nel loro divenir « storici », non è tagliato via, ma
trasformato (umgebildet). La «storia» come- «conoscenza», a
differenza delle scienze naturali, non interrompe ogni rapporto
con la vita, ma intrattiene con essa una « relazione simbolica» 140•
La figura in cui la vita individuale diviene historisch, gli Erlebnis-
se si storicizzano, è nel determinarsi spontaneo di « tagli » all'in-
terno del suo flusso, nel « coagularsi » di questo in immagini,
nel ricordo 141 : il passato, cosf, è posto a servizio della vita.
Per la storia il procedimento è inverso, muovendo dal presente
verso quanto è già accaduto: è la vita ora che serve il passato 142 , per
determinarlo come« prodotto spirituale» (geistige Gebilde): i « ta-
gli» nell'accadere sono ora commisurati alla volontà. La Forma-sto-
ria si presenta cosf nella sua contrapposizione alla Forma-vita:
per la vita questo comporta la necessità di penetrare-permeare
il materiale storico-empirico, « dargli forma », rapprenderlo in im-
magini, renderlo « intuibile» in queste, facendovi trasparire-pulsa-
re - come nei ritratti di Rembrandt - la Lebendigkeit, la pre-
senza della vita che l'ha prodotto. Ma questa « in-tuizione » pre-
suppone la sintesi; e ciò significa che nella rappresentazione storica
- come in un'opera d'arte - si tratta di isolare un processo
esteso temporalmente, tagliando tutti i fili che lo legano alla storia
complessiva e al mondo in cui sorse, ma per riannodarli nel suo
centro, in quell'« unità insulare» che è divenuta l'« immagine sto-
rica » 143 • Solo in questa sintesi si ha effettiva trasformazione
del tempo dell'Erlebnis e nell'accadere in tempo storico, come
effettuarsi in forma delle apriorità costituite dall'Erleben 144 , co-
me « passaggio» del ritmo della Bildung in sviluppo della Kultur.
E sulle possibilità attuali di questa « sintesi », sulla verifica-
bilità di tale passaggio, che Simmel si interroga in Der Konflikt
der modernen Kultur 0918) 145 • Qui le conclusioni del saggio
139 G. Simmcl, Die historische Formu11g, cit., p. 151.
Ho Cfr_ ivi, pp. 161-162.
1•1 Cfr. i\'i, pp. 204-207.
142 Ivi, p. 190.
m Ivi, p. 205.
,.,, Cfr. ivi, p. 208
145 Le ragioni del «conflitto» sono note: si veda per questo di M. Cacciari,
Metropolis, Roma, 1973, pp. 59-80 e Intramitabili utopie, in H. von Hofinann,

34
del 1911 - sulla natura « tragica » del conflitto vita-forma, come
.impossibilità per lo « sviluppo dei soggetti» a percorrere « la via
presa dallo sviluppo degli oggetti » 146 - sono svolte fino alle
estreme conseguenze, attraverso una ricognizione della forma attuale
del conflitto stesso. Questo al presente si configura, proprio per
il livello di sviluppo raggiunto dai diversi linguaggi della Kultur,
come « lotta della vita .contro la forma in generale, contro il prin-
cipio della forma » 147 • La vita adesso vuole qualcosa « che non
può in alcun modo raggiungere» 141 : riacquistarsi nella sua imme-
diatezza attraverso le forme che si sono distaccate da lei. La Kul-
tur ha perso la propria potenza sintetica e si è scissa nel « trop-
po di meccanico» dell'obiettività delle forme e nell'estrema sogget-
tività della vita, come tragica tensione a conciliarsi in queste ul-
time 149 • Il « feticismo della merce » si è esteso, come loro desti-
no, dentro ogni contenuto della Kultur 150 , in ogni / orma. g
esso stesso la forma del processo che al presente si oppone alla
vita, come potenza estranea che atomizza, frantuma ogni Erle-
ben 151 • Il tempo storico attuale, quello che domina la metropoli,
è tempo reificatosi in denaro: l'unico prodotto della Kultur « che
è pura forza, che ha rimosso da sé il portatore, divenendo assolu-
tamente e soltanto simbolo » 152 •
La conclusione tragica del « conflitto » è cosf la sua impacifi-
cabilità, l'irrisolubilità 151 della scissione che lo determina. La
estrema espressione della Kultur è cosi la « tragedia », come « do-
minanza formale del conflitto » 154 , come manifestazione della
impossibilità per l'Erlebnis di comprendere, letteralmente, il tempo
storico. Il tempo storico che è colto è solo quello del dominio
della forma, come dominio dell'astratto, il tempo « invertito » per-
fettamente rispetto alla vita, per essa incomprensibile; il tempo
del « feticismo » e della sua impenetrabilità come destino.
sthal, La To"e, trad. di S. Bortoli Cappelletto, Milano, 1978, pp. 173-178.
146 G. Simmcl, Conce/lo e tragedia della cult11ra, cit., p. 105.
147 G. Simmcl, Der Kon/likt der modcrncn Kt1ltur, Miinchcn und Lcipzig,
1918, p. 9.
141 h•i, p. 46.
149 « Forse nella nostra vita attuale v'è, da una parte, troppo lo; dall'altr:i
troppo di meccanico. Non è ancora pura vita.• (G. Simmcl, Saggi di es/elica, cit.,
p. 15.)
L'-J G. Simmel, Concei/o e tragedia della cult11ra, cit., p. 102.
LSI Cfr. G. Simrnel, Die Grossstiidte und das Geistesleben ( l90J), trad. in
AA.VV., Città e analisi sociologica, Padova, 197', pp. 275-289.
IS? G. Simmcl, Saggi di estetica, cit., p. 39.
IS.l G. Simmcl, Der Kon/likt der modernen Kultur, cit., p. 46.
154 M. Cacciari, Intransitabili Utopie, cit., p. 1T7.

35
7. « Tempo originario » e Destruktion delle forme
Qui sine ralione temporum histories intelligere se
posse putant, perinde falluntur, ut si labyrinthi cr-
rores evadere sine duce velint.
(]. Bodinus)

Heidegger in Der Zeitbegri/1 in der Geschichtswissenschaft


( 1916) 155 affronta il problema del « tempo storico » in modo assai
meno «problematico» di quanto Simmel faccia negli stessi anni.
:S la chiara ascendenza rickertiana del suo discorso a bloccarne
la « problematicità», a respingere la « nota » tragica che assume
in Simmel. Il « tempo» appare nell'analisi heideggeriana soltanto
come funzione. Se la funzione che il tempo svolge nella Fisica
consiste nel rendere possibile la misurazione del movimento 156
e quindi è esso stesso (il tempo) misurato, reso quantità, ciò
che definisce il tempo storico - come funzione della conoscenza
di una determinata obiettivazione dello spirito umano - è il suo
differenziarsi qualitlltivo: la sua qualità non è che « la condensazio-
ne - cristallizzazione - di una data obiettivazione della vita
nella storia» 157 • Di qui l'elemento qualitativo della stessa misu-
razione cronologica ecc.
Secondo le parole di Sein und Zeit la storia, in questo scritto
giovanile, è ancora « concepita esclusivamente come l'oggetto di
una scienza» 158 • Con Sein und Zeit la « tragicità » simmeliana,
come destino della Kultur, è già, anche storicamente, assimilata,
ma attraverso .fil filtro della fenomenologia husserliana, piegata
in direzione dell,Esserci, come luogo di comprensione del problema
del senso dell,Essere 159 • E in questo è interrogata circa le sue
radici ultime, le sue origini. Gli ultimi due capitoli di Sein und
155 Questo saggio costituisce la prolusione pronunciata a Friburgo in occa·
sione della libera docenza. Su di esso Bcnjamin, in una lettera ddl'l l novembre
1916 a Scholcm, dà un giudizio durissimo: « Un terribile lavoro ... non solo cib
che rautore dice intorno al tempo storico ... è privo di senso, ma anche le sue
spiegazioni circa il tempo meccanico sono sbagliate (schie/),. (W. Benjamin, Brie/e,
2 v., a cura di Th. W. Adorno e G. Scholem, Frankfurt/M., 1966 (d'ora in
poi BR) pp. li29-i1'30). Un giudizio altrettanto duro esprimerà poco dopo, in un'altra
lettera, circa il simmeliano Das Problem der historischen Zeit, ivi, p. 162.
156 Or. M. Heidegger, Der Zeitbegri/1 in der Geschicbtswisrenschaft, in
Zeitschrift fur Philosophie und philosophische Kritilt, Bd. 161, 1916, p. 180. (Tale
saggio è reperibile anche in tr. it., in M. 'Heidegger, Scritti Filosofici 1912-17, a
cura di A. Babalin, Padova, 19712).
157 lvi, p. 187.
158 M. Heldcgger, Essere e Tempo, trad. di ~- Oùodi, Milano, 1970, p. 452.
l3J Questo determina evidentemente già la rottura con Husscrl, per il quale

36
Zeit - dedicati a Temporalità e storicità e a Temporalità e in-
tratemporalità come origine del concetto ordinario di tempo -
costituiscono, in tal senso, una «esecuzione» della tragedia del-
la Kultur tedesca intorno al primo conflitto mondiale; « esecu-
zione» che insieme è uno spostamento dello stesso spazio « tra-
gico », indicazione del luogo della sua « autenticità ».
Solo una « costruzione fenomenologica» 160 può chiarire
non solo il senso di una « storiografia », ma lo stesso rapporto
soggetto-storia, mostrando la « storicità » come essenzialmente co-
stitutiva della « soggettività di questo soggetto » 161 • ~ l'analiti-
ca dell'Esserci a mostrare come questo « esiste e può esistere stori-
camente soltanto perché è temporale nel fondamento del suo esse-
re » 162 • Ricondurre a tale origine la storicità significa decidere
« quale debba essere il luogo del problema storia » 163 • La stori-
cità deve cosf essere « "dedotta" con rigore dalla temporalità origi-
naria dell'Esserci » 164 • Il fondamento della storicità è dunque la
temporalità come senso ontologico della Cura: « e-stasi » che si
ripete nel « ci » dell'attimo, « decisione anticipatrice », che si apre
al proprio nudo « destino» come essere-per-la-morte. Se solo la
comprensione della « temporalità estatico-orizzontale» (come uni-
tà delle estasi dell'Esserci) svela lo storicizzarsi originario del-
l'esserci come tramandarsi deciso alla possibilità 165 e coglie la
storia di questo storicizzarsi come il « ritorno del possibile » 166 ,
in tale comprensione si mostra la stessa « origine esistenziale della
storiografia »: nell'« apertura » del passato come « essente-ci sta-
to~ dell'Esserci nella sua possibilità. Ma alla temporalità autentica
dell'Esserci è cooriginaria pure l'intratemporalità, come storiciz-
zarsi del mondo in cui i 'Esserci è. La comprensione ordinaria della
storia - in quanto succedersi di eventi che passano - come
la comprensione ordinaria del tempo - in quanto « serie di ora »
la Fenomenologia non può per niente essere Daseinsforschung (dr. E. Husserl,
Philosophie als slrenge Wissenschaft, cit., p. 318) e ta]c rottura è visibile:, nono-
stante tutti i «riconoscimenti•, sin dal primo capitolo di Sein und Zeit, do\'e
insieme alla distanza da ogni Lebensphilosophie compare pure un diverso con-
cetto di apriori rispetto a quello husserliano; c/r. Esstre e Tempo, eit., p. 73 e
nota relativa.
tea Ivi, p. 451.
161 lvi, p. 458.
162 lvi, p. 452.
163 lvi, p. 450.
164 Ivi, p. 452.
165 ar. lvi, p. 460.
166 Ivi, p. 468.

37
semplicemente presenti e tuttavia trascorrenti e affluenti - sca-
turisce da ,« un modo essenziale di temporalizzazione della tempo-
ralità originaria », dal modo d'essere inautentico dell'Esserci, dal-
l'indecisione. Qui Heidegger, mentre mostra come ogni ricerca
della continuità degli eventi mondani nell'oggetto-storia, come ogni
tentativo di costituire l'unità del soggetto nella continuità degli
Erlebnisse, si muova in una comprensione inautentica della tempo-
ralità, non indica per niente - come invece fa Bergson - la
radice di tale inautenticità nell' « estraniazione di un "tempo quali-
tativo" a spazio» 167 • L'inautentico dell'Esserci è un fenomeno
originario quanto la sua temporalità autentica: di questa non è figlio
degenere, ma fratello da essa ab origine scaturente. Per questo,
« se il tempo mondano rientra nella temporalizzazione della tempo-
ralità, non potrà né essere vanificato "soggettivisticamente" né "rei-
ficato" mediante una cattiva "ogge"ttivazione" » 161 • La « tempo-
ralità autentica » illumina semplicemente l'origine del « tem-
po-ora» come livellamento della « costituzione estatico-orizzonta-
le della temporalità», ma non propone una neutralizzazione di
tale « livellamento » nell'esperienza dell« io vero » bergsoniano;
né l'individuazione della radice della storicità nella « temporalità
dell'esserci» cerca di sanare la lacerazione Erlebnis-Geschichte.
L'analitica del Dasein, in questo contesto, nei confronti dei conflit-
ti della Kultur è post-tragica. Non li nega ma, dopo averli passati
in rassegna, lascia cadere su di essi il sipario dell'Inautentico, dietro
il quale essi si consumano. La luce gettata sulla « radura >> del
Dasein, sul fondamento deHa storicità, accenna invece ad un'altra
«tragedia», ben piu antica di quella simmeliana, assai piu radicata
nella Tradizione, veramente greca. Ma - osserva Benjamin -
« la scena moderna non mostrerà mai una tragedia che sia simile
a quella dei greci: al massimo la evoca ~ 169 • L'assenza della ter-
za sezione della I parte di Sein und Zeit, il mancato passaggio
dal Tempo al problema dell'Essere 170 sono questa evocazione.
L'aver riconosciuto la radice della storicità non significa anco-
ra la piena comprensione della radice stessa, che sola può condurre
167 lvi, p. 400.
l61 foi, p. 502.
169 W. Bcnjamin. li dramma barocco tedesco, traJ. Ji E. Filippini, Torino,
1971 (d'ora in poi DB), p. 97.
°
17 Cfr. K. Lowith, Saggi stt Heidegger, trad. di C. C..ascs e A. Mv.zone,
Torino, 1966, p. 49, n. 1 e M. Cacciari, Noi, i soggelli, in Rinascila, n. 27,
2 luglio 1976.

~8
alla determinazione della « differenza di genere fra l 'ontico e lo
storico» 171 •
t necessaria a tal fine una « radicalizzazione decisiva », si trat-
ta di cogliere l'« unità originaria » che fonda tale differenziazione,
di affrontare il problema ontologico e la sua « tradizionale » assen-
za di fondamenti. ,Ma a questo è possibile giungere solo assicuran-
dosi « il filo conduttore attraverso la delucidazione ontologico-fon-
damentale del problema dell'essere in generale» 172 • Con questa
conclusione del V capitolo Heidegger rimanda l'interrogativo che
chiude il VI capitolo ,(e quindi l'intero libro) - « il tempo si
rivela forse come l'orizzonte dell'essere? » 173 - ai problemi della
I ntrodut.ione. Del « filo conduttore » se ne viene in possesso solo
mostrando come la « storia dell'ontologia» trovi la sua spiegazione
soltanto nella sua necessaria connessione col « modo di essere del-
1'Esserci ». Questo è il compito e il senso della « distruzione della
storia dell'ontologia ». La « distruzione » non esercita la sua nega-
tività sul passato ma sul presente, « critica.. l'oggi » 174 e il suo
non interrogare l'essenza della tradizione metafisica, la quale pone
la necessità di affrontare il senso dell'Essere a partire dall'Esserci.
Chiarire questa necessità significa vedere che l' « oggi » è il compi-
mento di questa tradizione, che l'essenza della metafisica moderna
coincide con l'essenza della tecnica. E questo spiega, a nostro avvi-
so, l'assenza della III sezione in Sein und Zeit e connette la succes-
siva produzione heideggeriana a questo fondamentale libro. Solo
l'analisi della Tecnica, come destino del mondo moderno, fa, infat-
ti, accedere Heidegger alla « distruzione della storia dell'ontolo-
gia»: la tecnica come il continuo consumare la propria « storia »,
la propria ragion d'essere, è questa distruzione. Essa chiude ogni
destino (Geschick), come « assegnazione di un'apertura dell'essere
dell'essente », irrigidendo « ogni cosa nell'assenza di destino (in
das Geschiclelose) » 175 • La sua conseguenza è « l'astoricità »
(das Ungeschichtliche). In essa il processo storico giunge ad « uni-
formità » 176 • La tecnica come « pro-duzione » dell'oggetto, co-
m M. Heidqgcr, Essere e Te_mpo, cit., p. 481 (ma è una citazione del
Conte Yorck, dal Briefwechsel con Dilthey).
l71 lvi, p. 482.
l7l lvi, p . .520.
174 lvi, p. 41.
175 M. Hcidcgger, Oltrepamzmenlo della Metafisica, in Saggi e discorsi, cit.,
p . .51.
176 lvi, p. 63.

39
me dominio del· destino nel modo dell'im-posizione 177 è elimi-
nazione di ogni differenza 171 : l'apparire della differenza coincide
con la sua consumazione nell'uniformità del processo. Le forme,
come effettuazione delle categorie della metafisica occidentale, si
autodistruggono nel compiersi del processo che le aveva tramanda-
te. La loro tradizione è anche la loro distruzione.
Oltre questo destino, oltre la metafisica, sta « il pensare il
pensiero greco ancor piu grecamente » 179 , il « risalire alle espe-
rienze originarie in cui furono raggiunte quelle prime determina-
zioni dell'essere che fecero successivamente da guida» 110 • :8 que-
sta l'« evocazione» heideggeriana. Quest'evocazione è nostalgia,
l'impossibilità di eseguire la tragedia al cospetto degli antichi dèi:
ma « quand'anche nostalgica si sollevasse l'anima / al di là del
tuo tempo /, triste ti aggireresti su un deserto lido / coi Tuoi, senza
conoscerli » 181 •
Dove Heidegger chiude, intorno alla Tecnica come destino.
Benjamin aprirà il suo discorso.
E questo non semplicemente perché Heidegger feticizza la Tec-
nica, annullando in essa lo strutturarsi storico del feticismo - le
forme del suo apparire - quanto, a nostro avviso, anzitutto per
l'analisi eh~ fa dell'Esserci, come essere-perJla-morte, e della strut-
tura della decisione. La decisione dell'Esserci heideggeriano è deci-
sione senza costituzione. Ogni costituzione che non sia il costituirsi
della ~truttura della decisione, si annichila in questo costituirsi.
Le forme « storiohe » deH 'Esserci giungono ad un punto di indiffe-
renza nel tempo del Si. L' Augeublick (attimo) della decisione
anticipatrice annichila, -in quanto radicalmente alt~o da esso,
nello Jetzt (istante) il tempo del Si, invece di riconoscerne la com-
plessità iintima, di criticarne internamente la forma, di « cogliere »
il tempo storico che si raggruma in esso: la Jetzt-zeit. Quest'ultima
tematizzerà invece Benjamin, è nel tempo intramondano del Si che
lavorerà il suo ultimo pensiero, penetrando nella apparenza della sua
naturalità, mettendone a nudo il teologico, intimo limite e ·le possi-
bilità di trasformazione, che in quest'ultimo sono altresi riposte.
177 Or. M. Hcidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, cit.,
pp, 5wZ,, •
178 Or. M. Heidegger, O/trepassamenlo della Metafisica, cit., p. 64.
179 M. Heidegger, In ca1t1mino verso il linguaggio, trad. di A. Caracciolo e
M. Caracciolo Perotti, Milano, 1973, p. 112.
no M. Heidegger, Essere e Tempo, cit., p. 41.
181 F. Holderlin, An die Deutschen, citato in Hcidcggcr, L'epoca dell'imma·
gine del mondo, in Sentieri inte"olli, cit., p. 101.

40
I. Neokantismo, Romantik e critica delle forme
Ncigcnd erstrahlt in Zcit die Gcliebte der Landschaft
Aher verdunkclt verharrt ùber der Mitte der Fcind.
Seinc Flugel schlifcm. Der schwarze Erloscr dcr Lande
Haucht sein kristallincs: Ncin und et beschliesst WlSffll Tod. •
(W. &nit1min)
Musica...
Respiro, forse, delle statue mute.
Silenzio delle tele. Arcana lingua,
~ entro cui tutti i linguaggi sfociano.
Tempo, che scatti in ripido strapiombo
per ogni via dove tramonta un cuore.
(R.M. Rillee)
I
Benjamin non pone direttamente il problema del tempo, del
suo rapporto con il soggetto e di questi con il processo storico,
questa problematica, questo intricato groviglio di fili lo incontra
scavando nelle / orme 1• Il problema di Benjamin non sarà mai
la lacerazione, il conflitto e la volontà di conciliazione tra vita
e forme, ma l'avventurarsi dentro queste ultime, insediarvi la cri-
tica, farle «riflettere». Di fronte alle forme che Benjamin analizza,
non sta Die Seele (l'anima), come per il giovane Lukacs. Per
questo il suo « 5aggiarle » non è pervaso di Sehnsucht per la
totalità della vita, per il suo « sistema » 2 • Il saggio benjaminiano
è lo spazio ove questa « riflessione » della forma emerge, la sua
scrittura, anzi, è questo stesso processo. g questo scavare nelle
forme delle cose, della vita, del linguaggio, delle opere - fino a
quelle storiche - per farle parlare, per mostrame 'le differenze, le
interne trasformazioni e le stratificazioni che le compongono. Per-
ciò il tempo che Benjamin incontrerà non sarà quello « metafisico »
della tragedia - il tempo che nega il proprio esserci per affermare
l'essenza come« autospoliazione della temporalità» - né si ferme-
ii nel suo lavoro di scavo a constatare la durée, come « forma della
avventura» in un mondo abbandonato dagli dèi, ricerca volta
a « scoprire e ricostruire la totalità della vita». Questo « tempo»
per H Lukacs di Teoria del romanzo è ancora pregno di capacità
simbolica, il romanzo che esprime come forma è tuttora Bildungs-
• Declinando nel tempo irraggia l'amata del paesaggio / Ma oscurato persiste
sul centro il nemico. / Le sue ali addonnono. Il nero redentore della tem / Alita
il suo cristallino: No e decide la nostra morte.
1 Sul metodo bcnjaminiano come un « triveJlare ~ la surierficic delle rose,
come « taglio obliq110 » nei testi si vedano i Ricordi di E. Bloch in AA.VV., Ohe,
Wtdter Benjamin, Frankfurt/M., 1968, p. 18.
2 Sul saggio in Lukacs, dr. M. ucciari, Metropolis, cit., pp. 76-n.

41
roman, pur se neHa forma della di9Soluzione e/o della negatività 3 •
:8 oltre questi simboli - nelle forme del « romanzo contempora-
neo» - che sarà tracciato l'itinerario benjaminiano. Quel che
segue si propone di costruirne i tratti essenziali. Necessariamente
attraverso una cauta ricerca« a tastoni » nel terreno dei testi benja-
miniani, ricerca cui è propria tanto l'inanità, quanto una fortu-
nata fruttuosità. Solo la giustezza dell'inventario dei reperti, delle
scoperte di questo lavoro archeologico nella tote Stadt seppellita
nelie pagine henjaminiane deciderà di entrambe. Una cosa è certa:
una« costruzione» intendiamo restituire, non l'intera città.

A. « Metafisica della Jugend »: oltre lo « ]ugendstil ». Questa


epoca non ha nessuna singola forma che permetta, a noi che tacia-
mo, di esprimerci. Ma ci sentiamo soggiogati dalla mancanza di
espressione. Disdegnamo l'espressione scritta facile e irresponsa-
bile » 4 • Queste parole sono contem.ite nella lettera del 9 marzo
1915, con la quale Benjamin rompe con Gustav Wyneken e quindi
con la « Jungendbewegung ». Motivo di tale rottura, è l'adesione
di Wyneken alla guerra e, unitamente a questa, il suicidio dell'ami-
co Heinle 5 • Questa rottura significa per Benjamin rinuncia a dare
forma al silenzio della propria Jugend nel Fiihrer- e Geniuskultus

l Significativo sarà, in proposito, il rapporto di Lukacs col romanzo manniano


cd in particolare col Doctor Faustus; per quest'ultimo, in relazione ai temi sopra·
accennati, ci permettiamo di rimandare alle notcioni conclusive della nostra r«'Cn·
sione al libro di G. lwss, Alltgorisitrung und modnnt Enahlkunst, in Studi
germanici, a. XIII, n. 36-37, giugne>0uobre 1975, pp. 414424.
4 W. Benjamin, Lellere, trad. di G. Backhaus e A. Marieui, Torino, 1978
(d'ora in poi LT), p. 21. Si tratta solo di una scelta dell'edizione tedesca dei
B,ie/e ( BR).
5 Sull'attività di Bcnjamin nella « Jugendbewcgung.•, si vedano gli scritti dal
'10 (,Bcnjamin è nato nel 1892) al '14 contenuti in GS, J.I, l, pp. 7-87, e in GS,
Il, 3, pp. 824-884; in quest'ultimo tomo, che costituisce l'apparato critico, è ben
documentata, attraverso testimoniani.c di altri aderenti a1 movimento ecc., l'atti-
vità dell'intero gruppo, e le sue caratteristiche, oomc pure l'importanza del poeta
Fritz Heinle per il giovane Benjamin, che per anni, dopo il suo precoce suicidio,
cercherà invano di pubblicarne le poesie. La presenza, anche dopo la rottura con
la « Jugendbcwegung ,., di colui che Benjamin chiamava semplicemente « mein
Freund • è testimoniata anche dalla biografia di Scholem (cfr. G. Scholem, Walter
Btniamin - Dit Geschichtt einer Frtundscha/t [d'ora in poi: Scholtm-Biog,.],
Frankfurt/M., 1975, pp. 19 e passim). Di questo periodo della produzione del
giovane Benjamin si è occupato G. Schiavoni, di cui si veda il saggio Waller
Btn;amin e la « Pedagogia coloniale», in Nuova co"ente, 71, 1976, pp. 239-287,
(ora, modificato e ampliato in G. Schiavoni, W. Btniamin - soprauuivne alla cul-
tura, Palermo, l'J80, pp. 96-1-43). oltre a H. Giinther in Walter Benjamin und dtr
humant Marxismus, Olten und Freiburg/Br., lj74.

42
degli adepti di Wyneken; nell'idea di Gemeinscha/t 6 e quindi
rinuncia ad ogni genere di Aktivismus '. L'eroica impotenza di
questo attivismo - credere di « cambiare l'atteggiamento degli
uomini senza aggredire i loro rapporti », di poter lasciare intatta
un'epoca, per sofo migliorarvi le scuole, rompere l'inumanità del-
l'istituto familiare e dare il loro posto, nell'epoca, alle parole di
Holderlin e di George 8 - è vista chiaramente da Benjamin molti
anni dopo. Ma le linee di questa rottura si intravedono già in uno
scritto del '13-14, Metaphysik der ]ugend, che Benjamin non pubbli-
cò mai. Che queste pagine non fossero del tutto coinvolte nell'abban-
dono della « Jugendbewegung » è testimoniato dal fatto che Be-
njamin ne consegnò il man~ritto all'amico Scholem nel '18. Toni e
tratti espressionistici 9 si intreooiano qui con figure e temi dello
]ugendstil.
La prima parte, Das Gespriich { il colloquio), ha come esergo
le parole di Holderlin: « Wo bist du, Jungendliches! das immer
mich / Zur Stunde weckt des Morgens, wo bist du, Licht? » 10•
Sono i primi versi del Cantore cieco. Alla veggente cecità del
poeta, apre il «colloquio», le cui parole tendono al Silenzio 11 •
« Giorno per giorno, come dormienti utilizziamo smisurate forze.
L'essere dei padri e degli avi riempie il nostro fare e pensa-
re.» 12 Un'incompresa trama di simboli in questo ci asserve. Que-

6 Non senza significato, per comprendere l'oriiine teorica di movimt.-nti della


Germania guglielmina come i W andervogel e la Jugendbewegung, ~ la ristampa,
nel 1912, dell'opera di Tdonies, Gemeinscha/t und Gesellscha/1. Sul concetto
di comunità come «ideale», cfr. la lettera del 4 agosto '13 a Carla Seligson,
in LT, p_p. 14-19. Sulla « Jugendbewegung_» in particolare si veda il volume a
cura di E. Kom, O. Suppcrt e K. Vogt, Die ]ugendbewegung, Dusseldorf-Koln,
196}; quello a cura di W. Riiegg, Kulturlt.ritile und Jugendkult, Frankfurt/M.,
1973 e il recente studio di W. Laqueur, Die deutsche ]ugendbewegung, Koln, 1978.
7 Che il movimento dei « Freistudenten » si muovesse, almeno a Berlino, in
simbiosi con l'attività dei primi gruppi espressionisti è confermato tra l'altro dal
fatto che la rivista del movimento, De, An/a11g, a cui Benjamin collabora per
alami anni, appariva presso Ja casa editrice dcll'Aktion di Pfemfert. Del resto
proprio di una « Religion der Aktivitiit,. parlava Wyneken (dr. G. Wyneken,
Schule unti ]ugendkultur, Jena, 1913, p. 67).
• W. Benjamin, Berline, Cbronilt., a cura di G. Scholem, Frankfurt/M.,
1970, p. 39.
9 Bcnjamin, va ricordato, aveva avuto contatti con K.urt Hitler e col Neo-
pathelisches Kabarett già nel lt9l.2~3 (cfr. Scbolem Biogr., p. 2.5). Si veda co-
munque in GS, Il, 1, p. 102 il passo che comincia: « Dcr neue Sturm erbraust
im bewegtcn lch ... ».
io Dove sei, o giO\•anile! che sempre / all'ora mi desti del mattino, ove sei,
Luce?,. ( trad. Vigolo).
11 GS, Il, 1, p. 91
12 lvi.

43
sta « trama » è il passato che il colloquio cerca di contenere, di
conoscere. Ma il passato è uno spettrale « campo di macerie»,
che si nega a colui che nel colloquio parla. « Sempre colui che
parla rimane posseduto dal presente»; le sue parole possono solo
bestemmiare il linguaggio, possono solo « ravvivare orgiasticamen-
te un vuoto passato » 13 • Solo colui che ascolta, chi tace, è la
« inafferrata fonte del senso». Nel suo silenzio« conduce al margi-
ne del linguaggio »: « tacere è il limite interno del colloquio » 14 •
Solo questo « eterno tacere dopo il colloquio » è grandezza, solo
nel suo silenzio è dato « percepire il r-itmo delle proprie parole
nel vuoto». Nel i« Genio» soltanto il linguaggio è silenzioso, per
ché nasce dall'ascolto. Le parole cadono giu da lui come man-
telli 15 , rendono nudi; denudano il silenzio. Lo fanno trasparente,
visibile. Già qui Benjamin è assai lontano dal filisteismo camuffato
di Wyneken: per questi il «Genio» non poteva divenire che
« Der Genius des Krieges » (il genio della guerra) 16 , essendo
fin dall'inizio determinato da tratti« virili »ed« eroici ».
Il « genio » benjaminiano può colloquiare salo con la pro-
stituta 17 • La prostituta, la donna, è colei che ascolta, che custo-
disce il colloquio. Per questo « possiede il passato ed in nessun
modo H presente » 18 • Ma il passato che ha in sé è inattingibile.
La donna che appare nel colloquio benjaminiano non è la donna-
madre, ma la sua impossibilità. La evoca, spingendola in infinita
lontananza. Quello che partorisce, come il genio, è solo morte:
nessuna vita è da essa generata. Mai il passato attraverso di lei
diverrà presente, mai ri-nascerà. Da questa lacerazione nel corpo
del tempo nasce la filosofia ben;aminiana. Qui ancora Benjamin
soggiace alla tentazione di liberarsi di tale lacerazione nella perfe-
zione della lingua. Perciò la perfezione del colloquio è quella di
Saffo e le sue amiche. Il loro linguaggio è << velato come il passato,
volto al futuro come il tacere » 19 • Il loro colloquio si è liberato
dagli oggetti, dallo stesso parlare ed è pervenuto alla quiete. !
la quiete di un'ammirata, reciproca contemplazione, della perfetta
13 lvi.
14 lvi, p. 92.
lt- Ivi, p. 9.3.
16 Dal titolo di un libro di M. Scheler del 1915. De, Genim d 1·r K,iege:r
und der Deut:rche Krieg; l'opera invece con la quale Wyncken accolse la guerra
come e Erlebni:r etico,. è De, Krieg unel die /ugend {1914).
17 Cfr. questo dialogo a p. 94 di GS, I , 1.
18 lvi, p. 93.
19 lvi, p. 9.5.
circolarità dei loro corpi che si congiungono accarezzandosi. Tacere
e voluttà in questo cerchio si riuniscono. «.L'amore dei loro corpi
è senza generazione, ma il loro amore è bello da vedere.,. 20
È utopia 21 : Pimmagine di un linguaggio ohe è solo ed assoluta-
mente corpo, corporeità puramente significante 22 • La contempla-
zione dell'amore lesbico è l'utopia dell'impotente. L'assenza di
questa non gli lascia che l'onanismo. Il Diario (Das Tagebuch,
cos{ si chiama la seconda parte dello scritto: fa terza, Il ballo,
non interessa la nostra analisi) non è che una pratica onanistica
della scrittura. « Di giorno in giorno, di secondo in secondo l'Io
si auto-conserva, aggrappandosi allo strumento: il Tempo, che do-
veva suonare.» 23 Dall'anima che, orfana, respira nel woto pre-
sente 24, dalla disperazione nasce il Tagebuch. L'io che si consuma
per la Sehnsucht di se stesso, « di condursi raccolto attraverso
i giorni», che non si wol vedere « dannato nel tempo dei calen-
dari, degli orologi e delle Borse » diviene una irradiazione del
tempo (Strahl der Zeit). Nel Tagebuch l'io diviene tempo, ma
non della dispersione: l'io non è piu « l'oscura interiorità di quel
vivente (Erlebenden), che mi chiama io» 25 , ma il luogo dove
« sono raccolte tutte le cose». L'io-tempo del Tagebuch non è
esso stesso tempo: ciò che noi abbiamò insufficientemente vissuto,
si trasforma •in qualcosa di compiuto. « Il tempo è tolto come
l'io che in esso agisce» 26 : l'io del Diario è pura irradiazione
20 I vi, p. 96.
21 Questa utopia sarà riconosciuta lucidamente molti anni dopo da Benjamin
in Baudclairc: « Il modello ideale della donna lesbica mpprcsenta la protesta
dclla modemità contro l'evoluzione tecnica•, in W. Benjamin, Angelus Novus,
trad. di R. Solmi, Torino, 1962 ( d'ora in poi AN); p. 131; la traduzione è stat:.1
lievemente modificata.
2Z Quest'immagine dell'amore lesbico è assai lontana dalla panica violenza
di quella rilkiana: « Io non vo' che sconvolgerti ... E ti squasso / C.Ome si squassa
un ben chiomato tirso. Come la Morte, voglio entrare in te ». ( R.M. Rilke,
Liriche e prose, a cura di V. Errante, Firenze, 1956, p. 229), come dalla « cupa
voluttà•, dall'« aspra sterilità• della Jouissance delle Femmes Damnles di Baude-
laire; nella sua composrc:1.za e quiete è una tipica figura dello ]ugendstil e
potrebbe rimandare ad un'opera come Freundinnen ( 1903) di Emst Stadler.
Ma Benjamin è oltre ogni stilizzazione delle sensazioni; né il cerchio amoroso
che i corpi di Saffo e le amiche descrivono ha niente della Danza di un L. von
Hofmann: nell'utopico compimento della sua circolarità è l'impossibilità di ogni
stile che lo traduca nel tempo, è « metafisica •. Si vedano per questo le chia-
rissime pagine di Benjamin sullo Jugendslil, nel saggio su Geo!"l-'le in Avanguardia
~ rivoluzione, trad. A. Marietti, Torino, 1973 (d'ora in poi: AR), pp. 141-147.
n GS, II, 1, p. 97.
24 Ivi, p. 96.
ll Ivi, p. 97.
26 Ivi, p. 98.

45
di un tempo che non perisce. Tutte le cose incontra come destino;
in questo è immortale e si mantiene di contro a tutto il resto,
nel suo accordarsi con la morte (l'ultimo stacco, l'ultima distanza),
nel suo sentirsi essenzialmente in essa 27 • « Assetate di determi-
natezza » le cose attendono di ricevere un destino dalla « scrittu-
ra » del T agebuch. Nel loro « esserci interrogante » le cose delimi-
tano l'umano, ad esse il « suo» tempo risponde interrogando.
« E come noi senza risposta (antwortlos) determiniamo le cose
col movimento del nostro corpo ... cos{ le inondiamo col tempo
del nostro esserci. » 28 « Tutto ciò che accade - cosi - ci circon-
da come paesaggio (LandschaftL perché noi, il tempo delle cose,
non conosciamo alcun tempo.» 251
Il tempo dell'io è qui determinazione delle cose; ma l'io non
è Erlebnis; le cose non sono interiorizzate, ma irradiate, « tocca-
te», trasformate in paesaggio, in possibilità di visione, di imme-
diata percezione. Il carattere non-temporale (non caduco) dell'io-
tempo coglie le cose nel loro momento aurorale - che contiene
il loro essere passato e futuro - nella loro dimensione auratica.
Qui Benjamin, pur non usando il termine, parla per la prima
volta dell'esperienza auratica: « Qui noi ci destiamo e prendiamo
parte al banchetto mattutino della giovinezza. Le cose ci guardano,
il loro sguardo ci lancia nel Veniente (ins Kommende), poiché
noi non rispondiamo loro, ma le attraversiamo» 30 • Aura è l'esser
penetrato delle cose e dell'accadere dal tempo dell'io: il loro esser
Landschaft, paesaggio, che vivo e« mosso» respira di fronte a lui.
Ma per questo scriversi dell'io nel Tagebuch non v'è possesso
delle cose. L'amata vi appare come distanza 31 • L'esperienza aura-
tica del tempo si dà solo come stacco. Il tempo vi rifluisce con
violenza, come nemico. Questo nemico è all'opera, « mentre il
tempo si cela nella muta melodia delle distanze »32 • Non meno

27 Ivi.
28 Ivi, p. 99.
2' Ivi.
30 Ivi, pp. 99-100.
31 L'esperienza della «distanza» è ciò che - a nostro avviso - separa la
tematica bcnjaminiana del «paesaggio» e dell'io-tempo come determinazione delle
cose dalla prima lirica espressionista, dove è presente lo scambio e la polarità
tra « una reificazione dell'io e una personificazione delle cose• (dr. _per questo
Vieua-Kcmpcr, Expressionismus, Miinchcn, 197', pp. 40-48) e quindi dal pae-
saggio « totalmente umanizzato• di cui parlava K. Pinthus già nel '19. La reci-
proca espressività di questa polarità si rovescerà e tradurrà, negli anni della
guerra e dopo, nella tematica dell'« uomo nuovo•· Niente di piu lontano dal
distacco e dal silenzio bcnjaminiano.
l2 GS, Il, 1, p. 101.

46
di noi il nemico è « fenomeno del tempo », ma nel contempo
è « il piu potente riflettore di noi stessi » 33 • Dalla lontananza
delle cose, dell'amata, che è per noi solo visione - percepita
solo nello sguardo - irrompe tornando in noi, come nostro nemico,
il tempo. Perché mai noi lo raggiungiamo, il nostro tempo 34 •
La regalità dell'io si ritrae e ammutolisce di fronte all'accadere:
« gli accadimenti si mostrano inconclusi » e la visibilità (Sichtbar-
keit) dell'io sempre piu lontana 35 • Nuova tempesta mugghia nel
«mosso» io; « il destino è questo contromovimento delle cose
nel tempo dell'io» 36 • Grandezza dell'io-tempo è - come abbia-
mo visto - essere tra le cose, come futuro del loro essere passate.
Ma la presenza delle cose non dura, si rivela distanza. E l'ultima
distanza, l'ultimo « stacco » è la morte, che nella sua mutezza
copre ogni nostro tacere, fa ritrarre le cose e ci porta alla fine.
In lei il nostro esser-morti si scioglie dall~ cose e qui incontriamo
noi stessi, perché « il tempo della morte è il nostro proprio » 37 •
Ma non è dato, allo scriversi del nostro esserci, come decisione,
ma come nemico, che ci sorprende « nel suo amore senza limite».
:8 proprio la scrittura, forse, che duplica il tempo dell'io e ne
fa trasparire il limite piu intimo, come « stacco», infinita lonta-
nanza. (Sono, questi, i primi accenni della tematica del « senza-
espressione » dell'Ausdrucklose.) 31

B. Punti focali. Se nello scritto ora analizzato Benjamin, quanto


al tempo « soggettivo », era già molto oltre la « semplice » scissio-
ne bergsoniana, in un saggio pressoché contemporaneo - Das
Leben der Studenten 39 - abbozza in apertura le prime conside-
razioni sulla storia. Definitivo sarà il distacco che qui assume verso
una cC9}cezione ingenua della storia, « che affidandosi all'infinità
del tempo, distingue solo il ritmo temporale (Tempo) degli uomini
e delle epoche, che velocemente o lentamente si srotolano sulla

"lvi.
34 Ivi.
35 Ivi, p. 102.
"Ivi.
37 Ivi, p. 103.
38 Al riguatdo si veda, avanti, l'ultimo peragrafo del II capitolo {pp. 124-125).
3' All'origine del saggio stanno due discorsi tenuti in riunioni delle « Freien
Studentcnschaft ,., a Berlino e a Weimar; il saggio fu pubblicato prima ( 191S)
in De, Merku, e poi ('1916) nel primo volume di DM Ziel di Kurt Hiller.
Oie alla base di tale pubblicazione vi fosse un malinteso Bcnjamin lo comprese
subito; dr. Scholem-Biogr., pp. 25-26.

47
strada del progresso » 40 • A questo è propria « l'assenza di connes-
sione », la mancanza di precisione e di rigore nelle domande che
pone al presente. La considerazione storica deve invece puntare
ad uno stato di cose determinato, « nel quale la storia (Historie)
giace raccolta cmne in un punto focale, come da sempre nelle
immagini utopiche dei pensatori » 41 • Perché gli « elementi del-
lo stato finale» non sono evidenti come « informe tendenza
del progresso», ma giacciono nascosti in ogni presente come « le
creazioni ed i pensieri piu minacciati e discreditati». Il « com-
pito storico» sta nel renderli visibili e dominanti nel presente,
dare forma alla loro immanenza, in un assoluto « stato di comple-
tezza». « Questo stato però non è da circoscrivere attraverso una
descrizione pragmatica di dettagli (istituzioni, costumi, ecc.), alla
quale esso piuttosto si sottrae, ma lo si deve afferrare nella sua
struttura metafisica, con!e il regno messianico o l'idea della rivolu-
zione francese. » 42 Pur riferiti alla considerazione della « vita
degli studenti », messianismo e necessità di comprendere la storia
nella sua struttura, nella connessione sintetico-strutturale che ogni
suo momento costituisce, compaiono per la prima volta nelle rifles-
sioni benjaminiane. Un lungo processo cli pensiero e «storico»
insieme ne farà le linee portanti nella stesura delle T hesen uber
den Begri/1 der Geschichte.

C. Tragedia e Trauerspiel: «tempi» e linguaggi. La lettura di


Bergson, come quella della Metafisica della tragedia di Lukacs,
è determinante nel definire quell'interesse per l'« essenza del pro-
cesso storico», che - come risultava già dai primi incontri con
G. Scholem nel '15 43 - costituiva uno dei temi fondamentali
del noviziato filosofico benjaminiano. Due brevi ma i~rtanti
saggi (inediti) del '16: Trauerspiel und Tragodie e Die Bedeutung
der Sprache in Trauerspiel und T,agodie, mostrano come la rifles-
sione sul « tempo storico » che si « giocava » nelle differenze tra
tragedia e Trauerspiel (dramma del lutto) si intrecciasse necessa-
riamente al problema del linguaggio, anzi dei linguaggi, che tali
differenze esprimevano. Tutto questo confluirà, poi, nel libro sul
Trauerspiel, di cui questi scritti sono una geniale premessa.

• GS, II, 1, p. 7'J.


41 h-i.
42 Ivi.
4l ar. Scholem-Biogr., p. 13.

48
Il tragico - inizia Benjamin - è un confine, un limite
del territorio della storia, non meno di quello dell'arte. È il tempo
stesso della storia che trapassa in determinati punti del suo decorso
in tempo tragico 44 • Tali punti sono le azioni dei « grandi indivi-
dui»: la loro grandezza l'arte la può raffigurare solo tragicamente,
perché « tragico » è il tempo del loro agire. Tragica è la ubris
dell'eroe che vuol « adempiere» l'accadere, la sua forma; è l'im-
possibilità di questo adempimento. È la forma stessa del tempo
storico a « originare » la tragedia (e la « tragedia », come vittoria
sul mito, è l'inizio stesso della storia). « Il tempo della storia
è infinito in ogni direzione e inadempiuto in ogni attimo. Questo
significa che non è pensabile alcun singolo avvenimento empirico,
tale da avere una relazione necessaria con la determinata situazione
temporale, in cui occade. Il tempo è per l'accadere empirico solo
una Forma, ma, ciò che è piu importante, una Forma inadempiuta
(unerfulte). L'accadimento non riempie la natura formale del tem-
po in cui giace. » 45 Questa disarticolazione, questa relazione di
non-necessità tra forma del tempo storico e accadere « empirico»
non sta a significare che tale forma è l'elemento generico che
accomuna gli avvenimenti, che li raccoglie in modo estrinseco deter-
minandoli quantitativamente. Il « tempo storico » non è la misura
della durata di un mutamento meccanico, la sua forma non è« vuo-
ta»: « un'altra cosa è il tempo della storia da quello della mecca-
nica~ 46 , tra essi si dà una differenza sostanziale. Si definisce
qui - come ha visto Tiedemann 47 - la rdazione-differenza
con il formalismo kantiano del tempo: mentre « la sequela del-
l'obiettivo accadere nel tempo non si riduce a pura funzione ·di
colui che la vive interiormente (des sie Erlebenden) », non ricade
neanche nella « piu vecchia idea di un tempo obiettivo» come
« irreversibile successione » di eventi puntuali. La forma del tempo
storico non è « trascendentale» nel senso del soggetto, ma in
qualche modo - pure rispetto ad esso - trascendente, ed in
questo «inadempiuta», ma anche inadempibile. Tale forma è
• forza determinante»: gli avvenimenti sono da essa determinati,
« coniati»; per questo nessun accadere determinato la può afferra-
re completamente, né « raccogliere» in sé. Per questa « forza de-

44 Cfr. GS, II, 1, pp. 133-134.


45 Ivi, p. 134.
46 Ivi.
çr Cfr. R. Tiedemann, Studien z::ur Philosophie Walter Ben;aminr, Frank-
furt/M., 1973, pp. 92-93.
terminante» che la informa, la storia si fa cosi « funzione del
non-storico» 48 : solo un accadere empiricamente « non-detenni-
nato » può costituire per la storia un compimento. Solo un'« idea»
è capace cli esprimere un tempo compiuto, in quanto del tempo
può comprendere la forma. Quest'idea, dice Benjamin, è il « tempo
messianico». In questo l'idea di un « tempo storico adempiuto»
non può essere in alcun modo pensata come « idea di un tempo
individuale». Qui il tempo tragico si distingue radicalmente dal
tempo messianico. Il tempo tragico è un tempo individuale che
pretende l'adempimento. Ma questo «adempimento» avviene per
l'eroe della tragedia solo con la morte: solo in essa il suo agire
si compie come destino ·o. L'origine e la fine del tempo tragico
è l'individuazione come colpa. La colpa non è qui l'individuazione
come tale, ma la « volontà di trasformazione» del tempo indivi-
duale in tempo storico. La « Tragedia » è la mancanza di« media-
zione» tra questi due termini, perciò il « tempo tragico» dell'eroe
non conosce « sviluppo», ma solo « puntualità » e solo dal suo
concludersi è riconoscibile come tale. L'eroe della tragedia « muore
di immortalità» so. Storia e tragicità (Tragik) si connettono, si
« toccano» solo in questa morte ed è in questo «punto» che
l'eroe riconosce, vede tale connessione s1 • Qui « la morte è una
tragica immortalità; questa è l,origine dell'ironia tragica » 52 •
In una differente posizione nei confronti del « tempo stori-
co» si definisce il Trauerspiel. Il Trauerspiel è tutto compreso
nell'accadere storico, senza poterne però comprendere la Forma. ~
come « il lato di un'iperbole, cli cui l'altro sta nell'infinito» 53 •
Questi lati, evidentemente, non si toccano mai: l'uno si riflette
nell'altro, senza mai raggiungerlo. Vale per il Trauerspiel « la legge
di una vita superiore, nel delimitato spazio dell'esistere terreno
e tutti giocano finché la morte non pone fine al gioco, per conti-
nuare in un altro mondo la piu grande ripetizione dello stesso
gioco» 54 • Al tempo del Trauerspiel, come alla tragedia, manca
41 Ivi, p. 92.
49 Or. GS, II, I, p. 13.5.
so lvi, pp. 1'314-US.
51 In questo la concezione bcnjaminiana del tragico è direttamente holder-
liniana: « dio e uomo nella tragedia addivengono ad una "illimitata" unione;
ma questo solo per un "illimitato" separarsi». (F. Holderlin, Anmerkungen zum
Odipus, in Werke und Brie/e, a cura di F. Beissner e J. Schrnidt, Frankfun/M.,
1969, II, pp. 735-736).
52 GS, II, 1, p. 135.
51 lvi, p. 136.
St Ivi.

,o
ogni progresso e sviluppo; mentre la tragedia però conosce il tem-
po nella puntualità, in cui il destino « sorprende » la vita del-
!'eroe e quindi nella « sovradeterminatezza » del « momento», il
Trauerspiel lo conosce solo come ripetizione. Perché il Trauerspiel
non ha soggetto, è« -inindividuale, senza essere di una storica uni-
versalità » 55 , ed i suoi avvenimenti sono « ·schemi » ottenuti per
similitudine {gleichnishafte Schemen). Il suo tempo non può esse-
re « adempiuto », ma si ripete, in un quadro finito, come un gioco.
La morte in esso « rapisce>>, ma non restituisce « immortalità »,
bensf spettralità, rende solo il fantasma, l'immagine. Anzi l'imma-
gine riflessa dallo specchio. E ciò rende inafferabili e indetermina-
bili gli avvenimenti ed i personaggi del Trauerspiel, la direzione
dei loro significati, il loro senso. Se i morti divengono « spettri »,
gli avvenimenti sono scheletrici schemi, anzi parti di essi ed il
loro gioco è il gioco di queste parti. Ma queste parti sono « emble-
matiche immagini riflesse di un altro gioco » 56 • Dominante del
Trauerspiel, come Benjamin nota dell'Alarcos di Schlegel, è « la
distanza che separa immagine e immagine riflessa (Bild und Spie-
gelbild), significante e significato ». Allora in esso non si riflette
effettivamente una vita superiore, ma la sua immagine: la distanza
fra significante e significato fa di esse due immagini riflesse che
nel gioco del Trauerspiel rimandano reciprocamente l'una all'altra
all'infinito. Questo gioco cos{ è veramente-« immaginario», è solo
riflessione cli immagini. Mentre la forma della tragedia è una forma
conclusa, quella del Trauerspiel, in questa sua infinita riflessione,
è in sé inconclusa 57, e « l'idea della sua soluzione non giace
all'interno del suo ambito drammatico». Come gioco di riflessi,
rimbalzare di rimandi, infinito ripetersi di variazioni di uno sche-
ma, cui è stato prosciugato ogni elemento sostanziale, « esaurisce
artisticamente l'idea storica della ripetizione » 58 ed il suo tempo
«drammatico» trapassa « nel tempo della musica ». « Il resto
del Trauerspiel si chiama musica », corpo di suoni, gioco assolu-
tamente significante.
Il Trauerspiel è il luogo delle trasformazioni del linguaggio,
il luogo della sua storia: « la parola nella trasformazione è il suo
principio linguistico » 59 • Questa « trasformazione » è la pura
55 lvi.
5' Ivi.
57 lvi, p. 137.
51 Ivi, p. 136.
59 lvi, p. 138.

51
« vita del sentimento,. (Gefuhlsleben) della parola, che dal suono
1

della Natura si purifica nella pura voce del « sentire ». « Per


questa parola il linguaggio è solo uno stadio di passaggio nel ciclo
della sua trasformazione. » 60 Le parole che il Trauerspiel parla
descrivono « il percorso del suono naturale attraverso il lamento
fino alla Musica» 61 •
Il linguaggio della Tragedia, al contrario, non conosce trasfor-
mazioni. La parola della tragedia non è «passaggio», ma « la
legalità del discorso parlato tra uomini» 62 • Se non si dà alcuna
tragicità al di fuori del dialogo tra uomini, non c'è altra forma
di tale dialogo tranne quella tragica. Nella tragedia è la parola
ad avere il « massimo peso », a manifestarsi in modo originario
come potenza, che esprime « l'inestinguibile ed inevitabile legge
degli ordini, che si decidono in essa» 63 • Nella tragedia « ogni
discorso è tragicamente decidente. :E: la pura parola che è immedia-
tamente tragica » 64 • Perché qui la parola è parola « presso la
propria origine », « pura portatrice del proprio significato ». Ma
questo significato è cristallino, univoco; è ieraticamente immobile.
Nel Trauerspiel, al contrario, la parola si diparte « dal luogo della
propria origine», per sfociare in altro. Ma è l'incepparsi di questo
percorso a costituire l'essenza del Trauerspiel, come Zwiscben.form
(forma di mezzo) 65 , che in questo mezzo si arresta, impossibili-
tato ad attraversarlo. Il Trauerspiel non è un movimento circolare
del sentimento attraverso il mondo dclla parola, che felicemente
sbocca nella Musica per ritornare alla « liberata Trauer (afflizione)
del beato sentimento» 66 • Il suono nel Trauerspiel « si dispiega sinfo-
nicamente », ma questa sinfonia è anche« div-isione e scissione» del
suono naturale in parole umane. « Mentre la creazione voleva river-
sarsi nella sua purezza, l'uomo portava la sua corona. » 67 La parola,
nel suo significato, si fa ambigua. E questa ambiguità è l'origine
stessa del lutto, l'« infinito impedimento » al dispiegarsi del senti-
mento. Nella molteplicità dei significati il Ge/uhl (sentimento)
s'ingorga, si perde; con la parola troppo umana del Trauerspiel « sor-
ge un nuovo mondo, il mondo del Significato, del tempo storico
60 lvi, p. 148.
61 lvi, p. 138.
62 lvi, p. 137.
61 Ivi, pp. 137-138.
61 Ivi, p. 138.
65 Ivi, p. 136.
66 lvi, p. 138.
67 Ivi.

52
senza sentimento (der gefuhllosen historischen Zeit) » 61 • La circola-
rità del « sentimento » è interrotta dalla duplicità di parola e signifi-
cato, -« che distrugge la quiete del!la profonda Sehnsucht e diffonde
lutto sopra la natura» 69 • La ripetizione del Trauerspiel cos( non è
ciclicità, ma ,il ripetersi infinito della sua rottura, rincongiungibilità
cli suono e significato. Il sentimento non solo - attraverso la paro-
la - non ritorna alla sua naturale purezza ma coinvolge la natura
nella afflizione per l'« ineffettualità » del proprio parlare. La salvez-
za da questa luttuosa afflizione il Trauerspiel la trova solo nel sapersi
come gioco. Nel sapere cihe ogni sua parola, ogni sua creazione,
è revocabile 70 • Nel volgersi in comicità la « tensione » del
Trauerspiel comincia a sciogliersi, fino a risolversi nel ritrarre ogni
significato in sonorità, nel trasformare « il lamento ·profondamente
percepito ed udito » 71 in Musica.

II
Due poesie di Holderlin: tra neokantismo e Georp_e-Kreis.
Il primo grande, importante saggio di Benjamin (mai pubblicato):
Zwei Gedichte von Friedrich Holderlin, come egli stesso nota
in uno scritto autobiografico 72 , fu composto pochi mesi dopo
la comparsa cli Der Stern des Bundes di S. George, ed era dedicato
all'amico Fritz Heinle 73 • Questi riferimenti non sono occasionali,
ed in essi si inserisce con un significato determinato il fatto che
il saggio sia dedicato a Holderlin, e precisamente alle due diverse
stesure di una poesia: Dichtermut (coraggio del poeta), che nella
seconda versione si trasforma in Bliidigleeit (timidezza). Come
è noto, Benjamin nutriva una grandissima ammirazione per l'edi-
zione Hellingrath delle opere di Holderlin 74 • Lo Holderlin della
68 lvi, p. 139.
69 lvi.
70 L'unica cosa che non è revocabile - Benjamin qui non lo dice - è la
scissione tra parola e significato. Qui nella soluzione « musicale » del dramma
del significato, Benjamin soggiace all'utopia di cui abbiamo parlato prima. Nel
Trauerspielbuch non per niente la Musica si trasformerà in Silenzio.
11 GS, 11, 1, p. 140.
72 Lo scritto fu soJlecitato da una inchiesta de11a Uterarische Welt nel 1928,
in occasione del 6()0 compleanno di Gcorge, su La posizione di Stefan George
nella r:ila spirituale tedesca. Cfr. per questo GS, Il, 3, pp. 1429-1430.
7J « Il mio amico morf ... Seguirono mesi ... In questi mesi però ... ciò
che egli aveva lasciato nelle sue poesie enttò nei pochi luoghi dove ancora
in me delle poesie potevano agire in modo dctenninantc. • {GS, II, 3, p. 921.)
74 Cfr. Scholem-Biogr., pp. 26-27. C.ome Mittncr nota, a proposito del
Georgc-Kreis, « il risultato migliore, il solo tuttora valido dell'attività critica

53
sua giovinezza era quello del George-Kreis. Ma qui si precisa
«quale» George avesse inciso negli Jugendjahre benjaminiani -
come egli stesso chiarirà molti anni dopo - e come proprio l'ana-
lisi del rapporto poesia-vita in Holderlin l'allontani definitivamen-
te dal cantore di Maximin, « l'eroe del compimento » 75 •
« Sorprendenti» sono le intuizioni del ventiduenne Benja-
min, non solo nel cogliere la « svolta stilistica» holde,liniana - il
« superamento del classicismo » testimoniato nella lettera a Boh-
lendorf del 1801 76 - attraverso le differenze tra le due stesure,
ma pure riguardo al « metodo » che impiega. Il concetto neo-
kantiano cli I nbegrilf, quello fregeano cli / unzione e quello gestalt-
ista di « forma strutturata in modo pregnante» si intrecciano sin-
golarmente nella « teoria » che Benjamin premette all'analisi, fino
a rivelare inaspettate implicazioni epistemologiche 77 •
Ciò che l'analisi deve indagare nella poesia è la « forma inter-
na», quella che Goethe indica come «contenuto» 78 • Tale forma
non è la composizione « letteraria » dell'opera poetica, né il signi-
ficato che essa contiene, ma il «compito» che la produce, l'idea
che si effettua in essa. «Compito» e idea non si identificano
per niente con ii modo in cui il poeta risolve il proprio compito poe-
tico, con -la disposizione peMOnale, con la sua Weltanschauung 79 ;

del giuppo è la geniale edizione di Holdcrlin dovuta a Norbert von Hdlinsrath ».


(,L. Mittner, Storia della /etterlll1'ra tedesca. Dal fine secolo alla sperimenl11VOne,
Torino, 1in1, H, p. 972).
75 Cfr. per questo Riickblidt 11u/ Stefan George, in ilR, pp. 141-147.
76 Or., per 1uuo questo, P. Szondi, Superamento del classicismo, pp. 137-1.5..i
e P~tica dei generi e filosofia della storia, pp. 160-207, in Poetica dell'idealismo
tedesco, trad. di R. Buzzo Margari, Torino, 1974, con una nota di C. Cases.
TI Si veda al riguardo L. Wicsenthal, Zur Winenschaftstheorie Walter Be-
njamins, Frankfurt/M., 197.3, soprattutto le pp. 24-29 e 39-40. Per quanto riguarda
il neokantismo, è noto che Benjamin, specialmente negli anni dell'università, si
occupl) di esso; soprattutto di Cohen, di cui seguiva i corsi a Berlino e di cui
lesse insieme a Scholcm alcune parti di Theorie de, Br/ahrung. per quanto
riguarda Fregc, la Wiesenthal riporta una lettera dclJo stesso Scholcm indiriz.zata
a lei, dalla quale sappiamo che Scholem - studioso nel '15-19 oltre che di
mistica ebraica, di matematica e di logica - parlava spesso con l'amico « del
linguaggio della matematica• e riferisce anche di una sua relazione seminariale
in difesa di Frcgc. Ma questo tra il '16 e il '17: è probabile, quindi, che al
concetto di funzione Benjamin sia giunto attraverso altre vie; per quanto con-
cerne il gestaltismo, poi, rosranrc è in Bcnjamin l'interesse per la « fenomeno-
logia della ~rcczione » e nelle sue lettere cita spesso Linke, l'autore di Grund-
fragen de, Wahrnehmungslehre (consideralo uno degli iniziatori del Gestaltismo):
dr. BR, pp. 143-162 e p. 383), come un non ortodosso esponente della scuola
fenomenologica husscrliana. (Su Fenomenologill e Gestaltismo, dr. J. Derrida,
op. cit., pp. 202-213).
11 GS, II, 1, p. 921.
79 lvi, p. 10.5.

54
bens( con 1a particolare «intenzionalità» che abita la poesia ste9sa,
con l'« oggettualità» del produrre artistico. Benjamin cita Novalis:
« Ogni opera d'arte ha in sé un ideale a priori, una necessità
di esistere ». Questo « a priori » della poesia è il « poetato » (Ge-
dichtete), l'« unità sintetica» di « forma e contenuto», che mostra
la loro « immanente, necessaria connessione», la « struttura intui-
tivo-spirituale del mondo che la poesia testimonia» 80 • La « forma
interna » è dunque struttura «generatrice», « a priori » che si
realizza; è cohenianamente la « legge della produzione del conte-
nuto » 11 • Come Cohen aveva spiegato gli « a priori » kantiani,
come « metodi » della produzione della conoscenza 82 , Benjamin
intende il Gedichtete come concetto-limite {Grenzbegrifl) 83 che
indica lo Obergang {passaggio) tra l'ordine della vita e quello
della poesia, tra le loro rispettive « unità funzionali » 14 • In questo
il Gedichtete, proprio in quanto Grenzbegrif/, ha carattere metodi-
co, la sua « comunicazione » rimane una « meta ideale » 85 • La
sua funzione nei confronti della poesia è squisitamente epistemo-
logica, è quella di mostrare la « sfera della relazione tra opera
d'arte e vita» 86 • Ma in questo indica l'impossibilità di un rap-
porto immediato tra i due termini: tutti gli « elementi », sensibi-
li ed ideali, attraverso lo schema del Gedichtete perdono la loro
« apparenza» di sostanzialità per configurarsi come Inbegrilfe (ag-
gregati) di « funzioni essenziali, per principio infinite » 17 • E
questa la « legge d'identità » dell'apriori di ogni poesia, che sola
può rivelarne le connessioni con la vita. Attraverso questa « leg-
ge », però, gli « elementi » della vita non sono piu afferrabili
nella loro purezza: l'analisi della poesia identifica ogni «unità»
presente in essa come « funzione di una infinita catena di serie,
nelle quali il poetato si dispiega » 11 • Benjamin stabilisce cosi
per la conoscenza del « mondo » poetico il passaggio dal concetto
di sostanza a quello di / unzione che Cassirer aveva definito per
80 lvi.
81 H. Cohen, Kants Theorie Jer Er/ahrung, 3• cd. {la prima è del 1878, e
tra la 11 e la 31 vi sono importanti cambiamenti), Berlino, 1918, p. 748.
&:zlvi. p. 743.
&J Sulla funzione epistemologica del Grenzbegrilf, per il neokantismo cd
in particolere per Cassirer, dr. L. Wiesenthal, Zur Wissenschaftstheorie Walter
Beniamins, eit., pp. 9-17.
M GS, II, 1, p. 107.
85 lvi, p. 108.
M Ivi.
r, Ivi.
88 lvi, p. 112.

55
quello scientifico: « non in modo sostanziale ma funzionale è data
l'identità come·legge » 19 •
II Gedichtete è allora lo schema per cui « das Leben » diviene
« Gestalt » nella poesia; ed in questo si trasforma irreversibil-
mente. Nella Gestaltung degli elementi vitali in elementi formali
della scrittura poetica, essi si connettono in « unità sintetiche »
risolvendosi in connessioni funzionali, in « compagini di relazio-
ni »90 • Solo in tali strutture di relazioni funzionali è conoscibile
l'identità - non l'eguaglianza 91 - tra l'Inbegrilf del Gedichtete
e quello della vita, quale si determina nella particolare « Gestalt »
di una poesia. La vita cosi è certo riconosciuta come « l'ultima
unità» che fonda il «poetato», ma contemporaneamente è inat-
tingibile tramite la considerazione delle Gestalten poetiche.
Non è una caratteristica trascendentale-atemporale della pro-
duzione poetica il processo che Benjamin qui descrive: il « passag-
gio » da rapporti sostanziali a connessioni funzionali tra vita e
poesia lo vede attuarsi, in modo del tutto determinato, proprio
nelle differenze tra le due poesie holderliniane.
Propria della prima versione è una « considerevole indetermi-
natezza », una mancanza di interne connessioni tra i «piani»,
gli ordini che in essa si presentano. L'unità della poesia è mitica 92
e mito è il dominio della necessità {ananke), che getta la sua
ombra sul vivente. ,Per questo essa« vive nel mondo greco, ravviva
una bellezza avvicinata a quella dei Greci e dalla Mitologia dei
Greci è dominata » 93 • Di fronte al destino mitico sta il poeta
che affonda le radici del proprio coraggio nell '« affinità » (Ver-
wandtschaft) con tutti i viventi. ,Di questi ordini la poesia non
produce il contesto della loro unità, solo la « morte del poeta»
scioglie la « plasticità » del suo esistere, del suo « canto » nel-
1'« indeterminata bellezza della natura ». Ancora - ed è qui il
punto di estrema differenza con l'altra versione - « la bellezza
non è divenuta Gestalt senza residui » 94. Paradossalmente, al
« rapporto di uomini e dei» non è stata data nel mondo poetico
una forma puramente greca.
~ invece una « crescente deteffllinatezza » 95 , il « movimen-

19 Ivi, p. 117.
'JO lvi, p. 112.
91 lvi, pp. 114-115.
92 Ivi, p. 109.
9J lvi, p. 110.
94 lvi.
95 Ivi, p. 113.

56
to in direzione di una intensiva plasticità» 96 che distingue la
seconda versione. E questo «movimento», l'andare al fondo della
« plasticità » classica per portarla tutta nella superficie del verso,
spinge tutta la poesia oltre il prinéipio greco della plasticità, verso
quello che Benjamin chiama l' « elemento orientale » 97 • « Classi-
co » significa composta distinzione di « ordini » che differiscono
metafisicamente, gerarchia di significati, differenza di « forme »
che si contrappongono come «cielo» e « terra» e confluiscono
solo nella « bella morte» del poeta. In Blodigkeit la gerarchia
mitologica è tolta: « uomini, dei e principi, quasi precipitando
dai loro antichi Ordini, sono allineati gli uni con gli altri ». Il
poeta non « attraversa inerme » {Wehrlos) la vita, perché nutrito
dalle Parche, ma « entra nudamente » in essa (« tritt nur / Bar
ins Leben, und sorge nicht! » 98 , perché « dei e viventi sono ...
congiunti nel suo destino » 99 • Non sta di conti:o al destino, egli
stesso è destino delle cose, nel dargli forma con le « sue abili
mani »: « Doch selber / Bringen schickliche Rande wir » 100 ;
non è piu una Gestalt tra le altre, ma « il Principio della Gestalt,
colui che pone i confini (delimita) » 101 • Nella distanza da ogni
forma e dal mondo « reca con sé le sue mani - e i Celesti» 102 •
Solo in questa distanza, in questo porre il limite appare in questa
poesia « il principio orientale, mistico, che supera i confini » e
« toglie » il I(( principio greco che conferisce forma » 103 • L'unità
del « cosmo spirituale » del poeta è prodotta solo da ~ pure rela-
zioni dell'intuizione, dell'esistenza sensibile >>, nella quale lo « spi-
rituale» si esprime solo come funzione del suo tendere ad unità,
all'identità della Gestalt. Conducendo le cose al confine della loro
esprimibilità in Gestalten, al limite tracciato dalla morte, il poeta
« spinge il suo piede sul vero, come su un tappeto » (« Geht
auf Wahrem dein Fuss nicht, wie auf Teppichen? ») 11,., ma mai
potrà rovesciare questo tappeto per contemplarne i modi della
tessitura. In questo cammino del poeta - come la « forma interna
plasticamente temporale » che « abita il percorribile ordine della
96 Ivi, p. 118.
'17 Ivi, p. 126.
99 F. Holderlin, Wer/ce und Briefe, cit., I, p. 9.5.
99 GS, Il, 1, p. 112.
100 F. Holdcrlin, Werlce und Briefe, cit., I, p. 96.
101 GS, II, 1, p. 125.
102 lvi.
101 I vi, p. 124.
104 F. Holderlin, Werke und Brie/e, cit., I, p. 9.5.

,1
verità »105 - il giorno non è piu « lieto» (/rohlich) come nella
prima poesia, ma pensoso ,(denkende). Ma perché il «giorno»
- questa « identità dell'accadere nell'Ordine del vivente » 106 ,
che riposa nella coscienza, figura del raccogliersi della distensione
spaziale delle forme della vita nell'« interna plasticità dell'esser-
ci » - diviene il luogo del pensiero? È perché gli dei, che il
giorno concedono, che tengono dritti noi - i « transitori » (die
Verganglichen), i « morenti » (die Entschlafenden: coloro che
spirano nel sonno) - « con dande d'oro, come fanciulli», si tra-
sformano in figure, in arabeschi del « tappeto» che il cammino
del poeta, nel « canto», percorre. Il processo di Gestaltung si
è cos{ intensificato che afferra il divino: « il destino della morta
Forma irrompe sul dio » 107 • Ma questo non è che il processo
di interno « autoapprofondimento » del « classico »: è il dio greco,
il principio stesso della plasticità, che « diviene oggetto », forma
plasmata, cadendo in balia del proprio principio. Come idee gli
dei vengono « portati » dal poeta - « der Himmlische wird ge-
bracht » - si trasformano nell '« essere oggettivato del mondo
nel pensiero » 108 • Non è questo - rome sembrerebbe - il
momento del perfetto possesso del poeta, bens{ della sua estrema
povertà. Il divino reificato in idea è solo apparentemente dato
nello « spazio» del mondo, nel « disteso piano » del vivente -
luogo dell'estrema determinatezza delle forme 109 - la sua pre-
senza in esso è come un aleggiare del tempo sulle sue forme
per trarle a sé, sposarle, mantenendone la fugacità nella « durata »
delle loro « figure ». Ma solo figure « sposa »: il rovesciarsi del
divino come idea - come principio della plasticità del tempo -
nello « spazio» del vivente, reifica l'ordine stesso del vivente.
Questa « reificazione » significa « sdoppiamento » delle Gestalten,
che vogliono « durare », persistere nel tempo. « Le cose tendono
all'esistere come pure idee e determinano il destino del poeta nel
puro mondo delle forme.» 110 Questa è la « Wende der Zeit »,
la « svolta del tempo» in cui il poeta non cammina ma permane.
IOS GS, II, 1, p. 125.
106 Ivi, p. 119.
107 Ivi, p. 121.
IOII Ivi.
109 « Poiché è decisivo, per il principio spaziale, che esso raggiunga nell'in-
tuizione l'identità del dctcnninante con il dctenninato. La posizione ( Lage) è
espressione di questa unità; lo spazio è da intendere come identità della posi-
. zionc e di ciè> che è posto (von Lagc und Gelegcncm). • (GS, 11, 1, pp. 11+1-15.)
uo Ivi, p. 119.

58
In questa svolta il poeta abita il confine tra la vita « sensibile »
ed il mondo «divino» delle idee. Da entrambe le regioni, che
il confine delimita, il poeta è distaccato, estraneo: per questo en-
trambe sono racchiuse nel suo « canto ». Anzi, nella seconda ver-
sione della poesia, non v'è piu duplicità di mondi: perché la poesia
è il luogo della duplicazione di ogni forma, in essa i « mondi »
si compenetrano, si identificano ma solo come identità di relazioni,
unità di funzioni; sono trans-significati. Questa « compenetrazio-
ne» ha luogo perché qui il poeta non sta di fronte alla morte,
ma si è posto nel « centro di ogni relazione» m - che è la
morte stessa - conducendo tulte le cose a11'« unità di un morto
mondo poetico » 112 • Non dunque l'incapacità di dare Gestalt
alla vita è la povertà del poeta, ma il riuscirvi, il riunire ogni
forma nella forma tout-court. Qui dove il verso, « la rima è rela-
zione della gioia » 113 , dove « l'estensione spaziale del vivente
si determina nell'intimamente temporale "intervenire" ,(Eingrei-
fen) del poeta» Jl4, dove le Gestalten si fanno «musica», la
Gestalt diviene identica alla Gestaltlosigkeit, alla « mancanza di
forma » 115 • Questa mancanza non è qualcosa che si può raggiun-
gere, non è l' « ancora-da-plasmare »; è un'assenza, una « ce-
sura » 116 che delimita internamente ogni Gestalt. È il limite
stesso, il sottile bordo del « Tappeto della vita » che nemmeno
il poeta può sollevare.
La produzione di George compresa in questo studio su Hol-
derlin - quella che aveva mosso la generazione di Benjamin « co-
me il vento muove i "fiori della prima patria" che di là invita-
vano sorridendo al lungo sonno » 117 - non poteva essere quel-
la di Der Stern des Bundes e solo raramente quella di Der sie-
bente Ring. Né quella dove è «visibile» e domina uno « sti-
le » 111 • Lo stile « maschera » lo « stacco » che le forme poeti-
che racchiudono, come il mito del poeta come duce, la « scien-
111 Ivi, p. 124.
11? Ivi.
m Ivi, p. 117.
11 4 Ivi, p. 121.
115 Ivi, p. 124.
11r. Ivi, p. 125.
117 W. Benjamin, Ruckblick au/ SttJan George, in AR, p. 147.
118 « Questo è lo stile floreale (Jugendsti/); in altre parole, uno stile in
cui la vecchia borghesia maschera il presentimento della propria debolezza dila-
gando cosmicamente in tutte le sfere e abusando, ebbra di futuro, della "gio-
ventu" (Jugend) come di una parola magica. C'.omparc qui per la prima volta ...
la regressione dalla realtà sociale a quella naturale e biologica ... » {•Ivi, p. 142.)

59
za sacerdotale della poesia » o la monumentalità di quest'ul-
tima 119 nascondono la fragilità della parola. La poesia georgeana
di cui Benjamin poteva testimoniare la forza era quella consape-
vole di questa fragilità,. ma che su questa fragilità lavorava, che
con queste parole « lottava » 120 , dando « forma al proprio di-
stacco e silenzio » 121 •
Era la produzione che da Das ]ahre der Seele e Der Tep-
pich des Lebens giungeva fino ad alcune poesie di Der siebente
Ring, fino all'addio alle forme: « Welt der gestalten lang lebe-
wohl! » 122 • Non dunque il George delle rappresentazioni sim-
boliche - « il simbolismo di quest'opera è ... la parte piu fragi-
le » m - ma quello che riconosceva « i confini avvolti di pro-
fumo » 124 di ogni parola, di ogni figura poetica.
Queste erano le poesie che offrirono asilo a quella gioven-
tu, che si affacciò in quella « notte del mondo» iniziata nel 1914.
Di questa generazione, « predestinata alla morte», George fu il
grande poeta « in quanto portò a compimento la decadenza, di
cui il suo impulso represse l'atteggiamento giocoso per dare alla
morte, in essa, quel posto che rivendicava in quella svolta sto-
rica » 125 •
In questo « far posto alla morte », del resto, Benjamin ave-
va letto Holderlin. Quanto poco George seppe tenersi in quel
« centro di ogni relazione » che uccide il corpo di ogni signifi-
cato, per calare e difendere nella sua poesia « un tesoro di segni
119 Sul carattere monumentale di certa poesia di Gcorge, cfr. L. Mittncr,
Storia della letteralura tedesca. Dal fine secolo alla sperimentazione, II, cit.,
pp. 951-971.
120 ar. per questo Th. W. Adorno, George e Ho/mannsthal, in Prismi,
trad. di A. Burger Cori, Torino, 1972, pp. 188-232. Su questo saggio si veda
la lettera di Benjamin a Adorno del 7 maggio 1940 in LT, pp. 399-407; qui
Benjamin critica soltanto la caratterizzazione di Hofmannsthal, mentre accetta
sostanzialmente la parte su Gcorgc: « Questo compito ingrato e poco consono
ai tempi: un "salvataggio" di Gcorgc, Lei lo ha assolto nel modo piu convin-
cente possibile e, come doveva essere, nel modo meno impornmo » (ivi, p. 403 ).
121 M. Cacciari, Krisis, cit., p. 149.
122 « Mondo delle fonnc, addio per lungo tempo! », dalla poesia Eingang
compresa in Der siebente Ring, citata in L. Mittncr, Storia della lelleratura
tedesca. Dal fine secolo alla sperimenta1.ione1 II, dt., p. 969.
123 AR, p. 142.
124 « Baden wir im sanften blau / dcr mit duft umhullten grenzcn » è scritto
in Entfuhrung, una delle due poesie di George da Benjamin predilette. La poesia
è citata da M. Rumpf in Faszinalion und Distan1.. Zu Benjamins George-Rezeption,
in AA.VV. Walter Ben;amin Zeilgenosse de, Moderne, Kronbcrg/Ts., 1976,
pp. 50-70, saggio peraltro assai fiacco. dove l'autore conclude insinuando una
« segreta coincidenza• tra Bcnjamin e Gundolf!
125 AR, p. 147.

60
segreti», è quanto Benjamin constata nel suo « sguardo retro-
spettivo » sul poeta. Nella « svolta del tempo » non estrema po-
vertà fu quella georgeana, ma « proprietà poverissima » m an-
siosamente custodita.

III
A. La «tentazione» del Sistema. Del neokantismo Benjamin si
occupa direttamente in Ober das Programm der kommenden Phi-
losophie, scrJtto coevo alla comune lettura con Scholem della ter-
za edizione del Kants Theorie der Erfahrung di Cohen 127 • Con-
temporanee a questo saggio programmatico sono le intense discus-
sioni con Scholem sul senso dell'ebraismo e sul concetto di « dot-
trina», come luogo di definizione e conoscenza dol sistema della
filosofia nella sua kantiana tripartizione. Compito della « filosofia
futura » è infatti per Benjamin quello di « produrre sul fonda-
mento del sistema kantiano un concetto di conoscenza, a cui cor-
risponde il concetto cli un'esperienza di cui la conoscenza è dot-
trina » 121 • Ma questa intenzione sistematico-dogmatica non avrà
seguito nel pensiero benjaminfano, ed è la parte piu « caduca »
del saggio. Ad impedire questo proseguimento, a sancirne l'im-
possibilità contribuiscono le premesse crJ.tiche del tentativo benja-
miniano, la pars destruens del sagg.io, come, in egual misura, lo
stesso approfondimento « teologico » dei suoi presupposti 129 •
12' lvi, p. 142.
ll1 Or. per questo le testimonianze di Scholem riportate in GS, II, 3, p. 939.
12& Ivi, p. 168.
129 Basti qui accennare che- la «dottrina» nel giudaismo, come solido luogO
di riferimento per la vita umana, presuppone la reciproca e sal<la. connessione
di « Toràh scritta» e « Toràh orale», di Rivelazione e Tradizione. Solo questa
compenetrazione, per cui la Legge è intendibile nel medium storico del linguaggio,
rende efficace la dottrina per l'esperienza del credente: « rende esprimibile e
impiegabile in un ordine vitale ... la Parola di Dio» (G. Scholcm, Die Krise
de, Tradition im ]iidischen Messianismus, in Judaica, 3, Frankfurt/M., 1973,
p. 154). Dottrina è dunque solida continuità cd effiacia della Tradir.ione nel
presente. La crisi di questa idea <li Tradizione, per il pensiero ebraico, è rappre-
sentata dal Messianismo, come immagine della redenzione che non continua la
vita storica ma la interrompe, come Anti-Er/ahrung (ivi, p. 157). Il tempo
messianico non è il tempo della Leue, a cui la vita del credente si attiene, ma
il tempo della fine, della rottura. E la redenzione, che in essa irrompe, è altro
da ciò che la dottrina, come Legge e Tradizione, contiene. In questa direzione si
approfondirà la «riflessione» teologica bcnjaminiana e, come vedremo, <!cl mes-
sianismo acquisirà la componente «apocalittica» e non quella «restaurativa».
E come per il movimento dei sabbatiani, questa crisi messianica della Tradizione
significò per Benjamin l'impossibilità per gli stessi simboli mistico-cabalistici ad
esprimere questa stessa crisi (ivi, p. 157). La sua origine e apertura « storica :o.

61
Se il riferimento della filosofia a Kant è imprescindibile per
la direzione « deduttiva » del suo pens,iero - « l'atemporale va-
lidità della conoscenza » 130 - è la « certezza dell'esperienza tem-
porale» che Kant giustifica a dover essere superata. Per questo
si tratta di intraprendere « sotto la tipologia del pensiero kan-
tiano la fondazione epistemologica di un piu alto concetto di espe-
rienza » 131 • Il prezzo che Kant paga per l'acquisizione di « cer-
tezza » sulle condizioni a .prior,i de1l'Er/ahrung, sulla sua « costi-
tuzione» trascendentale, è la riduzione « al minimum di signifi-
cato» dell'Er/ahrung, la sua identificazione con la Gegestandswelt
della fisica matematica. Nella « certezza e giustificazione » del-
1'« esperienza scientifica», Kant condivide necessariamente la Welt-
anschauung dell' Au/kliirung - come « cecità storica e religio-
sa» 132 - determinante e qualificante l'epoca attuale. Aprire
gli occhi meta-fisicamente è il compito della filosof.ia futura: « sto-
ria e religione » sono cifre del continuum dell'Er/ahrung nella
molteplicità dei suoi gradi e delle sue forme. In questo Benjamin
andava in direzione diametra·lmente opposta alle teorie cohenia-
ne 133 • Mentre le diverse edizioni della Theorie der Er/ahrung
segnavano il passaggio da un 'indagine sull'apriori, come condizio-
ne formale della possibilità dell'esperienza in generale, alla re-
strizione di questa in« mathematische Naturwissenschaft », e quin-
di dal problema della costruzione trascendentale dell'esperienza
all'intendimento e alla verifica della costituzione degli « oggetti
e delle leggi dell'esperienza matematica» m, l'inten,to beniami-
niano è ampliare l'or.izzonte dell'Er/ahrung 135 , aprire la filoso-

Per questi problemi cfr. anche G. Scholem, Vber einige Grundbegrilfe des ]uden-
tums, Frankfurt/M., 1970.
IJO GS, II, 1, p. 158.
131 lvi, p.160.
132 Ivi, p. 159.
133 Per questo del tutto errata è la tesi fondamentale della Wiesenthal, Zur
Wissenscha/lslheorie Walter Beniamins, cit., secondo cui per Bcnjamin si trattava
di « precisare il concetto di Er/ahrung sullo sfondo del procedimento conoscitivo
delle scienze naturali» ( ivi, p. 7). Diverso discorso andrebbe fatto per il neo-
kantismo cassireriano, ma l'assenza di C-assirer dalle pagine bcnjaminiane ( ora e
in s~ito) ci esime da questo compito.
1 Cfr. H. Cohen, Kants l'heorie der Erfahrtmg, cit., p. 647; su questo
«passaggio• dell'epistemologia di Cohen, che si accompagna ad una buona dose
di incertezza nell'escludere la coslru~ione daJl'ambito della teoria della conoscenza,
come testimonia la confusione di molti passi della terza edizione della Theorie,
si veda soprattutto H. Dussort, Ulcole de Marbourg, Paris, 1%3.
115 <lle, quasi contemporanea.mente, anche Emest Bloch, in Geist der Utopie,
muovesse analoghe ~Titiche al kantismo sono stati in molti a notarlo. Cfr. R.
Ticdemann, Studicn, cit., pp. 2.5-35 e B. Witte, Walter Beniamin. Der lntel-

62
fia sulla costitutiva molteplkiti delle sue forme 136 • Certo qui
Benjamin non si accorge come la « restrizione » operata dal neo-
kantismo, il suo progetto di fondazione epistemologica dell'ope-
rare scientifico avesse un profondo carattere restaurativo delle fun-
zioni « poliziesche » della f.ilosofia nei confronti dell' « Imperti-
nenza della datità » 137 •
Mentre infatti la « logica della conoscenza pura » - iden-
tificandosi in Cohen 131 con la « logica dei giudizi puri » - nel
« giudizio dell'origine» (Urteil des Ursprungs) veniva ad espun-
gere il «Dato» (come « pregiudizio della sensazione e della rap-
presentazione ») 139 dal territorio della filosofia - restaurando
idealisticamente 140 « l'identità di essere e pensiero » - per « da-
re la sua sicurezza » alla logica di fronte alle singole scienze 141
e permetterle cosf di svolgere il suo compito di coscientizzazione
lekluelle als Kritiker, Stuugart, 1976, pp. 10-12. (Non è forse inutile sottolineare
come Witte si limiti a spiegare, in un modo semplicemente biografico, la presenza
di termini e problemi teologici nello scritto benjaminiano in questione, senza
vederne funzione e trasformazione della loro presen1.a.) Per la posizione di Bloch
rispetto a Kant nella prima versione di Geist de, Utopie (1918) (v. XVI della
Gesamtausgabe, Franle/urt/M, 1977) si vedano le pp. 271-276. Non ci preme qui
notare le differenze che anche circa la valutazione di Kant sarebbero rilevabili
rispetto a Benjamin, quanto che proprio « teologica » sarà la fondamentale diffe-
renza tra lo sviluppo dd pensiero blochiano e quello benjaminiano: quest'ultimo
non si mostrerà disponibile - e già nell'impossibilità di effcuuvionc del pro-
gr-.unma annunciato in questo saggio contiene le tracce di tale indisponibilità - :i
quel « sistema del messianismo teoretico», al quale Bloch nel 1918-19 invitò
Benjamin a contribuire (cfr. Scholem-Biogr., p. 102). Messianismo significherà
per Benjamin impossibilità della dotlrina, messa in crisi a priori di ogni Sistema,
come pure di ogni storica teleologia. Forse proprio qui, nel rifiuto dell'interpre-
tazione del « come se » del Sollen come « teologico non ancora » ( E. Bloch,
Geist de, Utopie, cit., p. 27.5), sta la maggiore distan7.a, almeno dell'ultimo
Bcnjamin, nei confronti dell'interpretazione blochiana di Kant.
136 Il travaglio neokantiano circa il rapporto tra costituzione e costruzione
dell'Erfahrung sarà comunque centrale per lo sviluppo delle riflessioni benjami-
niane degli ulimi anni. L'impossibilià di definire in senso logico-trascendc:ntale
la costituzione dell'Er/ahrung nelle sue molteplici forme sarà sancita dalla consta-
tazione storica deHa distruzione deU'Er/ahrung stessa. Se l'Er/ahrung, in senso
generale, è conoscibile sol.o nella distruzione della sua costituzione, della sua
«possibilità•, non v'è nemmeno piu lo spazio per la costru1.ione Jogico-trascen·
dentale di quest'ultima. L'Er/ahrung si costituirà solo come coslruzione storica.
137 Or. E. Bloch, Erbkha/1 dieser Zeit, v. IV deJ1a dt. Gesamtausgabe, p. 300.
131 Soprattutto con la Logik de, reinen Erleennlnis (Benin, 1902).
139 H. C.Ohen, Logik der reinen Erltenntnis, cit., p. 501.
140 Nel giudi~io infinito come giucfujo d'origine, dove il numero infinitesi-
male come realtà infinitesimale fonda « pul"amentc • la realtà, definendo e fon-
dando lo stesso « contenuto fisico dell~ sensazione» (H. Cohen, Kanls Theorie
de, Er/ahrung, cit., p. 792). Cfr. per questo H. Cohen, Dar Prinzip der In/ini-
tesimal-Methode und seine Geschichte, Frankfurt/M., 1968 (il libro è del 1883).
141 H. C:Ohen, Logik der reinen Erkemflnis, cit., p. 511.

63
nei confronti di queste. Era proprio questo compito restaurati-
vo - una volta definito l'asse preferenziale tra filosofia e scien-
ze - a venire respinto dalle impenetrabili e ribelli « imper.tinen-
ze » che le « logiche » delle scienze par,ticolari producevano al
loro interno. Non è casuale, perciò, la polemica di C.Ohen con
Riemann in Teorie der Erfahrung, considerando che: « se la geo-
metria si divide il kantismo non può essere salvato» 142 •
Ma Benjamin - mentre rileva il me11ito del neokantismo
nel togliere la differenza tra « Anschauung e Verstand »: un « ru-
dimento metafisico come l'intera dottrina delle facoltà» m -
nota altri «primitivi» elementi metafisici, che come « germi di
una malattia» 144 persistono nel pensiero kantiano e neokantiano.
Soprattutto la non completamente superata concezione della cono-
scenza come rapporto soggetto-oggetto ed insieme la persistente
relazione della conoscenza e dell'esperienza ad una« coscienza uma-
namente empirica » 145 • Non la validità di queste strutture detla
conoscenza è in discussione ma la « confusione » di questa con
la loro univoca «giustezza» 146 , la pretesa di «chiudere» la verità
nella forma del giudizio 147• La direzione quindi in cui convergeva
l'epistemologia coheniana. Nella Subjekt-Natur della coscienza co-
noscente, nella forma « pura » de)l'« Io-penso » gioca una rappre-
sentazione sublimata dell'io empirico-individuale 141 • t questa
sublimazione che inquadra e fissa la forma della conoscenza in
una relazione Subiekt-Objekt. E se il rJscoprire la « dati-tà » subli-
mata in questa operazione di idealizzazione spiega l'indirizzo psi-
cologistico di molta gnoseologia ottocentesca (da Herbart a
142 G. Bachelard, Il nuovo spirito scientifico, a cura di L. Geymonat e
P. Redondi, Bari, 1977, nuova edizione, p. 20. « Se non - continua Bachclard -
iscrivendo nella ragione stessa i prindpi di divisione •; nemmeno Oassircr ncJle
sue importantissime indagini sul « problema dello spazio e la scoperta della geo-
metria non euclidea» (Storia della filosofia moderna, trad. di A. Pasquinelli,
Milano, 1968, IV, pp. 43-91), pur sottolineando l'importama del « diversificarsi
delle assiomatiche» come specificazione dclla loro natura modctlistico-progettuale,
determinante una « vera e propria crisi dell'intuizione», sembra trarre da d~
tutte le necessarie conclusioni rispetto a Kant; dr., ad esempio, ivi, pp. 64-6S.
1•1 GS, II, 1, p. 164.
144 lvi, p. 160.
145 lvi, p. 161.
1" Or. per questo la pane del frammento (inedito) Ober die transzendentllle
Methode, Benjamin Archiv, Ms. 683, citata in R. Tiedemarm, Studien, cit.,
pp. 41-42.
147 Or. i passi del frammento ( inedito) Wahrheil und Wahrheite. Erkenntnis
und Erken11tnisse, Benjamin Archiv, Ms. 509, citato in R. Tiedemann, Studien,
cit., p. 37.
141 GS, II, 1, p. 161.
Wundt) 149 , qui si « scopre » anche la natura mitologica- (il « ru-
dimento metafisico ») del .predicare la relazione soggetto-oggetto
come la Forma tout-court della struttura conoscitiva. Ad occultare
la « mitologia » di questa rappresentazione è la ratio dell'Aufklii-
rung che si presenta come norma, che decide storicamente - in-
staurandone la necessità - la normalità dei comportamenti conosci-
tivi della coscienza. Ed è in questo contesto che si situa l'idea
kantiana del « gesunder Verstand » e le sue ricerche sulle malattie
.del cervello 150 • La considerazione dei modi di conoscenza e perce-
-zione dei folli e dei malati, la vasta gamma delle « patologie »
-coscienzali-conoscit,ive e percettive mentre allinea - travolgendo
-ogni gerarchica costituzione - l'immagine della « normale » co-
scienza empirica, come recettiva di percezioni provocate da oggetti,
tra i modi di essere della follia, entro cui vi è solo specificazione
graduale, iscrivendo cosi la ratio illuministica nella « stor.ia della
follia » 151 , rivela la costituzione trascendentale dell'esperienza
come costruzione storico-sociale prodotta da e in funzione della
-esperienza. Come nel saggio su Holderlin, è decostruito qui - al-
meno tendenzialmente - l'ordine classico (profondamente « meta-
fisico ») della (kantiana) struttura trascendentale dell'esperienza.
In questa struttura v'è spazio solo per una forma della esperienza,
mentre ai « modi della coscienza empirica ne corrispondono altret-
tanti dell'esperienza » 152 • Non si tratta certo per Benjamin di descri-
vere empiricamente questi modi: il problema che la Fenomenologia
ha gettato sul presente è la differenza di genere tra« pura coscienza
trascendentale » e « coscienza empirica » 153 • L'impostazione tra-
·scendentale kantiana va mantenuta: la costituzione deil'Erfahrung
nel continuum delle sue forme può fondan;i solo nella « pura co-
scienza epistemologica (trascendentale)>>; a patto però che que-
sto termine sia spogliato da ogni valenza soggettiva 154 • Se nella
-struttura deil'Erkenntnis v'è pure quella dell'Er/ahrung, compito
,della « futura epistemologia » è individuare « la sfera di totale neu-
tralità ,in riferimento ai concetti di soggetto e oggetto » 155 : il luogo,
14 ' Cfr. per questo S. Poggi, Sistemi dell'esperien1.a. Psicologia, logica e
.·teoria della scien1.4 da Kant a W,mdt, Bologna, 19n.
150 Or. per questo A. Gianquinto, Critica de/l'epistemologia, Padova, 1971,
pp. 80-97.
151 « L'uomo che conosce, la coscienza empirica che conosce è un tipo della
~ema fcAle. • (GS, 11, 1, p. 162.)
ISl lvi.
153 Ivi, p. 163.
154 Ivi, pp. 162-163.
JSS lvi, p. 163.

65
il medium dove queste due « entità metafisiche » scompaiono.
È il passo successivo che Benjamin compie ad inficiare, per
il futuro, il suo progetto di sistema trascendentale dell'Erfahrung.
Questo medium, infatti, è il linguaggio. Solo nel linguaggio si
dà il continuum detl' Erfahrung come « unitaria e continua molte-
plicità della conoscenza » 156 , solo in esso si possono « ordinare
sistematicamente» tenitori dell'esperienza, che a Kant non riusci
abbracciare 157 • Come, ad esempio, quello del1a storia. Qui non
solo si rompe e si apre necessariamente il « quadro » aristotelico
delle categor.ie 158 ma si erode internamente - a meno di non
voler ripercorrere le Ricerche husserliane, cosa che Benjamin non
farà - il senso «trascendentale» del programma benjaminiano.
Attraverso il linguaggio, dentro di esso - come metterà in luce
la successiva ricerca di Benjamin - il materiale, il dato dell'espe-
rienza si presenta in modo del tutto diverso che in Kant - non
« astratto », « indeterminato », ma già strutturato, come « ens con-
cretissimum », « già individuato attraverso le forme» 159 , come
Gestalt autonoma, filtrata e prodotta dal medium linguistico. Per
questo il concetto di identità - come appropriato a fondare auto-
nomamente la « sfera della conoscenza al di là della terminologia
soggetto-oggetto » 160 - si acquisisce solo considerando il piano
linguistko dell'Erfahrung e della conoscenza. Solo nel linguaggio
è possibile una critica non esterna al suo oggetto, non attestata
su posizioni «soggettive» nei suoi confronti. « Il linguaggio
- scriveva Benjamin qualche mese prima del saggio in questio-
ne - riposa soltanto nel positivo, sta intera.men.te nella cosa che
tende alla piu intima unità con la vita; che non mantiene in piedi
l'apparenza della critica, del krion, del distinguere fra bene e male;
ma disloca tutto ciò che è critica all'interno, sposta la crisi nel
cuore del linguaggio. » 161 Solo il linguaggio, forse, presenta quel-
1'« identità dell'oggetto (Gegestand) », quelle « forme di un'..in-
completa identità » 162 , che contengono le trasformazioni dello
stesso Gegenstand, la stratificazione della sua possibile « critica »,
156 lvi, p. 168.
161 Cfr. ivi.
1ss Cfr. ivi, p. 166.
169 R. Ticdrmann, Studien, eit., p. 39:
160 GS, II, 1, p. 167.
161 LT, p. 26 (lettera a H. Belmorc, fine 1916).
162 Or. la lettera a Scholem del 23 dicembre 1917, in BR, p. 162.
e perciò diverse formalmente dall'identità del « pensiero» e del
« pensato », in quanto pure « tautologie ».

B. Friihromantik: la critica come riflessione delle forme. L'an-


tisoggettivismo di Benjamin, come strategia distruttiva della cen-
tralità epistemologica del soggetto, si chiarisce e si dispiega nella
impossibilità di trattare - per il dottorato. a Berna - la- filosofia
della storia di Kant 163 • Il lavoro lo farà invece su Der Begri/1
de, Kunstkritik in der deutschen Romantik 164 • Quest'opera co-
stituisce un « passaggio» - in tutti i sensi del termine - di
eccezionale importanza per il pensiero benjaminiano: la « filosofia
futura» di Benjamin non sarà piu definizione trascendentale della
forma del sistema deH'Er/ahrung, ma produzione-rilevamento di
nessi sistematici attraverso l'autoriflessione delle forme.
Se l'approfondimento ~ etico-pratico » della sublimazione
kantiana - come identificazione di coscienza e « Ich » - è la
Setzung fichtiana, il porre assoluto, come autoriflessione dell'io,
suo infinito sdoppiamento 165 , i protoromantici - almeno nel
periodo dell'Atheniium, diverso discorso deve farsi per lo Schlegel

161 Or. la lettera a Scholcm del 23 dicembre 1917 (BR, p. 161): « Per Kant
si tratta meno della storia che di certe costellazioni storiche di interesse etico ,._
La delusione di non poter lavorare sulia Geschichtsphi/osophie kantiana è data
dalla assenza in essa di una considerazione specifica del problema-storia, il bru-
ciarsi, prima di comparire, del concetto di « tempo storico ,. nel corto circuito tra
volontà etica e rappresentazione scientifico-naturale del tempo. Per questo si
veda l'ultimo capitolo.
164 (Il concetto di critica d'arte nel romanticismo tedesco). La promozione
presso il filosofo berncse Richard Herbertz ( un ammiratore del genio del giovane
Benjamin) avvenne tra il 19 e il 24 luglio 1919. Sui temi dclJa dissertazione,
dr. BR, pp. 179-180 ( sul rapporto tra estetica kantiana e critica romantica);
pp. 202-203 ( sulla derivazione del moderno concetto di critica da quello roman-
tico, e sul carattere esoterico, fondato su presupposti mistici, di quest'ultimo);
pp. 208-209 ( sul Messianismus come centro della Romantik). Si veda poi la
Selbs1an1.eige che Benjamin fece dd proprio lavoro (pubblicato nel 1920) per
i Kantsludien, in GS, I, 1, Frankfurt/M., 1974, pp. 707-708. Su questo saggio
dr. P. Gd>hardt, Ober einige Vorausset1.ungen der Literaturltriti.k Ben;amins, in
AA.VV., Walter Ben;amin Zeitgenosse der Moderne, cit., pp. 72-74 e anche: R.
Wellek, The Early Literary Criticism of W. Ben;amin, in Rice Unir,-ersily Studies,
57, n. 4, 19'711, pp. 12-134; e il recente saggio di C. Colaiacomo, Archetipi del con-
cetto di critica in Ben;amin, in Calibano, 4, 1979.
u,s GS, I, 1, pp. 19-25; sdoppiamento cioè contro il finito come antitesi
dell'Io, Gegense/1.ung del suo assoluto porsi. I « modi d'azione dell'Io» per
Fichte, la libertà della sua azione fattuale ,. ( Tathandlung) sono dunque dati
dalla combinazione di « Riflessione ponente» (selzende Ref/exion) e « Porre
riflesso » ( refleklierJes Se11.en).

67
delle W indmannschen Vo,lesungen 166 - si pongono a late,e·
dello sviluppo idealistico del kantismo: per essi la coscienza è
il « sé » 167 • Il concetto romantico di riflessione, non è cosf
riferito all'io - non è ontologica posizione origina11ia - ma « al
puro pensare». Questo nel « pensiero del pensiero», che è .Ja
riflessione, non si pone come cominciamento, ma « comincia sem-
pre nel mezzo»: « non identifica alcuno dei suoi oggetti con la
riflessione originaria, ma vede in essi un qualcosa di medio nel
medium » 161 • Questo medium è il « sé » come « sé » della For-
ma; e la Forma par excellence per i romantici è l'arte. La Rifles-
sione allora non è, -per i romantici,« ponente» ma «producente»:
è la forma che produce la propria forma. Mentre la riflessione
fichtiana è significativa solo nella Tesi assoluta - dove l'io nell'in-
tuizione intellettuale fonda la « coscienza immediata » - e poi
conduce solo nel vuoto 169, la riflessione romantica è infini-tamen--
te producente. La sua« infinità» non è vuota,« ma in sé sostanzia-
le e piena» 170 ; non è « infinità del processo, ma della connes-
sione» 171 • Tale connessione che la forma «lascia» emergere-
significa infatti l'infinità e plurilateralità dei gradi di riflessione,
che essa contiene; quindi la su:1 interna sistematicità 172 • Se il
pensiero che riflette questa sistematicità non è intuitivo, per i
romantici non è nemmeno sintetico-sistematico: Schlegel, nel pe-
riodo dell'Athenaum, - scrive Benjamin - « non cercava di co-
gliere (e,fassen) l'assoluto sistematicamente, ma piuttosto, all'in-
verso, il sistema assolutamente» 173 • Questa è l'essenza della-
mistica romantica. « Ogni riflessione è in sé immediata» 174 -
in ciò i romantici dipendono del tutto dal Fichte della prima ver-
sione della Dottrina della scienza 175 - il pensiero della rifles-
166 Queste lezioni, tenute a Parigi e C:Olonia tra il 1804 e il 1806, come
mostra chiaramente Benjamin durante tutto il suo lavoro, sono « un compromesso
tn il pemiero ricro d'idee del giovane Schlegcl e la Res111ur11tio11sphilosaphu di
colui che piu tardi sarà il segretario di Metternich• (GS, I, 1, p. 3.5).
167 Ivi, p. 29.
168 lvi, p. 43.
169 Ivi, p. 29.
1111 Ivi, p . .31.
171 Or. GS, I, 1, pp. 26-27.
172 lvi, p. 26.
173 GS, I, 1, p. 45: « Non sono tutti i sistemi individui, come anche tutti"
gli individui, almeno in germe e tendenzialmente, sistemi? Non è storica ogni
reale unità? Non ci sono individui che contengono in sé sistemi interi d'indi-
vidui? » (F. Scblesct, F,11mme11li critici e scritti di estetica, a cura di V. Sant00t
Firenze, 1967, p. 84).
174 GS, I, 1, p. 27.
m Cfr. Ivi, pp. 19-20.
sione non media né è mediabile, - coglie, afferra. Solo cosf può
comprendere: la mediazione si dà solo « attraverso immediatezze
(Unmittelbarkeiten} » 176 : al suo interno ogni_ «passaggio» -
scrive Schlegel - « deve essere un salto » 177• Questo non vuol
certo dire che il processo della riflessione si muova in un orizzonte
aconcettuale: « assolutamente concettuale» anzi - osserva Be
njamin - è il pensiero di Schlegel 178 • Solo che qui dal Begri/1
·(concetto) è assente ogni mediazione che astrae dal suo presentarsi
fenomenico: il concettuale è il linguistico (sprachliches); il Begrilf
è solo la capacità di presa della parola, del termine 179 • Qui
si spiega il senso profondo della filologia schlegeliana come « filo-
·Sofia della storia » 180 • 2 proprio per la sua natura linguistica
che il concetto è la « forma di espressione adeguata » dell'atto
nel quale la riflessione comprende (afferra) « assolutamente» il
Sistema: è la lingua a costituire la sfera di una « Intuizione non
intuitiva» 111 (unanschauliche lntuition) di esso.
Sono questi presup.posti, questa lateralità del protoromantici-
smo nei confronti della filosofia « classica » a segnare la novità
del suo concetto di «critica», del tutto differente, seppur coscien-
temente derivante, da quello kantiano. La Kritik roman-tica è cono-
scenza dell'oggetto nel mediu1h della Riflessione: ma, come abbia-
mo già visto, questo riflettersi è un movimento che si rivela inter-
no all'oggetto stesso, che cos( cessa di essere Gegen-stand. Soggetto
e oggetto in tale movimento scompaiono, si congiungono fonden-
dosi 112 • La critica non è cosf « puramente giudicante», ma
« obiettivamente produttiva» 183 : è un esperimento 184 che ri-
sveglia ie virtualità riflessive che la « sistematica individua-lità »
delroggetto racchiude. La Kritik non emette giudizi, non soprag-
giunge alla sua materia: questa materia è già forma, che essa dispie-
ga, che· essa spinge al suo compimento 185 • Se tutto questo sul
176 lvi, p. 27.
177 Citato in GS, I, 1, p. 27.
178 lvi, p. 47.
119 E questo non è altro, osserva Benjamin, che la « teoria deUa terminologia
mistica». « Il tentativo di chiamare per nome il Sistema» (i\•i, p. 48): « Non
appena si sanno i nomi giusti, si sanno anche le idee». scrive Novalis, in Fram-
menli, trad. di E. Pocar, Milano, 1976, p. 198.
1811 Cfr. F. Schlegel, Frammenli critici e scritti di estetica, cit., pp. 14-15.
111 GS, I, 1, p. 47.
182 Or. ivi, p . .58.
113 lvi, p . .51.
184 Cfr. ivi, p. 6.5.
1" « t chiaro: per i Romantici la critica piuttosto che il giudizio di un'opera
è il metodo del suo compimento.» (lvi, p. 69.)

69
versante di una « teoria della conoscenza della natura» - soprat-
tutto con Novalis - conduceva ad una visione magico-auratica
della Natura che r.isponde allo sguardo-percezione umani 186 , sul
versante di una « teoria della conoscenza dell'arte » poneva -
con Schlegel ma soprattutto con Holderlin - la remota origine
della irrevocabile sparizione dell'aura dall'opera d'arte. Per lo svi-
luppo economico-sociale dell'arte, i romantici sono solo il punto
di massimo sviluppo della manifattura che sta per trasformarsi
in industria e già tende a riprodursi tecnicamente: l'inizio del
« movimento» ciclico di produzione, distribuzione e riproduzione
del capitale estetico che si presen-terà con Baudelaire m.
Le teorizzazioni estetiche romantiche perciò sono ben lontane
dal culto « Sturm und Drang » della forza creatrice, per cui Popera
è prodotto secondario della soggettività 118 : nel periodo dell'Athe-
116 « La percepibilità [è] un'attenzione» o « Un materiale si deve trattare
da se stesso, per essere trattato», citato in GS, I, 1, pp. 55-56. Non è forse
inutile notare che, nel concetto romantico di esperimento, manca del tutto quello
di prassi. Esso è completamente definito dalla Beobachtung,, dall'osservazione.
Cfr. ivi, pp. 60-61.
1'7 Sono frequenti in Schlegel i riferimenti all'attività. artistica estetica, come
attività produttiva c!esunta dai processi lavorativi. « Si crede spesso che si faccia
offesa a uno scrittore adoperando paragoni tratti dall'industria. Ma il vero autore
non dev'essere anche un fabbricante? Non deve forse dedicare tutta la sua vita
al lavoro di versare una materia letteraria in forme che, all'ingrande, sono appro-
priate cd utili? Quanto sarebbe da augurare a molti acciabattoni anche solo una
minima parte della diligenza e della cura che appena ci curiamo di notare negli
utensili piu comuni» (F. Schlegcl, Frammenti critici e scrilli di es/etica, cit.,
fr. 241, p. 104) ma poi la figura dell'artista ripiega su utopiche dimensioni arti·
gianali-medievali: anzi « come i mercati del medioevo, dovrebbero ora gli artisti
riunirsi in un Hansa per difendersi in qualche modo a vicenda» ( ivi, p. 154; si
veda per questo anche Novalis, Frammenti, cit., pp. 223-224). Chi invece spinge
alle sue estreme conseguenze queste premesse romantiche, dimostrando l'impos-
sibilità della loro utopia, è Holderlin. Ad esempio, nelle Anmerkungen zum
Odipus, che Benjamin cita con rilievo (dr. GS, I, 1, pp. 104-105). ~ proprio
l'elemento artigianale (Handwerkmiissig) della produzione estetica del bello che
condenc - una volta che si sia considerata « la differenza dei tempi e delle
costitu:llioni » - la « mcchanè » ( 1,1,'llX«vfi) degli antichi: il principio del « cal-
colo impostato secondo leggi » ( gesetz/ìcher Kalkul). Il principio teorico, per
cui il procedimento proprio della poesia pul> essere « calrouto e insegnato».
Questo certo significa solo la tecnicità delle condi7Joni e del processo del farsi
della poesia, non questa stessa: il suo contenuto, il suo significato « il senso
vit:Me, che non può essere calC'Cllato » mantliene però una relazione del tutto
necessaria con quelle « calcolabili Leggi,. (F. Holdcrlin, \Verke und Briefe, cit.,
Bd. 2, pp. 729-730). Sarà la necessità di questa relazione a determinare - ero-
dendo progressivamente e risolvendo in procedimento calcolabile-insegnabile anche
il « senso vitale» della poesia - le condizioni endogene della trasformazione del
« principio tecnico» dell'opera d'arte in principio della sua riproducibilità tee·
nica; il rapporto - necessario fino a fondersi in un unico processo - tra produ-
zione e riproduzione estetica.
111 GS, I, 1, pp. 71-72.

70
naum l'assoluto medium della Riflessione non è l'io (come nel
tardo Schlegel) ma l'Arte ed entro questo Absolutum l'opera,
nella sua conclusività, figura in maniera del tutto autonoma e
necessaria. Necessaria al progressivo realizzarsi dell'idea di questo
Absolutum: come « autodelimitazione » 189 del processo riflessi-
vo. « La forma piu alta è l'autodelimitazione deIJa riflessio-
ne» 190 : è la critica immanente aU'opera d'arte 191 • Il porsi dei
limiti della riflessione nella critica deil'opera è « crescita della co-
scienza» in essa e d.i essa: è il metodo che toglie le barriere
al progresso della coscienza nella Kritik, fondando l'interminabilità
del suo processo. L'approfondirsi dell'« autolimitazione della rifles-
sione» apre le porte della sua progressività, conducendo la forma
alla sua « volontaria distruzione», al suo « tramonto»; perché
cos{ rapporta metodicamente la sua Jimitatezza all'infinità dell'arte,
la scioglie nell'Absolutum della sua Idea; distrugge la forma deter-
minata dell'opera per avvicinarla aUa sua « indistruggibilità », per
schiudere attraverso di essa il « cielo della forma eterna » 192 •
Tutto questo per Novalis è Romantisieren ed avviene attraverso
l'ironia, che si differenzia dai suoi connotati semplicemente nega-
tivi per divenire « la tempesta che solleva il velo di fronte all'or-
dine trascendentale delrarte » 193 • La positività e obiettività del-
l'ironia romantica è il suo costituirsi in relazioni simboliche, come
« ironia formale», come trasparenza dell'idea dell'arte - quale
si esprime nei termini: « poesia trascendentale », « poesia della
poesia » 194 , che definiscono il carattere riflessivo dell'assoluto
- nel limite interno alle singole forme di rappresentazione; come
darsi deil'infinito nell'opera « nettamente definita in ogni pun-
to » 195 • La forma simbolica piu pura è la Kunstkritik 196 , in
quanto fluidif.ica le forme, ne produce storicamente il continuum,
effet,tua progressivamente l'ordine trascendentale dell'arte. (~ evi-
189 L'autolimitazione - scrive Sch]~cl - è Ja cosa« piu necessaria e suprema
per l'artista». « La piu necessaria: perch~ Jà dove uno non si limita, Jo limita
il mondo ... La suprema: pcrch~ è possibile limitarsi solo nei punti e nei lati
nei quali abbiamo una forza infinita, capacità di autocreazione e autoannulla-
mento.,. (F. Schlegel, Frammenti critici e scrilli di estetica, cit., p. 24.)
190 GS, I, 1, p. 74.
191 Qui sta massimamente - dice Benjamin - l'originalità de) concetto
schlegeliano di Kritik: l'aver definito il proprio criterio come quello « di una
determinata immanente costruzione dell'opera stessa» (ivi, p. 72).
192 Ivi, p. 86.
193 Ivi. Sul concetto romantico di ironia si veda anche di P. Szondi, F. Schlegel
e l'ironia romantica, in Szondi, op. cii., pp. 91-110.
194 Cfr. F. Schlegel, Frammenti crilici e seri/li di estetica, cit., p. 83.
195 Ivi, p. 93.
196 Or. GS, I, 1, pp. 97-98.

71
dente che, essendo stata quest'ultima definita come « poesia della
poesia », qui cade la distinzione tra poesia e cr,itica 197 .)
Si situa qui il concetto schlegeliano di « poesia universale
progressiva » 191 , come rapporto tra idea dell'arte e « tempo ».
L'idea non sta di fronte al tempo, che le opere, le forme, i generi
a1'tistici rappresentano, come « indeterminata infinità del compi-
to », né l' « infinita progressione » della poesia romantica scorre
nella « vuota infinità del tempo» 199 • t proprio il carattere ri-
flessivo del divenire - « vera essenza» della poesia romantica -
che instaura una connessione di rec-iproca implicazione tra « infi-
nità della progressione » e estrema determinatezza del compito
che ogni opera reca con sé. Benjamin, rilevando il fondo messianico
del pensiero romantico, critica qui per la prima volta l '« ideologia
del progresso » 200 , come « rapporto solo relat-ivo tra i diversi
gradi (Stufen) della Kuiltur »: la « progredibilità » di Schlegd
non è· un puro «divenire», ma « un processo di infinito adempi-
mento», l'« infinità temporale » del quale è « parimenti mediale
e qualitativa » 201 •
Questo, che è senz'altro il momento piu alto di critica alla
filosofia kantiana da parte dei romantici, è anche il lato impoten-
temente utopico del loro pensiero. Qui messianismo è senz'altro
compimento della storia sulla linea del suo divenire e non· sua
brusca interruzione e forse anche Benjamin, in questo periodo,
condivide questa visione utopica del messianismo. Ma l'utopia dei
romantici sta piu a monte. Se, come forse è stato chiarito, la
musica suonata dalla filosofia romantica non è pura « Sehnsucht »
del soggetto, ma « rivoluzionario furore di oggettività » (come
Schlegel stesso riconobbe) 202 ; se effettivamente « i romantici
volevano tenere lontano da sé proprio ,,il romantico", come lo
191 Termini che si fondono e si trasformano nel concetto di Roma'lw, come
« poesia piu spirituale», punto di neutralizzoione cli ironia e fonne di rappre-
sentazione, « fenomeno afferrabile,. del continuum delle forme dell'arte; e questo
attraverso la Prosa. Per cui la critica si configura come rapp,eu111azione (Dar-
slellung, intesa in senso chimico, come produzione di un materiale attraverso un
determinato processo, cui si devono sottoporre altri materiali) del « nocciolo
prosaico» presente in ogni opera. Ma, per questo, si vedano in GS, I, 1, le
pp. 98-108, dove Benjamin accenna anche alle differenze tra romantici e Holdcrlin
intorno al concetto di Nuchter11heit (sobrietà).
198 Cfr. il celebre frammento 116 dell'Alhentium in F. Schlegel, Frammenti
critici e scrilli di estetica, cit., pp. 64-6.5.
199 Or. GS, I, 1, p. 91.
DI Cfr. ivi, p. 93. Sull'escatologia romantica cfr. F. Schlcgcl, Frammenti critici
e scrilli di estetica, cit., pp. 79-80, e il citato saggio di Szondi.
201 lvi, p. 92.
:m Cfr. F. Schlegel, Frammenti critici e scrilli di estetica, cit., p. 30.

72
si intendeva allora e lo si intende oggi» 203 ; com'è che acquistano
senso le critiche hegeliane, dov'è la radice della loro utopia? Nel
credere che la musica della loro cr.itica, consumando proprio la
forma dell'oggetto, potesse restituirlo accresciuto, pieno di mag-
giori e piu solide determinazioni. Nell'attribuire all'ironia la capa-
cità di instaurare relazioni simboliche, non vedendo piut,tosto che
questa restituiva un soggetto vuoto 204 • Il soggetto è lo scacco,
non l'utopia dei romantici. Proprio il loro anticlassicismo - l'aver
attaccato il rapporto di equilibrio e corrispondenza tra forma e
significato 205 - determinava l'utopia, la necessaria ineffettualità
del lato poeticamente produttlvo del loro concetto di critica. Il
tentativo romantico di salvare la « sostanzialità » classica oltre il
classicismo determina anche il modo del suo rapporto con la tradi-
zione. Questo Benjamin già nel '18 pareva averlo ben chiaro:
« .il romanticismo è certamente l'ultimo movimento che abbia an-
cora salvato la tradizione. Il suo tentativo, prematuro in questo
tempo e in questa sfera, ha portato a un'apertura assurdamente
orgiastica di tutte le fonti segrete della tradizione, che avrebbe
inondato incessantemente l'intera umanità» 206 • La tradizione sa-
rebbe stata necessariamente desacralizzata, ed in questo preparata
alla distruzione.
La critica - vedrà lucidamente Benjamin qualche anno dopo
- « è moMificazione delle opere. Non è potenziamento della co-
scienza presente in esse (romanticismo!), ma insediamento in esse
del sapere» 207 •
201 E. Kircber, Philosophie der Romantik, Jena, 1906, p. 43.
201 L'ironia positiva dei romantici permane cosf nella negatività, che essa
agisce e concepisce come superamento dcll'demento negativo e conduce l'ironia
nel vuoto (dr. P. Szondi, op. cit., pp. 103-104). E questo come Szoncli e lo
stesso Benjamin vedono si chiarisce soprattutto nelle commedie di Ticck.
205 Benjamin chiarisce in un'appendice le differenze essenziali tra Goethe e i
romantici. Per Goethe l'opera d"an~ è incriticabile, in quanto non si dà idea
nel senso romantico, ma Ideale, come « apriori del contenuto », sua unità con-
...-ettuale, che si manifesta in un discontinuum limitato e armonico di contenuti
puri. Questi sono immagini originarie (Urbilder) date dalla Natura, e l'arte piu
vicina a tali Urbilder è quella greca: per questo i suoi prodotti sono modelli
( V orbilder) insuperabili e normativi per l'opera.re artistico. La singola opera
partecipa dello Urbild, ma non passa mai nel suo regno: in rapporto all'ideale
rimane sempre un Torso, che può durare solo come modello. Ma se <e di fronte
all'ideale il Torso è una figura lqpttima, nel medium delle forme non ba alcun
posto». Proprio perché non riesce come modello, l'opera d'arte: romantica deve
essere Forma definita. e compiuta; solo cosf, come forma limitata, puè, essere
momento transitorio nella vivente forma trascendentale; può farsi eterna, nella
« figura che passa•, attraverso la critica (dr. GS, I, 1, pp. 110-119).
206 LT, p. 29.
1111 Ivi, p. 73.

73
Nota 1: Benjamin e Klee: per una logica elementare del segno

t
.in relazione a una discussione con Scholem intorno al cubi-
smo - occasionata dalla mostra berlinese dello « Sturm » del-
l'estate del '17 1 - che Benjamin scrive due brevi note 2 intorno
al rapporto pittura-grafica quale emergeva dalle opere cubiste. C.On
queste mutava il codice semiotico, produttivo della lingua pitto-
rica. Il dominio dell'immagine anziché attraveI'So il colore si attua-
va attraverso la « forma lineare» 3, il segno. t a partire da questa
riflessione che si determina l'incontro con Klee, fondamentale per
tutta l'opera benjaminiana 4 : « Tra i nuovi pittori l'unico che
mi abbia colpito in questo senso è Klee, ma d'altra parte le mie
idee sui fondamenti della pittura erano ancora troppo poco chiare,
perché io potessi procedere da questa commozione alla teoria » 5 •
Il nome di Klee accompagnerà Benjamin per tutta la vita attraverso
l'Angelus Novus, il quadro di Klee acquistato a Berlino nel '21 6 •
La profonda affinità tra l'opera kleiana e quella di Benjamin è
eccezionale e stupefacente 7 •
Delineare, seppur brevemente, i tratti del rapporto Benjamin-
Klee significa però definire quello piu generale tra Benjamin ed
espressionismo. Questo è infatti già tutto dato, se non del tutto
sv.iluppato, prima ancora del libro sul dramma barocco. Solo di
una « spietata critica » era degno per Benjamin quella « scimmiot-
tesca imitazione della grande tradizione pittorica, che è l'espressio-
nismo letterario» 8 • Non con l'e5pressionismo dell'urlo, per inten-
1 Or. LT, pp. 38-40.
2 Malerei und Graphik e ()ber die Malerei ocler Zeichen und Mal, rimaste
inedite e ora in GS, II, 2, pp. 602-607; ma si vedano anche le notizie e i brani
di lettera che li riguardano in GS, Ili, }, pp. 1412-1415.
l Cfr. LT, p. 39.
4 Si veda per questo O. Werckmeister, W. Benjamin, Pa11l Klee und der
« Engel der Geschichte », in Die Neue Rundschau, a. 87, n. 1, 1976, pp. 16-40.
s LT, p. 39.
6 Cfr. G. Scholem, W. Benjamin e il suo angelo, trad. di M.T. Mandalari,
Milano, 1978, pp. 26-35.
7 Si confronti ad esempio la tesi nona delle Thesen iiber den Begri/1 der
Geschichte (in AN, pp. 7~n) che commenta l'immagine dell'Angelus Novus
kleiano e la nota 952 dei Tagebiicher di Klee ( trad. di A. Foelkel, con introclu,
zione di G.C. Argan, Milano, 1960, p. 318).
s C.OS{ si esprimerà Bcnjamin nel '21 nelJa sua Ankiindigung der Zeitschri/1:
Angelus Novus (dr. GS, II, 1, pp. 241-246). La rivista - a cui avrebbero dovuto
collaboratore Scholem, FI. Ot. Rang e lo scrittore S.J. Agnon - non usd mai per
il ritiro dell'editore Weissbach dal progetto; dr. per questo GS, Il, 3, pp. 981-997.

74
derci, Benjamin ha una relazione produttiva, ma con quello del
segno. Non con il premere indistinto e incontrollato contro il limi-
te, ma con lo sbalzare fuori il contorno, delle immagini come
dei significati, nella sua purezza: nell'incidere la tela, come nel
circoscrivere la frase negli spazi bianchi della pagina. A questo
si riconduce il giovanile ma duraturo amore benjaminiano per la
prosa di Scheerbart. E soprattutto per quel « fantastico » romanzo
astrale che è Lesabèndio. « Violetto era il cielo. E verdi erano
le stelle. E anche il sole era verde. » 9 Questo inconfondibile inizio
denota già il carattere della prosa scheerhartiana. Il suo respiro
è breve e de.finito, la sintassi semplice, anzi povera. Il fantastico,
l'extra-cosmico, che il romanzo ha per tema, è imprigionato con
leggerezza nel linguaggio quotidiano. Vinvenzione non è « ricerca-
ta» sul piano linguistico-sperimentale, ma - presente soltanto
nei nomi, nelle figure, narrata nei fatti - traluce sull'orlo della
frase, esala dai suoi punti come l'anima dalla bocca del morente,
secondo le antiche credenze. L'Hlustratore di questo romanzo fu
A. Kubin, l'amico e « maestro » di Kafka: i suoi· disegni non
convinsero del tutto Scheerbart, perché conferivano un'« ansia»
alle figure ed agli eventi del romanzo assente dalle sue intenzioni.
Ma, si sa, non sempre è l'intenzione che conta: gli « omini »,
che brulicano nella costruzione della torre che congiungerà il piane-
ta Pallas al suo sole, sono soltanto la deformazione grottesca e
lo svelamento dell'altro lato, intriso d'angoscia, che l'« astrale »
serenità del romanzo racchiudeva. Questi «omini», scarnificati
ulteriormente, ridotti solo ad alcuni « tratti », si trasformeranno
in quelli che Kafka scarabocchiava nei suoi Diari. Ma proprio
« con l'impiego esclusivo di linee pure» erano rappresentati gli
uomini di Klee.
Non è certo casuale allora il grande interesse di Kubin per
Klee. Di Kubin Klee colse perfettamente il suo essere figura di
passaggio: « Rimase bloccato a metà strada, bramò di diventare
adamant-ino, ma non riusci a liberarsi dalla melma tenace de11a
realtà fenomenica... è vivo a metà, pieno di vi,ta nel distrugge-
re » 10 • In questo suo sguardo oltre la distruzione l'itinerario kleia-
no - dall'iniziale torcere nel grottesco le linee ondulate dello
]ugendstil fino alle composizioni della matur.ità - esprime in sé,
9 P. Scheerbart, Lesabèndio, con una nota di P. Raabc, Miinchen, 1964 (il
romanzo è del 1914), p . .5; si veda in proposito la prima Lesabèndio-Kritik di
Benjamin (la seconda è andata dispersa) scritta tra il '17 e il '19, in GS, Il, 2,
pp. 618-620.
10 P. Klec, Tagebiicher, cir. p. 320.

75
sinteticamente, quel processo che conduce la « sobria »· prosa di
Scheerbart - tramite la mediazione di Kubin - a quella kafkiana,
dove il fantastico è il « terribile » che alberga nei gesti quotidiani.
Per questo lo humour di Klee è della stessa grana di quello che
Benjamin dirà essenziale in Kafka: entrambi - come scriverà
a Scholem il 12 ·giugno '38 - sono so,tanzialmente isolati e vivono
in un « mondo complementare » 11 • Questo mondo è quello della
scrittura: la trasformazione della vita, anzi dei brandelli che ne
sono rimasti, delle rovine c-ui la distrutta esperienza è ridotta,
in articolazione di segni, in pagine decifrabili per coloro che ver-
ranno. In quanto scrittura della miseria, questa scr-ittura stessa
è metamorfosi: « Non si tratta di imitare o copiare, ma piuttosto
di mutare e trasforma~e » 12 , scrive Klee.
« Picasso vede il quadro come un muro, Klee come una pagi-
na» 13 : la differenza fondamentale contenuta in questa definizione
di Greenberg, Benjamin l'aveva mirabilmente chiarita nei due bre-
vi scritti del '17-18 prima citati. Poiché il quadro si offre sempre
verticalmente al considerante, mentre il disegno - come il mosai-
co - può giacere orizzontalmente, « si potrebbe parlare - dice
Benjamin - di due tagli attraverso la sostanza del mondo: il
taglio longitudinale della pittura e quello trasversale di certe gra-
fiche. Il taglio longitudinale appare come "rappresentante", esso
contiene in qualche modo le cose, quello trasversale, simbolico,
contiene i segni » 14 •
La grafica è essenzialmente scrittura, per questo non contiene
le cose attrave1'6o le loro immagini. In essa proprio le immagini
sono decomposte, anzi de-immaginate, decostruite nei loro segni
elementari. Il lavoro grafico è lavoro sull'immagine; piu che alla
relazione di questa con la cosa guarda alla sua relazione con le
operazioni psichiche che la producono, ai procedimenti, alla tecnica
della sua formazione, al suo codice. L'alfabeto della grafica è il
tratto allo stato puro. La sua lingua è di puri segni: per questo
in e,sa non si riproduce la cosa, ma si de-scrive, si delinea. Essa
è ar,ticolazione asonora delPimmagine e soprattutto « anticroma-
tica », C.ome Benjamin vide a proposito del cubismo e di Klee,
rilevando l'essenza scritturale di tali pitture. Ma questo processo
- come ancora la relazione particolare di determinazione reciproca
11Cfr. LT, p. 346.
12P. Klec, Teoria della forma e della figurazione, 1, a cura di J. Spillcr,
Milano, 1959, p. 458.
13 C. Greenberg, Sau.io su Klee, trad. di C. Salmaggi, Milano, 1960, p. 8.
1t GS, 11, 2 p. 602.

76
tra linea grafica e superficie, il suo fondo, che, a differenza della
pittura dove la composizione è « reciproca delimitazione di super-
"fici cromatiche » 15 , svolge una funzione analoga allo spazio bian-
.co della pagina e getta luce -sull'elemento visivo della scrittura -
non è che la via kleiana al segno, che i suoi scritti teorici chiari-
ranno. Questa via non è comprensibile senza presupporre due « fat-
ti» filosofici ben presenti al pensiero di Benjamin: il fallimento
.del progetto neokantiano di definire, metodologicamente, nel sog-
_-getto gli elementi trascendentali dell'esperienza e la crisi delle ricer-
.che husserliane volte a stabilire del tutto puramente e a priori
le interrelazioni ed i modi di trasformazione della connessione
.espressione-significato. E insieme l'oggettivo rapporto con i proto-
Tomantici, nel considerare la -« sospensione del soggetto » (Rilke)
·nel processo di figurazione del quadro, come sollecitazione delle
-sue « inconsce dimensioni» 16 • Il movimento della figurazione,
in Klee, non è cosi un arricchil'5i dell'immagine, ma un « impo-
verire» 17 , uno « spingersi criticamente a ritroso» per appren-
dere la <1. preistoria del visibile » 18 , un dissecare l'oggetto per
t'ilevarne - attraverso sezioni - la sua interna complessità, il
carattere «infinito» 19 di ciò che i suoi limiti interni racchiudono.
E questo fino ad individuare le « articolazioni elementari del se-
;gno »20 , la logica che fa di questi elementi « .funzioni » dinamiche
nella genesi della forma, la cui struttura generativa è nella dialetti-
ca punto-linea-superficie. Ma questa dialettica, pur avendo fortissi-
·me connessioni con le pagine hegeliane dell'Enciclopedia dedicate
alla genesi dello spazio, ne differisce in un punto fondamentale.
La « disciplinata riduzione del tutto a pochi tratti » che essa per-
mette mostra l'arbitrarietà della logica del segno e, solo in questo,
la sua stor.ica necessità (che non è altro che « la storia della propria
"forma»). L'« ordine nel movimento» 21 , che solo Panalisi di tale
logica produce, è costruzione di funzioni nella forma all'interno
15 Or. GS, II, 2, p. 606-607.
16 P. Klce, Teoria della forma e della figurazione, I, cit., p. 93.
17 lvi, p. 8.
11 Ivi, p. 69.
19 « L'interno è infiniro. Sino all'enigma del recesso piu intimo, del punto
carico, una sorta di risultato dell'infinito (la causa). Termine di paragone in
natura: il seme. L'esterno è finito, costituisce cioè il termine delle ene11tic
-motrici, il limite dei loro effetri dettati dalla causa.• (P. Klce, Teoria della
forma e della figurazione, l,l, trad. di C. Mainoldi, Milano, 1970, p. 149.)
20 Or. G. Manacorda, Scacchiere, saggio introduttivo a P. Klce, Poesie, a
cura di G. Manacorda, Milano, 1978.
21 « Ingrcs avrebbe messo ordine nella quiete, io oltre il patetico, vorrei
:mettere ONline nel movimento.» (P. Klee, Tagebuche,, cit., p. 314.)

77
del quadro. La dialettica è « dialettica di elementi ·'~ntro i limiti
della figura e del quadro » 22 • :8 questa la « diai'ettica in stato
di quiete » di cui parlerà Benjamin.
Non si restaurano, in Klee, le relazioni iconico-simboliche
della pittura. Il presupposto delle sue « operazioni » sono le mace-
rie nel « deserto del presente »: . queste « offrono la materia al-
l'astrazione » 23 , lavorando su di esse si fabbricano strumenti per
misurare e percorrere la desolata vastità di questo deserto. Le
costruzioni in esso possibili sono costruzioni dopo la barbarie:
e barbare, dirà Benjamin, sono le figure di Klee. Per questo, avver-
te Klee (e questo è uno dei punti di maggiore convergenza con
Benjamin), « mettiamoci il cuore in pace: costruttivo non vuol
dire totale » 24 •

22 P. Klcc, Teoria della Jormll e dellll Jigurtnione, I, cit., p. 73.


ll Cfr. P. Klcc, Tagebi«her, cit., p. 318.
24 P. Klee, Teori11 dello formo e dello figur11vone, I, cit., p. 70.

78
Il. Lingua, « politica » e utopia teologica
Le prime verità furono fatte arbitrammente da co-
loro che per primi imposero i Nomi alle Cose, o
li ricevettero dall'imposizione di altri.
(Th. Hohbts)
Lingua - la Madre della Ragione e Rivelaione,
il suo alfa e omega. (J.G. Hamann)
i? per me di grande importanza, il fatto che Lei
metta cosf chiaramente in rilievo la convinzione
che mi guida nei miei saggi letterari, e che la con-
divida, se ho capito bene. La convinzione che ogni
veritd ba la sua casa, il suo palauo avito neUa lin-
gua, che esso è costruito con i piu antichi logoi, e
che di fronte ~ verità cos( fondalll le percezioni
delle soienze particolari restano subalterne, fin~
continuano ad arrangiarli per cosf dire vagabondan-
do a caso nella sfera della lingua, prigioniere di
quella concezione della lingua come complesso di
segni che imprime swla loro terminologia il carattcn:
del piu irresponsabile arbitrio.
(W. Beniomin)

I
A. Indicibile e Niichternheit. « La purissima (kristallreine)
eliminazione delrindicibhle nel linguaggio è la forma che ci è data
e per noi piu naturale, per agire aH'interno del linguaggio e in questo
senso attraverso di esso. Questa eliminazione dell'indicibi~e mi
pare coincidere esattamente con lo stile veramente obiettivo,
sobrio e spoglio, e delineare la relazione fra conoscenza e azione
appunto all'interno della magia linguistica. Il mio concetto di stile
e modo di scrivere obiettivo e insieme altamente politico è questo:
condurre a ciò che si rifiuta alla parola; solo dove si schiude
questa sfera del muto suo potere indicibilmente puro, può scoccare
la scintilla magica fra la parola e l'azione movente, dove sta l'unità
di questi due momenti ugualmente reali. Solo la direzione intensiva
delle parole dentro il nucleo del piu profondo ammutolire raggiun-
ge la vera efficacia. » 1
Queste parole costituiscono il momento centrale della lettera
con cui Benjamin comunicava a Buber la propria indisponibilità
a collaborare a De, Jude. Non giocava in questo solo la profonda
avversione per il culto buberiano dell'Erlebnis; il rifiuto era detta-
to da motivi profondamente « politici », dalla violenta ribellione
1 Lettera a Bubcr, luglio 1916, in LT, p. 24.

79
verso « ogni forma di letteratura politicamente a~tiv . L'equivo-
co della sua collaborazione -allo Ziel di Hiller si era finitivamente
chiarito. Usare il linguaggio, la scrittura per« infl nzare il mondo
morale e l'agire dell'uomo», per «preparare» all'azione, non era
da respingere perché questo esorbitava dai compiti dell'attività-
letteraria, dai limiti del linguaggio, quanto per il fatto che questo.
ultimo, cosf, veniva « degradato a semplice mezzo» 2 • Proprio
questo immiserimento della sua funzione rendeva la scrittura im--
potente, inefficace. La scritturi! quanto alla sua ef:ficada è magica,
cioè « im-mediata » (un-mittel~bar). Solo quando non è strumento
- organon - per la « comunicazione di contenuti », quando non è
usata, la parola dischiude « la sua dignità e essenza», è efficace.
L'efficacia della lingua, il suo « .segreto », la sua « magia » sta-
nel non lasciarla stritolare in « un meccanismo per la realizzazione
del giusto assoluto » 3 , rispettandola nella sua « autonomia »,
guardando ad essa come ad un territorio da percorrere con circo-
spezione, accortezza e cautela, per non calpestarv-i i germogli di
verità, ma coltivarli, aiutarli a nascere. Non solo cosf Benjamin
si sottraeva ai « discorsi a vanvera» di uno Hiller, ma distingueva·
fortemente l' « Indicibile » che questa dimensione della lingua rac-
chiudeva e schiudeva dall' « Ineffabile » di Buber. L' « Unaussprech-
licbe v.- buberiano è l'essenza dell'Estasi, il parto della Tie/e,
della profondità, il contenuto dell'Erlebnis 4 del mistico, nel senso
pio « usuale » del termine; Erleben a cui fondamento sta l'uni,tà,
l'intima fusione di io e mondo, il superamento della stessa molte-
plicità dell'io. Questo « inesprimibile » sta prima ed olire il lin-
guaggio, quello benjaminiano dentro di esso, come laghi e torrenti"
in un bosco, ed intorno ad esso, ai suoi confini, come il mare-
attorno un'isola. L'ammutolimento, il silenzio benjaminiano non·
è Erlebnis dell'Io, ma, se cosf si potesse dire, è resperienza di
sé che la lingua mostra, quando l'indidbile è sottratto alla tenta-
zione di imprigionarlo negli « stili» della -scrittura. Solo in questa·
eliminazione, solo in un modo di scrivere « oggettivo, sobrio e
spoglio » (sachlich e nuchtern), si schiude la sfora di ciò che-
si nega alla parola. Solo nel rapporto tra Silenzio e Niichternheit~
l'impotenza del linguaggio rivela la sua potenza.
;8 il significato di questa Macht, di questo potere ad· essere-

2 Ivi. p. 23.
1 LT, p. 24.
4 Or. M. Bubcr, Ekstase und Bekenntnis, in AA.VV., Theone des Expres-
sionismus, a cura di O.F. Bcst, Stuttgart, 1976, pp. 94-9&

80
ancora - almeno fino al Trauerspielbuch - fortemente ambiguo.
(Sarà -solo nelI'Ursprung, infatti, che con una certa chiarezza si
mostrerà come ripristinare la trasparenza simbolica del Nome, la
sua originaria potenza, significa solo illuminare la lacerazione che
il nome ormai significa, l'afflizione che aderisce ormai alla sua
-storica e necessaria arbitrarietà. Ma insieme anche l'effettivo po-
tere della sua miseria ontologica.) Benjamin qui e negli scritti
sul linguaggio di questo periodo non sembra sottrarsi a quella
« fede nel linguaggio » irrisa da Nietzsche come un mostruoso er-
rore 5 • Questa fede, però, forse proprio perché proclamata, non
esaurisce la riflessione benjaminiana sul linguaggio, l'attraversa
totalmente, ma non fino ad immiserire il significato « altamente
politico» dello stile e del modo ài scrittura, che Benjamin presenta
nel brano di lettera a Buber citato all'inizio. Solo tentando di
dipanare quanto in tale brano è intrecciato e implicato è fon5e
possibile chiarire come.
Nella sua Asthetische Theorie Adorno - superando con ciò
un'incomprensione di decenni circa le parole che chiudono il Trac-
tatus wittgensteiniano 6 - ha richiamato la sorprendente coinci-
denza ,tra le parole di Benjamin e quelle di Wittgenstein 7 • Ma
per non accontentarsi di letterali assonanze, che facilmente possono
trasformarsi in « letterarie », o per non disperde.tiSi in giochi di
concordanze di direzioni di pensiero cosi diverse (giochi, che trop-
po spesso finiscono per tirare i testi per i capelli; da questo non
è indenne certo .il tentativo della Wiesenthal), è necessario chie-
dersi se e perché Benjamin e Wittgenstein convergono proprio
in questo punto, per ripa11tire da esso per vie del tutto differenti
e difficilmente commensurabili. E questo tanto piu che - secondo
la testimonianza di Scholem 8 - non solo il Tractatus, ma lo
stesso nome di Wittgenstein è del tutto assente dall'opera di Be-
njamin.

5 Cfr. F. Nietzsche, Umano troppo umano, trad. di S. Giametta, Milano,


I, af. 11, pp. 20-21
6 Cfr., ad esempio, Th. W. Adorno, Terminologia filosofica, trad. di A.
Solmi, Torino, 197.5, p . .50 e passim.
7 Cfr. Th. W. Adorno, Teoria estetica, trad. di E. Dc Angeli.,;, Torino, 1976"
pp. 290-291; in base a questo suggerimento adorniano la Wicscnthal ha corcato
di mostrare una piu generale concordanza tra la teoria li.ngujs,tjca del giovane
Wittgenstein e quella del giovanc Bcnjamin; cfr. Zur Wissenscha/tstheorie Walter
Benjamins, cit., pp. SS-91.
8 C.Ontenuta in una lettera a G. Schiavoni del 17 luglio 1976, citata in G.
Schiavoni, Silenzio e parole a vanvertl. Note alla critica willgensteiniana, in Nuova
corrente, n. 72-73, 1977, p. 22.5.

81
Entrambi, in qualche modo, presuppongono le; ricerche di
Fritz Mauthner 9 (soprattutto Die Sprache del 1906, concentrato
e correttivo della precedente opera in tre volumi Kritik der Spra-
che), dove l'essenziale metaforicità del linguaggio e piu in generale
dd Logos - affermata già da Nietzsche in Verità e men1.ogna
in senso extra-morale (1872)- non è solo svolta in senso finziona-
listico, come « fissazione dell'errore» 10, ma rovesciata nel suo
potere effettivo, dato dall'isomorfismo tra lingua e società e dalla
immanenza della tirannia, che, nella simbiosi tra i due termini,
la prima esercita tSulla seconda. Autorità « piu forte e inflessibi-
le» del linguaggio non v'è: con la sua grammatica, col suo lessico,
la lingua rappresenta l'« assoluta ragione », l' « assoluta logica »
di un popolo 11 • Dal « potere eterno del linguaggio » non è possi-
bile liheMrsi: ci si può liberare dalla lingua - dice Mauthner -
solo come da un falso« strumento di conoscenza», ma alla tirannia
del linguaggio sulla vita non si sfugge: « ciò che non è nel linguag-
gio, questo non è neanche nel mondo» 12 •
Mentre l'immediato commento delle posizioni di Mauthner
costituiva - ad esempio in un libro come quello di Gustav Lan-
dauer, Skepsis und Mystik 13 - l'avvio ad una spiritualizzazione
del mondo tramite la -parola, anzi l'arte della parola (Wortkunst),
- ad una mistica reductio della «materialità» mondana a Stim-
mung poetica, ad espressione psichica, alimentata proprio dalle
ceneri scettiche della Sprachkritik 14 , - le conclusioni tratte
(quasi nello stesso periodo) da Wittgenstein e Benjamin sono
9 Bcnjamin già nel 1~10 leggeva Die Sprache (dr. BR, p. 28) e anche una
decina di anni dopo il nome di Mauthncr compare in discussioni - tra Benjamin,
Scholem e il linguista Emst Lewy - sul rapporto tra ebrei e lingua (dr. Scholem-
Biogr., p. 136). Sul rapporto tra Wittgcnstcin e Mauthner dr. A. Janik-S. Toul-
min, La grande Vienna, trad. di U. Giacomini, Milano, 197.5, pp. 121-128 e
passim, che, pur mettendo in evidenza le differenze di impostazione tra i due,
non ne traggono le dowte conseguenze, e cioè che il carattere interno della
Sprachkritik di Wittgenstein (dr. ivi pp. 181-184) costituisce l'impossibilità di
una pretesa filosofia krausiana come base del Tractatus.
10 Ccmc era invece il caso per Die Philosophie des Als Ob di H. Vaihinger
( 1911), trad. di 1-', Voltaggio, Roma, 1967.
li F. Meuthner, Die Sprache, Frankfurt/M., 1906, p. 86.
12 « Was nicht in der Sprache ist, das ist nicbt auf der Welt. » (ivi)
t, Il G. Landauer, Skepsis und Mystik: Verruche ins A111chluss an Mauthners
Sprachkritik, Berlino, 1903.
14 Or. ivi, pp. 70-73; per questo si veda. anche H.G. Kemper: Vom
Expressionismus zum Dadaismus, pp. 182-20.3. Come ha ben visto Kcmpcr,
questa impostazione di Landaucr della Sprachkritik sta a fondamento di gran
parte della « Poesia sonora» dadaista, e in particolare a quella Spr«htheologie
di impronta cattolica presente in un Ball, con cui Benjamin del resto fu per un
certo tempo in contatto.

82
assai diverse. Mentre Wittgenstein prosciuga tramite analisi logica
il corpo del linguaggio dalla linfa dei pronunciamenti etici, depura
« logicamente » la lingua dall'essere incarnazione dell'Etica, Be-
njamin cerca di mostrare « teologicamente » J>origine di questo
assurgere del linguaggio a sede e voce del giudizio. Sia in fondo
al percorso logico di Wittgenstein, che a quello teologico di Benja-
min il Mistico non sta come chi finalmente riposa e irraggia nel
guscio vuoto della parola, ma come orizzonte, che si predude al
suo sguardo - al dire della parola - e ne circonda la durezza
e datità 15 •
Del resto il percorso te<flogico di Benjamin intorno al proble-
ma della lingua ha origine anche da questioni logiche (quelle di
Frege ad esempio, discusse con Scholem 16 ), dal rapporto tra « lin-
gua e matematica ». Parlando a Scholem, infatti, del suo lavoro
Ober die Sprache uberhaupt und uber die Sprache des Menschen,
Benjamin scrive che non gli è stato possibile, in esso, entrare
nel merito del rapporto « matematica e lingua, cioè matematica
e pensiero, matematica e Sion » 17 , anche se ha ben chiaro che
una considerazione linguistico-teorica della matematica riveste un
significato fondamentale per « la teoria della lingua in genera-
rale » 11 • Qualcosa tuttavia può essere inferito circa il possibile
rapporto tra la ,teoria linguistica benjaminiana e il problema fre-
geano di una Begrif/schri/t (Ideografia) 19 • Mentre Wittgenstein
- nel Tractatus - assume radicalmente il problema di Frege
di una fondazione logica delle proposizioni linguistiche naturali
mostrando al fondo - proprio in virtu della distinzione fregeana
Sinn-Bedeutung - che la fondazione logica del linguaggio è solo
la fondazione del linguaggio, del tutto « formalizzato», interno
alla Ratio, cioè la sua auto-fondazione sulle riflessioni analitiche
degli « elementi » della sua forma e quindi tautologia 20 ; Benjamin
15 Come non leggere anche in questo contesto le parole di Wittgenstein:
« Il mio metodo non è di separare il duro dal molle, ma di vedere la durezza
del molle» (L. Wittgenstein, Quaderni 1914-16, in Traclatus logico-philosophicus,
trad. di A.G. C.Onte, Torino, 1964, p. 138).
16 Or. Scholem-Biogr., pp. 65-66.
17 Lettera a Scholem dell'll novembre 1916, in BR, p. 128.
1s lvi, p. 129.
19 Cfr. W.C. e M. Kneale, Storia della logica, a rura di A.G. C.Onte, Torino,
1972, pp. 547-585.
20 Questo sbocco critico dell'imposta%ione fregeana significa evidentemente
l'impossibilità dell'equazione russelliana tra proposizioni logiche e dati di fatto;
dr. R. De Monticelli, Frege, Husserl, Wittgenstein. Note sul problema della fon-
dazione, in Nuova co"ente, n. 72-73, 1977, e M. Cacciari, La Vienna di Wi/1-
genstein, ivi, in part. pp. 59-63.

83
esclude a priori la possibilità di un'« ontologia for,male » 21 • Una
ontologia del genere presupporrebbe un primato della Ratio sul
linguaggio, sui linguaggi. Ed è proprio questo assente dalla pro-
spettiva benjaminiana: il pensiero non è correlato della verità 22 •
E la verità, ogni verità - come -scriverà qualche anno dopo 23 -
abita nel linguaggio: non può quindi venir «pensata» in quanto
essa stessa «pensa». II pensiero come tale è pensabi1e solo come
« astrazione» da questa verità. Asserirne una particolare identità
« sarebbe l'assoluta tautologia» 24 • La tautologia è, come luogo
di identificazione del pensiero, anche il luogo della sua visibilità.
Ma qui l'identità si mostra solo come l'identità del « pensato».
A = A mentre indica ,l'identità dd «pensato», e insieme - ag-
giunge Benjamin - guelfa della verità stessa, non indica altro
all'infuori dell'identità dell'oggetto-del-pensiero con se stesso. Al-
tra sarebbe la forma dell'identità dell'oggetto come tale con sé.
Ricercare l'identità dell'« oggetto concreto», dice Benjamin, con-
durrebbe forse alla « dottrina dell'eidos ». E questa - come la
Vorrede epistemologica deirUrsprung dimostra - non si risolverà
in senso husserliano, ma in una « Teoria dd Nome». Presupposto
di questa è il saggio Ober die Sprache uberhaupt und uber die
Sprache des Menschen del 1916.

B. Sulla lingua in generale e su quella degli uomini. Non


accettare il primato della Ratio sulla lingua significa per Benjamin
avversare la signoria di un Soggetto uberhaupt •sui linguaggi umani
come incarnazione-espressione della Ratio, che si produce nella
lingua. Questa avversione è di origine profondamente teologica.
In un testo che Benjamin legge in questo periodo - la Philosophie
der Geschichte di F.J. Molitor 25 , che contiene mol.te delle idee

21 R. De Monticelli, cri. cit., p. 20.


22 Lettera a Scholem del 23 dicembre 1917, in BR, p. 162.
23 Or. la lettera a H. von Hofmannsthal del 13 gennaio 1924, in LT,
p. 74, citata all'inizio di questo paragrafo.
2t DR, p. 162.
25 F.J. Molitor, Philosophie der Geschichle ode, uber die T,adition in dem
alten Bunde und ih,e Beziehung zu, Ki,che des neuen Bu11des. Mit vo,zugliche,
Riicksichl auf die Kabbalah, Milnstcr, 1834, 2 vv. Ma un documento essenziale
alla comprensione della « teologia della lingua » che permea il discorso benjami-
niano è il bel saggio cli G. Scholem, De, Name Gottes und die Sp,achtheorie
de, Kabbala, in Judaica III. Studien :wr ]udischen Mystik, Frankfun/M., 1975,
pp. 7-70. Il saggio è del 1970, ma, come avvenono i curatori delle Gesammelte
Schriften bcnjaminiane, riporta pensieri che risalgono agli anni del « comune
Philosophieren »; dr. GS, I, 3, p. 886.

84
sviluppate nel saggio in questione - il rapporto tra pensiero e
linguaggio è definito a-ttraverso quello tra Padre e Figlio (divini)
nella teologia cabalistica: « Come il Figlio è nel Padre, e non
si separa mai dallo stes,so, cosi anche il parlare è inseparabile
dal pensiero ed è sempre presso di esso. Poiché il pensare non
è nient'altro che uo interno, spirituale, potenziale parlare, e i pen-
sieri sono per cosi dire spirituali, potenziali parole » 26 • Questo
rapporto di identità potenziale tra pensiero e lingua umana, che non
è semIJlicemente rapporto di significato ed espressione, ma di in-
teciormente espresso e di espresso al di fuori, domina il saggio be-
njaminiano. Il pensiero è sempre linguaggio - pura Idea è solo
Dio, che come tale è inesprimibile: il Figlio è il suo verbo - i due
termini non si di,stinguono fino a che il pensiero non si stacca
dal ling~agg_io come astrazione. Quando cioè la parola diventa se-
gno arbttrarzo.
La « domanda circa l'essenza di conoscenza, diritto ed arte »
si connetteva cos{ direttamente e necessariamente a quella « circa
l'origine di ogni manifestazione dello spirito umano dall'essenza
del linguaggio » 27 • La questione della lingua è la questione « ori-
ginaria » perché la lingua come « principio rivolto alla comunica-
zione di contenuti spirituali » 28 , è categoria compreooiva di ogni
realtà. « Non vi è evento o cosa nella natura animata o inanimata
che non partecipi in qualche modo della lingua, poiché è essenziale
a ogni cosa comunicare il proprio contenuto spirituale. » 29 La
lingua è il presentarsi della cosa stessa, il suo trasparire in rapporto
a tutto il resto, l'apparire del suo Wesen. Se qui « la parola lin-
gua » non è una « metafora», questo peraltro non significa che
il W esen spirituale di una cosa coincida con il suo apparire linguisti-
co. La supposizione di tale coincidenza, propria di una teoria mistica
del linguaggio, è « il grande abisso in cui rischia di cadere ogni
teoria del linguaggio, e su di esso, giusto su di esso, è il suo compito
di tenersi librata» 30 • La lingua non è l'essenza spirituale della cosa,
ma il luogo della comunicazione di questa, la sua espressione.
Quel che un « essere spirituale » (geistiges Wesen) comunica nella
lingua, non è che il suo essere linguistico, la sua lingua. E la
lingua di ogni W esen è « immediatamente ciò che in esso è comuni.
26 F.J. Molitor, Philosophie der Geschichte, eit., I, p. 339.
Il Lettera a E. Schoen del 28 dicembre 1917, in BR, p. 26.5.
28 AN, p. 51.
29 lvi, p. 61.
30 I vi, p. 52.

85
cabile» 31 • Il comunicabile (·Mitteilbare) è « immediatamente la
lingua stessa». « Ogni lingua comunica se stessa »: non v,è scarto
tra il comunicabile di una cosa e la sua espressione, la sua lingua.
Non v,è un « parlante » a parlare tramite questa lingua 32 , è la
lingua della cosa ,stessa che parla: « il linguaggio di questa lampada,
per esempio, non comunica la lampada (,poiché l'essenza spirituale
della lampada in quanto comunicabile, non è per nulla la lampada
stessa), ma la lampada-nel-linguaggio (die Sprach-Lampe), la lam-
pada-nella-comunicazione, la lampada-nell'espressione » 13 •
Questo non significa un autonomo formalizzarsi dell'« esse-
re » nel linguaggio e quindi non è - avverte Benjamin - « tau-
tologia >>; bensi che il comunicarisi dell, essere linguistico de1le C(}-
se è tutto nella loro lingua. Non c'è tensione tra quest'ultima
e l'essere spirituale della cosa, ciò che di esso non si comunica
è da questo stesso indicibile, è il suo lato non-linguistico, che
si nega all'apparire deMa comunicazione. La lingua non è infaMi
un semplice mezzo tramite il quale si manifesta l'intenzione co-
municante, non è un «conduttore» attraversato da « tensioni »
significanti, ma è il «medium» della comunicazione 34 • « L'es-
sere spirituale si comunica in e non attraverso una lingua. » 35
Cosf la lingua non ha contenuto al di fuori di sé 36 : questo in-
duce Benjamin a reintrodurre l'identità tra essere spirituale ed
essere linguistico, scartata come ipotesi iniziale. « Lingua priva
di contenuto » non indica un vuoto ricettacolo per l'essere spi-
rituale, ma la sua sostanza; la sua pura « comunicabilità ». Ma
questa identità è introdotta per mostrare il « contrasto » che
in ogni « creazione linguistica » (sprachliche Gestaltung) esiste
tra ciò che in ossa è espresso ed esprimibile con l'inespresso e
inesprimibile 37 • L'identità tra « linguistico » e « spirituale »
presuppone - per Benjamin - l'atto divino della creazione. So-
lo nella creazione tale ·identità è perfetta, ma - ·nella sua perfe-
zione - inesprimibile. La lingua della creazione è « creatrice »,
è parola «onnipotente», in cui azione e conoscenza sono inti-
mamente connesse: l'oggetto creato è segnato· definitivamente da
questa parola, «incorporato» nella lingua divina attraverso il no-
31 Ivi, p. 53.
32 Ivi, p. 52.
~ lvi, p. 53.
34 ar. ivi, p. '3.
35 lvi, p. 62.
36 Cfr. ivi, p. 56.
:n Cfr. ivi, p. Yl.
me, come il momento di perfetta coincidenza tra essere linguistico
e spirituale della cosa, luogo della sua conoscenza. La lingua del-
la creazione « è quindi ciò che crea e ciò che compie, è il verbo
(Wort} e il nome. In Dio il nome è creatore perché è verbo,
e il verbo di Dio è conoscente perché è nome» 31 • La lingua
dell?. creatura è impronta di quella divina, ma in essa questa Ab-
drucle (impronta) non giunge perfettamente ad espressione ,(Aus-
druck ), non pronuncia il proprio nome. La lingua delle cose è
muta, ad esse è « negato il puro principio formale lingu~tico:
il suono » 39 • La « Gemeinschaft » delle cose è puramente ma-
teriale (« magica » dice Benjamin), non giunge alla pura traspa-
renza simbolica. Questa trasparenza solo l' « immateriale e pura-
mente spirituale suono» può darla. Solo la lingua umana articola
i suoni, nomina le cose, esprime l'inespresso racchiuso nell'at,to
della creazione. La lingua umana è l'unica denominante, « l'es-
senza linguistica dell'uomo è ... di nominare le cose» 40 • Cos{ egli
compie la creazione 41 e rivela la perfetta contiguità simbolica
tra creato e « creatore ». Solo in questa relazione di « equilibrio »
l'uomo si presenta come « il soggetto della lingua, e .perciò stesso
l'unico » 42 , in quanto non dispone arbitrariamente, nella lingua,
dei significati delle cose, ma, conoscendole, le disvela. Nel nome
la cosa non è designata, il 110me non è « usa.to » per comunicare
un quid agli altri uomini. Questa - dice Benjamin - « è la
concezione borghese della lingua », limpidamente espressa nella
citazione di Hobbes posta a esergo di questo capitolo. La teoria
benjaminiana del nome « non conosce alcun mezzo. alcun sogget-
to destinatario della comunicazione. Essa dice: nel nome l'essere
spirituale dell'uomo si comunica a Dio » 43 • Nel nome non si
dà alcuna « 6eparazione di segno e designato, di -significato e si-
gnificante» 44 : la lingua denominante non si impone alle cose,
38 Ivi, p . .59. C.ome osserva la Wiesenthal « cos{ creazione e riflettersi del
processo di creazione sono lo stesso atto. C.omc "Riflesso" il Nome è il momento
conoscitivo nell'atto di creazione. Creazione è tanto creazione quanto conoscenza.
Agire e conoscenza hanno il loro comune punto di partenza nella parola divina.
Se le cose sono croate nella parola, cosf la loro conoscibilità ~ garantita nel nome •·
(L. Wiesenthal, Zur Wissenschaftstheorie Walter Benit1mins, cit., p. 77).
39 AN, p . .58.
40 lvi, p. 54.
41 Or. ivi, p . .55.
42 lvi.
43l,vi.
44B. Linclncr, Natur-Geschichte: Geschichtsphilosophie und Welter/abrung
in Benjamins Scbri/len, in Text+Kritile, nn. 3/32, ottobre 1971, n. .56. Sulla
teoria linguistica del giovane Benjamin oltre al libro della Wicscnthal e a sparse

87
ma traduce la loro lingua nella propria. -Per questo la lingua del-
l'uomo, il suo compito, è una continua «traduzione», è insieme
« ricezione e spontaneità» 45 , in quanto « trasposizione di una
lingua nell'altra mediante una continuità di trasformazioni», di
« ciò che non ha nome ,nel nome » 46 • E la completa fluidità
di questo continuum, la piena adeguatezza tra nominato e nome,
la loro pura comunicabilità, l'assenza di qualsiasi residuo di con-
tenuto rimasto inespresso, è data dal fatto che « fa creazione è
avvenuta nel verbo, e l'essenza linguistica di Dio è il verbo. Ogni
lingua umana è solo il riflesso del verbo nel nome » 47 • E quin-
di « l'oggettività di questa traduzione è garantita in Dio » 41 •
Dio è cosi il Namenlos, il senza-nome 49 , il puro « significan-
te » 50 che garan-tisce la piena « significazione » di ogni « signi-
ficato» impresso nelle cose nel nome dato foro dall'uomo.
La Ursprache 51 umana, dunque, non è invenzione-conven-

pagine in quello di Tiedcmann si veda anche M. Blanchot, Reprises, in La


Nouvelle Revue Française, n. 8, 1%0, pp. 479-48.3; H.H. Holz, Philotophie als
lnterpretation, in Alternative, n. ,6/57, ouobre 1967, pp. 235-242; S. Weber,
Lecture de Beniamin, in Critique, n. 67/68, 1969, pp. 699-712. E i recenti J.P.
Schobinger, Variationen zu Walter Beniamin Sprachmeditationen, Basel, Stutt·
prt, 197'9; W. Menninghaus, Walter Ben;amins Theorie der Sprachmagie, Frank-
furt/M., 1980.
45 C.ome nota Ticdemann, « il soggetto viene spogliato delle sue mitiche fun.
zioni di dominio, non dispone piu a lungo degli og~tti, ma li aiuta; libera da
essi ciò che come loro "essere piu intimo", come loro lingua attende libera-
zione e ha bisogno del liberatore come la lingua empirica del parlante. C.osi la
lingua è insieme soggettività e oggettività, attività del parlante cd essere del
parlato o: stare ad ascoltare di colui che parla e mutarsi, venire a sé e all'uomo
della realtà. Essa è insieme ricezione e spontaneità» (R. Tiedemann, Studien,
cit., p. 48).
46 AN, p. 61.
47 Ivi, p. 60. Secondo le speculazioni cabalistiche scrive Scholem « Tutti i
nomi sono coodensaziooi dell'Energia che irraggia da lui [ da Dio] e rappresen-
tano perciò il lato linguistico interiore del processo del mondo, che diviene, per
noi, visibile simbolicamente come la dispiegantesi "parola di Dio"» (G. Scholem,
Der Nome Golles untl die Sprachleorie der Kiibb"'4, cit., p. 45; per la teologia
cabalistica del nome dr. anche le pp. 19-20).
41 AN, p. 62 .
., Cane neLla maggior parte delle fonti cabalistiche, anche nello Zohtlr, era
definito Dio. Or. G. Scholcm, Der Name Gottes und die Sprachtheorie der
Kabbala, cit., p. 4,.
so « Il nome di Dio è il "nome essenziale", che è origine di ogni lingua ...
Questo nome per i Cabalisti non ha alcun "senso" nella sua accezione usuale,
alcun concreto significato. Il senza-significato del nome di Dio indica la sua
posizione nel centro della rivelazione, di cui è fondamento. Dietro ogni rivela-
zione di un senso nel linguaggio e come ritenevano i Cabalisti, attraverso la
Thorl, sta questo Elemento che sporge oltre ogni senso e che solo lo rende pos-
sibile, che senza avere senso conferisce senso a ogni altra cosa.» (lvi, p. 69.)
1 Sulla Ursprache cfr. F.J. Molitor, op. ciJ., I.

88
zione che si attacca alle cose, una marca che può aderire all'« es-
sere spirituale» della cosa solo trafiggendolo; essa traduce sol-
tanto, presta alle cose la propria voce, la « musica » dei propri
suoni: il Nome. Per questo i nomi - elementi fondanti questa
traduzione - costituiscono la oerfetta conoscenza delle cose. Il
nome è la perfetta congiunzionè di espressione del parlante e di
comunicazione dell'essere della cosa in esso nominata. Il nome
è l'assoluto comunicarsi della lingua. ~ simbolo perfetto - l'op-
posto del .segno - è il culmine del « movimento linguistico » 52
natura-uomo--Dio, la sua « totalità intensiva » 53 ; è - infine -
« la lingua della lingua » 5'.
« Culmina cosi, nel nome, la totalità intensiva della lingua
come dell'essere spiritua-le assolutamente comunicabile, e la tota-
lità estensiva della lingua èome dell'essere universalmente comu-
nicante (denominante). » 55 Il nome è il cristallino apparire del-
l'ES6ere. La parola stessa che forma il nome non è affetta dal-
l'opacità del segno, né è specchio che rifletta - invertendone
i caratteri - la « scrittura » della creazione: è il cristallo che
traspare, senza niente celare del nominato. « Il "nome" ...
è - come giustamente affefflla la Wiesenthal - la compa-
gine strutturale, che è identica nelle cose e nella lingua. » 56 Cer-
tamente, in ta•l senso, il concetto benjaminiano di « Mitteilung »
(comunicazione) non è che una «parafrasi» per significare
« l'identità strutturale di linguaggio e realtà fenomenale » 57 e
proprio qui la Sprachphilosophie del Tractatus coi,ncide con la
Sprachtheologie benjaminiana 58 • Ma tale coincidenza - e que-
sto la Wiesenthal non lo vede per niente - è solo coincidenza
con i tratti ru&Selliani del Tractatus, condotti proprio dallo « svol-
gimento» logico cli questo a irrisolvibili aporie. D'altra parte,
se (come crediamo di aver mostrato) proprio in questo saggio
che stiamo esaminando, la teoria benjaminiana del linguaggio non
è una « Abbildtheorie » 59 - ma una teoria della traduzione
di ciò che non ha nome nel nome - in questi termini non può

52 AN, p. 67.
M Ivi, p. ,,.
}I lvi. Purché - avvcrce Bcnjamin - « il genitivo non designi il rapporto
Jel mezzo, ma quello del medio 11>.
55 AN, p. 56.
56 L. Wicsenthal, op. cit., p. 79.
51 lvi.
58 Ivi, p. 89.
59 C.ome invece ritiene la Wiescnthal; cfr. ivi, p. 96.
esser definita nemmeno la « Teoria » del Tractatus, in quanto pro-
prio l'analisi del concetto di Bild in esso contenuto comporta la
crisi di quella che può essere definita una ipotesi iniziale, un de-
monstrandum 60 • Piu che cercare ,facili identità «logiche», al
di là della veste ,teologica dell'impostazione benjaminiana, credia-
mo sia qui utile sottolineare .proprio la costi<tutività della teolo-
gia per la sua teoria linguistica. Quanto finora abbiamo cercato
di analizzare è essenzialmente discorso intorno all'origine della
lingua: la « sfera del nome» già qui (ma piu chiaramente nei
successivi saggi « linguistici » benjaminiani - come vedremo - )
si mostra come definitivamente « persa » 61 • In tal senso il di-
scorso sull'origine della lingua, anzi sulla lingua originaria è in-
comprensibile senza il riferimento ai concetti teologici di Crea-
zione e Rivelazione e, proprio per quesito, è fede. Fede teologi-
ca, e questo ci pare importante, che sta alPorigine della «fede»
logica - del Wiener Kreiis, ad esempio - in rapporti di perfet-
ta corrispondenza, di fedele descrizione tra proposizioni logiche
fondamentali ed elementi ultimi della realtà; in relazioni univo-
che e lineari tra nome e cosa 62 • In entrambi i casi si tratta
di fede nel linguaggio, proprio quella che Nietzsche dissacra, sma-
schera; e sarà lo -stesso Wititgenstein a riconoscere - dopo il
Tractatus - la convergenza dei due approcci al problema lin-
gua-realtà: « Che tipo di oggetto una cosa sia: questo dice la gram-
matica (Teologia come grammatica) » 63 • In un punto si diffe-
renzia però fa Sprachtheologie benjaminiana dalla fede « logica »
nel linguaggio: la « sapienza sulle cose » che la « lingua paradi-
siaca» - « perfettamente conoscente » 64 - esprime, è magi-
ca, pre-scientifica, del .tutto anteriore alla riduzione delle cose ad
« oggetto ». Non prevede quindi la « trasformazione » delle cose,
è il contrario del possesso. Qui - nella teologia - è tutta la
distanza e l'isolamento benjaminiano nei confronti deHe « mano-

60 Sul concetto wittgensteiniano di Bild come « T atsache » (fatto), cf r.


M. Cacciari, La Vienna di Wittgenslein, cit., pp. 70-71.
6 1 Or. R. Tiedcmann, Studien, cit., p . .56.
62 C.omc dd resto era già presente in Mauthncr: « Voglio dire che la nostra
fede nella logica, la fede che la nostra conoscenz:i del mondo aumenterà per
mezzo delle o~razioni logiche, è una fede teologica» (F. Mauthner, Beitràge zu
einer Kritik der Sprache, 3 vv., Stuttgart, 1901-1903, I, p. 1.59, cit. in A. Janik-
S. Toulmin, La grande Vienna, cit., p. 131 ).
63 L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit., par. 373, p. 1.54. Si vedano
anche i paragrafi 107-108 intorno al « pregiudizio dc:Jla purezza cristallina della
logica» (p. 6.5). Cfr. M. Cacciari, La Vienna di Wittgenstein, cit., p. 60.
6-t AN, p. 63.
vre » espressioniste o dadaiste (afr. Bali, per esempio) sul lin-
guaggio e nel linguaggio, come utopia della riappropriazione del-
le cose, della reintegrazione del possesso dei significati 65 • Lo
spazio teologico benjaminiano è uno spazio assente, la sua utopia
«linguistica» è utopia negativa. Ed in questo, come vedremo,
Benjamin si riconnette ad una linea afifatto determinata della pro-
duzione poetica contemporanea: l'ermetismo 66 •
« La vita dell'uomo nel puro spirito linguistico era bea-
ta. » La perdita di questa « beatitudine » ha origine dalla vio-
67

lenza perpetrata dall'arbitrio umano sulla verginità « si,mbolica »


del nome. Da questa violenza «originaria» quanto la Ursprache
adamitica, nasce il segno neJla sua autonomia. Il segno è il frut-
to della parola violentata; esso significa la riduzione della cosa
in « oggetito », la trasformazione della lingua in puro mezzo di
comunicazione. Qui si compie il « peccato originale linguistico »,
qui si ha « la caduta dallo stato paradisiaco» .per cui « ogni co-
noscenza torna a differenziarsi infinitamente nella varietà delle
lingue » 61 • « La parola .deve comunicare qualcosa fuori di se
stessa » 69 , diviene lo strumento di conoscenza e di comunica-
zione del soggetto umano. Il nome - nel senso prima descrit-
to - abbandona la parola e « svanisce » nella convenzione de)
segno. Al Nome-simbolo si sostituisce il Nome-segno. La cono-
scenza diviene ,l'atto di predicazione intorno all'oggetto, sulla co-
sa 70 • La parola deve giudicare. La conoscenza diviene giudizio,
Ur-teil: di visione originaria dell'apparire dall'essere: produzione
6; Per la logica del possesso come chiave ermeneutica per le sperimentazioni
linguistiche delle avanguardie si veda il fondamentale saggio di F. Masini, Dia-
lettica dell'avangU11rdia e ideo/o1,ia borghete del possesso, in Dialellica dell'avan-
guardia, Bari, 1973.
66 E non l'art pour l'ari, come accenna invece Tiedcmann, in Studien cit.,
p . .50, che, rilevando una « Teoria critica della società» in nuce nella mancata
« mediazione tra lingua e società », paragona la teoria linguistica benjaminiana
aUe k<>rie estetiche della poésie pure ( e questo, a nostro avviso, giustamente) e
a l'art pour l'art.
61 AN, p. 65.
68 lvi, p. 47.
69 Ivi, p. 63.
10 Questo risulta assai chiaro dall'analisi che Dcrrida fa dell'opera di Levinas:
« Al limite, il linguaggio non violento ... sarebbe un linguaggio che si priverebbe
del verbo essere, cioè di ogni predicazione. La predicazione è la prima violenza.
Poiché il verbo essere e l'atto predicativo sono implicati in ogni altro verbo
e in ogni nome comune, il linguaggio non-violento, sarebbe al limite un linguaggio
di pura invocazione, di pura adorazione, proferirebbe soltanto nomi propri per
invocare l'altro da lontano» (J. Derrida, Violenza e Metafitica, in L, 1cri1111ra
e la differenza, cit., p. 189).

91
della cosa come fenomeno 70bls. U giudizio è la seconda conseguenza
del « peccato originario linguistico » e la sua parola - quella
«giudicante» - è fondamentalmente identica alla parola-segno,
alla parola-m~o. Entrambe nascono dalla seduzione del serpen-
te alla conoscenza del bene e del male. La conoscenza che divide,
che giudica ha però abbandonato il fondamento costituito dal no-
me per smarrirsi nella I(( chiaa:hiera » della molteplicità dei signi-
ficati, della pluralità delle lingue. Pluralità che, per la infinita
mediatezza in cui è caduta la lingua, diviene presto « confusio-
ne delle lingue » 71 • Questa confusione è il verdetto che si ab-
batte sulla parola che voleva distinguere tra bene e male: la pa-
rola veramente giudicante è vibrata sulla domanda di poter giu-
dicare, come condanna all'irretimento nella dispersione-confusione
dei segni, -ali'« abisso della mediatezza di ogni comunicazione» 72 •
Questa « mediatezza », l'impossibilità di comunicare immediata-
mente il concreto, è l'abisso dell'astrazione, terza conseguenza del
« peccato originale linguistico ». Gli « ~lementi astratti della lin-
gua » hanno radice nel giudizio; sono gli elementi, con cui la
lingua, ora solamente umana, cerca di restaurare violentemente
la conoscenza negatagli dall'abbandono del nome. Ma l'astrazio-
ne, che il «giudizio» emette come sentenza sull'oggetto, non re-
stituirà mai la concretezza della cosa, il Nome. L'Htrazione può
solo dominare sugli oggetti che « significa », in quanto pura ope-
ra del soggetto ed in questo arbitraria « posizione » dell'ogget-
to 73 • Nella «pena» che cosf la forma assolutamente soggetti-
va del giudizio impone alle cose, è anche la condanna del soggetto
a non raggiungerle, ,ad esserne dominato. « I segni devono con-
fondersi dove le cose si complicano. All'asservimento della lin-
gua nella ciarla segue l'asservimento delle cose nella follia quasi
come una conseguenza inevitabile. In questo distacco dalle cose,
che era la scbiavitu, -sorse il pi-ano della torre di Babele e con
essa la confusione delle lingue. » 74
10 bis Sul rapporto tra Essere e « divisione originaria • è da veden! il fonda-
mentale scritto di H'olderlin, Urteil und Sein, in Werlee und Briefe, 2, cit., pp.
'91-592.
71 AN. p. 65.
72 lvi, n. 64.
73 « La meta.fora della "ragione giudicante", della conoscenza secondo il
modello giuridico, è conseguenza della nascita del concetto di male ... Obiettiva è
la conoscenza solo quando la Natura è giudicata secondo le leggi dell'intelletto.
Non linguisticamente ricettiva è tale conoscenza, ma posizione (Setzung). Come
posizione essa è arbitraria. • (L. Wiesenthal, op. cit., p. 99.)
74 AN, p. 65. SuJla oonfusione babelica delle lingue come opposizione del
« carattere convenzionale delle lingue profane ,. al « carattere sacrale della lingua

92
« La lingua - osserva Benjamin in conclusione al sag-
gio - non è mai soltanto comunicazione del comunicabile, ma
anche simbolo del non-comunicabile » 75 : questo carattere della
,lingua è connesso al fondamentale e originario rapporto tra lin-
gua e segno. :I;: proprio questo rapporto che si spezza - o si
trasforma - con j « peccaminosi » processi ora descritti: il segno
non è piu «impronta» divina, cifra del Nome. Dopo questo sag-
gio, il problema di Benjamin (già in parte affrontato nella lettera
a Buber sopra citata) è vedere come si trasforma e cosa può si-
gnificare per il linguaggio il rapporto « comunicabile »-« non co-
municabile », quando il Nome è divenuto indicibile.

C. Modus essendi, modus significandi e medium linguistiao.


Come l'empiria in generale è rigorosamente esclusa dal.Je Ricer-
che logiche husserliane, cosi lo è l'empiria linguistica. La feno-
menologia materiale delle lingue storico-naturali non svolge, né
poteva svolgere, alcuna funzione nella analisi fenomenologico-tra-
scendentale del rapporto espressione-significato svolta soprattut-
to nella prima e quarta ricerca. Qui la separazione tra es-
sere-del-linguaggio ed essere-delle-cose è perfetta, in quanto pre-
supposto necessario di una chiarificazione a priori degli Erlebnisse
del pensiero e delle loro connessioni. Il significato coincide cosf
con l'oggetto che un « atto di pensiero » intenziona, ma questo
a prescindere dal riferimento dell'oggetto a dati empiricamente
esistenti 76 • Ogni atto di pensiero, in quanto tale, signHica un
oggetto, ma l'oggettualità di tale oggetto intenzionato è del tutto
a priori. Il significato non è « immagine riflessa» dell'oggetto
empirico 77 • Il segno linguistico es.prime solamente ciò che l'at-
to di pensiero vuol significare. Che la congiunzione segnica di
espressione e significato abbia come senso quello di riferirsi a
dati concettuali o empirici è un'altra questione; è il problema
dell'intuizione riempiente, che Husserl analizza in maniera del tut-
to formale. Poiché la questione fondamentale delle ricerche hus-
serliane è la descrizione della « costituzione a priori » delle leggi
del pensiero, delle connessioni categoriali come « morfologia dei

ebraica», dr. G. Scholem, Der Name Gottes und die Sprachtheorie der Kabbala,
cit., p. 55.
75 AN, p. 67.
76 Or. E. Husserl, 'Ricerche logiche, cit., Il, p. 104 e I, p. 363.
77 Ivi, II, p. 89.

93
significati » 71 , legalità che determina a priori le possibili com-
plessioni di significato, le possibili espressioni 79 , in quanto se-
gni '9igni.ficativi'; è il problema di « una grammatica universa-
le » 80 come « grammatica puramente logica » dell' « apriori del-
la forma del significato», « impalcatura ideale» delle esistenti
e possibili lingue storiche 81 • Sono le lingue a dover « rispecchia-
re fedelmente i possibili significati a priori » come materia se-
gnata logicamente dall'-intenzione significante 82 - ma, poi-
ché non sussiste alcun nesso necessario tra significati e segni, 50-
lo stabilendo logicamente e a priori le « identità dei significa-
ti » 83 , si renderanno solidi questi ultimi di fronte alle fluttua-
zioni delle loro espressioni linguistiche, di fronte all'empiria de-
gli atti significanti. t proprio questa estrema convenzionalità del
segno - l'indifferenza della parola 14 di fronte alla necessi-
tà e alla essenzialità delle strutture formali del pensiero, sia in
ciò che nel segno significa, sia nell'oggetto che cos{ l'espressione
intende - che Benjamin contesta, pur accettando sostanzialmente,
per i motivi che abbiamo visto, l'interdipendenza (l'unità feno-
menologica) analizzata da Husserl 85 tra funzione in/ormati-
V(l ·(manifestazione del contenuto dell'espressione, della sua in-
tenzione comunicativa), funzione espressivo-significativa (manife-
stazione dell'intenzione significante) e funzione denotaliva (ma-
nifestazione dell'oggetto, che richiede l'intuizione riempiente) del-
1'espressione linguistica.
Contro questa .« accidentalità» dell'espressione 86 , que-
sta indifferenza della parola-segno, questa pura « fisicità » e « ine-s-
senzialità » 17 del complesso fonetico - per cui la parola,
l'espressione « si presenta, per cosf dire, come se fosse imposta
alla cosa, come se fosse il suo vestito» 81 - Benjamin si volge,
a nostro avviso, criticando aspramente il libro di Heidegger, Die
Kategorien und Bedeutungslehre des Duns Scotus (1916), che,
11 lvi, II, p. 111.
79 h·i, Il, p. 122.
ao lvi, II, p. 12,.
BI Ivi, II, pp. 126-127.
82 Ivi, II, p. 96.
11 lvi, I, pp. 359-373.
M Cfr. ivi, I, p. 302.
8S Or. M, I, pp. 298-303 e quanto Husserl dice a proposito del nome:
« Il nome, ad esempio, denomina in ogni circostanza il suo oggetto, in quanto lo
i-ntende » (lvi, I, p. 304, dr. anche p. 324).
86 Cfr. ivi, I, p. 362.
87 Or. ivi, II, pp. 193-197 e pp. 323-32,.
88 lvi, Il, p. 324.

94
nella sua impostazione, dipende del tutto dalle teorie di Husserl
prima accennate. Ma quel che ci pare assai interessante è che
Benjamin critica questa impostazione husserliano-hekleggeria-
na, non in vista dell'unità parola-cosa, ma del rapporto segno-si-
gnificato.
Nell'analisi che Heidegger fa della Grammatica specula-
tiva 89 , è una dottrina delle categorie a fondare le forme del si-
gnificato. La fondazione « logica » del significato è possibile in
quanto questo « si dà ... come staccato dalla realtà effettuale » 90 • La
relazione con l'oggetto, con la sua esistenza è predicata solo nel
giudizio: « esso [il significato] non enuncia nulla sull'oggetto,
ma solo lo rappresenta » 91 , ad esso « è totalmente estraneo esi-
stere » 92 • La « verità» del significato - ,in quanto « conoscenza
de1l'oggetto » 93 - è data nel rapporto di fondazione tra modus
significandi e modus intelligendi, in quanto quest'ultimo non è
che la forma di apprensione, da parte della coscienza, del modus es-
sendi 94 • Modus intelligendi e modus significandi - visti nel
loro aspetto «passivo» - non -sono che il « modus essendi »,
« oggettualizzato in conformità aUa coscienza » 95 ; mentre - nel
loro lato « attivo» - costituiscono l'intenzionare tale oggetto
nella forma della coscienza e in quella dell'espressione. Come no-
ta ,Io stesso Heidegger, l'unico modus che in Scotus sembra non
conoscere le determinazioni attivo-passivo è il modus essendi, co-
me « realtà empirica immediatamente data sub ratione existen-
tiae » 96 • ,Ma una volta stabilita la sua originaria circolarità con
il modus intelligendi - almeno come nota lo stesso Scoto « sub
ratione existentiae » - e quindi la sua « dipendenza» da un at-
to della coscienza 97 , si dà un rapporto di fondazione lineare
89 Allora attribuita a Duns Scoto; dopo le ricerche e.lei Grabmann, del 1922,
viene generalmente attribuita a Tommaso di Erfurt.
90 M. Heidcggcr, La dourina delle categorie e del significato in Duns Scolo,
a cura di A. Babolin, Bari, 1974, p. 126.
91 lvi.
92 lvi, p. 127.
91 lvi, p. 141.
9C Cfr. ivi, p. 149.
95 I vi, p. 150.
96 lvi, p. 1.51.
97 Cfr. M. Hcidegger, La dottrina delle categorie e del significa/o in Dum
Scolo, cit., p. 1.52. Questa necessità di inserire il problema delle categorie nel
problema « del giudizio e dol soggetto» e di trattare in quest'ambito il pro-
blema del modus essendi è affrontata da Heidegger nella conclusione del-
l'opera (cfr. pp. 243-254). E se in questo dipendeva ancora dalle ricerche di
Lask, sono in ciò contenuti accenni a ricerche successive intorno alle implicazioni
e al significato del giudizio come « C09titutivo dell'oggettività» (ivi, p. 247).

95
tra modus essendi - modus intelligendi e modus significandi 98 • In
fondo a questa linea -teleologica-intenzionale - in modo del tut-
to simile a Husserl - sta la sfera dell'espressione linguistica.
Certo - avverte Heidegger, e qui, forse, v'è già un elemento
di differenziazione da Husserl - una « dottrina del significato »
n0n spiega l'esistenza, il Dasein del linguaggio, non ne esaurisce
lo «spirito», il fattore creativo del suo sviluot>po 99 , ma può solo
comprenderd.o nella sua « struttura logica » 1 • La « grammatica
speculativa » non contiene quindi le « grammatiche storiche » ma
le forme della loro possibilità, anche se qui Heidegger non pare
accorgersi come l'analisi di Scoto circa le singole funzioni di si-
gnificato (analisi riguardanti nome, avverbio, pronome, ecc.) non
è che riflessione speculativa di una grammatica storica determi-
nata.
In un frammento, sulle Teorie di Duns Scolo, quasi sicu-
ramente scritto dopo la lettura dell'opera heideggeriana, Benja-
min rovescia letteralmente la prospettiva di Scotus 101 , critican-
do, insieme, la risoluzione di questa, che Heidegger in conclusio-
ne effettua, dentro il problema della soggettività e del rapporto og-
getto-soggetto nella struttura del giudizio. ~ proprio l'autonomiz-
zazione del significato dall'ambito della sua effettuazione lingui-
stica, come dall'ambito deJ.la realtà significata che lascia emerge-
re la sfera linguistica come essenziale all'effettuazione in un « si-
gnificato » delle intenzioni significanti. Se il rinviare dei « segni »
a certi modi essendi è fondato su ciò che questi segni significano,
La DCC\."Ssità, già qui accennata, di vedere questa struttura fondamentale della
logica, dentro il problema della metafisica occidentale.
98 Or. ivi, p. 153.
99 Cfr. ivi, p. 168.
100 Qui per Hcidegger sta anche tutto il rapporto di complementarietà e
non di opposizione tra mistica e scolastica mediovale, dr. ivi, pp. 253-254.
IOl In una lettera del l3 febbraio 1920, in seguito a una domanda di Scholem,
Benjamin dice di non saper niente del libro di Hddcgger (BR, p. 235). Alami
mesi dopo, in una lettera del dicembre dello stesso armo, ritorna sull'argomento:
« Ho letto il libro dj Heidegger su Duns Scotus. :e incredibile che con un simile
lavoro, per Ja stesura del quale non occorre altro che una grande diligenza e
padroneggiamento del latino scolastico e che:, nonostante tutto j) modo filosofico
di presentazione, è in fondo solo un saggio di buona tradU7jone ( ein Sruck guter
t)bersct7.erarbeit}, qualcuno si possa abilitare. L'indegno servilismo dell'autore di
fronte a Rickcrt e Ilusserl non rende la lettura piu piacevole. Dal punto di ,•ista
filosofico la filosofia deJ linguaggio di Duns Scotus rimane non lavorata e percib
lascia dietro di sé un compito non piccolo,. (BR, p. 246). In un'altra lettera,
infine, del gennaio 1921 (BR, p. 252), Benjamin si chiede se sia il caso di
continuare a seguire, per le proprie speculazioni sul linguaggio, le analogie sco-
lastiche, quando in fondo il libro di Hc:idcgger presentava il pensiero scolastico
nei suoi aspetti essenziali, seppur « in modo del tutto oscuro•.

96
è quel « qualcosa di piu generale e di piu formale » che si la-
scia scindere dal significato a costituire il « modus essendi » di
quest'ultimo e quindi quello del significante; ad essere infine il
fondamento del significante. Questo per Benjamin è l'ambito lin-
guistico, lo Sprachliches. « In quanto lo Sprachliches si lascia evin-
cere e distinguere (abheben und gewinnen) dal significato, è da
indicare come suo modus essendi e con ciò come il fondamento
del significante. L'ambito linguistico si estende come un Medium
critico tra l'ambito del significante e quello del significato. C.Osf
che si può quindi dire che il significante mira al significato e nello
stesso tempo, riguardo alla sua determinatezza materiale (hinsich-
tlich seiner Materialbestimmheit), si fonda su questo, ma non in
modo ,illimitato, bensi solo in riguardo al modus essendi, determi-
nato dal linguaggio. » 102
Se dunque l'elemento linguistico è il modus essendi del si-
gnificato, Ja logica del linguaggio è radicalmente immanente ad
esso, non può astrarsi dalla sua storicità. La funzione del lin-
guaggio è essenziale quindi alla formazione del significato, svolge
una parte del tutto -attiva nei suoi confronti 103 • « Fisicità » del
complesso fonetico e carattere « spirituale » della lingua, per Be-
njamin, coincidono. Non .si dà quindi « grammatica pura», che
prescinda dall'organizzarsi linguistico-storico del pensiero, dal suo
esprimer,si in « segni». Il segno - nella sua materialità e cadu-
cità - è originario al pensiero e non gli è a.ffatto indifferente.
Le grammatiche sono soltanto «storiche», la « grammatica pu-
ra » come sintassi universale delle leggi del pensiero e del lin-
guaggio o è « utopia », o è il dominio della tautologia, il mono-
logo formale del pensiero.

II
A. Metafisica della politica: « per la critica della violenza ».
102 11 frammento, Wenn nach der Theorie des Dun.s Scott1s ... , Benjamin-Archiv,
Ms. 932, è cit. in R. Tiedemann, Studien, cit., p. 4.5. Lo stesso Tiedemann, met-
tendo in rilievo i tratti profondamente antihusserliani di questo frammento, sotto-
linea l'autonomia e l'effettualità del linguaggio come medium, che pone in
relazione « contenuto logico» e « forma significante» ( p. 44), cercando poi,
non sempre in modo oonvinccntc, cli istituire un confronto tra la critica bcnja-
miniana e le speculazioni del tardo Heidegger sul linguaggio (dr. pp. 46-48).
103 t! qui evidente la riflessione sulla filosofia linguistica humboldtiana;
dr: per questo: R. Tiedemann, Studien, cit., p. 47 e Ch. Rosen. Beniamin e l'auto-
nomia dell'opera d'arte, in Comunità, n. 179, a. XXXJJ, aprile 1978, in particolare
le pp. 163-16.5.

97
Il tratto utopico-negativo della teoria linguistica benjaminiana
emerge distintamente nella sua riflessione « pol,idca ». Gli anni tra
il ,19 e il '20 sono occupati anche - in evidente, seppur mediato,
riferimento agli avvenimenti tedeschi - da progetti cli lavori cli
teoria politica. Di questi piani almeno tre furono, seppur par-
zialmente, realizzati: il saggio Zur Kritik der Gewalt; « una breve,
assai attuale Noti% su Leben und Gewalt » 104 ; e un altro saggio dal
titolo Politik composto di due parti: Der wahre Politiker e Die
wahre Politik ( div·iso a sua volta in due capitoli: Abbau der Gewalt
e Teologie ohne Endzweck) 105 •
Di questi saggi ci è pervenuto solo quello sulla « critica del-
la violenza» (ma Gewalt significa anche potere, dominio, forza,
autorità, e intorno a questa pluralità di •significati ruota il sag-
gio benjaminiano}, scritto tra il '20 e il '21 per i Weissen Bliit-
ter di Emi! Lederer e pubblicato nel '21 nello Archiv fur So-
zialwissenscha/t und Sozialpolitik, edito pure da Lederer. Come
nota Scholem, il saggio « doveva fare un effetto assai strano tra
gli ·altri contribuiti della rivista» 106 • In effetti non si può im-
maginare niente di piu lontano dal dihat,tito politico contempo-
raneo delle speculazioni di Benjamin: nella rivista che era stata
diretta da Weber le parole di Benjamin non potevano che suona-
re «estranee», veramente metafisiche. Anche se Benjamin sem-
bra par.tire dall'immagine weberiana dello Stato, come « fondato
sulla forza », come « monopolio della forza fisica legittima », rap,-
porto cli dominio e dalla politica come ·« volontà di potere » 1 7,
non si addentra in alcun modo nei problemi determinati nei qua-
li la forma moderna dello Stato e della politica si specificavano.
Di fronte ad essi mostra una sostanzia.le estraneità. Le let,ture
politiche benjaminiane di questo periodo vanno da Bakunin allo
Aufruf zum Sozialismus di Landauer, dalle T heorie des Anarchi-
smus di R. Stammler agli scritti di Sorel (Les illusions du pro-
grès e Réflexions sur la violence). Il filo che unisce questi testi
è l'impossibilità di un processo, di una me.diazione storica che
trasformi Io Stato contemporaneo: la sua negazione può essere
solo radicale, può essere solo negazione del suo -fondamento. Di
qui la profonda insufficienza delle « declamazioni » di pacifisti
ed attivisti, che nella critica al miHtarismo attaccavano solo sin-
HM BR, p. 237.
1~ Per tutte queste notizie, dr. GS, II, 3, pp . .543-54.5.
t06 Scholem-Biogr., p. 119.
107 M. Wcber, Politik als Beru/, trad. di A. Giolitti, in Il lavoro intellel·
11,ale come professione, Torino, 1966, pp. 48-49.
gole parti dell'ordinamento giuridico 101 • La cnt1ca doveva vol-
gersi bensi all'ordinamento giuridico in quanto tale, alla necessa-
ria connessione tra « violenza» ed origine ed esistenza del diritto.
Solo la critica della violenza, che sta alla radice di ogni forma
giuridica (dal contratto allo Stato) come « atto» della sua po-
sizione, può vedere la necessità della violenza, per mantenere que-
sta forma stessa.
In questa necessità giusnaturalismo (per il quale la Gewalt
è qualcosa cli naturale, di biologico) e diritto positivo (che con-
sidera la Gewalt come qualcosa di storicamente divenuto) 109
giungono -ad un punto di indifferenza, nel quale entrambi mo-
strano la propria incapacità esplicativa di questa origine. Mentre
solo in questa origine - nella violenza come radice storica di
ogni diritto - entrambi (giusnaturalismo e diritto positivo) pos-
sono essere compresi: il diritto, « la violenza storicamente rico-
nosciuta (la violenza sancita come potere) » 110 non è che la
cristallizzazione in norme, in leggi di una violenza originaria, na-
turale m . .Per cui solo nel « diritto », nella ratificazione di una
« pace » sull'esito cli un « conflitto », di una guerra precedente,
si rivela la vera « natura » della « violenza a fini naturali »: la
rapina, il possesso costituiscono solo all,inizio il suo scopo, il qua-
le si esplica effettivamente nel mantenimento del suo potere. La
Gewalt, che inizia come espressione di forza, esercizio di violen-
za, compie .il suo « ciclo » storico-semantico solo imponendosi come
potere, manifestando il suo dominio nella forma del diritto 112 •
La Gewalt come potere-diritto consiste in ciò: « che c'è
un solo destino e che proprio ciò che esiste, e soprattutto ciò
che minaccia, appartiene irrevocabilmente al suo ordinamen-
to» 113 • Il diritto -sancisce la Gewalt come forma della storia
ed ogni « violenza » che sostituisca un nuovo ordinamento giu-
,oe Cfr. AN, pp. 12-13.
l09 Cf.r. ivi, p. 6.
110 lvi, p. 7.
111 Cfr. ivi, p. 11.
112 « La funzione della violenza nella creazione giuridica è, infatt1, duplice
nel senso che la creazione giuridica, mentre persegue, ciò che viene instaurato
come diritto, come scopo con la viiolenza come mezzo, pure - nell'atto di inse-
diare come diritto lo scopo perseguito - non depooe affatto la violenza, ma ne
fa solo ora in senso stretto, e cioè immediatamente, violenza creatrice di diritto,
in quanto insedia come diritto, col nome di potere, non già uno scopo immune
e indipendente dalla violenza, ma intimamente e necessariamente legato ad essa.
Creazione di diritto è creazione di potere, e in tanto un atto di immediata
manifestazione di violenza.» (AN, p. 23.)
IIJ lvi, p. 13.
ridico ad uno «vecchio» e indebolito, non fa che confermarla.
Per questo il « ciclo » che costituisce la «forma» della Gewalt
è destinato a ripetersi 11 4, finché della Gewalt non sia fatta va-
cillare la radice. Questa « ripetizione » è il perpetuarsi della vio-
lenza mitica che, secondo lo spirito antico, si abbatteva sull'eroe
che sfidava ·gli dei. Il mito è la continuità del destino come do-
minio sul vivente, costrizione di esso in una indistricabile con-
nessione di colpevolezza. L'irretimento nel mito come desti-
no, l'epoca storica che la Gewalt esprime, è la storia come « ri-
petizione del sempre uguale » m. In questo il mito chiude la
storia - come « impossibilità del ritorno» - nel suo contrario,
nella necessità del ciclo che torna sempre alla sua iniziale dimo-
ra - dove regna l'ordine divino - al luogo violento della sua
origine.
Perciò il destino ·« è sempre alla base del potere giu-
ridico » 116 : il destino è infatti il dominio dell'apparenza sul vi-
vente - come dominio della necessità dell'ordine mitico, che ta-
le apparenza esprime - ed il diritto è l'astrazione-cristallizzazio-
ne di tale apparenza, che esercita storicamente il suo potere.
~ in uno. scritto precedente: Schicksal und Charakter
- apparso nel '21 negli Argo11auten di Ernst Blass 117 - che
Benjamin aveva chiarito Ja sua analisi del concetto di destino in
rapporto al diritto. Solo separando i concetti di destino e cara/-
114 « La critica della violenza è la filosofia della sua storia. La fi/osofia di
questa storia, in quanto solo l'idea del suo esito apre una prospettiva critica,
separante e decisiva, sui suoi dati temporali. Uno sguardo rivolto solo al piu
vicino può pennettere tutt'al piu solo un'altalena dialettica tra le forme della
violenza che pone e che conserva il diritto. La legge di queste oscillazioni si
fonda sul fatto che ogni violen1.a conservatrice indebolisce, a lungo andare, indi-
rettamente, atyaverso la repressione dcUe forze ostili, la violenza creatrice che ~
rappresentata in essa ... Ciò dura fino al momento in cui nuove forze, o quelle
prima oppresse, prendono il sopravvento sulla violenza che finora aveva posto
il diritto, e fondano cosi un nuovo diritto destinato a una nuova decadenza.
Sull'interruzione di questo ciclo che si svolge nell'ambito delle forme mitiche
del diritto, sullo spodestamento delle fo17.e a cui esso si appoggia ( come esse
ad esso), e cioè in definitiva dello Stato, si basa una nuova epoca storica.
Se l'impero del mito è già scosso qua e là nel presente, quel nuovo non ~ in
una prospettiva cos( lontana e inaccessibile che una parola contro il diritto debba
condannarsi da sé.» (AN, _pp. 27-28.)
us Or. B. W4ttc, W.B. Der Intellektuelle als Kriliker, cit., p. 51; ma di
questo si veda tutto il paragrafo, dedicato al « mytbischc Denkcn », per le nota-
zioni che fa circa il rapporto mit~religionc in C'.ohcn e in Ilenjamin. Del tutto
errate ci sembrano invece le affermazioni sul permanere di un anarchismo di
fondo nel pensiero politico benjaminiano.
116 AN, p. 23.
11 1 Or. GS, li, 3, pp. 940-942.

100
tere si potrà mostrare il dominio dell'apparenza, che ne configu-
ra storicamente la coincidenza, come compenetrazione fino all'i.den-
tif..icazione di «interno» ed « esterno» nella « vita umana», sua
necessità. E non è certo un caso che in proposito Benjamin citi
Nietzsche 111 • « Il destino è il contesto colpevole di ciò che vi-
ve. Esso corrisponde alla costituzione naturale del vivente, a quel-
l'apparenza non ancora del tutto dissolta, a cui l'uomo è cos{ sot-
tratto che non ha mai potuto risolversi interamente in essa, ma
- sotto il suo impero - ha potuto restare invisibile solo nella
sua miglior parte. Non è quindi (in fondo) l'uomo ad avere un
destino, ma il soggetto del destino è indeterminabile. » 119 Que-
sto « impero » dell'apparenza come « dogma della naturale colpe-
volezza della vita umana » 120, e quindi della sua nece9Saria in-
felicità è quanto sopravvive nel diritto. Il diritto è il campo do-
ve contano solo « infelicità e colpa», dove ad agire effettivamen-
te è la norma astratta, ed il suo procedimento - per chi lo su-
bisce - è sem;,re senza soggetto. « Per un errore, in quanto
è stato confuso col regno della giustizia, l'ordine del diritto, che·
è solo un residuo dello stadio demonico di esistenza degli uomi-
ni, in cui statuti giuridici non regolarono solo le loro relazioni,
ma anche il loro rapporto con gli déi, si è conservato oltre l'epo-
ca che ha inaugurato la vittoria sui demoni. » 121 Nel tempo del
diritto, continua cosf il tempo del destino, come « tempo non
autonomo, parassitariamente aderente al tempo di una vita supe-
riore » 122 •
Al diritto quindi ,si oppone irriducib1lmente la giustizia, co-
me « tempo della redenzione o della .musica o della verità » m.
« Giustizia è il principio di ogni finalità divina. » 124 Solo la
violenza divina - « pura » e « immediata » 125 - può « arre-
stare il corso di quella mitica », in quanto non instaura un di-
ritto, ma purifica il vivente 126 • Tra questo « tempo » della giu-
111 Or. AN, pp. 31-32.
119 Ivi, p. 33.
no Ivi, p. 35.
121 Ivi, p. 32. Questa epoca è inaugurata dalla tragedia, dove il « capo del
genio si ~ sollevato per la prima volta dalla nebbia della colpa•, cfr., per questo,
ti I ~irolo cli questo saggio, par. le.
AN, p. 33.
123 lvi. Il testo bcnjaminiano certo non permette un'identificazione tra i tre
tcnnini, ma ne suggerisce una contiguità nient'affatto oppositiva. Questo con-
ferma, a nostro parere, alcune affermazioni del I capitolo.
124 AN, p. 23.
125 AN, p. 24.
126 Cfr. ivi, p. 25.

101
st1z1a, e quello del « diritto » non c'è alcun processo che medi,
Sdlo differenza radicale 126b'•. Per questo la« politica», che wol ab-
battere l'ordine della violenza giuridica, lo può fare solo come
« politica dei mezzi puri » 127 , che non trasformano quell'ordine
ma lo distruggono. L'inconciliatezza di Benjamin col proprio pre-
sente, la difleren1.a del proprio ebraismo dal destino tedesco, non
può riconoscere alcuna possibiHtà di un « nuovo Stato»; a dif-
ferenza, invece, che in Rathenau 121 • « Politica dei mezzi puri »
126 bis Su questo problema e piu in generale su questo saggio cfr. E. Castrucci,
Violenza, diritto e linguaggio in Beniamin, in Prassi e Teorill, a.v., n.s., 1, 1979,
pp. 24.5-64.
ll7 Questa idea di una 41 politica dei mezzi puri » deriva in Bcnjamfo dal
libro di E. Uneer, Politi/e und Melaphysilt (Benin, 192'1), al quale fa riferimento
nel saggio in questione. In una lettera a Scholem del gennaio 1921, Benjamin
parla di questo libro come « del piu significativo scritto sulla politial di questo
tempo» (BR, p. 252). Unger faceva _parte del cin.-olo dei Nco-pathetiker, che pili
tardi, dal lffl in poi, &i chiamò Plillosophischc Groppe. Il capo carismatia,
del gruppo era Oskar Goldbcrg, l'autore di Wirltlicbkeit de, Hebraer. U cir-
colo era una vera e propria « setta giudaica », al cui *emo Goldbcrg te-
neva corsi privati sulla rivelazione nella Bibbia e nc!lla Cabala in chiave lette-
ralmente magica. La proposta politica del gruppo era una cmjgrazione in massa
dall'Europa, per fondare comunità d'impianto teocratico. Unger, di questo gruppo,
era l'esponente piu dotalo filosoficamente e dava una fondazione teorica ai vaneg-
giamenti di Goldberg in libri come Die staatenlose Grundung eines ]udisthe11
Volkes (cfr. Scholem-Biogr., pp. 122-12,). Senza la conoscenza di questo con·
torno un libro come Politik und Metaphysik - dove si parla di riprendere la
materialità (la sostanza economica) della politica su basi metafisiche, innervando
direttamente la dimensione psichica in quella fisica - non è comprensibile.
L'aderenza della coscienza aU'irriducibile pluralità della realtà fisiologico-naturale
dell'uomo pub infatti, per Unger, trasformare effettivamente la fisicità dell'esi·
stenza, trasformare metafisicamente un sistema di forze in un « organismo »
( ivi, p. 8). Questo organizzerebbe la molteplicità dei singoli o dei popoli prima
della realtà statale, localizzando prima dello Stato l'ambito teleologko ( cfr. ivi,
p. 17). Fondando cosi quella « universitas metapolitica» (ivi, p. 48) che sta
alla base della costruzione di nuovi popoli ( una volta che l'unità di quelli
«naturali» (Natur-Volk) sia andata per sempre perduta). <:osf si spiegano anche
gli enigmatici accenni a p. 44 sul principio di una « Volkerwanderung » ( migra-
:tione di popoli) come 41 attacco » al capitalismo. Come informa Schok-m e come
risulta dalle lettere (dr. BR, pp. 2,2-2,4, 273-274, 411 e .51.5-516), pur provando
una fortissima antipatia per Goldberg, Benjamin si interessò ancora per alcuni
anni a questo « circolo » ed in particolare -alle opere di Unger, che invitò pure
a collaborare alla progettata rivista Angelus Novus. Non crediamo rimanga molto,
nella successiva produzione benjaminiana, di questo libro di Unger cui abbiamo
accennato, tranne forse la coscienza del rapporto tra nuova connessione psico-fisica
e trasformazione della politica: rapporto che in un certo senso ritorna, pur con
molte trasformazioni, nel saggio sul Surrealismo.
11.1 Sul problema della conciliazione in Rathenau tra « ebreo » e « tedesco »
dr. M. Cacciari, La nuova Economia in Walter Rllthenau, in Dem«rava e dirillo,
n. 2, 1977, a. XVfil, p. 3SS. (Su questi problemi in Rathenau si veda poi sempre
di M. Cacoiari, W. Rllthenau e il suo t1111biente, con un'antologia di scritti e
discorsi polillici 19119-21, Bari, 1979; e il recente W. Rathcnau, Lo Staio Nuovo
e altri saggi, a cura e con un'importante lntroduzit>11e di R. Racinaro, Napoli,

102
significa l'intrasfarmabilità del sistema giuridico che lo Stato espri-
me in quanto tale, la possibilità di risoluzione non-violenta dei
conflitti - in una sfera, in ultima analisi, esterna al conflitto
stesso - che non produca un semplice compromesso tra le par-
ti in causa 129 • Dove cioè il mezzo non sia strumento, ma
- perfettamente autonomo - sia la semplice manifestazione de1
fine. Sia tecnica, camfoO oggettivo di accordo, che esclude per prin-
cipio ogni violenza 1 0 • Nella tecnica - come pura lingua, im-
mediata manifestazione - I'utopia linguistica benjaminiana si con-
giunge con quella politica. L'espressione di quest'ultima è lo« scto-
pero generale politico» teorizzato da Sorel: suo compi,to non è
l'instaurazione di uno Stato diverso, ma « la distruzione del po-
tere statale»; qui - a differenza, osserva Benjamin, della « pas-
sata rivoluzione tedesca» - la violenza è violenza di « mezzi
puri», non provoca il rovescia-mento dello Stato, non inizia un
proce9So, ma lo « realizza direttamente ». È rivoluzionaria, per-
ché immediata.

B. Il frammento teologico-politico. Gli anni della riflessione


« politica» benjaminiana corrono paralleli al suo incontro con

1980.) Niente di piu e9t1'8Jlco, in Bcnjamin, dall'utopia di questa conciliazione,


ti cui rifiuto gli faceva colloatre Rathenau nella corrente « neocattolica » del pre-
sente (insieme a Scheler e F. Bici) come crede del lato machtpolitisch del pruno
cattolicesimo romant.ico (A. Mwler). Cfr. BR, p. 181, e anche LT, p. 45;
dove parlando di Borchardt, Benjamin dice: • Non è piu tragico-problematico,
come non lo è piu Wakcr Rathenau, anche se non è grossolano come quest'ultimo».
Ma dove Benjamin esprime piu chiaramente la sua lontananza dall'utopia cli
Rathenau è in una lettera a Plorcns Christian Rang del 18 novembre 1923: « Nei
momenti piu terribili di un s,OPOlo sono chiamati a parlare solo coloro che gli
appartengono, ma, di piu: che· gli appartengono nel senso piu eminente, che
non dicono solo il met res agitur, ma hanno il diritto di dichiarare: proprium
rcm ago. Certamente l'ebreo non deve parlare. Mi è sempre stata chiara la
profonda necessità della morte di Re.thenau, tuttavia quella di Laodauer, che non
ha "parlato", ma "gridato", incolpa piu pesantemente i tedeschi ... oggi tutto ciò
che nei rapporti tedcsco-ebreici wol essere visibile lo è per malasorte e ... una
salutare complicità obbliga, oqi, le nature nobili dei due popoli al silenzio sulla
loro alleanza » ( LT, p. 63). Questa lettera è importante _anche perché Benjamin
vi parla del problema dell'emigrazione come necessità del tutto economica: - « chi
svolge seriamente Javoro intollettuale in Germania è scni.amente minacciato dalla
fame », - « per quanto riguarda la Palestina, oggi non ho la poss.ibilità pratica,
né una neces&ità teorica di recarmi in questo paese,. (LT, p. 64).
129 Per il rifiuto deHa politica come compromesso, in quanto sempre deter-
minata dalla violer.za - e quindi per il rifiuto del parlamentarismo - dr. E.
Unger, Politik und Metaphysik, cit., p .8.
no Un esempio di tale tecnica è la conversu.ione: « c'è una sfera a tal
punto non violenta di intesa umana da essere affatto inaccessibile alla violenza:
la vera e propria sfera dell' "intendersi", la lingua» (AN, p. 17).

103
Bloch. Tra gli ultimi mesi del ,19 ed i primi del 1920 Benjamin
parla ripetutamente dell,amico conosciuto a Berna un anno prima
e del suo recente libro Geist der Utopie 131 • Il libro « contiene
difetti evidenti, enormi. Tuttavia devo al libro qualcosa di essen-
ziale, e dieci volte migliore del suo libro è l'autore. Le basti sa-
pere che è ,tuttora l'unico libro a cui io possa misuratmi come
a opera veramente contemporanea. Infatti: l'autore testimonia da
solo e filosoficamente a favore della sua causa, mentre quasi tutti
i pensieri filosofici che sono redatti dai nostri contemporanei si
appoggiano, tSi mescolano, e non sono mai responsabili di sé, ma
portano, al massimo, all'origine del male che essi stessi rap-
presentano» u 2• ,La lettura di Geist der Utopie interviene di-
rettamente nei pensieri «politici» benjamini-ani (pur se non solo
in questi) 133 e del libro, dietro esplicita richiesta dell'autore,
prepara accuratamente, per mesi, una « dettagliata critica», de-
stinata alla pubblicazione. La critica - « estremamente dettaglia-
ta, estremamente accademica, estremamente decisa nel lodare,
estremamente esoterica nel biasimare » Il' - invece non venne
pubblicata e andò perdut,a.
Se .la generale nota negativa che Benjamin faceva cadere sul•
libro comisteva nel dislivello tra questo e il suo autore - « in
questo libro il contenuto è dappertutto osèurato dal bisogno di
esprimersi » 135 - ,tre erano, per quanto possiamo desumere dal-
le Lettere, i punti fondamentali di dissenso dall'impostazione hl~
chiana. L'Expressionismus, la Cristologia e la teoria epistemolo-
gica del libro. Riguardo al primo punto non è solo il rapporto
di segno positivo che il libro di Bloch instaurava con l'espres-
sionismo, quello che Benjamin non poteYa accettare 136 , quanto

131 Or. BR, pp. 217, 218-219, 229-231, 232-233, 234-235 e 246; e anche
LT, pp. '5-56.
lll lvi.
m « Ancor piu che il suo libro mi giova la sua conversazione, poiché le
sue parole sono state dirette cos( spesso contro il mio rifiuto di ogni tendenza
politica attuale da costrin~rmi infine a un approfondimento di questo argomento,
che, spero, non è stato inutile. » ( LT, p. '5.)
™ BR, p. 232.
1l5 lvi, p. 233.
136 In connessione a questo aspetto Bcnjamin lesse Ober der Geistige in de,
Kunst di Kandinslcij: « ~ certo l'wiico libro sull'espressionismo, il resto è chiac-
chiera certamente non dal punto di vista di una filosofia, ma di una dot-
trina della pittura» (BR, p. 229). Nonostante tutte le possibili differemc
tra Kandinslcij e KJee - riassumibili nella forte carica teleologica che 856ume il
rapporto segno-forma in Kandinskij ( a differenza che in Klce) - il motivo che
awicinava Bcnjamin a Kandinskij è lo stesso che nel caso di Klce. Qui la forma
si presenta come costruzione detenninata da una necessità interiore, che risolve,

104
soprattutto il suo « attivo » .presentarsi come libro espressionista,
era la « pienezza » e la « facilità » (Muhelosigleeit) di molte sue
riflessioni a rendere « diffidenti » verso di esso 137 • Se per quan-
to riguarda la Erleenntnistheorie basta qui - in mancanza di al-
tri documenti - accennare alla totale estraneità, professata da
Benjam.in, tra il suo « pensiero filosofico » e quello di Bloch, il
totale di,saccordo circa l '« idea » stessa di filosofia 131, assai fa-
cile poi è comprendere la distanza di Benjamin dalla cristologia
blochiana 139 •
Questa si esprimev,a anzitutto, in comune accordo con Sch~

esprimendole nei segni, le Stimmungen originarie e originanti. La via al « che


cosa,. spirituale si dischiude nella rioerca del «come• dell'oggetto (cfr. V. Kan-
dimkij, u, spirituale nell'arte, trad. di G.A. Colonna di C.esar6, rivista da A.M.
C.arpi, introduzione di L. Spezzafeno, Bari, 1968, pp. 48-49). Questo « che cosa•
è il « contenuto artiHico i.: l'espressione è nell'autonomia del linguaggio specifico
dell'arte, non addita al di fuori di s~ come in Bloch; il segno è spirituale nella
sua autonomia, nella sua ilstrazione, nella sua interiore consumazione della misura
della libertà del soggetto di esprimersi, non quindi nell'indicare una non-ancora
espressa liberd, un contenuto eccedente inadeguato ana comunicazione del segno,
che oos(, come è in Bloch, sarebbe veicolo e vincolo di storiche indigenze e di
utopiche presenze. Cfr., ad esempio, E. Bloch, Geist der Utopie, cit., pp. 177-184,
dove tra l'altro Bloch critica il concetto di Forma del giovane Luk1ks.
137 Or. BR, p. 232.
138 Or. ivi, pp. 233 e 23.5.
139 Quanto aspro fosse il rifiuto della fondamentale componente utopico-
cristiana dell'opera di Bloch, dell'idea ci~ di un « Teno Testamento•, che
avrebbe aignificato l'avvento di un « Terzo Regno•, in cui la figura di Cristo
si sarebbe unita a quella di Dioniso, risulta dall'approvazione con cui Benjamin
(cfr. BR, p. 246) cita il saggio di Salomon Fricdllinder su Geist der Utopie,
apparso nel IV volume dello Zie/ di Hillcr, Fricdliindcr - autore in quegli anni
di Schi:ip/erische lndilferen% (Miinchen, 1918), un'opera assai stimata da Be-
njamin - in Der Antichrist und Ernst Bloch (Das Ziel, IV, 1920, pp. 103-116,
con una postilla di K. Hiller piena di insulti nei confronti di Bloch) attacca
impietosamente l'utopismo blochiano. Dioniso non ha bisogno e non può ricon-
ciliarsi col crocifisso, non può essere l'ultimo « sconosciuto Cristo»: « il cristia-
nesimo è stato colpito a morte• ( ivi, p. 103 ). Il tono che la musica del libro
produce « è fino all'insulsaggine e all'assurdità chmtilich, unzarathustrich, un-
dionysisch » (ivi, p. 107). La lezione di Nietzsche e di Kant - in questo
Friedlander dipende esplicitamente dalla lettura nietzschcana di Simmcl - non
è stata per niente compresa da Bloch: « La via dell'anima dionisiaca non conduce
affatto nei campi del proprio sé, di Dio e di tutti i santi, ma alla terra, che non
si dovrebbe disprezzare e fuggire proprio per il fatto che per niente ancora si è
giunti in essa» (ivi, p. 107). « La via del cielo ~ in verità la via al bel niente•
(ivi, p. 112). Bloch ~ « solo profondo sema aver superficie », incapace di ridere,
la sua « serietà » cade vittima già di colui che ride ancora « n1{>1!rficialmcnte »,
per tacere di colui « che ride nel profondo cd in ogni pura e semplice serietà
non vede altro che malattia• (ivi, p. 113). I discorsi di B]och sull'aldilà, come
il suo « comunismo mistico», il suo insistere sul vuoto dell'animo o sul peso
del corpo come « degenerazione del nostro io ,. non sono che pretesche « fan-
donie », « ciarlatanerie ». « Non il corpo, ma lo spirito che lo insudicia, è
sudicio. » (·lvi, p. 11.3.)

10.5
lem 140 , nella critica al capitolo « Die ]uden » di Geist der Uto-
pie. All'Ebreo, all'« escluso dalla storia », all'« esule in senso pro-
prio » 141 Bloch annuncia qui il momento e la possibilità di en-
trare, attraverso il cristianesimo, in quel « mondo -relig.ioso » al-
le cui porte ha sofferto ed aspettato per lungo tempo 142 • Gesu
è « divenuto innocuo» e ·« può essere salutato come "il centro"
(Die Mitte) ». Questo ·«centro» non è definitivo, significa la
divinizzazione della storia, l'essere del mondo impregnato dal di-
vino 143 , ma da questa storia l'ebreo non è piu escluso, in essa
cammina verso il :« Terzo, oltre l'ebreo e Cristo», vel"So il Mes-
sia del Terzo testamento 144 • In questo cammino Dioniso
è « l'ultimo, sconosciuto Cristo» nel cui nome « s'incontrano eter-
namente ebrei e tedeschi », cosf che « l'ebraismo insieme al ger-
manesimo (Judentum e Deutschtum) ancora una volta ha da si-
gnificare un qualcosa di Ultimo, un Gotico, un Barocco, per pre-
parare in tal modo, unitamente alla Russia, il tempo assoluto per
questo terzo recipiente dell'attesa, del partorire-dio e del messia-
ni,smo » 145 • La storia cosf diviene un movimento verso la re-
denzione, l'ebreo, la figura che nella storia occidentale era appar-
so come «estraneo», si concilia in questo processo con l'Europa.
L'apocaHssi è « l'apriori di ogni politica e cultura che meriti di
essere chiamata cosf » 146 : ma questo -apriori non conosce alcu-
na crisi nel passaggio al suo aposteriori, Politi/e und Kultur sono
vie vel"So l'adempimento finale, lo Stato deve accompagnare la
« comunità dei fratelli» 147 in questo processo, come « proces-
so cosmico della conoscenza di sé » 1411 •
Questo in fondo significava la cristologia blochiana: l'uni-
ficazione di teologia e politica in un'unica sostanza, il disponle
nella linea di un unico vettore come significato della dinamica
storica, tensione convergente verso uno Stato finale esercitante
un'attrazione magnetica sulle forme del processo.
Benjamin non accetta la cristologia di Bloch, crediamo, per-
ché non accetta il risanamento della lacerazione tra « ebreo » e
140 Cfr. BR, p. 234, in cui Bcnjamin risponde alla lettera di Scholem con-
tenuta in Scholem-Biogr., pp. 113-115.
141 E. Bloch, Geist der Utopie, cit., p. 327.
142 Cfr. ivi, p. 329.
143 Cfr. ivi, pp. 330-331.
144 Or. ivi, p. 329.
1u Ivi, p. 332.
146 lvi, p. 341.
147 Cfr. ivi, p. 444.
141 Ivi, p. 425.

106
«-storia» che ne deriva e, non in ultima analisi, anche per tutte
le conseguenze teologico-politiche contenute in tale « conciliazio-
ne». Questo risulta chiaramente dal cosiddetto Theologisch-po-
litisches Fragment, probabilmente dello stesso periodo in cui fu
sctitta la recensione di Geist de, Utopie 149• Qui l'anarchismo
politico benjaminiano scopre il suo fondamento nichilistico, os-
sia: l'assenza di fondamento teologico della politica, l'ordine teo-
logico come radicalmente altro nei confronti di quello profano;
l'impossibilità dunque di un mediatore ·(di una cristologia) tra
i due ordini. « Solo il Messia stesso compie ogni accadere storico
e predsamente nel senso, che solo egli libera, porta a termine, crea
la sua relazione al ,messianico stesso. Quindi niente di ciò che è sto-
rico può, di per se, volersi riferire al messianico. Perciò il regno di
Dio non è il Telos della dynamis storica; non -può essere posto come
meta. Considerato storicamente non è meta, ma fine (Ende). Perciò
l'ordine del profano non può essere costruito sull'idea del re-
gno di Dio, e per questo la teocrazia non ha alcun senso politi-
co, ma solo un senso religioso. Aver smentito con la massima
intensità il significato politico della Teocrazia è il merito piu
grande dell'opera di Bloch: Geist de, Utopie. » 150 Nonostante
i successivi accostamenti di Benjamin alle teorie schmittiane -
dovuti essenzialmente al valore euristico di queste - qui il rap-
porto teologia-politica si rivela irriducibile all'isomorfismo schmit-
tiano tra i due termini 151 • Tra essi si dà invece una inesauri-
149 In base a questo Frammento, fino a pochi anni fa attribuito agli ultimi
anni di Bcnjamin (dr. GS, II, 3, pp. 946-949), si sono costruite non poche
interpretazioni dell'ultima produzione benjaminiana tendenti sostanzialmente a
ravvisare il suo « materialismo storico • come maschera di concetti e inteozioni
prettamente teologiche. Questo tipo di interpretazioni è consistito per lo piu
nel ridurre le Tesi all'ÌJ!l~tazione di questo Frammento. (Si veda ad esempio
~r questo G. Kaiser, Walter Beniamins Geschichtsphilosophische Thesen. Zur
Kontroverse der Benjamins Inte,preten, in Deutsche Vierteliahrschri/t fu, Litera-
turwissenschaft und Geistesgeschichte, n. 4, 1972, pp. 577-625, ora anche in
Id. Benjamin Adorno. Zwei Studien, Ft-ankfurt/M., 1974.) Il F,agment, come
chiariscono le osservazioni di Scholcm (dr. Scholem-Biogr., p. 117) e come qual-
siasi pacata lettura avrebbe rilevato, per lo stile e i concetti espressivi, ~ invece
da attribuire al periodo 1920-21.
1so GS, II, 1, p. 203.
151 Cfr. per questo C. Schmitt, Le categorie del «politico», rrad. di P. Schiera,
a cura di G. Miglio, Bologna, 1972, soprattutto la Politische Teologie, pp. 29-86.
Sul rapporto teologia-politica in Schmitt cfr. M. Cacciari, Intransitabili utopie, cit.,
e R. Racinaro, Hans Kelsen e il dibattito su democrazia e parlamentarismo negli
anni venti-trenta, sagio introduttivo alla trad. it. di Socialismo e Staio di H. Kclsen,
Bari, 1976. 2 evidente che questo non inficia per niente le analisi schmittianc sul
rapporto tra teologia-metafisica e fomne della politica: 1a distama da Scbmitt,
nel rapporto tcologia-polil'ica che Bcojamin prc1C11ta nel Fragmenl, è data infatti

107
bile tensione e solo per questa tensione prodotta dal loro radicale ed
infinito differire si può parlare di una loro relazione. « L'ordine
del profano deve er-igersi sull'idea di felicità. » 152 Ma questa
intenzione alla felicità che abita il profano non traduce -il pro-
cesso storico in un vettore che tende infinitamente al compimen-
to messianico, al Regno. II compimento che Ja « ricerca della fe-
licità » chiede, è altro da quello che la Redenzione porta con sé.
La matrice apocalittica del messianesimo benjaminiano è evidente:
tra «storia» e «redenzione» vii è « mancanza di passaggio, « 1a
redenzione non è un risultato di sviluppi intramondani » 153 •
L'« intensità messianica », il desiderio e l'attesa dell'irrompe-
re &-'Storico del Messia che nega e spezza l'ordine storico-mondano
come spazio in cui l'umanità « cerca », tende alla felicità, attra-
vef'Sa - come opposta forza che spinge verso un' altJra direzio-
ne - la tensione della « dynamis del Profano», volta alla meta
. del -proprio adempimento. In questa immagine di due forze che
a·giscono in opposte direzioni è raffigurata, per tBenjamin, la re-
lazione tra << Profano » e « Messianico » propria di una conce-
zione mistica della storia. La relazione è la .tensione che si pro-
duce in questo divergere di forze; è la risultante tra due vetto-
ri contrapposti.
:8 proprio l'approfondirsi dell'autonomia dell'« ordine pro-
fano » che avvicina « l'avvento del regno me56ianico ». « Il pro-
fano non è quindi certo una categoria del Regno, ma una cate-
goria, e una delle piu pertinenti {zutreflendesten) del suo piu
lieve avwcinarsi. » m E lo è proprio nel suo compiersi; que-
sto compier-si infatti significa ·la sua fine, il suo « tramonto », lo

dall'estraneità dell'ordine teolo@ico-messianico di cui parla alle categorie della


r11tio metafisica occidentale. Le visioni politiche che quest'orizzonte teologia, ha
prodotto scorrono nella storia europea come falde sotterranee, come presenze
settarie da sempre represse, soppresse e/o omologate dal continuum dell'ordine
politico dominante. In questo senso sooo forse da considerarsi le ricerche blochiane
sui movimenti chiliasrici, come il Thomas Munzer als Tbeologe der Revolulion
(1921), Bd. 2, della Werkausgabe. A questo problema sarà attento anche Schmitt,
ma limiterà l'analisi delle sette ereticali a sfondo anarchico ad una loro e nega-
zione del peccato originale• (dr. C. Schmitt, u categorie del «politico», cit.,
p. 149), notando solo ij lato ascetico del loro nichilismo come fun:r.ionc di
nuovi ordini e assestamenti politiex><Ulturati (cfr. ivi, pp. 1&1-182; non è t1 n caso
che in raie occasione non ciii alcuna setta ebraiaa, come: qudla dei Sabbatiani,
dove il discorso dovrebbe farsi piu complesso. Ma per questo rimandiamo
a quanto diremo piu avanti).
ISZ GS, Il, 1, p. 203.
IAJ G. Scholcm, Zum Versliindnis der messianischen Idee in ]udentum, in
Vbe, einige Grundbegrifle des Judenlums, cit., p. 133.
154 GS, Il, 1, p. 204.

108
spegnersi del desiderio, del Suchen, del «cercare» nel momento
del suo adempimento, del suo « trovare ». « Poiché nella felicità
tutto ciò che è terreno aspira al suo tramonto (Untergang), solo
nella felicità è però certo di trovarlo (nur im Gliick aber ist
ihm der Untergang zu finden bestimmt). » 155
Se da Geist der Utopie, forse, come aveva notato Friedliin-
der, era assente Zarathustra, qll!i, nel fr_ammento benjaminiano,
è ben presente. Profondamente connesso è il suo essere straniero
e viandante dovunque 156 al suo concepire la bellezza solo nella
volontà di tramontare 157 ; Zarathustra certo par,la di bellezza,
ma la bellezza è tale finché è un'immagine a cui si guarda con
desiderio, quando l'immagine non è piu -solo tale, la bellezza si
trasforma in felicità; e qui inizia il suo tramonto. Cosi - come
nell'immagine dei profetii e degli apocalittici - la storia nel giun-
gere alle sue immagini può solo significare il proprio passare, de-
scrivere il proprio 5comparire. Per~hé que6to, e nient'altro, si-
gnifica tramonto. Mentre « l'immediata intensità messianica» pas-
sa attraverso l'infelicità, la sventura nel cuore del sofferente - nel-
l'immagine della felicità, questa intensità agisce nel momento del
suo svanire, nel suo cessare di apparire. L'eternità che ogni fe-
licità, ogni piacere vuole, come nel canto di Zariathustra, è l'eter-
nità del mo passare. Il piacere è perdita di sé. Lust dst Verlust.
« Alla restitutio in integrum spi-rituale, che introduce nell'immor-
talità, ne corrisponde una mondana, che conduce nell'eternità di
un tramonto e il ritmo di questo Mondano (Weltlichen) che
eternamente passa, che passa nella sua totalità, spaziale ma an-
che temporale, il ritmo della Natura messianica, è felicità. Poi-
ché messianica è la Natura·per il suo eterno e totale passare (Ver-
gangnis). » 151 « Tendere a questo - conclude Benjamin - an-
che per quei gradi dell'umano che sono natura, è il compito del-
la politica mondiale (Weltpolitik), 11 cui metodo si deve chia-
mare nichilismo. » 159 Qui l'anarchismo benjaminiano, quale ap-
pare soprattutto .in Zur Kritik der Gewalt, mostra la sua radice
nichilista. Ma questo nichilismo non dà vita a una « teologia del-
1ss Ivi.
156 « Ma in nessun luogo ho mai trovato patria: errabondo in ogni città, un
commiato presso tutte le porte. » {F. N:ictzsc:hc, Cosi parlò Zarathustra, I, cit.,
p. 146.)
157 « Dov'è la bellezza? U dove io non posso non volere con tutta la volontà;
dove voglio amare e tramontare, affinché un'immagine non rimanga immagine
.soltanto.• {lvi, p. 148.)
L5I GS, II, 1, p. 104.
159 Ivi.

109
l 'antiteologia » come ~n Bakunin 160 : proprio per la sua or1gme
teologica questo nichilismo respinge ogni « teologia politica». Il
Teologu:o è qui solo il Messianico, l'altro dalla storia ed è inef-
fabile per l'« ordine profano» della politlica. Nella "Storia esso è
presente solo come 6ua negazione o nel momento del suo « tra-
monto»: niente su di esso può e&Sere costruito. La felicità, su
cui si iMalza ogni ordine profano, è solo idea mondana. E per
questo nel suo adempimento destinata ca passare: sac11ilega qui è
proprio la politica « teologica » che su questo passare vuol avere
potere, che vuol costruire su·lle inconsumahili rocce del divino.
L'anatthia vive allora dentro questo nichilismo solo .per
esprimere la radicalità della negazione della forma « wolenta »
della palitica e delle istdtuzioni che ha di fronte, in quanto in-
centrate sul Diritto, sulla .forma e il potere del giudizio. Proprio
in v;irru dell'autonomia dell'« ordine profano », della sua radicale
im.maneruJa ohe in tale nichili-smo si costituisce 161 , l'anarchismo
potrà staccai,si da esso, come la vicenda dello stesso Benjamin
-1cuni anni dopo questi scritti mostrerà 162 •

IU
A. Il processo storico della traduzione. Pur disponendosi nel
solco tematico del saggio del '16 {Ober die Sprache iiberhaupt
und iiber die Sprache des Menschen), Die Au/gabe des Vber-
setzer (scritto nel '21 e pubblicato nel '23 come premessa alla
traduzione dei T ableaux Parisiens di Baudelaire) 163 , esce dalla sta-
1eo Cfr. C. Schmitt, Le categorie del « politico •, cit., pp. 8.5-86.
161 Interessante in proposito è un saggio di G. Scholem, Die Metamorphose
des ha,elischen Messianismus de, Sabbatiane, in religiiisen Nichilismus im 18.
Jahrhunderl (in ]udaica III, cit., pp. 198-217), dove è mostrato come il movi-
mento messianico del Sabbawmo (sviluppatosi intorno al 1600, soprattutto nelle
province europee della Turchia e in diverse parti della Polonia), approdato sotto
la guida di Jacob FranJc ( 1726-1791) ad una visione anarchico-nichilista della vita e
del mondo, proprio attraverso questa pervenne all'cntusiasuca accettazione della ri-
vdlu:aione francese e delle idee dàJ'Auflelarung.
162 Cfr. la lettera a Scholem del 16 settembre 1924, dove Benjamin parla
dei « fondamenti del mio nichilismo» come di qualcosa di attuale (LT, p. 98);
mentre circa due anni dopo, sempre in una lettera a Scholem del 29 maggio 1926,
l'« anarchismo» è citato come qualcosa di «precedente•, del quale non c'è
bisogno di vergognarsi (LT, p. 14.5). Come risulta da questa lettera, dove si
parla della sua adesione al comunismo, definitiva sarà l'acquisizione della rifles-
sione politica degli anni tra il '19 e il '21, secondo ]a quale « non esistono scopi
politici scnsath (ivi, p. 146).
163 Per le notwe riguardanti questo saggio e le traduzioni baudelairiane di
Benjamin, si veda GS, IV, 2, pp. 888-895; sul «saggio» in particolare dr. poi
L. Wiesenthal, op. cii., pp. 101-114 (che fa anche un confronto tra ]e traduzioni

110
tica opposlZlone tra lingua originaria-paradisiaca - come « mo-
vimento» di perfetta comunicabilità, continua e immediata tra-
duzione tra il linguaggio dellle rose e quello degli uomini - e
la rottura di questa unità nella degradazione della lingua a mez-
zo, nel « farsi » esteriore della parola, con la conseguente plura-
lità e confusione delle lingue. In questa opposizione si inserisce
una me.diazione temporale, un prOCC$O: le lingue divengono, si
trasformano e questo divenire non è solo moltiplicarsi della con-
fusione, infinito diversificarsi. Proprio questo continuo differen-
ziarsi nasconde l'GSpirazione a pervenire all'originaria creatività
della parola. È questa intenzione che è presente in modo pecu-
lfa.re e produce essell.2lialmente le opere d'arte, questi spazi re-
cintati e coltivati nel disordinato territorio del ,linguaggio. Que-
ste non sorgono anzitutto, dice Benjamin, per un publ:ili.co: es-
senziale in esse non è la comunicazione di .qualcosa. Nel disordi-
n~to arbitrio che domma la vita delle lingue, esse sono il luogo
in cui la lingua ancora manifesta sé, si riflette, esprime la sua
intinta ed autonoma necessità. Ma questa necessità, la purezza di
questa intenzione, neUe opere poetiche, è offuscata e celata, per
cos{ dire, dalla boscagllia del « -senso », da quanto in esse è co-
municato. Render visibile nella trasparenza della propria lingua
quanto il senso di un'opera nasconde è il compito del tradutto-
re. Né nel trasmettere quanto in un'opera è « comunicazione »,
né nel ri-poetare il suo lato inafferabile, misterioso veramen-
te poetico, consiste questo compito. In entrambi i casi la tra-
duzione -sarebbe soltanto opera serale, parassitaria o soverchia-
mente arbitraria e presuntuosa. La traduzione invece « è una for-
ma• » 164 • Una forma autonoma che « vive della differenza delle
lingue» 165 e l'autonomia, la dignità di essa è mostrata diret-
tamente dall'originale. al'originale che contiene la propria tra-
ducibilità, la possibilità di trans-significare in altra lingua il suo
« piu-che-senso ». Questo lo fa nella sua « sopravvivenza » sto-
rica. Quando l'opera non cessa di vivere nd tempo in cui ha
visto la luce, quando non muore esaurendosi in quanto aveva da
comunica-re al pubblico che l'accolse, allora si manifesta il signi-
ficato (Bedeutung) che g1i •ineriva dall'origine. « È solo quando
si riconosce vita a tutto ciò di cui si dà storia e che non è solo
lo scenario di essa, che si rende giustizia al concetto di vita. >> 166
di Benjamin e di George della poesia Le revenanl) e M. Blanchot, Reprises, cit.
164 AN, p . .38.
; 65 Or. M. Blanchot, op. cit., p. 476.
166 AN, p . .39.

111
Nella storia il sigmf.icato-".dell'opera 167 si dispiega e questo lo
fa soprattutto nelle sµe' traduzioni. In tale dispiegamento, nella
sua storia quindi, la vita dell'opera rivela la sua intima « fina-
lità», quanto in essa è espresso oltre la ,sua fenomenicità, oltre
la vit,a stessa. Liberare l'opera dal «peso» ddl suo « senso» è
compito del,la traduzione. « Tutte le manifestazioni finaHstiche del-
la vita, come la loro finalità in generale, non tendono in defini-
tiva alla vita, ma all'espansione della sua essenza, aJil'esposizione
del suo -significato. Cosf la traduzione tende in definitiva all'espres-
sione del rapporto piu intimo delle lingue fra loro.» 168 Se quan-
to la traduzione libera nell'originale è il suo «dire» nella pro-
pria lingua, oltre la propria ,lingua, tale liberazione non è totale,
perfetta: questo dire è sempre velato nella lingua del tradutto-
re. Per questo ,il itradurre :non può « rivelare o !istituire » il ce-
lato rapporto tra le lingue; -ma solo « rappresentarlo » 169 • Può
solo mostrare - ,proprio nella possibilità della traduzione - quan-
to realizza « in for-ma embrionale o intensiva »: « che le lingue
non sonQ estranee fra loro, ma a priori, e a prescindere da ogni
rapporto storico, affini ( verwandt) ·in ciò che vogliono dire » 110•
Affinità - avverte Benjamin - non signi.fica somiglianza.
La Verwandtscha/t racchiude il concetto di parentela: in essa si
addita all'origine comune delle lingue e al loro tendere nuova-
mente ad una « lingua pura». Ma questo tendere costituisce il
loro divenire, il loro trasformar-si, le loro « storie »: cosf la loro
a/linità può mostrarsi solo neJ.le loro differenze, nel tra-dursi reci-
proco di tali differenze.
Che tale affinità delle lingue sia apriori e che si realizzi storica-
mente solo nel differire di queste, implica due essenziali conse-
guenze.
Anzitutto, che non -si dà un mpporto di lineare equazione
tra traduzione e origina1e. Come la conoscenza dell'oggetto non
è semplice riproduzione di questo, ma -sua trasformazione - pro-
vando cosf l'impossibilità di una Abbildtheorie 171 - cos{ la
traduzione non riflette l'originale. « Poiché nella sua sopravviven-
za, che nòn potrebbe chiamarsi cosf se non fosse mutamento e

167 Non il suo senso, che Bcnjamin identifica con ciò che semplicemente
comunica: questo non risulta sempre chiaro nella traduzione italiana.
161 AN, p. 40.
lvi.
169
lvi.
170
m Cfr. ivi, pp. 4041.

112
rinnovamento del vivente, l'originale si trasforma .. » 172 L'origi-
naJe vive solo nella storia delle sue interne trasformazioni: le sue
parale, la sua lingua non sono in esso fissate per sempre, ma
conoscono uno sviluppo che non coincide per niente con 1'e diverse
«letture» dei posteri. Ma anche la lingua del traduttore si trasfor-
ma. Traduzione è quindi l'intel\Secarsi di due « campi » di trasfor-
mazioni linguistkhe. ~ essa stessa - come forma - fattore attivo
di trasformazione: della lingua nascosta dell'opera, che si manifesta
in quella del traduttore, come di quest'ultima, ed in virtu, proprio
di tale oper~ione.
Poi, che il luogo di risdluzione delle tensioni prodotte dalle
« differenze » delle lingue, il momento del compiuto e reciproco
riconoscer-si delle loro affinità è « metastorico» (uberhisto-
risch) 173 ed in quanto tale non è « accessibile a nessuna di esse
singolarmente » 174 • La « pura lingua » è quanto esse intendono
e a cui esse tendono, ma per questo è data solo « oa:lla totalità
delle foro intenzioni reciprocamente complementari» 175 • Tale
« ·totalità » significa però la fine della loro storia. Il traduttore
è il profeta di questa -« fine », parla per es-sa, la annuncia, consa-
pevole piu di ogni altro quanto H «celato» delle lingue « sia
lontano daMa rivelazione, quanto possa diventare presente nel sa-
pere di questa distanza» 176 • E solo in questo sapere: nessuno
piu del traduttore abita nella precaria e tenue linea di confine
tra le lingue, poJ,iando solo -sul loro differire, vivendo solo della
loro estiraneità 1 • Se nell'intenzione che abit'cl i,l linguaggio è
possibìle distinguere l'« inteso» dal « modo di intendere» e se
l'inteso è l'identico nelle diverse lingue, il punto in cui conve-rgono
e che rende possibile ,la traduzione stessa, mai esso è visibile nella
,sua purezza, nella sua autonomia.
La sua autonomia non esiste, oppure è linguisticamente inco-
noscibile. La traduzione è sempre trasformazione dell'inteso da
un « modo di intendere» in un altro. E legge di questa « tra5for-
mazione » è che l'integrazione d«file .intenzioni delle lingue appare
solo nella reciproca esclusione di tutti gli elementi differenziali -
172 Ivi, p. 41.
m Cfr. ivi, p. 42.
174 lvi, p. 42.
ns lvi.
176 lvi, p. 43.
177 « Ogni traduzione ~ solo un modo pur sempre provvisorio di fare i conti
con l'estraneità delle lingue. AJtra soluzione che temporale e provvisoria, una solu-
iione istantanea e definitiva di questa estraneità, rimane vietata agli uomini e
non~ comunque direttamente perseguibile.• {lvi.)

113
parole, proposizioni, nessi sintattici - di queste lingue. In questo
« gioco » di differenze, esclusioni e trasformazioni l'inteso appare
come l'intraducibile. Permettere questo« apparire» è compito della
traduzione, non: svelare l'« essenza » che nasconde. Essa evoca sol-
tanto - nel tradurre l'originale - 1a sua attesa del« regno prede-
1

stinato e negato della conciliazione e dell'adempimento delle lin-


gue » 178 • La « mediatezza » della lingua del traduttore, rispetto
a quella «-ingenua» del poeta, allenta la connessione - indistri-
cabile nell'oi,iginale - tra << contenuto » e « lingua», fu t,rasparire
la loro differenza. Contenuto qui non significa senso: il senso,
in questo saggio, è il lato concettuale del « modo d'intendere»
di una lingua, assolutamente ins~arabile da essa.
La funzione di una traduzione che si-a /orma non consiste
nella restituzione del senso, nella « Wiedergabe des Sinnes » 179 •
Questo significherebbe cadere nella visione consueta del tradur-re,
in una sua riduzione a « riflesso» den'or.iginale, che sottende le
tradizionali dia~J:1ibe tra •« fedeltà e libertà» nel tradurre. Come
semplice « restituzione del senso » il tradurre sarebbe l'~.ffermarsi
della tautologia, il riprodursi dell'identità, che neutralizza le dif.fe-
renze linguistiche. Ma proprio questo, in relazione allle analisi be-
njaminiane del rapporto tM Lingua e pensiero, è impossibile. Il
senso, ripetiamo, non è l'inteso ma il rapporto del tutto determina-
to e non ttiasferibile 6enza conseguenze tra questo e il modo d'in-
tendere di una lingua 110 • Solo una traduzione che non sia « comu-
nicazione » di qualcosa può intendere la necessità di non dover
riprodurre il senso, ma far risuon,are la relazione tra esso e l'inten-
tio che lo produce, ndl particolare genere di intentio della propria
lingua. La ti:,aduzione deve cosf « amorosamente e fin nei minimi
dettagli, ricreare nella propria Hngua il suo [dell'originale] modo
di intendere, -per far apparire cosf entrambe - come i cocci e
ci frammenti di uno -stesso vaso - frammenti di una lingua piu
grande» 181 • Questa lingua superiore, la pura -lingua come armo-
nia delle intenzioni di tutte le lingue storiche, compare ·solo nellla
estrema dissonanza, che la -letteralità (Wortlichkeit) del tradurre
comporta. In essa - come nelle traduzioni holderliniane da So-
focle - il senso quasi ~compare, è spinto nell'incomprensibilità,
abbagliato dal puro ,gioco delle differenze sintattiche ohe si tra-
178 Ivi, p. 43.
179 Or. GS, IV, 1, p. 17, la traduzione di Solmi a p. 4, di AN non è chiara.
180 Cfr. AN, p. 46.
181 lvl. p. 46.

114
ducono reciprocamente. Ed a condurre questo gioco, a dettargli
le sue regole è la parola, nella sua « materialità » non nel suo
senso. Essa è « l'elemento originar,io del traduttore»; mentre in-
fatti i« la proposizione è come un muro davanti alla lingua deU'ori-
ginale », « la parala singola è l'arcata » 182 • Per questo, per dive-
nire trasparenza, apertura, deve essere sgravata dal senso, dal peso
della « comunicazione » che occlude il varco della sua « creativa »
autonomia. Solo cosf si giunge, nella traduzione, -al limite tra « co-
municabile » e « non comunioahile » in ogni lingua. Il quid « non
comunicabile » di ogni lingua, il suo Indicibile, è il suo stesso
« dire»; è il quid « simboleggiante nelle creazioni finite delle
linfi':e », sempre affetto dal -senso, dal quid che deve comunica-
re 83 • Questo « piano » della lingua è quanto è nascostamente
« simboleggiato nel divenire delle lingue stesse » 184 ; quanto in
esse preme ad emergere, a rappresentarsi, a costituirsi come
verità del loro apparire. A .mostrarsi come I'« essere » della loro
apparenza. Questa è l'iintenzione « ultima » che abita le « creazio-
ni» poetiche; denudare il nucleo della lingua pura. Liberare questia
profonda intentio dell'opera, « fare del simboleggiante il simbo-
leggiato stesso, riottenere - nel movimento linguistico - foggia-
ta la pura lingua è ìl grande ed unico potere della tradu:mone.
In questa pura lingua, che piu nulla intende e piu nulla esprime,
ma come parola priva di espressione (ausdrucklosen). e creativa
è l'inteso di tutte le lingue, ogni comunicazione, ogni significato
(Sinn!) e ogni intenzione pervengono ad una sfera .in cui sono
destinati ad estinguersi »1115 • La parola giunge cosi all'Ausdruck-
lose al senza-espressione; e qui soltanto approda alla sfera della
pura creatività.
Due sono i processi che accompagnano - anzi esprimono -
questo percorso compiuto dall'oper.a del traduttore. Da un lato
l'essenziale libertà che quest'opera aoquista: se tocca il senso del-
l'originale lo fa solo in un punto per continuare nell'infinita tan-
gente del « puro » movimento linguistico (che riguarda, come ab-
biamo visto, la fedele letteralità del tradurre); e questo significa
spezzare « ,i limiti annosi della propria lingua » ,. 6 • La libertà
del traduttore è libertà verso la propria lingua, libetità di trasfor-
marla nell'incontro con quella dell'or,iginale, di « lasciarla poten-
182 lvi, p. 47. .
-113 Cfr. ivl. p. 47.
114 ,Ivi. p. 47.
IS5 lvi, pp. 47-48.
186 Ivi, p. 48.

115
temente scuotere e sommuovere » 117 da essa. Dall'altro il rove-
scio di questa libertà è il ,limite cui necessariamente perviene e
che la costituisce.· Questo limite è l'Ausdrucklose; al di là del suo
limite esterno il movimento linguistico della traduzione - l'appro-
fondimento .radicale quindi, della sua forma - rischia di conclu-
dersi nel silenzio. O nella follia, come per l'ultimo Holderlin.
« Le traduzioni da Sofocle furono l'ultima opera di Holderlin.
In esse il senso precipita di abisso in abisso, fino a rischiare
di perdersi in profondità linguistiche senza fondo. C'è bensi un
a"esto. Ma nessun testo lo concede al di fuori del sacro, in cui
il senso ·ha cessato di essere lo spartiacque tra il fiume della lingua
e quello della rivelazione. [c.n.] »m Non è un caso che nel
suo saggio Benjamin citi Mallarmé 1119 • Le conclusioni cui giunse
MaUarmé sono le stesse che Benjamin vede per le ultime tradumoni
holderliniane: « Purtroppo, scavando il verso a questo punto, ho
incontrato due abi6'Si che mi fanno disperare. Uno è il Nien-
te» 1110• E ancora: « Ho fatto una lunghissima discesa verso il
Niente per poter parl,a.re con certezza » m.
Questa certezza è la pura riflessività 192 della parola, la sua
« crea,tività ». Del tutto identica è la ricerca mallarmeana della
« pura lingua» a quella espressa da Benjamin in questo saggio.
« Le parole - che sono già abbastanza se stesse per non ricevere
piu l'impressione da fuori - si riflettono le une sulle altre f.ino
a che sembrano aver perso il loro colore e non essere nient'altro
che passaggi di una gamma.» m Trasformare le parole in sfuma-
ture cromatiche o in pura musica - .in una lingua dunque che
non ha piu bisogno di essere tradotta - è la vera intenzione
e l'utopia di tutta la tradizione poetica ermetico-esote-rica - esem-
plarmente incarnata da Mallarmé - di cui Benjamin, otto anni
dopo questo saggio, sentirà fa necessità di scrivere la storia 194 •

111Cit. di R. Pannwitz, in AN, p. 48.


Ivi, p. 49.
1118
119 Come aveva notato Solmi nella sua introduzione a AN, p. XXIII.
HO Lettera di Mellarmé a H. Omalis del 4 maggio 1867, citata in J. Kristeva,
Semeiotiké, trad. di P. Rfoci, Milano, 1978, p. 225.
191 Ivi.
192 Per questo aspetto della poesia di MaJlarm~ ed in generaJc per la sua
poetica dr. K.H. Stierle, Lingullggio assoluto e linguaggio strumentllle in Malla,mé,
in Melaphorein, n. 3, a, I, pp. 17-34, che analizza in particolare la famosa Prose
pour des Esseinles.
193 lettera di Mallarm~ a F. Lappée dd 5 dicembre 1866, cit. in J. Kristcva,
op. cii., p. 211.
194 « Sarebbe questo un momento adatto per intraprendere un lavoro che
spiegherebbe piu di ogni altro la crisi delle ani di cui siamo testimoni: una storia

116
Era questa direzione di ricerca, l'unica che Benjamin poteva
ac.cettare dall'espressionismo. La parola come « risonanza interio-
re » di Kandinskij per cui è « J'impiego abile » di una parole,
che può far di.mentkare « il significato ormai astratto di una cosa
nominata » e mettere in luce « insospettate quaHtà spirituali della
parola stessa» 195 • O la « rigorosa legge» cui obbediscono i ro-
manzi di Scheerbart, per cui « la vera interpretvn.one (Deutung)
coglie l'estrema superficie delle cose, la piu pu~a mate.r-ialità (Sinn-
lichkeit). Deutung è superamento del senso » 196 •
Ma il luogo dove ·poggiano queste ricerche, come appare assai
piu chiarramente in Holderlin o in Mallarmé, è il Bodenslose il
« senza-.fondo »: per questo giungere alla spidtuaLità della parola
al limite del « senza-espressione » significa « precipitare », « incon-
tra-re l'abisso del Niente>>, scivolare senza fine in quel Bodenslose
su cui ·si costruisce. Nessun testo sacro, nessun Urtext (testo origi-
nario) può ·piu offrire arresto. Questo ormai è inintellegibile o,
forse, sono divenuti ciechi gli occhi degli uomini. Oscurato è,
comunque, lo stesso testo del mondo, illegibile la sua « scrittura
originaria » 197 • Qmnto poco la traduzione potesse mostrare
frammenti della pura lingua, la metastorica affinità di tutte le
lingue, e non invece solo il doloroso e conflittuale spazio del comu-
nicarsi e trasformarsi delle loro differenze, nel quale il « senza-
espressione » è solo silenzio, non parola, « limite» e insieme « no-
stalgia », risulterà chi-aro cbl saggio sulle Affinità elettive.

della poesia esoterica ... Sull'ultima pagina di questa storia si dovrebbe trovare
la radiografia del surrealismo. Nell'Introduction a discours sur le peu de réalité
Breton osserva come il realismo filosofico del Medioevo stia alla base dell'espe-
rienza poetica. Ma questo realismo - e cioè la convinzione che i concetti abbiano
una propria, reale esistenza, sia al di fuori delle cose; sia all'interno di esse -
ha sempre portato molto rapidamente dalla sfera logica del concetto a quella
magica della parola. E sono appunto esperimenti magici con le parole, e non
passatempi artistici, gli appassionanti giochi di trasformazione fonetici e grafici
che compaiono ormai da quindici anni in tutta la letteratura d'avanguardia, si
chiami essa futurismo, dadaismo o surrealismo. i. (W. Bcnjamin, De, Surrea-
lismus, in AR, p. 18.) Per questo aspetto essenziale delle varie avanguardie
fondamentali sono le ricerche di F. Masini, soprattutto il già citato Dialettica
dell'avanguardia.
195 V. Kandinskij, Lo spirituale nell'arte, oit. Su Kanclinskij cfr. il bel saggio
di F. Masini, La mistica dell'astrazione in K.4ndinskii, in Dialettica dell'avangU1Jrdia,
cir., pp. 131-151 e le pagine di M. Cacciari in Krisis, cit., in part. pp. 152-158.
196 GS. II, 2, p. 618.
197 Sulla Urschr.:/1 dr. J. Molitor, op. cit., pp. 340-341. Cfr. anche quanto
osserva Masini a propo,ito dello Chandos-Brief nel citato sagio su Kandinskij,
pp. 441-442.

117
B. Apparenza e senza-espressione: le Aflinità elettive. Nel
saggio Goethes Wahlverwandtscha/ten - concluso nel '22 e ap-
parso, in due puntate, nel 1924 e '2.5 nei Neue Deutsche Beitrage
di Hofmannstahl 191 - l'analisi dell'opera, della sua classicità,
apre sugli irresolvibili conflini e conclusivi silenzi dei linguaggi,
di cui l'opera - in apparente armonia - mostra l'affinità. Non
l'armonico integrersi è il destino delle « affinità elettive » dei lin-
guagg.i, che l'utopia « classici&ta » educa e sviluppa come fossero
linguaggi naturali. La grande, «demonica» 199 ambiguità di tutta
l'opera goethiana è quella -sussistente nel rapporto natura-arte:
nella pari applicabilità ad entrambe del concetto di Urphi.inomen.
L'Urbild (immagine original'i-a) naturale si traduce ne1la sfera ar,ti-
stica in Vorbild (modello). Ed il modello riveste sempre carattere
normativo, per la prasm che ispira; non può che « reprimere »
le «naturali» tendenze che da questa autonomamente sorgono.
Cosf nc:tl romanzo goethiano. I linguaggi, che in esso costituiscono
i suoi personaggi, non si compongono - questo lo fanno solo
« teatralmente» - non si -risolvono, ma si dissolvono reciproca-
mente. Al culmine della Bildung, essi soccombono « alle forze
che essa pretende di aver dominato, anche se si rivela poi sempre
impotente a reprimerle » 200 •
« L'oggetto delle A/linità elettive non è il matrimonio » 201 ;
191 SuJl'importall7.I, anche «biografica> di questa opera si veda GS, I, 3,
pp. 810-823; qui è ben documentata anche la storia della -pubblicazione del
sa88io che « fece epoce > nella vita di Hofmannstahl e quindi del ruolo di media-
zione che tra quest'ultimo e Bcnjamin assunse il comune amico Florens Christian
Rang. Sul rapporto tra Bcnjamin e Hofmannstahl, che fu il primo al di fuori
della sua stretta cerchia di amici a riconoscere il genio bcnjaminiano e che rimase
in contatto con lui fino alla morte, importanti pagine si trovano in M. Cacciari,
1111,ansilabili Utopie, cit. A questo importantissimo saggio bcnjaminiano è dedi-
cata gran parte del libro di B. Wittc, W.B. Der Intellektuelle ,rls K,itiker, cit.,
pp. 31-106, che analizza anche estesamente la storia della sua pubblicazione e i
rapporti con Hofmannstahl e Rang. 11 torto essenziale di Witte - oltre al tono
un po' facile e sbrigativo dell'analisi - è, a nostro avviso, l'aver fatto del Wahl-
verwandtschaften-Emry e non del Traue,spielbuch l'opera decisiva e centrale di
tutta la prima produzione benjaminiana. Quest'opera invece, cui non possiamo
dedicare che brevi note, ri\'este per noi un carattere di e passaggio• - neces-
sario ed essenziale, anche se non solamente, pc!' la Spr,rchphilosopbie bcnjan-
niana - rispetto aU'analisi dell'opposizione simbolo/degoria nell'opera su1 T,at1er-
spiel barocco. Qui si mostrano essenzialmente le potenze negative che il simbolo, lo
stesso « classicismo > cela dentro di sé; e quindi la dimensione allegorica che
emerge come il « rimosso • e il « represso > della t1ua « nonnalizzazione •. La
radicalità del discorso suJl'allcgorico apparirà evidente solo dopo la tematizzazione
del concetto barocco di Naturgeschichle ( Storia-natura}.
199 Or. AN, pp. 180-181.
200 lvi, p. 166.
201 lvi, p. 163.

118
non è quindi la storica possibilità e/o naturale necessità dell'inte-
grarsi dei linguaggi. Il matrimonio è la norma che sancisce loro
il dovere della coesistenza, l'apparenza della conciliazione. Ma oltre
questa apparenza, il matrimonio, come «posizione» e imposizione
giuridica, non può. t impotente circa l'esito del loro compene-
trarsi. ,Ed il figlio che nasce da Edoardo e Ca11lotta è figura di
ciò. Goethe non vuole, nel romanzo, « fondare il matrimonio, ma
mostrare le forze che emergono ne'lla sua dissoluzione » 202 , non
in rende istituire il luogo di mediazione dei linguaggi della Kultur,
ma mostrare proprio come da questo loro incontrarsi - nella
forma « classica » ai vertici del Bildungsroman - scaturiscano
impulsi, direzioni di sviluppo che ne minano la capacità simbolica,
la sua apparenza di totale e naturale espressività. E questo proprio
perohé le « affinità elettive» dei linguaggi che compaiono nell'ope-
ra sono meta-storiche e quindi pre-stol'iche, agiscono ctonicamente
dentro di essi: il momento del loro incontro, del loro tra-dursi
è dato solo nelllo spogliarsi del senso « storico» - civ.ile, potremo
dire - che « affetta » ognuno di essi. La segreta affinità dei lin-
gu-aggi tiiene in balia i personaggi della vicenda, percorre le loro
storie come parola che non può essere significata nelle loro 1ingue
storico.fenomeniche, ma solo nel loro annichilimento. Cos{ nei mi-
steriosi impulsi che questa determina non è fondato « rintimo
accordo spicituale degli ~serJ, ma solo la peculiare armonia degli
strati naturali profondi » 201 • Questa profondità non emerge nel
romanzo; la sua« armonia» non si traduce in esso, ma inghiotte; e
quando emerge lo fa solo per inghiotdre le « forze » che essa
dovrebbe esprimere. Cosf nel romanzo « mai il lago smentisce
la sua natura funesta sotto la morta superficie del suo -specchio ...
L'acqua, come elemento caotico della vita, non minaccia qui in
onde selvagge che recano all'uomo la morte, ma nella quiete enig-
matica che lo fa andare a fondo. E a fondo vanno gli amanti,
nella misura in cui regna il destino» 204. Non altro il romanzo
significa se non l'impossibilità di tradursi, di venire (« storica-
mente») alla luce dei linguaggi amorosi, l'impossibilità per il no-
me deJil'amato di essere nominato, di trasparire 205 • La trasparenza
del nome dell'amato costituisce la morte di chi lo porta. Di qui
la connessione tra il « simbolismo della morte» che pervade l'ope-
202 lvi, p. 162.
203 Ivi, p. 166.
204 Ivi, p. 16.5.
20S Ivi, p. 167.

119
ra e la povercà di nomi in essa 206 • E l'assenza - quando questi
vi sono - del loro reciproco, solare riconoscimento. Perché
« senza nome» è la legge dell'ordine in cui i per.sonaggi « trasci-
nano la propria vita»; « calamità che immerge il foro mondo nella
luce opaca dell'eclissi solare» 20'. Questa legge è quella mitica
dell'« eterno ritorno deD'identico » che si afferma come destino
sulla vita dei personaggi della vicenda. Di fronte -a questo destino,
a questo rovesciam di potenze « naturali » sulle costruzioni della
Bildung, il marrimonio non costitui.sce l'antitesi, l'argine che redi-
me, che scioglie « la legge naturale in miracolo » 201 , come rite-
neva Gundolf.
Tutto il lavoro gundoliiano è il tentativo di porre l'opera
di Goethe al riparo dalla crisi che proprio le Affinità elettive
significavano, e questo sotto i concetti rassicuranti - perché « na-
turali » - di « creazione » e di Erlebnis. Spiegare il « diveni,re
dell'opera » in base alla « vita » del poeta - trasformata in mito,
tipicizzata in vita eroica - è l'intenzione gundolfiana. La risposta
alla crisi della dimensione simbolica dell'opera è la falsa equazione
tra questa e la « vita», equazione che rende possibile a sua volta
irrigidire quest'ultima, « con un rigiro non meno fallace» 209, in
opera, in creazione artistica. Nell'affogare la figura del poeta in
« un miscuglio di eroe e creatore » 210 , caricandolo cosf di mitici
compiti e di « div,ini mandati », l'opera può essere « servita » nel
piatto dell'immedesimazione sentimentale, dell'Einfuhlung 211 •
Quelli di GundoH erano i colpi di coda della Lebensphilosophie
che non aveva osato guardare dentro il Konflikt simmeliano e
tantomeno nelle miserie che costituivano i pilastri del Georgc-
Kreis. La critica di Benjarnin a Gundolf è perciò violentissima 212 •
L'opera arti-stica, -risponde Benjamin (in questo del tutto in
linea con Simmel), non è creatura (Geschopf) ma Gebilde, for-
mazione, prodotto 213 autonomo della vita. Non ci si immedesima
in un « prodotto»: .solo il sapere - fa critica - non la sentimen-
tale consonanza ,può abitare in esso. Si tratta di penetrarne le
interne determinazioni, .gli « iStrati » che lo compongono, decifrar-

n Or. ivi, pp. 167-168.


'1111 Ivi, p. 167.
• F. Gundolf, Goethe, Bcrlin, 1922, p. 566.
20J AN, p. 191.
210 Ivi.
211 Ivi, p. 195.
212 Or. ivi, pp. 18(...195 e GS, I, 3, pp. 826-828.
m Cfr. AN, p. 191 e GS, I, 1, p. 1,9.

120
ne il suo « contenuto reale » (Sachgehalt), per leggere da questo
e in questo il suo « contenuto di verità » (Wahrheitsgehalt) 214 •
Solo nella differenza strategica tra commento e critica, emergono
le tensioni e le lacerazioni che l'opera, nella sua forma, nasconde
e il « tempo » che essa racchiude si rovescia nei suoi elementi
di verità. Cosi la funzione ohe il matrimonio come istituzione svol-
ge nelle Affinità elettive mostra la sua potenza critica nei con-
fronti sia dell'utopia mozartiana del Flauto magico sia della disincan-
tata ma insufficiente definizione kantiana 215 • Utopia da un lato
e feticismo de1la nuda datità giuridica dall'altro sono gli estremi
ad insieme il limite interno della Ratio illuminista. Questo limite
non è affatto superato dal romanzo goethiano, ma denudato, tema-
tizzato e analizzato nella sua aporetica fenomenologia; mentre la
utopia non appartiene al suo orizzonte - ma vi compare, negativa-
mente, solo nella novella in esso contenuta - la datità giuridica
del matrimonio mostra il suo effetto devastante sulla vita, la sua
capacità di distruggere, di erodere internamente, di consumare fino
al puro formalismo la ,realtà etica.
Il matrimonio - questo « alfa e omega di ogni civiltà»,
come Goethe fa dire, con ironia, a Mittler - non può mediare:
come ist•ituzione giuridica è la scabra prosecuzione del dominio
del mito sui con.flitti tra i linguaggi della vita, che cercano di
uscire dall'ordine naturale che li irretisce. Di fronte alla potenza
mitica del diritto 216 , che il matriimonio rappresenta, questi lin-
guaggi rimangono« natura» che non giunge ad espressione, riman-
gono muti, costretti nel silenzio della colpa. Per questo il « matri-
monio» è « l'esecuzione di una rovina che non è esso a sanci-
re » 217 • La figura piu chiara di questa ·rovina è una figura ester-
na al rapporto giuridico del matrimonio: quella di Ottilia. Nessuna
« tragica catarsi » si compie in lei, come invece voleva Gundolf.
Il ,mutismo di Ottilia non si -identifica con il silenzio dell'eroe
tragico, non cela la potenza della parola. Ottilia conclude nella
afflizione, in un « vegetale silenzio » 211 - la sua .fine è « trauer.
volle» 219 • La Trauer di Ottilia è l'incapacità del Bildungsroman
di giungere alla trasparenza -simbolica del nome ed insieme la pre-
clusione a questa « drammatica >> incapacità di ogni conclusione
214 Or. AN, pp. 157-158.
21s Cfr. ivi, pp. 159-161.
216 Cfr. ivi, p. 162.
211 Ivi. p. 162.
2l8 l\'i, p. 207.
219 I vi, p. 208.

121
tragica. I linguaggi della Bildung non riescono a tradursi nella
« pura lingua» amorosa. La norma giuridica è la pietra che blocca
ogni tentativo di tradursi effettivo dei vari « linguaggi » del roman-
zo, proprio perché ciascuno di essi parte dalla sua naturalità. Essi
giungono solo alrapparenza deUa traduzione. In questo la morte
cli Ottilia è necessaria: nel suo essere la figura estrema di questa
apparenza. l..a sua bellezza è tutta e solo nelrappai"enza, è evoca-
zione di un'immagine ,impossibile a tradursi in parole 220 • E quan-
do il silenzio si insedia in lei, è il suo stesso carattere di apparenza
a erodere la sua vita 221 • Nessun riscatto, nessuna redenzione
quindi può sigruficare 1a morte di Ottilia. In tal senso, dice Be-
njamin, la conclusione del romanzo, con la vicenda del miracolo,
è inutile e fuorviante per la sua comprensione. Questa non è « la
piu cristiana delle opere di Goethe», come credeva Th.
Mann 222 • {Non tanto perché Ottilia commette delle colpe, quan-
to perché la sua «bellezza» è impotente a redimere, può solo
svanire, e solo in questo svani:re, nel consumarsi deUa sua appa-
renza, addita alla« salvezza».)
« La vita cli Ottilia, che Gundolf dice sacra, è inconsacrata,
non tanto perché essa abbia peocato contro un matrimonio in
dissoluzione, quanto perché continua a vivere senza decisione la
sua vita, soggetta fino alla morte, net.la -sua apparenza e nel suo
divenire, aJl.a potenza del destino. » 223 In questo Ottilia è certa-
mente metafora del destino dell'arte 224, quale si delinea nell'auto-
approfondimento del classicismo goethiano. Sulle affinità che ineri-
scono ai linguaggi come potenze ctonie, la « decisione » non può
nulla. Tra la scelta che aderisce ai linguaggi, come determinazione
a priori delle loro trasformazioni storiche, delle loro affinità, e
le decisioni che intendono « regolare» la confusione che da queste
scaturisce, non si dà concordia 225 • Non è possibile un simbolo
che unifichi effettivamente questi differenti « campi » in opposi-
zione. L'ordine che la decisione instaura è sostanzialmente diverso
Cfr. ivi, pp. 209-211.
231
Cfr. ivi, p. 208.
221
Or. Th. Mann, Zu Goethe'r Wahlverwandtschaften, in Schri/ten ,md
222
Reden zur Literalur, Kunsl und Philorophie, I, Frankfurt/M., 1968, p. 247.
Il saggio fu pubblicato nell'aprile 1925 sulla Neue Rundschat1, pochi mesi dopo
la pubblicazione di quello di Benjamin e sembra - nel confermare la tragicità
dell'opera e la «santità» di Ottilia - una indiretta risposta a Benjamin. Cfr. per
questo anche BR, pp. 377-378.
m AN1 p. 207.
m Cfr. B. Witte, op. cit., pp. 73-74.
m Or. AN, pp. 219-221.

122
da quello della «naturale» - aintenzionale - affinità. Anzi la
sostanza - che iil simbolo esprime nella sua unità - è lacerata
da questa divaricazione.
Se in precedenti opere goethiane la funzione simbolica -
come conclusiva armonia di conflitti, loro teleologico e risolutivo
sviluppo - è compito di tutta l'opera, qui, nelle Affinità elettive,
è -affidata alla novella in esso inserita, Gli strani figli di due vicini.
Tutto quanto nel romanzo si attesta in mitica irrisolvibilità, qui
trova la sua redenzione. I linguaggi in essa giungono alla « luce
diurna della decisione» 226 • La loro traduzione è perfetta, « ra-
diosa»: reciprocamente gli amanti si liberano da ogni vincolo.
Non solo si chiude dietro di loro l'abisso della famiglia, ma anche
quello del sesso 227 • La loro affinità non è piu naturale, ma traluce
interamente nella loro decisione. La riconciliazione è reale, perché
non ha rinunciato « alla contesa aperta», al necessario « passag-
gio » del conflitto 228 •
Tutto questo è negato al romanzo. La novella è quanto il
romanzo non può esprimere. Non costituisce per esso un modello
ma l'« ideale» del suo problema 229 , la sua ininterrogabile unità,
chetvive in esso, e che nonostante ciò esso non può rendere visibile.
:8 l'utopia del simbolo: ormai solo negativa per la moltepli-
cità allegorica e inconclusiva che invade le strutture del roman-
zo 230 • La novella, nella conclusività della sua forma e nella uni-
vocità dei suoi elementi, è divenuta l'indicibile del romanzo, l'ulti-
ma forma di una dimensione dell'esperienza, anzi della possibilità
e comunicabilità di essa, di cui il romanzo può solo scrivere la
nostalgia 231 •
Ottilia, abbiamo detto, è metafora del destino dell'arte: i]
suo silenzio è l'avvenuta morte del simbolo per il Kunstwerk.
Questo coincide - come risulta da un frammento preparatorio
del saggio suMe Alfinità elettive: Ober Schein 232 , e da decisivi
passi del saggio s-tesso 233 - con il definirsi dell'arte come regno
dell'apparenza. Necessaria è « la connessione dell'apparenza con
226 lvi, p. 100.
2Z1 lvi, p. 201.
221 Cfr. ivi, p. 215.
229 Cfr. ivi, pp. 203-204.
230 Cfr. M. Cacciari, [r,trar,silabili ulopie, cit., pp. 191-193.
231 Sarà in questa direzione che una decina di anni dopo Benjamin svilupperà
il saggio su Lcskovi cfr. ad esempio AN, p. 239.
n2 Or. GS, I, 3, pp. 831-8.33.
m Cfr. AN, pp. 212-216 e 224-232.

123
il mondo del visuale» 234. L'opera d'arte è l'autonomia dell'im-
magine, del Bila, e sono proprio i gradi di questa autonomia - il
suo essere «prodotto» (Gebilde) - a determinare la bellezza.
Questo, a ben vedere, è presente anche nel Flauto magico mozar-
tiano, nel canto di Tamino, quando gli viene mostrata l'immagine
di Pamina: « Dieses Bildnis ist bezaubemd schon ». La bellezza
del ritratto, non dell'amata, è l'elemento fascinoso che muove al
canto, di un'infinita dolcezza. Nella « bella apparenza », il « pro-
dotto » dell'opera svanisce ed appare vivente. « Nessuna opera
d'arte può apparire del tutto vivente, senza divenire una pura
apparenza e cessare di essere un'opera d'arte. La vita fremente
in essa deve apparire irrigidita e come incantata e fissata (gebannt)
in un attimo. » 235
Questa vita è Ia bellezza de1l'opera, l'armonia che inonda
il ca.os dei linguaggi dietro e dentro di essa. La armonica traduzione
di essi, in un'unica lingua, non è toglimento deHe loro differenze,
ma un loro «incantamento», l'ammansimento - tramite la musi-
ca dell'apparenza - delle loro conflittuali nature. Il carattere del
caos che in questa musica sopravvive è la seduzione a trasformare
in totalità la -sua apparenza; in una « totalità falsa, aberrante:
la totalità assoluta» 236 • Eppure niente racchiude e nasconde
questa apparenza se non la sua bellezza. « Non apparenza, né invo-
lucro di qualcos'altro è la bellezza. Essa stessa non è fenomeno,
ma essenza, anche se tale che resta essenzialmente eguale a se
stessa solo sotto un involucro. » 237 Il velo che cela ciò che è
bello è indisvelabile: ad esso inerisce proprio come il suo carattere
di apparenza, di « immagine » che si rende visibile per noi 231 •
Quanto si manifesta nel disvelamento di ciò che è vdato, è altro
dalla bellezza: il «velato» cos{ si trasforma. Intorno a questa
« trasformazione» l'opera d'arte non può dire nulla. In essa l'altro
dalla sua « bella apparenza » è indicibile, non può trovarvi espres-
sione. Ma proprio il presentarsi dell'Ausdrucklose (del senza.
espressione), come tale, nell'opera d'arte, salva la sua apparenza
dalla « seduzione » della totalità. Il « senza-espressione » è « ciò
234 GS, I, 3, p. 831.
235Ivi, p. 832 e una versione appena variata in GS, I, 1, p. 181 (trad. in
AN, p. 212,.
236 AN, p. 212.
m Ivi, p. 225.
231 L'apparenza, nella bellezza, cos( è • non l'involucro superfluo di C05C in
se stesse, ma quello necessario di cose per noi i. (AN, p. 226).

124
che impone un arresto a questa apparenza, fissa il movimento
e mterrompe l'armonia» 239 •
La vita è fissata e irrigidita nell'opera d'arte dalla potenza
del senza-espressione che avvolge e stringe in silenzioso· ammuto-
limento le sue « parole ». Nell'inespresso e inesprimibile dell'ope-
ra sono i varchi, per i quali la «critica» può passare per mostrarne
il contenuto di verità. L'Ausdrucklose è cosi la cesura negli inni
di Holderlin, come la novella nel romanzo goethiano. È « potenza
critica » - -intema all'opera stessa - che, se non può dividere
l'apparenza dal vero in essa, impedisce loro di mischiarsi. Da questa
« potenza critica» l'opera non è portata al suo infinito potenzia-
mento, come per i romantici, ma allo spegnersi della sua apparenza.
E « apparenza che si spegne» 240 è la bellezza di Ottilia. J;I compi-
mento dell'opera, nell'.in~presso che la limita internamente, che
ne « sospende» il continuum della sua musica, è la sua riduzione
« a un pezzo, a un frammento del vero mondo, al torso di un
simbolo» 241 • Senza l'Ausdrucklose, l'apparenza dell'opera è ap-
parenza che solamente inganna, che promette l'effettualità simbo-
lica della sua armonia. « Invece di carpire la riconciliazione del
mito ... appare nell'opera d'arte come senza-espressione la sobria
verità che l'irreconciliato è tale. » 242 Solo sottraendo l'arte al-
l'ambito immediato della speranza, la sua « apparenza di concilia-
zione » div-iene « frammento » di un simbolo. Ma questo è l'ine-
spresso in essa, che ne blocca ogni dire oltre la sua apparenza.
In esso è racchiusa la verità che: « Nur um der Hoffnungslosen
willen ist uns die Hoffnung gegeben » 243 • Solo per i sottratti
alla speranza, al « simbolo >> di ogni suo apparire. è data speranza.

239 lvi, p. 212.


240 lvi, p. 224.
24l lvi, p. 212.
24l R. Tiedcmann, Studien, cit., pp. 126-127.
243 GS, I, 1, p. 201.

125
III. L'« origine del Trauerspiel tedesco)\
come storia originaria della soggettività
Non meravigliarti se il giro è lungo: perché per i
grandi fini il lungo giro è necessario.
(Platone, Fedro)
Ogni porzione di materia può essere raffigurata a
un giardino pieno di piante o a uno stagno pieno
di pesci. Ma ciascun ramo di una pianta, ciascun
membro d'un animale è ancor esso un simile giar-
dino, un simile stagno.
(ùibniz)
Ja nach dem Tode pflcgt mit uns dic Zeit zu spicJen
Wenn Faule
Mad' und Wunn in unsem Leichen wiihln.
( l..ohenstein)
1hr Kraft beraubtc Wort', ihr seid zerstiicke Stiick
Und scichtc schattcnstrcif. allein, cntwcicht zuriick.
(Fran: ]ulius von dem Knesebeck)
Ja
Wffll1 der Hochste wird vom Kirch-Hof emdren ein
so werd ich Todten-Kopff ein English Antlitz scyn. *
( tohcnstein)

I
A. La diligenza -per Francoforte. « Con 1e prestazioni dell'in-
dirizzo accademico io ho altrettanto poco a che fare quanto con
i monumenti eretti da un Gundolf, o da un Bertram - e per
distanziarmi presto e chiaramente dall'orrenda desolazione di que-
sto andazzo ufficiale e non ufficiale non ho avuto bisogno di ricor-
rere alle argomentazioni marxiste - che anzi ho imparato a cono-
scere solo molto piu tardi; questo lo debbo piuttosto all'orienta-
mento metafisico di .fondo della mia ricerca. Quanto proprio un
rigido rispetto dei metodi autenticamente accademici di ricerca
si allontani dall'atteggiamento odierno dell'attività scientifica idea-
listico borghese, lo ha dimostrato il mio libro Il dramma barocco
tedesco, che non è stato preso minimamente in con-siderazione
da nessun accademico tedesco. Ora, questo libro, pur essendo già
dialetrico, non era certamente materialistico. Ma ciò che non sapevo
ancora all'epoca in cui rio stavo scrivendo, poco dopo mi è divenuto
sempre piu chiaro: che tra il mio punto di vista molto particolare

* « ·Persino dopo la morte gioca con noi i.I tempo / Quando la putrescenza e
i vermi brulicano nei nostri cadaveri » ( Lohenslein); « Parole private della forza,
siete frammenti steccati / E povere strisci<: d'ombra, da sole ritiratevi » (Fr11nz ].
von dem Knesebeclt); « E quando J',Alrissimo verrà a raccoeticre la messe dal
cimitero, / Io, teschio, saro un volto d'angelo » ( Lohenstein).

127
di filosofo del linguaggio e il modo di vedere del materialismo
dialettico sussiste una mediazione, per quanto tesa e problematica.
Con la saturazione della scienza borghese invece non ne sussiste
nessuna.» 1 Queste parole della importante lettera a M. Rychner
(del 7 marzo '}1) - dove Benjamin esprime la sua posizione
« als Forscher » nei confronti del marxismo 2 - offrono un'ottima
chiave per iniziare la lettura della sua maggiore opera « compiu-
ta»: l'Ursprung des deutschen Trauerspiels. P-iu che un'opera
di « passaggio » questa è un'opera di « ricapitolazione». Tutta
la precedente speculazione teologico-linguistica vi è «riflettuta»,
citata. Cosi, attraverso la « citazione », la passata produzione -
da Der Begri/1 der Kunstkritik in der deutschen Romantik al W ahl-
verwandtscha/ten-Essay - non è «tolta-mantenuta» in un nuovo
contesto concettuale, ma «composta» in un mosaico. E sono le
tessere del discorso sull'allegorico che, accrutate alle altre, Je inve-
stono di nuova luce. Ma non di nuovo significato; mentre quello
precedente, proprio nelle citazioni, è sospeso. Se nell'opera sul
Trauerspiel Benjamin «cita» il suo lavoro passato, lo fa per con-
durlo ad una soglia « critica ». Non-materialistico, ma già « dialet-
tico » - dice Benjamin del suo libro. Dialettico qui non significa
certo l'accettazione di uno schema di sviluppo lineare-teleologico.
Anzi, è proprio l'idea di -teleologia, nella sua connessione con quella
di « rivelazione », ciò di cui il lavoro, dopo alcuni abbozzi 3, giun-
ge a tacere. Il termine «dialettico» sta forse a significare che,
dopo aver attraversato l'allegoria barocca, non ci si poteva arrestare
in malinconica contemplazione del vuoto in cui ·questa sfocia. Se
la conclusione dell'avventurarsi nel territorio barocco è la consta-
tazione che per esso non esiste un « fuori » e che il suo arabescato
e labirintico «interno» aderisce ad una superficie assolutamente
liscia, è la vita che brulica e gremisce questa superficie apparente-
mente -inerte e compatta, che« scava» sotto di essa, che« svuota»
Io stesso ,labirinto, a premere oltre; ed è forse in questo che il
libro sul Trauerspiel giunge ad una « soglia » critica, ad una linea
di estrema tensione. «Dialettico» vuol dunque forse dire la capa-
1 LT, p. 192. -
2 « Una cosa voglio dirle immediatamente: la propaganda piu efficace di
un modo di vedere materialistico non mi ha raggiunto sotto forma di opuscoli
comunisti, bcnsf in quella delle opere "rappresentative" che nella mia scienza -
la storia della letteratura e la critica - sono venute alla luce dalla parte borghese
negli ulllim.i venti anni.• (lvi.)
3 Per questo cfr. la sez. F del li paragrafo di questo capitolo cd in partico-
lare la nota 112.

128
cità di avvertire le impercettibili vibrazioni del vuoto « barocco »,
saperne comporre « nuova » musica.
Come abbiamo già visto, sin dal '16 4 Benjamin ha dedicato
importanti pagine al tema del « Trauerspiel » e alla sua differenza
dalla tragedia, ma è del tutto casuale che si dedichi - tra il
'22 e il '25 - alla riflessione sull'origine logiéo-storica di questa
differenza. Questo in seguito ad una proposta del germanista Fr.
Schultz (cui Scholem aveva fatto avere gli altri lavori di Benja-
min) di scrivervi un lavoro per conseguire l'abilitazione presso
l'università di Francoforte. Il tentativo di dare stabilità alla propria
posizione, con l'inserimento nella carriera accademica, fallf: Benja-
min fu consigliato da Schultz - che intanto aveva scaricato l'imba-
·razzante lavoro sul docente d'Estetica H. Cornelius - di .ritirare
la domanda d'abilitazione per non subire la vergogna di un pubbli-
co rifiuto. Il lavoro non era stato per niente compreso 5 ed anche
in seguito, dopo la sua pubblicazione, la critica accademica ufficiale
fu fredda e sprezzante nei suoi confronti 6 • Non è un caso che
la fondamentale obiezione, mossa da Schultz a Benjamin, era di
non essere un suo allievo 7• L'opprimente aria francofortese non
poteva che esser nociva per un pensiero cosi claustrofobico come
quello benjaminiano. Di questo Benjamin - nonostante l'amarezza
per r « ignobile giocherellare » con le sue .fatiche ed i suoi lavo-
ri 1 - si avvide subito: « tutto sommato sono contento. Il viaggio
sulla vecchia diligenza attraverso [e fermate dell'università di qui
non è adatto a me - dopo Ja morte di Rang Francoforte è addi-
rittura il piu arido desel'to » 9 •
4 « Entworfen 1916 verfasst 1925. Damals wic heute meiner Frau gewidmet »
~ infatti scritto in apertura al libro, pubblicato per la prima volta ( dopo che una
parte era stata pubb]icata nel '27 sui Neue Deulsche Beilriige) nd 1928 da
Rowohlt grazie al deciso appoggio di Hofmannstahl, uno dei pochissimi all'epoca
ad aver compreso la portata dell'opera bcnjaminiana.
5 Per una trattazione piu estesa ed esauriente dei problemi e testimonianze
riguardanti l'intenzione di Bcnjamin di abilitarsi a Francoforte, )e motivazioni
~e _I? ii:tdusscro a ~lierc quell'ambito di Javoro, il fallimento della domanda
d abilitazione ecc. dr. GS, I, 3, pp. 868-914.
6 L'unica recensione di rilievo fu l'articolo dell'amico S. Kracauer apparso
il 15 luglio 1928 sulla Frankfurler Zeilung: Zu den Schri/len W.Bs. ( ora in Id.
DtJ.S Ornament der Masse, cit., pp. 249-255); « tracce di un presentimento dcl
rango del lavoro di Benjamin » si trovano anche nelle r<.-censioni di W. Haas
(Zwei Zcitdokumenle widcr Willen, l'articolo considerava anche un libro di
Borchardt, apparso sulla Literarische We/t del 20 aprile 1928), F.H. Mautner
(in Dic ncueren Sprachcn, n. 38, 1930, pp. 681-683), e A. Mette (in Imago, n. 17,
1931, pp. 536-538); per le altre recensioni dr. GS, I, 3, pp. 908-909.
1 Cfr. LT, p. 113.
a ar. ivi, p. 128.
9 Con Ja morte di Rang l'opera sul Trauerspiel aveva perso, per Bcnjamin,

129
il suo « vero e proprio lettore» (BR, p. 374). Con florens Christian Rang, che B.
conosceva sin dal '21, ma con cui aveva intensificato i rapporti proprio nel '23,
vi era stata una vera e propria collaborazione al primo stadio de] lavoro. E come
risulta dal carteggio tra i due (dr. GS, I, 3, pp. 887-89') l'influsso di Rang è
evidente ncll'« interpretazione della vita postuma di pensieri medievali nel XVII
secolo » e nella teoria della tragedia. L'importanza di questo singolare personaggio
(1864-1924) - giurista-teologo: prima funzionario statale, poi pastore, quindi
cli nuovo funzionario, poi ( lasciata l'amministrazione statale per conflitti di co-
scienza in seguito all'entrata in guerra della Germania) membro del consiglio di
presidenza di una società d'assicurazioni - per la produzione benjaminiana fino
al Trauerspielbuch è ancora tutta da analizzare. Non ci si può certo accontentare
degli sbrigativi accostamenti e liquidazioni del Witte, che ironizza sull'« incapa-
cità linguistica e la metodica inscnuità » de)J'impiegato statale. Witte sorvola del
tutto sul fatto che oltre ad essere in contatto con persone come Hofmannstahl,
Rathenau, Buber ecc., Rang aveva collaborato, nel '19, ad un progetto di costi-
tuzione (col giurista amburghese V. Bredt) avverso a quello di Prcuss. Seppur
assai legato alle tradizioni prussiane e alla loro ideologia conservatrice, era inter-
venuto nella questione delle riparazioni di guerra alla Francia e al Belgio con
un pamphlet - Deulsche Btmhutte. Ein Wort an uns Deutsche iiber mogliche
Gerecbtiglt:eit gegm Belgiffl und Franltreicb und iur Philosophie der Polililt:,
Lcipzig, 1924 - polemico nei conironti dei montanti rigurgiti nazionalisti. In
que&to scritto - cui collaboro insieme ad altri lo stesso Bcnjamin: dr. LT,
pp. 62-70 - Rang attacca l'idealismo tcdcsco come « pura spiritualid senza
corpo,. e ne fa un diretto responsabile della politica tedesca. Ma non è la fi]o-
soSa politica l'aspetto piu intcreseante ~ figun di Rq, quanto la sua
« eretica • teologia cristiana e la NI ailica del mito.
Se in qualche modo aveva ]asciato l'abito di pastore nel nome di Nietzsche
(« Io non lesscvo Nietzsche, io leggevo me ,. ) , non sopportando il contenuto
disperante dell'ascesi cristiana, il Nietzsche nel quale aveva letto se stesso era
quello dionisiaco che aveva proclamato « la nuova terra», non quello dell'Eterno
Ritorno e dell'amor fati. L'Eterno Ritorno era per Rang l'ordine mitico del
destino che opprime la vita. E proprio questo ordine si trattava di infrangere: è
questo il motivo conduttore della sua Historische Psychologic des Karnevals
(pubblicato postumo in Die Krealur, n. 2, 1927-28, pp. 311-343, ma il saggio
è del 1909). Attraverso una singolarissima interpretazione storico-etimologica del
Karneval, come car naval - memoria del carro di Tespi, « che segue la rotazione
degli astri nel cielo, ma non nell'ordine stabilito (astrologico), bcnsf nel periodo
della sua dissoluzione, in modo che dall'angoscia può uscire l'estasi• - il riso
di carnevale diviene la rivolta del l..ogos contro l'Astrologos (cfr. Die Kreatur,
cit., p. 31,), la prima blasfemia del nuovo dio Dioniso contro gli antichi dei.
Una rottura quindi della ciclicità del tempo mitico, tale che • allraverso il buco
del disordine nel calendario • irrompe « il carro di trionfo del dramma della
straordinarietà• (ivi, p. 324). Se l'importanza di questi temi per il giovane
Benjamin è evidente, l'altro aspetto del pensiero di Rang in cui è chiara l'affinità
elettiva con quello di Benjamin è il suo messianismo. Come risulta bene dal suo
commento ai sonetti di Shakespeare (dr. Fl. Ch. Rang, Shakespeare der Chrisl,
Heidclbcrg, 19,4) e dal saggio sulla Selige Sehnsucht di Goethe (in Neue
Deutsche Beitriige, a. 1, n. 1, luglio 1922, pp. 83-12.5), il messianismo di Rang
ha profondi tratti giudaici. Il Gesu storico non ha portato la piena redenzione
(dr. A. Rang, Fl. Ch. Rang, in Die Neue Rundschau, a. 70, n. 3, 19,9, p. 460).
La crepa messianica non è stata colmata ed errore del cristianesimo è stato quello
di gettarvi sopra il ponte della fede. « Mordcr-Christentum - giunge a dire
Rang nc:il -,gio su Goethe - che vuole fanatfoamcnte carpire la realtà.• L'esilio
sulla terra non è cessato; di qui il progetto di una rivista Grùsse 11us den Exilen,
che poi diveMe la Krealur di Buber e Weiszicker. Anche il cristiano è esule e
questo non può che significare l'esperienza « della assoluta Profanità ,. e della

130
B. Filologia e Interpretazione. Era del resto da anni che Be-
njamin - con la sua inquietante idea di filologia - si era netta-
mente separato dalle certezze della ricerca accademica, nella quale
lo stesso George.J(reis aveva finito per concludere 10 • Flologia
non è analisi positivistica del dato, semplice scomposizione chi-
mica degli elementi del testo - « scienza o storia della lingua» -

assoluta lontananza di Dio. Di qui l'imprenscindibilità di una estrema sccolariz.


zazione. Per questo Shakespeare e Goethe « poeti della nostra ultima religione,
la protestante, che portò il Cristianesimo alla tomba ... devono per amor di Dio
liberarsi di ciò che è cristiano»; la loro non è piu poesia-profezia, ma « poesia
secolarizzata », fattasi solo ed esclusivamente mondo.
°1 Forse l'unica « scuola » cui l'idea benjaminiana di filologia si avvicina
è quella warburghiana. La « parola » bcnjarniniana somiglia cosi all'immagine
come « dinamogramma » di Warburg: cristallizzazione cioè di una « carica ener-
getica e (di) un'esperienza emotiva che sopravvivono come un'eredità trasmessa
dalla memoria sociale e che ... diventano effettive attraverso il contatto con la
"volontà selettiva" di un'epoca determinata~ (G. Agamben, Aby Warburg e la
scienu senza nome, in Prospellive Settanta, luglio-settembre 1975, p. 11). Di qui
l'aspetto parimenti inquietante che assume in Warburg la ricerca erudita, per
cui lo storico e lo studioso divengono i « sismografi sensibilissimi che rispondono
al tremore di lontani terremoti». E se, come vedremo, la filologia benjaminiana
« apre » al sapere come interpretazione, mentre « descrizione e interpretazione »
sono connesse nell'opera di Warburg da un legame « strettissimo e intimo»
(cfr. G. Bing, lntrodu1.ione a Warburg, Lt rinascila del paganesimo antico, trad.
di E. Cantimori, Firenze, 1966) - per entrambi il luogo dove questa interpre-
tazione « lavora » ~ l'inapparisccntc, il disgregato, l'elemento residuo, dimenticato;
perché - come il « Buon Dio » - anche il « tempo » abita nel dettaglio. Assume
rilievo allora che l'opera warburghiana sia ripetutamente citata nel Trauerspielbueh,
insieme a quelle della sua «scuola» ed in particolare allo studio sulla Melan-
cholia di Dilrcr, di E. Panofsky e F. Saxl (cfr. per questo LT, p. 108). Non per
niente Bcnjamin, dopo la pubblicazione del suo libro, scriverà a Kracauer che
« le pubblicazioni scientifiche piu importanti per il nostro modo di vedere si
raarul?P800 « mehr und mehr (sempre di piu) intorno al Warburgkreis »
(GS, I, 3, p. 910). Con i membri di questo infatti aveva cercato di stabilire
un contatto in relazione al suo libro; prima, attraverso HofmaMstahl, con Pa-
nofsky (dr. BR, pp. 438, 457, 460), poi, attraverso Scholem, con Saxl (cfr. BR,
p. 470). In entrambi i casi non si realizzò alcun collegamento e particolarmente
acida fu la risposta di Panofsky, ora pubblicata in W. Kemp, W.B. und di.:
Kunstwissenscha/t. - W.B. und Aby Wa,burg, in Kritische Berichte, a. 3, n. 11,
127.5, pp. ,-2.5. Per il rapporto Benjamin-Warburg e B.-\Varburgkrcis rimandiamo
interamente a questo saggio ed al saggio dello stesso autore, Fernbilder in W.B.
im Kontext, cit., in part. le pp. 240-2.55. In entrambi è assai bene analizzato il
tema dei vari livelli di epistemologia estetica paralleli ai vari « strati » dell'opera
d'arte e quello del rapporto aura-distanza spaziale dell'opera d'arte e arte-memoria,
arte-temporalità. Per una visione della filologia che tiene profondamente conto
dcli'« idea,. bcnjaminiana è da vedersi il Programma per una rivista di G. Agam-
ben, in Infanzia e storia, Torino, 1978. Questo libro, assai importante per uno
sviluppo della riflessione benjaminiana sia intorno alla tematica della « distruzione
dell'esperienza» e al problema del linguaggio, sia intorno al problema del rap-
porto tempo-storia, non può essere sbrigato con una nota. Di esso - uscito
quando la massima parte di questo lavoro era definita - si dovrà parlare este-
samente in seguito.

131
ma, come Benjamin nel '21 scrive a Scholem 11 , « storia della
Terminologia ». La « parola » alla ricerca storica del fiilologo -
che cerca « i godimenti che i neoplatonici cercavano nell'aKesi
della contemplazione » - non si dà solo come funzione del testo,
ma mostra enigmaticamente la sua storicità, il tempo particolare
che comprime nella concatenazione sintagmatica della pagina. J.J
filologo non re&tituisce cosf l'unitarietà del testo, il suo senso,
ma, interpolandolo continuamente, ne scopre le fratture, dà sfogo
e voce ai «tempi» compressi nei termini che lo compongono.
La filologia interpola il testo come la cronaca la storia. Il lato
della storia, « lo strato dell'istorico » che essa offre è un tempo
raggelato nei suoi .frammenti, che «straniati» si guardano come
cristalli di incompatibile for.ma e composraione. Offre dunque lo
strato primitivamente temporale delle «parole» che formano la
storicità del testo. Andare oltre questa interpolazione, questo st-ra-
niamento, connettere, non è compito della filologia. Questa, se
certamente non restituisce solo il significato del testo, ma lo eccede
producendo un surplus di senso, non ha però la forza di « illumi-
narlo », di portarne a compimento la « critica ». Quanto già in
questa lettera si intravede è comunque che questa idea di filologia
non coincide con quella romant-ica: la parola non vi si mantiene
come unità vivente nella sua storia, il « tempo » che presenta
agli occhi della contemplazione filologica è « natura morta». Solo
nell'immobilità di un quadro la storia della par6la è «salvata».
Questo si chiarirà soprattutto in una lettera a Rang del dicem-
bre '23, scritta contestualmente alla ricerca sul Trauerspiel. La
critica mortifica le opere. E - a questo punto del pensiero benja-
miniano - non solo e non semplicemente perché scompone il
suo oggetto, quanto perché il sapere che vi annida al suo interno
è interpretazione. Non è q.uindi immediata riproduzione delle for-
me che l'opera racchiude, ripetizione dell'accadere che genetica-
mente l'ha costituito. Ri-petere il tempo dell'opera è impossibile,
non appena il sapere lo sfiora, questo si ritrae. E questa appare
immobile, indifferen,te ai momenti del suo « sviluppo» e recede
nella « notte della natura», per brillarvi nella sua 9:5torica essen-
za 12 • La storia dell'opera, nella sua estensività, in questa notte
si contrae, si avvolge in se stessa e solo in questo chiudersi brilla
della flebile luce delle stelle. La critica che penetra nella monadica
sfericità dell'opera, lo fa per svolgerla, per dispiegarne la forma;
11 Cfr. BR, p. 257.
12 Or. LT, p. ì2.

132
ma proprio perché lo può fare solo in quanto interpretazione 13 ,
il dispiegamento che produce è trasformazione. Se la « storicim
specifica dell'opera d'arte» è ,tale da precludersi ad una generica
storia dell'arte e da dischiudersi esclusivamente nell'interpretazio-
ne, quest'ultima è il momento che « salva » la notturna immobilità
dell'opera, illuminando-trasformando l'intensiva temporalità che
la abita. Per questo lo spazio dell'interpretazione è uno spazio
temporale intensivo e non-« un atto atemporale», come qui invece
dice Benjamin 14 • Le connessioni che l'interpretazione fa apparire
nel suo spazio tra « diverse opere d'arte che sono atemporali, e
tuttavia non mancano di rilev-anza storica» (è evidente che qui
Benjamin continua ad identificare ttemporale con temporale-estensi-
vo), sono connessioni delle loro costituzioni temporali intensive:
storiche. E il tempo che intenziona lo spazio dell'interpretazione
è il venire alla luce dal mondo della ·sua « chiusura », deUa sua
Verschlossenheit, del tempo confinato nella «naturalità» dell'ope-
ra, il suo costituirsi in tempo storico. Il tempo dell'interpretazione
consiste cosf nel configurare, nel dilatare in spazio i noccioli tempo-
rali dei suoi « oggetti ». E solo attraverso di essi - pur non
identificandovisi - -si manifesta. Non un tempo qualitativamente
« altro» intenziona l'interpretazione, non un quadro trascenden-
tale. che predetermina le possibili trasformazioni dell'oggetto; il
suo tempo è solo quello della considerazione stessa, della Betrach-
tung, e si accende soltanto ail contatto dell'oggetto considerato.
Il considerante non vive in una temporalità « autentica» che lo
preservi dagli esiti, dai mutamenti cui è esposto dallo stesso sno-
darsi interpretativo: il suo tempo è puramente differenziale. ~
il puro margine che impedisce di precipitare nella notte dell'opera,
di smarrirsi negli scivolosi sentieri dell'Einfuhlung 15 • Perché è
proprio qui - nelJ..'Ein/iihlung - che l'opera non si mostra, ma
parla solo il soggetto, e la grammatica del suo « parlare» è costi-
13 « Ogni sapere umano - scrive Benjamin a Rang - se vuole essere respon-
sabile, deve avere la forma dell'interpretazione e nessun'altra.» (LT, p. 73.)
14 Or. ivi, p. 72.
15 « e.o.ne un malato che è sconvolto dalla febbre e che rielaboro tutte le
parole che riesce a percepire dentro le tumultuanti immagini del delirio, lo spirito
del tempo s'impadronisce di tutte le testimonianze di mondi spirituali passati e
molto remoti per trarle a sé e per incorporarle senza amore nel suo fantasticare,
che è prigioniero di se stesso ... A questa deprecabile e patologica suggestionabilità
in virtu della quale lo storico cerca di scivolare, tramite (( sostituzione », al posto
dell'artista, come se questi, precisamente perché l'ha fatta, fosse anche l'inter-
prete della propria opera, è stato dato il nome di Eir./iihlung ( entroparia}, dove
la mera curiosità è esorcizzata e dissimulata sotto il mantellucdo dd metodo.•
(DB, p . .38.)

133
tuita dalle sue Stimmungen. Oppure - ma è solo raltro lato
di questo « smarrimento » - non la pluralità dei « tempi » e
« strati» problematici dell'opera emerge ne1la critica, ma, di nuo-
vo, la Stimmung dell'autore. Non è il soggetto con i suoi innume-
revoli discorsi e sentimenti che interessa Benjamin, ma il « luogo »
e il « momento » della sua origine. Ma già qui siamo giunti alla
soglia problematica della Erkenntniskritische Vorrede che Benja-
min premette a:II1Ursprung.
A conclusione di essa Benjamin ne giustifica la funzione:
« Il pericolo di lasciarsi precipitare dalle altezze della conoscenza
nelle spaventose voragini dello stato d'animo barocco rimane anche
in questo caso non spregevole. Sempre di nuovo, negli improvvisati
tentativi di rendere attuale il senso di quest'epoca, ci si imbatte
in quel senso di vel'tigine che è suscitato da-Ma vista de11a sua
spiritualità, che si avvolge in contraddizioni » 16 • Il sapere come
interpretazione non coincide cosf con la volatilizzazione della datità
storica di quanto considera, ma paradossalmente è solo l'altro lato
dell'anti-soggettivismo benjaminiano; soltanto ripercorrendo il
processo logico che vi oonduce, sarà possibiJe conoscere quanto
«peso» gravi sull'apparente leggerezza del suo procedere. « Sol-
tanto una considerazione che viene da lontano, e che anzi è dappri-
ma estranea alla visione della totalità, può ,portare lo spirito, attra-
verso un tirocinio in certo modo ascetico, a quel consolidamento
che gli permette di rimanere al cospetto di tale panorama, padrone
di se stesso. » 17 « L'andamento di tale ,tirocinio », conclude Be-
njamin, era il proposito della Vorrede.

II
A. Scrittura e Darstellung. La Vorrede epistemologica sta
dinanzi ai due capitoli del libro: Trauerspiel und Tragodie e
Allegorie und Trauerspiel, « come l'angelo con la spada fiammeg-
giante del concetto all'ingresso del paradiso della scrittura» 18 •
Il consiglio benjaminiano di tralasciare l'introduzione - omessa
in gran parte, con vana diplomazia, nella copia consegnata all'uni-
versità di Francofo.11te - e di leggerla p·er ultima, perché avrebbe
potuto comprenderla solo chi aveva dimestichezza con la Kabbalah,
non può essere seguito 19 •
16 Ivi, p. 41.
17 Ivi, p. 41
18 G. Scholcm, W.B. e il suo angelo, cit., p. 90.
19 Or. la testimonianza di M. Rychner in AA.VV., Ober W.B., cit., p. 25.

134
Senza attraversare il « deserto di ghiaccio dell'astrazione »
(per usare l'espressione coniata da ·Benjamin a proposito del lavoro
adomiano su Husserl), il lettore difficilmente potrà godere dei
frutti che il paradiso della scrittura benjaminiana gli offre, assai
piu facilmente si smarrirà nelle antinomie dell'allegoresi barocca.
La funzione della Vorrede è dunque nel definire lo spessore « cri-
tico» di una considerazione che non sia risucchiata nella scena
del Trauerspiel; la necessità logica di un'interpretazione, che pur
muovendosi nel suo in temo non si trasformi in figura « teatrale »,
non reciti. Non si attesti insomma nella « cattiva » ironia romantica
che fa dire ad un attore le proposizioni intorno al « gran teatro
del mondo ».
L'Einleitung si apre cosf intorno al problema della rappre-
sentazione, come problema-chiave della filosofia. Problema di fron-
te al quale questa si trova costantemente da capo « ad ogni sua
svolta » (mit ;eder Wendung) 20 • Queste svolte sono le svolte
del tempo. Il tempo storico è il vero schema, che •traduce in « lin-
guaggio » il rapporto tra la filosofia e le idee dei suoi problemi.
Benjamin qui non concede niente all'Historismus, anzi tutta I'Ein-
leitung è volta a depurare l'esercizio della critica filosofica da irri-
gorose diluizioni storicistiche, o da riduzioni psicologistiche 21 •
Il rapporto filosofia-tempo presuppone d'altro canto la crisi della
hegeliana potenza del concetto 22 • La rilevanza dei sistemi filoso-
fici passati non è data dall'abbozzo di una descrizione-esplicazio.
ne del mondo che contengono, ma dal modo in cui « rappresen-
tano ii} mondo nell'ordine de1le idee» 23 • Non solo essi manten-
gono il loro senso ma Io potenziano dispiegandolo, se « invece
che al mondo empirico, vengono riferiti alle idee » 24 • Lo spazio
effettivamente filosofico è la formazione dei concetti per descrivere
il mondo delle idee, non il mondo.
Presupposta e consumata è qui la scissione delle Ricerche
logiche husserliane tra costituzione della razionalità e costituzione
del mondo. Del Bild des Wirklichen, dell'immagine del reale, che
I motivi della mistica giudaica chiaramente riconoscibili nella V o"ede, come
notano i curatori delle GS, sono: « la teoria del nome», quella dei gradi di senso
della contemplazione e la « distinzione tra una sfera dell'interrogabile ed una
del non interrogabile» (dr. GS, I, 3, p. 88.5).
20 Cfr. DB, p. 7.
21 Cfr. per questo, M. Cacciari, Di alcuni motivi in Walter Ben;amin, dt.,
pp. 209-212.
22 Per questo rimandiamo alla Premessa logico-storico di questo lavoro.
n DB, p. 12.
i.t Ivi.

135
il pensiero filosofico ha cercato di descrivere, rimane l' « ordine
concettuale » sviluppato per la descrizione. Compito della futura
filosofia è destrutturare questo Bild per interrogare ex novo il
mondo delle idee, farsi interprete della sua « rappresentazione ori-
ginaria». Ma filosofia è interpretazione delle idee in quanto
queste sono originarie, non originate dallo sviluppo dei concetti,
dal loro movimento. D'altronde le idee si offrono soltanto nel
Bilà des W irklichen che il pensiero produce. Questo impedisce
di pensarle puramente e di esporle nella « conchiusa configurazione
sistematica » di una dottrina 25 • La « conchiusa sistematicità »
della dottrina presuppone o l'assoluta produzione delle Idee da
parte della filosofia, o una loro assoluta intuizione intellettuale.
In entrambi i casi lo schermo del Bild, come schematismo del
tempo storico necessario a1l'esporsi delle Idee, è saltato e con
questo è eliminato il problema della rappresentazione. Ma tale
eliminazione coincide con la riduzione dell'idea a concetto - a
« astrazione » logicamente prodotta - e quindi con la totale for-
malizzazione di quest'ultimo. L'eliminazione del problema della
rappresentazione è dunque la possibilità di evocare more geome-
trico la dottrina filosofica, la trasformazione della Veriassung delle
idee in Verfassung logico-matematica.
L'idea non è piu mostrata tramite la Darstellung filosofica,
ma dimostrata, provata attraverso operazion·i logico-matematiche.
In questa riduzione more geometrico della filosofia, il suo oggetto
è interamente contenuto nella sua formulazione segnica, è mate-
matizzato. E tra concetto e segno impiegato, nella matematica,
v'è corrispondenza biunivoca, del tutto lineare: cos{, mentre la
forma della rappresentazione è del tutto indifferente 26 , l'espo-
sizione di problemi ·filosofici è - per Ja loro formalizzazione -
rigorosamente necessaria nelle sue modalità e connessioni sintatti-
che. E per ciò rigorosamente apprendibiile, conoscibile. L'intrinseca
didatticità è lo stigma della conoscenza. Ma la conoscenza per
Benjamin non costituisce l'ambito della .filosofia, bensi quello delle
scienze; tra la prima e queste ultime non sussiste {né Benjamin
cerca di instaura,rlo) un rapporto di fondazione, ma una differenza
di ordini.
L'ambito filosofico è la verità che ·abita in quanto i linguaggi
intendono 27 • Cosi'. si chiarisce ulteriormente la cruciailità del pro-
:z.s Cfr. DB, p. 7.
"6 Nel senso che i segni sono convenzioni assolutamente sostituibili.
rt Cfr. DB, p. 7.

136
blema della rappresentazione; questo fa tutt'uno con la natura
prettamente·« linguistica» della ricerca filosofica e con l'essenziale
segnatura storica di questa natura.
« La dottrina filosofica è basata sopra la codificuione sto-
rica. » 28 Se quanto interessa dei sistemi filosofici è il loro lavorare
e Gviluppare concetti e connessioni di concetti per la rappresen-
tazione di idee, queste idee non sono, come già detto, prodotte
ma date nel linguaggio. Il modo del loro isolamento, della loro
estrazione dall'àlveo del linguaggio e la forma della loro rappresen-
tazione, il codice della loro scrittura è la peculiarità di ogni si&tema
filosofico.
,La forma della Darstellung, la « scrittura » di ogni « grande
filosofia» è la sua differenza costitutiva; e la storicità del codice
che genera questa differenza è il prodotto dell'interazione tra pen-
siero e tempo storico. Il « tempo » qui non è quanto è appreso
dal pensiero filosofico, ma quanto costituisce i caratteri con i quali
questo si iscrive nel piu vasto corpo del linguaggio. Questo defini-
sce la deperibilità cli ogni codice filosofico, la condizione della
sua trasformazione per una sua trasmissione produttiva. Qui ritorna
la distinzione tra filosofia e conoscenza. Il metodo filosofico è
la sua scriittura. Cosf, ·« ciò che è metodo nei sistemi filosofici
non trapassa nelle loro applicazioni didattiche» 29 • La trasmissio-
ne del metodo è possibile solo come nuova scrittura, nuova rappre-
sentazione, nuova interpretazione. Qui sta l'« esoterismo» che ine-
risce a tutti i sistemi ,filosofici; « esoterismo che non sono in grado
di abbandonare, che è loro nef«ato di dissimulare e che, se lo
esailtassero, li condannerebbe » 0 • Ma proprio questo nega alla
filosofia la pmsibiJi.tà di anticiparsi nel sistema, e da H riflettersi,
comunicarsi, svilupparsi. Essenziale e produttivo per la filosofia
è l'esercizio della forma della rappresentazione. Filosofia non è
speculazione concettuale soltanto, ma scrittura. Anzi, scrittura-cri-
tica del ilinguaggio.

B. Verità e Umweg. Per comprendere funzione e interdipen-


denza di questi due termini, per caratterizzare la posizione che
assume la filosofia nella Vorrede, è necessario approfondire ulte-
riormente la di9tinzione tra oggetto de11a conoscenza e verità. A
21 Ivi.
21 Ivi.
30 Ivi, pp. 7-8.

137
distinguere radicalmente i due termini è anzitutto l'atteggiamento
che specifica la conoscenza. « La conoscenza è un avere. Il suo
stesso oggetto si determina in quanto va posseduto - sia pure
trascendentalmente - nella coscienza. » La conoscenza si contraddi-
stingue in quanto pro-duce il suo oggetto, determina a priori le
forme del suo darsi, costituisce un reticolo concettuale nel quale
costringerlo, farlo apparire. La struttura del suo metodo, dei suoi
metodi e delle ·sue ·strategie è sempre riconducibile a « nessi della
coscienza» intenzionalmente relati ad un oggetto. :8 il carattere
intenzionale di questa relazione che identifica l'oggetto del cono-
scere in « oggetto da possedere». Sia in quanto contenuto a prio-
ri in aui intenzionali del pensiero, sia in quanto trascendentalmente
costituito nelJe forme dell'intuizione e/o strutturato in quelle del
giudizio, l'oggetto è prodotto, e per questo conosciuto e quindi
posseduto.
Conoscenza cosi non è penetrazione nella «concretezza» del-
la particolarità di uno stato di cose, ma la sua formalizzazione.
Solo cosf ri-duce un determinato stato di cose in classi di oggetti
e classificandoli attribuisce loro «proprietà». Tale riduzione-clas-
sificazione è dunque pro-duzione dell'oggetto. La sua fowalizzazione
significa inserirlo in un « rapporto di proprietà». Per que9to, per
la conoscenza, « la rappresentazione è secondaria » 31 • Non è in-
terna al suo metodo.
Tutt'altro invece, nel caso della verità. Essa non è posseduta,
ma desiderata. Di fronte ad e95a la filosofia sta come un sapere
dominato ·da Eros. Considera soltanto, contempla. Nella contem-
plazione del suo oggetto il sapere mantiene tutti gli originari carat-
teri del desiderio erotico. Se il coi,po dell'amata è un giorno cono-
sduto dal suo amante, mai ,Io è l'immagine della sua bellezza.
Questa immagine è perennemente inseguita e mai raggiunta, mai
posseduta. Si mostra senza lasciarsi imprigionare dal suo occhio,
è la verità dell'amata. Cosi, in generale, la bellezza inerisce alla
verità, come al suo essenziale « momento .rappresentativo » 32 ,
determinando il desiderio del suo apparire in colui che la perse-
gue 33 • Fissare questa apparenu è compito della filosofia. Fissare
qui, come risulterà chiaro, non vuol dire affatto produrre né tra-
11Ivi, p. 10.
lJlvi, p. 11.
» « Anche la verità è bella ... essa è bella non tanto in sé quanto per colui
che 1a persegue. Se ciò compona un soffio di relativismo, la bellezza che deve
inerire alla verità non per qUC9to diventa, neppure lontanamente, un epiteto
metafisico.• (lvi, p. ltl.)

138
passare in vista di un'essenza che sia in essa celata. Tale apparenza
è « l'essenza della verità in quanto essenza del regno delle idee
che si rappresenta » 34 , è im-mediata e im-mediabile. « Ment-re
il concetto procede dalla spontaneità dell'intelletto, 1e idee si offro-
no all'osservazione.» 35 Se la conoscenza è essenzialmente produ-
zione-mediazione dei fenomeni tramite i concetti, la verità come
essere delle idee si sottrae ad ogni mediazione concettuale, mentre,
come vedremo, la funzione dei concetti nei confronti delle idee
è tutt'altra. La immediatezza-immediabilità delle idee non significa
però la loro diretta intuibilità, ma solamente l'impossibilità di
« togliere» la loro originarietà e quindi di una Auf-hebung della
loro datità. Pensare l'essere delle idee quale oggetto di una intui-
zione, sia pure di una intuizione intellettuale 36 , significherebbe
rinchiuderle nel cerchio dell'intenzione e quindi, in ultima istanza,
ridurle-produrle nella coscienza. L'idea si può solo circo-scrivere,
percoMere nei suoi -singoli tratti. La Betrachtung (la osservazio-
ne<ensiderazione), cui q.uesta si offre, può solo 6ignificare una
sua de-scrizione, in alcun modo una sua in-tuizione.
L'idea è un che di infinitamente complesso e per questo la
sua « contemplazione non conosce fine » 37 • Pensare l'idea perciò
significa riconoscerne i,l carattere intimamente discontinuo, rinun-
ciare ad un « decorso ininterrotto dell'intenzione » 31 • Non vi
sono « passaggi » tra i diversi gradi di senso che l'oggetto con-
tiene 39 , non v~ un continuum logico che li attraversi, che ne
risolva le differenze mediandole. La sua considerazione assume
cosf una « ritmica intermittente», si frammenta nei suoi dettagli.
Il passaggio da un « grado di senso » all'altro è, schlegelianamente,
un . salto. li mantenersi del pensiero nella Betrachtung dei suo
oggetto significa non poter contare sul suo «movimento» prece-
dente, la necessità del suo frastagliarsi e il dover « riprendere
fiato » ad ogni « capricciosa particella » sulla quale si depone.
Ma questo movimento del pensiero ripete strutturalmente quello
della scrittura: infatti « è proprio della scrittura arrestarsi e rico-
minciare da capo ad ogni frase » 40 •

34 lvi.
35 Ivi, p. 10.
» Ivi, p. 16.
37 Cfr. )a prima versiooc dcll'Einleitun_g, 8158.i interessante per Jc varianti
e )e maggiori esplicazioni che contiene, in GS, I, 3, p. 926.
li DB, p. 8.
39 Cfr. GS, I, 3, p. 927.
40 DB, p. 9.

139
t questa identità strutturale che spiega definitivamente la
« rappresentazione » come « quintessenza » del metodo filosofico.
E, per i motivi che abbiamo detto, tale rappresentazione è sempre
un seguire le sfaccettature dell'oggetto, un girarvi cautamente attor-
no per trascriverne i contorni. :8 quindi un Um-Weg 41 • Darstellung
als Umweg; « la rappresentazione come via indiretta» 42 è dunque
l'unico possibile metodo, l'unico percorso per «tenersi» presso la
« cosa.stessa » senza ridurla-produrla in « nessi della· coscienza sog-
gettiva», o trasformare H Betrachten in grubeln, in solitario rimugi-
nare. :8 per il carattere« scr-ittu.rale » della Darstellung che la forma
filosofica è il saggio. Ma il saggio benjaminiano non è, come per il
giovane Lukacs, nostalgia del sistema, ma memoria del Trattato me-
dievale. Proprio di entrambi non solo è .Ja rinuncia del « nesso coer-
citivo della dimostrazione matematica» 43 , ma anzitutto una« pro-
saische Niichternheit », una « prosaica sobrietà» 44 •

C. Critica come micrologia. Solo in questa « prosaische Niich-


ternheit » le idee possono mostrarsi. La « prosaica sobrietà» è il
linguaggio della critica. Il carattere non intuibile dell'oggetto che
la filosofia considera, il suo sottrarsi ad una presa diretta, pone
l'essenzialità della critica per la sua rappresentazione. La critica
è quanto fa « con-sistere » l'apparire, fissa la bellezza della sua
verità 15 • Se in quanto « critica », la rappresentazione mette in
crisi la stessa forma dell'intuizione, la ·sua pretesa di relazione
lineare ed univoca, di neoplatonica «visione» sans-phrase, cosf
che« è precisamente l'intuizione che va interpretata »46 , - in quan-
to scrittura, critica l'idea protoromantica di verità come data in
una « connessione riflessiva della coscienza {o: riflettente in un
41 « In Benjamin l'Umweg è giustificato attraverso l'estrema concisione e il
piu stretto legarsi all'oggetto, che si sottrarrebbe alla presa diretta e percib deve
essere accerchiato. Qui non c'è alcun spazio per divagazioni o secondi fini. Si
rinuncia a cib che è periferico. Percil> l'Umweg si concentra, se lo si intende
letteralmente come un Um-weg su un punto centrale. La famosa similitudine di
Leibniz del viandante che si avvicina ad una città e la ~arda in una determinata
prospettiva, viene qui afferrata nella sua esattezza: il viandante cammina intorno
alla città, per abbraa:iarc con lo ssumfo la molteplicità delle sue prospettive. »
(H.H. Holz, Prismalisches Denken, in AA.VV., Ober Walter Be•!j,w::r:. cit.,
pp. 67-68.)
cz DB, p. 8.
4J Ivi.
44· Ivi, p. 9.
~ Or. GS, I, 3, p. 930: « Il bello ricava dalle idee la sua consistenza
(Bestand) nella sua rappmentazione attraverso la critica».
46 DB, p. 24.

140
c~ntinuum) » 47 , stabilendo invece il « carattere linguistico i. del-
la\ verità 41 • Per il carattere intermittente del pensiero che aderi-
sc~ alla di~ontinuità dell'oggetto, la « prosaica forma,. della rap-
presentazione è composizione di frammenti, senza essere frammen-
taria. n frammento è il suo respiro, non la sua vita. Ma solo
a questo respiro l'idea si offre, piuttosto che alla pretesa di affer-
rarla nella falsa totalità di un concetto. Cosf « il valore dei frammen-
ti di pensiero è tanto piu decisivo quanto meno essi sanno commisu-
rarsi immediatamente con la concezione di fondo, e da esso dipende
lo splendore della rappresentazione nella stessa misura in cui quello
del mosaico dipenda dalla qualità del vetro fuso » 49 •
Ed è questo carattere di mosaico della rappresentazione e
quindi della scrittura che definisce il « respiro» micrologico della
critica. « La relazione dell'elaborazione micrologica con -l'entità
del tutto figurativo e intellettuale esprime il fatto che il contenuto
di verità ,(Wah,heitsgehalt) può essere colto soltanto penetrando
con estrema precisione i particolari di un certo stato di cose (Sach-
gehalt). » 50 La critica che prende albergo nel dettaglio, lavora
alla differenziazione dell'oggetto 51 e solo cosf, per la isua diffe-
renza da esso, rinuncia a comprenderne la totalità dal punto di
vista del suo «distacco». La complessità dell'oggetto è data solo
dalla paziente composizione delle intersezioni critiche che vi si
sono frapposte in autonomi momenti, dai fili che si tendono e si
raccordano ed annodano dalle sporgenze e dagli anfratti nei quali
il sapere è giunto ad insediarsi.
Scrittura e critica si chiariscono dunque reciprocamente nella
forma della micrologia. I caratteri che la critica riesce a portare
alla luce nel particolare piu nascosto, nel dettaglio meno appa-
riscente, sono i monogrammi, che compongono i tratti dell'idea
nel testo della rappresentazione 52 •
Q GS, I, 3, p. 938.
41 Ivi.
49 DB, p. 9.
51 Ivi.
SI Or. M. Cacciati, Di alcuni motivi in Walter Ben;amin, dt., p. 234.
52 Rinunciamo qui ad abbozzare un confronto tra la tematica bcnjaminiana
della scrittura come micrologia e la riflessione di Derrida su scrittura-differenza-
decostruz.ionc. Alcune osservazioni si possono trOvare in H. Pfotcnhaucr, Benjamin
und Nietuche, cit. in part. le pp. 111-116; e nella nota di B. Lindner allo scritto
dello stesso Derrida, Ein Portrat Ben;amins, sempre in Walter Ben;amin im
Kontext, cit., pp. 171-178. Lo scritto di Derrida ~ un commento al Ritrailo di
Walter Beniamin del pittore Valerio Adami. Evidente è la radice ebraica dcl-
l'antimetafisicismo di entrambi. La metafisica implica sempre una svalutazione
della scrittura, come appare già con definitiva chiarC2Za in Platone, che pur
compare con una funzione determinante nell'Einleitung bcnjaminiana.

141
D. Idee - concetti - fenomeni. Adesso il problema è: corpe
rendere visibili i contorni dell'idea in questa « trascrizione~?
Senz'altro, come abbiamo visto, l'esame delle idee non ha ,na
autonoma esistenza plastica 53 • Né esse possono essere considerate
« risultato di un processo di deduzione logica» 54 , altrimenti non
sarebbe essenziale per loro il momento della Darstellung. L'essen-
zialità della Darstellung per le idee ha, se cosf si può dire, due
facce: e parte subjecti: come problema della forma della filosofia,
del suo statuto specifico (ossia scritturale); e· parte objecti: come
non solo unico possi-bile modus intelligendi delle Idee, ma anche
loro modus essendi. Cos{ se la « rappresentazione delle idee si
compie nel medium dell'empiria» 55 , questo è perché le idee non
possono rappresentarsi tramite se stesse. ~ H loro statuto interno
che glielo impedisce.
Le idee infatti possono apparire nel medium dell'empiria,
perché esistono come strutturazione di quest'ultima, sua Gestal-
tung. Il fatto che tale Gestaltung si esponga nell'empiria, come
già costituita e non come introdottavi dal ricercatore, non sia cioè
stata costretta dentro di essa 56 , « definisce l'idea in quanto esse-
re» 57 • Ma l'essere dell'idea, come specificheremo in seguito, è
di natura del tutto particolare. Come chiarisce intanto la prima
versione della Vorrede, l'idea è il « fondamento dell'essere delle
cose» 58 •
« L'idea come fondamento delressere fonda la cosa attraverso
la sua partecipazione all'idea. » 59 Ma nonostante che qui e nel
passo corrispondente del testo Benjamin citi Platone per sostenere
l'essere dell'idea e della verità, 1a dottrina platonica subisce un
chiaro e radicale spostamento d'accento. p « Seinsgrund » - no-
nostante qualche tentennamento dei testi benjaminiani - non
è piu di carattere ontologico, ma linguistico-semiotico. L'idea è
cosf del tutto de-sostanzializzata 60 •
La partecipazione della cosa all'idea è del tutto «virtuale».
« Nelle idee non sono incorporati i fenomeni... Piuttosto le idee
sono una loro virtuale coordinazione oggettiva, la loro oggettiva
53GS, I, 3, p. 9.36.
54Or. L. Wicscnthal, Zu, Wissenscha/ts1heo,ie W.Bs., cit., p. 35.
55 DB, p. 14.
56 Cfr. L. Wiesenthal, Zu, Wissenscha/lstheo,ie W.Bs., cit., pp. }7-39, dove
~ enali:a»to il rapporto tra Idea bcnjaminiana e Gestalttheorie.
SI DB, p. 10.
lii Cfr. GS, I, .3, p. 928.
" Ivi, p. 929.
eo Cfr. H.H. Holz, Prismfllisches Denken, cit., p. 91.

142
inf:erpretazione » 61 Il modus essendi dell'idea è l'intctpreta-
zi~ne. Perciò - se l'idea non contiene i fenomeni, non li comprende
sotito di sé « come -il concetto di specie comprende i generi » 62 -
la ·sua generalità non è un concetto risultante dalla mediazione
tra i fenomeni 63 • È essa a connettere i fenomeni, a determinare
per prima « la reciproca inerenza». E non viceversa - cos{ la
costitutività delle idee, che le definisce come « universalia
in re» 64, significa :« interpretationes in re ». La costitutività del-
ridea è costitutività dell'immagine delle cose 65 • L'oggettività del-
la rappresentazione coincide con il suo carattere di interpretazione.
Qui si chiarisce perché il « sapere come interpretazione» sia per
Benjamin il colmo dell ,antisoggettivismo. Soggettive - in senso
forte - sono le singole discipline scientifiche, i vari metodi, la
cui discontinuità non si lascia ridurre al continuum di una teoria
generale. Ciascun àmbito scientifico implica l'introduzione di
« presupposti indimostrabili » 66 , si presenta come infondato.
Fare della f.ilosofia :lo spazio che fonda in senso trascendentale le
diverse strategie scientificlie o che connette in una « logica siste-
matica » l'incoerente molteplicità dei loro presupposti si conclude
in un penoso ·« andar dietro » alle singole discipline senza mai
raggiungerle 67 •
Tra la teoria della costituzione discontinua delle idee ed una
« presunta » teoria generale della conoscenza scientifica non sussi-
ste alcun rapporto. Mentre tra filosofia e scienze v'è una ·radicale
dj.fferenza di statuto. Nessun ponte può essere gettato tra la prima
e le seconde. Le scienze sono l'àmbito della conoscenza. Attraver-
so i concetti esse dividono, scompongono, raggruppano nuovamen-
te i fenomeni - ne determinano le leggi - li trasformano; ed
i concettJi qui sono semplicemente ipotesi-funzioni per la conoscen-
za-trasformazione delle cose. Le idee invece « non servono alla
conoscenza dei fenomeni» 61 ; esse « intrattengono con le cose
61 DB, p. 15.
62 Ivi.
63 « ~ assurdo porre il generale come un che di medio. Il generale è l'idea. •
(,Ivi, pp. 15-16.)
64 ar. ivi, p. 21.
65 Per questo Benjamin precisa nella prima versione della Einleitung: « rcs in
Universale, nicht Universale in re» (GS, I, 3, p. 946): è l'idea che accoglie e
cristallizza in unità i fenomeni.
66 DB, p. 13.
67 Or. per questo M. Cacciari, Di alcuni motivi in Walter Ben;amin, cit.,
pp. 216-218.
68 DB, p. 15.

14.3
un rapporto simile a quello che c'è tra Je immagini delle st~e
e le stelle » 69 • Sono a/,tro dai fenomeni, e li raggiungono s o
contenendo il loro Bild, leibnizianamente come loro Repra n-
1

tation 70 • Ma il Bild non è semplice Abbild (alitrimenti l'iBea


sarebbe Erleenntnis) ma, come abbiamo visto, è interpretazione.
I fenomeni infatti non entrano ndle ,idee « nella loro grezza
configurazione empirica», ma già divisi e scomposti dai concetti,
« salvati» nei loro elementi. I fenomeni che l'idea coordina-raffi-
gura sono quelli mediati-risolti nel processo conoscitivo del concet-
to 71 • Il concetto è dunque termine medio tra l'ambito della cono-
scenza e quello delle idee (della verità). (In qualche modo, cos{,
sono le « scienze » a presentarsi di fronte alla filosofia ed Qffrirle
i loro «prodotti» 72.) Se l'idea è la strutturazione (Gestaltung)
dell'empiria, lo è solo dei suoi « elementi concettuali» 73 • La
«salvazione» dei fenomeni tramite le idee - non la loro trasfor-
mazione: le idee sono del tutto scisse dall'ordine empirico (ma-
terialmente scisse, pur essendo presenti virtualmente in esso) ed
ineffettuali nei suoi confronti - si compie solo attraverso « una
coordinazione di elementi cosali nel concetto » 74 • Se il medium
nel quale le idee si rappresentano è l'empi,ria, questa è parados-
salmente un'empiria concettuale, la zarte Empirie goethiana. II
fenomeno è salvato, recuperato, e partecipa alle« costellazioni eter-
ne» delle idee - eterne in quanto del tutto al cli là della deperi-
bilità dell'ordine empirico-mondano - solo in quanto suddiviso-la-
vorato dal concetto. Solo in quanto estremo. La mediazione dei
concetti - avendo questi assunto un carattere dinamico-funzionale
ed ipotetico-sperimentale - non restituisce i diversi fenomeni in
una generica-« media», ma nella estrema ditferenziazione dei loro
caratteri ed elementi. Mediazione è qui un termine e~ettivo di
passaggio, non la forma di un processo, la sua intima sostanza.
L'elemento fenomenico diviene un punto delle costellazioni che
formano le idee, in quanto « unico estremo (Einmalig-Extrem) » 75 •
Cos{ « l'idea viene circoscritta in quanto comigurazione del nesso
69 lvi.
'° Or. GS, I, 1, p. 214.
11 CTr. GS, l, 3, p. 933.
72 Questo certo non può significare come aedc la Wicscnthal che Ja dot-
uina bcniaminiana delle idee stia per un « pro,letto di ricerca interdisciplinare »
(ck. L. Wjcscnthal, Zur Wissenscha/tstheorie W.Bs., cit., p. 37).
n DB, p. 1.5.
74 Ivi, p. 14. Sul rapporto Idea-concetto-fenomeni, cfr. R. Ticdcmann, Studien,
dt., p. 34-39.
75 Cfr. DB, p. 1.5

144
(Gestaltung des Zusammenhanges) che l'unico ed estremo ha con
ciò che gli è simile » 76 • Nell'idea l'estremo giunge ad una sinteai, in
quanto essa è configurazione di differenze - Bild - non loro
risoluzione-mediazione, conceptus 11• Il concetto che « serve» alla
rappresentazione deH'idea « proviene dall'estremo» 71 ; è espressiont
funzionale del mondo fenomenico considerato nei suoi casi limite.
Come estremo il fenomeno acquista pregnanza sperimentale per la
formazione del concetto 79 •
Lo studio dell'estremo come « norma de1la formazione del
concetto » 80 produce la de-normalizzazione dei fenomeni, norma-
lizzazione che consiste semplicemente nel presentarli nei loro aspet-
ti « comuni ». Che il concetto « esca >> dall'estremo costituisce la
salvezza per il dettaglio. Gli estremi infine, raccogliendosi intorno
all'idea, sono i punti luminosi della sua figura, costituiscono gli
elementi della rappresentazione. E questo proprio per il carattere
di experimenta in re nei quali la critica micrologica può esercitarsi.
Ma il luogo di questo esperimento, per cui l'apparente normalità,
medianità del reale è trasformata in estremi 81 , è particolare.
Questa res non è res tout-court, né res extensa, né res cogitans
ma res linguistica.

E. Nome. Senza quest'ultimo passaggio, il discorso svolto


mn qui da Benjamin potrebbe sembrare un « semplice » tentativo
di trattare scientificamente gli oggetti storico<ulturali 82 • Ma i

76 Ivi.
77 Ivi, p. 23.
71 Ivi, p. 16.
79 Per un !i()S9loile rapporto tra la teoria benjaminiana degli estremi e quella
cassireriana del Gren1.gèbilde e del Gren1.bel{riff, si veda L. Wiesenthal, Zur
Wissenrchaftstheorie W.Br., dr., pp. 9-24. La Wicscnthal sottolinea soprattutto il
cal'3ttere sperimentale che in entrambi assumono queste categorie - in partic~
lare per Benjamin l'estremo si presenta come « una determinazione strutturale
dell'esperimento » (ivi, p. 32) - come una predisposizione di un fenomeno
particolare ad essere pr~vocato dal concetto, ad essere reso funzionale all'idea.
Qò che la Wiescnthal non sembra dire è che se l'estremo diviene un punto della
costellazione dell'idea questo non lo fa come fenomeno grezzamente empirico,
ma come materia signata, anzi Materia interpretata.
111 DB, p. 42.
81 Cfr. L. Wiescnthal, Zur Wissenrcbatslheorie W.Br., cit., p. 30.
a Ciome crede la Wiesent:hal ( fino a sostenere che Benjamin trasferirebbe
nelle scienze umane il metodo delle Naturwissenschaften), e non è un caso che
una delle parti meno convincenti del suo libro sia là dove cerca di mostrare la
relazione tra l'idea come « configurazione degli estremi» e l'idea come « un
che di linguistico•; dr. op. cii., pp. 12.5 e sgg.

14.5
passaggi che costruiscono la Vorrede, piu che confermare quanto
li precede, negano continuamente l'apparente e conciliante « solu-
zione» che sembra offrire. Il percorso per coppie di opposimoni
che Benjamin segue si produce e prolifera aH'interno delle alter-
native propugnate. Non quindi di percorso lineare né semplicemen-
te ascendente si tratta, ma di progressiva sdssione-'Segmentazione
dei passi compiuti. :I;: un tagliare in profondità, che non restituisce
sintesi dei termini segmentati e scissi da un'interna « opposizio-
ne », ma assottiglia via via il margine del discorso, lo spazio del
suo «gioco». Solo chi avesse letto -ii cammino fin qui svalto ·in sen-
so ingenuamente« realista » - senza cogliere i visibili avvertimenti
in senso contrario - potrebbe stupirsi di ciò. L'anti-empirismo
di Benjamin è radicale: « ,Le idee non sono date nel mondo dei
fenomeni» 83 • t il fenomeno che è visibile nell'idea e non vice-
versa. Se l'idea in quanto intenzionare (meinen) interpretante non
trova la sua determinazione diretta nell'empiria, ma la trova come
« potenza che conia l'essenza (Wesen) » 84 di quest'ultima, il
suo essere è di genere diverso da. quello dei fenomeni, e per questo
rimane aperto il problema di dove e come si diano le Idee.
Se Benjamin condivide con lo Husserl delle Ricerche, insieme
ad un radicale anti-empirismo ed anti-psicologismo, la posizione
« desc.i,ittlva » della filosofia di fronte ai « fenomeni ideali », non
ne condivide certo la « ridumone intenzionale» dell'analisi delle
« essenze » 15 • La « descrizione » dell'essenza, non può essere cau-
sata dalla sua intuizione, anche nel senso parbicolare che il termine
intuizione assume nelle Ricerche husserliane. L'auto-evidenza della
idea non consisterebbe cosr nel suo rappresentarsi, ma nel suo
disporsi in una « relazione intenzionale». L'idea allora, in quanto
intenzionata dal conoscere, non sarebbe vera. La verità infatti « è
un essere ain,tenzionale formato da idee » (ein aus Ideen gebil-
detes intentionsloses Sein) 86 , è « der Tod der lntention » 87 •
L'-unico atteggiamento possibile è « entrarvi e scomparire messa »,
inscriversi in essa. La verità non è affatto definibile trascendental-
mente. La differenza fondamentale Benjamin-Husserl è quindi
squisitamente epistemologica, verte sulla que,tione dello schema-
tismo e dell'apriori. « In Benjamin lo schematismo husserliano si

13 DB, p. 16.
14 Ivi, p. 17; abbiamo mutato la traduzione, cfr. GS, I, 1, p. 216.
15 Or. L. W-ic:senthal, Zur Wisunscbtl/tslheorie W.Bs., cit., p. 18.
86 DB, p. 16 e GS, I, 1, p. 216.
17 Ivi.

146
presenta lacerato. » 88 A lacerarlo è il farsi materia dell'apriori 19 •
è l'essere linguistico delle idee, la loro datità (Gegebenheit). La
datità dell'idea è il suo darsi come segno, il suo presentarsi e
consistere nel nome. Solo cosi l idea è sottratta ad ogni fenomenali-
1

tà, è scissa dal mondo delle cose e simultaneamente si dà in« modo


puro e semplice», im-mediatamente come le cose, ma senza con-
dividere la caducità di queste ultime. Come abbiamo visto in
precedenza, nel Nome la parola non conosce la differenza tra Idea
e segno: è simbolo 90 • Come colui che per primo ha dato i nomi
alle cose, Adamo è il « padre della filosofia » 91 , non Platone.
La teoria delle idee acquista cosi una flessione «ebraica», ma
tale «flessione» non ha valenze mitopoietiche: è impensabile sen-
za la « Riforma » leibniziana del concetto di ,sostanza 9 •
Idea e segno coincidono dunque nel Nome, come l'« unità
di oggetto sensibile e di quello sovrasem~ihile » 93 che costituisce
il simbolo. Ma se il Nome possiede questa « autotrasparenza »,
simbolica, questa astrale luminosità che non sembra destinata a
subire trasformazioni, obnubifainenri 94 è perché l'idea e quindi
il Nome è visi-bile solo nella sua Darstellung. Rappresentare non
significa dire, né il rappresentarsi dell'idea può essere percepito
come una parola 95 • Se l'idea si di nel Nome, non si dà quindi
nel linguaggio 96 • La Ursprache, la lingua originaria formata da
nomi è eclissata. Il Jinguaggio è cosf immerso nella notte della
comunicazione, della ambiguità dei segni, della sovradetermi.natezza
dei significati. Solo cercando di restaurare le condizioni di una
percezione originaria (Urvernehmen), di una percezione che inter-
roghi l'origine simbolica, l'originaria « nobiltà denominativa » del-
81 M. Cacciari, Di alcuni motivi in Walter Beniamin, cit., p. 217.
: Or. ancora per le OS6ervezioni che seguono, M, p. 219..
Cfr. DB, p. 17.
91 Or. ivi, p. 18.
92 Or. per questo di H. Heimsoeth, uihniz' Weltanschauung als U,sp,ung
seine, Gedankenwelt, in Kanl-Studien, Bd. XXI, n. 4, 1917, pp. 365-39, ed in
part. la p. 374, che del resto mette in evidenza la filiazione «mistica» del
pensiero leibniziano in opposizione a quello cartesiano.
93 Cfr. DB, p. 167.
94 In un frammento del complesso del Passagenwe,k, Bcnjamin parla del
nome di come c:ib che lega la vita a Dio nel segno deBa gioia: « Il nome stesso è
il grido del nudo piacere. Questo Niichte,ne (sobrio) Schicksalslose an sich (in
sé senza destino) - il nome - non conosce alcun atltro avversario che il destino »
(Passagenwerk. Mate,ialien und Au/zeichhungen, Konvolut O, BI. I, Benjamin-
A.tcliiv, Ms 248.5, citato in R. Ticdemt.nn, Studien, cit., p. ~).
95 Il nome cos( pub esser rappresentato, wittgensteinianamente mostrato, non
detto. Or. L. Wiesmthal, Zu, Wissenscha/lstheorie W.Bs., dt., p. 136.
• Cfr. M. C,acciari, Di alcuni moliui in W.B., cit., p. 221.

147
la parola, la « contemplazione f.ilosofica » può cercare di liberate
l'« idea in quanto parola» dal linguaggio. Se compito della filosofia
è « ripristinare nel suo presente ... il carattere simbolico della paro-
la», giungere ali'« autotrasparenza dell'idea», questo - come ri-
sulta da quanto precede - lo può fare solo mediante rappresenta-
zione. Ma rappresentaz.ione è scrittura, processo: il nome origi-
nario in essa si dà solo come storia. In tal modo il nome conosce
il destino della sua trasformazione. Se per il nome dover uscire
dalla mitica notte che ilo avvolge, spezzare il destino della sua
non~percettibilità nel linguaggio, per rappresentarsi attraverso di
esso costituisce la sua tragedia '17, è il tempo di questo attraversare
il linguaggio a costituire la sua Trauer(afflizione) 98 • In questo sp82Jio
si disperde, perde l'integrità della sua immediata identità simbolica.
La Trauer segna cos( il tempo delle trasformazioni del nome. Non si
dà rappresentazione del nome, che nel gioco delle sue trasformazioni
linguistiche, dei« conflitti » semantici che conflagrano dentro la sua
unità. Ma se la« natura» del nome wole che sia perfetto simbolo
tra idea e segno, questo simbolo è visibile nella Darstellung solo
-come silenzio. Si mostra soltanto, senza potersi dire.

F. Origine e storicità dell'idea. II Trauerspiel, afferma Benja-


min, è un'idea ·(dell'arte) 99• Esporlo nel senso di quest'ultima
- indicarne gli estremi - non è indifferente però ai « tirocinio
ascetico» della Vorrede. Il Trauerspiel è già presente dentro di
essa, torcendone la logica interna e autonoma. La Vorrede, oltre
che mostrare la« necessità del quadro di movimenti-trasformazioni
che il libro analizza » 100 , è interpretata da quest'ultimo.
La rappresentazione dell'idea è anamnesi, interrogazione di es-
sa circa la propria origine, il proprio Ur-sp,ung. Questo certo
non significa spiegare la genesi delil'idea, la sua Entstehung 101 ,
ma nemmeno pretendere di saltare la storia che, in senso forte,
sta dinanzi a tale interrogazione o di collocare IVr-sprung in un
momento temporalmente definito del passato. Anamnesi qui signi-
fica fare affiorare nella « simultaneità cristallina » di. un con-testo

Cfr. le notazioni un po' diverse di Cacciari, ivi, pp. 222-223.


'TI
Su nome e Tr11Uer cfr. R. Ticdemann, Stutlien~ cit., pp. 55-59.
91
" Cfr. DB, p. 19.
ux, M. Cacciari, Di alcuni motivi in W.B., cit., p. 210.
101 « L'origine, bench~ sia una categoria pienamente storica, non ha nulla in
comune con la genesi.» (DB, p. 28.)

148
semiotico 102 , quanto - nello sviluppo storico - un'idea deter-
minata ha investito di sé. t solo -in questo «contesto,. - dove
la storia nolla sua grezza cmpiricità appare come -« la sua frangia
colorata » - che l'idea « esprime » il suo essere linguistico.
L'Ur-sprung è la fenditura del novum nella crosta del sem-
pre-uguale dei fenomeni; non è semplice Anfang, inizio. L'origine
non riguarda il divenire come un trascinare quanto è una volta
scaturito (Entsprungenes). L'Ur-sprung è lo zampillare di una
polla sotterranea dentro il corso d,i un fiume, è uno scaturiente
(Entspringendes) 103 che muta l'immagine stessa del divenire,
formandovi un vol't!ice che « trascina dentro la propria ritmica
il materiale della propria nascita (Entstehungsmateria/.) » 104 • La
origine è processo, ma processo formato, strutturato. Quanto in
esso si origina, non è quanto è da esso causato, ma quanto passa
attraverso l'« apertura » nella sequela del fenomenico, che l'Ur-
sprung rappresenta. In ogni fenomeno d'origine (Ursprungspha-
nomen) si determina la ,forma sotto la quale « un 'idea sempre
di nuovo si confronta con il mondo storico » 105 • Per questo
la « categoria d'origine» è una ca,tegoria pienamente storica e non
logica, come vuole Cohen 106• Origine non è la fondazione logica
dei principi scientifici, in quanto oioè « primo fondamento delres-
sere », toglimento di ogni mancanza di presupposti nel « giudizio
d'origine » 107 • Se il·« giuài1lio d'origine» è fondamento del reale, lo
è in quanto esterno ad esso; e cosf la filosof.ia sarebbe possibile
come « sistema trascendentale » ed il concetto come « funzione »
del giudizio volatilizzerebbe la datltà dell'idea.
L'origine è categoria storica soprattutto in quanto « vortice »
che informa di sé ciò che « sotterraneamente » precedeva il suo
erompere e quanto raccoglie {nel suo « essere») nel fiume del
divenire. Cosf essa non emerge e non è desumibile semplicemente
da un insieme di reperti fattuali, perché di ques,ti « essa ... investe
la preistoria e la storia successiva (Vor- und Nachgeschich-
te) » 108 • Questo investire non è una traccia secondaria che i
UIZ L'origine non è quindi semplicemente quanto è comune a un complesso
di fenomeni, ma ciè « che nella simultanea V ergegenwiirtigung di certi punti si
forma come Darstellung » (GS, I, 3, p. 936).
103 Or. GS, I, 1, p. 226.
104 DB, p. 28.
185 Ivi.
106 Cfr. H. C'.ohen, Logik der reinen Erleenntnis, eit., p. 80.
107 Or. anche L. Wiesenthal, Zur Wissenschaftstheorie W.Bs., cit., pp. 25-26
e 175-176.
108 DB, p. 28.

149
fenomeni di origine lasciano dietro di sé, ma è destino e carattere
dell'ocigine. Solo nella complementarietà di questi momenti si dà
origine. L'origine è una ritmica particolare, una legaliità temporale
specifica inerente al rappresentarsi e quindi al« divenire» storico di
un'idea. Perciò il« fenomeno (Phiinomen) dell'origine non è dato ad
una piatta considerazione storica, unicamente rivolta ad un decorso
causale. Ma appartiene ad una considerazione, il cui centro sta
nella ricerca del tempo storico e che cerca di cogliere le sue Epo-
che non come prodotto di un modo di vedere soggettivo (Subjekti-
ver Anschauungsweise) ma di una ritmica obiettiva e teleologi-
camente determinata» 109 •
E questa 11itmica « dura » finché l'idea non compia la sua
rappresentazione « nella totalità della sua storia » 110 • Di qui il
duplice sguardo a cui solo è accessibile un fenomeno originario:
da un lato uno sguardo'« restaurativo» che coglie in un -fenomeno
lo « stigma » della sua origine, la forma che si l'ipete in esso;
dall'altro uno -sguardo che avverte Ja non-conclusivi.tà .del fenome-
no, il carattere aperto del processo che « e-spl'Ulle » e quindi la
sua singolarità. « Unicità e ripetizione » costituiscono cosi la dialet-
tica dell'origine, definendo nel foro condizionarsi reciproco la sua
essenza. Ma è proprio questo reciproco condizionarsi a decidere
della necessità, per la ·« penetrazione di ne9Si essenziali », di confi-
gurarli nel « mondo dei fatti » m, cosi che Ja « scoperta » della
essenzialità di un fenomeno (per la rappresentazfone dell'idea)
è insieme « riconoscimento » della sua originarietà m.
Questa assoluta complementarietà di Einmaligkeit (unicità)
e Wiederholung (ripetizione) nel fenomeno d'origine - del quale
queste due caratteristiche sono le due indissolubili facce, ed è
del tutto irrilevante se si offre allo sguardo prima l'una che l'altra -

IOI) GS, I, 3, p. 935.


HO DB, p. 28.
111Ivi, p. 29.
112Qui è uno dei punti piu incerti del discorso bcnjaminiano. Nella prima
stesura la Entdeckung è scoperta « della attualità di un fenomeno come di un
rappresentante di dimenticate connessioni delfa rivelazione» (GS, I, 3, p. 936):
l'« Ursprung è dunque Entelechia» {ivi, p. 946), una entelechia della 01/enb(ITung
( Rivelazione) cos{ che « tutto ciò che è originario, è incompleta restaurazione della
rivelazione» (lvi, p. 9}5). L'oscurm.i di queste due categorie di entelechia e di
rivelazione, il loro cancellarsi nel testo della sccoode versione della V orrede le
trasforma in pause della «musica» del Trauerspiel (dobbiamo questo suggeri-
mento a H. Schweppdlhauscr). E proprio questo costituisce la Trauer di questa
musica - della musica in generale - per non poter pronunciare il « nome »
divino. (Cfr. Th. Adorno, Quasi una fantasia, Frankfurt/M., 1963, p. 11). L'ori-
gine cosi non può chiudersi definitivamente e diviene memoria del nome.

l50
se da· un lato dice la necessità dei fenomeni, del «tempo», perché
l'idea esprima la sua linguisticità, dall'altro costituisce la « salvazio-
ne» della singolarità dei fenomeni nella totalità dell'idea, trasforma
il loro tempo in tempo storico m_

G. Monade e « storia naturale». Che la storia - come tale


« un decorso irripetibile» - accolga come motivo essenziale del
suo « ritmo» quello deiila ripetizione, sgombra il campo da ogni
sospetto di Historismus nel discorso benjaminiano, che verrebbe
cosi semplificato nel fare, hegelianamente, dell'idea una Gestalt
dello spirito obiettivo 114 • La compenetrazione di questi due mo-
menti (unicità e ripetizione) costituisce proprio l'experimentum
crucis per ottenere un',immagine, un Bild, della storia, che « dagli
estremi piu remoti, dagli apparenti eccessi dello sviiluppo » lasci
trasparire la « configurazione dell'idea» 115 • Allora è evidente
che qui la storia è « destoricizzata », nessuna chimera di stabilire
« Wie es dem eigentlich gewesen sei » 116 (come sia effettiva-
mente andata) vi soprav-vive. Non casuale è iJ richiamo a Niet-
zsche, che con la dottrina dell'Eterno Ritorno « ha forse potuto
avviare l'esperimento, ma non risolverlo » 117 (e per questo, il
carattere dell'apparenza attorno a cui gira :rl problema-storia, com-
parirà potentemente negli ultimi anni di Benjamin).
Cosi, una frase come: « il mondo reale (die reale Welt)
potrebbe benissimo essere un compito nel -senso che varrebbe la
pena di penetrare in tutto ciò che è reale [ in alles Wirkliche:
in tutto ciò che è effettuale] tanto profondamente da fare in modo
che si dischiuda una obiettiva interpretaziòne del mondo » 118 ,
m « Le forma nella quale il singolo viene cristallizmto e fissato nell'idea ~
storia.• (GS, I, .3, p. 946.)
114 c.ome sembra invece sostenere Holz in Prismatischcs Denken, cit., p. 97
e sgg., che interpreta la « storicità dell'idea • come « l'efficacia del fattore sogget-
tivo nel mondo >, e, pur avvertendo che questo Subiektcharakter delle idee non
è « frcischwcbend », ma intrecciato nell'obiettività, Holz non sembra compren-
dere - e per questo forse parla delle idee come « interpretabili », mentre sono
esse ad interpretare - che nella Vorrede le idee hanno carattere di soggetto
in senso forte. lntenzionano, non sono intenzionate; ma intenzionano il linguaggio,
non il reale, significando cos{ che la percezione di quest'ultimo è perce-,.done della
sua ermeneutioitl. La frase benjaminiana: « è !'.intuizione che va interpretata >,
va assunta assai seriamente, in quanto implica una irreversibile crisi dell'imma·
gine lineare e « univoca » della struttura dell'intuizione; della sua pura analiticità.
115 DB, p. 29.
116 GS, I, 1, f.· 222.
111 Or. GS, , 3, pp. 9n-936.
lii DB, p. 30; abbiamo modificato la traduzione, cfr. GS, I, 1, p. 228.

151
non può trarre in inganno. Il Wirkliche, l'effettuale, non è la
« reale Welt »; penetrare l'effettuale significa penetrarne l'appa-
renza. Per giungere all'interpretazione, alla rappresentazione delle
idee, non alle cose!
Destoricizzazione della storia significa dunque che « ciò che
è abbracciato nell'idea dell'origine» perde ii lato empirico del
suo accadere, il suo divenire, per trasformarsi in «essere essenzia-
le». « Esso non è piu pragmaticamente effettuale» 119 , bensi
giunge alla quiete della natura, diviene « .storia ,naturale », si ritrae
nella « essenzialità ». Ma questo « ritrarsi » nel quale il « divenire
dei fenomeni » è fissato nel loro « essere », è un consumarsi, un
in-finito consumarsi della loro storia m_ Consumarsi, che è l'unica
condizione per la « salvezza » del dettaglio, perché la sua « caduci-
tà» si ritragga in una durevole essenzialità, congelandosi. « Il
flusso dei fenomeni si congela nell'idea e le sue mille mobili onde
si fondono in un solido manto di ghiaccio che dura. » 121 Questa
struttura - nella quale i fenomeni confluiscono, si contraggono
e si saldano in idea - è la monade. « L'idea è monade »m.
La monade è fa struttura della -storioità dell'idea, la «concrezione»
del suo rappresentarsi; l'essere che essa contiene è «salvato», è
storia « salvata», in-finita, quanto alle possibilità di scomporla,
analizzarla per trovarvi un grado di « Reprasentation » e di « inter-
pretazione obiettiva dei fenomeni» 123 • La monade come struttu-
ra aintenzionale, che -« non si piega al dogma della -scissione sogget-
to-oggetto », è il « testo » storico-naturale che può tradursi in
scrittura, in una scrittura che -sia la « linea di confine» sulla quale
il soggetto sta nell'oggetto e viceversa, la « terra di nessuno tra
io e non-io» 124 ; è lo spazio -« naturale » dove una critica mi-
crologica può scomporre in particelle infinitesimali il suo oggetto,
-senza perdersi. Non è quindi « enigmatico che ,il pensatore della
monadologia sia stato anche il fondatore del calcolo infinitesima-

119 Or. GS, I, 1, p. 227 e DB, p. 20.


J20 « Poiché il concetto di essere de11a scienza filosofica non si satura del
fenomeno, bens{ soltanto attraverso una consumazione della sua storia. L'appro-
fondimento della prospettiva storica in simili ricerche non conosce per principio
confini, né quanto al passato né quanto al futuro.• (DB, p. 30.)
m GS, I, 3, p. 947.
122 DB, p. 30.
123 Cfr. per questo G. Leibniz, MonaJologitJ, a cura di G. Dc Ruggiero, Bari,
1971, 7•, pp. 141-142, nn. 65, 67, 68, 69.
124 Or. H. Schweppcnhiiuscr, Pbysiognomie eines Physiognomikers, in Zu,
Ali:tulllitiiJ W.Bs., cit., pp. 1.53-154.
le» m. L'idea è monade: anche il suo frammento piu esiguo, piu
minuto e impercettibile, « contiene l'immagine del mondo,.,

H. Kunstwollen. A questo punto si chiarisce cosa implichi


definire l'origine del T,auerspiel; ciò equivale a descrivere l'idea
della sua forma. Ma proprio del Trauerspiel tedesco è di non
giungere all'autotrasparenza della sua idea nella forma di un'opera.
Non è questo un « accidente » ·storico, ma un evento che incide
decisamente nella storia delle forme artistiche, nella « filosofia »
della loro produzione, mostrando e anticipando la crisi che rode
dall',interno la possibilità di esprimere il simbolo nella astorica
classicità di una forma . .L'espressione del simbolo è possibile solo
con la frantumazione del simbolo stesso. Ma in questo frantumarsi
il simbolo non si esprime piu, ma si ritrae nell'indioibile, mentre
i suoi frantumi si allegorizzano. Per questo l'allegoria del Trauer-
spiel - il suo carattere di frammento, il nori potersi conchiudere
-nel cerchio del simbolo, nella trasparenza del nome - è un corret-
tivo generale dell'arte.
« La realtà piu alta dell'arte è l'opera isolata, conchiusa. Ma
in certi periodi l'opera a tutto tondo rimane riservata soltanto
agli epigoni. Sono i periodi dolla "decadenza" delle arti, del "vooe-
re" l'arte. Per questo Riegl scoprt questo termine proprio nell'arte
tarda dell>impero romano. Accessibile al "volere artistico" (Kunst-
wollen) è soltanto la forma tout court, mai l'opera singola, total-
mente plasmata. In questo volere si .fonda l'attualità del barocco
dopo il crollo della cultura classica tedesca. » 126 Quest'attualità
è certo data dal rapporto tra barocco ed Expressionismus 127 ,
ma non solo. Piu in generale, è data dalla connessione tra la volontà
di /orma che produce il Trauerspiel - volontà che non s'incarna
plasticamente, non si realizza in parole} ma si disperde nell'infinità
conflitituale e pluricontraddittoria del segno allegorico - e la « la-
cerazione » del « presente » 128 • Il tempo barocco, con la sua
sospensione dell'escatologia, è un tempo lacerato, è lacerazione
a priori di ogni tradizione. Sia coniugata al passato, per cui « il
dramma haTocco tedesco appariva cosf come un'immagine sfigurata
125 DB, pp. 30-31.
l1.6 lvi, p. 39.
1Z'1 Sul rapporto tra Kunslwollt!•t, Exp,·essionisnms e Trauerspiel rimandiamo
a M. Cacciari, Di alcuni motivi in \V.B., cit., pp. 228-238, dove è analiuata anche
la differenza tra Panofsky e Riegl.
ua Or. DB, p. 40.

153
dell'antica tragedia » 129 , che al futuro, per cui nell'allegoria con-
teneva già la crisi del classicismo. La volontà di forma è la Forma
del Trauerspiel. Per questo Io statuto del Kunstwollen barocco
è la differenza 130 dal suo prodursi nell'opera, l'impossibilità di
essere rappresentato in e9Sa. Ma questa differenza è interna ad
ogni Kunstwollen: I.a sua radicale asimmetria dal prodotto è condi-
2ione della produttività estetica. ,Nel Kunstwollen .]'idea si trastor-
ma in paradigma 131 , che produce determinate tecniche, una deter-
minata operatività estetica in conflitto con al,tri paradigmi.
Se cosi la Darstellung delrorigine del Trauerspiel viene a
significare ao sradicamento--smembramento dell'idea di origine, fa
impossibilità di configurare la totalità dell'idea e quindi il Nome,
è a questo punto che si libera la critica, in tutta la sua potenzialità.
Certo non piu come appagata Darstellung dell'idea. Se il Trat1er-
spiel come Kunstwollen è l'interruzione continua - che si ripro-
duce permanentemente - detla Entelechia che abita la sua origine,
come pure il distacco e ,l'osouramento di tale Ur-sprung dal luogo
della rivelazione - per cui il Trauerspiel è un salto senza ritorno
dalla sfera dell'Oflenbarung - la critica, che vi si avvicina, è
simmetrica alla sua « sospensione », alla sua « essenza » come du-
rare nello Zwischen. Ma non per l'Ein/iih/ung in esso, non per
sua identificazione con il materiale trattato, ma proprio per la
differenza e il distacco da esso. ·Perché questo distacco si rivela
differenza della sua forma da quella del Kunstwollen del T rauer-
spiel. Se la « critica » infatti non si forma in base « al criterio
esteriore del confronto, bens{ in modo immanente, attraverso uno
sviluppo del linguaggio formale (,Formensprache) dell'ope-
ra» 132 , questo siviluppo non è Verwirklichung ·(effettuazione)
del Kunstwollen, realizzazione sintetica del suo intenzionarsi nella
molteplicità e frammentarietà delle opere. La Kritik infatti come
Entwicklung (sviluppo) della Formensprache dell'opera è uno
« spinger fuori » quanto que91:a tiene dentro di sé: il suo Geha/t,
e questo « a spese della sua efficacia » 133 • A spese cioè dell'unità
dell'opera come forma, della sua « identità » 'Simbolica. La critica

129lvi, p. 33.
130Cfr. M. Cacciari, Di alcu,,i motivi in W.B., cit., p. 233.
IliDel rapporto tra idea e l'accezione kuhniana di paradigma ha parlato
la Wicsenthal, ma affennandone semplicemente l'identità e non vedendo la tra·
sformazione che intercorre nel passare dall'un termine all'altro; dr. L. Wiescn-
thal, Zur Wisse,,scha/tstheorie W.Bs., cit., pp. 46-47.
132 DB, p. 27.
m Cfr. ivi e GS, I, 1, p. 225.

154
non solo constata la differenza tra Kunstwollen e molteplicità di
forme, di opere in cui frammentariamente si attua, ma mette a
nudo come que&ta molteplidtà di forme si riverbera dentro l'opera.
Lo sviluppo «critico» del linguaggio dell'opera non è il suo « poe-
tico» compimento, ma iI portare alla luce Ja pluralità allegorica
dei suoi significati, pluralità non semplicemente di «possibili»
letture, ma pluralismo di « rappresentazioni », di << interpretazioni
obiettive dei fenomeni », che la struttura monadica dell'opera con-
tiene. ,La critica illumina, ,fa esplodere nella stessa monade il « plu-
ralismo» delle diverse monadi 134 • L'armonia prestabilita leibni-
ziana attraversando il Trauerspiel si traduce in abissale differenza
e incomunicabilità e/ o in allegoria.
Proprio nel suo distacco dal Kunstwollen e nel non potere
niente circa il non risolversi in forma di quest'uJt.imo, la critica
si configura come « volere critico », come « Wille zur Kritik »
che sa la non sintetizzabile e/ o media-bile differenza dal ~uo fram-
mentarsi anaHtico. È questo suo frammentarsi, questo suo mortifi-
care l'opera senza poterla risuscitare nella mediazione concettuale,
questo suo « ,interpretarla », che ne dischiude la struttura prisma-
tica, la sua essenza interpretante, che la mette in grado « di abban-
donarsi alla minuzia, con tutto agio e senza la minima tTaccia
di affanno » 135 • Questo abbandonarsi alla minuzia, al minuscolo
frammento scheggiato da quel monadico prisma che è l'opera,
non ha niénte del routinier, né del suggere passivo alla linfa del-
l'opera proprio del rentier deHo spirito, ma è l'unko metodo per
«salvare» non solo l'opera, ma il Kunstwollen che l'ha prodotta.
Mostrando cioè, denudando, le loro incolmabili differenze: ren-
dendole produtt,ive.
L'abbandonarsi warburghiano a] dettaglio ha qui incontrato
la volontà di forma riegliana ed è dal loro inte~ecarsi, dal loro
definire la .forma della critica, che dalla infima e piu sfigurata
soheggia può tralucere la luminosità dell'idea. E questo, come un
tralucere riflesso, da una ineliminabile, siderale distanza: come se
la« stella della redenzione »potesse-brillare almeno nel!Ia sudicia su-
perficie di uno stagno. Solo cosi, forse - dopo il deserto allegorico
del Trauerspiel - il tempo del« particolare » può conoscere la sua
« salvezza ».

134 Sul Pluralismus delle monadi, sulla loro armonica molteplicità come plu-
ralismo della rappresentazione cfr. H. Hcimsoeth, op. cii., p. 390.
115 DB, p. 27.

1,,
III
A. Theatrum historicum I. t il 1:ermine medio del sillogismo
barocco 136 « fondamentale » - ai cui estremi stanno la defini-
zione della storia come Trauer-Spiel (gioco-rappresentazione del
lutto) e la qualificazione dello epazio teorico della sua drammatur-
gia nel « tratto» che unisce i due termini - a dilatare infinita-
mente la linea della sua consequenzialità logica. Questo termine
è: Theatrum. È la sua ambiguità, il suo poter essere usato indi-
stintamente per designare una r~presentazione scenica od un'espo-
sizione geografica o storica, a fondare la « tautologia» barocca,
a permettere la predicazione dell'identità e dell'esistenza di una
cosa. La tautologia è cosf infinitamente differita, l'identità mai
definita, l'esistenza mai raggiunta. Su tutto ciò grava il dubbio
circa il carattere di sogno di ogni fenomeno. La « logica » barocca
cosf esplode in Methaphorik. II logos si traduce senza residui in
immagini - nelle imprese, negli embl~mi ecc. 137 - e ·quando
se ne distacca, frammentato e condensato in concetti 138 , ha in
sé lo stigma della convenzionalità. L'aLlegoria, « espressione della
convenzione», è il sistematizzarsi in figure delle innumerevoli me-
tafore barocche. Questo « sistemare » è smembrare il corpo del
linguaggio - la SWl ~ physis » - per esaltarne le parti, i dettagli.
La « substantfa » logica - come «anima» della lingua - dopo
che il cadavere di questa è fatto a pezzi nell'allegoria, può vivere
solo in quanto ex-pressa in convenzioni.
Ma queste note, oltre che premessa dell'analisi benjaminiana
del Trauerspiel, additano già alle sue conclusioni. Conviene, prima
136 Prescindiamo qui del tutto dall'etimologia dd termine «barocco», per
questo dr. B. Migliorini, Etimologia e storia del termine barocco, in AA.VV.,
Manierismo, Barocco, Rococò: concetti e termini (Convegno internazionale, Roma,
21-24 aprile 1960), Accademia nazionale dei Lincei 359, 1962, 52, pp. 39-49.
Oltre agli atti di questo convegno si veda anche, sul barocco in generale, l'utile
antologia critica Der Literuische Buockbegri/1, a cura cli W. Bomcr, Darmstadt,
1975; e su quello tedesco in particolare l'antologia Deutsche Barockforscbung, a
cura di R. Alcwyn, Koln-Berlin, 1966 (il libro riporta l'ultima parte dell'opera
benjaminiana); utili sono pure le sterminate ricerche di W. Aemming (utilizzate
dallo stesso Benjamin), dr. ad esempio la raccolta di saggi Einblicke in den
deutsche11 Literalurbarock, Meisenheim am Glan, 1975.
137 ar. per questo A. Pinelli, La Philosophie des lmages. Emblemi e imprese
fra Manierismo e Barocco, in Il seicento, Ricerche di storia dell'arte, n. 1-2, 1976,
pp. 3-28 ed in pan. pp. 3-11.
138 Sull'« estinzione delle figure» e « la derivazione dei concetti» dr. DB,
p. 245.

156
di giungervi, seguire alcuni tratti di questo percorso analitico 11'.
Il Trauerspiel barocco è theatrum historicum: « la vita storica
quale se la rappresentava Ja sua epoca è il suo contenuto intrinseco,
il suo vero oggetto » 140 • Qui sta Ja sua differenza fondamentale
dalla tragedia, il cui oggetto è il mito, o meglio l'effrazione del
paraliv.zante velo che questo ha steso sul_ vivente, da parte del-
1'«eroe», attraverso la sua morte.

B. Actus tragicus. Questa differenza non sta semplicemente


nel fatto che la tragedia esprime l'essenza dell'accadere - come
forma purificatasi da ogni scoria storico-empirica fino all'eticità,
« autospoliazione del tempo della propria. temporalità » 141 -
di contro al disperdersi nel caduco presentarsi di quest'ultimo pro-
prio del Trauerspiel. Qui Benjamin critica ,tacitamente la tesi lu-
k,ksiana, che peraltro utilizza ampiamente per definire l'essenza
del tragico. II tragico è una forma « legata alla storia » (geschicht-
lich gebundene) m. E lo è non in senso ingenuamente « stori-
cistico», che stempererebbe in « sociologia della conoscenza»
l'idea greca cli tragedia, per liberare l'essenza del tragico come
fe1t0meno, come Faktum, come Tatsache 143 • Come invece acca-
deva per Scheler che poneva l'essenza della datità tragica nella
« sfera dei valori e dei rappoi,ti di valore » 144 •
Il « tragico » in Scheler è infatti dato dal « movimento del
valore», dalla sua «lotta» per apparire nel tempo e quindi dal
conflitto con un altro ordine di valori che domina. Il tragico si
E!ta nella sfera del ivalore solo attraverso la « Vernichtung

u 9 Il carattere assai conciso di queste note sui due capitoli del libro bcnja-
miniano è dovuto, oltre ad evidenti motivi di sparlo, al fatto che il lettore ita-
liano dispone dei saggi di F. Masini, Melancholia illa allegorica, in Brecht e
Denjamin, Bari, 1977, pp. 113-131 (questo libro contiene anche un bellissimo
«profilo,. di Bcnjamin, dr. pp. 107-111 ), e di M. Cacciari, lntra,,sitabili utopie,
cit., in part. pp. 173-200; due ottimi lavori che ci esimono dal trottare vari aspetti
della tematica benjaminiana. Anche perché, non da ultimo, concordiamo quasi
del tutto con le analisi e prospettive in essi contenute.
140 DB, p. 48.
m Cfr. G. Lukacs, L'anima e le forme, trad. di S. Bologna, Milano, 1972>
p. 235.
m Or. GS, I, 1, p. 219 e DB, p. 21.
143 Or. M. Schcler, Zum Phanomen dcs Tragischc,,, in Vom Umsturz der
WerJe, Berna, 1955 (ma il testo è del 1915), pp. 152-153.
144 Or. ivi, p. 1953; sulla scissione in Scheler tra « Sinnwclt,. e « mondo
storico reale», presupposto di questa definizione del tragico, cfr. Racinaro, Intro-
dtQ.ione a Kelsen., Socilllismo e Staio, cit., pp. LXIX-LXXIII.

157
eines positiven Wertes » (l'annientamento di un valore positi-
vo) 145 , da parte di un altro Wert, per occupare il suo spazio nel
tempo 146 • Cosi, per Scheler, il « tempo » del tragico non è spo-
gliato della sua « temporalità » - come per Lukacs - ma è
materia del maniiestarsi del conflitto etico dei valori (anche al-
l'interno della stessa persona) 147 •
Cos{ nella tragedia come « etica paradossale» in Lukacs (co-
me Vernichtung dell'esi.stenza) 148 o come conflitto de1l'etico,
nell'etico in Scheler i(inconciliabilità dei diversi valori nello stesso
spazio ,temporale), il tempo è negato, toccato solo « puntualmen-
te» 149 (come in Lukacs) o diviene semplicemente una delle
« condizioni d'esistenza» del tragico (come in Scholer): non com-
penetra però storicamente la sua essenza. Questo perché in entram-
bi i casi la forma tragica è essenzialmente forma etica, ripetibile
storicamente 150 • Mentre, .per ,Benjamin, la « dura storica datità
della tragedia greca » m non s:i può volaitilizzare né psicologisti-
camente ,(alla Volkelt), né fenomenologicamente (alla Scheler).
La compenetrazione di Tragik e tempo in Benjamin è totale. La
tragedia è una forma del tempo storico ed i caratteri di questa
forma sono il suo disincarnarsi dall'etico 152 • Il Nietzsche de La
nascita della tragedia, ma soprattutto la lettura di Der Stern der
Erlosung di Franz Rosenzweig 153 concorrono a definire l'idea benja-
miniana del tragico.
La tragedia esprime il decisivo « confronto greco» con l'ordi-
ne demoniaco, l'ordine dell'ambivalenza 154 • All'ambivalenza de-
monica, nel tragico si oppone il paradosso: cos{ la morte dell'eroe
« diventa la salivezza » e determina una « crisi della morte » 155 ;

145 Cfr. M. Schclcr, Zum Phiinomen des Tragischen, cit., p. 154.


1~6 « Tragico è il "conflitto", che domina all'interno di valori positivi e dei
loro portatori stessi.• ( lvi, p. 155.)
147 Or. ivi pp. 155-158; cd è per questo che Scheler può parlare cli « tra·
gische Trauer»; eh. pp. 1~1.60.
141 Cfr. M. Cacciari, Intransitabili utopie, cit., pp. 177-180.
1., « l!1 tragico è solo un momento i., scrive Lukacs, in L'anima e le /orme,
cit., p. 235.
150 Anche se, va detto, questa ripetibilità della tragedia costituisce in Lukacs
l'elemento paradossale della sua eticità e mostra proprio tutta la problematicità
del suo necessario rapporto con il tempo e quindi il carattere letteralmente uto-
pico dell'idea lukacsiana cli tragedia.
151 DB, p. 100. .
152 ar. ivi, p. 98 .
..Sl Frankfurt, 1921; dr. per questo la nota di Bcnjamin, Biicher die lebendig
geblieben sind, in GS, III, pp. 169-171 (la nota è del 1929).
154 Cfr. DB, p. 107.
155 Or. ivi, p. 104.

158
cosf nel « rimaner muto» .dell'eroe l'« esperienza del silenzio»
diviene « esperienza della sublimità dell'espressione linp,isti-
ca » 156 • La morte è la forma di vita dell'eroe tragico 1 7 • In
questo l'eroe tragico fa esperienza del proprio « Sé». Il « Sé»
interiorizza J.a morte, interiorizza l'ethos: l'ethos in tal modo non
è piu imposto come mitico ordine cosmico-naturale. L'ethos è volu-
to come contenuto del carattere del «Sé» 158 • Cosi: il « Sé»
non vive in alrun mondo morale (<< sittlichen W elt »), ma ha
il suo ethos 159 • II « Sé » è « meta etico ». L'eroico è volere il
destino del proprio carattere. Se cosi infrange il potere mitico del
« divino » - « si rende conto di essere migliore dei propri dei »
-il prezzo che il «Sé» paga è il silenzio. Il tragico è questo
silenzio, perohé infrangere l'ordine mitico è riconoscere il destino
come necessità del proprio «carattere» (:basti pensare, qui, al-
l'Edipo).~ L'oracolo della tragedia non è soltanto un incanto magi-
co del dest-ino; è la certezza, trasposta all'esterno, "Che la vita tragica
non sia se non queUa che -avviene entro la propria cornice. La
necessi,tà, quale appare con5olidata nella cornice, non è né causale
né magica. È quella muta della caparbia con cui il Sé provoca
le proprie manifestazioni. » 160
iLa 1111scita del «Sé» dalla tragedia acquista nell'interpreta-
zione di Rosenzweig e Benjamin un.a chiara sfumatura nietzschea-
na, ma dell'ultimo Nietzsche, queLlo dell'amor fati. La contempora-
neità di tragedia attica e teorie sofistiche - che facevano del
«Sé» la misura delle cose - , il fatto che la Gestalt del « Sé »
emerga proprio dallo sviluppo de1la polis 161 , non conferisce al
tragico un ~ignificato « illiiministico », non fa di esso il « tempo »
della fondazione di nuovi ordini etici. Il sacrificio dell'eroe - che
solo -nella morte come « espiazione », « consegue l'ipseità » 162
- non è solo « vittoria per •l'uomo» ma anche per H Dio. La
morte tragica oltre a « spodestare l'antico diritto degli olimpici »

156 Or. ivi, p. 106.


IS7 Or. ivi, p. I 13.
151 Or. Fr. Rosenzweig, Der Stern der Erlosuttg, cit., p. 93.
159 Cfr. ivi, p. 94.
I~ DB, p. 114.
161 Or. Fr. Roscnzweig, Der Stern der Erlosung, cit., p. 94. In questo senso
pur discordando dalla lettura che Cacciari fa del rapporto fra .-i glaciale solitudine
del Sé » e tacere tragico, concordiamo sul fatto che l'esperienza « del progressivo
venir meno dell'olimpico» è « comune, è politica» (dr. M. C-..acciari. Intrattsi-
tabili utopie, cit., p. 187). La critica di Cacciari a Rosenzweig-Benjamin è forse
giustificata dall'ambiguità che in entrambi pennanc nella definizione del «Sé»:
oscillando questa, talvolta, in direzione della Individualitat, della Personlichleeit.
162 Or. DB, p. 107.

159
è anche « votare al dio sconosciuto l'eroe» 163 • 2 questo trovarsi
di fronte al dio sconosciuto, nel disincarnarsi dall'ethos come ordi-
ne «-imposto», nel riconoscere la legge come nomos, come con-
venzione, a bloccare il -«Sé» della tragedia nel silenzio, a non
farlo divenire Seele (anima) 164 •
Il tmgico anzi è proprio questo tacere del « Sé », che « tocca »
l'oltre dell'ordine mitico, come l'al di là di ogni ordine etico. Il
rimaner muto e solo del Selbst è il suo essere pre-soggettivo,
pre-individU1ale: al « Sé » è negata la parola in quanoto esso non
diviene « anima», la abita soltanto rimanendo per lei indicibile.
Ma proprio questo tacere è « già linguaggio (Sprache), non certo
Sprache de1l'anima, ma tuttavia Sprache, una lingua prima della
lingua, lingua dell'inespresso, dell'inesprimibile» 165 • È questo
il « fondamento dell'intendeMi senza parole» 166, è l'indicibile
origine (Ursprung) dell'umano.~ Il Sé è ciò che nell'uomo è con-
dannato a tacere e tuttavia è dappertutito subito compreso.» 167
Non ha bisogno, né può parlare ·per comunicarsi: deve essere
« puramente reso visibile», puramente « mostrato» (darge-
stellt) 161 • Come 1,a metaeticità della tragedia è il « momento »
originario dell'umano 169 , il momento in cui holderliniamente
è vicinissimo e Iontianissimo dal Dio, cosi il tempo tragico -
come affrontamento del de&tino - è l'origine del « tempo stori-
co» ed in questo è pre-storia ·(Vorzeit) 170 •
L'« asperità dell'ipseità eroica» dunque « non è un tratto
carattereologico ·bens{ il marchio storiCOJfilosofico dell'eroe» 171 •
Inteso in tal senso il tragico non può ·intenzionare altri tempi
che il proprio, quello deJ.la Vorzeit; dentro il tempo effettivo della
storia, può vivere solo come indicibile limite o come utopia. Storia
è storia della parola, delle parole che non possono sciogliere il
silenzio del «Sé»: il destino dell'eroe non è ripetibile, non c'è
pedagogia che Io renda apprendibile-trasformabile. La necess-ità
che il tacere eroico comprende e racchiude, « come la neve sotto
il vento del sud», potrebbe fondersi solo sotto J'alito di una
163 Cfr. ivi, p. 104. .
1M Or. Fr. Roscnzwcig, Der Stem der Erlosung, cit., p. 105.
165 lvi, p. 103.
166 lvi.
167 lvi.
IM Ivi.
IE9 Cosi l'eroe può configurarsi come « primizia di una nuova messe umana »
( DB, p. 194).
IN Or. ivi, pp. 114 e 117 e GS, I, 1, pp. 294-297.
111 DB, p. 108.

160
parola sconosciuta 172 • Ma questa « parola sconosciuta » rimane
tale, chiusa nella « caparbia eroica», mostrata solo dal suo silenzio.
Non per niente -i dialoghi socratici costituiscono « l'incontestabile
epilogo della tragediia » 173 • La pedagogica morte di Socrate so9ti-
tuisce qudla-« sacrifica.le» doll'eroe.
Col « dialogo » il discorso e 1a coscienza si dispiegano, il
silenzioso ,monologo del-« Sé» si divide; e con la differenziazione
dei personaggi si hanno i remoti prodromi della « nuova trage-
dia» 174 • Nel dialogo ha inizio il tempo storico come dramma;
viene in luce la « pura lingua drammatica » dolla Dialettica 175 •

C. Theatrum Historicum II: decidere ex nihilo. Il nome di


quella che Rosenzweig chiama « nuova tragedia» è Trauer-
spiel 176 • Qui il dramma è «tutto» gettato nel tempo, si fa
interamente storico: cosf, mentre l'antica tragedia poneva l'accento
sul « confronto con il desti.no », il « dramma storico » è dentro
la sua necessità; « rappresenta » il destino 177 •
La scena del Trauerspiel non è un « topos cosmico» come
per la tragedia, ma « uno spazio interno del sentimento, privo
di ogni relazione col cosmo» 171 : la sua scena sono le passioni.
« Solch Trauer-Spiel kommt aus deinem Eitelkeiten! / Solch Tod-
ten-Tantz wird in der Welt gehegt! » (Questo dramma del lutto
viene dalle tue vaniità! / Questa oonza di morte vien nutrita
nel mondo!) 179 • Il « Trauer.,Spiel » - termine che significava
tanto un tipo di rappresentazioni sceniche, che gli eventi stori-
ci 110 - è la vera natura del « theatrum » barocco. U Dasein
nel Trauerspiel è l'esserci storico; ed in quanto« storico» si rivele-
rà come pura « rappresentazione », pu·m Vorstellung 111 •
Ma lo schermo che ,rende visibile questa « rappresentazione »

m Cfr. ivi, p. 114.


lvi,
173 p. 117.
IUCfr. Fr. Roscnzweig, Der Sttrn de, Erliisung, cit. pp. 268-269.
Cfr.
175 DB, p. 117.
Cfr.
176 ivi, p. 111.
171 Cfr. « El mayor monstruo, los ctlos » tJ0'1 Calderon und « Herodts und
Mllrianne » von Hebbel, in GS, Il, 1, p. 250; questo lavoro, scritto probabil-
mente vcl'50 la metà dcl '23, costitui~ una cellula gcnninale del libro sul
Trauerspiel cd il suo contenuto è ripreso ampiamente e spesso letteralmente nel
libro stesso.
171 Cfr. DB, pp. 118-119.
179 Citazione di Halmann in DB, p. 119.
,o.
1111 Ivi, p.
181 Cfr. Fr. Roscnzweig, Der Stern der Erlosung, cit., p. 282.

161
delle 6toria sulla scena è quello della Natura: il radicale esserci-
storico si presenta nel Trauerspiel come essere-naturale. La condi-
zione per affermare l'immagine «naturale» dell'accadere storico
è il suo riassorbimento nella natura della creazione 182 e la sua
contrazione nello «spazio» delimitato della corte. Cosf la « seco-
larizzazione senza residui della storicità dentro l'ambito dello stato
creaturale » è insieme il suo emigmre e spostarsi dentro la « scena
tea,trale » 183 • E lo spostarsi stesso della scena, la nomadicità del
palcoscenico per tutto il -« cmunma barocco europeo» è intima-
mente congiunto al suo « esser legato allo stato delle corti » 1114 ,
all'essere la loro esposizione, la loro Vor-stellung.
:8 prop.riio per questo radicale esser-nomade della scena ba-
rocca, proprio iperché l'uomo di corte non ha « una sua propria
dimora nat,ale » 115 , che il Trauerspiel deve produrre la corte
come ambito naturale, come cornice immutabile del Russo storico.
Questa è una necessità politica, prima -che teatrale. E l'esigenza
che genera questa necessità è di natura direttamente teologica:
la condensazione-spost«mento del rapporto medievale tra Myste-
rium cristiano e cronaca - come cronaca del « grande dramma »
della « storia mondiale » 116 - nella « Tigorosa immanenza » del-
1'ambito della corte come « stato crea-turale », nasce dalla « irrime-
diabile disperazione» circa l'effettualità s-i-mbolic·a di questo rap-
porto. Se questa effettualità significava l'identificazione tra tota-
lità del corso storico » e « storia della salvazione nel Mysterium »•
di Cristo e quindi manteneva aperta l',a,ttesa e la speranza escato-
logica, è proprio ogni escatologia che viene meno con !>epoca ba-
rocca 117 • La storia è solo inarrestabile decadimento: « die Chri-
stenheit oder Europa », « la cristianità, cioè l'Europa è di-
visa» 118 • Il tempo della lacerazione e del conflitto che esprime
112 Or. DB, p. 84.
113 Cfr. ivi, p. 8.5.
114 Cfr. ivi, p. H8.
185 Citazione di Antonio De Guevara in DB, p. 92.
186 Cfr. ivi, p. 67.
117 « Non esiste l'escatologia
barocca; e proprio per questo e'~ un meccanismo
che raccoglie cd esalta tutto ciò che è nato sulla terra, prima di consegnarlo alla
morte. L'aldilà è svuotato di tutto ciò in cui spira il benché minimo alito del
mondo, e ad esso il barocco attinge una serie di cose che prima usano sot-
trarsi a qualsiasi intervento formante e, al suo culmine, le espone alla luce del
mondo in forma drastica, per sbarazzare un ultimo cielo e per porlo, quale un
vuoto, nello stato di poter un giorno annientare dentro di sé, con catastrofica
violema, la terra.• (.Ivi, p. 53; cfr. anche p. 7,1.)
118 Cfr. ivi, p. 68 e GS, I, 1, p. 2.57; su questo tema, analizzato però in
Hcgel cd Heidcgger, dr. il saggio di M. Cacciari in Nuova corrente, n. 76-77.
1978, pp. 216-241.

162
questa« divisione» deve essere arrest,ato, sospeso. Questa sospen-
sione è restaurazione della natura, trasformazione del divenire in
semplice ed eterna metamorfosi dello stato creaturale 119• Solo
cosi, dinanzi allo « sconsolato dipanarsi della cronaca », può essere
esibita la corte come « chiave della comprensione storica » 190 •
Come la cupola in -molte chiese barocche è solo dipinta e la pro-
spettiva della sua profondità è solo «rappresentata» - offeN:a
come immagine - cosi la corte è «rappresentata» daH'epoca
come luogo di salvezza e di re.denzione secolarizzata, dominato
dal potere regale.
Se proprio del dramma barocco spagnolo è mostrare la forma
compiuta del Trauerspiel aus der Christenheit 191 e quindi la riso-
luzione dei « conflitti propri dello stato creaturale privo della gra-
zia» 192 attraverso la loro riduzione ludica nell'ambito della
corte, dove la grazia si manifesta nella trasfigurante apoteosi finale,
questo gli è possibile perché il suo assioma fondamenmle è che
la vita è 1ogno. Per questo è il Trauerspiel tedesco 193 , nella
sua incompiutezza, nella mancata unità tra l'elemento luttuoso
(Trauer) e quello giocoso (Spiel) della rappresentazione, a espri-
mere la radicalità della secolarizzazione del « tempo» barocco,
il carattere immaginario della redenzione che in esso si presenta
cosf ostentatamente; a mostrare quindi la crisi dell'utopia barocca
di « porre, al posto dell'instabile divenire storico, la ferrea costi-
tuzione delle leggi di natum » m.
Chi ha potere di instaurare e/o imporre quest'ordine naturale
è il sovrano: « Il sovrano -rappresenta la storia. Tiene in mano
l'accadere storico come uno scettro » 195 • Ma in nessuna delle
due figure estreme in cui il re appare nel Trauerspiel: il tiranno
e il martire, egli riesce in questo compito. Se come martire permane
int·ricato -nell'immanenza creaturale 196 , come -tiranno si rivela
incapace di decidere, di esercitare il potere della dittatura 197 •

189 Cfr. DB, p. 85.


190 Cfr. ivi, p. 86.
1111 C.OSf il titolo di un frammento di Goethe ispirato a motivi calderoniani,
cfr. ivi, p. 122.
192 Cfr. ivi, p. 71.
193 Sul rapporto tra dramma barocco spagnolo e Trauerspiel tedesco, cfr. M.
Cacciari, Intransitabili utopie, cit., pp. 179 e 187-188.
1114 DB, p. 63.
195 lvi, p. 51.
1116 Cfr. ivi, p. 62.
191 Se qui si rivelano importantissime per Benjamin le ricerche di Schmitt
(anzitutto la Politische Theologie, Munchen-Leipzig, 1922), sul concetto di sovra-

163
E questo proprio perché la decisione ha un significato radicalmente
autonomo m: lo Stato barocco non solo si ammanta di una veste
creat-urale, ma i ris-volti di questa veste rivelano che la sua na,tura-
lità è prodotta, estorta e imposta con violenza. La « decisione ...
è nata dal .nulla» 1": non presuppone alcun ordine divino, alcuna
precedente costituzione: anche in quanto « implicita nella legge»,
essa è« dettata» per definizione.
Che la decisione del sovrano abbia dietro di sé il nulla, che
essa sia <totalmente immanente aUa sua pur sublime creaturalità,
è connaturato al rapporto tra dittatura e stato di ecè~ione. Lo
stato di eccezione, per una storia ritrattasi in natura, per una
Naturgeschichte, diviene regoJ.a, ma regola non dominabile nel-
l'apriori della riflessione. La Naturgeschichte nieotifica ogni
« ethos storico». Cosf nel Trauerspiel ogni riflessione e intenzione
etica è resa ineffettuale da una « metaforicità che stabilisce una
analogia tra la storicità e il divenire natu.mle » 200 • La W ille t.ur
Natur che abita la corte barocca espone il riranno alla bufera
delle passioni, frantuma il suo pensiero in una mo1teplice disconti-
nuità di « impulsi fisici », Io costringe continuamente nell'impos-
sibilità di prendere una stabile e stabilizzante decisione 201 • E l'in-
stabilità e mutevolezza delle decisioni significa l'estrema contingenza
di ogni dittatura, significa l'ineluttabile rovina del tiranno. :8 la
coscienza cli questa ineluttabilità che spinge il tiranno alla follia,
svelando la miseria della sua creaturalità, facendo in lui « risorgere,
con forza insospettata, l'animale » 202 •

nità come capacità di decidere « sullo stato di eccezione », le sue analisi sul-
l'incapacità di decisione del tiranno mostrano le aporie « storiche » del decisio-
nismo schmittiano (cfr. M. Cacciari, Intransitabili utopie, cit., pp. 198-199).
Come risulta assai chiaro nella lettera inviata a Schmitt ne-I dicembre 19.30 (in
GS, I, 3, p. 887) e dal Lebenslauf (probabilmente del '28: cfr. ivi, p. 886)
l'accordo di B. con Schmitt consiste nel convergere metodologico dei due indirizzi.
di ricerca nel definire l'identità di struttura, in un'epoca, di metafisica, politica
ed estetica. Per questo non ci sembra possa destare alcun imbnraz20 questo inte-
resse di Benjamin per il pensiero schmittiano, imbarazzo presente invece nei
curatori delle GS (cfr. I, 3, pp. 886-887). Eccessivi ci paiono, d'altra parte, i
punti di contatto, quasi una segreta identità, che M. Rumpf, in Radikale Theo-
logie. Ben;amin Beziehung zu Cari Schmill, in AA.VV., W .B. Zeitgenosse der
Moderne, cit., pp. 37-50, crede di scorgere tra i due.
l9ll C".fr. C. Schmitt, Le categorie del politico, cit., p. 33.
1119 C. Schmitt, La dillatura, trad. di B. Liverani, Bari, 1975, p. 33.
200 DB, p. 82.
201 Or. ivi, p. 59.
202 Ivi, p. 78.

164
D. Cogitatio meù,ncholica, cogitatio allegorica. Se « al barocco
fu dato di intravedere il potere del presente nel suo stesso me-
dium » 203 è perché l'in,terpretazione compenetrò l'antichità 204 •
Le « forme naturali » che costituiscono il potere di questo presente
sono trali perché hanno soggiogato quelle rivali, perché hanno ri-
tratto e proiettato .iJ. passato sulla sua superficie. Se questo sulla
scena è significato dalla presenza della rovina, la caducità che cosi
si esprime non è solo quella del passato, ma soprattutto quella
dell'immagine del presente. t la caducità storica della «Natura»
come forma del presente. L'« imperturbato dominio del cristiane-
simo » che attraversa le lacerazioni della Christenheit è il preludio
della irreversibile crisi dell'Idea di « tradizione»: il presente ba-
rocco è assenza di futuro e simultaneizzazione di ogni passato
nella sua immobile estensione ,tempomle. ,Ma l'immobilità di que-
sto presente senza spessore storico è apparente: senza sostegni
alcuni, esso sprofonda nel nulla, precipita, si dissolve. La dialettica
di questa dissoluzione è chiaramente visibile nella fenome-nologia
delle vicende principesche nel Trauerspiel. Come la fuga in Bach
dissolve l'orda architettonico delle Passioni 205 , cos{ le passioni
sono i punti di fuga, i movimenti eccentrici che «confondono»
la corte barocca, che ne dissolvono l'orda teologico-politico. Le
passioni sono le molle, fortemente compresse nell '« orologio » ba-
rocco, fatte saltare dall'intrigo. L'intrigante - figura centrale del
Trauerspiel - non è che materializzazione della .passione, incarna-
zione del suo potere arcano. A questo punto si chiarisce la funzione
della meditazione del sovrano, la sua cogitatio: raccogliere le mol-
teplici e disperse passioni attraverso una « ponderata riflessione»,
che produca una politic,,a «saggia». Che questo non riesca, che
il sovrano passi dall'estremo della tirannia a quello del martirio,
costituisce il fondo melanconico della sua cogitatio.
Nella melanconia ti1'anno e martire giungono ad un punto
di indifferell2'a, che è il colmo dell'impotenza etico-politica del
sovrano: il «punto» dell'indecisione. Il principe melanconico -

m Or. ivi, pp. 9.5-96.


a Questo rapporto presente-antichità nel '600 è stato espresso in modo
mirabilmente chiaro da Vico: « I grandi frantumi dcll'antichiti, inutili finor alla
scienza perché erano giaciuti squallidi, tronchi e slogati, arrecano de grandi lumi,
tersi, composti ed allogati nei luoghi loro» (G.B. Vico, La scienza nuova giusta
l'edizione del 1744, a cura di F. Nicolini, Bari, 1978, pp. 156-157).
20s Cfr. per questo le bellissime pagine di E. Bloch sulla Pbi/osophie de,
Musik, in Geisl der Utopie, cit., pp. 102-107 e 201-212 e il saSBio di W. Flcm-
ming, Die Fuge als epod,ales Ko,npositionsprinzip des deutscben Bllrock, in
Einbliclt in den deu/schen Literaturbaroclt, dt., pp. 48-80.

165
come figura fondamentale del Trauerspiel protestante - è -il con-
troaltare del compromesso cattolico, proprio del dramma spagnolo,
tra « santo e intrigante » nel cortigiano ideale 206 • Ma ne è anche
la futura crisi. Come tiranno e come martire il sovrano del Trauer-
spiel è paradigma del destino del soggetto moderno: per questo
il « principe è paradigma del malinconico». La cogitatio carte-
siana 207 nel Trauerspiel non certifica Dio, ma, oscurata dall'hu-
mor melancholicus, riflette infinitamente solo lo svuotamento del
mondo, la sua riduzione a maschera 20•.
« II vanitoso indaffaramento dell'intrigante era considerato
l'indegna contropartita della contemplazione appassionata, alla qua-
le unicamente veniva attribuita la facoltà di sottrarre Peletto al
sa,tanico intreccio della storia, in cui il barocco vedeva soltanto
poU.tica. Eppure: anche la meditazione portava troppo facilmente
allo sradicamento. » 209
Se la disposiz-ione malinconica porta alla « estinzione degli
affetti »210 , al disincarnarsi dalle passioni, all'estraniarsi dal cor-
po, è perché un furor melancholicus storce la limpidezza della
contemplazione in oscuro rimuginare. Il sentimento malinconico
intenziona trascendentalmente il pensiero, diviene la ,sua « gram-
matica » fenerativa e fa della Trauer, del lutto, il suo oggetto
a priori 21 • La Trauer, che il malinconico considera come risvolto
necessario degli eventi mondani, come « fondo» ultimo della sto-
ria, è quanto si dischiude al suo sapere, come sapere della profondi-
tà, Tie/sinn. « La melanconia tradisce il mondo per amore del
sapere. » 212 La Trauer in cui progressivamente sprofonda succhia
dalle cose cui aderisce, dalle parole con cui si combina, « il midollo
del significato». Se il Ge/uhl (sentimento) malinconico risponde
alla « costruzione oggettuale del mondo » 213 , questa non è che
il correlato a priori della «costituzione» del soggetto moderno.
~ in questa correlazione, in questo chiasmo tra soggetto e oggetto,
che si rivela nella fenomenologia del «sentimento» malinconico,

206 Or. DB, p. 94.


Or. K. Lowith, Dio, uomo e mondo nelta metafisica di Cartesio, in Dio,
11.11
uomo e mondo da Cartesio Il Nietzsche, trad. di A.L. Kilnklcr Giavotto, Napoli,
1966, pp. 15-27.
D Cfr. DB, p. 142.
liii' Or. ivi, pp. 145-146.
210 lvi, p. 144.
211 Or. ivi, p. 142.
2l2 lvi, p. 163.
2H Ivi, p. 143.

166
che il mondo è « salvato »: come morta cosa, abbracciata nella
cogitatio melancholica. Il sapere di colui che « rimugina » si rivela
intimamente connesso alla ricerca erudita: « il Rinascimento espl~
rava l'universo, il barocco le biblioteche. La sua riflessione si
risolve .nelle forma del libro » 214 •
Ma questo significa, per la contemplazione malinconica, non
giungere all'autotrasparenza, iil suo disperdersi, interrompersi infi-
nitamente nella molteplicità d'immagini che produce. Nella lacrima
del malinconico, ne1la sua « lacrimos,a meditazione», il mondo
si rovescia e si chiude nella circolarità speculare di un'immagi-
ne 215 • ~ questa una lacrima che mai cola fino alla sua bocca,
ma si secca nelle cavità oculari, irrigidendo le palpebre, serrando
le ciglia. Questo è il motivo che trasforma il Tiefsinn del malinc~
nico in Truhsinn. La fissità dello sguardo, l'occhio che si arresta
in vitrea immobilità: è questa la morte « allegorica » delila sapien-
za. Il suo catafalco è l'erudizione. Mobile è solo il pensiero che
divide e misura quest'immagine. Si ~ira nella sua essenza plurale,
come nella sua labirintica prigione 16 • La cogitatio melancholica
scopre il fondo allegorico della cos,truzione soggettuale del mondo.
Allegoria è cos{ « labirinto delle coscienze» 217 • Ma per questo
la mobilità del pensiero mailinconico non giunge mai all'effettua-
zione etica nel mondo: è immaginaria. L'immagine è il suo mondo
ed essa stessa ha dissolto la « sostanza » del cosmo. Attraverso
il filtro del Trauerspiel la pluralità monadica che in Leibniz mol-
tiplica J.a res cogitans cartesiana, desostanzializza la res extensa.
11 sum dell'ego cogitans si rovescia in allegoria.

E. Allegoria, ohnubilatio symbolorum. L'allegoria è la critica


a priori di ogni tentativo classicista di far rivivere l'unità teologica
del simbolo come immediata « unità dell'oggetto sensibile e di
quello sovrasensibile». Inevitabilmente la riforma classicista del
« soggetto etico » deve far tacere gli « estremi contrari » che costi-
tuiscono la sua interiorità 218 • Ma cosf non può che ,tradurre l'ori-
ginaria unità del simbolo in un rapporto essenza / apparenza. Il
simbolo può mostrarsi dopo il Trauerspiel, dopo la lacerazione
214 lvi, p. 144.
215 Or. F. Masini, Melancholia illa allegorica, cit., pp. 121-122.
216 Ivi, p. 121.
21 7 Cosi ~ intitolata un'opera di C. Mazzi, Firenze, 1688.
218 Or. DB, p. 167.

167
della « cristianità », solo come il silenzio ·che suggella la morte
di Amleto 21 '.
·L'allegoria barocca rispetto al simbolo classico è « dialetti-
ca ». Per questo costituisce una « rettifica » dell'arte tout-court.
Ma poiché la sua dialettica è radicahnente eccentrica, costituisce
anche una rettifica della dialettica ·hegeliana: dentro l'allegoria l'an-
titesi non è mediata, ma permane come « estremo » 220 •
L'ìmmagine allegorica, la volontà barocca di allegoria, è vo-
lontà di salvare le cose, di sottrarle alla morte. Ma la dialettica
di questa intenzione vuole lo svuotamento di ogni autonomo ele-
mento vitale delle cose, quale condizione della loro salvabilità.
Questa si compie -infatti nell'intenzione significante del malinco.
nico; è l'intenzione allegorica che produce la Naturgeschichte 221
ed in questo è Urgeschichte des Bedeutens 222 : « storia originaria
del significare », e quindi della st~s,a soggettività 223 • Nel costi-
tuirsi del soggetto, nel suo emergere come volontà di significare,
« l'eidos si oscura, la similitudine vien meno, e il cosmo, in ciò,
si iinarridisce » 224 • Se l 'allegol'ia è immagine di una storia ragge-
latasi in natura, lo è per l'intenzione dell'Alle§oriker: per l'« abisso
aperto tra essere figurato e significare » 2 ; perché, in questo
abisso, la physis è smembrata nelle regioni del significato.
Cosf il « disordine delJa messa in scena allegorica » 226 espri-
me la «confusione» della corre, e insieme la sua radicale conven-
zionalità. « L'allegoria del diciassettesimo secolo non è convenzione
dell'espressione, òensi espressione deLla convenzione. » 227

21, Per quest() lo sprofondamento malinconico di Amleto giunge « a susci·


tare il limpido sguardo dcll'autoconsiderazione nel proprio interno». Nel suo
sapersi figura del destino che contempla, la melanconia di Amleto si risolve;
dr. DB, pp. 164-165.
DI Cfr. per questo la critica a Hcgel di Rosenzwcig: la sintesi he1retiana
e mediatirzerehbe l'antitesi•, ne farc:bbe un semplice «passaggio• (cfr. Fr. Rosen-
zweis, Der Stern dn Erléisung, cit., pp. 292-293). Clic si tratti pi11 di una aitica
della tradizionale lettura di Hegel che di Hegel stesso non è possibile svolgerlo
qui. Cenamente attraverso lo schema dell'allegorico, la dialettica cessa di essere
ricomposizione teleologica del processo. L'elemento antitetico, negativo - nells
filosofia «ebraica» di Rosenzwcig, sostanzialmente ripresa da Rcnjamin - è
e salvato» nella sua « particolarità », in quanto riconosciuto-libereto nella sua
originaria ed autonoma creatività. La sintesi non è media::io11e del molteplice,
ma rivelazione della su::a struttura, della sua Gesta/I.
221 Or. GS, 1,1, p. 342.
222 Ivi.
22.l Cfr. B. Lindner, Na111r-Geschichte, cit. p. 44.
224 DB, p. 186.
m Ivi, p. 174.
226 Ivi, p. 200.
m Ivi, p. 185.

168
F. Facies historiae est scriptura naturalis. In q.oonto « salva »
la caducità delle cose, l'allegoria salva il loro passare, anzi il loro
esser passato. E questo attraverso una r-adicale secolarizzazione
del ,tempo, una sua « trasformazione nel preciso presente » 221 •
L'oscurarsi del simbolo è l'isolarsi dell'eterno dal tempo, il disin-
carnarsi della « redenzione » dalla « storia ». La storia è irrime-
diabilmente consegnarsi alla morte, non alla salvezza. Ostentare
questa salvezza nel presente è perciò compito dell'allegoria: per
questo fissa l'attimo mistico (Nu) - come esperienza del « sim-
bolo» della Historia salutis - nell'adesso attuale (Jetzt) 22',
proietta ogni profondità «storica» nella superficie del quadro
che le sue figure compongono, cerca di inscrivere la storia nel
volto della natura, di « scriverla » - attraverso il significare -
in caratteri naturali. Se con il Trauerspiel la storia fa ingresso
sulla scena, « essa lo fa in quanto scrittura. In fronte alla natura
sta scritito "storia" nei caratteri della caducità » 230 •

G. Scriptura, « fJIJstrum doloris ». L'immagine allegorica è


cos{ ex-ipressione dell'essenza delle cose: l'essenza della cosa è« tra-
scinata » 231 nel quadro emblematico dopo esser stata strappata
dal suo «naturale» tessuto, degradata a segno. L'emblema è com-
posizione di segni, scrittura. L'allegoria è immagine ridotta a segno,
scrittura che tende a divenire « figura » del linguaggio: ideogram-
ma 232 • Nel suo oarattere scritturale, l'allegoria svela la sua costi-
tutiva antinomicità. L'« eruttiva espressione dell'allegoresi » è in
conflitto con la« tecnica fredda e disinvolta», con lo schematismo
che la produce. Al suo .tendere ad esprimere il linguaggio naturale
e/o divino 233 si oppone il suo carattere arbitrario, il suo essere
espressione del sapere dell'allegorico. Assel:'Vendo agli « eccentrici
intrecci del significato » storia e natura, l'ideogramma allegorico
non può ·manifestare in alcun modo il linguaggio originario della
creatura 234 • La parola, come « ex-tasi » della creatura 235 , fissata

221 Or. ivi, p. 208.


m C&. ivi, p. 194 e pp. 17.3-174.
230 Ivi, p. 187.
:zn lvi, p. 196.
112 Cfr. ivi, p. 195.
m Cfr. le pagine sulla origine spirituale del linguaggio in Bohme e su q1Jella
naturalistica .nolla Scuola di Norimbetp, in DB, pp. 216-221.
DI lvi, p. 218.
m Ivi, p. 217.

169
come segno, ridotta a monogramma dell'essere, non può risuonare
dalla scrittura allegorica. L'allegorico rimane chiuso nell'asonorità
dei segni, può solo esibirsi in essi. LI dominio del s.ignificato -
espressione del dominio dell'ego - ha ucciso la sonorità del lin-
guaggio. La scrittura del Trauerspiel « non si trasfigura in suo-
no » 236, la sua Trauer è l'estrema impotenza del suo poter signi-
ficare. Per questo « nel barocco la ,tensione fra la parola e la
scrittlllra è incalcofabiile » 237 • Nell'antiteticità di « suono e signi-
ficato» 238 la scrittura allegorica tocca i poli estremi del suo carat-
tere antinomico. t fa tensione generata da questa polarità a pro-
durre la « ridondanza » del linguaggio barocco.
Come risultato della ,volontà di significare la lingua creaturale
e contemporaneamente di « pronunciare l'insieme del mondo cul-
turale dall'antichità fino all'Europa cristiana » 239 , la « ridondan-
za» emancipa il corpo del linguaggio dal dominio del significato.
t proprio per il loro essere cariche cli significati fino all'eccesso,
che il « compatto massiccio del ,significato delle parole si dirom-
pe » 240 e apre le voragini dell'autonoma profondità del linguag-
gio. In queste voragini è l'Allegoriker a calarsi. Se il corpo del
linguaggio ai erge nella sua regale dignità, Jo fa solo come cadavere,
sezionato nelle sue singole parti nel segreto gabinetto dell'allego-
rico. Solo frammentato il linguaggio potenzia la sua espressività.
Questo potenziamelllto però non è che una amplificazione della
Trauer racchiusa dalla scrittura allegorica. La ribellione degli ele-
menti linguistici che scuotono il linguaggio barocco 241 non sono
che l'estremo svolgimento della logica « soggettiva» dell'allegoria.

H. Ponderaci6n Mysteriosa. Destino di questa logica è però


di ribaltarsi. Nel fondo della sua medi,tazione il melanconico, di-
scendendo nella profondità del significato, rarefa l'essere delle cose
in una « rete di enigmatici rinvii allegorici », in polvere; ma è
qui che incontra l'« allegoria infernale » del « trionfo della mate-
ria » 242 • La « spiritualità assoluta » a cui conduce il sapere del
melanconico si riflette nella satanica materialità del linguaggio.
236 Ivi, p. 216.
m Ivi, p. 217.
231 Ivi, p. 226.
"' Ivi, p. 227.
240 Ivi, p. 216.
241 Cfr. ivi, p. 223.
242 Ivi, p. 247.

170
Per questo « l'allegoria sfocia nel vuoto>> 243 • Questo vuoto è
il vuoto che rivela il 6oggetto del Trauerspiel. Lo svuotamento
della soggettività attraverso la fenomenologia del sentimento me-
lanconico è riconoscimento dell'ultimo ribaltarsi degli oggetti alle-
gorici, del loro« giocare» con la Trauer del melanconico.
La Natur-geschichte, a questo punto, si svela come apparenza.
La riduzione dell'« attimo» pregno di simbolicità in « Jetzt » è
connessa all'analisi infinitesimale dell'istante temporale. ! questa
analisi che produce la dialettica eccentrica del tempo allegorico e
mostra l'apparenza della Natura-storia, come prodotto dello schema
allegorico. La Natur-geschichte è simulacrum244 • La vida es sueno.
La vita è simulacro della morte. Ma come immagine, la morte
può divenire simulacro della vita. Il sogno cos{ si rivela la natura
della -storia ,barocca e l'immagine, l'apertura nella quale vita e
morte comunicano. C,omunicano specularmente. Ma quel che rima-
ne è l'immagine riflessa, id suo gioco. Immagine che si rarefa pro-
gressivamente finché non rimane che il vuoto specchio. Lo specchio
povero d'immagini è la leere Sub;ektivitat ,(vuota soggettività),
che alla fine del Trauerspiel può specchiarsi solo in Dio. In questo
specchiarsi, l'allegoria è spuzata via 245 • L'ultimo ribaltarsi della
allegoria è -il ,trapassare della caducità che esprime in resurrezione.
Ma questo a condizione che l'allegoria stessa muoia. Altrimenti
continua la storia barocca: non vita e non morte: teatro; simulazio-
ne che partecipa di entrambe senza essere nessuna delle due. Oltre
di essa, il nulla. Dentro di essa, la resurrezione stessa può trasfor-
marsi di nuovo in allegoria. La sua figura, sulla scena del T rauer-
spiel, non cessa di essere ambivalente. E il gioco del suo continuo
rovesciarsi è l'estrema afflizione.

243 lvi, p. 2,4.


2M Sul concetto barocco, ed in particolare, gesuita, di simulacrum, dr. M.
Pemiola, L'essere-per-I• morte e il simulQC1o dell• morte, in Nuovtl corrente,
n. 7~77, 1978, pp. 188-21.5 e m part., pp. 198-204.
:MS Cfr. DB, pp. 2,3-2.54.

• 171
Nota 2: La Torre

« L'essenza del nostro ,tempo è riposta in una molteplicità


di significati e nell'indeterminatezza. Esso non può fondarsi che
su un terreno che scivola ed è consapevole che il terreno oggi
scivola, da altre gener-azioni ritenuto sicuro. » Questo « proble-
ma», di cui Hofmannsthal scrive in Der Dichter und unsere Zeit
(1907) 1, è la materia segreta che innesta nel suo piu che venten-
nale adoperarsi a trasformare il dramma calderoniano La vita è
sogno in -una nuova opera. Risultato di questo continuo« tormenta-
re» l'originale, scavarne la superficie, dipanarne quanto vi giaceva
arrotolato, inghiottito nella sua « tessitura», sono le due versioni
di Der Turm (192.5 e 1927).
:8 questa l'opera che testimonia la profondità del rapporto
Hof.mannstahl-Benjamin. La Jettura dell'opera benjaminiana ha agi-
to palesemente nella stesura del dramma. ·Non per niente esso
si definiva un Trauerspiel. Anzi, come vide subito Benjamin in
una lettera a Hofmannstahl dell' 11 giugno 1925 2, essa era un
Trauerspiel « nella sua ,forma ph1 pura, piu canonica», appariva
come un « coronamento del rinnovamento e rinascita di quella
forma barocca tedesca» che le altre opere di Hofmannstahl espri-
mevano.
La -« tensione » tra varianti e modello originario è- « storica »
ed in questo Benjamin - già recensendo la versione del '2.5 3 -
vedeva l'aspetto di massimo interesse della grande opera hofmann-
stahliana. Ma che « la tensione storica si dispiegasse nella Torre
anche a prescindere dal rapporto con l'opera di Calderon », pure
questo è notato da Benjamin. Sono le molte «lingue» che il pre-
sente distintamente parla a far avvertire all'.autore come queste,
in forma di ronzio, vagassero già - come spettri - nel passato,
di cui i,l poeta doveva conservare la memoria nella propria « espe-
rienza », facendolo rivivere nella propria lingua. Questa è l'inten-

1 In H. von Hofmannstahl, Vitzggi e sllggi, trad. di L. Tr-J•/e~·:o. F~enze,


1918, p. 146.
2 Cfr. LT, pp. 121-123.
3 La prima recensione - in occasione della pubblicazione del testo: Miin-
chcn, 1925 - apparve sulla Literarische Welt del 9 aprile 1926 (ora in GS, III,
pp. 29-33), la seconda in occasione della prima rapprcsent:izionc a Monaco ed
Amburgo, sempre sulla Lilerarische Welt, il 2 marzo 1928 (ora in GS, III,
pp. 98-101 ).

172 •
zione nello scritto del 1907: che l'esito fosse una « disincantata
nostalgia», l'i,mpossibilità di resuscitare questo passato è quanto
La Torre mostra. Non casuale è la straordinaria affinità tra la
citazione da cui siamo partiiti e questa affermazione del re Basilius,
che ha fatto rinchiudere in una torre il figlio Sigismund, per impe-
dire i funesti avvenimenti « letti » dagli astrologi cli corte nella
sua nascita: « Corriamo di qua e di là per rafforzare il nostro
potere, ma è come se il terreno diventasse molle e le nostre gambe
affondassero nel vuoto. Le mura vacillano dalle fondamenta e la
nostra strada è finita nelPintransitabile » 4 • Queste parole suggel-
lano come oscuro presentimento quanto l'intreccio del dramma
produrrà. Il re, l'eletto da Dio « per tramutare il disordine in ordi-
ne», sarà detronizzato dal figlio. Ma questo non por-ta ad una
semplice sostituzione: mentre Sigismund nella prima versione sog-
giace all'utopia di « porre ordine e uscire dal vecchio ordine»,
nell'ultima rinuncia al potere. Nella torre ha appreso un'altra lin-
gua, « quella del colloquio ,tra spirito e spirito»: re egli è solo
della torre che il &uo petto nasconde, del non-visibile. Detronizza-
to qui non è un re, ma il suo ruolo, il principio della sua sovra-
nità.
Se il re si presenta nel dramma barocco come « il primo
esponente della storia», la sua definitiva scomparsa significa l'irre-
cuperabile pluralizzazione del «tempo» barocco, dove l'accadere
è raggelato nello spazio « naturale » della corte. Nella corte come
luogo di immanenza della Grazia, dove il re era il simbolo che
,candiva, come lancetta di orologio, la «meccanica» sincronia di
ordine divino e umano, irrompe la « molteplicità dei significati »,
la «pluralità» dei « tempi». Del potere si impadronisce Olivier,
capo dei contadini ribelli, dei « senza nome», annuncimido che
« un giorno piu freddo e sobrio è spuntato sul mondo». La sua
politica non « salva », utilizza soltanto; non restaura l'Ordine, ma
impone solo una « pace apparente» 5• Nel potere di Olivier non
si manifesta lo spirito, come nei drammi barocchi, ma il« politico»
contemporaneo in tutta la sua « infondatezza e caducità», nella
sua allegoricità: come regno del disgregato, del frammentario, dello
arbitrario; dove il .soggetto, anzi i soggetti sono dispensatori dei
labili significati delle cose, ed alla « confusione » degli avvenimenti
possono solo imporre norme. È questa irreversibile distruzione

4 H. von Hofmannstahl, De, Turm, trad. di S. Bertoli Cappelletto, Milano,


1978, p. 33; le citazioni che seguono sono tratte da questo testo.
5 Or. per questo M, Cacderi, Intransitabili utopie, cit., pp. 193-200.

173
della corte come scena dell,accadere storico, che Sigismund ricono-
sce e dinanzi alla quale ammutolisce: sua estrema testimonianza
è iJ silenzio: se la parola si nega a Sigismund, è perché egli di
questa ha compresa l'impotenza politica 6 •
A ragione Benjamin .sottolineava, dunque, come non a caso
Hofmannstahl definisse la propria opera non una tragedia, ma
un Trauerspiel. Quel che Benjamin non dice, nemmeno nella
recensione della versione del '27, è che, proprio per la « tensione
storica» che contiene, quest'opera è la conclusione del Trauer-
spiel come forma. Ma alla fine del Trauerspiel, all'« apocalisse »
di Hofmannstahl, è necessario rispondere, altrimenti la risposta
« politica » alla vittoria di Olivier, dei « senza nome», non può
che essere - di nuovo nello « spirito » del dramma barocco -
la dittatura, come Schmitt in quegli anni andava lucidamente teo-
ri12ando. Ed è la produzione di Benjamin dopo 1'Ursprung des
deutschen Trauerspiels a indicare le forme possibili dopo questa
conclusione. Come questi nota genialmente in una lettera ad Ador-
no del '40 7, è Kafka a rispondere al «mutismo» di Sigismund,
in questo « vero fraitello di Chandos », ad assumersi « il compito
di cui H<>ftmnnstahl si è mostrato moralmente e anche poeticamen-
te incapace», a scrivere dell'allegorico « del e nel proprio stesso
io » 1 • E di questo, riconoscendolo, Freud darà analisi, costruzioni.
Ma non ci si può arrestare nemmeno all'annuncio di Olivier: criti-
che, costruzioni si possono e si devono dare anche dei conflitti
politici che la fine del vec.chio ordine e quindi la « selva» dei
segni storici contemporanei sprigiona. Questi possono esser rap-
presentati solo dal teatro brechtiano, che, per Benjamin, è il vero
erede del dramma barocco, perché ne assume la tradizione trasfor-
mandola, introducendo una nuova comprensione del tempo, facen-
do della forma estetica un esperimento di costruzione-critica della
realtà. L'analisi benjaminiana dell'allegorico non si ferma allo svuo-
tamento che esso svela: la sua ultima produzione dice dunque
che la categoria moderna del «politico» può essere criticata. Que-
sto perché può essere criticato lo schema che riduce la storia a
natura, sotteso da1l'allegoria, ad opera del principio costruttivo
nella teoria e nel processo storico. Intorno a questi problemi ruote-
rà l'ultima produzione benjaminiana.

6 Cfr. ivi, p. 214.


7 Cfr. LT, pp. 398-402.
1 Cfr. M. Cacciari, lntranritabili utopie, cit., p. 216.

174
IV. Esoterismo e materialismo storico:
l'impossibile « viaggio » in Palestina
« Privato ,. e « pubblico • non sono vani adiacenti
come può esscmo camera da letto e consultorio nel-
l'abitazione di un medico, ma sono costruiti l'uno
dentro l'altro.
(W. Benjamin: 1926)
Un sapere, che noo contiene alcuna indicazione sulle
sue posllÌbilità di diffusione, giova a poco, ... esso
in verità non ~ affatto un sapere.
( W. Beniamin: 1932)

Le lettere sul « Materialismo storico ». Render conto del


«passaggio» di Benjamin al« materialismo storico», cogliendo que-
sto nel suo« oggettivo» divenire, nei momenti del suo consolidar-
si e acquistare cosf una propria fisionomia, avrebbe avuto come
naturale «spazio» di analisi da percorrere, da un lato la splendi-
da raccolta di aforismi Einbahnstrasse 1, pubblicata da Rowohlt
nel 1928 (dopo che alcuni di questi aforismi erano già stati pub-
blicati, dal '25 in poi, su vari quotidiani e riviste); dall'altro
la produzione di tBenjamin come critico letterario ·(attività cui era
stato costretto, per vivere, dal fallimento del suo tentativo di inse-
rirsi nell'università), almeno quella tra il 1926 e il 1932 2•
In entrambi i casi 11 discorso non si sarebbe potuto sbrigare
in poche pagine: afifrontare Einbahnstrasse, in cui « l'intimo intrec-
cio di visioni mistico-cosmiche e marxiste, che a vicenda si compe-
netrano o si presentano distinte l'una accanto all'altra, si rivela
per la prima volta » 3, .significherebbe non solo analizzare la ric-
cliezza di spunti, di temi contenuti in quegli aforismi ,talvolta enig-
matici, che Benjamin significativamente ohiamò Denkbilder, ma
implicherebbe pure un discorso sulla forma stessa dell'aforisma
benjaminiano, sull'intrecciarsi in esso di soggettività e oggettivi-
tà 4, di immagine e pensiero e sul suo rapporto con produzioni
1 Acutamente Ticdemann ha notato che i « Denkbilder di Einbahnstrassc
e Berline, Kindheil um Neunzehnhunderl sono gli anelli di congiunzione tra le:
idee <lei Trauerspielb~h e le immagini dialettiche del lavoro sui Passages »
(R. Ticdcmann, Studien, cit., p. 66).
2 Nel 1933, infatti, con l'ascesa di Hitler al potere, Bcnjamin dovette emi-
grare definitivamente a Parigi e da allora la sua collaborazione a giornali tedeschi
si fece piu rada e per lo piu sotto pseudonimi.
3 G. Scholcm, Walter Benjamin und sein Engel, trad. di M.T. Mandalari,
Milano, 1978, p. 14.
4 Su questo, da presupposti diversi, si sono soffermati nelle loro recensioni

175
affini di altri autori, come Spuren di E. Bloch (1930), o Damme-
rung di H. Regius (pseudonimo di M. Horkheimer), del 1934.
Anche una pur breve disamina, poi, degli scritti di critica
letteraria apparsi nel periodo anzidetto, comporterebbe un'analisi
dettagliata del rapporto di Benjamin con le avanguardie francesi
(surrealismo), russe (costruttivismo, ecc.), tedesche (Neue Sachlich-
keit) 5 , e tutto ciò volgerebbe il nostro lavoro (ampliandolo a dismi-
sura) ,in una direzione diversa da quella fin qui seguita.
Per questo abbiamo scelto come via assai piu breve e agilmen-
te praticabile per puntualizzare, in qualche modo, l'adesione benja-
miniana ,al comunismo, e suc:cessivamente, la svolta « materialista »
nel suo pensiero, quella dell'analisi de1le cosiddette « lettere sul
materialismo » all'amico Scholem. In queste lettere tale proble-
matica viene affrontata sul piano soggettivo e, iper cosf dire, « pri-
vato » dell'amicizia tra ·i due corrispondenti. Ma proprio la separa-
tezza di tale piano è negata da Benjamin nel corso di questo scam-
bio epBtolare. « Pubblico » e « privato » si mostrano « costruiti
l'uno dentro l'altro» 6 e la verità del loro rapporto non è la
loro riconciliazione, ma la « tensione» tra gli opposti poli che
esprimono 7 •
La prima avvisaglia di un cambiamento di rotta nel pensiero
benjaminiano è avvertibile in una lettera da Capri del 7 luglio
'24: « Qui sono successe ogni sorta di cose, che ipotrei comunicare
solo se facessi un viaggio in Palestina oppure nel caso cli un tuo
viaggio - forse piu legittimo - a Capri. Sono successe non tanto
nell'interesse del mio lavoro pericolosamente interrotto, neanche
nell'interesse, forse, di quel ritmo borghese di vita che è cosi
indispensabile per ogni lavoro, incondizionatamente nell'interesse
a quest'opera sia E. Bloch, in Revue/orm in der Philosophie ( recensione apparsa
nel 1929 sulla Vossische Zeilung e poi inclusa in Erbschaft dieser Zeit, cit.,
pp. 368-371), che sottolinea essenzialmente, con una certa unilateralità, il « filo-
sofare suncaJista » di Benjamin, sia Adorno, la cui recensione risale al 1955
(apparsa per la prima volta in Texte und Zeìchen, I, 1955, e successivamente
in Th.W. Adorno, Ober Walter Beniamin, a cura di R. Tiedemann, Frankfurt/M.,
1970, pp. ,2-58, e ora tradotta in Nt1ova corrente, n. 71, 1976, pp. 303-309).
Riguardo a questo testo adorniano, sono da vedere le osservazioni di M. Vaca-
tello, che tratta anche del rapporto tra Einbahnslrasse e i Minima moralia ador-
niani, in Th. Adorno il rinvio della prassi, Fireoze, 1972, pp. 103-108.
5 Questo tema del resto è stato egregiamente trattato da G. Spagnoletti in
Beniamin e il marxismo (Dissert. dattil., Roma, 1974) e in Avanguardia e rivo-
luzione. Appunti sul marxismo ben;aminiano, in Studi germanici, 12, 1974.
6 Cfr. la recensione benjaminiana delle lettere di Lenin a Gorkij, apparsa
sulla LJterarische Welt nel 1926, in GS, III ( 1972), pp. 51-53.
7 Cfr. Linke Me/ancholie, del 1931, trad. in AR, in part. p. 172.

176
di un'emancipazione vitale e di un'intensa v1s10ne dell'attualità
di un comunismo radicale. Ho fatto la conoscenza di una rivolu-
zionaria russa di Riga, una delle donne piu notevoli che abbia
mai conosciuto» 8 •
La « rivoluzionacia » era Asja Lacis 9, a cui Benjamin dedicò
Einbahnstrasse 10 : l'incontro, non solo «intellettuale», con lei
coincise con la lettura della recensione di Bloch 11 a Geschichte
und Klaussenbewusstsein di Lukacs e successivamente dell'opera
stessa 12 • Lo sconvolgimento nell'orizzonte intellettuale benjaminiano
provocato da questo complesso di fattori, che venivano ad interse-
carsi con la conclusione del lavoro sul Trauerspiel, è evidente.
Mentre la lettura in chiave hegeliana della dialettica storica da
parte di Lukacs non poteva che destare perplessità in Benjamin 13 ,
il « duro nocciolo filosofico » del libro di Lukacs consisteva nel
problema « teoria e prassi» quale il comuni&mo poneva; e cioè
che « nonostante •tutta la diversità che deve essere conservata
a queste due sfere, un'appercezione definitiva della teoria vi è
legata alla prassi » 14 •
L'irrinunciabile approccio al problema del comunismo era dato
essenzialmente dal profilo pratico-politico di quest'ultimo. Anche se
questo non tarda a presentare conseguenze dentro lo stesso lavoro
intel!lettuale benjaminiano. E questo appare chiaro già nel ritorno
a Ber~o 15 dal viaggio italiano: « Anche i segnali comunisti... furo-

• LT, p. 94.
9 Per l'incontro con Bcnjamin a Capri e il successivo rapporto a Berlino
dr. Asja Lacis, Professione: rivoluzionaria, con un saggio di E. Casini-Ropa e
una prefazione di F. Cruciani, Milano, 1976, soprattutto le pp. 98-106 e 112-113;
i] libro contiene anche il bellissimo Programm eincs prolctarischen Kinderlhta/ers
di Bcnjamin (pp. 83-89), un testo questo che, per le sue profonde implicazioni
anti-pedagogiche, nel senso di un rifiuto della pedagogia come dominio di una
generazione sull'altra, ed a favore « di un indispensabile ordine dei rapporti tra
generazioni• (GS, IV, 1, p. 147), attende di dispiegare ancora tutto il suo
storico significato.
10 « Questa strada si chiama / Asja-lAcis-Strassc / secondo il nome di colei
che / come ingegnere / ne ha aperto il varco all'autore.» (GS, IV, 1. p. 8.3.)
11 Uscita nd mese di marzo nel Neue Merkur ed ora reperibile in M.VV.,
lntelleltuali e coscienza di classe, a cura di L. Boclla, Milano, 1977. La recen-
sione era per Bcnjamin la « cosa migliore » che Bloch avesse fotto da tempo.
Cfr. LT, p. 93.
12 Or. ivi (lettera del 16 settembre 1924), pp. 97-98.
13 « E mi ingannerei se noi confronto e conflitto con i coocetti e affer-
mazioni hegeliane della dialettica, contro il comunismo, non vcnis~{'"ro in luce i
fondamenti del mio nichilismo.,. (Ivi, p. 98.)
t• lvi.
15 « Per tornare nuovamente al mio viaggio, a Berlino tutti sono d'accordo nel
constatare un cambiamento manifesto che si sarebbe verificato in mc.• Lettera a
Scholem del 22 dicembre 1926; ivi. p. 109.

177
no anzitutto segno di una svolta, che ha destato in me la volontà
di non mascherare piu i momenti attuali e politici dei miei pensieri
secondo l'abitudine antiquata che avevo seguito finora, ma di svi-
lupparli, e questo, sperimentalmente, in forma estrema » 16• Oie
lo sviluppo di « -tensioni » presenti nella sua precedente produ-
zione, in un sorprendente « contatto con una teoria bolscevica
estrema», non potesse essere lineare e privo di conflitti lo testimo-
nia una lettera di qualche mese dopo da Francoforte: « Se qui
le cose vanno male [Benjamin si riferisce alla domanda di abili-
tazione alla università di ,prancoforte], probabilmente accelererò
i miei contatti con la politica marxista, ed entrerò nel partito
- con la prospettiva di andare a Mosca, -almeno provvisoriamente,
in un futuro non ,troppo lontano. Ma presto o tardi farò questo .
passo in tutti !i casi. [Il passo, come è noto, non fu mai compiu-
to.] L'orizzonte del mio lavoro non è piu quello di un tempo,
e non posso restringerlo artificiosamente. Naturalmente si tratta
anzitutto di un .immane conflitto di forze (mie individuali), in
1

cui devono scontrarsi questo programma e Jo studio dell'ebraico,


e non vedo come sia possibile una decisione radicale, ma devo
fare l'esperimento, cominciando da una parte o dall'altra. Solo
1

con queste due esperienze potrò dominare la totalità dell'orizzonte


luminoso od oscuro da me presentito» 17 •
Le perple~ità di Scholem - che era in .Palestina dal 1923
e che, essendo sfumate per l'amico le possrbilità di una « siste-
mazione » accademica, in quegli anni si preoccupava di fargli ave-
re l'incarico di letteratura tedesca e francese contemporanee alla
unhrersità di Gerusalemme - per questi imprevedibili sviluppi
della ricerca benjaminiana, erano inevitabili; tanto piu che lo stesso
Benjamin spesso scriveva di aver l'intenzione di imparare l'ebraico,
per seguirlo in Palestina. A queste perplessità, Benjamin risponde
con una certa chiarezza in una lettera da Parigi del 29 maggio
1926. Tra gli opposti poli (quello « religioso» e quello « po-
litico») che ormai definitivamente co91:ituiscono gli estremi del-
l'orizzonte presentito non si dà sostanziale « dinferenza » 11 • En-
trambi sono possibilità « di abbandonare la sfera puramente teo-
retica» 19 • Questo non significa postulare la necessità di conci-
liare, di mediare tra le due « osservanze »: la loro identità « si

16 lvi.
17 Ivi, p. 118.
18 Cfr. ivi, p. 144.
19 Ivi.

178
rivela solo nel paradossale .rovesciarsi de.Ll'una nell'altra (in en-
trambe le direzioni) » 20 •
Tale rovesciarsi non è dunciue in alcun modo un passaggio
« necessario », ma una decisione 1, ed in qualche modo un « sal-
to». E la necessità del salto, si sa, non è quasi mai logica, ma
pratica: è dettata da una situazione di pericolo. L'identità delle
due sfere si realizza dunque nel « rovesciamento pratico » che la
decisione provoca. E questa giunge al fondo di un « procedere,
nelle cose piu importanti, .sempre in modo iradicale, mai con coeren-
za» 22.
Ma cosa significa tutto questo? Benjamin nella lettera pre-
senta solo il lato storico-materiale della « situazione di pericolo»,
che spinge a decidersi, a rovesciare la prospettiva« religiosa » della
sua ricerca in quella politica: « nella nostra generazione colui che
sente e coglie come lotta il momento storico in cui è al mondo non
solo in forma fraseologica, non può rinunciare allo studio, alla pras-
si di quel meccanismo con cui le cose ( e i rapporti economici) (und
die Verhiiltnisse) agiscono le une sulle altre. Anche se nella prospet-
tiva dell'ebraismo una lotta siffatta si organizza in un modo comple-
tamente diverso, disparato (mai avverso). Ciò non cambia nulla:
una politica "giusta,, radicale, che appunto per questo non vuol
essere altro che politica, [c. n.] opererà sempre a favore dell'ebra-
ismo, e, ciò che è infinitamente piu importante, troverà sempre
l'ebraismo pronto a operare in suo favore» 23 • Questo accenno ai li-
miti interni propri ad urnt politica« radicale » e quindi all'inesistenza
di « scopi politici sensati » 24 , -induce a considerare il lato teorico
del « rovesciamento » in questione, la necessità logica che conduce
non alla decisione, ma a:lla sua soglia.
Già in questa lettera Benjamin non si fa illusioni sull'insuffi-
cienza della « metafisica materialistica », come anche della « conce-
zione materialistica della storia », ma questo non svaluta minima-
mente il significato politico del movimento storico che il comu-
nismo esprime. L'-« azione comunista» è « il correttivo dei suoi
scopi » 25 • È iJ suo sviluppo che può distruggere la sua corazza
metafisica o erodere i suoi rivestimenti teleologici; anzi proprio
20 lvi.
21 « Qui i1 compito non è dato una volta per tutte, ma deve essere deciso
ogn1 istante. Ma deve csscre deciso.» (Ivi, p. 14.5.)
22 lvi.
2J Ivi.
24 Or. ivi, p. 146.
25 lvi.

179
le intuizioni dell'insufficienza di questi, nota Benjamin, possono
essere usate come « ferree armi » « altrettanto e piuttosto in allean-
za col comunismo che contro di esso » 26•
Il «politico» cui approda la ricerca henjaminiana è sobrio,
demetafisicizzato, eroso della sua sostanzialità: proprio perché ra- ·
dicale è «infondato», né ha niente di utopico. E questo sarà
uno dei motivi non secondarJ che permetterà l'incontro con Brecht.
Ma questo non sta a significare che cosf può accogliere la sostanzia-
lità dell'elemento teologico. Questa lettera benjaminiana sarebbe
incomprensibile senza· considerare le sue ricerche sull'allegoria e
il Trauerspielbuch dn generale, dove si mostra come la teologia
dimetta definitivamente la sua caratterizzazione utopico-positiva, la
sua sostanzialità, appiattendosi e trasformandosi in« schema» che
fornisce le categorie per la comprensione critica delle forme e
~trutture del Trauerspiel.
Di « pratico rovesciamento» e di «identità» tra teologico
e politico si può parlare perché entrambi sono de-sostanzializzati:
il « proceder radicale » nelle due sfere ha condotto a riconoscere
il loro « sradicamento» e l'allegorico è la soglia oltre la quale
l'uno si può rovesciare nell'altro. :8 nell'approfondimento radicale
dell'elemento mistico-esoterico del suo pensiero che Benjamin giun-
ge al limite del suo rovesciamento, alla soglia della decisione poli-
tica. L'uscita dall'allegorico, dal « vuoto» che esso svela, è il
costruttivo: Jo storico costruttivo come il teorico costruttivo. Per
questo la rottura di Benjamin con l'esoterismo non può ricondursi
solamente a estrinseci motivi politici, come sembra sostenere Haber-
mas 27 , ma presuppone anche motivazioni del tutto interne alla
sua ricerca, visibili nella loro necessità almeno a partire dall'Ur-
sprung. :8 l'esoterico, non -altro, che si fa profano. S l'analisj
radicale del « religioso » che riconosce l'impossibilità di congiun-
gersi all'« origine ». L'origine si rivela sradicata. « L'origine è la
meta »: ma questa frase krausiana non assume in Benjamin signi-
ficato restaurativo. La meta è la trasformazione possibile del disor-
dine « allegorico», che la sapienza esoterica non può piu ordinare.
Non è piu la sua intima teleologia, né l'utopia di riformare la
frantumazione e dispersione dell'allegorico nell'integrità del sim-
bolo. Non è la verità, che - coltivata dai rituali nel recinto del

~ Ivi, p. 145.
'Z1In J. Habermas, Bcwusstmachentle oder rellende Kritilt, in AA.VV., Zut
Alt1ualita1 Walter Ben;amins, Frankfurt/M., 1972, in part. pp. 196-207 (tnd. it. in
Comuniltl, n. 171, 1974).

180
sacro - debba poi essere propagata. E questo perché il profano
non si presenta piu come l'altro dall'esoterico, ma si svela come
la necessità per l'esoterico di trasformarsi in esso, allorché abbia
riconosciuto il proprio sradicamento, cioè sia giunto ,fino aJ « nul-
la» che l'apparenza allegorica nasconde, quando i nomi e i nomina-
ta esplodono in allegorie 28 •
L'illuminazione profana - di rui Benjamin parla nel sag-
gio sul surrealismo del 1929 - è cosi la possibilità di metter
ordine in quella superf.icie allegorica, che è divenuta la profondità
teologica, cli mettervi ordine però nel senso di una costruzione.
Noi - scrive Benjamin - « penetriamo il segreto solo nella misu-
ra in cui lo ritroviamo nel quotidiano, in forza di un'ottica dialet-
tica che riconosce il quotidiano come impenetrabile, l'impenetra-
bile come quotidiano » 29 • Solo cosi le forze dell'ebbrezza possono
essere acquisite alla rivoluzione; ma se la « componente di ebbrez-
za » è presente nella rivoluzione come la sua componente anarchica,
questa è del tutto inadeguata a definire la prassi rivoluzionaria,
non ne comprende per niente il lato «puramente» politico: la
« preparazione metodica e disciplinare » 30 •
Dall'intreccio di questi due elementi « una mentalità romanti- ·
ca non verrà mai a capo » 31 •
L'importanza del surrealismo per Benjamin consisteva nel fat-
to che per la prima volta in esso si dischiudeva quello « spazio
immaginativo» (Bildraum) - come mondo di una « onnilaterale e
integrale attualità» 32 - dove « materialismo politico» e « crea-
tura fisica» si dividono, lacerano, senza lasciar alcuna parte intatta,
l'« uomo interiore, la psiche, l'individuo». Nel contemporaneo ri-
ferirsi dei surrealisti al « creaturale-animale e al politico-materiali-
stico » 33 , nel loro contenerli nello spazio di un'immagine senza vo-
lerli ideologicamente comporre, può emergere un materialismo an-
tropolo11.ico intraducibile negli schemi metafisici vogtiani o buchari-
niani. Ad esso, solo l'illuminazione profana può introdurre. Per
28 Questo aspetto del rapporto esoterico-profano in Renjamin sembra invece
ben presente ad Habcnnas: « L'esperienza dell'aura ndlc forme dell'illumina-
zione profana ha fatto saltare l'involucro auratico ed è divenuta essoterica ,.
(J. Habcrmas, op. cit., p. 201). Sempre che s'intenda come l'illuminazione profaM
non sopravviene dall'esterno dell'esperienza auratica, ma scaturisca nel momento
e nelle fonnc del suo « decadere •.
~ AR, p. 23; trad. lievemcnk modificata.
30 Ivi.
3l Ivi.
32Cfr. GS, 11, l, p. 209.
» GS, II, 3, p. 1040.

181
questo, solo nell'illuminazione profana polo teologico e polo poli-
tico - in quanto si presentano, nell'immagine che essa dischiude,
spo~ della loro « sostanza»: come « creaturale-.animale » e « po-
litica senz'altro» - giungono al punto della loro indi/ferenza
oreatrice 34 , dopo essere stati attraversati dalla dimensione dello
allegorico. Ma proprio questa dedsività dell'allegorico, per giunge-
.re all'indifferenza creatride di politico e teologico, fa s{ che fa
loro identità non si ricomponga mai in .un unico simbolo, ma
si mostri produttiva proprio nella loro estrema differenza, nella
loro insanabile lacerazione, nella loro storica tensione, permanen-
te in ogni attualità.
Non aver compreso la possibilità di questo rapporto, insieme
alla necessità della m-i.,olvibile tensione che lo genera - questo
e nient'altro ci sembra il senso ultimo del pratico e reciproco
« rovesciarsi» di politico e teologico - è all'origine della persi-
stente incomprensione che Scholem dimostra per la « nuova » posi-
zione dell'amico; nelle lettere degli anni trenta come negli scrit-
ti successivi dedicati a -lui 35• Eppure commentando l'analisi del-
l'allegoria 36 e soprattutto, parliindo dell'importanza di Kafka
per Benjamin 37 , sembra esser giunto a sfiorare il nucleo delle con-
clusioni cui abbiamo accennato. Citando un ·importantissimo brano
del saggio su Kafka del 1934 31, Scholem infatti arriva alla conclu-
sione che cos{ Benjamin « sapeva che noi possediamo in Kafka una
theologia negativa di un ebraismo che non è stato certo meno inten-
so per il fatto che gli è venuta a mancare la ,:,ivelazione come dato
positivo » 39 •
.34 Per questo concetto che Bcnjamin usa anche a proposito delle lettere di
Lenin, si veda S. Friedliinder, Schop/erische Indilferen:, Miinchcn, 1918. Qui ogni
illusione circa l'uomo come «sostanza» è rifiutata. Ciò che è interno è in-dirJi-
duum, è completa Entmenschung; solo nell'indifferenza del «Sé,., ogni polarità,
ogni contrasto, ogni conflitto è reso creativo. Perché le differenze siano polariz-
zate armonicamente il «Sé» deve divenire indifferente (cfr. ivi, p. 35'). « Solo
il completo impoverimento dell'interno in ogni differente esterno compie la ric-
chezza di db che è interiore, sema di cui 1a ricchezza esteriore è una chimera. •
(lvi, pp. XXXJ.XXXLJ.) Su questa opera, assai stimata d. Benamin, si veda
anche Ja recensione di A. Kubin, in Das liel, IV, 1920, pp. 118-121.
35 Cir. ad esempio in W alte, Beniamin e il suo angelo, dt., quanto dice det-
l"illumiMtione profana: pp. .54-j5 o sulle Tesi: pp. 6064; cfr. anche l'onesto e in
molti punti penetraotc profilo: Walter Benjamin, pp. 7,1-110.
36 ar. ivi, p. 49.
1os.
,, wi, p.
31 « 1A. porta della giusti.zia è lo studio. E tuttavia Kafka non osa 8S60darc
a questo studio le promesse che 1a tradizione ricollegava a quello della Thorà.
I suoi aiutanti sono ...-estani rimasti senza pamxxhia, i suoi studenti, scolari
senza !ICri.ttura. » (AN, p. 288.)
.J9 G. Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, dt., p. 108.

182
Pur avendo prima parlato del venir meno (o dell'esser « sot-
taciuta ») della categoria .teologica di « rivelazione » nella benjami-
niana « conversione al materialismo » 40 , Scholem non coglie però
la relazione tra questa «assenza» 41 e la theologia negativa kaf-
kiana, potendo cosf concludere che « alPebraismo ... Walter Benja-
min si è avvicinato asintoticamente per tutta la vita » 42 • Non
si tratta piuttosto di un'intensa esperienza di esso, che ne s~pinge
in infinita lontananza la« positività»? E per questo, l'opera di Be-
njamin - dopo il Trauerspielbuch - non descrive forse un'ellisse
« i cui punti focali molto distanti l'uno dall'altro» sono determi-
n~ti da una parte dalla crisi dell'Erfahrung (con i suoi connotati
mistici e la necessaria connessione con la tradizione) e dall'altra
dalla critica politica della « esperienu del moderno uomo metropo-
litano » (con tutte le implicanze contenute nella sua determinata
« segnatura » storica)? 43
La possibilità che la condizione « produttiva » dell' amko fos-
se data proprio dal muoversi - necessariamente ambiguo - tra
quegli estremi, di cui aveva detto l'« identità», questo, in defini-
tiva• è quanto Scholem non accetta :Sn dalle lettere del 1930-31.
Aiutato certo, in quesito, da quell' « esitare estremamente distac-
cato... in tutte le ·piu -importanti situazioni dell' ... esistenza» 44
proprio di Benjamin, soprattutto in relazione al suo stabilirsi a
Gerusalemme. « Tre anni ,fa tu pensavi, e io con te, di essere
giunto a un punto in cui un confron·to .fruttuoso con l'ebraismo
era l'unica via di un positivo progresso del tuo lavoro. » 45 Con
questa lettera Scholem invitava perentoriamente l'amico a una deci-
sione: « è preferibile, invece di continuare a cullarsi in illusioni
errate circa un confronto, che non potrà mai prodursi concreta-
mente, suH'ebraismo, ... guardare in faccia alla realtà (che per me
è certo deprimente, ma quanto meno chiara) della tua esistenza
al di là di tale mondo? » 46 • La risposta di Benjamin, per certi
vem interlocutoria, in uno spirito di« grande provvisorietà», con-
ferma, in fondo, l'indedbilità, almeno teorica, della sua situazione.
Decidere chiaramente nel senso inteso da Scholem costituirebbe
40 Lvi, pp. 104-105.
41 « Definirci il suo pensiero piu tardo una teoria materialistica della rive-
lazione, il rui oggetto non vi figura piu. » (lvi, p. 105).
42 Ivi, p. 110.
43 Or., per il paragooc dell'ellisse, quanto Benjamin dice di Kafka nell'impor-
tantissima lettera a Scholem del 12 giugno 1938, LT, p. 34.5.
44 Lettera di Benjamin a Scholcm del 9 e 25 aprile 1930, LT, p. 184.
45 Lettera di Scholcm a Bcnjamin del J0 marzo 1930, LT, p. 181.
46 lvi, p. 182.

183
un'astratta negazione del passato o un impossibile rifiuto delle
esperienze del presente ( una rinuncia al suo lavoro di critico, al suo
progetto di lavoro sui Passages): « E ancora una volta devo tratte-
nermi dal dare una risposta conclusiva alla questione che essa [la let-
tera di Scholem] contiene. Certo non piu per molto. E non senza
dirti che in parte - ossia per quanto concerne il nostro rapporto -
essa è insolubile nella forma alternativa in cui tu la formuli.
L'ebraismo vivo io l'ho conosciuto unicamente nella forma che
esso ha assunto in te. La questione di come io mi atteggio nei
confronti dell'ebraismo è sempre la questione di come io mi atteg-
gio... nei confronti delle forze che tu hai toccato in me » 47 •
Circa un anno dopo, - in risposta alla già citata lettera di
Benjamin a Rychner (inviata pure a Scholem), dove Benjamin invi-
tava a non vedere ·in lu-i « un rappresentante del materialismo dialet-
tico come dogma, bensi un ricercatore al quale l'atteggiamento
del materialista appare scientificamente e umanamente piu fruttuo-
so di quello idealistico in tutte le cose che ci muovono » 41 , Scho-
'lem riprende ancor piu duramente la questione. E attacca, questa
volta direttamente, il carattere della recente produzione dell'amico.
Il « materialismo» di Benjamin è un « autoinganno» 49 : le mi-
gliori « conclusioni » ooi era pervenuto in quegli anni erano del
tutto estranee ad « un metodo materialistko ». Per questo « sussi-
ste una stupefacente estraneità e mancanza di connessioni tra il
procedimento r,eale e quello preteso» 50 del suo pensiero. Da
parte di Benjamin, voler collocare in un ambito materialistico le
sue riflessioni metafisico-linguistiche - legittime eredi « delle -tra-
dizioni piu fruttuose e piu autentiche di uno Hamann e di uno
Humboldt » 51 - non fa che imprimere alla sua produzione « il
marchio dell'avventuroso, dell'ambiguo e dell'acrobatico» 52 •
« All'interno del partito comunista » gli scritti di Benjamin sareb-
bero inevitabilmente smascherati come controrivoluzionari 53 • Be-
,fl lvi, p. 184.
41 « Per esprimermi in una formula molto sintetica - continua - non sono
mai riuscito a studiare e a pensare altrimenti che in ua senso che potrei definire
teologico - ossia in conformità con la dottrina talmudistica dei quarantanove
livelli di significato di ogni passo della Torih. Orbene: l'esperienza mi insegna
che la piu logora delle banalità comuniste ha piu gerarchie di significato che
l'odierna profondità borghese, che ha sempre soltanto quello dell'apologetica.>
(·l'Vi, p. 193.)
49 Ivi, p. 194.
50 lvi, p. 195.
51 lvi.
5Z Ivi.
53 lvi, p. 196.

184
njamin non aveva che da far la prova di aderire alla KPD, per
capire di essere stato « l'ultima, ma forse la piu incomprensibile
vittima della confusione tra religione e politica » 54 •
Pur dal suo lontano osservatorio pa.lestinese, Scholem toccava
un nodo reale della vicenda politico-intellettuale benjaminiana:
l'arretratezza •teorica e strategica, anche circa il problema del rap-
porto intellettuali-movimento operaio e quindi quello dello « svi-
luppo» culturale, della politica comunista di quegli anni. Su questo
Benjamin però si mostra di una estrema lucidità, non facendosi
alcuna illusione sulla durata di una possibile appartenenza
alla KPD 55 : l'ambiguità della propria posizione sarebbe mutabile
a condizione « di una rivoluzione bolscevica tedesca » 56 • In as-
senza di questa, la poHticità della sua produzione non poteva consi-
stere in un camuffamento « proletario » nelle file del BPRS (Bund
proletarisch-revolutionarer Schriftste1ler) 51 • « La politicizzazio-
ne della propria classe. Questo effetto indiretto è Punico che
uno scrittore rivoluzionario proveniente .dalla classe borghese oggi
si ,può prefiggere », aveva scritto Benjamin alcuni mesi prima recen-
sendo il libro di S. Kracauer Die Angestellten 58 • Ma questo era
possibile solo sviluppando i propri « mezzi di produzione», tra-
sformandoli internamente fino a mostrare la necessità di una tra-
sformazione politica generale, per il loro sviluppo. « La civiltà
(Zivilisation) piu sviluppata e la cultura (Kultur) "piu moderne"
non soltanto Tientrano nel mio benessere privato, sono in parte
addirittura il mezzo della mia .produzione. » 59 E forse qui, almeno
indirettamente, si chiarisce il senso molto « sobrio» del « mate-
rialismo storico » benjaminiano: la possibilità di situarsi nelle con-
traddizioni in cui Kultur e Zivilisation - al massimo del loro
sviluppo - sembrano chiudersi ed agirvi in direzione di una loro
interna trasformazione. Scrivendo che il « materialista vero » pote-
va lasciar che Benjamin agisse indisturbato in campo borghese,
54 Ivi, p. 197.
ss Cfr. la lettera a Scholcm dd 17 aprile 1931, ivi, p. 199.
56 « Non che un partito vittorioso rivedrebbe minimamente le proprie posi-
zioni rispetto alle mie cose attuali, ma nel senso che esso mi permetterebbe di
scrivere cose diverse in modo diverso.» (Ivi, p. 199.)
51 Sul BPRS, fondato nel 1928 come organi7.zazionc collaterale nlla KPD e
di cui fecero parte intellettuali come Becher, Wittfogel, Lukacs, Balk ccc., si
veda il lavoro di li. Gallas, Teorie marxiste della lelleratura, ttad. di G. Backhaus,
Bari, 1974.
58 G5, III, p. 225; l'articolo, Ein Atmenseiter machl sich bemerlcbar, era
apJY.lrso su Die Gesellscha/1; del libro di Kra::auer, B.:niamin scrisse anche lln'altra
rettnsione per la Literarische \Velt; cfr. GS, III, pp. 226-228.
59 LT, p. 199.

185
« nell'illusione di essere tutt'uno con lui » 60 , forse perché « su
quel terreno la [ s ]ua dinamite poteva essere piu potente della
propria», Scholem aveva toccato un altro punto reale. Proprio
e forse solo a questo livello infatti la « micrologia filologica »
benjaminiana, la raffinata sensibilità per il dettaglio, la sua passio-
ne di antiquario potevano essere usate come virtu rivoluzionarie,
potevano essere avvertitamente innescate per far deflagrare molte
corazze ideologiche. Di questo Benjamin appare ben cosciente:
« Ma tu mi vuoi realmente vietare di distinguermi con la mia
piccola fabbrica di scrittore che si colloca nel cuore del-
l'Ovest 61 ••• ? Mi vuoi vietare, sottolineando che non è altro
che uno straccio, di appendere la bandiera rossa fuori della fine-
stra? Ammesso che si producano degli scritti "controrivoluziona-
ri" - come tu qualifichi del tutto esattamente i miei dal punto
di vista dol partito - li si deve anche mettere espressamente
al servizio della controrivoluzione? In tal caso non è forse meglio
denaturarli come si fa con l'alcool - a rischio che divengano
impossihili da degustare per ognuno - rendendoli sicuramente
inutilizzabili per essa? » 62 • ·

Che cosf non fosse raggiunta alcuna pacificazione, alcuna sin-


tesi, ma nemmeno una sbrigativa esclusione di uno dei due poli
in questione nel dia.logo epistolare con Scholem, è riaffermato da
Benjamin in conclusione alla sua lettera: « È vero che in una
certa misura saTesti nel giusto definendo ciò che io definisco chiaro
come il massimo dell'ambiguità. Bene, io tocco un estremo. [c.n.]
Un naufrago alla deriva su un relitto che si arrampica sulla cima
dell'albero ormai fradicio. Ma di lassu egli ha la possibilità di
dare un segnale che lo può salvare » 63 •
Come ben avver.te Scholem nella lettera di risposta, « massi-
mo dell'ambiguità» corrisponde nel caso di Benjamin a un« massi-
mo di tensione »: cercare di permanere in essa, lacerati dalle oppo-
ste forze che si vorrebbe rendere « creati~e » nel Joro differente
concorrere, significa distruggersi 64 • Quanto lo studioso della kab-
balah, nella « sicurezza » della propria posizione, ancora non vede
è la «necessità» teorica e storica che impronta l'ambiguità della
situazione dell'amico, non semplicemente uno psicologico« deside-

eo Ivi, p. 196.
61 Quartiere ricco di Berlino dove Benjamin abitava.
62 LT, p. 200.
63 lvi.
64 Or. ivi, p. 201.

186
rio cli comunità », or1gmato dalr« orrore della solitudine» 65
espresso nei suoi scritti.
E proprio intorno a questo problema Benjamin risponde con
definitiva chiare12a: « Sono disposto a rendere conto di me fino
in fondo, ma ciò è tanto piu clifficile per iscritto, in quanto - co-
me ogni hambino può capire - da parte mia non si tratta affatto
di nudi punti di vista, bensi di uno sviluppo che si compie sotto
le piu gravi tensioni. E qui io non mi riferisco tanfo alle tensioni
interne di natura privata (no, quanto a questo raramente ho rag-
giunto una pace interiore pari a quella di questi ultimi mesi),
quanlo alle tensioni dello spazio di vita politico, sociale, da cui
nessuno, e men che meno uno scrittore, può prescindere rlel suo
lavoro, [ c.n.] e delle quali è pressoché im,possibile dare una idea
sufficiente nelle tre o quattro pagine di una lettera » 66 • Non
per niente, a conferma del carattere non privato della propria
esperienza, Benjamin, nel seguito della lettera, rimanda Scholem
alla lettura dei V ersuche brechtiani.

II

L'inumano krausiano. Una plastica immagine dello « svilup-


po » nominato da Benjamin è contenuta nel bellissimo saggio su
Kraus, che, nel febbraio del '31, venne pubblicando in quattro
puntate sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung 67 • Il saggio, secon-

M Or. ivi e BR, p. 531.


66 Lettera del 20 luglio '31 a Scholem, LT, p. 202. Qualche anno dopo,
in una i.mponantissima lettera del 6 maggio '34, dove afferma l'eguale importanza
per lui dell'opera di Brecht e di Kafka, Benjamin risponderà nel medesimo tono
alle domande di Scholcm se il comunismo debba essere un credo: cfr. ivi,
pp. 248-249.
67 Importantissimo è per il saggio su Kraus l'apparato critico pubblicato
in GS, II, 3, pp. 1078-1130, che oltre ad un'interessante docum~ntazione circa
l'accoglienza tributata al saggio dal suo «oggetto• - « Io da questo lavoro -
disse Kraus in una conferenza del 2 aprile '31 a Berlino - ho potuto essen-
zialmente desumere solo che è sicuramente ben intenzionato e certo anche ben
ponderato, che tratta di mc, che l'autore sembra, sapere qualcosa di me, che
finora mi era ignota, sebbene io ancora adesso non la riconosca chiaramente e
posso solamente esprimere la speranza che gli altri lettori l'abbiano capita meglio
di mc (forse è psicoanalisi)•, cit. in GS, II, 3, p. 1082, sulla reazione di B.
cfr. p. 1084 - contiene ben 26 pagine di Paralipomena zum Kraus. Questi testi
sono di eccezionale importanza, perch~, oltre a mostrare la strettissima connes-
sione del lavoro su Kraus col saggio Eriahrung und Armut, chiariscono la genesi
dd tema del materialismo e dell'umanesimo reale in Bcnjamin. Come cioè l'uma-
nesimo reale della Judenfrage marxiana, citata nel saggio, non è per niente sussu-
mibile nella linea aurea segnata dall'umanesimo classico. La, molto spesso scaduta
in retorica, questione dcll'« eredità» della classe operaia non si presenta in

187
do le parole di Scholem 61 , « inaugura con un mal'XlstJCo squillo
di fanfara la sua ultima produzione».
I caratteri dell'Allmensch, dell'uomo universale (cosf si chia-
ma la prima parte del saggio, le altre due sono Di.imon e Unmensch)
agli occhi della critica krausiana non sono nient'altro che
i caratteri di piombo della stampa. « t la stampa un messaggero?
No, revento. Un discorso? No, la v.ita. ,. 69 L'uomo universale
come la frase « è un parto della tecnica» 70 • Ma è fa frase stessa
- mentre ne moltiplica l'immagine - ad uccidere l'Allmensch.
I fatti « umani » pubblicizzati nel giornale vengono diffusi, proli-
ferati fino alla loro trasformazione. Divengono notizie che circo-
lano - ph.1 veloci d'ogni iÙtll'a merce - in quell'impalpabile merca-
to che è l'« opinione pubblica » 71 • Se le fabbriche da cui parte
questo processo produttivo (die producendo notizie, «provoca»
fatti e ,perciò trova il suo momento «finale» nell'opinione pub-
blica, mercato e prodotto ad un tempo) sono le redazioni dei gior-
nali, la sua materia prima è il linguaggio. Il giornale è il talamo dove
il linguaggio consuma un letale matl'i.monio con la tecnica. Nella
&ase - frutto di questa unione - lo spirito del linguaggio è asser-
vito alle esigenze, ai ritmi ed alle forme della sua riproducibilità e,
quindi, della sua veloce propagabilità. « La frase fatta ... è il marchio
di fabbrica che rende l'idea commerciabile... » 72 In questo commer-
cio il linguaggio subisce un'irreversibile metamorfosi, muta di fun-
zione. Ed è come funzione di questo mutamento che il mito dell'uni-
versalmente umano riceve un'esistenza plastica, anzi cartacea. Nel
giornale è la realizzazione di questa esistenza mitica, il dominio
visibile della sua apparenza. L'Allmensch si realizza, acquista un
corpo negando la sua « natura », facendo scomparire ogni residuo
« creaturale ». La lotta di Kraus contro la stampa, per liberare il

Bcnjamin con i tratti lineari e pacifici di un penassi" di proprietà. Nessun


«idealismo» respira nel discorso bcnjaminiano: l'umanesi,,,o reale non è erede
del Bildungshumanismus europeo, ma emerge tendenzialmente dalle linee distrut·
trici della sua mitica immagine di totalizzante compattezza. Si presenta, in fieri,
nel materialistico destrutturarsi in tratti disumani della sua ideologica apparenza.
E gli aHieri di questa destrutturazione dell'unitaria immagine umana in una
pluralità di forze, di pulsioni e di inedite energie costruttive sono citati nei nomi
di Scheerbart e Ringelnatz, Loos e Klce, Brecht e S. Friedliindcr: niente di piu
lontano dunque dal lradizionale umanismo del marxismo occidentale e non.
68 Che un po' incautamente lo definisce « apparentemente materialistico»,
dr. G. Scholcm, W. Benjamin e il suo 1111gelo, cit., p. 107.
69 Citazione di Kraus in AR, p. 109.
70 Ivi, p. 102.
71 lvi, p. 100.
n Ivi, p. 102.

188
linguaggio nella frase, dalla frase, è lotta per restituire la parola
alla «creatura». Per questo l'odio con cui Kraus « perseguita
la sterminata, brulicante genia della stampa è vitale prima che
morale » 73 • Di una vita che non conosce altri ritmi se non quelli
aurorali della creazione e quelli finali e terribili del « Giorno del
Giudizio» 74 •
Cosi iJ metro della sua lotta è soltanto un « metro teologi-
go » 75 • E se l'uomo compare nella sua inane battaglia, lo fa
solo « come privato, nel tempio della creatura » 76 • Qui non
si rivolge ad altri uomini, ma all'espressione incontaminata della
«creazione»: all'animale. L'autorità ohe vuol restituire alla parola~
nella lotta contro la « corrt.Wione e magia» della stampa, è quella
posseduta dalla parola prima di essere « martirizzata» nei giornali,
quella del lamento. « Ai fatti sensazionali e sempre identici che
la stampa quotidiana somministra al suo pubblico, egli contrappo-
ne !'eternamente nuova "notizia" che deve essere annunciata della
storia della creazione: l'eternamente nuovo, incessante lamen-
to. » 11
In questo prender le parti della forza naturale 78 sta l'ambi-
guità della figura krausiana, della sua battaglia, ove una « teoria
reazionaria » vive in singolare intreccio con una « prassi rivolu-
zionaria » 79 •
Nel considerare ciò che è veramente umano (das Menschen-
wurdige) non « come determinazione e compimento della natura
liberata - trasformata in senso rivoluzionario - ma come ele-
mento della natura sic et simpliciter, di una natura arcaica e astori-
ca nel suo intatto essere originario» 80, soggiace alle potenze mi-
tiche della natura, alla suggestione della sua intrasformabilità.
Lo stigma di ambiguità della lotta krausiana è cosi quello
demoniaco: « l'oscuro fondo da cui si distacca la sua immagine
73 Ivi, p. 100.
74 « Egli [Kraus] è certo d,c l'umanità nella lotta contro fa crcatum deve
avere la peggio, cos{ come è certo del fatto che la tecnica, una volta scesa in
campo contro il creato, non si fçrmcrà neanche davanti al suo signore. Il suo
disfattismo è di specie sovranazionale, e cioè planetaria, e per lui la storia è
soltanto il deserto che separa la sua generazione dalla creazione, di cui l'ultimo
atto è la conflagrazione mondiale. Come disertore che passa nel campo della
creatura - cosf egli percorre questo deserto.,. (lvi, p. 106.)
~ ar. ivi, p. 105.
76 lvi, p. 107.
77 lvi, p. 110.
,a Or. ivi, p. 119 e GS, II, 3, p. 1101.
79 Cfr. AR, p. 107.
ai Ivi, p. 119 (trad. lievemente modificata).

189
non è il mondo contemporaneo, ma quello preistorico (Vorwelt),
o il mondo del demone. La luce del giorno della creazione cade
su di lui, e cosi egli emerge da questa notte »81 • Ma non del
tutto. Il lato del linguaggio che disseppellisce è il suo lato umorale,
nascosto, notturno: spezzando le cerniere delle « frasi fatte», fru-
gando tra le sillabe, « ne tira fuori larve che vi si annidano, a
mucchi » 82 • Ma dal fresco odore di terra che ne esala è soggio-
gato. « La sua polemica è da sempre l'intreccio piu .stretto di
una tecnica dello sinasoheramento che lavora coi mezzi piu progre-
diti e un'arte dell'autoesibizione che opera con mezzi arcaici. Ma
anche in questa zona si xivela il demone, nell'ambiguità: in essa
autoesibizione e smascheramento si fondono insieme, come auto-
smascheramento.» 83
Vanità e solitudine si fondono cosi nel demoniaco krausiano
e costituiscono il fondo narcisistico della sua impresa 14 • Con tut-
ta Ja sua « filologia mangiafuoco » 15 , con tut-ta la sua furia contro
gli stupri commessi dalla tecnica giornalistica sul corpo del lin-
guaggio, Kraus non « abita» semplicemente la casa del linguaggio,
ma vuole anche che questa sia la sua casa. Anzi il suo teatro;
e che, naturalmente, vi si reciti nel suo stile 86 • Ma dello « stile»,
nel linguaggio, è proprio non poter giungere oltre di sé, dove
lingua e natura se ne stanno in paradisiaca unione. Per questo
di tale connubio, nel demone krausiano, si presentano solo le :impo-
tenti metafore dello spirito e del sesso. Sesso e spirito sono gli
estremi che definiscono l'ambigua natura di Kraus, la sua demo-
niaca identità. Entrambi - il primo nella forma dell'onania, il se-
condo in quella del W itz (battut1l di spirito) - « non raggiungono
il loro oggetto: né l'io la femmina, né la battuta la parola» 87 •
Cosi la battas}ia di Kraus contro il giornalismo è la battaglia del
« letterato » 88 , come Ja sua difesa della prostituzione è difesa
in nome della sua« naturalità» 19 •
:Per questo nel suo denuncfare « l'alto tradimento perpetrato
dal diritto con-tro la giustizia » 90 egli tradisce la sua complicità.

ai Ivi, p. 110.
12 Ivi, p. 112.
83 Ivi, p. 111.
M Cfr. ivi, pp. 111-112.
85 Ivi, p. 114.
16 Cfr. ivi, pp. 112-lJ 3.
17 lvi, p. 115.
aa Cfr. ivi, pp. 117-118.
19 Cfr. ivi, pp. 118-119.
90 Ivi, p. 115.

190
E quindi il « senso di colpa» che condivide con l'espressionismo.
« "Non il fatto che una massa ubbidiente sia messa in pericolo
da una volontà ad essa ignota, ma che lo sia da una colpa ad
essa ignota, è ciò che l,a rende degna di compassione", ha scritto
Kr11us già nel 1912. C.ome "brontolone,, egli ne partecipa per
denunciarla, la denuncia per parteciparne » 91 •
Non, dunque, nella sua evocazione della purezza naturale
Kraus si può sottrarre al « regno della colpa ». Di questo - bloc-
cato dal mito della sua intrasformahilità e accecato dalla sua moderna
e assurda degenerazione - ne percorre soltanto gli estremi: dallo
spirito al sesso. Solo nei suoi atteggiamenti distruttivi infrange
l'apparenza. Ma quanto cosi lascia apparire non è fa« naturafo » es-
senza dell'uomo. Dal frangersi delfimmagine dell'Allmensch emer-
gono, per la prima volta, solo i frammenti dell'inumano. E solo
nell'inumano, nel!l. 1Unmensch sta il « superamento dell'uomo mi-
ri.co » 92.
Nell'Unmensch krausiano si incontrano due tratti a definirlo:
quelli dell'antropofago e quelli del bambino. In entrambi - Men-
schenfresse, e Kind - si manifestano, non piu o non ancora impi-
gliati nei lacci della Bildung, nella loro forma piu pura i due
momenti essenziali dell'antiumanesimo di Kraus, della sfida che
rivolge all'umanità. « Sfida di animale è questa, è questo un rifiuto
dell'umanità. » 93 Ed i panni con cui Kraus veste l'istinto « anima-
le » piu umano che ci sia - quello di distruggere i propri simili
divorandoli - sono quelli del satirico, iperché « il vero mistero
della satira ... consiste nel mangiare l'avversario » 94 • Ma « l'artista
satirico - scrive Kraus in Nestroy und die Nachwelt - sta alJa
fine di uno sviluppo, che si nega all'arte ... Egli organizza la fuga
dello spirito di fronte all'umanità, egli è fa concentrazione rivolta
all'indietro» 95 • La satira per Kraus è un« Umweg che conduce alla
poesia» (B. Viertel). Nella poesia egli tenta di li-berare il l.inguaggio
dai vincoli con i quali fa stampa lo ha incatenato, dalle infezioni -
il cui micidiale veicolo è la tecnica - del « tempo ». E « il vero
nemico del tempo è il linguaggio » 96 • Di quest'ultimo Kraus, nel-
1'oscurità del presente, ne cerca a tentoni l'Urbild, l'immagine origi-

91 lvi, p 117.
9'Z Or. GS, 11, 3, p. 1106.
93 Ot. di Kraus in AR, p. 123.
94 Ivi, p. 120.
95 K. Kraus, Magie der Sprll&he, Frankfurt/M., 1976, p. 167.
96 lvi, p. 137.

191
naria; attraverso la rima, « ein Wort, das nie am Ursprung liigt »,
una parola, che all'origine non mente mai 97 •
Qui emerge il tratto infantile dell'inumano, il suo scaTtare
l'umanità per giungere alla creatura: « nella rima il bambino rico-
nosce che è giunto sulla sommità della lingua, dove ode il mormo-
rio di tutte le fonti alla loro origine » ". Nella rima il linguaggio
ritrova il suo stato paradisiaco, perché è dal mondo creaturale che
essa discende. Eppure è proprio qui, nel «bambino», che Kraus
rivela il suo carattere epigonale. Solo assai tardi - nota Benja-
min - comprese come« non ci sia purezza nell'origine della crea-
tura», ma solo « pmificazione » di essa. Situare l'origine in una
« natura », che non è mai stata il passato della società capitali-
stico-borghese, è la sua « utopia regressiva » 99 , il suo « espressio-
nismo ». « Riportare la situazione borghese-<:apitalistica ad una
forma passata che non ha mai avuto, questo è il suo programma.
Ma per questo egli è anche e non meno l'ultimo borghese che
pretenda di avere una ragion d'essere ontologica, e l'espressionismo
è diventata I.a figura del suo destino perché qui questo atteggiamen-
to dovette per la prima volta affrontare la prova di una situazione
rivoluzionaria. » 1.oo
Se allora la congiunzione di antropofago e bambino danno
vita in Kraus ad un essere inumano, ad un « nuovo angelo » 101 ,
questo angelo è rivolto all'indietro, non è messaggero di una nuova
epoca - come credeva Loos, criticato in questo da Benjamin 102
- ma annuncia la distruzione della propria, come vide lucidamente
Brecht. « Quando l'epoca attentò alla propria vita, egli ne fu la
sua mano.»
Tutta la descrizione del carattere distruttivo 101 , che Benja-
min delinea in quegli anni, è dunque dentro il saggio su Kraus,
tranne i] suo guardare oltre quel che distrugge. Come è scritto

'11 ,Ivi, p. 317; sull'idea di origine in Kraus, in rapporto alla lettura bcnjami-
niana, 9i. veda di W. Kraft, Das ]a des Neinsagers, Milnchen, 1974, pp. 221-244.
ti AR, p. 126.
99 Or. M. Cacciari, Krisis, cit., pp. 170-174.
100 AR, p. 129.
Or. ivi, p. 132.
101
Cfr. ivi, p. 114.
102
Al Deslrt1ktiue Charakter - che « manda in rovina l'esistente non per
103
amore delle rovine, ma per Ja via che vi passa attraverso ,. - Benjamin dedicò
un importante breve scritto nel novembre '31 sulla Frank/urter Allgemeine Zeitung
(ora in GS, IV, 1, pp. 396-398; il saggio è reperibile anche nella trad. di
P. Di Segni in Metaphorein, n. 3, a. I, marz01tiugno 1978). Sul Destruktive
Charakter cfr. I. Wohlfahrt, Der « Destruktiue Charakler ». Bmjat11in 1.wischen
den Fronlen, in W. Ben;amin im Konlexl, cit., pp. 65-99.

192
in un frammento dei Parali'pomena zum Kraus 104 , nella nave
sulla quale Scheerbart e Ringelnatz, S.Friedlander e Laos, Klee
e Brecht emigrano dalr« Europa delJ'umanesimo » per la« gelobte
Land der Menschenfresserei », Kraus è infatti il « passeggero piu
1

cieco ». Il nome della nave è « Die Armut » (La Povertà); il


vento che la sospinge è solo quello gelido e minaccioso. della « nuo-
va epoca ». Per questo non è un caso che il nome di Kraus non
compaia in Erfahrung und Armut 105•
Qui ·Benjamin corregge tacitamente il tiro di un passo di
Loos citato alla fine dol Kraus: « La maggior parte dei lavori
umani consistono di due parti: 1a distruzione e la costruzione.
E quanto piu grande è la parte distruttiva, anzi quando il lavoro
umano è unicamente distruttivo, allora si tratta realmente di un
lavoro umano, naturale, nobile » 106 •
Questa volta invece Benjamin parla di costruttori, anche se,
va detto, questi costruttori non edificano sul terreno rassicurante
della tradizione. Ciò che del passato hanno tratto in sa-l11Jo, lo
hanno potuto fare solo strappandolo dal suo contesto naturale,
divellendolo dal calore del suo humus. Soltanto cosf, forse, qualco-
sa del .passato ha la speranza di sopravvivere 107 : non certo nella
ininterrotta ,tela della tradizione, ma nei brandelli della « cita-
zione». Come in Teppich der Erinnerung di Klee.
Non c'è scritto di Benjamin, forse, piu brechtiano di questo.
Esplicita è l'intenzione di allacciarsi unicamente al « cattivo nuo-
vo». Non si cerca di dipingere il volto rigoglioso del futuro, si
parla solo del « deserto del presente », della sua durezza, si calco-
lano freddamente Je possibiJità di sopravvivere ad esso. In tal
senso il discorso di Benjamin è decisamente non-utopico. Della
crisi dell'idea di« tradizione» è sorella quella deH'idea cli progresso
e, con questo, di ogni teleologia. Questa è povertà: la consapevolez-
za dell'« uomo storico», la « totale mancanza di illusioni » circa il
corso delle cose, la coscienza che « tutto può andare storto » 101 ,
muoversi disincantati in un mondo in cui ogni cosa è spogliata
della propria « aura», anche nella vita privata. L'unica viita privata

IO. Or. GS, II, 3, p. 1112.


lll5Questo saggio apparso sulla rivista praghese Die W elt im Wort nel di-
cembre del '33 è - per la tematica della distruzione dell'Erfahrung - di capitale
importanza per tutta l'opera benjaminiana e costituisce la logica prosecuzione della
tematica del Kraur. Or. GS, 11, 1, pp. 213-219; il saggio è stato da noi tradotto
in Metaphorein, a, I, n. 3, marzc>giugno 1978.
106 A. Loos, Parole nel vuoto, trad. it. di S. Gessner, Milano, 1972, p. 338.
101 Cfr. AR, pp. 128-130.
108 Or. Il carattere distruttivo, in Metaphorein, cit., p. 11.

193
tuttora difendibile, « custodibile » è, mf.atci, quella dei « poveri »,
che « smonta se stessa », che non ha paura di rischiare la propria
impietosa esposizione, di darsi « pubblicamente forma » 109 •
Insieme a1l'esperienza, aill'immagine «classica» di uomo uni-
versale è sottratta irrimediabilmente ogni legittimazione, la stessa
« lingua » che la costirtuiva e la diffondeva. La orisi del piano
«umano» dell'esperienza è anche crisi della sua comunicabilità.
A provocarla sono eventi {la guerra del '14-'18), è il « tempo »
di irreversibili processi storici, « vero nemico » del linguaggio rau-
siano. Solo nell'inumano sono da ricercare i « segni » di una strada
il cui percorso significa un'« emancipazione materialistica dal mi-
to», il .processo di affermazione di un umanesimo reale 110 •
Mentre nell'espressionismo - « ultimo rifugio storico della
personaHtà » 111 - « l'inarticolato dirvenne l'apogeo dell'e_spres-
sione dell'io» 112 , Benjamin - sia che parli dell'« esperanto
astrale » scevro di « ornamenti » degli « esseri » di caucciu che
abitano il pianeta 1Pallas (descriitti da Scheerbart in Lesabèndio),
sia che parli delle costruzioni semplicemente « abitabili» di Loos
o delle figure « barbare » di Klee - cerca articolazioni « inespres-
sive» dell'inumano. Articolazioni, quindi, di un linguaggio povero
ma trasparente, come le .linee e i colori di Klee, come le costruzioni
in vetro di Scheerbart, a proposito del quale S. Friedlander, nella
introduzione a Glasarchitektur, parlava di Entmenschung m.
~ questo un linguaggio che non « descrive », perché, arbitra-
rio e dinamico, rompe consapevolmente i ponti con il contesto
da cui è scaturito per « mobilitarsi» come « strumento di produ-
zione » 114 • Ed in questo, non piu semplice « copia », è teso alla
costituzione di qualcosa d'inedito sulla scena storica. Non-organico
ad « ordini » invecchiati è - scomposto nei suoi elementi « mini-

109 Cfr. AR, p. 108.


110 «Ma che l'uomo in fieri non raggiunga veramente la sua forma nello
spazio naturale, ma in quello dell'umanità, neDa lotta di liberazione, che lo si
riconosca c:Lnl'atteggiamento che gli è imposto dalla lotta contro lo sfruttamento e
la miseria, che non ci sia un'emancipazione idealisticR dal mito, ma solo un'eman-
cipazione materialistica, e che non ci sia purezza nell'origine delJa creatura, ma
la purificazione, questa verità ha lasciato le sue tracce sull'umanesimo reale di
Kraus solo tardissimo.• (lvi, p. 130.)
111 Ivi, p. 129.
112 Cfr. E. Heller, K. Kraus, in Lo spirito diseredato, trad. di G. Go.zzini
Calzecchi Onesti, Milano, 1965, p. 225.
lll S. Friedlinder, P. Schecrbarl - ein Medaillon, in. P. Schecrbart, G/as-
architektur, Miinchcn, 1971, pp. 11-21; dr. per questo gli appunti di Benjamin
in GS, II, 3, p. 1104.
u• Cfr. AR, p. 102.

194
mi », « essenziali » - reso maneggevole come la verità brechtiana:
di esso quel che importa è la sua capacità di «trasformare». Que-
sta « lingua » allora non può certo essere parlata nella « rima »
di Kraus, ma solo nella « niichterne Prosa » di Kafka - la vera
assenza inspiegabile nel testo di Benjamin - o in quella di Brecht,
nella sua lirica, dove Ja lingua è « purificata da ogni magia» 115 •
« Troppo a lungo l'accento è caduto sulla creatività. Cos{
creativo è solo chi evita ogni incaric<;> e controllo. Nel lavoro asse-
gnato, controllato - che ha il suo modello in quello politico
e tecnico - ci sono sporcizia e scorie, esso interviene distruttiva-
mente nella .materia, logora ciò che è stato fatto, critica le proprie
condizioni, e in tal modo è il contrario di quello del dilettante,
che sguazza nella creatività. L'opera del dilettante è innocua e pura;
quella del maestro è distruttiva e purificante. t perciò che l'inumano
sta tra noi come messaggero di un piu reale umanesimo. Egli è colui
che supera la frase. Non solidarizza con lo snello abete, ma con la
pialla che lo consuma, non solidarizza col nobile metallo, ma col
crogiuolo che ,lo depura. L'europeo medio non ha saputo unire
la sua vita con la tecnica perché è II'imasto fedele al fetiocio della
vita creatrice. » 116
Nel linguasgio dei costruttori, di coloro che senza condizioni
hanno solidarizzato col proprio tempo, « l'umanità si prepara a
sopravvivere alla cultura». Dopo averla «divorata», insieme al-
1'« uomo». E questo - secondo una prima stesura del testo -
in una sorta di « spaventoso e insieme assai sereno atteggiamento
cannibalesco, simile alla barbarie dei bambini » 117 • Perciò, forse,
ride. E se « questo riso - cos{ la conclusione della prima stesura
cli Erfahrung und Armut - può suonare un po' disumano, forse
è necessario che il singolo abbia in sé qualcosa di disumano, perché
la collettività, finora cosi disumana, divenga umana. »

Cfr. Scholem-Biogr., p.
1l5 2,s.
AR, p. 132.
116
m GS, II, 3, p. 962.

195
V. Benjamin e Brecht: intellettuali e sovrastruttura
Io amo coloro che non sanno vivere se noo tramon-
tando, poiché essi sono una transizione. lo amo gli
uomini del grande disprezzo, perclié essi sooo anche
gli uomini deUa grande venerazione e frecce che
anelano all'altra riva.
(F. Nietzsche)
Verso la fine dd secondo millennio
della nostra era
s'innalzò la nostra
semplicità di acciaio
Mostrando ciò che era possibile
senza farci dimenticare
il non raggiunto ancora.
(B. Brecht)
Se l'uomo accorto supero la tempesta, fu ~
conosccw la tempesta ed era d'accordo con essa.
(B. Brecht)

I
A. I Versuche uber Brecht. « Proprio oggi mi sono accertato
che i Saggi (Versuche) di Brecht a te destinati sono partiti. Alla
tua domanda del rapporto ohe essi hanno con gli argomenti della
nostra corrispondenza, io rispondo che noi non possiamo ripro-
metterci nulla da un dibattito <"pistolare di tesi contrapposte, e
che qui deve sopravvivere quanto piu è possibile una comunicazione
concreta I« piu franca possibile e che quella dei Saggi brecthiani
ha un'importanza del tutto particolare, perché questi scritti sono
i ,primi - beninteso: poetici o letterari - per i quali in quanto
critico mi pronuncio senza riserve (pubbliche), poiché una parte
del mio sviluppo degli ultimi anni si è svolto nel confronto con
essi e poiché essi illuminano piu nitidamente di tutti gli altri le
condizioni spirituali (geistigen Verhaltnisse) in cui si compie il
lavoro cli gente come me in questo paese.» 1
Già il contesto in cui queste frasi di Benjamin si venivano
ad inserire (quello cioè della «delicata» discussione epistolare
con Scholem in merito alla sua nuova posizione inte1lettuale) ci
dà la misura del peso reale dell'affermazione benjaminiana in meri-
to all';importanza del suo rapporto con Bertolt Brecht. La conferma
che quelle affermazioni non erano un modo per eludere il confronto
1 Lettera a Scholem del 20 luglio 1931, LT, pp. 202-203.

197
diretto con le obiezioni dell'amico la troviamo in una lettera scritta
due anni dopo ed indirizzata ad un altro destinatario: « Ovvia-
mente non .sottacerò il fatto - ammesso che sia ancora necessa-
rio dirlo - che l'accordo con la produzione di Brecht è uno dei
punti piu importanti e consolidati di tutta la mia posizione » 2•
t nella solidarietà con la produzione brechtiana, infatti, che
il materialismo cli Benjamin acquista uria propria definitezza poli-
tica: la lettura del libro di Lukacs o l'amicizia con la Laois non
sono che dei timidi accenni di quel vero e proprio « mutamento
di rotta» che s'impone alla ricerca benjaminiana dopo l'incontro
con Brecht 3• Quel che Benjamin, a partire dal saggio sul surrea-
lismo del 1929 - apparso sulla Literarische Welt, nei numeri
dell' 1, 8 e 15 febbraio - viene maturando nel corso degli anni
trenta, è una originale indagine critica sul ruolo dell'intellettuale
all'interno della lotta di classe, cosciente dell'insufficienza della
sua funzione meramente distruttiva nei confronti delle certezze
della propria classe d'origine. « Se il duplice compito degli intellet-
tuali rivoluzionari è quello di abbattere l'egemonia intellettuale
della borghesia e venire a contatto con le masse proletarie, essi
sono venuti quasi completamente meno alla seconda parte di questo
compito, poiché essa non può piu essere assolta in modo contempla-
tivo » 4 , scrive .J3enjamin nel saggio sui surrealisti.
Lo spostamento di fronte dell'intellettuale non poteva avve-
nire economicisticamente, isolo per lo stato di semi-proletarizza-
zione cui veniva spinto dai processi di ristrutturazione capitalistica,
né, una volta avvenuto, poteva questo delimitarsi a qualcosa di
esterno, di semplicemente sociologico, che fasciasse indiscussa la
forma stessa del suo lavoro, i suoi mezzi di produzione e di ripro-
duzione. « Perché a lui [l'intellettuale] - scriveva Benjamin nel
1930, recensendo Die Angestellten di S. Kracauer - la classe
borghese fin dall'infanzia nella forma della cul,tura (Bildung} ha
dato un mezzo di produzione, che a motivo del privilegio della
Bildung lo fa solidale con lei, e che, forse ancor piu, fa lei solidale
a lui. » 5 Cosf ,Benjamin interveniva direttamente nel dibattitto
che proprio sulle colonne di Die Gesellschaft - dove apparve
la recensione «1 libro di Kracauer - si era aperto intorno a
Let~ra a K. Marx-Stcinschncidcr del 20 ottobre 1933, LT, p. 241.
2
Secondo quanto scrive lo stesso Bcnjamin in una lettera a Scholem del
3
6 giugno 1929 ( BR, p. 494), il primo incontro con Brecht risale a quctl'anno.
4 AN, pp. 24-2,.
s GS, IU, pp. 224-22,

198
Ideologie und Utopie di K. Mannheim 6 • Benjamin veniva a negare
proprio uno degli assunti fondamentali del libro di Mannheim,
che, cioè, la Bildung, definendo unitariamente gli intellettuali
come gruppo sociologico, li svincolasse da qualsiasi appartenen-
za ad una classe. Mentre con queste parole non respingeva la conside-
razione della specificità sociale della figura dell'intellettuale, Benja-
min critlicava proprio in questo - che era uno dei punti di forza del
libro di Mannheim rispetto alle analisi marxiste « ortodosse »
- il progetto « liberale » di restituire una funzione sintetico-dire-
zionale, al di sopra dei conflitti particolari, ai gruppi intellettuali.
La negazione della capacità connettiva della Bildung, prima del
dirversifkarsi delle varie tecniche specialistiche che ne frantuma-
vano l'unità, era invece una delle critiche di H. Speier alle tesi
cli Mannheim 7 • Ma in tal modo Speier non coglieva fa connessione
tra il generale privilegio della Bildung ed il suo «entrare» negli
specifici mezm di produzione inte1lettuale delle varie discipline e
poteva concludere nel considerare la funzione intellettuale nella lot-
ta di classe come « con~iderazione della Totalità», capacità di una
« v-isione totale », riproposizione della lotta per una « nuova Kul-
tur » 8 • Pur rifiutando la possibilità di una posizione « mediana »,
tra le classi, per la intelligentsija, Speier non poteva cosf individuare
il fattore costitutivo dell'impossibilità di tale poswione. Quel che
invece Benjamin comprende è proprio la natura conflittuale del ter-
reno della Bildung. Questo con tutiti gli apparati, istituzioni ecc. che
in sé significava, spostava il conflitto nello stesso momento gene-
tico, formativo del « geistige Arbeiter ». 11 conflitto doveva cosf
attraversare la figura stessa dell'intellettuale, non restringersi alla
sua posizione socio-politica, ma penettare sin dentro la forma e
i contenuti del suo lavoro, all,intemo della sua stessa coscienza, po-
nendo l'accento sulla funmone che i prodotti intellettuali venivano
a svolgere dentro i rapporti di produzione.
In una siffatta presa di coscienza della complessa problemati-
ca contenuta nella figura dell'intellettuale rivoluzionario è presen-
te, in un certo senso, la radice « politica » cui si può ricondurre
6 La discussione fu aperta da una recensione di P. Tillich, Ideologie und
Utopie, in Die Gesellschaft, a. 6, 1929, Bd. II, pp. 348-355, e da un intervento
di H. Marcuse sullo stesso numero, Zt1r W ahrheitsproblematik soziologischer
Melhode, ivi, pp. 356-369; a questi interventi nel numeso successivo seguirono
guclli di H. Arendt, Philosophie und Sovologie, in Die Gesellscha/t, a. 7, 1930,
Bd. 1, _pp. 163-'176 e di H. Spcier, Soziologie ode, Ideologie?, ivi, pp. 351-372.
7 Or. op. cii., p. 366.
a lvi, pp. 371-372.

199
!'apparentemente rapsodica produzione benjaminiana degli anni
trenta. Da una tale impostazione, se da un lato si veniva ad investire,
problematizzandoli, i modi del rappo1:1to tra proletariato organizza-
to e tradizione culturale borghese, dall'altro si rendeva necessaria
un'analisi e una valutazione attenta dell'importanza della sovra-
struttura ideologico-culturale e dei 91.loi apparati di riproduzione
all'interno della lotta di classe. All'interno di questa ricerca la
misura dell'incidenza di Brcch.t è ,tale che ogni considerazione degli
scritti benjaminiani di que5to periodo, che prescinda dal rapporto
con Brecht, è destinata a rimanere infeconda. Questo non tanto
perché il rapporto con Brecht sia determinante per l'individuazione
dei contenuti della ricerca benjaminiana degli anni trenta 9 , quan-
to perché di questa, la coeva ~roduzione teorica brechtiana e i
brevi, eccezionali scritti di Benjamin sull'amko, ne costituiscono
le coordinate, i presupposti teorico-politici e il senso della direzione
verso cui questa muoveva.
I Versuche uber Brecht, in particolare, svolgono, all'interno
della complessiva produzione benjaminiana, una funzione peculia-
re, «straniante»; tendente cioè ad impedire una lettura di Benja-
' Basti pensare, per esempio, all'estraneità di Brecht nei confronti del lavoro
bcnjaminiano su Baudelaire, come ci testimonia lo stesso Bcnjamin in una lettera
che risale al periodo in cui era ospite dell'amico a Svendborg, in Danimarca:
« Nonostante tutta l'amicizia che mi lega a Brecht, devo fare in modo di svolgere
il mio lavoro in rigoroso isolamento. Esso implica dei momenti ben determinati
che gli riesce impossibile assimilare. Egli è mio amico da tempo per saperlo, cd
è sufficientemente inb;lliaente per rispettarlo. • (lettura a K. Marx-Stemscbneider
del 20 luglio 1938, LT, p. ),0.) O alla diffidema che Brecht nutriva per certe
tesi di uno dei saggi benjaminiani, in cui la sua influenza era piu avvertibile;
Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, come queste
notazioni dcll'Arbeitsjournal brechtiano ci documentano: « C'è qui Bcnjamin.
Sta scrivendo un saggio su Baudclairc ... Prende le mosse da un qualcosa che egli
chiama nra, che è connesso col sognare ( il sognare a occhi aperti) Dice: quando
si avverte uno sguardo puntato su di sé, magari sulla propria schiena lo si ri·
cambia ( ! ). L'attendersi che ciò che stiamo guardando ci ricambi a sua volta
lo sguardo genera l'aura. Negli ultimi tempi essa sembra che si stia dissolvendo,
cnsf come succede all'elemento cultuale. Bcnjamin l'ha scoperto aoaJimando il
cinema in cui l'aura si dissol\•e in conseguenza della riproducibilit~ delle opere
d'arte. Tutto è mistica in questo atteggiamento contrario alla mistica. Tale è la
fonna in cui viene costretta ad adagiarsi la concciione materialistica della storia!
t piuttosto raccapricciante» (B. Brecht, Arbeitsiournal, a cura di W. Hecht,
trad, di B. Zagari, Torino, 1976, I, p. 14). Ma qui è Brecht a contraddire se
stesso, a non comprendere le profonde implicazioni contenute nelle sue stesse
analisi delle tecniche cinematografiche, che fa nel Dreigroschenprozess (19)1). che
Benjamin conosceva assai bene e che costituiscono un necessario presuppostO del sq.
gio benjaminiano sull'opera d'arte. A volte non volersi confrontare con la teoloaia
pub fare brutti scherzi. (Per questa opera di Bcnjamin rimandiamo alla Notti 3
che conclude questo capitolo.)

200
min tutta solo nel segno della continuità, per la quale gli elementi
di novità, che talvolta possono emergere, non rimarrebbero che
deboli variazioni di un uniro tema compositivo già tutto annun-
ciato nella produzione « teologica » giovanile del nostro autore.
Gli scritti su Brecht e in particolare quelli dedicati al « tea-
tro epico» costi.1:uiscono, quindi, l'occasione pili favorevole per
una considerazione non mistificante dell'opera benjaminiana, atten-
ta cioè alle cesure che la « storia » le ha imposto spezzandone il
continuum: questo perché in essi troviamo racchiusi e si.ntetioamen-
tc concentrati, seppur neHa forma dell'accenno e della allusione,
tutti i motivi della « rottura » 10 in senso rivoluzionario, che la
produzione « matura » opera nei confronti di quella precedente
(Trauerspielbuch compreso).
Se nelle forme del Trauerspiel Benjamm aveva visto rappre-
sentata quella Naturgeschichte che, nel suo tempo, si presentava
come forma del presente, come l'effigie bronzea di un ordine storico
contro cui si spezzavano le troppo fragili lancie espressioniste,
è attraverso le forme del teatro epico che Benjamin individua la
possibilità concreta di sciogliere, al fuoco del « materialismo stori-
co », l'apparente rigidezza di quell'immagine, di mostrarne le linee
interne cli rottura e di trasformazione; ed inizia cosi a tracciare,
nelle pieghe del discorso su Brecht, i contorni di quel nuovo « con-
cetto cli storia», che sarà oggetto delle Thesen.
Se nei paragrafi successivi queste asserzioni ver.mnno analiti-
camente sostanziate., non sarà pili possibile accettare di ridurre

10 Il termine « rottura » non sta qui a significare una astratta negazione e


rifiuto che gli scritti, composti da Benjamin ncn•uttimo decennio della sua vita,
sentenzierebbero in merito a quelli prm:denti la svolta materialista ( e non si
brucia cil> che prima si adonva » dice Benjamin confrontando l'attegiamento
brechtiano nella Hauspostil/e e negli Sve11dbor1.er Gedichte); n~ tantomeno una
hegcliana Au/hebung degli uni nei confronti degli altri. Le categorie che deli-
mitano il campo semantico del termine « rottura », qui impiegato, sono da un
lato la peculiare concezione benjaminiana della temporalità, per la quale il pre-
sente ~. come un · campo magnetico, luogo di dcfmizionc del passato ( non suo
appiattimento e/o aooicbilimento); daB'altro la categoria brechtiana di UmJ,"'lt-
tionierung. Cosf che, ad onta delle appereme, riconoeccrc una e rottura» (di cui
i V erst11:he iibtr Brecht, con la loro funzione straniante, sarebbero ,l'elemento
significante kat'c:mkài), all'intemo dell'opera benjaminiana, costituisce la chiave
per una lettura veramente unitaria. Mentre infatti la lettura piu feconda viene a
consistere piu che nel cercare gli elementi di continuità in seriai posteriori al
TrtlUerspielbuch, nel saper scorscre, proprio nelle pagine piu teologicamente
orientate, quel che nel nocciolo mistico preme verso il nuovo, è possibile negli
scritti degli anni trenta, dove il « nuovo » si presenta materialmente come punto
di partenza, vedere come temi e concetti appartenenti alJa produzione pre-miite-
ri11lista siano presenti con mutata funzione.

201
l'interesse di Benjamin per la produzione brechtiana a qualcosa
di puramente letterario, come invece sembra sostenere Tiedemann
nel Nachwort ai Versuche uber Brecht 11 , né tanto meno concorda-
re con la tesi dello stesso, per cui « certo in nessun altro caso
Benjamin ha rinunciato cosf ampiamente alla distanza del critico,
come nel suo rapporto con Brecht e ancor di piu nella sfera lettera-
ria che in quella personale » 12 •
Cosf scrivendo non si travisa soltanto la natura del rapporto
con Brecht, ma la sostanza stessa del pensiero benjaminiano: non
solo le pagine che Benjamin ci ha lasciato sul teatro brechtiano
sono tra le piu lucide e critiche sull'argomento 13, ma anche le
prime in cui è possibile scotgere nel suo formarsi la struttum
del discorso sviluppato nel saggio su P.uchs e nelle Thesen 14.

B. Il nesso intellettuali-sovrastruttura. Non si tratta qui di


una perentoria e troppo sbrigativa affermazione di so&tanziale omo-
geneità di pensiero e di posizioni tra le due figure, ognuna per
suo conto, cosf complesse e tra loro assai diverse: basti accennare,
qui, a come i due affrontassero con diversa sensibilità e prospetti-
va critica l'opera di Kafka 15 • E, contemporaneamente, ci sembra
11 « L'interesse di Benjamin per Brecht è dello stesso genere del suo amore
per Johann Petcr Hebd e Robert Walser, è affine anche al fascino che su di
lui, per tutta la vita, esercitarono i libri per bambini.» {R. Tiedemann, Nachwort
a W.B., Versuche uber Brecht, Frankfurt/M., 1966, p. 149.) Nella recente nuova
edizione dei Versuche (Frankfurt/M., 1978) che contiene diversi inediti benja-
miniani, tra cui alcune lettere a Brecht e altre note di Diario del '}l-'34 e '36
riguardanti Brecht, compare anche - meno male! - un nuovo saggio di Tiede-
mann: Die Kunst, in anderer Leute Kopfe z:u denleen {pp. 175-203), dove almeno
~ riconosciuta l'importanza del rapporto con Brecht ed anche il giudizio sopra
citato è sfumato da un altro contorno (dr. Versuche, 2• cd., cit., p. 183).
12 R. Tiedcmann, Studien, cit., p .112.
Il Cfr. per questo la puntuale verifica delle affermazioni bcnjaminiane che
P. Chiarini opera nel suo Bertolt Brecht, Bari 1967, pp. 148-152 e passim.
14 Forse quel che ha piu disturbato Tiedemann {e prima di lui Adorno, che
nella sua Cbarakteristik Walter Ben;amins di Brecht non fa alcuna menzione),
tanto da rendere il suo discorso su Bcnjamin e Brecht cos{ poco attendibile, è
proprio l'cssenzwc « Einverstindrus,. con l'ogg_etto della sUA critica, che Benjamin
dimostra scrivendo dell'amico. Piu lucidamente Scholem ha potuto definire l'influsso
esercitato da Brecht sulla produzione benjaminiana degli anni trenta, come « fun~
sto,. e in taluni casi addirittura come «catastrofico,. (dr. G. Scholcm, W. BenjtUlfin
e il suo angelo, dt, pp. 96-97).
15 Cfr. per questo gli appunti, di importanza eccttionale, che Benjamin ci
ha lasciato delle sue conversazioni con Brecht a Svendborg, dove tra il 1934 e
il 1938 fu spesso ospite dell'amico; in AR, pp. 219-225. Come nota lo stesso
Benjamin ( ivi, p. 220) nelle conversazioni del '34, Brecht dimostrava meno chia-
rezza nel delineare la figura di Kafka che tre anni prima a Le Lavandou (cfr.

202
assai limitativa e semplwcatrice l'asserzione che « il solo possibile
denominatore comune » ttta i due stia tutto nella « formula di
un nichilismo sobrio, come ponte di passaggio al comunismo » 16 •
Se in questi termini si può efficacemente esprimere il processo
critico cui entrambi sottoposero il mezzo di produzione ereditato
dalla propria classe - e quindi configurare il punto del loro
incontro - -un discomo sul filo teorico-politico clic lega la loro
produzione successiva a questo resta ancora tutto da fare.
Il nodo politico-teorico nel quale due direzioni di ricerca cosi
diverse vengono a stringersi è costituito dalla problematizzazione
del nesso intellettuali/sovrastruttura alfintemo della complessiva
strategia del proletariato: questo motirvo, nonostante tutte le elen-
cabili differenze, percorre e permea tutti gli scritti di entrambi
nel periodo che va dagli ultimi 1anni venti allo scoppio della seconda
guerra mondiale: due progetti cosi diversi come il T ui-Roman per
Brecht 17 e il Passagenwerk per Benjamin ne sono un'efficace
testimonianza.

Versuche, 2• cd., cit., pp. 14.5-146). Qui Kafka è definito « uno scrittore profe-
tico», per il suo sapersi concentrare con un'infinita ricchCZ?..a di variazioni su
un unico tema: lo stupore. « Lo stupore di un uomo, che sente farsi strada infi-
niti spostamenti in tutti i rapporti senza potere adattare se stesso ai nuovi ordi-
namenti. » 2 proprio per questa sua « ostinazione », questa sua fissazione su un
unico tetnA, che riusciva a portare Ja disperazione nello sguardo dello scrittore, che
Kafka era definito da Brecht come l'« unico scrittore bolscevico». Senza volersi
addentrare nell'analisi del rapporto Benjamin·Kafka possiamo dire che queste
testimonianze pubblicate di recente sfumano assai, al di là di molte apparenze,
i differenti atteggiamenti di Benjamin e Brecht di fronte allo scrittore praghese.
Del resto era lo stesso Benjamin ad avvertire, proprio nel 1934, la non incon-
ciliabilità del suo pari interesse per Brecht e Kafka: « Se vi è invece qualcosa
che caratterizza l'importanza che l'opera di Brecht ... possiede per me, è questo:
che essa non prospetta una di quelle alternative di cui non m'importa nulla.
E se è evidente che per mc l'opera di Kafka ha un'importanza non minore, ciò
è dovuto non da ultimo al fatto che Ksfka non sposa u11a sola delle posizioni
che il comunismo ha ragione di combattere» (LT, p. 249). Basti qui, comunque,
accennare che, al di là dei pronunciamenti brechtiani, v'è un punto in cui l'opera
di Brecht e quella di Kafka venaono a convcrscrc
benjaminiana. L'eliminazione dell'elemento magico del ·
,:."?,;mte nella critica
· , la sua dcfud-
nazione. Il loro tendere, da versanti assai diversi, alla sobrietà di una prosa, che
non poggia su nulla, che si regge solo nelle sue articolazioni e proHferazioni
interne. Ed in questo si.unge a straniarsi. Su Benjamin, Brecht e Kafka, cfr. anche
H. Pfotcnhauer, Asthetische Erfahrung und gesellscha/tli&be System, Stuttgart,
197.5, pp. 102·119. Circa il rapporto Benjamin·Kafka, dr. invece B. Witte, Fest-
stellungen zu W. Benjamin und Kafka, in Neue Rundschau, a. 84, n. 3, 1973,
pp. 480-494.
16 C.osf R. Solmi nella Introduzione ad AN, p. 32, avendo prima parlato di
« un paradossale rovesciamento del nichilismo in una solidarietà eJementarc e
senza illusioni».
l7 Or. F. Buono, B. Brecht. • LII prosa dell'esilio», Bari, 1972, pp. 127-183.

203
Le iigure di Benjamin e Brecht, unite da questo nesso, assu-
mono una funzione emblematica nell,esprimere e denunciare insie-
me quel dissidio-scissione tra strategia e tiattica del movimento
operaio e intellettuali verificatasi nel corso degli anni trenta, signi-
ficante questo di una grave divaricazione a,pertasi allora tra elabo-
razione teorica da un lato e pratica ,politica delle organizzazioni
del proletariato dalr altro.
Se, come afferma Althu55er, la « deviazione staliniana » subita
dal movimento comunista internazionale a partire dagli anni tren-
ua -può essere definita « come una forma di rivincita postuma della
l:I Internazionale: come una recrudescenza della sua tendenza fon-
damentale» 11 , l'economicismo, è allora conseguenzia immediata di
una teoria economicisticamente paralizzata, una visione non clialet-
tica della sovrastruttura 19, l'incapacità di coglierne gli speciuci e
interni mutamenti strutturali in relazione non meccanica o pura-
mente analogica ai processi della base economica e di sviluppare una
adeguata strategia di lotta all'interno di questa sezione della ·tota-
lità sociale.
L'esigenza da cui Benjamin e Brecht muovevano era quella di
impostare il problema del rapporto tra intellettuali e cla"e non
piu in termini ideologici e/o solidaristici, bensr, renendo conto
dei mutamenti imposti alla fisionomia stessa del lavoro intellettuale
dallo sviluppo tecnico delle forze produttive e dai processi di con-
centrazione monopolistica, in modo da stabilire un punto di raccor-
do oggettivo -tra l~-intelligentsija e le lotte del proletariato. « L'in-
,reresse del proletariato alla lot-ta di classe è chiaro e univoco,
l'interesse degli intellettuali, che certo è fissato storica.mente, è
difficile da spiegare. L'unica spiegazione è che gli ,intellettuali posso-
no sperare, solo attraverso fa rivoluzione, in un dispiegamento
della loro attività {intellettuale). Il ruolo nella rivoluzione è cos(
determinato: è un ruolo intellettuale. » 20
18 L. Althusscr, Umanesimo e stalinismo, trad. di F. Papa, Bari, 197.3.
19 :2 ne!la sua relazione organica con questa posizione che, pensiamo, si
debba vedes:e la proposta lukksiana di un'estetica normativa fondata su canoni
del realismo ottocentesco, cosi che di conseguenza la polemica di Brecht con le
posizioni lukacsiane non è da circoscrivere entro una sfer:1 puram"ntc lctt,:!raria,
ma assume precise valenze politico-teoriche, sottolineando ura dh·cr~~ h:trur1 del
npporto tra base economica e sovrastruttura. Ma per questo ( trah1·: ;:mcl,, qui
la folta bibliografia in lingua tedesca sull•argomento) si veda di P. Chiarini,
Brecht, Lukacs e il realismo, Bari, 1970 e il saggio di F. Masini, Il realismo
dialettko di B. Brecht, in Il piccolo Hans, n. 2, aprile-giugno 1974, pp. 115-135,
adesso anche in Ben;amin e Brecht, cit.
30 B. Brecht, Gesammelle Werke, Frankfurt/M., 1967, Bd. 20, p. 53.

204
Uno strumento di questa strategia di chiarimento delle n~s-
~ità e delle funzioni rivoluzionarie dell'attività intellettuale, che
può essere -visto anche come un tentativo di Benjamin e di Brecht
di inserirsi nella politica del BPRS 21 , dovew divenire la rivista
Krisis und Kritik, che sarebbe dovuta uscire presso Rowohlt sotto
la direzione di H. Ihering, con Benjamin e Brecht come« Mithe-
rausgeber ». Alla rivista, che non usci mai, Benjamin ritirò la
propria adesione, spinto in ciò, come una lettera a Brecht della
fine febbraio 19.31 ci testimonia, dalla scarsa rappresentatività
dei contributi che sarebbero dovuti comparire sul primo numero.
Questo per Benjamin entrava in contraddizione con il carattere
e il fine stesso della rivista, che « era programmata come un organo
dove specialisti del campo borghese avrebbero intrapreso l'espo-
1;izione della crisi nella scienza e nell'arrte. I:l fine era di mostrare
all'intelligentsija borghese che i metodi del materialismo dialettico
erano loro imposti (diktiert) dalle loro piu peculiari necessità
- necessità della produzione intellettuale e della ricerca e inoltre
anohe necessità dell'esistenza» 22 •
Il ritiro benjaminiano non era certo causato da disaccordi
con Brecht 23 , la clifferenza, che pur risultava tra i due nel definire
la «verità» della critica 24 , non inficiava la loro coincidenza di
posizioni ciroa il rapporto tra crisi della varie «tecniche» discipli-
21 Cfr. H. Gallas, Teorie, cit., p. n.
22 LT, pp. 190-191.
23 Ancor piu esplicite, infatti, sono le note di Brecht nel suo Entwz,,/ zu
eine, Zeitschri/t « Kritirche Bliitter » (in B. Brecht, Gtsamm. Werlee, Bel. 18,
àt., pp. s,-87). La rivista avrebbe dowto come prima cosa « render possibile la
critica,., E questo intendendo il termine Kritile nel suo « doppio significato»,
:non quindi come un semplice aaaredire dall'c:etemo un clctcrminato « ogctto »,
ma come una prospettiva di trasformazione sviluppantesi dalla sua interna crisi.
C.osl, « pensando ditJletticamtnle l'intero ambito del materiale ( das ganze Stoff.
gebiet) in direzione di una crisi permanente », il tempo poteva venire compreso
come « tempo aitico » nella sua duplice accezione. Solo nella prospettiva di una
criticità che scaturiva dalla crisi dell'oggetto, la teoria poteva riacquisirc i suoi
« diritti produttivi », la sua « necessità »; La teoria, anzi le teorie non venivano
cos{ derivate da opere già pronte e finite, ma piuttosto rese visibili in quei punti
dove l'apparente condusività dell'opera si scioglie nei suoi elementi «vitali»,
dischiude le matrici storiche che la determinano. Di qui la natura e il procedi-
mento decisamente «analitici• della teoria, che trova una delle sue funzioni
altamente produttive proprio nel risolvere le « opere finite» in prodotti incom-
piuti e suscettibili di trasformazione.
24 Come risulta da un inedito del Brcclit-Archiv, che si riferisce ai colloqui
preparatori Ja rivista tra Benjamin, B1-echt e lhering - citato in B. \'(fitte, De,
Intellektuelle tJls Kritiker, cit., p. 171 - mentre per Brecht la verità della critica
era costituita da « qualcosa di realizzabile nella società», per Benjarnin la verità
si identificava in una « radicale distruzione del mondo delle immagini », pari-
menti ottenibile attraverso la teologia come attraverso il materialismo storico.

205
nari e necessità della critica. Se la crisi dei singoli ambiti cliscipli-
nari era ormai « senso comune», la funzione della critica consi-
steva nel mostrare la connessione tra le singole « crisi » e quella
sodalmente e storicamente complessiva 25 • Nel mostrare tale connes-
sione la critica doveva avere una funzione dinamico-produttiva,
non semplicemente statico-rivelativa. Si trattava cioè di rilevare
all'interno delle singole prospettive settoriali l'impossibilità di un
continuum nel loro autosvilupparsi ed in questo indicare e promuo-
vere le linee possibili di una loro trasformazione in relazione « po-
litica» con le altre situazioni «critiche» e quindi con la genera-
lità della crisi. Nel ,tener fermo a questa interconnessione tra crisi
specifica e crisi complessiva consisteva la politicità della critica,
in quanto da un lato non si taraduceva in un C·riticismo astratto,
puramente esterno al suo oggetto, e dall'altro non si chiudeva
dentro la « lingua » di esso, ma ne mostrava l'incompiutezza, la
storicità determinata che la sua tecnica esprimeva. Solo in questa
intima congiunzione del massimo di rigore specialistico e di aper-
tura storico-politica poteva acquistare un senso lo stes.5o titolo
della rivista. Non è un caso quindi che il motivo principale che
Benjamin adduce per ,il suo -titiro dalla direzione della rivista sia
l'assenza di una« autorità specialistica» 26 nei contributi ad essa de-
stinati. Sdlo a Brecht, come ripete nella lettera all'amico, poteva
essere riconosciuto un tale attributo, solo della sua produzione,
del suo teatro epico si -poteva dire che era « all'altezza della Tecni-
ca » 27 • Non quindi della distanza tra la ricerca benjaminiana
e la produzione di Bertolt Brecht testimonia il non realizzarsi
del comune progetto di rivista, quanto del loro effettivo isolamento
negli ultimi anni della repubblica di Weimar e, in seguito, nella
emigrazione.

II
A. Carattere distruttivo e sobrietà brechtiana. « L'inumano
sta tra noi come messaggero di un piu reale umanesimo. » In
questa formula si es.prime quel particola.re tipo di nichilismo per
il quale si stringe l'amicizia tra Ben-jamin e Brecht e che per entram-
bi costituisce un « ponte di passaggio al comunismo » (Solmi).

2'5 Or. la nota inedita del Brccht-Archiv, n. 332-349 (Ramthum 16687) cit.
in B. Witte, op. cii., p. 229, nota 161.
76 Or. LT, p. 191.
11 Or. GS, li, 2, p. 524.

206
Se vogliamo accettare questa ultima espressione, non dobbiamo
vedere in essa una metafora, ma un'affermazione letterale. Il pas-
saggio non è logico, ma storico; il ponte non contiene la sicurezza
di una meta predestinata. L'origine teologica del nichilismo del
primo o il carattere « scapigliato » e ferocemente ironico 28 di
quello del secondo - come i tratti anarchici (pur cosi diversi)
in entrambi - non tolgono niente al fatto che il loro nichilismo
non si ferma, .pacificandosi, alla contemplazione dei processi di
cui è esperienza. Non condivide quindi la staticità di quello che
Benjamin definisce il « nichilismo medico » di un Benn o di un
Céline 29 • Nel frantumarsi dell'immagine 5tessa dell'uomo non si
consuma dunque - per Benjamin e per Brecht - fa decadenza, ma
affiora l'inumano, con le sue tensioni dinamiche, con la sua volontà
di trasformarsi. Questo e niente altro può significare l'inumano:
un « ponte cli passaggio » sul quale è impossibile fermarsi, mentre
la sponda che si è lasciata alle spalle è terra bruciata e quella
che ci a'Spetta un'incognita.
«Ich gestehe es: ich / Habe keine Hoffnung. / Die Blinden
reden von einem Ausweg. Ich / Sehe. / / Wenn die Irrriimer
verbracht sind / Sitzt als 1etzter Gesellschafter / Uns das Nichts
gegeniiber ». ( Io lo confesso: io / non ho alcuna speranza / I cie-
chi parlano di una via d'uscita. lo / ci vedo. // Quando gli
errori sono consumati / Siede come ultimo compagno / di fronte
a noi il Nulla.) 3° Cos{ Ber:tol-t Brecht in Der Nachgeborene, una
delle poesie dei primi anni venti. Da questa assenza di prospettiva,
da questa totale disHlusione circa il corso delle cose, nasce fa
«politica» brechtiana. ·Per ques-to si presenta e rimane una politi-
ca, una lotta elementare che ,si nutre solo del disincanto. Dopo
i suoi « classici » Brecht, forse, è il primo, dalle file del movimento
1

operaio, a parlare del disincanto necessario, dell'inutilità di surro-


gati ideologici nella lotta di classe. Aver compreso questa « radice»
della « politica » brechtiana è uno dei meriti essenziali di Benjamin
fin dal Fatzerkommentar apparso sulla pagina letteraria della
Frankfurter Allgemeine Zeitung nel 1930. « Fatzer deve acquistare
forza nella disperazione. Forza non speranza. Il conforto non ha
niente a che fare con la speranza. E Brecht gli dà conforto: l'uomo
può vivere nella dispera2Ji.one, se sa come vi è arrivato. Allora può
vivere in essa, poiohé la -sua vita disperata è importante. Andare
28 Cfr. pet questo P. Oiiarini, Berlolt Brecht, cit., pp. 37-64.
29 Cft. LT. p. 326.
30 B. Brecht, Gesommelte Werk, cit., Bel. 8, p. 99.

207
a fondo qui signif.ica sempre: andare a fondo delle cose.» 31 La
disperazione che prende coi,po nella prima lirica brechtiana non
è insondabile. Di essa se ne additano ed elencano i prosaici motivi.
Se cicli poetici come Ja Hauspostille o il Lesebuch /iir Stiidte-
bewohner ne costituiscono l'inventario, opere come Mann ist
Mann mostrano i -meccanismi che la determinano. La novità brech-
tiana rispetto alle rivolte espressioniste è l'assenza di ogni « filan-
tropia, amore per il prossimo, idealismo, nobiltà d'animo e simili»,
di ogni pretesa di migliorare l'uomo. Non da valori nasce l'atti-
vità politica dei « tipi» creati nelle sue opere, ma da « compor-
tamenti». I « comportamenti », tra l'altro, sono insegnabili, co-
municabili, citabili e perciò sempre discutibili, sempre trasforma-
b1·1·1 32 • I

Di fronte al mdla, nella sua lirica non c'è volontà di trascen-


dimento nell'espressione, il tentativo di esorcizzarlo, ma il farsene
un «compagno». « Im Leeren wird die Niichternheit zur Droge »
(Nel vuoto la sobrietà diviene una droga.) scrive Brecht in una
poesia dedicata allo Zarathustra di Nietzsche 33 • E, commentando
Gegen die V erfiihrung, Benjamin scrive: « La poesia cerca di pro-
durre un senso di sconvolgimento di fronte alla brevità della vita.
E sarà bene ricordare che nell'equivalente tedesco di sconvolgi-
mento (Erschiitterung) è contenuta la parola Schiitter (macerie).
Là dove qualcosa precipita, si producono rotture, punti vuoti » 34 •
Ecco, la sobrietà brechtiana è quan-to impedisce di scomparire
in queste « fratture », in questi « vuoti », come pure di coprirli;
quanto permette di convivere con essi.
Questo fa si'. che la produzione brecthiana non ha piu carattere
di opera che ha il suo centro nell'Erlebnis. In questo l'opposizione
alla poetica di un Benn è totale. E cosi, commentando l'uscita dei
Versuche, nella conferenza radiofonica del '30 Benjamin può dire:
« La poesia qui non si aspetta piu niente da un sentimento dello

31 AR, pp. 178-179.


lZ Or. per questo la lucidissima conferenza radiofonica di Benjamin, Bert
Brecht, tenuta alla Frankfurter Rundfunk il 24 giugno 1930, in GS, II, 2,
pp. 660-667; da noi tradotta in Rinascita, n. 11, 17 marzo 1978.
33 B. Brecht, Gesammelle Werlee, cit., Bd. 9, p. 614; su guesta poesia brechtiana
e in generale sul nichilismo di Brecht, si veda il libro di R. Grimm, Brecht unil
Nietzsche oder Gestiindnisse eines Dichters, Frankfurt/M., 1979, e in part. le
pp. 156-245.
34 W.B., Kommentare zu Gedichten von Brecht (lo scritto, inedito, è del
19.39), trad. di E. Filippini, in W.B., L'opera d'arte nell'epoca della sua riprodu-
cibilità tecnica (d'ora in poi OA), Torino, 1966, p. 147.

208
autore, che, nella volontà di trasformare questo mondo, n'On si sia
alleato con la Nuchternheit. Essa sa che l'unica chance rimastale
è quella di divenire un prodotto secondario in un processo assru
ramificato, teso alla trasformazione del mondo. Non è altro che
questo. E, perciò, qualcosa di inestimabile» 35 •
In questo Brecht apparirà ben presto agli occhi di Benjamin
come un maestro: un maestro di sobrietà, ma anche un maestro
di distruzione.
Come il « carattere distruttivo» nella descrizione benjami-
niana si oppone a quello creativo per il suo rifiuto di un individua-
listico isolamento 36, cos{ l'atteggiamento asociale della Hauspo-
S'lille può divenire sociale, politico negli Svendborger Gedichte 31 •
L'unico atteggiamento che non si può trovare nella lirica brecthiana
è quello apolitico, non-sociale. Proprio del carattere distruttivo
è l'essere teso a nuove costruzioni, non appagarsi di semplici nega-
zioni. « Il carattere distruttivo - infatti - non vede niente di
durevole. Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie. Dove
altri urtano contro muri e montagne anche là egli vede una via.
Ma poiché vede dappertutto vie, deve anche dappertutto sgom-
brare la strada ... L'esistente lui lo manda in rovina non per amore
delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso. » 31
Nella vicenda intellettuale dell'amico Brecht, Benjamin aveva
certamente individuato un eccezionale esempio di destruktive Cha-
rakter, se, nel comt11ento alla famosissima poesia Von armen B.
B., dei seguenti versi:
« A noi, stirpe svagata, furono sede / case .immaginate indi-
struttibili / ... Di queste città resterà solo chi le traversa ora: il
vento! / La casa colui che banchetta fa beato: ché egli la vuota. /
Noi lo sappiamo, sfamo di passaggio. / Dopo di noi: nulla di no-
tevole » (trad. di R. Leiser-F. Fortini).
scrive: « Colui che banchetta sta per colui che distrugge. Banchet-
tare non significa soltanto nutrirsi, significa anche mordere, di-
struggere. Il mondo si semplifica spaventosamente se viene esa-
minato per ,accertare non tanto 1a ·· sua godibilità quanto il suo
essere degno di venire distrutto. ~ questo il legame che tiene
insieme cos{ minadciosamente, tutto ciò che esiste. La vista di questa
15 GS, II, 2, pp. 661-662.
36 « Come il cre:itore cerca la solitudine colui che distrugge deve continua·
mente attorniarsi di gente, di testimoni della sua attività. • ( Il carattere distrUI·
tivo, in Metaphorein, cit., p. 10.)
n Cfr. OA, p. 140.
38 Il C(lfatlere distruttivo, in Metaphorein, cit., p. 11.

209
armonia rende allegro dtl poeta. Egli è colui che banchetta con la
mascella d'acciaio, che svuota la casa del mondo » 311 •
Ed è proprio concludendo il commento a questa poesia (del
1922) che ,Benjamin, connettendola alla successiva prcxluzione liri-
ca brechtiana, delinea incisivamente il nesso tra il nichilismo dello
atteggiamento distruttivo e la partecipazione alla lotta di classe:
« Per colui che non dà fastidio a. nessuno e che non conta, non
può accadere nulla di essenziale - salvo la decisione di dar fasti-
dio a qualcuno e di conta.re. Di questa decisione testimoniano
i cidi successivi. Il loro oggetto è la lotta di classe. Chi si impegnerà
meglio per questa causa sarà colui che all'inizio ha lasciato .perdere
se stesso.
« Uno che banchetta, con la mascella d'acciaio e svuota la
casa del mondo. Noi lo sappiamo, siamo di passaggio» 40 •
È questa congiunzione di sobrietà e atteggiamento distruttivo
1

che darà a molti scritti brechtiani il respiro dei « classici ». « Le


Funf Schwierigkeiten beim Schreiben der Wahrheit (Cinque difficol-
tà per chi scrive la verità) banno la secchezza e quindi illimitata
conservabilità degli sori-tti assolutamente classici. Sono scritti in
una prosa che ·in tedesco non era ancora mai esistita. » 41 Cosf
Benjamin in una lettera allo stesso Brecht del 20 maggio '35, dopo
la lettura del notissimo scritto; e del « prewpposto della classfoità
dei suoi ,testi » parlerà, poi, a proposito della « forma del commen-
to » adottata per le liriche brechtirane 42 • Ma se Brecht è un « clas-
sico», a fondamento del suo classicismo non sta l'umanesimo,
ma l'inumano, la Entmenschung. L'uomo vi è denudato; e cosi
appare disumana/o (entmenscht) 43, «smontato». Non per nien-
te buona parte del profilo Betit Brecht, ma soprattutto il primo
studio sul teatro epico del 1931 44 , costituiscono un commento
a Mann ist Mann, al dramma dell'Ummontierung dell'uomo, dove
si mostra come un uomo può essere tranquillamente smontato
come una macchina. Questo Brecht « classico », paradossalmente,
è quello meno innocuo, è il Brecht « piu nascosto», « piu cifra-
to » 45 , che forse conosciamo solo per gli spiragli di luce che
39 OA, p. 149; si noti come qui parti del Dertruktive Charakter tornano letteral-
mente.
40 Ivi, p. 150.
41 LT, p. 284.
4Z Cfr. OA, p. 140.
43 Or. Brechtr Dreigroschenroman, trad. in AR, p. un.
44 Was ist das epische Theater?, in GS, Il, 2, pp. 519-531.
45 « Quello che si lascia maliziosamente intravvedere nei T agebucher, come

210
ancora i commentari benjaminiani riescono a gettare attraverso la
coltre di trionfalistica retorica che si è lasciata acrumulare sulla
sua opera. Non è un caso che una delle -formulazioni piu chiare
di Brecht circa questo aspetto della sua produzione sia occasionata
dalla rilettura del suo Libro di devozioni domestiche: « qui la
letteratura raggiunge quel grado cli disumanità che :Marx scorge
nel proletariato e contemporaneamente quella mancanza di una
qualsiasi via d'uscita ohe gli infonde speranza. La maggior par-te
delle poesie tratta di decadenza e la poesia segue fino in fondo
la società che sta andando a fondo. La bellezza prende dimora
fra i relitti, gli stracci diventano una squisitezza, il sublime si
voltola nella polvere, la mancanza viene accolta come libei:atrice.
Il poeta non solidarizza piu nemmeno con se stesso. Risus mortis.
Ma fiacco non lo è di certo » 46 •
E non è fiacco perché quel risus mortis annuncia, nel bene
e nel male - o al di là di essi - qualcosa di nuovo O • Nella
decomposizione dell'umano, il «nichilismo» brechtiano non si
limita a constatare lo sfaldamento dei quadri tradizionali di riferi-
mento della cultura idealistico-classicista, ma ne coglie l'origine
storica negli irreversibili fenomeni di massificazione della vita so-
ciale ad opera del tumultuoso sviluppo della tecnica dall'inizio del
secolo in poi, in una sempre piu intensa incorporazione dei risultati
della ricerca scientifica nei ritmi e nelle strutture dei processi
produt-tivi. Se sono questi processi a togliere le basi materiali
all'esprimersi della cate.goria del« soggetto», come categoria domi-
nante la vita sociale e lo stesso processo storico, è da questi pre-
supposti che è possibile costruire il nuovo. A partire, dunque,
dalla «povertà» del presente. Oggetto dell'opera brechtiana, dice
Benjamin, può sinteticamente definirsi la povertà: quella « fisiolo-
gica ed economica dell'uomo nell'epoca della macchina » 41 •
Questa connessione tra .povertà e tecnica è proprio al centro
di Erfahrung und Armut: « con questo immenso sviluppo della tec-
nica una miseria del tutto nuova ha colpito gli uomini. » 49 • :8 la
miseria di esperienza. Il -rattrappirsi, il contrarsi dei « nervi » che
connettono individuo e contesto storico-sociale, l'incapacità di com-

nelle Poesie di Svendborg, nei Dialoghi di profughi come nel Me-ti -, cos( F.
Masini in Rinascita, n. 11, 17 mano 1978.
<46 B. Brecht, Diario di lavoro, cit., v. I, nota del 20 agosto '40, p. 1.51.
47 Ed in questo assomiglia straordinariamente al riso dagli accenti barbari
che chiude Erfahrung und Annui.
41 GS, II, 2, p. 667.
49 Esperienza e povertà, in Metaphorein, cit., p. 13.

211
prendere gli eventi che lo riguardano, cli comunicarne l'interiorizza-
zione; lo straniarsi dello stesso « patrimonio culturale» 50 ,
lo spezzarsi di ogni organica connessione di esso con la vita quoti-
diana e quindi l'esser sradicati dal passato. Ma non è certo quello
di Bcnjamin un lamento funebre sul decadimento dell.'E,fah,ung
individuale, ciò che gli interessa è proprio la dimensione « colletti-
va» del fenomeno e, quindi, le povertà di esperienza storica.
« La nostra -povertà di e~rienza è solo una par-te di quella grande
povertà, che ha nuovamente ricevuto un volto di un,acutezza e
precisione simile a quello del mendicante nel Medioevo... Sf am-
mettiamolo: questa povertà di esperienza non è solo povertà nelle
tsperienze private, ,ma nelle espenienze dell'umanità in generale.
E con questo una specie di nuova barbarie. » 51 Proprio qui sta
il «positivo» di tale processo: non in una ricomposizione del-
l'umano ormai destrutturato nei suoi elementi materialmente si-
gnificanti, che non si lasciano riaggregare nel significato unico
e unitario di una compatta e organica « soggettivJtà », è possibile
mcora ,parlare di« esperienza», ma in una sua inedita costruzione
storica, a partire solo da questi «elementi», divenuti ormai « ma-
teriali da costruzione» . .(Incostruibile, certo, è la frattura che
li origina; ma questo è un altro discorso.) « Barba.rie? - continua
Benjamin - Proprio cosL Diciamo questo per introdurre un nuo-
vo, positivo concetto di bai,barie. A cosa mai è indotto il barbaro
dalla povertà di esperienza? :.8 indotto a ricominciare da capo;
a iniziare dal Nuovo; a farcela con il Poco; a costruire dal Poco
e inoltre a non guardare né a destra né a sinistra. » 52

B. Masse e costruzione dell'Erfah,ung. Una proiezione socio-


logica di questo nesso tra peràita dell'egperienza e sviluppo della
tecnica è chiaramente espressa da Brecht nel suo Dreigroschenpro-
:ess. Quei valori che costituivano il quadro imprescindibile di
una Er/ahrung umana esprimibile e comunicabile, e cosf parevano
dare impulso e salvaguardare un sistema fondato sullo scambio
e sulla libera iniziativa - il cui cardine e fine era rl soggetto
umano - divengono essi stessi elementi funzionali di questo siste-
ma di scambio. « Il fatto che i valori &pirituali si trasformino
50 « Che valore ha allora l'intero patrimonio culturale se proprio l'esperienza
non ci congiunge a esso? t (Ivi)
51 lvi.
52 Esperienza e poverlà, in Metaphorein, cit., p. 13.

212
in merci... rappresenta un processo progressista e non si pub che
approvarlo, presupposto che il progresso venga inteso come un
progredire e non come un essere progrediti e che quindi anche
la fase della mercificazione venga considerata superabile mediante
un ulteriore progresso. Il tipo capita/,istico di produzione manda
in pezzi l'ideologia borghese (c.n.) ... Cib die ... tramonta è quel-
l'esemplare piccolo boi,ghese cui si deve la stessa costruzione ideo-
logica che va sotto il nome d.i "uomo,'. La tecnica che qui riporta
la vittoria e sembra non essere capace di fare altro che rendere
possibile il profitto di alcuni dinosauri, e con cib, la barbarie,
una volta arrivata nelle mani giuste sarà in grado di fare ben
altro. t compito nostro aiutarla ad arrivare nelle mani giuste.» 53
Non è il caso, dunque, per Brecht come per Benjamin, di
un nostalgico rimpianto di « tempi piu felici», né tantomeno di
quella acritica e entusiastica esaltazione del .progresso tecnologico
di cui si nutrf il movimento della Neue Sachlichkeit 54 •
Il« progresso» della tecnica, il suo dif.fondersi fin nei minimi
aspetti delia vita quotidiana è quanto rende le masse un elemento
preponderante nella scena storica, che muta le stesse forme e modi
della politica 55 • L'emergere delle masse nello spazio della nuova
si B. Brecht, Il processo dell'Opera da tre soldi, in Scritti sulla lettera/uro
e sull'arte, trad. di B. Zagari, Torino, 1973, p. 106.
St Cfr. H. Lcthcn, Neue Sachlichkeil 1924-32. Studien zur Literalur des
Weissen Sotialismus, Stuttgart, 1972. Una gustosa parodia di q_uesto movimento
la troviamo nella poesia di Brecht, 700 Intellekluelle beten einen Olfanlt an, in
Gesammelte Werke, Bd. 8, pp. 31~317.
~ In questo contesto il fascismo si configura come il tentativo di funziona-
lizzare le masse. in modo subordinato, allo sviluppo capitalistico, senza intaccare
i rapporti di dominio che lo esprimono; attraverso una Galvanisierung di queste
ad opera di miti come razza, nazione, ecc. Operazione, è da notare, in cui l'ideo-
logia dell'individuo è mantenuta nella Einfuhlung dei singoli nella figura del
Fuhrer. (Come scrive Rusconi, cib che rende inesistibile l'attacco nazionalsocia·
lista al « ve<.-chio sistema weimariano è la combinn1.ione di strategie politiche
convcn:-jonali e dinamiche collettive di tipo nuovo». Quello nazionalsocialista, fu
un « movimento collettivo eterodiretto•· Cfr. G.E. Rusconi, La crisi di Weimar,
Torino, 1'117, pp. 4.53-454.) Scrive infatti in proposito Bcnjamin: « La progressiva
proletarizzazione degli uomini d'oggi e la formazione sempre crescente di masse
sono due aspetti di un uruco e medesimo processo. Il fascismo cerca di organiz-
iarc le rcccntt masse proletarizzate senza l)Crb intaccare i rapporti di proprietà
di cui esse perseguono l'eliminazione. Il fascismo 1Jede la propria salvezza nel
consentire tZlle ,narse d'esprimersi [c.n.] (non di veder riconosciuti i propri
diritti). Le masse hanno diritto a un cambiamento dei rapporti di proprietà, il
fascismo cerca di ftJmire loro una espressione neUa conservazione delle stesi.e.
Il fascismo tende conseguentemente a un'estctizzazione della vita politica. Alla
violenza esercitata sulle masse, che vengono schiacciate nel culto di un duce,
corrisponde la violenza da parte di un'apparecchiatura, di cui esso si serve per
la riproduzione di valori cultuali». (OA, p. 46).
.physis prodotta dalla ,tecnica è evento concomitante all'immiserire
de1l'esperienza indi'Vliduale. L'altra faccia di questo fenomeno, che
contrassegna, piu o meno segretamente, ogni Erleben.
Il senso di precarietà connesso all'esistenza individuale, allor-
ché sia scartato quel surrogato di soggettività, quell'apparente ri-
scatto della miseria interiore costdruito dalla .falsa ricchezza del-
l'Erlebnis, trova la sua forza solo nell'« accordo » con la tempesta,
che ha spogliato l'individuo dei suoi « abiti » umani; nella cono-
scenza di essa; nel saperne utilizzare gli elementi. Col tono privo
di facili ottimismi, proprio di chi vedeva .profilarsi la nube nazi&ta,
scrive !Benjamin in conclusione ad Erfahrung und Armut: « Siamo
diventati .poveri. Abbiamo ceduto un pezzo dopo l'altro dell'eredi-
tà umana, spesso abbiamo dovuto deposita.rio al Monte di pietà
ad un centesimo del valore per riceverne in antici,po la monetina
dell' "attuale". La cmsi economica è alle porte, dietro di essa una
ombra, la guerra che avanza ... Bene. Talvolta, il singolo può però
cedere un po' di umani,tà a quella massa, che un giomo gliela
renderà con interessi e interessi raddoppiati » 56 •
V'è qui, seppur implicito, il rimando - allorché le condizioni
di quella « kosmische Erfahrung », che si compiva nell'ebbrez-
za 57 , sono irrimediabilmente perdute e i sentieri della riappro-
pniazione individuale di ~sa preclusi o fittizi - al compito « poli-
tico » di una strutturazione materialistica della soggettività, che
non prescinda dalla segnatura 9torica che le masse hanno impresso
nei connotati individuali; di una appropriazione collettiva 51 e so-
cialmente costruita dcll'Erfahrung, in cui - secondo :la conclusione
di Einbahnstr.asse - « il ·potere del proletariato è l'indice ... del
DiBanamento » dello « straziato co11po » dell'umanità 59 • Perché -
come afferma ·Brecht nel mezzo di una delle piu lucide requisitorie

Esperienu e pouertà, in Metapho,ein, cit., p. 16.


66
Or. per questo il bcJlissimo aforisma Zum Planetarium, in
57 GS, IV, 1,
pp. 146-148. Nello spirito della tecnica, nel conflitto mondiale, si è celebrato
per l'ultima volta, un'esperienza di ebbrezza collettiva nel rapporto col Cosmo,
che ha trai1rormato in un « oagno di sangue >- .quello che doveva essere un giaciglio
,iuvale.
51 Scrive infatti Bcniamin nel saggio sul surrealismo: « Anche il collettivo
~ corporeo. E la pbysis che gli si organizza nella tecnica pub essere prodott11, in
tutta la sua realtà politica e oggettiva, solo in quella spazio immaginativo in
cui ci introduce l'illuminazione profana. Solo ,;e corpo e spazio immaginativo s,;
compenetrano in essa cos( profondamente che tutta la tensione rivoluzionari,
diventa innervazione fisica collettiva. e tutta l'innervazione fisica del collettivo,
diventa scarica rivoluzionaria, solo allora la realtà ha superato se stessa quanto
esige il manifesto comunista,. (AR, pp. 25-26).
" GS, IV, 1, p. 148.

214
contro l'estetica normati-va di Lukacs - « non si tratta di un
citomo indietro. [La nuova classe in ascesa] non si riallaccia alla
bontà del vecchio ma alla cattiveria del nuovo. Non si tratta di
demolire la tecnica, bens{ di svilupparla. L',uomo non ridiventerà
uomo 'uscendo dalla massa ma inserendosi in essa. La massa si
libererà della sua disumanità e in tal modo l'uomo ridiventerà
uomo (un uomo diverso da prima) » ' 0 •

III
Gli studi sul teatro epico. Le nervature interne alla dramma-
turgia brechtiana sono, in larga parte, della stessa fibra di quelle
attraverso cui si articola la rifle,sione benjaminiana sulla « storia »:
ciò che è comune ad entrambe è la consapevolezza di poter operare,
in ogni settore della totalità sociale e al livello a questo specifico,
la critica di quella apparenza, per cui la società, a livello econo-
mico-sociale, sul piano della «circolazione» 61 , si presenta come
costituita da rapporti di scambio fra eguali; mentre il rappotlto
di scambio fondamentale, quello tra capitale e lavoro, è scambio
solo apparentemente, « è solo lo strato superficiale di una produ-
zione che si fonda sull'appropriazione di lavoro altrui senza scam-
bio, ma sotto la parvenza dello scambio» 62 •
L'asse metodologico intomo al quale 9i. costituisce sia il di-
scorso ·brechtiano che quello benjaminiano è cosi dato dal concetto
di-« costruzione», come po,sibilità conc.reta di criticare l'apparen-
za nella quale la realtà si presenta nella sua immediatezza; concetto
che, almeno in Brecht, rappresenta una Umfunktionierung del pro-
cedimento del montaggio proprio delle avanguardie da un lato
e della tecnica cinematografica dall,altro 63 • Umfunletionierung

to B. Brecht, Scritti sulla lelleratura e sull'arte, cit., p. 177.


61 La circolazione, scrive Marx, -~ considerata in se stessa ... è la mediazione
di estremi presupposti. Ma non è essa a porre questi estremi. Sicché essa deve
essere mediata non soltanto in ciascuno dei suoi momenti. ma come totalità, come
processo totale stesso. Il suo essere immediato è perciò pura puvenza. Essa ~
il fenomeno di un processo che si svolge tille sue spalle {c.n.],. (K. Marx, Linea,
menti di critica dell'economia politica, trad. di E. Grillo, Firenze, 1968, I, p. 229).
62 lvi, Il, p. 141. Il termine apparenza non sta qui ad indicare un semplice
occultamento ideologico-soggettivo dell'organizzazione capitalistica della società;
c:ontinua infatti Marx: « Questo sistema di scambio si fonda sul capitale in
quanto sua base, e, se lo si considera separatamente da quello, cosf come esso si
"OOStra alla sUDerficic. ·come sistema autonomo. allora è una mera Parvenza. ma
una r,arvenu necessaria,. (ivi).
63 C.Ome nota lo stesso Benjamin, in L'autore come produ/lore, parlando
del teatro epim. Cfr. per questo AR, p. 211;3.

215
che, a sua volta, riconduce il procedimento della costruzione alla
soo origine scicnrifico-sperimentale 64 • Se infatti Brecht nota che:
« una jemp/itJe "riproduzione della realtà concreta" attualmente
è men che mai suscettibile di dire qualcosa di concreto sulla realtà
[ c.n.] Da una fotografia delle officine Krupp o dell'AEG non
si ricava quasi nulla sul conto di queste istituzioni. La vera real,tà
conc-reta è andata scivolando verso l'elemento funzionale. Il cosa-
lizzarsi dei rapporti umani, quindi iper esempio la fabbrica, non
lascia piu affiorare alla superficie tali rapporti. Bisogna dunque
"costruire qualcosa 11, qua/oosa di "artificùàe", di "collocato in
un sistema di funzioni". [c.n.] Effettivamente quindi anche Parte
è altret,tanto necessaria. Ma il vecchio concetto di arte, basato
suil'Erlebnis, viene appunto meno »65 • Benjamin, d'altro canto,
come vedremo in seguito, fa del principio costruttivo ciò che oppo-
ne nettamente la storiografia materialistica a quella storicistica,
tutta fondata sull'Erlebnis.
Già sin da ora si può parlare perciò di una omologia struttu-
rale tra le forme del teatro epico e quelle del concetto benjaminiano
di storia. Omologia che, se non esaurisce le ramificazioni proble-
matiche di queste ultime, illumina senz'altro le vere e proprie
innovazioni di forma e le profonde implicazioni contenute nella
drammaturgia brechtiana 66 • Di tale omologia, comunque, glj
scritti benjaminiani sul teatro opko e, in particolare, le due stesure
del saggio Was ist das epische Theater? 67 sono la testimonianza
piu efficace.
64 Cfr. per questo L. Wawrzyn. Wal.ter Benjamins Kusttheorie, Darmstadt
und Ncuwied, 1917·.3, .pp. 48-.55 e L. Wicsenthal, Zur Wisrenscbaftstbeorie W.B.S.,
cit., pp. 29-33.
65 B. Brecht, Seri/li sulla lelleratura e sull'arte, cit., pp. 71-72. Ci pare inte-
ressante notare che Benjamin cita questo testo brechtiano nella sua K.leine
Gerchichte der Photoqaphie (apparsa nel 19.31 sulla Literarische Welt) dove
alla creatività fotografica oppone la fotografia costruttiva ( di cui i surrealisti
sono stati i precursori} propria del cinema russo, osservando che: « poicb! il vero
volto di questa creatività fotografica ~ la réclame o l'associazione, la legittima
risposta ad essa è lo smascheramento o la costruzione » ( Piccola storia della
fotografia, in OA, p. 75).
66 Per questo si vedano gli importanti saggi di F. Masini in Brecht e
Benjamin, cit., e soprattutto Il teatro da « luogo assoluto» a « spauo straniato»,
ivi, pp. 181-202.
67 Di queste due la seconda fu pubblicata nel 1939 sulla rivista di Th. Mann
Mass und W eri. C.omc ci documenta la lettera di Gretel Adorno del 26 giugno
1939 (BR, p. 822), ]a prima stesura risa1c ai 1>rimi mesi dd 1931 ( questo spiega
certamente il fatto che qui il continuo termine di confronto ~ il dramma Mann
ist Ma,,n, rappresentato, per la seconda volta, a Berlino nel 1931) cd era desti-
nata ad essere pubblicata sulla Frank/"urter Zeitu11g. Ma, come ci informa Bc-
njamin stesso, « dopo che le bozze ... erano già pronte fu fatta ritirare per disse·

216
:8 stato giustamente .rilevato il nesso esistente tra i vari mo-
menti delropera benjaminiana e il concetto di teatralità 68 e si
è individuato, oltre naturalmente all'Ursprung des deutschen Trauer-
spiels e ai Versuche uber Brecht, come testo in cui questo nes-
so emerge con piu forza, l'importantissimo saggio che Benjamin
dedicò a iKafka nel 1934, per il decimo anniversario della sua
morte 69 • In questo saggio la scrittura kafkiana si dischiude come
una ,rappresentazione di gesti umaDi, a cui sono stati tol,ti i « so-
stegni tradizionali» 70 : ogni gesto costituisce un « dramma a sé»
e « la scena su cui questo dramma si svolge è il theatrum mun-
di » 71 • Per cui « il mondo di Kafka è un teatro universale. Per
lui l'uomo è naturalmente in sèena [cm.] ... I personaggi con le
.loro parti cercano asilo nel teatro na,turale come i sei di Pirandello
un autore. Per gli uni come per gli altri questo luogo è 'l'ultimo
rifugio; e ciò non esclude che esso sia la redenzione » 72 • La
metafora del teatro, come «figura» che getta luce sull'e95enza
del mondo, si dilata qui fino ad annullarsi: il mondo è realmente
teatro, questa è la sua naturale determinazione. Ai gesti umani,
privati del loro senso consueto, non ne viene conferito uno nuovo;
come il modulo stesso della scrittura kafkiana mostra 73 , il signifi-
cato si è totalmente ritratto nel signdficante e si dà, come inattin-
gibile, solo nell'infinito rimando dei significanti tra di loro, nel
concatenarsi inconclusivo di gesti, cosl che in ogni gesto si ha
« un oggetto a riflessioni senza fine » 74 •
Mentre allora la V erfremdung che opera la scrittura kafkia-
na si congela divenendo un limite invalicabile, che non rimanda
75

r-otdi redazionali• (cfr. BR, p. 822). Se molti periodi della prim• stesura ricom-
paiono identici nella seconda, quella differisce da quest'ultima per toni e sfumature
piu marcatamente benjaminiane e tra l'altro assume una particolare importanza
per il fatto che qui Benjamin, per la prima volta ( almeno per quanto siamo
riusciti a vedere), parla di DWektik im Stillsttmd.
61 Cfr. M.G. Merlai, Bmj11min e la te111,aliti, in Utopia, aprile tm,
pp. 13-17.
69 Questo saggio, apparso per la prima volta sulla ]iidische Rundschau, testi-
monia, insieme alle lettere a Scholem del 20 luglio '34 e del 12 giugno '38
(BR, pp. 613-61' e 7'6-764), della capitale im!)Ol'tanza che l'opera di Kafka
riveste per quella di Benjamin.
iO Franz Ka/kt1 in AN, p. 271.
71 lvi.
72 AN, p. 274.
73 « Il modulo semantico che governa questa scrittura, lungi dal situarsi sul-
l'asse della comparazione o del confronto trascende ogni confronto e o,mi com-
parazione.» (F. Masini, Kafka o del «pozzo» di Babele, in Il piccolo H1111s,
n. 3, 1974, p. 133'.)
74 AN, p. 271.
75 Or. F. Masini, Kafka o del «pozzo» di Babele, cit., p. 139.

217
ad altro fuori di sé, respingendo verso quella ,situazione di radicale
Ent/remdung che essa stessa rivela; la Ver/remdung brechtiana
è volta a mantenere una tensione dialettica tra teatro e mondo,
tale da non risolversi in un'utopica contrapposizione tra spazio
teatrale ed evento mondano, ma nel fare del primo un'occasione
per criticare-conoscere il secondo, per mostrarlo nella ,sua trasfor-
mabilità 76 •
Lo « straniamento » è la tecnica che il teatro epico usa per
rompere la circolarità dell'Ein/uhlung e impedire cosi quella illu-
soria restituzione-ricomposizione del soggetto dello spettatore at-
traverso i surrogati dell'estetica, come spazio della .finzione o tutt'al
piu della riproduz.ione del reale nella sua immediatezza.
La lotta alla Ein/uhlung - come a9Sorbimento e riduzione
della funzione estetica nell'ambito dell'Erlebnis 11 - la coscienza
quindi che « la "libera ,personalità individuale" è divenuta di osta-
colo ad un ulteriore sviluppo delle forze di produzione » e che
« deve cedere la .propria funzione alle grandi collettività » 78 , è
uno dei momenti di piu profonda convergenza tra le posfaioni
di Brecht e quelle di Benjamin, anche se in quest'ultimo (consi-
derando, tra l'altro, il suo intenso rapporto -intellettuale con il
surrealismo) il discorso sulla « destrutturazione » della soggetti-
vità si fa assai piu sfumato 751 • Brecht - osserva Benjamin
« ,non ll)etde di vista le masse » e il suo pubblico è sempre un

76 Or. P. Cluarini, Brecht, Lultacs e il realismo, cit., p. J.•12. Questo fugace con-
fronto Kafka-Brecht non vuol affatto significare una qualsiasi « clasafica » dell'un-
portanza dei due rispetto al pensiero cli ~amin. L'analisi della Ent/remdung, che
i tratti teologici della scrittura kafkiana · "udono, è ancora tutta da compiere -
la sua importanza è tale che non poteva limitarsi a qualche pagina di questo hbro.
n Il teatro epico non può quindi essere goduto e interiorizzato come Erlehnis
dallo spettatore, perch~ in esso la rotonda e levigata struttura detl'Erlebnis è fran.
turnata: è scomposta nel suo spettro, per scovarvi i colori dell'Erfahrung. Cfr. per
questo OA, p. 132.
71 B. Brecht, Tesi sulla fun1.ione dell'immedesimazione nelle arti teatrali, in
Scritti teatrali I, a cura di E. Castellani, Torino, 197.5, p. 131.
79 Questo non significa però che per Brttht si tratti semplicemente di un
improbabile assorbimento della realtà individuale neUc (( grandi collettività ,.,
Se, infatti, « dal punto cli vista del singolo, gli eventi decisivi dell'epoca nostra
non possono piu venire compresi, né possono venire influenzati dalle singole
personalità» (Scritti teatrali I, cit., p. 131 ), tutto questo non concludt nel-
l'eclissarsi del problema del soggetto individuale, ma nella segnatura sociale e
quindi « storica ,. della sua figura. « L'individuo, pur rimanendo individuo, di-
venta un fenomeno sociale; e questioni di interesse sociale diventano pure le sue
passioni, i suoi destini. La posizione dell'individuo nella società non è phl un
"dato di fatto naturale"» (Seri/li teatrali Il, p. 149).

218
«collettivo»: « il teatro epico si mvolge a persone cointeressate
le quali ''non pensano senza una sua ragione" » 80 •
La partecipazione immedesimante alle sorti dell'eroe del
dramma non costituisce alcun interesse per questo «pubblico»,
in quanto non rende alcuna conoscenza delle realtà in cui lo spetta-
tore vive 81 : è una elevazione alla seconda potenza dell'apparenza
che nel:la sooietà occulta i meccanismi di produzione e di riprodu-
zione (materiale e intellettuale). « Quanto piu vasta proporzione
hanno assunto le devastazioni del nostro ordinamento sociale
(quanto piu noi stessi e le capacità di renderci conto di esse sono
indebolite) ,tanto piu marcata dovrà essere la distanza dell'estra-
neo. » 82 Questo estraneo è la distanza critica dagli avvenimenti
rappresentati portata -sin dentro fa scena. È « colui che ·pensa»,
il signor Keuner - questo corri,spettivo dell'omerico «Nessuno»
che si è spinto nella caverna di quel mostro monocolo che è il
IGassenstaat 83 - che dovrebbe esser condotto sul palcoscenico
su una lettiga e vi dovrebbe rimanere rilassatamente sdraiato, per
ricordare quanto sia utile nel precipitare degli eventi un'attenta
e calma riflessione, per ricordare anche, a chi se ne ifosse dimenti-
cato, che « siamo a teat-ro ». Ma l'esistenza di questo « uomo pen-
sante » sulla scena - osserva Benjamin - è qualcosa da provo-
care, da produrre; è l'a9pirazione del« nuovo teatro».
Come la conoscenza storica per il « materialista storico » non
consiste .in una -mera accumulazione-registrazione di fatti, cos{ il
teatro epico non si limita ad un ,piatto « ·rispecchiamento » di situa-
zioni reali: ad esso ·presiede una coscienza produttiva che non
si esaurisce nel mediare conoscenze, ma ne produce". « La scena
naturalistica, nient'affatto un podio, è una scena del tutto illusio-
nistica. Essa non può render feconda la sua propria coscienza di
essere teatro, ma la deve rimuovere come ogni scena dinamica,
per potersi dedicare indistur-bata al suo obiettivo di riprodurre
il reale. Il teatro epico dnvece mantiene ininterrottamente una co-
scienza viva e produttiva del fatto di essere a teatro. » 85
Se il teatro epico « non deve tanto sviluppare azioni quanto
so OA, p. 127. .
111 « Il teatro epico è ... il teatro dell'eroe bastonato. L'eroe non bastonato
non diventa un pensatore» (AR, p. 182); l'eroe dei drammi brechtiani è l'eroe
non-tragico, « colui che pensa>, il saggio, « teatro perfetto della dialettica delle
contraddizioni sociali» (dr. OA, p. 129).
12 GS, II, 2, pp. ,22-.52.3.
83 Cfr. ivi, p. .52.3.
M Cfr. ivi, p . .528.
a Ivi, p. S22; cfr. anche B. Brecht, Scritti teatrali II, cit., p. 45.

219
rappresentare situazioni» 16 la possibilità di tale « rappresenta-
zione » è data dal trattare « gli clementi del reale nel senso di
un eisperimento » 17, dallo scomporre, quindi, l'apparenza del rea-
' le come totalità chiusa, timmagine reificata, nei suoi elementi mini-
mi e dal « costruirli » diversamente sulla scena. E tutto questo
in modo che nell'esecuzione scenica stessa sia mantenuta un'ironica
distanza 18 da quanto viene rappresentato, cos( da lasciare aperto
un varco «critico» per la presa di posizione dello spettatore.
Perciò le situazioni stanno alla fine, non all'inizio di questa « ope-
razione sperimentale»: piu che di una restitu7.ione si tratta di
una scoperta 89 •
Nel rendere le si,tuazioni, anche piu scontate, oggetto di sco-
perta, di stupore, sta il procedimento dello « straniamento »:
« l'effetto di straniamento consiste nel portare a comprensione
una cosa usuale, nota, sempre sott'occhio, richiamando l'attenzione
su di essa in modo da farla apparire speciale, sorprendente, inatte-
sa. L'ovvio viene reso in cer-to qual modo, incomprensibile -
ma unicamente perché risulti piu comprensibile dopo » 90 • Stra-
niare significa quindi rendere penetrabile il quotidiano, mostran-
done proprio la non ovvietà, illuminando l'eccezionalità di quanto
costituisce la sua abitudinaria supemcie, lacerando il velo di nor-
malità che l'avvolge.
E questo avviene mediante l'interruzione del decoMo delle
azioni drammatiche ' 1• L'interruzione, avverte Benjamin, è « uno
dei procedimenti fondamentali di ogni strutturazione della for-
ma» ' 2 • L'interruzione cli un'azione nel teatro epico ha la stessa
funzione delle virgolette che in un testo racchiudono una citazione.
Entrambi implicano un salto nell'at-tenzione del lettore o dello
spettatore. Scorporano un brano dal suo « tessuto» originario1
per trapiantarlo altrove. E non solo per una piu attenta considera-
zione di quanto 6pesso il contesto « testuale » nascondeva 1 ma
per rendere usabile ,quanto si cita, per trasformarne senso e fun-
zione. Il teatro epico, cosf, interrompe l'azione per« rendere citabili
i gesti » e - in questo - a loro volta trasformabili. Come per
OA, p. 130.
86
GS, II, 2, p . .522.
87
Per la differenza che intercorre tra l'ironia brechtiana e quella romantica
88
dr. OA, pp. 133-134.
89 Cfr. GS, II, 2, p. 522 e OA, p. 130.
90 B. Brecht, Scrilli teatrali I, cit., p. 187.
91 Cfr. GS, II, 2, p. 523 e AR, p. 174.
92 OA, p. 131.

220
il 4C materialista storico » l'interruzione del continuum temporale
costituisce un oggetto storico (quello che Benjamin definirà una
monade) in relazione determinata col « presente », cosi l'interru-
zione di certe azioni - nel teatro epico - dà la possibilità di
rappresentare gesti in cui l'immagine cristallizzata del reale è in-
franta, disarticolata. Gesti riproducibili e delimitabili che, in virru
della tecnica di recitazione distaccata degli attori 93 e della loro
intima condusività, si presentano come frammenti significativi
di una totalità permanentemente « aperta>) all'intervento critico
dello spettatore e dell'attore, crune monadi plurilateralmente per-
scrutabili 94 •
~ nella particolare dialettica tra l'attore e il gesto umano-
sociale che rappresenta - dialettica che segue necossariamente
quella tra gesto e situazione da cui è tolto - che si compie la
Literarisierung del teatro, che - attraverso ti,toli, manifesti, songs,
proiezioni etc. - il « formulato » si sostituisce al <( figurato » 95
e la rappresentazione teatrale è '51pogliata del .suo elemento sensa-
zionale, della sua carica psicologica, come della sua tensione espres-
siva-impressiva. « L'attore deve mostrare una cosa, e deve mostrare
se stesso. Naturalmente mostra la cosa in quanto mostra se stesso,
e mostra se stesso in qua11to mostra la cosa. Benché le due cose
coincidano, non devono certo coincidere cosi che la contrapposi-
zione (la differenza) tra questi due compiti scompaia. » 96 In
questa differenza « chi mostra » {der Zeigende) viene m~tra-
to 97 ; nella stessa prassi signiificante della recitazione è inserita
una sfasatura e la significazione è duplicata, proprio nel momento
della sua esecuzione. Ma questo scompone anche quanto viene
significato.
Il mantenimento e la sottolineatura della scissione tra signifi-
canti materiali (attori) e significati (eventi rappresentati), con
la duplicazione dei rispettivi «livelli», respinge l'immedesima-
93 Si veda, per questo, lo scritto di Brecht, Breve descrizione di una tecnica
della recitai.ione che produce l'effetto di straniamento, in Scritti teatrali I, cit.,
pp. 177-189.
94 « Questa rigorosa chiusura e delimitazione di ogni elemento di un contegno
che nella sua totalità si trova in un vivo fluire, è addirittura uno dei fondamen-
tali fenomeni dialettici del gesto.» (AR., p. 174, la tradll2ione ~ lievemente
modificata.) Potremmo dire che tra gesto e corso cli un'azione, per Benjamin,
intercorre lo stesso rapporto che intercorre tra « se-none » storica ( « momento •
monadico cli un processo) e il processo stesso.
95 B. Brecht, Scritli teatrali III, cit., p. 40 e cfr. anche GS, II, 2, p. 525.
96 Citazione cli Brecht in GS, II, 2, p. 529 e OA, pp. 133-134.
'l'I Or. GS, 11, 2, p. 529.

221
zione dello spettatore e apre la strada alla considerazione e alla
comprensione dei referenti reali e del modo in cui vengono
«espressi». « Il punto di vista che l'attore sceglie è un punto
di vista sociale. Con la prospettiva che imprime alla vicenda, con
la caratterizzazione che dà del personaggio, egli rende evidenti
quei ,tratti che rientrano nel campo d'azione della società. Cosf
la sua arte diiviene un colloquio (sulle condizioni sociali) col pub.
blico al quale si rivolge, e induce lo spettatore a giustificare o
a rifiutare quelle condizioni, a seconda della classe sociale cui ap-
partiene. » 98
·« Il teatro epico - scrive lapidariamente Benjamin - è ge.
stuale. Si può &re, a rigore, che il gesto è il materiale e il teatro
epico l'utilizzazione appropriata di questa materia. » ' 9 Il gesto
costituisce il momento di congiunzione materiale e di tensione
dialettica tra teatro e mondo: « I gesti sono ritrovati nella realtà.
E precisamente ... soltanto nella realtà contemporanea» 100 •
Mentre l'Einfiihlung agisce, nel teatro borghese 101 , come
vis destoricizzante, come naturalizzazione di ogni speoifidtà sto-
rica 102 , Galvanisierung dell'ormai cadaverico « uomo astratto »,
cosf che « il miserabile borghesuccio ritrova nella storia sempre
e soltanto le stesse molli motrici: le sue» 103 - per il teatro
epico« straniare significa ... storicizzare, significa rappresentare fat-
98 B. Brecht, Scrilli teatrali I, cit., p. 181. Scopo di questo tipo di recita·
zione, scrive ancora Brecht, è « di straniare il "gesto sociale" sottao ad ogni
vicenda. Per "gesto sociale" deve intendersi l'espressione mimica e gestuale dei rap-
porti sociali che presiedono alla convivenza degli uomini di una data epoca» (ivi).
99 AR, p. 173.
100 AR, p. 173. « Il gesto - nota ancora Benjamin - dimostra l'importanza
e l'applicabilità sociale della dialettica. Verifica la situazione sociale sull'uomo.
Le difficoltà che il regista incontra nel periodo di allestimento della recita -
anche se derivano dalla ricerca dell'effetto - non possono piu essere separate
dalla considerazione concreta del corpo sociale.• (AR, p. 1'74, nota.)
101 « Il teano borghese - scrive Brecht - tende ad enucleare dalla propria
materi11 il suo contenuto extratemporale. La rappresentazione dell'uomo si limita
a ciò che nell'uomo è eterno. Nello svolgimento della trama vengono aeatc
cert" situazioni "di portata generale", tali cioè che attraverso ad esse si esprima
l'essenza dell'umanità, dell'uomo di tutti i tempi e di ogni razza. Tutti gli avve-
nimenti non sono che un grande spunto, una battuta d'obbligo alla quale non
può che seguire l' "eterna" risposta: la risposta inevitabile, consueta, naturale,
insomma umana. • (B. Brecht, Scritti teatrali II, cit., p. 108.)
J0 2 Nota acutamente B. Lindner: « L'Ein/iihlung si dirige da un lato all'in-
dividuo rappresentato, alle sue situazioni e conflitti interiori, dall'altro all'am-
biente come spazio dell'Erlebnis, come milieu dell'individuo. In entrambi i casi
ha luogo una naturaJizzaziom: e una destoricizzazione ». (B. Lindner, Brecht,
Ben;amin, Adorno. Oher V eriinden"'gen der Kunstp,odulttion im wissenscbdft-
lich-technischen Zeitalter, in Text+Kritik. Sonderheft Brecht, 1972, p. 16.)
103 B. Brecht, Scritti teatrali Il, cit., p. 65.

222
ti e personaggi come storici e perciò stesso effimeri. Ciò può avve-
nire, naturalmente, anche nel caso di personaggi contemporanei,
anche i loro atteggiamenti si possono rappresentare come contin-
genti, storici, transitori » 104 • Cos{ « Io spettatore non continuerà
a s T e all'oggi per rifugiarsi nella -storia: l'oggi diventa sto-
ria» 10 • E la « storicizzazione» dell'oggi si compie nella formu-
labilità del gesto.
Come nelle The$en benjam.iniane, il presente (,non inteso
in senso meramente temporale) è il luogo di definizione e di reden-
zione del passato 106, nel teatro epico è « un gesto presente, tale
da poter essere eseguito dall'uomo contemporaneo » 107 a co-sti-
tuire il mltro att'raverso il quale un evento storico,passato viene
rappresentato.
E se, per Benjamin, spezzare la compatta linearità del decorso
storico significa articolare il passato, nella s·ua discontinuità, in
base alle intersezioni critiche che il nuovo soggetto .storico (la
classe oppressa) vi frappone, omologamente, nel teatro epico « la
narrazione della trama è discontinua, il tutto unitario si compone
di parti autonome le quali di volta in volta possono, anzi devono
venir subito poste a con&onto con le parti corrispondenti dei
fatti quali si svolgono nella realtà » 101 •
-Ma è la stessa articolazione gestuale della rappresentazione,
c-he implica, nel teatro epico, una concezione del tempo diversa,
ad esempio, da quella del teatro tragico. Se in quest'ultimo la
tensione è legata essenzialmente all'esito finale 109 e .per questo
sottende un tempo omogeneo e lineare, sostanzialmente teleolo-
gico, nel teatro epico la tensione è continuamente interrotta, di-
scontinua, spostandosi nell'organizzazione interna dei .singoli qua-
dri teatrali, delle singole vicende, dei singoli gesti; cosi il suo
tempo si concentra intensivamente in ogni situazione, dentro a
ogni gesto. E solo attraverso questa sua intima discretezza e ric-
chezza di determinazioni, il tempo della rappresentazione teatrale
trova la sua continuità, il suo « ritmo». Il « tempo» del teartro
epico è essenzialmente -un tempo « cinematografico » 110 • Nel ci-
104 B. Brecht, Scrilli teatrali I, p. 167.
105 B. Brecht, Scrilli teatrali II, cit., p. 95.
106 Cfr. la tesi XVI, in AN, p. 81.
101 AR, p. 173.
IOI B. Brecht, Scritti teatrali II, cit., p. 150.
io, Cfr. OA, p. 128.
no « Il teatro epico, come le immagini di una pellicola cinematografica, pro-
c.:de a scossoni. La sua forma fondamentale ~ quella dello shock, con il quale
le singole ben distinte situazioni del pezzo teatrale (Stiick) si combinano rcci-

223
nema infatti ogni parte, insieme al suo valore per il tutto, deve
averne anche una propria episodica, cosf che al pubblico sia possi-
bile entrare in ogni momento m.
« La dialettica, cui il teatro epico mira, non dipende allora
da una determinata .sequenza scenica nel tempo, ma piuttosto si
rivela già negli elementi gestuali che stanno a fondamento di ogni
sequenza temporale e che solo impropriamente possono dirsi ele-
menti, perché sono piu semplici di questa sequenza. Un comporta-
mento immanentemente dialettico è quello che nella situazione
- in quanto 'l'iproduziooe di atteggiamenti, azioni, e parole uma-
ne - viene chiarito fulmineamente.» 112 C.Osi - come in un
lampo - nelle Thesen m, guizza l'immagine del passato nel mo-
mento della sua conoscibilità, nel tempo determinato i,n cui può
essere afferrata e strappata dal continuum temporale in cui giaceva
indistinta. La pregnanza del gesto, la sua complessità e contrad-
dittorietà, si contrappone cosi, nel teatro epico, -al drammatico
dipanarsi della trama n4. scomponendone criticamente lo « svi-
luppo» - come, nelle Thesen, Benjamin ad un tempo omogeneo
e vuoto, puramente ,lineare ·(naturale alveo del ·progresso), oppone
un processo contraddittorio, com;,lesso, ,segnato da una temporalità
determinata- il« tempo-ora», il« tempo-attuale» -che intesse
la pregnanza storica di ogni « sezione temporale •·
« La situazione che il teatro epico scopre è la Dialektik im
StillftanJ (dialettica in stato di quiete). Perché come per Hegel
il decorso temporale non è forse la madre della dialettica ma solo
il medium in cui essa si rappresenta, cosi, nel teatro epico, non
il contraddittorio ·succedersi (Verlauf) dell'espressione (Ausse-
rung) o dei modi di comportamento è la madre della dialettica,
ma il gesto stesso. » 115 Dialettica non significa quindi lo svolgeni
del processo, non è storicisticamente garantita dal suo sviluppo,
ma la capacità di interromperlo. Se questa interruzione produce
un attesto, portando il decor.;o temporale ad immobilità, quanto
cosf è congelato è l'apparenza del suo movimento, il suo apparente
progredire, non la sua processualità effettiva. Questo progredire,
nella sua interruzione, è condotto a tornare su se stosso, sulla

procamentc. i. (OA, p. 133, la seconda parte dell'ultima fruc è saltata nel testo
italiano.)
m Or. GS, 11, 2, p . .524.
11Z Ivi, p. 530.
m Or. AN, p. 74.
11 4 Cfr. la pagina sulla trama in OA, p. 128.
11s GS, II. 2, p . .5.30.

224
eguaglianza con il suo « esser passato». Penetrare questo « stato
di quiete», mostrare in ogni particella dcl.J>immobile stagno che
in esso si configura, il movimento effettivo 'Che vi pulsa, le tensioni
trasformanti che vi si agitano, è il compito della dialettica benja-
miniana. -« L'arresto nel reale flusso della vita, l'attimo in cui
il suo corso giunge a formarsi, si fa avver-tibile come riflusso:
lo stupore è questo rifilooso. La Dialektik im Stillstand è il suo
vero oggetto. Esso è lo scoglio, giu dal quale lo sguardo si sprofon-
da in quella corrente delle cose, di cui quelli della città di Jehoo,
"che è sempre affollata ma dove nessuno rimane", conoscono un
canto che comincia cosf: « non guardar fissa l'onda / che si rompe
al tuo piede. Fino a quando / sarai immerso nelPacqua / onde
nuove verranno". Quando però la corrente delle cose si rompe
a questo scoglio dello stupore, allora non c'è alcuna differenza
tra la vita di un uomo e una parola. Entrambe sono nel tea,tro
epico ,solo la cresta dell'onda. Esso fa schizzare i-n alto dal letto
del tempo l'esistenza e ~intillante, per un attimo (einen Nu),
la fa arrestare nel vuoto, finché nuovamente si corichi. » 116

IV

A. L'autore come produttore. 11 saggio Der Autor als Produ-


1.ent, -« discorso tenuto altlstituto per lo studio del fascismo,
Parigi, 27 aprile 1934 » (come era st:ritto sul manoscritto benja-
miniano pubblicato solo nel 1966) 117 , in un virtuale confronto

116 Ivi, p. ,31; si vedano su questo passo Je considerazioni di R. Ticdemann


in Die Kun.rt in anderer uule Kop/e zu denken, cit., p. 199; del tutto fuorvianti
ci sembrano invece )e conclusioni tratte dall'autore alla pagina seguente, in cui
nega la fruttuosità della categoria di Dia/ektik im Stil/stand per l'opera brcchtiana.
117 In una lettera ad Adorno del 28 aprile 1934 (GS, II, 3, p. 1461 ),
Benjamin parla del saggio come di un pendant del lavoro sul teatro epico,
Da questa lettera si arguisce pure che la conferenza non fu tenuta alla data
indicata, e dalle notizie riportate in GS, II, 3, pp. 1460-1463 è problematico
anche se sia stata effettivamente tenuta. Questo scritto, secondo le parole di
Scholem (dr. Scholem-Biogr., p. 250), costituisce l'acme degli « sforzi materia-
listici » benjaminiani, e offrirebbe plasticamente un lato del « Janusgesicht » del-
l'amico; proprio in quel periodo, infatti, Benjamin attendeva al saggio su Kafka.
~ proprio qui iJ difficile da capire dell'esperienza bcnjaminiana: il legame non
segreto - ma palese - tra l'analisi del ne?.,alivo dell'esistenza metropolitana, la
crisi dei fondamenti della tradizione, il continuare spettrale del suo potere e la
volontà, la necessità, cli trasformare Je «tecniche», che esprimono la dimensione
storica di questa « condizione •, l'intenzione cli penetrare nei modi molteplici del loro
prodursi e riprodursi, per mutarne la funzione. Su questo importantissimo saggio
si vedano le decisive pagine di M. Cacciati. Di alcuni motivi in W.B., cit., pp. 240-
243 e anche B.M. Pirani, W. Ben;amin: rapporto fra tecniche e produzione cultu-

225
con la ricerca brechtiana, rappresenta quasi una linea di tensione
tra le analisi sulle nuove condizioni di lavoro intellettuale nella
repubblica di Weimar, che Brecht conduce nel Dreigroschenpro-
zess 111 , e il famoso discorso che Brecllt pronunciò il 29 giugno
19 35, al Palais de la mutualité a ·Parigi, al « I Congresso internazio-
nale degli scrittori per la difesa della cultura », discorso tutto teso
a combattere rin.sufficienza di una definizione del fa.soismo come
baroarie, che, cOJDe tale, ne occultava le matrici di classe e impedi-
va una lotta alle sue radici m. Presupposto del discorso benjami-
niano, in questo scritto, è la coscienza di una progressiva -« durch-
kapitalisierung dei diversi spazi sociali » 120, e in particolare di
quegli spazi attinenti il lavoro intellettuale, ohe prima sembra-
vano non dominati dalla logica del profitto e che, per questa par-
venza di autonomia, nascondeva-no la loro funzione organica alla
fase concorrenziale-liberistica del capitalismo. Tanto che, per la
condizione di oggettivo privilegio dell'intellettuale in tale situa-
zione, ogni conflitto tra ceto intellettuale e .potere capitalistico
non poneva in discussione i rapporti di ,produzione esistenti e
si risolveva in una ricomposizione ,interna alla classe borghese 121 •
t ne1l'intrecdo determinatosi tra lo sviluppo delle tecniche
produttive - con il conseguente aumento della composizione orga-
nica del capitale - e i processi di concentrazione monopolistica
(intreccio che rende necessario l'allargarsi, in senso qualitativo,
raie, in Critict1 marxistt1, n. 4, a. 16, 1976, che stranamente pub parlare di « pre-
figurazione messianica•: concetto del tutto assente in Benjamin.
118 Su questo testo brechtiano si vedano 1e osservazioni a volte un po' ridut-
tive di H. Lethen, in Neue Sachlichkeit 1924-32, cit., pp. 114-126.
119 Or. per questo discorso il sa[!:gio di F. Fortini, Palais de la mutualité 1935,
in Verifica dei poteri, Milano, 196,, pp. 131-140.
l20 P. Gruchot. Konstruklive Sabotage. Walter Ben;amin und de, biirge,liche
Intellelttuelle, in Alternative, n. ~57, a. 10, 1'967, p. 208.
U1 Si veda quanto lo stesso Marx scrive in proposito: « La divisione dc1
lavoro .. si manifesta anche neUa classe dominante come divisione del lavoro
inte11cttuale e manuale, cosicché all'interno di questa classe una pane si presenta
costituita dai pensatori delta classe (i suoi ideologi attivi, concettivi, i quali del-
l'elaborazione dell'illusione di questa classe su se stessa fanno il loro mestiere
principale), mentre gli altri nei confronti di queste idee e di queste illusioni
hanno un atteggiamento piu passivo e ricettivo, giacchi in realtà sono i membri
attivi di questa classe, e hanno meno tempo di farsi delle idee e delle illusioni
su se stessi. All'interno di questa classe questa scissione pub addirittura svilup-
parsi fino a creare fra le due parti una certa opposizione e una certa ostilità,
che tuttavia cade da ~ se sopraggiunge una collisione pratica che metta in peri-
colo la classe stessa: allora si dilegu11 anche la parvcn%1 che le idee dominanti
non siano le idee della classe dominante e abbiano un potere distinto dal potere
di questa classe» (K. Marx-F. Engels, L'ideologia tedeset1, in Marx-Engels, Opere
co111ple1e, V, a cura di F. Codino, ·Roma, 1972, p. 45).

226
della sfora degli investimenti interni) che la produzione intellet-
tuale e in parllicolare que1la artistica -muta la sua forma e da una
organicità semplicemente mediata con Jo sviluppo capitalistico vie-
ne ad essere assorbita immediatamente nel ,processo di ,produzione
e circolazione delle merci 122 •
E, come -nota Brecht, a trovarsi ,in questa situazione non
è soltanto H settore artistico-intellettuale « tecnicizzato », legato
cioè a istituzioni di comunicazioni di massa (radio, cinema, ecc.),
bensi è« tutta l'arte senza eccezioni che viene a trovarsi in questa
nuova situazione, è tutta l'arte nel suo complesso, e non solo a fram-
menti, che deve fare i conti con tale situazione, è ·tutta l'arte nel suo
complesso che diventa merce oppure non Jo diventa. Le trasforma-
zioni operate dal tempo non lasciano niente di intatto ma inte-
ressano sempre il tutto» 123 • Nel momento in cui « l'autore viene
trascinato a forza nel proces·so tecnico, inteso quest'ultimo come
produzione di merci » 124 , all'intellettuale è distll'Utta la sua
« aura » di individualità creatrice che ne ·permetteva la separatezza
e l'immunità da ciò che si agitava nella sfera dell'economico. Il
capitalismo entra cosf i,n contraddizione, non tanto con la prassi
di sempre, quanto -piuttosto con la sua ideologia 125 , la sua stessa
tradizione culturale e, fatto ancor piu degno di nota, con quelli
122 Si vedano in proposito queste acute osservazioni di Horkheimer: « Nelle
condizioni del capitalismo monopolistico è venuta tuttavia a finire anche questa
relativa autonomia dell'individuo. Questi non ha piu dei pensieri propri ... Il con-
cetto di dipendenza del culturale dall'economico si è quindi modificato. Con
l'annichilimento dell'individuo tipico esso va per cosf dire inteso in termini
piu materialistico-volgari di prima. Le spiegazioni dei fenomeni sociali diventano
piu semplici e al tempo stesso piu complicate. Piu semplici, in quanto il momento
economico determina piu immediatamente e coscientemente gli uomini, e la rela,
tiva capacità di resistenza e sostanzialità de!le sfere culturali sta svanendo; piu
complicate, in quanto la dinamica economica scatenata, di cui gli uomini finiscono
per essere puri mezzi, rivela a un ritmo rapido sempre nuove forme e fatalità•
(M. Horkheimer, Teoria tradizionale e teoria critica, in Teoria critica, II, trad. di
G. Backhaus, Torino, 1974, p. 181). Seppur il discorso dovrebbe farsi assai piu
articolato - e da questo le pagine seguenti prescindono - è evidente che, in
questo passaggi.o epocale per le forme della produzione intellettuale, muta quali-
tativamente lo stesso rapporto tra ricerca scientifica e processi produttivi, muta-
mento che trasforma gli stessi cicli produttivi.
123 B. Brecht, Scrilli sulla lelleratura e sull'arte, cit., p. 70.
l2t Ivi.
125 Nòta Brecht in proposito, parlando del processo tra lui e la Nerofilm
( società produttrice della riduzione cinematografica dell'Opera da tre soldi):
« Perdendo il processo, vi abbiamo però osservato la presenza di idee di nuovo
tipo, che non sono peraltro in contrasto con la comune prassi borghese: esse sono
in contrasto solo con le vecchie idee ( che sono appunto quelle che prese nel
loro com1>lesso costituiscono la grande ideologia classica borghese)• (B. Brecht,
Scrilli sulla lelleratura e sull'arte, eit., p. 99).

227
che di questa tradizione erano i garanti, di questa ideologia i pr0r
duttori. :E: la stessa possibilità di dispiegamento delle forze pro-
duttive intellettuali, che, con questi processi, viene a trovarsi in
contraddizione con i rapporti cli produzione in oui queste sono
inserite.
« I grandi apparati come l'opera, il teatro, la stampa - osser-
va Brecht - diffond9no le loro concezioni, .per cosf dire, in inco-
gnito. Mentre già da lungo tempo questi apparati si 5ervono deJ
lavoro (musica, poesia, critica ecc.) prestato da lavoratori intel-
lettuali che ancora parteci,pano al guadagno - economicamente
dunque appartenenti alla classe dominante, socialmente già semi-
proletarizzati - soltanto al fine di alimentare i loro modi di orga-
nizzazione del pubblico, e con ciò valutano questo lavoro a modo
loro e lo incanalano sui loro binari, i lavoratori intellettuali stessi
continuano a credere che l'attiv.ità di codeste imprese consiste sol-
tanto nell'utilizzare il loro lavoro i·ntellet-tuale e venga perciò a
costituire un fattore secondario che non influisce sul foro lavoro,
ma, ail contrario, lo rende influente ... illudendosi di possedere un
appa.rato che in realtà li possiede, essi difendono un apparato che
non controllano .piu, dhe non è piu - come essi continuano a
credere - un mezzo che serve i produttori intellettuali, ma è
diventato un mezzo che si rivolge contro di loro, contro la loro
produzione ·(quando cioè questa ,produzione persegue tendenze
proprie, nuove, non corrispondenti o addirittura contrarie a quelle
dell'apparato). Essi sono ridotti allo stato di fornitori. » 126
Per Brecht come per Benjamin si tratta, a differenza che
per Lukacs, che nei suoi scritti dedicati al problema degli intel-
lettuali - da Zur Organizations/ragc der Intellektuellen
(1920) 127 (del periodo del Linkskommuni-smus) a saggi come·
Volkstribun oder Burokrat (1940) 121 - si attiene sempre alla
figura tradiz.ionale dell'intellettuale-umani.sta, di incidere material-
mente su questo apparato, bloccando il processo di rifomimento
ideologico-materiale degli intellettuali nei suoi confronti e mostrando

1216 B. Brecht, Note all'opera « Ascesa e rovina della città di Mahagonny », in


Scritti teatrali 111, cit., pp. 53-54. Signifkativamente, questo testo, che per la
sua chiarezza abbiamo voluto citare per esteso, è piu volte citato dallo stesso
Benjamin.
127 Or. G. Lukks, Kommunismus 1920-21, trad. di M. Cacci.ari e G. Talpo,.
Padova, I 972, pp. 69-72 ( « gli intellettuali possono d.ivenrare dei rivoluzionari
solo come individui »). ·
128 Or. G. Luk~cs, Il marxismo e la critica letteraria, ttad. di C. Cases,
Torino, 1964, pp. 214-26.5.

228
l'oggettivo interesse u, di questi a tra-sformare il sistema produt-
tivo, di ooi questo apparato è parte e funzione nel medesi-
mo tempo.
Per questo, in De, Auto, als Produzent, Benjamin, negando
la sterile contrappo6izione in un prodotto artistico tra tendenza
e qualità (sostenendo anzi 1a stretta interdipendenza delle due),
afferma che il carattere rivoluzionario (o reazionario) di un'opera,
non sta tanto nella Weltanschauung che esprime, nella posizione
che assume di fronte ai rapporti di produzione di un'epoca, quanto
nella sua posizione all'interno di essi 130 • Il problema investe
« la funzione che l'opera ha all'interno dei rapporti letterari di
produzione di un'epoca» 131 , la stes6a « tecnica letteraria delle
opere» m.
L'accento è posto - piu che sul momento conclusivo della
produzione, sull'opera come prodotto compiuto - sul processo
stesso di produzione, sui mezzi adoperati: l'idealistico concetto
di creazione è scomposto materialisticamente in quello di processo
lavoratiivo. « Assistiamo - osserva Brecht - in tal modo al decli-
no dell'opera d'arte individualistica, declino inarrestabile e degno
pertanto di approvazione» 133 : « per arrivare al mercato un'opera
d'arte, che nell'ideologia borghese è considerata l'espressione ade-
guata di una personalità, deve venir sottopoota a una ben deter-
minata operazione che ha lo scopo di scinderla nei suoi ele-
menti» 134 •
Il « tempo» magico della creazione artistica è deritualizzato
e tende a divenire oggettivamente e soggettivamente, rompendo
129 « Le rivoluzioni effettive - scrive Brecht - non vengono ( come nella
storiografia borghese) prodotte dai sentimenti, ma dagli interessi.• (B. Brecht,
Gerammelle Werke, Bcf. 20, cit., p. !ii.3.)
llO Cos( che si può, senza difficoltà, riferire a Benjamjn quanto F. Masini
afferma a proposito di Brecht: in quest'ultimo infatti « 1a lotta di classe non
si accontenta, come accade in Lukacs, di "assistere" alla scissione tra un mondo
reificato e un ideale umanistico-progressista che continuamente lo contraddice,
ma passa attraverso le contraddizioni stesse• (P. Masini, Il realismo dialettico
di B. Brecht, cit., pp. 128-129).
131 AR, p. 201.
132 Ivi. « Con il termine "tecnica" - precisa Benjamin - ho indicato quel
concetto che rende i prodotti letterari accessibili ad un'analisi sociale diretta, e
quindi materialistica. Nello stesso tempo il concetto di tecnica offre il punto
d'attacco dialettico che consente di superare la sterile antitesi di forma e con-
tenuto.»
133 B. Brecht, Scrilli sulla le1tera1ura e sull'arte, eh., p. 87. Il caso piu
evidente portato da Brecht è il film, ma questo non è che l'espressione piu
chiara di una tendenza generale.
134 B. Brecht, Scritti sul/4 lelleralura e sull'arte, cit., p. 86.

229
la crosta della falsa coscienza delJ'intellettuale, tempo di lavoro
quantificabile e parcellizzabile.
;8 nella comprensione di questa tendenza storica, in cui il
« tempo qualitativo » della produzione intellettuale « tocca » il
potere effettivo della misurazione del «valore» sulle sue forme,
che si apre per gli intellettuali, spossessati del loro status tradi-
zionale, la ·possibilità di una critica pratica all'apparenza di natu-
ralezza (infinita ripetitività) del tempo vuoto del capitale: il rico-
noscimento cioè della sua determinata storicità; ed insieme a que-
sta, il problema di una connessione politica con quelle forze 50<:iali
che nel ,processo .produttivo sono interamente sussunte (come sem-
plici funzioni interscambiabili) sotto un tempo di lavoro
ast-ratto 135 •
-Il primo punto di attacco dialettico, ing,ranandosi nel quale
una tecnica artistico-letteraria contribuisce ad un progresso delle
forze produttive intellettuali e quindi ,provoca un corto circuito,
una contraddizione nel processo di rifornimento degli apparati di
produzione e di distribuzione, è dato da quel processo di fusione ( e
confusione) di generi e ,forme letterarie che fluidi.fica la cr.~talHu.a-
zione dei ruoli tradimonali, strumento di divisione ali'intemo della
stessa sfera del lavoro intellettuale. L'abbattimento pratico delle
barriere specialistiche che incanalano forme, modi e direzione della
produzione inteMettuale (abbattimento promosso dallo stesso svi-
luppo degli « specialismi ») offre la possibilità a coloro che l'agi-
scono di comprendere la loro « costituzione sociologica come qual-
cosa di unitario e determinato da condizioni materiali » 136 , il ca-
rattere antagonistico del dispiegamento delle loro potenzialità pro-
duttive nei confronti della organizzazione capitalistica del lavoro.
Cos( -Benjamin cerca di rispondere. 137 alle analisi che Weber
in WisJenscha/t als Beruf - all,inizio della repubblica weima-
rfana - aveva fatto del rapporto tra conformazione « 5pecialisti-
ca » del sapere moderno e condizioni della vita sociale. Se il destino
di « razionalizzazione e intellettualizzazione» delrepoca moderna
us « Non si deve piu dire che un'ora di un uomo vale un'ora di un altro
uomo, ma piuttosto che un uomo di un'ora vale un altro uomo di un'ora.
Il te~po ~ tutto, l'uomo non è piu niente; è tutt'al piu l'incarnazione del tempo.,.
(K. Marx, Miseria della filosofia, in Marx-Engcls, Opere complete. VI, a cura
di F. Codino, Roma, 1973, p. 127.) Su questo argomento si vedano le acute
osservazioni di H.J. Krahl, Tempo di lavoro: trascender.Jalil~ e capitale, trad. di
F. C.Oppcllotti, in Marx e la rivoluvone, Milano, 1972, pp. 159-170.
136 B. Brecht, Gesammelte Werke, Bd. 20, cit., p. 53.
137 C.Crto dalla partico]arc ottica dei problemi estetico-letterari, ma è evidente
che l'intenzione del suo discorso ha valenze generali.

230
si compie nell'inedito livello di specializzazione del sapere scienti-
fico, questo progressivo e qualitativo diffondersi dei risultati e
delle funzioni del lavoro intellettuale, trasformatosi in una plura-
lità di «tecniche» che sempre piu rapidamente incidono, razio-
nalizzandole, nelle forme della vita sociale, non si traduce -
agli occhi di Weber - in una « ·progressiva conoscenza generale
delle condizioni di vita che ci circondano » 138 • Il sempre piu
diretto intervenire del progresso tecnico-scientifico sulle forme dd-
la socializzazione non coincide con il socializzarsi del sapere stesso.
Il « disincantamento del mondo», che il processo di intellettua-
lizzazione ,produce, reca con sé un processo di non rischiaramento.
Il progresso « tecnico» non coincide con un progresso politico,
inteso nella sua accezione piu ampia. ~ nella stessa logica della
ricerca scientifica che, per Weher, tutto ciò ha origine: Io stadio
di specializzazione raggiunto dalle singole disdpline moltiplica al
loro interno i campi di competenze, specificando e separando ulte-
riormente la direzione del loro «progredire». Quel che Weber
non pare cogliere - forse solo perché assiste all'inizio dei nuovi
« sviluppi » dei processi che analizza - è la pluralità di contraddi-
zioni - potenziali e in atto - immanenti a queste tendenze sto-
riche. Questo è invece quanto Benjamin nel 1934 - e forse è
questo uno dei motivi della tragedia di Weimar: che tale discorso
sia fatto solo dopo la sua fine - cerca di mostrare. La constata-
zione che infatti -sottende l'analisi benjaminiana è che sono le stesse
nuove forme della vita sociale - diffusione dei mezzi di comunica-
zione di massa, moltiplicazione dei centri e delle forme di produ-
zione del sapere, nuovo « volto» delle città, ecc. - a produrre,
da un lato, l'intersecazione non armonica delle differenti « tecni-
che » e competenze intorno alla complessità oggettiva di inediti
problemi economico-sociali e politici, e, dall'altro, a innescare spin-
·te .sociali a rivedere la separazione tra produttori di sapere e desti-
natari degli« elletti » di questa produzione.
·Premessa del discorso benjaminiano è dunque che il « pro-
gresso tecnico » innesca la contraddizione e lo spazio di questa
contraddizione è la « tecnica stessa », i modi e la d-kezione della
sua trasformazione. Agire in questo spazio contraddittorio -significa
fare del « progresso tecnico» la « base di un programma poli-
tico» 139 • Perciò - questa sarà la conclusione di Benjamin
138 M. Wc:ber, Il l@oro intellet11'ale come professione, cit., p. 19.
n, Cfr. AR, p. 209.

231
l'intellettuale sarà solidale con il proletariato solo in quanto « spe-
cialista » 140 •
Il « teatro » -per eccellenza della fusione dei generi e forme-
letterari, ddl'.attraversansi e del convivere materiale delle diverse
competenze è il giornale: oltre al superamento delle « divisioni
convenzionali » i,nterne al lavoro intellettuale, è presente nella sua
stessa forma una tendenza a rivedere la stessa separazione tra auto-
re e lettore 141 • È proprio attraverso le -nuove condizioni tecnico-
produttive delJ.a stampa, ed in particolare del giornale, del resto,
che l'autore è trasformato in ·produttore. Una -prassi intellettuale
veramente innovatrice, cogliendo la portata « storica» di questa
tendenza, misura la sua efficacia nella capacità che ha di « avviare
alfa .produzione altri produttori » 142 , di « promuovere la socia-
lizzazione dei mezzi spirituali di produzione » 143 , di migliorare
un apparato di produzione ·(stampa, teatro, ecc.) fino a « trasfor-
mare lettori o spettatori in collaboratori » 144 •
iMa .Ja comprensione di questa « -tendenza » - che muta la
funzione stessa del linguaggio, anzi dei linguaggi: dai diversi « sti-
li » di scrittura a quelli di produzione dell'immagine (fotografica),
ponendo il problema di un ,rapporto produttivo tra di essi -
implica « vedere » i rapporti di produzione entro cui questa ten-
denza si esprime storicamente e dentro di essi « lavorare ». Signi-
fica riconoscere quando questi stessi« rapporti » bloccano lo svolgi-
mento effettivo di ts:li ttendenze, che infine « nell'Europa occiden-
tale il giormde non rappresenta ancora un valido strumento cli
produzione nelle mani dello scrittore. Esso appartiene ancora
al capitale» 145 • Qui sta la difficoltà per gli intellettuali, che« sotto
la -pressione dei rapporti economici abbia[no] realizzato uno svi-
luppo rivoluzionario a livello di opinione, di -fede politica » 146 ,
140 Ivi, p. 216.
141 C.Ontenuto dd giornale è, nota Bcnjamin, « una "materia" che rifiuta
qualsiasi altra fonna di orianizzazione fuorché quella che ]e impone l'impazienza
del lettore. E questa impazienza non è solo quella dd politico che aspetta un'in-
formazione o quella dello speculatore che aspetta un pronostico, ma dietro di
essa cova quella dell'escluso che crede di aver diritto a prendere la parola in
difesa dei propri interessi. Ole nulla leghi il lettore al suo ~iomale come questa
impazienza che pretende ogru giorno nuovo nutrimento, è un fatto che le redazioni
haMo sfruttato da tempo, dedicando sempre nuove colonne alle sue domande,
opinioni. proteste » ( AR, p. 203).
142 lvi, p. 212.
Hl Ivi, p. 216.
1-tt Ivi, p. 212.
145 lvi, p. 204.
146 lvi, p. 205.

232
di prender coscienza effettiva del condizionamento sociale dei pro.
pri mezzi prcxluttivi e quindi del proprio compito politico. Di tra-
sformare effettiwmente in senso rivoluzionario il proprio lavoro, la
propria tecnica 147 • Per quanto rivoluzionarie possano essere le loro
convinzioni, per quanto possano essere ideologicamente solidali con
il proletariato, la funzione politica che svolgono è reazionaria. Qui
sulla questione della « tecnica » e della sua « trasformazione», Be-
njamin, in una dura requisitoria, vede naufragare le principali
correnti letterario-progr~iste del pensiero we.imariano. I dibattiti
all'interno del B:PRS su tendenza ,politica e qualità letteraria, come
1a pubblicistica « 1inksradical » dei Kastner, dei Mehring, dei Tu-
cholsky, che si esprimeva sulle colonne della W eltbuhne 141•
L'Aktivismus 149, come la Neue Sachlichkeit; la « cultura del-
l'es.pressione », dunque, come quella della « razionaJizzazio-
ne» 1so.
La posizione degli Hiller, degli H. Mann, dei Doblin è con-
trorivoluzionaTia perché allo sviluppo della T echnik essi sanno op-
porre solo le ragioni della Kultur come Expression, il primato
dei Geist, la « logoorazia ». E questo, necessariamente, al di fuori
dei rapporti storici di produzione che definiscono questo « svi-
luppo». Ma ~ il posto dell'intellettuale nella lotta di classe può
essere stabilito o meglio scelto solo sulla base della sua posizione
nel processo produttivo » 151 • Per trailformarlo, per agirne la crisi
non semplicemente per rifornirlo. Perciò altrettanto dura è la con-
danna del movimento della Neue Sachlichkeit. Questa agisce sem-
147 lvi.
148 Se circa ]e posizioni degli intellettuali comunisti o filocomunisti Bcnjamin
esprimeva il suo dissenso piu velatamente ( cfr. AR, pp. 199-201), la produzione
degli intellettuali radicali di sinistra, definiti « mimetizzazione proletaria della
borghesia in sfacelo», l'aveva già ferocemente criticatll in Linke Melancholie,
pubblicato ncl 1931 su Die Gesellschaft ( cfr. ivi, pp. 168-172).
149 Per questo si veda anche Der Irrtum des Aktivismus ( 1932), in GS, III,
pp. 3.50-3.52; nello stesso anno Bcnjamin si era occupato di Kriefl. und Krieger
di E. Jiinser, in Tbeorie des deutschm Pascbismus, pubblicato in Die Gesell-
scba/t e ora in GS, III, pp. 238-250. (Questo scritto nella sua prima pubbli-
cazione sul n. 30 di Das Argument, n. 3, a. 6, ottobre 1964, pp. 129-137, fu
censurato da Adorno nei suoi conclusivi riferimenti alla necessità cli una guerra
civile.) Su Jiinger in rapporto al problema dclla tecnica si veda il recente saggio
di F. Masini, Ideologia borghese e critica della mftura, in A:\.VV., Cultura e
cinema nella Repubblica di Weimar, Venezia, 197~, pp. 67-86.
150 Si veda per quest'ultima distinzione T. Maldonado, Le due anime della
cultura di Weimar, in AA.VV., Cultura e cinema nella Repubb/io, di Weimar,
cit., pp. 87-94; su questa tematica si veda ora, a cura dello stesso Maldonado, la
recente antologia: Tecnica e cultura, Milano, l:979.
151 AR, p. 207.

233
plicemente nella linea della &ztionalisierung consacrandola 1 usa
tecniche come il reportage e la fotografia 152 solo per intratte-
nere il pubblico; fa degli strumenti ed effetti della &ztionalisie-
rung degli oggetti di consumo1 limitandosi a .far circolare contenuti
apparentemente l'ivoluzionari. « L'apparato borghese di produzio-
ne e pubblicazione - nota Benjamin - può assimilare, e anzi
diffondere quantità sorprendenti di -temi rivoluzionari, senzà per
questo mettere seriamente in questione la propria esistenza e l'esi-
stenza della classe che lo possiede. » 153 Non si tratta quindi
di far permeare la « cultura della razionalizzazione » da quella
dell'« espressione», come per Bloch 154, di trovare un aureo punto
di me.diazione e di equilibrio tra le due tendenze, ma di riconoscere
come lo stesso processo di razionalizzazione è apparentemente uni-
lineare1 mentre effettivamente esprime crisi, contraddizioni; cela
in sé un tempo complesso, che bisogna mostrare, mettere a nudo,
aHerrare. Afferrare, in conclusione 1 la « dimensione storico-con-
flittuale » dello « sviluppo delle tecniche » 155 •
Se in tutto questo la lezione dell'avanguardia è evidente -
Benjamin parla esplicitamente del.Ja « forza rivoluzionaria del da-
daismo» nel « mettere alla prova l'autenticità dell'arte» 156 -
il discorso benjaminiano non si risolve ingenuamente nel proporre
una saldatura tra aivanguardie tout-court e processo rivoluziona-
rio 157 • Significativi sono, in tal senso1 i concreti esempi positivi
addotti da Benjamin: Tretjakov 1 J. Heartfield, Eisler e soprattutto
Brecht. Solo in quei casi dove, operando nelle fratture individuate
e provocate daHe avanguardie, si giunge ad uno sviluppo effettivo
dei diversi linguaggi, ad una loro efficace integrazione 1511 , si rea-
lizza una trasformazione ·« interessata all'emancipazione dei mezzi

W Or. ivi, pp. 208-209.


m Ivi, pp. 207-208.
Or. T. Maldonado, saggio cit., p. 92.
1.5'
155Cfr. M. Cacciari, Di alcuni motivi in W.B., cit., p. 239; del tutto errata,
per questo, ci sembra la lettura che Tiedemann fa di questo saggio nel suo Die
Ku,ut in anderer Leute Kop/e zu denken, cit., pp. 202-203. Tiedcmann giudica
del tutto negativamente il carattere mediato del rapporto tra specialista e prole-
tariato. Per questo - poiché ogni produzione artistica si consumerebbe nella
nostalgia di rapporti incontaminati dalla divisione del lavoro, nel ricordo di
un'« esperienza non mutilata• - la «vera» solidarietà « dell'autore producente
con il produttore proletario » sarebbe data dalla memoria e dalla speranza di un
mondo liberato. Cos( non si comprende niente delle tesi benjaminiane sulla tecnics
e si fa concludere il suo discorso in una grande impotenza.
J56 AR, p. 208.
157 Come sembra invece sostenere C. Cases nella nota introduttiva a AR.
151 Cfr. gli esempi del rapporto saittura-imrna1ioc e musica-parola in AR,
pp. 209-210.

234
di produzione, e quindi utile alla lotta di classe » 159 • E qui sta,
per Benjamin, la centralità della categoria brechtiana di Umfunk-
tionierung, vero ed unico tramite di congiunzione tra lo sviluppo
e la trasformazione delle differenti tecniche e la strategia com-
plessiva del proletariato.
Solo nella comprensione di questi -processi e con la formula-
zione di queste proposte ci si poteva porre all'altezza dei muta-
menti strutturali imposti al lavoro intellettuale dallo .sviluppo capi-
talistico, - e qui l'isolamento cli Benjamin, l'« eccezionalità» del
suo discorso testimoniano certo le profonde carenze nella politica
culturale e generale dei partiti operai lungo tutti gli anni venti, -
si poteva svolgere una funzione rivoluzionaria in essi ed affinare
cos{ le armi nella lotta contro il fascismo.
« Lo spirito che parla in nome del fascismo deve necessaria-
mente scomparire. Lo spirito che gli si oppone fidando nella pro-
pria forza miracolosa scomparirà. Poiché la lotta rivoluzionaria
non si svolge tra il capitalismo e lo spirito, ma tra il capitalismo
e il proletariato. » 160 Cosf ·Benjamin non anticipava soltanto l'ap-
pello - « Compagni, patiliamo dei rapporti di proprietà» - che
Brecht un anno dopo ,pronuncerà a Parigi, ma, indirettamente,
rispondeva anche alla conclusione - « soltanto lo spirito è immor-
tale » 161 - della conferenza su La filosofia nella crisi dell' uma-
nità europea che Husserl il 7 e il 10 maggio 1935 avrebbe tenuto
al Kulturbund di Vienna.

B. Eingreifendes Denken. All'inizio di quella « lunga via»


che l'intellettuale deve ,percorrere tper giungere ad una critica radi-
cale dell'ordine sociale 162 sta, come condizione preliminare, e,
al contempo, strumento -princeps di quel processo di smantella-
mento della « struttura» della propria Bildung (non fatto mera-
mente individuale ma « concrezione »-tradizione della Kultur), di
operazione di· scucitura di quel tessuto, che, piu di ogni altro,
connette l'intellettuale al:la -propria classe di origine; sta, dicevamo,
la messa in questione della tradizionale disposizione e funziona-
mento del mezzo di produzione intellettuale per eccellenza: il pen-
159 Ivi, p. 207.
160 Ivi, pp. 216-217.
161 Or. E. Husserl, Lz crisi delle scienze europee e la fenomenologia lra-
scendentale, trad. di E. Filippini, Milano, 1961, p. 3.58.
162 Or. AR, p. 72.

235
siero. Anch'esso, e prima di ogni altra cosa, va analizzato come
tecnica, oggettivato in çomportamento 16J: dalla misura di tutto
questo discende ,la possibilità di convertire il processo di smantella-
mento della Bildung in un diverso« montaggio» dei suoi elementi,
utilizzabile ai fini della lotta di classe; di intrecciare cos{ momento
di.struttivo e momento costruttivo nel« pensare».
Con una bellissima immagine Benjarnin, nel saggio su
Fuchs 164 , esprime questo processo proprio del pensiero dialet-
tico, mentre critica il metodo della Kulturgeschichte · alla quale
- per l'essere chiusa nella falsa apparenza della propria autono-
mia - manca il momento distruttivo: « Certo essa (la Kultur-
geschichte) accresce il peso dei tesori che gravano sulle spalle
dell'umanità. Ma non dà a quest'ultima la forza di scuoterseli
di dosso, ,per poterli in tal modo afferrare e impadronirsene » l6J.
Non è un caso dunque, ritornando al punto da cui siamo
partiti, che in Brecht vi sia una preoccupazione costante di de-
finire un « modo di procedere» del pensiero, una .prassi, oppo-
sta a quella -idealistico-borghese ·puramente contemplativa, che, nel-
la sua i)assività, non va mai oltre una mera consacrazione dell'esi-
stente. Questo è da Brecht definito il « pensiero senza conseguen-
ze {naturalismo puramente intuitivo, Eenomenologia, pura tecni-
ca e cosf via) » 166 , che non è in grado di « agire » nelle con-
163 Sul « Denken als Verhaltcn,. si vedano le note di Brecht, in Gesammelte
Werke. Bd. 20, cit., pp. 166-168 e 170-171.
161 Questo saggio, pubblicato nel 19.37 sulla Ztitschrift fiJr So:dal/orschung,
~ importantissimo non tanto per il suo oggetto: « il collezionista e lo storico
Eduard Fuchs », quanto per l'essere una anticipazione e talvolta una chiarifi-
cazione delle riflessioni sulla «storia», che saranno o~etto delle Tbtsen. Per
ulteriori notizie su questo saggio dr. GS, II, 3, pp. 1316-1318, che pubblica
anche, alle pp. 1318-13.5.5, la corrispondenza tra Horkheimer e Benjamin circa i
mutamenti da apporre al saggio prima di essere pubblicato: qui - come si può
vedere alle pp. 1331-1337, nella lettera di Horkhcimer, e alle pp. 1344-134.5, in
quella di Lowenthal a Benjamin - le proposte di correzione ( dettate da motivi
tattjco-politici o teorici) sono puntigliose e pignole fino a suonare penose per
chi le ha fonnulatc. In queste pagine si documenta anche ampiamente la difficile
situazione economica di Benjamin al tempo della stesura del Fuchs e le pressanti
richieste ai responsabili dell'Jnstitut fur Sozialforschunr. per un piu cospicuo
appoggio economico alla sua attività. Appoggio che dl'I resto, in quel rn.-riodo,
era l'unico di cui Benjamin poteva disporre. E da notare ir,fine che nel te ·ro del
Fuchs, ora pubblicato in GS, II, 2, pp. 46.5-.50.5, i curatori hanno ·~in, :1:to il
periodo iniziale sul « recente passato» della « marxistischc Kunstth .. ,1-:t: ... , che
senz'altro era stato tolto dal testo apparso sulla Z/S senza l'accordo di Benjamin.
Clr. GS, II, .3, p. 135.5.
165 Eduard Fuchs de, Sammltr und der Historike,, in OA, p. 92 (la tra-
duzione è stata lievemente modificata).
166 B. Brecht, Gesammelte Wcrke, Bd. 20, cit., p. 166.

236
traddizioni ohe si trova dinanzi, ma solo di rispecchiarle senza
vergogna ,(schamlos).
Questo tipo di pensiero è quello «liberale», che, se di fron-
te al progresso industri.aie ha una funzione promo:monale, si mostra
poi incapace di coglierne le contraddizioni e di renderle feconde: l'at-
tività della ragione in esso si muove « al servizio della Rationa-
lisierung, che· sta al servizio del profitto» 167 ; è iJ pensiero che
di fronte al fascismo subisce una « completa Entwertung », cozza
11ei suoi limiti di classe senza trame alcuna conseguenza.
A questo « atteggiamento » del pensiero Brecht oppone la
-«dialettica», « un metodo di pensiero (Denkmethode) o piut-
tosto una .serie coerente di metodi intelligibili che permette di
-sciogliere certe rigide ·rappresentazioni e di far valere la prassi
entro le ideologie dominanti » 168 • Questo pensiero è un eingrei-
fendes Denken (,pensiero che s'ingrana, che interviene), che non
-si limita a rispecchiare Ja realtà, a registrarne le contraddizioni
- il suo oggetto non dimentica di essere esso stesso fattore de-
terminante del processo che ha di fronte 169 - ma « s'innesta
-e s'ingrana in essa, appunto perché il suo sistema di ,riferimento
comporta la dialettizzazione delle contraddizioni, l'esercizio della
'l'eale .possibilità di trasformare queste contraddizioni in contraddi-
-zioni rovescianti » 170 •
Un tale impianto - dato dalla radicale opposizione tra pen-
-siero « contemplativo » e pensiero dialettico - pur se munito
di maggior rigore e ben piu articolato internamente (in riferi-
mento soprattutto alla tematica della storia) è in pari modo pre-
s~te in Benjamin, cos{ da costituire il nucleo metodologico del
suo «materialismo». Una prima lucida formulazione di tale op-
posizione, ripresa negli anni successivi {specie -nel saggio su Fuchs
e nel Passagenwerk), la troviamo in una recensione, del '30, al
libro di W. ·Hegemann, Das steinerne Berlin. Individuando nel-
l'inattuale « fanatismo democratico » dell'autore, nel suo ]acobi-
nertum, il metodo politico dell'Aufkliirung e cioè « critico fino
al midollo (durch und durch). Ma in alcun senso smascherante
(entlarvendes) » 171 , cos{ conclude: « Non come un astratto ne-
,gativum, come un controesempio, può stare di fronte a noi ciò
167 Ivi.
161 Ivi, p. 1.52.
169 « Se tu parli di ciò che determina un processo, allora non dimenticare
:te stesso come uno dei fattori determinanti! • (Jvi, p. 70.)
1'70 F. Masini, Il realismo dialellico di B. Brecht, cit., p. 122.
m GS, III, p. 263.

237
che vogliamo distruggere. Cosi esso può apparire per dei momenti
sotto 11,illuminante lampo dell'odio. Ciò che vogliamo distruggere
non lo si deve solo conoscere, ma lo si deve, per produrre l'intero
lavoro, aver sentito. O, come dice il materialismo dialettico: mo-
strare tesi e antitesi è bene, eingreifen però può solo chi indi-
vidua il punto nel quale l'uno si rovescia nell'altro, allora il Po-
sitivo nel Negativo e il Negativo nel Positivo coincidono. L'Au/-
kliirer pensa per contrapposizioni ( in Gegensatzen). Pretendere
da lui la dialettica è forse ingiusto » 172 • E, del· resto, solo allo
« sguardo dialettico è riservato l'aspetto inte11no ·(das Innere) del-
fa storia » m _
Certo qui il pensare « in Gegensatzen » de1l'Aufkliirung non
è da identificar&i in alcun modo con l'atteggiamento contempla-
tivo proprio dello Historismus (il cui carattere apologetico nei
confronti della I(( tradizione » è ,palese), ma, forse proprio per que-
sto, il fatto che ad un Verhalten « eroico >> del pensiero sia oc-
cluso 1'eingreifen nelle contraddizioni di quanto considera, sotto-
linea con forza la peculiarità del pensiero dialettico benjaminiano,
il suo carattere inedito; e, intanto, pone qualche dubbio sulla
tesi di Adorno (e di Habermas), secondo cui la filosofia benja-
miniana Tappresenterebbe l'ultimo tentativo di unire misticismo
e illuminismo 174 •
Definire ulteriormente cosa significhi il dialektisches Den-
ken di Benjamin è quanto mai problematico. Nonostante qualche
espressione che può trarre in inganno, esso non si lascia tradurre
facilmente nella tradizionale accezione hegel~marxista del termi-
ne, quale lo stesso Benjamin ebbe a conoscere. Né le pagine di
Brecht - seppur possono dirsi contenute nella prospettiva benja-
miniana - ne esauriscono il ~enso. Troppo concisi del resto so-
no i ,peraltro assai scarsi riferimenti benjaminiani alla dialettica.
Senz'altro questi escludono - insieme a tutta l'opera di Benja-
min - la possibilità di una dialettica-sistema, di un pensiero dia-
lettico ohe ,restauri sintesi. ~ la ,stessa immagine di totalità che
è andata assai presto in frantumi nella produzione benjaminiana.
Il riferimento al « pensiero dialettico » perciò è tutto e consa-
172 lvi, p. 26.5.
173 Ivi, p. 263.
174 Cfr. Th.W. Adorno, Charaltteristile W.Bs., trad. di C. Mainoldi, in Prismi,
Torino, 1972, p. 247 («nel paradosso della possibilità dell'impossibile, per l'ul-
tima volta si sono ritrovati insieme in lui misticismo e illuminismo»), e J. Haber-
mas, Bewusstmachende oder rettende Krililt, in Zur Aletualitiil W. Benjamins,
cit., p. 207.

238
pevolmente dopo il negatives Denken. Se a Benjamin è certo estra-
neo un modo di pensare metafisico - allorché si intenda « clas-
sicamente », in tutta la forza della sua tradizione, un tale con-
cetto - la sua Denktechnik non si inquadra nemmeno in quel
rapporto tra necessità e effettuazione determinata della forma ana-
lizzato da Nietzsche nella connessione Ratio-Wille zur Macht 175 •
Benjamin non contesta certo il potere effettivo del formalismo
della ragione, potere che si e&!)l'ime in un infinito processo di
logicizzazione del mondo, che nasce da immanenti conflitti e pro-
voca a sua volta contingenti contraddizioni. Ma cerca di insediar-
Bi in quel dominio dell'apparenza che solo rende possibile il po-
tere della Forma 176 • Non certo ,per svelare relazioni « essen-
ziali » dietro di essa, ma :per spezzare la naturalità che in essa
si è prodotta; per frangere il carattere « mitico » del suo domi-
nio, most,rare Ja trans...funzionalità del processo che esprime. Pe-
netrare l'apparenza coincide cos{ in Benjamin non nell'oltrepas-
sarla, ma nel mandarla in frantumi.
In una recensione di poco posteriore ,a quella del libro di
Hegemann, Theologische Kritik. Zu Willy Haas, 'Gestalten de,
Zeit 111 , Benjamin nota che ~n quest'opera la teologia ha pian-
tato la ·sua tenda « in vicinanza di uno dei suoi oggetti piu cari,
dell'apparenza» 171 • E - nella prospettiva di Benjamin - per
distruggerla, per liberare le forze, il «vivente» che tale appa-
renza raggela, blocca miticamente nella linea (o nel circolo) del
suo tempo. Se l'atteggiamento teologico costituisce il polo oppo-
sto di quello materialistico, la corrente che si ,sprigiona dalla lo-
ro polarità origina l'impclso distruttivo. Per questo nel saggio su
Fuchs Benjamin insiste ,suHe conseguenze nefaste (teoriche e politi-
che) di un oblio del « momento distruttivo della dialettica » 179 •
Questo« garantisce l'autenticità del pensiero dialettico come l'auten-
ticità dell'esperienza del diaJettico » ,ao_
La « distruzione » come atteggiamento del pensiero e del-
1'esperienza presuppone la rinuncia all'utopia di una naturale im-
175 Or. M. Cacciari, Krisis, cit., pp. 56-70.
176 Dominio che, secondo Benjamin, permane tutto nel « pensiero » del·
l'Eterno Ritorno: « il vivere nell'ambito dell'Eterno Ritorno procura un'esistenza
che non esce dalla sfera dell'Auratico » (Konvolut D, BI. 10 dd Passagenwerk
ms. incd., cit. in R. Ticdcmann, Die Kunst, in anderer Leute Kop/e zu Denken,
cit., p. 192).
111 Or. GS, Ili, pp. 27.5-278.
178 Ivi, p. 276.
11t Cfr. OA, pp. 89-92.
uo Ivi, p. 92.

239
mediatezza nella quale si offrirebbe il materiale da trattare. Sem-
pre questo è ammantato dal concetto, come dall'aura particolare
che avvolge gli oggetti in un processo conoscitivo; sempre è me-
diato. Spezzare questa mediazione - che il negatives Denken ha
smascherato nella &ua soggettiva parzialità, nel suo essere inchio-
data all'apparenza, nel quale esso opera per affermarsi, per tra-
sformare - è il compito distruttivo della « dialettica » benja-
miniana. La riuscita cli esso consiste nel mostrare il carattere « co-
struito» dell'effettualità: « Die Wirchlichkeit ... ist eme Konstru-
ktion » 181 • E contemporaneamente nel destrutturare, nel porre
in movimento quanto appare fissato, ipostatizzato nella media-
zione, che vela la processualità della Wirchlichkeit. Sfamo qui ben
lontanti dal semplice mimetizzarsi nell'oggetto proprio della My-
stik o daH'illuminarne la composizione proprio dell'Aufklarung.
La mimetizzazione nel « materiale » in Benjamin è sempre già una
trasformazione, anche quando quest'ultima consista semplicemente
nel « farlo parlare», liberandolo dalla mutezza che vi aderiva co-
me un destino. E l'illuminazione è sempre frantumazione, distru-
zione. Mutamento cli un'immagine, che tende a trasformare quan-
to in eS6a è raffigurato, ciò ohe vi appare. Cos{ il « pensiero dia-
lettico » benjaminiano non si attesta mai nella mediazione, non
ritrova in essa il proprio centro, ,perché verità - per esso -
è il «senza-intenzione». La .forma del « senza-intenzione», co-
me si presenta •nelle ultime opere benjaminiane, è dinamica, è
legata ad un prezioso seme temporale che spezza la dura scor-
za che lo nasconde alla luce, -iiorché ìl « materialista storico•
abbi.a trovato il terreno fecondo ove deporlo. « Essere dialetti-
ci significa avere nelle vele il vento della storia. Le vele sono
i concetti. Non è sufficiente però dispo11re delle vele. L'arte di
saperle svolgere è ciò che è decisivo. » 182 Il concetto non scom-
pare certo dall'orizzonte del pensiero benjaminiano, è usato in
esso, cos{ come la mediazione è momento transitorio del suo mo-
Vlimento « costruttivo ». Il non ricondursi poi di queseultimo nel-
l'alveo di costrittivi tracciati teleologici è dato dalla precarietà
delle forze di cui si alimenta e dalla sua completa immanenza
ad esse. Queste sono costituite solo dai frammenti che il « mo-
mento distruttivo » del pensiero ha prodotto e insieme << libera-
to». ~ solo dalle disperse macerie, dalle scorie die rimangono
111 Bcnjamin qui cila assentendo Kracaucr, cfr. GS, 111, p. 226.
I&: Konvolut N. BI. 9 del Passag~nwerk, citato da R. Tiedcmann in Noti~
zu einem F,agment Bs., in Kursbru:b, n. 20, maao 1970, p. 9.

240
delle lacerazioni che il pensiero ·pratica nell'apparenza che avvin-
ghia e abbacina la storia, che si apre quel laboratorio sperimen-
tale di costruzioni possibili nella « waste Land » del presente.

C. Operare nella tradizione. « Se per il materialismo storico


il concetto di cultura è un concetto problematico, lo scindersi
della cultura in un complesso di beni diventati per l'umanità og-
getti di ,possesso è di per sé un'idea inconcepibile. L'opera del
passato non è per esso un'opera conchiusa. Egli non la vede ca-
dere in grembo a nessuna epoca ,(e in nessuna sua parte) come
una cosa da maneggiare. Considerato come la quintessenza [ In-
begriff, a-nche: insieme] di formazioni considerate indipendente-
mente, se non attraverso il iprocesso di produzione attraverso il
quale si sono generate, perlomeno da quello in cui continuano
a durare, il concetto di cultura mantiene per il materialismo sto-
rico un aspetto feticistico. La cultura gli appare reifi-
cata [ c.n.]. » 183 Non è in questione, qui, semplicemente la chiu-
sa autonomia cli un «dato» culturale, non si tratta solo di di-
svelarne le connessioni profonde col contesto storico in cui è sor-
to, di metterne a nudo le matrici di classe e la funzione effet-
tivamente esercitata nella società in cui ha visto la luce. J.l bi-
sturi del pensiero dialettico deve, per Benjamin, operare piu in
profondo - per lacerare la feticistica apparenza di un~ cultura rei-
ficata in oggetto di possesso, in bene di consumo, nei confronti
del quale resterebbe solo da operare un passaggio di proprietà dalla
borghesia al proletariato, da ampliare il numero dei « frui-
tori » 114 • Deve cioè cogliere un « fenomeno culturale » nella sua
origine, nel senso che questo termine ha nella Vo"ede del Trauer-
spielbuch, nella sua « Vor-und Nachgeschichte » 115 • In discussio-
ne è, qui, la stessa Tradizione attraverso la quale un'opera e un
autore viene tramandato: solo sottoponendo anche questa a un
impietoso vaglio critico è ,possibile eingreifen nelle contraddizio-
ni interne alla Kultur, non rassegnarsi a che il passato si sia chiuso
definitivamente su di esse.
~ in un frammento metodologico appartenente al lavoro su

111 OA, p. 91.


114 Cfr. B. Brecht, Gesammelte We,lte, Bd. 20, dt., p. 90.
115 Nd saggio su Fuchs Benjamin, in nota, fa esplicito riferimento al Trauer-
spielbuch, attraverso una citazione senza ulteriori commenti, che inserisce però
la categoria di Ursprung in un contesto teorico «materialistico,._ Cfr. OA, p. 116,
nota 3.

241
Baudclaire 116 che Benjamin delinea, con piu chiarezza, la ne-
cessità di sottopotte ad un processo critico-dialettico la « tradi-
zione » culturale della società borghese.
Attraverso una suggestiva metafora è definita la prima stra-
da metodologica da non seguire in un approccio a Baudelaire: quel-
la contemplativo-empatica della critica borghese. « Esaminare la
"cosa in sé" è veramente allettante. Essa - nel caso di Baudelai-
re - si presenta rigogliosa (uppig). Le fonti fluiscono a volontà
e dove esse si ·riurùscono nella corrente della tradizione, allora
si aprono dei pendii ben tracciati, tra i quali essa, per quanto
si possa vedere, SC01Te interamente (voll). » 117
La « teoria critica» 181 , afferma Benjamin, non si perde a
questo spettacolo, non si ferma a contemplarlo (« Non cerca in
questa corrente l'immagine delle nubi »), né, tantomeno, si allon-
tana da esso « per bere "alla fonte" »; ma si chiede: « Di chi
è il mulino che spinge questa corrente? Chi pesca in essa? ». E
individuando insieme alle forze fisiche pure quelle sociali che in
questa «corrente» sono all'opera, cambia la stessa immagine del
«paesaggio». Anzi « essa ,(la teoria critica) può non solo mu-
tare la sua immagine, ma anche questo stesso (il paesaggio), men-
tre, sebbene a una lunga scadenza, utilizza l'inclinazione della cor-
rente per quelli che finora non potevano nemmeno scorgerla » 119 •
La seconda •posizione che Benjamin combatte è quella « vol-
gar- marxista», intrisa di •positivismo, che, illudendosi di poter
determinare la funzione sociale di un prodotto sia materiale che
« spirituale » « a prescindere dalle circostanze e dai veicoli della
sua tradizione » 190 , oscilla tra una accettazione acritica del co-
siddetto « .patrimonio culturale » e un rifiuto adialettico di que-

1• Questo frammento (che per una aut<><itazionc del saggio su Fuchs pos-
siamo collocare dopo il 1937) è stato pubblicato per la prima volta, a cura di
Ticdemann, in Kursbuch, n. 20, marzo 1970, pp. 1-3, col titolo Fragment uber
Melhodtm/ragen einer marxistischen Literatur-Analyse, e ora si trova, edito in forma
storico-critica, insieme alla pubblicazione di una pr1ma stesura di esso, in GS, I, 3,
pp. 1,159..li167. Per comodità, in seguito, citeremo il Frammento secondo l'edizione
apparsa in Kursbuch.
187 Fragmenl, in Kursbuch, cit., p. 1.
188 Nelle due stesure del Frammento v'è un oscillare tra l'espressione « kri-
tischc Theoric ,. e « historischc Materialismus i., che fa supporre che Benjamin,
in questo periodo, identificasse le due cose. Non bisogna, poi, dimenticare che,
in una lettera del 10 agosto 1937 a Horkhcimcr, Bcnjamin dichiara la sua com·
pleta « Zustimmung » col saggio di Horkheimcr, Traditionelle und ltritische Tbeorie.
Cfr. BR, p. 736.
119 Fragment, in K.Mrsbuch, cit., p. 1.
1911 Ivi.

242
sto. Quel che sottende queste ultime due posizioni del Vul-
gir--Mancismus, cosi apparentemente distanti quanto realmen-
te complementari, è l'incapacità di cogliere quelle fratture, quel-
le «intaccature» all'interno di una determinata tradizione, che
rendono possibile una sua diversa valorizzazione, in defini-
tiva l'inettitudine a vedere il tempo complesso e stratificato che
essa racchiude. Benjamin quindi vuol operare all'interno del-
la « tradizione », ·non astrarsi da essa, inserirsi nelle maglie del-
la sua complessità storica non tanto o non solo per amore di
una considerazione storica piu avveduta - consistente nel con-
siderare l'opera di un autore nella sua Wirkungsgeschichte, nel-
la dinamicità trasformante-trasfigurante impressagli dalla tradizio-
ne storie.a che lo porta con sé - quanto per rilevare la contraddi-
zione, il confHtto tra gli interessi sociali di questa tradizione e
l'autore (in questo caso Baudela1re), che essa consegna al pre-
sente 191 •
C.Onfrontare direttamente Baudelaire con la società attuale,
per sapere cosa abbia da dire ai suoi « progrediti quadri », se
pure fosse possrbile, è infruttuoso: « contro di ciò parla la cir-
costanza ohe noi nella lettura di Baudelaire siamo stati istruiti
proprio attraverso la società borghese e precisamente già da .un
bel pezzo non ,proprio dai suoi piu progrediti elementi » 192 • Dal-
la diffidenza verso questo tipo di istruzione nasce la possibilità
cli trasfomnare l'immagine di Baudelaire tramandata, e di muta-
re l'uso della sua opera.
Assai piu ifecondo che liquidare Baudelaire dal « punto di

191 C.On quest'altra stupenda metafora Benjamin esprime questo concetto:


« La tradizione della soderà borghese si lascia paragonare ad una macchina foto-
grafica. Il dotto borghese vi guarda dentro come fa il profano, che si rallegra alla
vista delle variopinte immagini nel mirino. Il dialettico materialista (matcrial.i.stischc
Dialcktiker) opera con essa. Suo compito è fissare ·l'immagine. Egli pub ricercare una
inquadratura piu grande o piu piccola; sccglicrc un'esposizione (Belichtung) politica
piu contrastata (grellere) o una storica piu smorzata (gedimpftcre) - alla fine
toglie la sicura e "scatta". Una volta che ne ha estratto la lastra (Die Piatte) -
l'immagine delle cose, come entrò nella tradizione sociale - allora il concetto
afferma i propri diritti cd egli la sviluppa. Poiché la lastra può solo offrire un
negativo. Essa nasce da un apparecchio, che mette ombre al posto della luce,
e luce al posto delle ombre. Per un'immagine cosf ottenuta niente sarebbe peggio
del pretendere per sé una definitività. La sua vivezza è apparente e il suo valore,
in modo del tutto certo, non poggia su di essa. lnapparente, ma autentico, è però
il conflitto in cui, in un caso determinato, stanno gli interessi sociali de1la tra-
dizione con l'oggetto che viene trasmesso. Il valore dell'immagine ottenuta si
fonda piuttosto nel presentare il rappresentato come testimone contro la tradi-
zione, che la sua immagine ha richiamato sulla lastra » ( ivi, p. 2).
192 Ivi.

243
vista del proletariato» è confrontarlo con la sua classe, « segui-
re le sue manovre, là dove senza dubbio è di casa: nel campo
dell'avversario» 193 • Dove come agente segreto, « agente della
segreta scontentezza della sua classe verso il suo proprio domi-
nio» 194, può essere usato come innesco per far saltare molte sicu-
rezre (tanto «borghesi», quanto «marxiste»).
Qui la strada di Benjamin diverge da quella di Brecht, che
di Baudelaire dà un giudizio opposto a quello benjaminiano 195 ;
qui si apre un terreno di ,ricerca - quello del Passagenwerk -
che Benjamin percorrerà interamente da solo.

193 Ivi, p. .3.


l9t lvi.
1" « Egli [Baudelairc] non esprime affatto h- sua epoca, non ne esprime
neanche un decennio.• (B. Brecht, Scrilli sul/4 letteratura e sull'arte, cit., p. Z'12.)
Gli appunti su BaudcJaire, da cui citiamo questa frase brechtiana, sono sorti
probabilmente - come nota il curatore delle Schri/ten :iur Literatur und Kunst:
W. Hecht - dopo colloqui con Bcnjamin e in polemica con lui.

244
Nota 3: Aura, tecnica e storicità della pen:ezione

Del citatissimo Kunstwerk im Zeitalter seine, Reproduzier-


barkeit 1, raramente, ed in particolar modo in Italia, se ne è col-
to il « basso ostinato», sui mutamenti strutturali verificatisi nel-
la forma dell'accadere storico e della sua apprensione, che percor-
re tutto il saggio e solo rende possibili le analisi dei mutamen-
ti epocali inte!'Venuti nella produzione e nella percezione estetica.
Cos{ le proposizioni benjaminiane sulla « decadenza dell'aura» si
sono potute mutare in filosofemi che fanno Ja loro «doverosa»
comparsa solo per precipitare repentinamente tra gli accoglienti
ed innocui rituali del senso comune. Eppure la .prospettiva e l'in-
teresse non .puramente estetici del discorso benjaminiano si chia-
riscono -già dalla seconda sezione del saggio: « Ciò che vien me-
no è insomma quanto può essere .riassunto con la nozione cli "au-
ra"; e si può dire: ciò che vien meno nelrepoca della riprodu-
cibilità tecnica è l"'aura" dell'opera d'arte .. Il processo è sinto-
matico; il suo significato rimanda al di là dell'ambito es-tetico.
[ c.n.] » 2• Anzitutto -rimanda alla inedita costetlazione e intera-
zione di Masse e Tecnica 3 che si presenta nell'epoca moderna
divenendone fondamentale caratteristica, che impronta di sé ogni
piega della metropoli contemporanea, ogni lembo della vita so-

l Per quest'opera assai importante è l'apparato critico contenuto in GS, I, 3,


pp. 982-1035; dove ~ documentata ampiamente la questione dei tagli e dei cam-
biamenti tenninologici operati ( per motivi tattici e politici) da Brill - segre-
tario dell'ufficid parigino dell'IfS e uomo di fiducia di Horkhe.imcr - sulla tra-
duzione francese (condotta da P. Klossowsky) della prima stesura del saggio,
traduzione che apparve sulla Z/S nel 1936. Insieme a questo le suddette pagine
informano pure sulle varie stesure del saggio (che vanno dall'autunno '35 ai
primi mesi del '39). come delle relative discussioni con Adorno, degli inutili
tentativi di pubblicarlo a Mosca (su Internationale Literatu, o su Das Worl) per
1a mediazione di amici dell'enlouraRe brechtiano e di Brecht stesso ed infine
dell'interesse suscitato dal saggio nell'avanguardia intellettuale francese ( cui era
intenzionalmente destinato) e nella stessa New York. Per questo saggio oltre
aJJ'utile libretto di L. Wawrzyn, W. Benjamins K.unsttheorie, cit., si vedano anche
D. Hart e M. Grzimek, Aura und AktWJlitiit als iisthetische Begril/e, in AA.VV.,
W. Ben;amin, Zeitgenosse de, Moderne, cit., pp. 110-14.5; L. Wiesenthal, Die
Krise de, Kunst im Prozess ibrer Verwissenschafllichung, in Text und Kritik,
n. 31-}.2, ottobre 197-1, pp. 59-7'1; H . .Pfotenbauer, Astetische B,fahrung und
gesellscha/lliche System, cit., pp. 70-84.
2 OA, p. 23.
3 Cfr. B. Lindner, Technische Reprod,nierbarkeit und Kulturindustrie, in
AA.VV., Walter &niamin im Kontext, dt., pp. 18v-22).

245
ciale. Ma questo «improntare» non è un semplice « serializza-
re » - Benjamin non si può -confondere con le successive ana-
lisi dei membri dello Institut filr Sozialforschung, né tantomeno
con la loro vulgata - un astratto ed onnipotente ridurre tutto
all'identico, ma un portare scompiglio, un provocare orisi, un pro-
durre conflitti, squilibri, trasformazioni in modi e « tempi » speci-
fici alle diverse sfere e settori della compagine storica. A mutare
configur.azione :per primo è lo stesso fenomeno-storia: « La vita
delle masse da sempre è stata decisiva per il volto della storia.
Ma che queste masse ronsapevolmente, e per cosi dire come i
muscoli di questo volto, portassero ad espressione la sua mimi-
ca - questo è un fenomeno del tutto nuovo » •.
Il terreno su cui questo fenomeno si compie, lo spazi.o che
lo ,rende possibile è quello della tecnica: è il suo sviluppo che
instaura una relazione di necessità tra « produzione industriale >
e diifusione in forma massiva del prodotto. E questo tipo di re-
lazione tra nuova qualità tecnologica del processo produttivo e
salto qualitativo nel « Jivello quantitativo » di riproducibilità (te-
cnica) del prodotto è la cellula germinale, la radice « materiale »
di processi generali. Non solo in connessione con essa sta la « ri-
produzione di massa (massenweise) delle opere d'arte», ma an-
che la « riproduzione di massa (massenweise) degli atteggiamen-
ti e delle funzioni umane » 5• Ed è per essa che si genera.Uzza
una « seconda natura», che sempre piu si distingue dalla prima,
fino a sfigurare la sua immagine materna e farne un qualcosa
che si forma nel propmo grembo. Questa « seconda natura» è
l'« emanzipierte Technik » 6 , emancipata - in qualche modo« au-
tonoma » - da una sua complessiva controllabmtà sociale, come
una volta lo era principalmente la « Natura » sans phrase. Di essa
il sub-iectum ·(nel senso letterale del termine) visibile sono le
masse, come anonimi attori di una scena che pare averli prodotti.
« Nel paese deHa tecnica, - scrive Benjamin - la vista sulla
realtà immediata è diventata una chimera.» 7
Questa constatazione che Benjamin fa a proposito del cinema
ha un significato generale e trova la sua corri,pondcnza ed csem-
4GS, I, 3, p. 1642.
5Cfr. ivi, p. 1042, cosi che la stessa misura del valore etico non~ piu il singolo
individuo: per il giudizio di quest'ultimo è divenuto decisivo lo standard morale.
Il modo di comportarsi non è cos( riconosciuto giusto solo per la sua e escm-
pwità •, ma anche per la sua « apprendibilità • (dr. ivi).
' Cfr. GS, I, 2, p. 444.
7 OA, p. 37.

246
plifi.cazione economico-sociale nell'estrema rarefazione e parcelliz-
zazione dei processi lavorativi, quale si annuncia con l'« organiz-
zazione .scientifica del lavoro» di Taylor'. Quando all'« eserci-
zio» necessario ad apprendere il «mestiere» si è definitivamen-
te sostituito il « tirocinio» dell'operaio alla macchina, l'esperien-
za ·ritraendosi dal lavoro manuale si prepara ad abbandonare ogni
altra dimora. Ed allorché si è compiuto un definitivo distacco
tra Ja singola funzione lavorativa e la visione del prodotto finito,
quale risultato della combinazione dei diversi momenti di un ci-
clo produttivo, il destino della «immediatezza» e «visibilità»
della realtà è segnato. tE: solo questione di tempo. Con la circola-
zione del prodotto come merce l'immiserimento della esperienza
varca la soglia della fabbrica e si diffonde come un morbo fino
a colpire anche quell'attività, la produzione artistica, consacrata
a mantenere in intima unione le «ore» del lavoro a quelle del-
l'esperire: del progredire nell'esperienza.
La realtà cosf sprofonda progressivamente in un diafano ed
infinito medium, che la sottrae ad ogni diretta visione. Mentre
proprio immediatezza e visione sono le qualità positive dell'espe-
rienza auratica ,(quelle negative sono l'indferabilità, la lontananza).
L'aura è percezione dell'hic et nunc di una situazione, di
un volto, di una parola, di un oggetto. « Seguire, in un pomerig-
gio d'estate, una catena di monti all'orizzonte oppure un ramo
che getta la sua ombra sopra colui che si riposa - ciò significa
respirare l'aura di quelle montagne, di quel ramo. » 9 Un alito
inconfondibile, un profumo che fa trasalire, un'immagine che non
cade nell'oblio sono i «segni» che trasformano una percezione
sensoriale nell'esperienza di un qualcosa di unico ed irripetibile,
indissolubilmente legato al luogo che ne è stato muto testimone.
Questi « segni » certificano l'originalità e l'autenticità di un'espe-
rienza, di una situazione. Perché autentica un'esperienza lo è quan-
do « dura » nella sua irrepetibilità, quando dal « momento.» del
8 Or. AN, pp. 107-109 e A. Sohn-Rcthcl, Geistige und korperliche A,beit,
trad. di F. Coppellotti, Milano, 1977, in part. pp. 121-154; la citazione di Sohn-
Rethel non cade casualmente: con lui Benjamin, durante.- il soggiorno parigino,
ebbe « stretti contatti» ed in qualità di « Gutachter » per conto dcll'lfS ne
lesse (nel 193'7) il manoscritto dell'importante saggio Zu, krilischen Liquidierung
des Apriorismus, ora pubblicato (insieme alle note a margine ed alle sottolinea-
ture dello stesso Benjamin) in A. Sohn-Rc:thel, Waren/orm und Denkform, Frank-
furt/M, 1978, pp. 27-90 (con una nota di Sohn-Rcthel del 1970, pp. 90-102).
Il rapporto tra questo scritto di Sohn-Rcthel e le analisi bcnjaminiane sulla merce
come soggetto, nel Passagenwe,k, ~ ancora tutto Ja affrontare.
9 OA, p. 25.

247
suo aver origine si trasmette nel tempo e forma cosf la « sua »
storia 10•
« Un singolare intreccio di spazio e di tempo: l'apparizione
unica di una lontananza, per quanto possa essere vicina.» 11 Que-
sta è l'aura. :S l'unicità del suo apparire a proiettarne l'unmagine in
una infinita lontananza. L'inavvicinabilità deH'immagine auratica è
l'impossibilità del suo ritorno. Ma quanto è inavvicinabile è cer-
tamente intangibile. Per questo la percezione dell'aura di una co-
sa è essenzialmente percezione ottica - e se non esclude anche aJ-
tri modi di percezione sensoriale difficilmente potrà unirsi a quel-
la tattile. Quanto si tocca spesso perde il suo fascino, sembra
quasi predisporsi all'analisi, mentre l'esperienza auratica è espe-
rienza preanalitica, che coglie le cose nell'immagine della loro in-
divisibilità dal momento e dal luogo del loro .presentarsi. L'aura
è cos{ una velatura degli oggetti, - di quelli storici come di quel-
li naturali, - un impalpabile involucro che li protegge dalla de-
composizione, dalla profanazione, mantenendone l'immagine nel
tempio del ,ricordo. L'aura contraddistingue infatti l'originaria di-
mensione magico-cultuale dell'esperienza e l'arte è stato il ten-
tatiivo che iper secoli ha tentato di conservarne la memoria 12 •
« I.I modo secondo cui si organizza la percezione sensoriale
umana - il medium in cui essa ha luogo - non è condizionato
soltanto in senso naturale, ma anche storico.» Come Riegl in Spat-
romische Kunstindustrie aveva analizzato le trasformazioni del
Kunstwollen da una percezione figurativa prevalentemente tatti-
le - dove l'aspetto visivo è visione da vicino (arte egizia att:ai-
ca) - ad una ottico-tattile - contraddistinta da un punto di vi-
sta normale ,(arte greca classica) - fino all'affermarsi, nell'arte
tardo-romana, di una strutturazione figurativa essenzialmente ot-
tica, ·per oui « gli oggetti vengono considerati da un punto di
vista lontano» 13 , Benjamin rileva - nell'epoca della riprodu-
10 Cfr. ivi, p. 23: « L'autenticità di una cosa ~ la quintessenza di tutto ciò
che, fin dall'origine di essa, può venir tramandato, dalla sua durata materiale
alla virni di testimonianza storica».
11 lvi, p. 70.
11 Ivi, pp. 25-29 e AN, -pp. 120-121.
13 Or. A. Riegl, Splitromische Kunstinduslrie, trad. di L. Collobi Ragghianti,
Torino, 1969, in part. le pp. 25-36. t Bcnjamin stesso a fare riferimento a Ricgl
nel saggio in questione (cfr. OA, p. 24). Sul rapporto Riegl-Benjamin cfr. W.
Kcmpf, Walter Beniamin und die K,mstwissenscha/1 Teil 1: Be11j11mins Beziehunsr,en
tur Wiene, Schule, in Kritische Berichte, n. 3, a. 1, L973, pp. 311-.50; una riela-
borazione di queste note si trova in Id. Fernbilder, in Walter Benjamin im
Kontext, cit., pp 224-257. Qui l'autore dedica importanti note al rappono tra
il « concetto di aura » e il « problema della distanza estetica •·

248
cibilità tecnica - il 1processo inverso 14 : il prevalere cioè della
dimensione tattile della percezione su quella ottica. E in questa
inversione una funzione essenziale è svolta dalla « sempre mag-
giore importanza delle masse nella vita attuale»: « ogni giorno
si fa valere in modo sempre piu incontestabile l'esigenza a im-
possessarsi dell'oggetto da una distanza il piu possibile ravvici-
nata nell'immagine, o meglio nell'effigie, nella riproduzione». Ma
il bisogno di una v.isione ravvicinata, di ·una tangibilità delle cose,
che trasforma la tradizionale direzione 1del Kunstwo/len moderno,
non è un semplice ritorno allo stadio tattile: l'incontro ravvici-
nato non si compie accertandosi della materialità del Bild, del-
l'immagine, ma attraverso la riproduzione tecnica di essa, nell'Ab-
bild. Benjamin non condivide certo la linea di sviluppo teleolo-
gica che Riegl traccia tra i diversi « stadi » della percezione arti-
stica 15 • Riegl e gli altri studiosi della Wiener &hule non solo
infatti « si accontentavano di ,rilevare il contrassegno formale pro-
prio della percezione», notando i mutamenti storici nei modi del-
la sua interna organizzazione - senza quindi cercare di mostra-
re « i -rivolgimenti sociali » che in questi cambiamenti trovavano
espressione 16 - ma soprattutto non consideravano la funzione
che lo sviluppo tecnico svolgeva nelle trasformazioni del Kunstwol-
len, impediti in questo, forse, dalla polemica contro il positi-
vismo semperiano. Una volta che la tecnica fosse stata sgrava-
ta dall'-ipoteca meccanicistica e considerata nella sua comples-
sità storica - inserita cioè all'interno di conflitti e processi de-
cisionali - se ne poteva cogliere tutta l'autonoma funzione di-
namica nella formazione del « volere artistico» 17 e non solo
di questo. L'esigenza di « rendere le cose spazialmente e umana-
mente piu vicine » 11 si fa cosf valere per la nostra epoca, nel
medium della tecnica, e iperdò essa si esprime nella « tendenza
al superamento dell'unicità di qualunque dato mediante la rice-
zione della sua riproduzione » 19 • La lacerazione del velo aura-
tico, « fa liberazione dell'oggetto dalla sua guaina », non è opera
della mano umana, ma dell'obiettivo fotografko prima, e in modo
« petfetto » di quello della macchina da presa. Sono questi appa-

14 Or. H. Pfotenhauer, op. cii., pp. 145-146.


15 Cfr. M. Cacciari, Di alrnni motivi in U''.B., cit., p. 228.
16 Or. OA, p. 24.
17 Non solo quindi come « coefficiente d'attrito)>, come voleva Ricgl; cfr.
A. Riegl, Spiilromische Kunstindu.rtrie, cit., p. 10.
18 OA, p. 25.
19 Ivi, p. 25.

249
rati tecnici - soprattutto il cinema - gli agenti piu potenti di
una generale « distruzione dell'aura »; sono essi a spezzare « l'in-
canto della lontananza » 20 • La possibilità attraverso determinati
procedimenti (ingrandimento, ripresa al rallentatore) di tendere
visibili aspetti - sia di un'immagine naturale, che di una ripro-
duzione artistica - &ora inaccessibili ,per l'occhio umano, tra-
sforma irreversibilmente la dimensione « naturale» della perce-
zione ottica. Il ,potenziamento tecnico della capacità visiva signi-
fica anche denudare l'occhio del velo della contemplazione indi-
viduale. La percezione subisce un processo di Entsub;ektivie-
rung 21 • La riproduzione tecnica dell'immagine consuma defini-
tivamente lo Schein, l'apparenza che avvolgeva l'oggetto, che si
deponeva su di esso come l'impronta che lo sguardo un giorno
vi aveva lasciato. L'ii,ripetrbile nodo strettosi tra spazio e tem-
po - questa è l'apparenza auratic.a - è sciolto: « con il primo
piano si dilata lo spazio, con la ripresa al rallentatore si dilata
il movimento». L'approfondimento della percezione di spazio e
tempo, la capacità di sezionarli e analizzarli sempre piu da vi-
cino significa anche una disarticolazione dei due momenti all'in-
terno dell'organizzazione ,percettiva 22 • Qui non si ha « sempli-
cemente una chiarificazione di ciò che si vede comunque», non
viene soltanto cancellata un'apparenza, ma si vede qualcosa di nuo-
vo. La natura parla diversamente alla cinepresa, ma lo fa come
« natura di secondo grado », come « risultato del "montaggio" ».
Se l'immagine pittorica tradizionale è unitaria e totale, quella del
cameramen è « multiformemente frantumata» 23 • Solo tramite il
suo sezionamento, l'operare chi,rurgico nel tessuto della realtà, è
possibile restituirne I.a fisicità nell'immagine filmica. Il « ritor-
no alla realtà fisica» che il film costituirebbe - secondo quan-
to affermerà 1piu di vent'anni dopo il saggio benjaminiano il suo
amico S. Kracauer 24 - è raggiunto solo al colmo della finzio-
ne (cosa che invece Kracauer non sottolineerà abbastanza). Que-
sta complementarietà era invece stata colta ,peclettamente da Bau-
delaire nel 1859: « Vorrei tornare ai diorami, la cui magia enor-
me e brutale mi sa imporre un'utile iUusione. Preferisco contem-
plare qualche fondale di teatro, dove trovo, espressi artisticamente

20 Cfr. AN, p. 124.


21 ar. per questo il saggio di Hart e Grzimek, cit.
22 Cfr. OA, p. 41.
n lvi, p. 38.
Cfr. S. Kracauer, Film: ritorno alla realld fisic•, trad. c:li L. Gobetti,
24
Milano, 1962, in pan. pp. 430-442.

250
e in tragica concentrazione, i miei sogni piu cari. Queste cose,
essendo false, sono infinitamente piu vicine al vero; mentre la
maggior parte dei nostri paesaggisti mentono proprio perché tra-
scurano di mentir-e » 25 •
Se la crisi della percezione estetica tradizionale era stata de-
terminata dall'irrompere della dimensione tattile in quella ottica,
questo era avvenuto attraverso la « macchina da presa », l'inner-
vazione aptica (tattile} dell'occhio. L'arte sfuggita al « regno del-
la bella apparenza» 26 finiva per entrare in quello dell'apparen-
za tout-court, nell'apparenza del sogno. Insieme al comp~etrar-
si di « arte e sdenza », l'immagine onirica era offerta ad una per-
cezione collettiva e simultanea. L'inconscio ottico era penetrato
attraverso l'obiettivo cinematografico 27 • « Nell'antica verità era-
clitca - i desti hanno in comune il loro mondo, i dormienti
invece hanno ognuno un mondo proprio (per sé) - il Film ha
aperto una breccia. » 21
Ma questa breccia è stata possibile snidando perfino la real-
tà oni.rica dal suo recesso rituale, esponendola, offrendola impie-
tosamente all'esame di un analista distratto: il pubblko 29 •
Con il Film non è distrutta poi solo l'aura naturale, ma pu-
re quella storica. Non solo la crisi della percezione « tradiziona-
le» è compiuta, ma queMa dell'idea stessa di tradizione 30• « La
tecnica della riproduzione ... sottrae il riprodotto all'ambito della
tradizione. » 31 La moltiplicazione della riproduzione di un even-
to trasforma qualitativamente la possibilità di ricezione dell'even-
to. Questo diviene permanentemente attualizzabile, di9J>Onibi.Je al-
la considerazione di chiunque. Cosf « il valore tradizionale del-
l'eredità culturale» è liquidato 32 • E il disincanto circa la « sto-
ria» totale. Di questo disincanto i movimenti di massa contempo-
ranei sono il pendant. Se questi due fattori significano il culmi-

29 Citato in AN, pp. 123-124.


26 Cfr. OA, p . .34.
-rt Cfr. ivi, p. 42.
21 GS, I, 2, p. 462.
29 Per il concetto di ricezione nella distrazione cfr. 0.4, pp. 45-46, per l'oppo-
sizione ua valore cultuale e valore di esponibilità dr. invece pp. 27-3,1.
30 Che proprio il film potesse divenir veicolo di diffusione di un'inedita
accezione di aura: quella tecnologica - su cui E. Sanguineti ha piu volte richia-
mato l'attenzione - non poteva forse essere previsto da Benjamin per lo sviluppo
della tecnica, cinematografica e non, che ha conosciuto. L'analisi dell'aura tecno-
logica è compito attuale.
31 OA, p. 23.
31 Or. ivi.

251
ne dell'autoestraniazione dell'umanità, il fascismo ha rappresen-
tato un tentativo di superarla, conferendo un'aura alle masse, ri-
costituendo un mitico passato, estetizzando la vita sociale e poli-
tica. Per Benjamin invece si tratta di rendere produttiva, poli-
ticamente produttiva, questa Selbstent/remdung 33 • Di questo il
cinema è una metafora. Le chances politiche di cui questo
- proprio attraverso le sue tecniche e ,procedme - è segno e
spazio (e non miracolosa causa efficiente, come hanno « credu-
to» alcuni intetpreti) sono metafore del presente storico.

13 Or. GS, I, 2, p. 4,1.

252
VI. Benjamin, Adorno e il« Passagenwerk »
Ccue sainte prostitution de l'ime qui se donne
tout cntim:, poésie et charité, à l'impréw qui se
montre, à l'inconnu qui passe.
(Ch. Baudeldi,e)
Paris change! mais rien dans ma mélancolie
N'a bougé! palais neufs, échafaudagcs, blocs,
Vieux faubourgs tout pour moi devient allégorie,
Et mes chers souvenirs sont plus lourds que des rocs.
(Ch. Baudelai,e)
Souviens-toi que le Temps est un jouer avide
Qui gaane sans trichcr, à tout coupl C'est la loi.
(Ch. &udelllire)

I
A. I progetti della « Passagenarbeit ». « Per il momento non
mi posso render conto se accenni occasionaili, certo assai vaghi,
l'hanno informata del fatto che da molti anni ho atteso in silen-
zio ad un lavoro, che, in un oggetto delimitato, raccoglie le in-
tuizioni ed i problemi, che si trovano sparsi nei miei scritti...
Il ritmo saturnino della cosa aveva la sua ragione piu profonda
nel processo di un completo rivolgimento, che una massa di im-
magini e di pensieri - proveniente dal tempo assai lontano del
mio .pensiero immediatamente metafisico, anzi teologico - dove-
va compiere, per nutri.re con tutta fa sua forza il mio presente
modo di pensare. Questo processo è andato avanti in silenzio;
io stesso ho saputo cos{ poco di esso, da rimanere infinitamente
stupito, quando -recentemente - in seguito ad una sollecitazione
esterna - ho steso in pochissimi giorni il piano dell'opera. » 1
Quando cos{ scriveva a Werner Kraft (nel maggio del '35),
Benjamin aveva già terminato quell'Exposé (intitolato Paris, die
Hauptstadt des neunzehnten ]ahrhunderts) dell'opera sui Passa-
ges parigini, che l'Institut fiir SoziaHorsooung gli aveva richiesto
al fine di stabilire un suo diretto interessamento al compimento
del progetto 2 •
Significativamente ~ anni in cui Benjamin si dedica quasi
1 Lettera a W. Kraft del 25 magio ')5 in BR, pp. 658-659. (La traduzione
è modificata rispetto • LT, p. 285).
2 Essendo venuta meno la possibilità di collahor:ire, con una certa regolarità,
a riviste e giornali tedeschi e mostratasi poco proficua la collaborazione a riviste
francesi, Benjamin in questi anni pubblica quasi esclusivamente sulla Zeitschri/t
/iir So1.ial/orschung, che in questo periodo rappresenta per il nostro autore l'unica
fonte di sostentamento.

253
esclusivamente alla Passagenarbeit (dal 1935 al '40, anno della
sua morte) coincidono con quelli ,piu difficili de11a sua vita, col
tempo del piu completo isolamento dell'esilio parigino. « In que-
sto lavoro vedo il motivo prindpale, se non addirittura l'unico,
per non perdere il coraggio nella lotta per l'esistenza »· 3, scrive
ad Adorno, che di ,Benjamin, per quanto riguarda il Passagen-
werk, sarà, in questo periodo, il vero interlocutore.
Se fin dal 1927 aveva pensato ad un lavoro sui Passages 4,
è solo verso la metà degli anni trenta che u·n tale progetto acqui-
sta una certa conaetezza, assumendo ben altra estensione ed im-
portanza da quella conferitagli inizialmente dallo stesso Benjamin.
g la stessa costellazione in cui l'opera, all'interno de1la pro-
duzione benjaminiana, rviene ad inserirsi, che muta: se all'inizio
il termine di conf.ronto della Passagenarbeit è Einbahnstrasse ',
in seguito questo diviene il Trauerspielbuch 6 • 1-n questo passag-
gio si misura la stessa distanza critica che Benjamin matura nei
confronti del surrealismo: se il progetto iniziale risentiva, come
Einbahnstrasse, in modo diretto e immediato deltla « Stimmung »
surrealista e doveva per questo ripercorrerne le forme e gli sti-
lemi 7, nella « ripresa » del 1progetto, intorno alla metà degli an-
3 LT, p. 290.
4 « Quando, in un modo o nell'altro (poiché non ho mai scritto con un
simile rischio di fallire), avrò terminato il lavoro del quale per il momento, cauta·
mente e provvisoriamente mi occupo - l'assai singolare ed estremamente precario
saggio: P1trise, Passagen. Eine dialektische Fee,ie - allora si chiuderà per me un
ambito di produzione - quello di Einbahnstraue - nello stesso senso in cui il
Trauerspielbuch ha chiuso quello germanistico ... Per il resto, dì questa faccenda
non posso svelare ancora niente, non avendo nemmeno precise idee circa la sua
estensione. Comunque ~ un lavoro di poche settim,Jne. [c.n.].:. (Lettera a Scholem
del 30 s~nnaio 1928, in BR, p. 4".)
5 Or. per questo la lettera a Scholem del 15 marzo 1929, in LT, p. 169.
6 Già nel '30 si fa strada in Benjamin la coscienza che per questo lavoro
sarebbe stato necessario un dispiegamento dì energie intellettuali pari a quelle
impiegate per il Trauerspielbuch: « Mi limito quindi a notare che intendo prose-
guire il lavoro su un piano diverso da quello seguito finora. Mentre ciò che mi
aveva occupato finora era soprattutto la documentazione da una parte e la meta·
fisica dall'altra, ora vedo che per giungere a termine, per dare una struttura solida
a tutto questo lavoro, mi ci vorrà niente po' po' di meno che uno studio sia di
ceni aspetti di Hegel che di certe parti del Capitale. Ciò che oggigiorno mi
appare come un fatto acquisito è che sia per questo libro sia per il Dramma
b"rocco non potrò fare a meno di un'introduzione che verta sulla teoria della
conoscenza - e questa volta soprattutto sulla teoria della conoscenza della storia.
t là che sul mio cammino mi imbatterò in Heidegger, e penso che l'incontro
tra le nostre due maniere, assai differenti, di considerare la storia, produrrà delle
scintille,. (LT, p. 178).
7 Cfr. per questo l'importantissima lettera ad Adorno del 31 magio '3.5
(LT, pp. 287-291), dove Benjamin parla dell'imporWIZa del Paysan de Paris dì
Aragon nel determinare il primo progetto del lavoro sui Passages, ma anche della

2.54
ni trenta, il surrealismo si pone, rispetto alla Passagenarbeit 1 in
un rapporto teoricamente mediato. « Il lavoro - sorive Benja-
min - rappresenta sia la valorizzazione filosofica del surreali-
smo - e quindi il suo superamento - che il tentativo direi
quasi di fissare l'immagine della storia nelle cristallizzazioni me-
no appariscenti dell'esistenza, nei suoi scarti. » 8
Se Benjamin a proposito dei due progeui riguardanti l'opera
sui Passages parla di un rapporto di ,polarità ', in tali termini
ci potremmo pure esprimere riguardo alle di,verse posizioni nei
confronti del surrealismo, che i due progetti, di per sé signifi-
cano.
Già sin d'ora, per questo, non possiamo dirci d'accordo con
la tesi di Adorno, il quale - nella supposizione che il Passa-
genwerk a coronamento dell'antisoggettivismo benjaminiano,
« non avrebbe dovuto consistere che di citazioni» 10 - affer-
ma che « la filosofia non doveva soltanto raggiungere il surrea-
lismo, ma essa stessa divenire surrealistica», potendo cosi con-
cludere: « la filosofia frammentaria restò frammento, vittima for-

distanza che negli &Mi successivi maturò nei confronti di esso come distanza dal-
l'epoca « eines unbekiimmert archaischen, naturbefangenen Philosopbierens •·
E, non a caso, al culmine di questo processo di distacco dalla « rbapsodische
Naivitit • della seconda metà degli anni venti, Benjamin pon~ il « decisivo in-.
contro con Brecht • e, con esso, iI punto massimo di tutte le aporie per il lavoro
sui Passages.
• Lettera a Scholem del 9 agosto '3', LT, p. 307. Questo del rapporto tra
Passagenwerk e surrealismo è comunque un problema assai delicato, che potrà
trovare una eiu precisa definizione solo con la pubblicazione deJ V volume delle
Gesammelte Schri/ten, che dovrebbe contenere, criticamente ordinati, tutti i mano-
scritti benjaminiani appartenenti al complesso del Passagenwerk. Fatta eccezione
per gli scritti riguardanti Baudelaire e le Tesi, quelli raccolti sotto il nome di
Zentralpa,k e pochi altri frammenti citati da R. Tiedcmann qua e là nei suoi
saggi, questi manoscritti sono tuttora completamente inediti. Questo, insieme alla
complessità del materiale che già conosciamo, ci pare possa giustificare il carat-
tere introduttivo e, per molti versi, provvisorio di molte delle considerazioni
qui svolte.
' « Questi due progetti stanno in un rapporto di polarità. Essi rappresentano
tesi e antitesi dell'opera. Perciò questo ,20 [Paris, die Hauptsttzdt des neunzehnten
Jabrhunderls] per me è tutt'altro che una conclusione. La sua necessità poggia
sul fatto che le idee ( Einsichtcn) presenti nel l O non permetterebbero immedia-
tamente alcuna strutturazione - tranne che una illecitamente "poetica". Di qui
il sottotitolo, da tempo abbandonato, nel primo progetto: Bine dialektische Fenit.
Adesso io ho i due estremi dcll'uco, ma non ancora la forza di tenderlo. i.
Lettera a Gretel Adorno del 16 agosto 1935, in LT, ·p 308; la traduzione è lic--
vemente modificata.)
IO Th.W. Adorno, Charakleristik W.Bs., cit., p. 245. Già questa supposizione
adomiula, mai documentata e, comunque, ripresa acriticamente da piu parti, non
è poi tanto attendibile, come, in base ad una lettura dei manosaitti benjaminiani,
nota lo stesso R. Ticdemann, Studien, cit., p. 149.

255
se di un metodo, del quale non è certo che in generale si lasci
attuare nell'ambito del pensiero » 11 •
Se l'Ursprung des deutschen Trauerspiels è l'opera in cui
Benjamin consuma internamente la sua formazione classico-roman-
tica e qui raggiunge un punto di rottura la sua critica interna
al punto di vista idealistico-borghese 12, è dopo l'Ursprung che
ha inizio la benjaminiana « Wendung zum historischen Materia-
lismus » 13 ; e le forme in cui tale W endung si presenta sono
i Denkbilder di Einbahnstrasse. ·Sarà Ja .profonda « dissezione »
critica cui - nel saggio sul surrealismo del '29 e nella conclu-
sione di quello su iKraus, ma soprattutto in Der Autor als Pro-
duzent - sottopone i « modi » di produzione intellettuale e la
loro funzione all'interno dei rapporti (generali e specifici) di pro-
duzione, a spingerlo oltre la forma dell'aforisma. La relazione che
Benjamin viene ad instaurare tra Passagenwerk e Trauerspielbuch
assume, iper questo, l'oggettivo significato di una critica alla pro-
duzione e all'atteggiamento surrealista, diviene «riconoscimento»
della inadeguatezza «politica», al presente, della propria produ-
zione aforistica.
Se la forma dell'aforisma aveva espresso il «,passaggio» del
pensiero benjaminiano al « materialismo storico», dimostrando
tutta la sua efficacia nella sua capacità distruttiva della Bildung
ereditata dalla propria « classe d'origine», questa rivela tutti i
suoi limiti nel momento in cui Benjamin riconosce che il lavoro
dell'intellettuale « rivoluzionario» non si può limita-re ad « un
compito meramente distruttivo» 14, dovendo - tra l'altro -
piegare i suoi ritmi alla necessità di una costruzione teorica. Per
questo del Trauerspielbuch, rispetto alla Passagenarbeit, Benjamin
sottolinea innanzitutto la forma. Se oggetto del la:voro sui Pas.
sages era un'intera epoca, questa non la si poteva cogliere entro
il respiro dei Denkbilder, pur non dovendo andar persa la ca-
pacità di afferrare e penetrare singoli oggetti, che questi avevano
dimostrato. Si trattava ora di costruirsi una « armatura teorica »
ed una forma di esposizione adeguati all'oggetto 15 • La « consi-
derazione storica » non poteva fare a meno di volgere lo sguardo
su di sé e cett:are di porre· su basi teoricamente solide lo stesso
n Th.W. Adorno, Charaltteristilt W.Bs., cit., p. 245.
12 Si veda per questo l'inizio del III capitolo di questo lavoro.
13 Cfr. G. Scholem, Walter Benjamin ,md sein Engel, cit., p. 90.
1• Or. AR, p. 216.
u Or. la lettera a W. Kraft del 28 ottobre ,.,,, in BR, pp. 698-699, cd il
brano della lettera a Scholem citato alla nota 6.

256
lavoro dello « historische Materialist ». t nel corso di queste ri-
flessioni che, per Benjamin, si apre il problema di delineare una
teoria della storia, capace di sottrarre l'opera sui Passages a qual-
siasi subalternità teorica nei confronti della Lebensphilosophie e
dello Historismus, come anche dello stesso « Vulgiir-Mar-
xismus » 16 •
Questo, in sintesi, il tragitto che - dal Passagenwerk -
conduce Benjamin alle Thesen. E ciò che di que5to ci è pervenu-
to, se frammento è rimasto, è tale da testimoniarci un massiccio
« sforzo» teorico, che va ben oltre i confini di una (pur geniale)
« filosofia frammentaria», nella quale per troppo tempo si è VC>a
luto « costringere »la.figura del filosofo berlinese.
In questa di·rezione, dunque, vanno intese le affermazioni
benjaminiane circa il rapporto analogico (« in der inneren Kon-
struktion ») 17 del secondo Entwurf del Passagenwerk con l'Ur-
sprung des deutschen Trauerspiels ed è in relazione a questo rap-
porto che possiamo ipotizzare il nesso della Passagenarbeit col
surrealismo in modo analogo a quello del Trauerspielbuch con
l'espressionismo, ferme restando, certo, le dovute differenze ed
in particolare tutta la carica positiva, che Benjamin conferiva al
movimento surrealista.
Del .resto Benjamin fin dal citato saggio del '29, ma anche
in Zum gegenwartigen gesellschaftlichen Standort des franzosi-
schen Schriftstellers del 1934, aveva posto l'accento (,pur se sot-
to la forma di interrogativo) 11 su certi limiti « politici » del
movimento surrealista, mostrandosi però, specialmente nel saggio
del '.34, abbastanza ottimista circa le capacità del surrealismo di
superare questi limiti. Questo comunque non giustifica la sempli-
ficazione e l'appiattimento del rapporto Benjamin-surreàlismo, che
Tiedemann opera - coerentemente alla sua tesi circa Io sbocco
degli ultimi scritti benjaminiani (in particolare ~uelli su Baude-
laire e le Tesi) in direzione di un'« estetica » 1 - fino a far
convergere la Passagenarbeit col sur-realismo nell'esperienza di un
comune « nichilismo r-ivolumonario » 20 •
16 Or. il frammento metodologico analizzato alla fine del V capitolo, in
GS, I, 3, pp. 1160-1167.
17 Or. la lettera a Scholem del 20 maggio 'l5, in LT, p. 280.
18 Si vedano in AR, le pp. 22,23 e 68-73.
19 Or. di R. Ticdemann il Nachwort a W. Benjamin, Ch. Baudelaire. Ein
Lyriker im Zeitalter des Hochkapitalismus, Frankfurt/M., 1%9, pp. 167-191 ed
in particolare p. 190.
20 Si veda per questo tutta ]a terza parte di R. Tiedemann, Studien, cit.,
pp. 128-166 cd in part. le pp. 146-150.

257
Lo stesso rapporto che intercorre tra il Trauerspielbuch e
il Passagenwe,k non è cosf lineare e «statico», come da certe
lettere dello stesso Benjamin potrebbe sembrare: se ad entrambi
è proprio lo sviluppo di un concetto centrale (quello del T,auer-
spiel nell'uno, quello del Fetischcharakter de, Ware nell'altro},
se ad entrambi è necessaria la costruzione di una teoria (« Erkennt-
nistheol1ie » nelruno, « Erkenntnistheorie » della storia nell'al-
tro) 21 , è vero anche che s.i può parilare di un processo di osmo-
si (attraverso il filtro del « materialismo storico» benjaminiano)
delle piu importanti acquisizioni teoriche del primo nella articola-
zione concettuale del secondo. Cos{ è, ad esempio, del concetto
di a/,legoria, che nel Passagenwe,k viene impiegato per illuminare
quello di « feticismo della merce» da una ,parte e la stessa poesia
baudelairiana dall'altra; come della categoria di U,sprung, che tan-
ta .parte ha nella configurazione della Passagena,beit come « Ur-
gescbichte des ,reunzehnten Jahrhunde,ts » 22 •

B. Forma-merce e vita quotidiana. Di ardua definizione è,


per certi versi, lo stesso obiettivo 1>rincipale che la ricerca benja-
miniana persegue nel Passagenwerk. E questo non soltanto per
l'essere rimasto allo stato frammentario e per l'essere, a noi, an-
cora ignoto il contenuto di gran parte dei suoi manoscritti, quan-
to perché la struttura stessa dell'opera, fin dall'Exposé del '35,
è polisensa. Se da un lato questa si configura, immediatamente,
come una trattazione del « destino dell'arte nel XIX secolo » 23 ,
dall'altro si propone come una « Darstellung » delle forme della
coscienza storica borghese nel XIX secolo e piu precisamente nel
momento dell'ingresso del capitalismo nella sua fase cosiddetta
21 Or. la lettera a Scholem del 20 maggio '35, in LT, p. 280.
:zz Or. BR, pp. 664 e 688.
23 Di qui il rapporto del PflSsagenwerle con Kunslwerle-Au/sati, il quale
« materialmente non sta in alcuna connessione col grande libro [ci~ con il
Passagenwerke] ..., metodicamente pero in strettissima connessione •· Lettera a
Kraft del 27 dicembre 'J,, in BR, p. 700). Scrive infatti Bcnjamin ad Horkhcimcr
in una lettera del 16 ottobre '3.5: « Questa volta si tratta di stabilire quel preciso
luogo del presente, al quale la mia C05trUZÌooe storica si riferirà come al suo punto
prospettico. Se il tema del libro è il destino dell'arte nel XIX secolo, questo
destino ha da dirci qualcosa solo pcrcM esso è contenuto nel ticchettio di un
orologio, il cui rintocco è penetrato dapprima nelle nostre orccch.ie. Per noi,
voglio dire, l'ora del destino dell'arte è suonata, e la sua impronta l'ho fissata
in una serie di considerazioni provvisorie, che portano per titolo Das Kunstwerk
im Zeitalter seiner Reproduverbarkeit » (LT, p. 312; la traduzione è lievemente
modificata).

258
«avanzata». Mentre, ad esempio, I'Exposé può esser_ letto come
un discorso sull'emancipazione, nella seconda metà dell'S00, del-
le varie « Gestaltungsformen » dell'arte ad opera dello sviluppo
delle tecniche produttive e l'immissione dei loro •prodotti nel pro-
cesso di circolazione delle merci 24, è all'interno di questa stessa
analisi che si pone la necessità di indagare sulla crisi della co-
scienza ·borghese di fronte ad un siffatto processo, che comporta-
va un irreversibile mutamento di tutte le forme tradizionali di
vita ·(sociale e privata), a partire da quella nelle grandi città.
« Sotto Luigi Filippo l'uomo rprivato fa il suo ingresso sulila
scena storica» 25 : insieme -al .progrediente scollarsi di Stato e so-
cietà dvile, si annuncia ,pure una frattura tra la partecipazione
dell'individuo a quest'ultima e la sua vita pi,ivata: « per il privato
lo spazio vitaile entra per 1a prima volta in contrasto con il luogo di
lavoro. n primo si costituisce noll'intérieur. Il suo complemento
è il comptoir » 26 •
Ed è nel rafforzamento, a fini repressivi, della macchina sta-
tale, sotto Luigi Buonaparte - nel suo rendersi « completamente
indipendente» 27 di ironte alla società borghese, per .poter man-
tenere solidamente in vita questa stessa - che si avvertono i
primi scricchiolii di una ,forma di egemonia: la borghesia, comin-
ciando a scontare i suoi limiti di classe, entra in contraddizione
nella sua ,prassi con la propria ideologia politica piu ostentata-
mente rivoluzionaria: quella dell'89; e certo « non è stata una
Circe a trasformare in mostro con un maleficio il capolavoro della
repubblica borghese » 21 • « La ,produzione della ricchezza», « la
lotta pacifica della concorrenza » 29 si rivelano essere processi per
niente ,pacifici: « con la crisi dell'economia men::antile (Waren-
wirtschaft) - sorive Benjamin in conclusione all'Exposé - co-
minciamo a scorgere i monumenti ddlla borghesia come rovine pri-
ma ancora che siano caduti » 30 •
24 « C-omincia l'architettura come costruzione tecnica. Segue la riproduzione
della natura nella fotografia. La creazione fantastica si prepara a diventare pratica
come grafica pubblicitaria. La letteratura si sottomette al montaggio nel feuilleton.
Tutti questi prodotti sono in procinto di trasferirsi come merci sul mercato . .,
(W. Benjamin, Par,"gi. ù capitale del XIX secolo, in AN, p. 154.)
25 Ivi, p. 147.
26 Ivi.
17 Si veda in K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, trad. di P. Togliatti,
a cura di G. Giorgetti, Ro.11111, 1974, pp. 206-207.
21 lvi, p. 201.
29 Ivi, p. 47.
30 AN, p. 1.54. Qui il richiamo alla conclusione di Il 18 brumaio di Luigi
Bonaparte di Marx ci pare evidente.

2.59
E se Luigi Buonaparte « profanandola, rendendola ripugnan-
te e ridicola», spoglia « la maa:hina dello Stato della sua aureo-
la » 31 , già da tempo ad esser private della loro tradizionale au-
reola erano fo stesse forme abituali di vita {« i passaggi - scri-
ve Benjamin - sono la sede della prima illuminazione a gas») 32 ,
le forme della creazione artistica (l'architettura con l'inizio della
costruzione in ferro, la 1pittura con la fotografia, la letteratura
con il feuilleton), i paesaggi con i «panorami» 33 ; la stessa cit-
tà (Parigi), dalle arterie haussmanniane, è come « estraniata »
ai suoi abitanti, « che cominciano a prendere coscienza dell'inu-
manità della grande metropoli» 34 •
La forma-merce tende ad imporsi, in modo sempre phl dii-
ficilmente occultabile, rome soggetto reale della vita dei cittadi-
ni della metropoli ( evidente testimonianza ne sono i « passag-
gi » 35 e le « esposizioni universali ») 36 ed è la moda a scandire
il « tempo liturgico» ed a prescrivere « il rituale secondo cui va
adorato il ,feticcio della merce; Gr.andville - scrive Benjamin -
estende i diritti della moda agli oggetti dell'uso quotidiano e al
cosmo intero » 37 •
Si può dire ohe Benjamin voglia cogliere in una « istanta-
nea» il « momento temporale » di questo passaggio, fissarlo in
un'immagine e contemporaneamente vedere cosa nell'apparente ri-
gidità di questa immagine si muove.
31 K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonapartt, cit., p. 227.
32 AN, p. 140.
lJ « I panorami, che annunciano un rivolgimento nel rapporto dell'arte alla tec-
nica, sono insieme espressione di un nuovo sentimento della vita. H cittadino, la cui
superiorità politica sulla campagna si manifesta ripetutamente nel corso del secolo,
compie il tentativo di importare il paesaggio nella città. La città si amplia a
paesaggio nei panorami.» (AN, p. 143.)
3l-Ivi, p. 1.52. « Essa [Parigi] cresce continuamente proprio a causa delle
sue imprese [di Haussmann]. L'aumento dei fitti spinge il proletariato nei sob-
borghi. I quartieri di Parigi perdono cos{ la loro fisionomia specifica. Sorge la
cintura rossa. Haussmann stesso si è definito un artista demolisStur ... Il vero
scopo dei [suoi] lavori era di garantire la città dalla sucrra civile. Egli voleva
rendere imposs1Dilc per sempre l'erezione di barricate a Parigi.•
15 G:,s{ una Guida illustrala di Parigi, citata da Benjamin, desaive i « pas-
saggi»: « questi passaggi, recente invenzione del lusso industriale, sono corridoi
ricoperti di vetro e dalle pareti intarsiate di marmo, che attraversano interi caseg-
giati, i cui proprietari si sono uniti per queste spcculuioni. Sui due lati di questi
corridoi, che ricevono luce dall'alto si succedono i piu eleganti negozi, sicché un
passaggio del genere ~ una città, anzi un mondo in miniatura» (citato in
AN, p. 140).
36 « Le esposizioni universali sono luoghi di pellegrinaggio al feticcio merce. •
(AN,J. 145.)
Ivi, p. 146.

260
Il «momento» è quello in cui i prodotti, sino allora de-
finiti artistici, e insieme la stessa coscienza dell'intellettuale bor-
ghese, prima di « trasferirsi come merce sul mercato, esitano an-
cora sulla soglia (zogern noch auf der Schwelle) » 31 •
Se l'intérieur è il luogo in cui la borghesia si ripara, na-
scondendosi, da questo processo 39, la figura stessa di questa Zo-
gerung è il flaneur. 1« Il /laneur è ancora alle soglie, sia della
grande città che della borghesia. Egli non si sente a suo agio
in nessuna delle due; e cerca un asilo nella folla ... La folla è
H velo attraverso il quale la città ben nota appare al /lineur co-
me fantasmagoria. In questa .fantasmagoria essa è ora paesaggio,
ora stanza. Entrambi compongono il magazzino, che mette anche
la /lanerie al servizio della vendita. Il magazzino è l'ultima av-
ventura del fl4neur.
Col /lineur l'intelligenza si reca sul mercato. A vederlo secondo
lei; ma, in realtà, già per trovare un compratore [c.n.]. » 40

C. Urgeschichte della modernità. « Rendere coltivabili ter-


ritori, sui quali finora rigaglia solo la follia. Inoltrarsi con l'affi-
lata ascia della ragione e senza guardare né a destra né a sinistra,
per non cadere in balia della angoscia, che attira dal profondo
della selva ,primordiale (Urwalds) » 41 , questa era l'intenzione
del lavoro di Benjamin nei confronti del « terreno» offertogli
dal XIX secolo, perciò esso può ben definirsi, con le parole di
Adorno, come una costruzione « dell'idea dell'epoca» nel senso
di una Urgeschichte von Moderne 42 •

31 Ivi, p. 1.54.
311Le fantasmagorie dell'intbieu,, per l'uomo privato rappresentano l'universo:
« in esso egli raccoglie il lontano ed il passato. Il suo salotto è un palco nel
teatro univcnale » ( ivi, p. 147) e « l'intérieu, non è solo l'universo, ma anche
la custodia dell'uomo privato» (ivi, p. 148).
40 AN, p. 149. Sul fUnn1,, cfr. H. Pfotenhaucr, Astbetisobe E,fahrung, cit.,
pp. 40-44.
41 W. Benjamin, Passagen, Konvolut N, BI. 1; Benjamin,Archiv, Ms. 2446,
citato in R. Ticdemann, Studien, cit., p. 120.
,a Avvertiamo che nella traduzione italiana di questo saggio di Adorno (cfr.
Th.W. Adorno, Ch,uakteristik W.Bs., cit., p. 243) il termine Urgeschichte è tra-
dotto con preistoria, il che - specialmente in riferimento a Bcnjamin - è im-
preciso: la traduzione italiana che secondo noi rende piu fedelmente il senso del
pensiero benjarniniano è storia - originaria. Non si deve infatti dimenticare che -
nel Traue,spielbuch - la categoria di U,sprung, di una determinata realti, ne
comprende la « Vor- und Nachgeschichte » (cfr. GS, I, 1, p. 226). Una tale
connessione (tra Ursprung e Urgeschichte) ci sembra sia legittimata dal riferi-
mento che 'Benjamin fa al goethiano Urphiinomen nei Nachtriige %Um Trauerspiel-

261
Precisando subito, però, che Adorno limita la portata di que-
sta definizione, non senza correre il rischio di non dar conto della
specificità del pensiero benjaminiano: questa Urgeschichte doveva
infatti - per Adomo - « non tanto scoprire rudimenti arcaici
nel passato piu recente, quanto determinare il recentissimo stesso
come figura dell 'estremamente antico » 43 • Se sulla prima parte
di questa frase non possiamo che convenire, è sulla seconda che
si appuntano i nostri dubbi: non nel determinare il « Neueste
als Figur des Altesten » ci sembra consista il discorso benjami-
niano 44 , quanto nell'individuare il modo « storicamente deter-
minato» in cui fa « immaginazione collettiva» rapporta il « Neue-
ste » del proprio presente storicc allUrvergangene.
Abbastanza esplicito è a questo riguardo un passo della Pas-
sagenarbeit: « "Urgeschichte del diciannovesimo secolo" - que-
sta non avrebbe alcuno interesse se non la si comprendesse in
modo che nel "fondo" del X.IX secolo debbano essere ritrovate
forme storico-originarie (Urgeschichtliche Formen). Solo quando
il XIX secolo venisse -rappresentato come forma originaria della
Urgeschichte, in una forma quindi nella quale l'intera Urgeschi-
chte si raggruppa nuovamente in quelle immagini, che sono pre-
senti nel secolo passato, il concetto di una Urgeschichte del XIX
secolo riceve il suo senso [ c.n.] » 45 •

buch (in GS, I, 3, pp. 9'3-9.54), dove afferma che il concetto di U,sp,ung ~
una « strengc und zwingende Obcnragung • del fondamentale concetto goet:hiano
di UrphiJnomen « dall'ambito della natura in quello della storia»; e ci sembra pure
legittimata dal fatto che Benjamin - come informa Tiedcmann - pone questo
passo, ron minimi cambiamenti, tra i materiali della Passagenarbeit. (Cfr. R. Tie-
demann, Studien, cit., pp. 79·89; cfr. anche il frammento della Passagenarbeit,
tratto dal Konvolut N, BI. 2a, B.-Archiv, Ms. 2449 citato in R. Tiedemann,
Studien, eit., p. 80.)
43 Tb.W. Adorno, Charakteristilt W.Bs., cit., p. 243.
44 Adorno nell'affermare una cosa del genere non fa che ripresentare la tesi
che oppose a Benjamin, nel famoso Ho,nberge, Brie/ del 2 agosto '3.5, in cui
discuteva puntualmente tutto I'Exposl. Ma, per questo, rimandiamo a quanto
diremo neJJa terza parte di questo saggio.
"5 W. Benjamin, Passagen, Konvolut N, Bl. 3a; Benjamin-Archiv, Ms. 24,1;
citato in R. Ticdemann, S1udien, p. 1.51. Nello stesso senso delle tesi adorniane
vanno le affermazioni di Tiedcmann, che, tra l'altro, in un poco convincente acco-
stamento dell'Urgeschichte del Passagenwe,lt con la Na1u,geschichte del T,a11er-
spielbucb, giunge a concludere che e alla velocità con cui la Naturgeschichte nel
XIX secolo viene di nuovo alla superficie, conisponde la totalità del processo, che
mostra la modernità stessa come una figura del mito• (ivi, p: 151). C.ontro questa
interpretazione va Hildegard Brcnner, in uno dei migliori sassi che siano stati
scritti su Benjamin, Die Lesbarkeit de, Bi/de,, in Alternative, n. 59-60, aprile-
giugno 1968, pp. 48-61. Per il problema qui sfiorato si vedano io particolare
pp. .56-.57.

262
Non interessa tanto a Benjamin di mostrare (astrattamente)
come nel «nuovo» (storico) si riproduca l'identico, come la dina-
mica del capitalismo si rovesci in sistema statico che continuamen-
,te si auto--riproduce, quanto cogliere come in una determinata epo-
ca insieme « alla forma del nuovo mezzo di produzione, che, al-
rinizio, è ancora dominata da quella del vecchio » 46 , siano pro-
dotte dalla coscienza collettiva immagini utopiche, che tendono
a trasfigurare « l'imperfezione del ,prodotto sociale » e le contrad-
dizioni dell'ordinamento sociale di produzione cui questo rimanda,
attraverso la « rimozione» del ,passato recente e l'utopico ·rimando
ad una « urgeschichtliche » società senza cl~ssi, che si presenta
come quella futura. (Di qui la ragione del riferimento benjaminia-
no a Fourier.) 47
La novità, allora, d'altro canto, come « qualità indipendente
dal valore d'uso della merce » 48 , ohe di quest'ultima ne trasfigura
il valore di scambio, è la forma in cui la« merce», nel suo carattere
feticistico, attua il suo dominio sulle immagini delr « inconscio
collettivo », cui inerisce come origine stessa del loro carattere di
apparenza.
-Essa è allora « la quintessenza della falsa coscienza » 49 , di
fronte a cui il « sempre-uguale» non sta tanto 50 come il volto
,reale, demist1ficato, della merce, ma {anch'esso) come Schein in
cui « l'apparenza del nuovo» si riflette come in uno specchio.
E « il prodotto di questa riflessione - scrive Benjamin -
è la fantasmagoria della "Kulturgeschichte", in cui la borghesia
deliba la sua falsa coscienza. » 5 l, Kulturgeschichte come fanta-
smagoria è assorbimento deHa materialità della Geschichte neHe
categorie dello « spirito », fede che Ja storia è « parto » del Geist
pura-mente soggettivo.

46 Or. AN, p. 141.


.f7 In questa « determinatezza storica • del discorso benjaminiano sul XIX
secolo, che forse segna pure il passaggio dal 1° al 2° Entwurt/, già si delinea
tutta la distanza dal discorso adomiano. « L'intenzione benjarniniana - nota acu-
tamente Lindner - di analizzare urgeschichtliche formazioni del XIX secolo come
originarie a questo, è in ogni ·caso contrapposta alla tendenza della Dialektik der
Aufltliirung, quando Horkheimer/ Adorno riportano lo scambio di equivalenti,
come secolarizzazione del sacrificio nella Urgeschichte. Lo scambio delle merci
acquista cos( un'astratta esistenza anti-diluviaM (Marx).• (B. Llndncr, Natur-
Geschichte, cit., p . .54.)
48 AN, p. 150.
49 lvi.
50 Come vorrebbero, invece, Adorno e Tiedemann (si veda, ad esempio, in
R. Ticdcmann, Studien, cit., p. 156).
5 l AN, p. 150.

263
La fantasmagoria è quindi l'immagine che la società produce
di se stessa « e che essa suole tradurre in scrittura come propria
Kultur » 52 , nel momento in cui astrae dal fatto che essa produce
merci 53 : la polarità ~peculare tra «nuovo» e « sempre-uguale»
non è che quella che costituisce l'immagine, attraverso cui il proces-
so di produzione ddle merci appare e l'antinomia tra questi due
po!i è quella che « produce l 1apparenza, con cui il carattere di /etic-
cio della merce II dissolve 11 le autentiche categorie della storia
[ c.n.] » 54 •

D. Struttura-sovrastrutt11ra. Se il Fetischcharakter der W are


costituiva per Benjamin il concetto fondamentale che la Passagen-
arbeit doveva svolgere, non bisogna dimenticare che questo do-
veva avvenire attraverso il « materiale di pensiero e di esperien-
za » della sovrastruttura, le nuove « Lebensformen » e i nuovi
prodotti della coscienza; che, insomma, a Benjamin ,premeva « di
spiegare non la dialettica del processo sociale stesso, ma quella
delle im-magini appartenenti ad esso» 55 •
Già nel 1930 il nostro a-utore aveva espresso l'esigenza di
completare la « dottrina marxista» della sovrastruttura attraverso
quella della genesi della falsa coscienza 56 • Rifiutando, quindi,
una relazione caus~-deterministica tra Basis e tJberbau, e insieme
un rapporto astrattamente analogico tra esse 57 , Benjamin giunge,
52 W. Benjamin, Passagen, Konvolut X, B1. 13, B.-Archiv, Ms 2683, citato
in R. Tiedemann, Nachworl a Ch. BauJelaire, cit., p. 1-80.
SJ e La proprietà, che spetta alla merce come il suo carattere di feticcio,
inerisce alla stessa società produttrice di merci, non certo come essa è in ~.
ma come essa sempre si rappresenta e crede di comprendersi, quando astrae dal
fatto, che produce merci.• (W. Benjamin, Passagm, cfr. sopra.) 2 bene dire
subito che qui c'è una «rta ambiguità nel discorso benjamiDiano che, coofi1U-
rando la fantasmagoria come puro fatto della coscienza (non scaturente quindi
dallo stesso processo capitalistico di produzione), sembra contraddire l'assunto
marxiano, secondo cui è il rapporto sociale determinato degli uomini stessi ad
assumere, per essi, « la forma fantasmagorica di un rapporto tra cose• (K. Marx,
Il capitale, I, trad. di D. Cantimori, Roma, 1974, p. 104). Per la nazione di
fantasmagoria si veda anche un altro frammento di Benjamin, in cui l'angolazione
di quello ptteedcntc sembra in parte spostarsi, citato in P. Krummc, Zur Kon-
zeption de, dialektischen Bi/de,, in Text+Kritilt, n. 31-32, 10, 1971, p. 74; ma
il brano è tratto dalla conferenza radiofonica di R. TiedemaM, W. Benjamin uml
das Paris Baudelaires, alla NDR/SFB III, il 19 febbraio 196-'·
5t Lettera a Horkhcimer del 3 agosto 1938, in GS, J, 3, p. 1083.
M P. Krummc Zu, Konzeption der dialelttischen Bilder, cit., e. 76.
56 Questo in Ein Aussenseiter macht sich bemerltbar, in GS, IU, cit., p. 22).
S1 Si veda per questo tutta la nota 30 del saggio su Fuchs ( in OA,
pp. 119-120), dove la considerazione del nesso struttura-sovrastruttura basata sulla
« mera analogia » è definita « nominalistica ».

264
in un frammento dd Passagenwerk, ad una felice definizione di
questo nesso, che si può senz'altro configurare come il Grundsatz
teorico, che sorregge tutta la sua ricerca.
Di fronte alla teoria che vede la sovrastruttura come semplice
« riflesso» ddla base economica, scrive infatti: « Già l'osserva-
zione di [Marx] serondo cui le ideologie della sovrastruttura
riflettono in modo falso e contorto i rapporti, va oltre ciò [la
dottrina voJ&armarxista della relazione deterministica base-sovra-
struttura]. lil problema è infatti: se la sottostruttura determina
in qualche modo la sovrastruttura nel materiale del pensiero e
deli>e,perienza, questa determinazione (Bestimmung) non è però
quella del semplice ,,riflettere", come la si deve caratterizzare,
allora, a prescindere completamente dalla sua causa genetica? Co-
me loro espressione (Ausdruck). La sovrastruttura è l'espressione
della sottostruttura. Le condizioni economiche all'interno delle qua-
li esiste la società, vengono ad espressione nella sovrastruttura.
[c.n.] » 51 •
Pensiero r« linguistico» e pensiero «dialettico» si mostrano
qui nel loro necessario intrecciarsi, nella loro complementarietà
(il primo senza il secondo si riduce ad una raffinata ermeneutica
assimilabile ai canoni della Kulturgeschichte; il secondo senza il
primo è inadeguato ad aoa1izzare lo specifico linguaggio di forme,
cui è sempre inerente un margine di indeterminatezza 59 , e, per
58 Passagen, Konvolut K, Bl. 2, B.-Archiv, Ms. 2383, citato in R. Ticdemann,
Studien, cit.. p. 131. Non va certo trascurata, a questo punto, l'obie'Lione di
Habcrmas secondo cui « l'espressione ~ per Bcnjamin una categoria semantica,
piu armonica con il pensiero di Kassner e dello stesso Klagcs, che con il teorema
base-sovrastruttura» (G. Habcrmas, &wusstmachende oder rettende Kritilt, cit.,
pp. 210-238), tanto che può giungere ad affermare che Benjamin non aveva per
niente in mente una « critica della coscienza necessariamente falsa»-. Ma, a parte
che quest'ultima considerazione non ci sembra fondata (considerando quanto Be-
njamin stesso scriveva già nell'articolo del 1930 prima citato), non bisogna neppure
dimenticare che per Marx « le idee dominanti non sono altro che l'espressione
ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi
come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe
la classe dominante» (K. Marx-F. Engcls, L'ltkologia tedesca, in Marx-Engcls,
Opere complete, V, cit., p. 44). Se nel termine Ausdruck confluisce il pensiero
linguistico benjaminiano, niente esclude che vi confluisca pure la lettura del testo
marxiano. Ben esprimendo, del resto, questo termine quella complessità di « me-
diazioni » e «trasmissioni» (Bcnjamin) che, per Marx, si dovevano inserire tra
le « relazioni materiali degli uomini», « linguaggio della vita reale» (Ideologia
tedesca, cit., p. 22) e la traduzione di queste nelle « immagini nebulose» (Marx)
della loro cosiccnza.
59 « C.On il cambiamento della base economica si soonvolge piu o meno rapi-
damente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgi-
menti, è indispensabile distinguere sempre tra lo sconvolgimento materiale deile

26.5
questo, non ya al di là di una « teoria del riflesso »): la sovra-
struttura come « Aus-druck » è un linguaggio cifrato, che racchiu-
de « il linguaggio della vita reale » ( i rapporti sociali di produ-
zione) la C'lli decifrfl%ione non disvela soltanto i significati dei
suoi elementi significanti, ma ciò di cui questi significati stessi
sono_ elementi significanti, vale a dire il processo storico reale,
quel che si muove e preme (driickt) nello Unterbau.
Se quindi « i prodotti della falsa coscienza assomigliano a
rebus, in cui fa figura principale fa capolino solo tra nubi foglie
ed ombre» 60 , di fronte a questi Benjamin si pone come il poeta,
in Baudelaire, cli fronte ai misteri « dcill'universale analogia»:
come « traduttore», come «decifratore» 61 • Solo che mentre il
poeta di Baudelaire decifrando il geroglifico presente in ogni cosa
rivela le segrete « correspondances » tra « ordine naturale » e « or-
dine spirituale », Benjamin ·nelle immagini della Pa,rigi del secondo
Lmpero discopre come il « geroglifico sociale » della merce si fosse
trascritto in esse dominandole e coglie nell'ambiguità delle « for-
me della coscienza » « co"ispondenti » ai mutamenti della strut-
tura economico-sociale e politica 62 quelle contraddizioni che pre-
ludevano all'oggettiva possibilità di una « cesura storica», che,
per la prima volta, si annunciò conia Comune di Parigi 63 •

E. Immagine dialettica. « Ambiguità - scrive Benjamin -


è l'apparenza figurata della dialettica, la legge della dialettica nella
immobilità (iDialektik im Stillstand). Questo arresto, o immobi-
lità (Stillstand), è utopia, e l'immagine dialettica un'immagine
di sogno. Un'immagine del genere è la merce stessa: come feticcio.
Un'immagine del genere sono i passaggi, che sono casa come sono

condizioni economiche della produzione, che pub essere constatato con la precisione
delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o fil~
sofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo
conflitto e di combatterlo.• (K. Marx, Prefazione a Per la critica dell'economi4
politica, trad. di E. Cantimori Meaomonri, Roma, 1974, p. 5.)
60 GS, III, p. 223.
61 Or. 01. Baudelairc, Potsie e prose, a cura di G. Raboni, Milano, 1973,
p. 667.
62 Or. K. Marx, Prefazione a Per la critica dell'economi4 politica, cit. p. 5.
63 « C.Ome il MfJlli/esto comunista chiude l'epoca dei cospiratori di profes-
sione, cosf la C,omune mette fine alla fantasmagoria che domina la libertà del
proletariato. Essa dissolve l'apparenza che sia compito del proletariato condurre a
termine, in collaborazione con la borghesia l'opera dell'ottantanove>. (AN, p. 153).
Per quanto detto sopra si vedano le osservazioni della Brenner in Die Lesbarkeit
der Bilder, cit., pp. 48-49.

266
stelle. Un'immagine del genere è la prostituta, che è insieme vendi-
trice e merce. » 64
t nelle trame di quest'ambiguità che il pensiero dialettico
si può inserire individuando quelle « cont,raddizioni rovescianti»
coperte dal bagliore dell'utopia 65 , fino a che lo stesso Stil/stand
si rivela essere l'utopia 66 di una classe che non sa piu padro-
neggiare e dirigere lo sviluppo delle forze produttive e, per questo,
un Traumbild. I passaggi e gli intérieurs, scrive Benjamin, « sono
gli a:vanzi di un mondo di sogno. L'utilizzazione degli elementi
onirici al risiveglio è il caso elementare del pensiero dialettico.
Perciò il pensiero è l'organo del risveglio storico [c.n.] » 67 •
Il Traumbild viene non solo gedeutet (interpretato), ma nei
suoi elementi utilizzato per muoversi oltre fo Stillstand del sogno,
per illuminare la sua tessitura storica: il processo stesso che rende
possibile la Deutung è un processo storico 63 , in cui il proletariato
si presenta, per la prima volta, come il soggetto capace di ridesta-
re la coscienza « sognante » della borghesia.
t -nell'arco di questa operazione che il Traumbild è rovesciato
in dialektisches Bild 69 • L'elemento dialettico nelle immagini ana-
lizzate da Benjamin, non è allora semplicemente aggiunto dalla
interpretazione, ma è materialmente presente in esse, pur se occul-
tato. L'esempio piu chiaro ci è dato dall'immagine del:la merce
come feticcio, che possiede, essendo in essa inclusa la stessa forza-

64 AN, p. 1.50.
65 « Benjamin indica il mondo borghese dell'immaginazione e delle fonne
come sogno o mondo del desiderio che trasfigura la contraddizione non compresa,
contenendo però, contemporaneamente, già i momenti di rottura del sistema».
(H. Brenner in Die Lesbarkeit de, Bilder, eit. p. 49).
66 Per questo ci sembra da escludere fermamente l'interpretazione di Tiede-
mann, secondo cui qui, per Benjamin, « invece di identificare lo Stil/stand come quel-
lo falso della società, è delineato in esso, improvvisamente, quello giusto del regno
messianico » (R. Tiedemann, Studitn, eit., p. U8). Pe1 la critica a questa impo-
stazione tiedemanniana si veda quanto scrive la Brcnner in Die ùsbarlceit der
Bilder, cit., pp. 53 e .56. Or. anche H. Pfotenheuer, Astetische Er/ahrung,
cit., pp. 59-70.
67 AN, p. 1.54.
68 « Nell'immagine dialettica il passato di una determinata epoca è sempre
contemporaneamente il "pas,sato-da«mpre". C.orne tale pero si presenta, di volta
in volta, soltanto agli occhi di un'epoca del tutto determinata: a quella infattt,
in cui l'umanità, stropicciandosi gli occhi, riconosce proprio questo Traumbild
come tale. ~ in questo momento che lo storico si assume di fronte ad esso il
compito della Traumdeulung. » (P11ss11gen, Konvolut N, BI. 4, B.-Archiv, Ms. 24-52,
in R. Tiedemann, Stuaien, eit. p. 164.)
69 « L'immagine dialettica non riproduce il 50g110, - questo non ho mai inteso
sostenerlo», scrive Benjamin a Gretcl Adorno (lettera del 16 agosto '3.5, in
LT, p. 310).

267
lavoro, dentro cli sé le forze capaci di rovesciare materialmente
il suo feticistico dominio 10•
Le immagini dialettiche costituiscono dunque le articolazioni
attraverso cui si snoda il Passagenwerle come Urgeschichte del
XIX secolo.
« L'immagine dialettica è quella forma dell'oggetto storico
che contiene ciò che Goethe esige dall'oggetto di un'analisi: pre-
sentare un'autentica sintesi. Essa è l'Urphanomen dell~ sto-
ria. » 71
Il carattere sintetico delle immagini dialettiche è dato dal-
1'esser queste intessute di temporalità determinata, « cristallizza-
zioni obiettive del movimento storico» 72 , inteso però dal lato
delle forme di coscienza della borghesia in una determinata fase
dello « sviluppo » capitalistico, in relazione altrettanto determinata
col « soggetto » che le conosce.
iDi qui l'opposizione che Bcnjamin si proponeva di svolgere
tra l'immagine dialettica e l'immagine arcaica di Jung 73 • Se a
quest'ultima inerisce il concetto di una « verità senza tempo»,
cosf da concludersi nel rendere « gli archetipi accessibili allo spi-
rito del tempo (Zeitgeist) » 74 , per Benjamin la « verità è legata
a un nocciolo temporale, ri,posto contemporaneamente nel cono-
sciuto e nel conoscente » 75 •
Di contro a1 vano ten,tativo heideggeriano di stivare astrat-

'° 2 nello scambio capitale-lavoro, infatti, che la contraddizione valore d'uso-va-


lore di scambio presente nella merce può venire storicamente alla luce: se ciò che
unifica tutte le merci in valore di scambio ~ la misura di lavoro oggettivato presente
in esse come « ratio ,. della loro scambiabilità, la stessa produzione non pub avve-
nire che con l'acquisto e l'impiego da parte del capitale di capacità lavorativa, di
lavoro vivo. Ma questo « nella misura in cui deve essere presente temporalmente,
come lavoro vivo, esso pub esserlo soltanto come soggello viuo, in cui esiste come
cap:tcità, come possibilità; perdi> come operaio •. C.ost che « l'unico valore d'uso ...
che può costituire opposizione al capitale è il lavoro ... produttivo,. (K. Marx,
Lineamenli fondamentali della critica dell'economia politica, cit., I, p. 2.52).
71 Passagen, Konvolut N, BI. 9, B.-Archiv, Ms. 2463, citato in R. Tiedemann,
Sludien, cit., p. 155.
72 Th.W. Adorno, Cbarakteristik W .Bs., cit., p 243.
73 Benjamin aveva, in seguito alle critiche mossegli da Adomo, addirittura pro-
settato un saggio su Klages e Juns, che voleva far apparire sulla Zeilschri/t /ur Sozial-
forschung prima di quello su Bauddairc, ma che poi lasciò perdere per motivi
interni alla stessa rivista, e ci~ per le controversie su Jung tra Horkhcimer e
Fromm (cft. GS, I, .3, pp. 1667-1670).
74 Passagen, Konvolut N, BI. 8, B.-Archiv, Ms. 2460, citato in R. Tiedemann,
Stutlien, cit., p. 157.
79 lvi, p. 1.59.

268
talàente la storia attraverso la « storicità » 76 , è la determinatezza
inerente ad ogni «sezione» del ,processo storico, la sua intima
discretezza, che genera le costellazioni determinate tra una sezione
del passato e il «presente» che lo conosce. Cosi che « l'indice
storico delle immagini dice ... non solo ohe esse appartengono ad
un tempo detei,minato, -ma soprattutto che queste giungono a leggi-
bilità solo in un tempo determinato [c.n.]. E proprio questo giun-
gere a leggibilità è un punto critico determinato nel loro interno.
Ogni presente è determinato attraverso quelle immagini che gli
sono sincrone: ogni ,,o,a" (]etzt) è l' ,,o,an di una determinata
conosoibilità. In essa la verità è carica di tempo fino a scoppia-
re [c.n.] » n. E lo stesso sincronismo di determinate immagini
con « ogni presente» è dato dalla ,polarità ohe esso - inteso
in senso non meramente « temporale » - esercita sul proprio
passato. L'accezione di tempo storico, - che, a fatica, si presenta
nei frammenti del Passagenwerk ,(almeno in quelli che conoscia-
mo) - teso a rompere il «continuum» reificato dell'accadere
storico, nella critica al concetto di « tempo vuoto » (come schema
che costringe ad una visione astorica del processo, da cui il « ,pre-
sente» come ,presenza della totalità sociale è « rimosso») è la
premessa oggettiva per un logico-materiale « primato della politica
sulla storia» 71 , implicato in quella « svolta copernicana» nella
considerazione storica, per cui il rapporto ,presente..pa6sato deve
venir rovesciato e « ciò che è stato trasformarsi nel rovesciamento
dialettico, nell'irrompere della coscienza ridesta » 79 •

II

A. I saggi su Baudelaire. È nei primi mesi del '37 che Benja-


min matura la decisione di fare del Baudelaire-Kapitel, contenuto
nel progetto del Passagenwerk, un saggio autonomo da pubblicare
sulla Zeitschrift fur Sozialforschung 10 • La stesura di un tale lavoro
costitui:va per Benjamin una sorta di banco di prova rr la prati-
76 lvi. Il riferimento ad Heidqger in questi termini ~ in un frammento del
Pass41enwe,k citato da Tiedemann_
Ivi, pp. 1,S-1,9.
71 Pusageo, Konvolut K., BI. 1, B.-Archiv, Ms. 238, citato in R. Tiedcmann,
Studien, cit., p. 1.52.
79 lvi, p. 1'-3.
IO Non ci dilunghiamo qui molto sulle battute intermedie che prepararono
questa decisione: per queste e per altre notizie piu dettagliate sulle fasi prepara-
torie della Baudelai,e-Arbeit dr. GS, I, ), pp. 1067-1089.

269
csbilità dell'intero progetto de1l'opera sui Passages 11 : tutti i mo-
tivi piu importanti di questa dovevano convergere nel lavoro su
Baudelaire 12 , tanto che questo -si sarebbe .potuto considerare un
« MiniatunnodeN » &J dell'mtera Passagenarbeit. Nel Baudelaire
Benjamin si proponeva di mostrare l'autore delle Fleurs du mal
« come si colloca nel contesto del diciannovesimo secolo » ". Il
compito era cosi complesso e la materia da padroneggiare cosi in-
tricata, che la schematizzazione di un Baudelaire-Essay '\ si trasfor-
mò presto m quella di un Baudelaire-Buch, di cui il progettato sag-
gio per la Zeitschrift fur Sozial/orschung (d~ll'estensione di 80-100
pagine) non poteva che essere una parte 16 •
Il libro si doveva comporre di tre parti: la prima - Baude-
laire als Allegoriker - doveva costituire la Fragestellung (posi-
zione del problema), la terza - Die W are als poetischer Gegen-
stand - -l'Auflosung (soluzione). Alla seconda - Das Paris des
Second Empire bei Baudelaire - (l'unica ohe Benjamm scrisse
per intero ed inviò nel settembre del '38 ad Horlmeimer perché
la pubblicasse sulla Zeitschrift) spettava la funzione di portare
i dati necessari alla solumone del problema: quella de1l'Antitesi,
nei confronti della quale prima e terza rappresentavano Tesi e
Sintesi.
Per questo motivo questa seconda parte doveva nell'inten-
zione di Benjamin, voltare le spalle alla « kunsttheoretische Frage-
ste14ung » della prima parte e iniziare la « interpretazione critico-
sociale del poeta» tn che come tale, doveva trovare il suo compi-
mento solo nella -terza parte. Peiciò Benjamin avvertwa Horkhei-
mer che « le !fondamenta ,filosofiche dell'intero libro, non possono
né si propongono di essere comprese (uberschauen) a partire da
questa seconda parte » 11 •
11Or. la lettera a Scholcm dell'8 luglio '38, in GS, I, 3, p. 1079.
12 «Le categorie fondamentali dei Passagen, che convergono nella determi-
nazione del carattere di feticcio della merce, nel Baudelllire entrano completa-
mente in gioco». (-Lettera a Horkhcimcr del 3 agosto '38, in GS, I, 3, p. 1083 ).
13 Or. la lettera a Horkheimer del 16 aprile '.38, LT, p. 338.
" Cos{ che « l'impronta, che egli vi ha lasciato, deve apparire chiara e intatu
come quella di una pietra che, dopo essere stata immobile per decenni in un
posto, un giorno ne viene rimossa» (lettera a Horkheimer, del 16 aprile '.38,
ivi, p. .340).
M Or. per questa prima schematinazione la lettera a Horkheimer citata alla
nota precedente (ivi, pp. 338-344).
16 Si veda per questo passaggio la lettera a Horkheimer del 28 settembre '.38,
ivi, W,· 35.5-.3.58.
Ivi, p. 1,6.
• Ivi.

270
1 Proprio da quest'ultimo fatto presero le mosse le critiche
di Adorno, che, in una let,tera in cui parlava pure a nome di
Horkheimer, si dichiarava contrario a pubblicare la seconda parte
del Baudelaire sulla rivista 11P e invitava Benjamin ad una rielabo-
razione della parte già scritta. Il frutto della discussione episto-
lare con Adorno 90 , lasciando per ora in sospeso se Benjamin
accetti realmente le critiche adorniane o piuttosto, in relazione
ad esse, definisca meglio la propria posizione, sarà il (quasi com-
pleto) rifacimento di una delle tre parti (Die Bohème, Der Fla-
1

neur, Die Moderne) che componevano il primo saggio approntato


da Benjamin, e 6egnatamente di quella riguardante hl flaneur.
Il saggio - nel quale Benjamin sperava risaltasse« con -tutta
precisione ifa "mediazione" (Vermittlung) dei contenuti sociaU neHa
poesia di Baudelaire » 91 - apparve, col titolo Ober einige Motive
bei Baudelaire 92 , nel 1940 sul numero 8 della Zeitschri/t fu,
Sozialforschung.
Affrontando Baudelaire, Benjamin, sperava di ottenere, piu
che dagli altri « soggetti» ddlla Passagenarbeit, « una visione ver-
ticale, prospetticamente strutturata. nella profondità del XIX se-
colo» 93 •
Le esperienze sociali (gesellschaftlichen Eriahrungen), sedi-
mentatesi nell'opera baudelairiana « non sono acquisite in alcun
modo dal processo di produzione - tanto meno dalla sua forma
piu avanzata, da quello indu.striale - ma tutte quante attraverso
ampie vie indirette (auf weiten Umwegen). Queste -però nella
sua poesia stanno alla ~uce del sole. » 94
19 E questo, scriveva Adorno, « non per riguardi redazionali ma per Lei stes10
e per il Baudelaire. Il lavoro non La rappresenta, cos( come La dovrebbe rappre-
sentare» (lettera di Adorno a Bcnjamin del 10 novembre '36 in GS, I, J, p. 1098.
Citiamo da GS invece che da LT, ~ qui la lettera non è tagliata come invece
lo era in BR).
98 Per questo rimandiamo alla terza parte del lavoro. •
91 Lettera a Horkheimer del 16 maggio '39 in GS, I, J, p. 1120.
92 Il fatto che in questo saggio la nervatura teorica del discorso bcnjami-
niano sia piu evidente, spiega perché, in seguito, faremo riferimento soprattutto
ad esso oltre che ai frammenti di Zentralparle, anche se non intendiamo prmdere
specificamente in esame nessuno tra gli scritti che Benjamin dedicò a Baudelaire
(né tantomeno operare dei confronti tra essi), ma ccrcarc semmai di estrarre, dalle
complesse pagine baudelairiane di Benjamin, alcuni motivi teorici che - a nostro
avviso - rendono coerente cd internamente unitaria la sua ricerca sul poeta
delle Fleurs du mal.
93 Lettera a F. Pollock (4 luglio '36, minuta), in GS, I, ), p. 1078.
!H Dal manoscritto Der Gescbmaclt, in GS, I, J, p. 1169.

271
B. Il tempo del mercato e l'eroismo baudelairiano. Individutre
queste Umwege e ripercorrerle è l'intento di Benjamin; l'immagine
di Baudelaire che, nelle sue pagine, cen:a di« fissare» non è atem-
porale. Ciò che determina l'operazione benjaminiana è, come ha
visto Tiedemann 95 , il korschiano « ,principio della 51pecificazione
storica»": la poesia e, piu in generale, l'opera baudelairiana
viene cosf ad essere colta come testimonianza dell'annunciarsi di
mutate condizioni della produzione intellettuale nello Zeitalter des
Hochkapitalismus. Tanto che il discorso su Baudelaire si configura
come fUrsprung (nel senso che questo termine ha nel Trauer-
spielbuch) della problematica affrontata in L'autore come pro-
duttore. ·
Presupposto di quanto Benjamin si proponeva in questa con-
ferenza (vale a dire la presa di coscienza, da parte dell'intellettua-
le, della propria posizione nel processo produttivo e dell'oggettiva
funzione, svolta in questo, dai suoi ;prodotti) era il «critico»
processo di svuotamento (dal suo interno) della nozione di « sog-
getto», come Umweg necessario perché l'intelilettuale pervenisse
ad una conoscenza storica della propria « condizione ».
Se la criticità di tale processo sottende pure una sua disten-
sione storico-temporale, questa ,presenta al suo inizio (tra la fine
dell'800 ed i primi anni del '900) il tentatiivo di una ricomposi-
zione della soggettività in un «tempo» interno al soggetto stesso
e come tale capace di obliterare lo spessore della ,propria « espe-
rienza storica » (historische Erifahrung) attraverso il filtro desto-
ricizzante dell'Erlebnis; tentativo ,peraltro sempre ricorrente nel
corso di questo processo, pur se con un restringimento progressivo
del margine della sua legittimità storica.
Se iBaudelaire è all'inizio di un tale processo, lo è con una
posizione cosi pecuiiare e cosciente che, a differenza, ad esempio,
dei teorici dell'« art .pour l'art» {die all'interno di quel tentativo
cli i'icomposizione 97 , di cui abbiamo parlato, 6i ponevano senza
rimando ad altro), la sua poesia e, in diversa e discontinua misura,
15Or. R. Ticdemann, Nachworl a Ch. BtJUdelaire, cit., p. 181.
96Si veda per questo di K. Korsch, &,I Marx, trad. cli A. Illuminati, con
Introduzione cli G. Bcdcschi, Bari, 1972, pp. 11-27. Bcnjamin aveva avuto da
Brecht un manoscritto dell'opera korschiana.
97 <lle in questo caso si configura come la volontà cli « non consegnare l'arte
al mercato• (cfr. AN, p. 151), cli sottrarsi agli e affari• della propri11 classe,
di opporre, con la propria produzione poetica, un netto rifiuto a tutte le « mani-
feste esperienze • cli questa. ( Ma si veda per questo tutto il frammento Dn
Geschmadt in GS, I, .3, pp. 1'167-1'169.)

272
tÙtta Ja sua produzione 91 di quel «tentativo» fa intravedere
il fallimento, di qud processo « la fine » 99 •
L~« io», il «tempo» del soggetto e quello del processo sto-
rico, anzi del modo .in cui il tempo del secondo attraversa quello
del primo, sono le figure segrete che popolano l'allegorizzare bau-
delairiano, come Parigi con le sue fol!le è !'•invisibile spazio scenico
nel quale queste si muovono. Ed è proprio nel fondo delle alle-
gorie haudelairi.ane che il soggetto si riryda essere la « merce»
cd il tempo quello «vuoto» del capitale. Lo «spleen» è, per
Baudelaire, il tramite per il quale questo ribaltamento-rivelazione
è percepito.
Di «percezione» abbiamo parlato, non di coscienza: questo
ad indicare tutta l'ambiguità («storica») della figura di Baude-
laire.
Se egli « si è reso conto per primo, e nd modo piu ricco
di conseguenze, che la borghesia era sul punto di ritirare la sua
commissione al poeta » 100 , 1'« incarico -sociale » che si assume
è quello del « mimo, che deve recitare la parte del poeta davanti
a una platea e ad una società che non sa già che farsi del vero
poeta e gli dà un posto come mimo » 101 •
Qui sta la « segnatura storica» dell'eccentricità baudelairiana,
del suo « moderno eroismo » 102 , che consisteva nel prender sem-
pre nuove «forme», assumere i piu diversi «ruoli» 103 per
« pretendere la dignità di poeta in una società che non aveva
piu da assegnare dignità di sorta» 10'. E il modo in cui questa
pretesa poteva fa.mi valere era « rivendicando un valore di mercato
(Austdlungswert) ».

91 Si pensi qui, ad esempio, alle pagine di Mon coeur mis ,) nu, che iniziano
sintomaticamente con queste parole: « Della vaporizzazione e della centralizza.
zione dell'IO. / Tutto è lh (Cli. Baudelaire, Poesie e prose, cit., p. 1011).
9' « Nei suoi versi - scrive E. Fischer del Baudelaire di Bcnjamin - ... si
annuncia una fine.»- (E. Fischcr, Ein Geisterseher in der Burgerwell, in AA.VV.,
Ober W. Ben;amin, cit., p._ 127.)
100 Zenlralparlt, in AN, p. 130.
101 I vi, p. 127.
102 All'« eroismo della vita moderna», Baudclairc ha, si ricordi, esplicitamente
dedicato il XVIII paragrafo del suo Salon del 1846, in Poesie e prose, cit.,
pp. 771-774.
103 « Poiché non aveva da far propria alcuna convinzione, egli stesso (Baude-
laire) assunse sempre nuove figure. Fl4neur, Apache, Dandy e raccoglitore cli
stracci erano pcr lui altrettanti ruoli. PoicM il moderno Heros non è un eroe -
è un interprete di eroi. L'eroismo moderno si configura come un Trauerspiel, in
cui il ruolo dell'eroe è disponibile.• (Da.r Paris des Second Empire bei Baudelaire,
in GS, I, 2, p. 600.)
10. AN, p. 130.

273
« Che cos'è l'arte? Prostituzione» risponde Baudelaire .
105

.Jn un'epoca in cui le condizioni della produzione artistica


erano mutate a tal punto che« la forma di merce nell'opera d'arte
e la forma di massa nel pubblico si manifestavano in forma piu
di-retta e brutale che mai prima d'allora» 106, l'unico spaio possi-
bile per il poeta era quello inferibile « dal mercato e dalle sue cri-
si », perché ora è « il mercato, e non la protezione di un principe,
che si tratta di conquistare » 107 •
Certo ·non uno spazio immediato ed eMimero ricercava Baude-
lai.re 101, non lo interessava (e qui sta tutta l'ambiguità della
sua figura, quella di chi percepisce il nuovo e al contempo vuol
mantenere, sotto le ivesti di questo, l'antico, l'irrimediabilmente
condannato a perire) « la riohiesta palese a breve termine, ma
quella latente a lunga scadenza» e « le Fleurs du mal provano
che egli la seppe valutare esattamente » 109 •
E se « le fonti da cui si alimenta il contegno eroico di Bau-
delaire scaturiscono dagli ultimi ,(tiefsten) fondamenti dell'ordine
sociale che andava avviandovi verso da metà del secolo» 110, l'eroi-
smo 'haudelaidano è come un ultimo tentativo di • fermare » il
processo che quest'ordine ·sociale aveva messo in moto 111 •
Nel medesimo -tempo che si presenta come il « poeta della
vita modema », Baudelaire « vuole essere letto come un an-
tico» 112 : qui sta tutta la sua contraddittorietà 113 •
Come nei suoi -versi « la carne si irrigidisce in metallo, per
1m ai. Baudelaire, &zw, in Poesie e prose, cit., p. 983.
106 AN, p. 134.
1m Ivi, p. 138.
101 Assentendo alla tesi di Valéey, secondo cui per Baudelaire il problema
di diventare un grande poeta era come « la sua ragion di Stato », nota Benjamin:
« La produzione poetica di Baudelairc è ordinata in funzione di un compito. Egli ha
intravisto degli spazi woti, in cui ha inserito le sue poesie. Non solo la sua
opera si lascia definire storicamente, come ogni altra, ma essa si è voluta e si
è intesa cosi» (Di alcuni motivi i" Baudelaire, in AN, p. 94).
IOIJ lvi, p. 130.
uo Ivi, p. 134.
111 « Interrompere il corso del mondo - era la piu profonda volontà di
Baudelairc. » (Ivi, p. 1)1.)
J1 2 DtU Paris des Second Empire bei Baudelaire, in GS, I, 2, p . .593.
113 Questa si rivela pure nella sua « teoria estetica»: « La modernità è il tran-
sitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell'arte, di cui l'altra metà è l'eterno
e l'immutabile» (Ch. Baudelaire, Il pillare delllJ vita modem1J, in Poerie e prose,
cit., p. 944). Questa teoria dell'arte modcma è, nota Benjamin, « nella visione
baudelairiana della modernità, il punto piu debole ... Nessuna delle sue rifles-
sioni estetiche ha rappresentato il moderno nella sua compenetrazione con l'11111ico,
come in certi brani delle Fleurs du mal• (Da Paris des Secorul Empire bei
B1Judelaire, in GS I, 2, p. '8').

274
salvarsi . dall'imputridimento » (E. Fischer), cos( - elevando lo
« Chock » a principio formale della propria poesia - Baudelaire
vuole coagulare la materialità della propria (quotidiana) Erfah,ung
nelle forme dell'E,lebnis 114 ; immobilizzando il tempo nell'An-
denken (l'oggetto-ricordo), mira ad esorcizzare '1a sua potenza e
sottrarsi all'imprevedibilità dell'Erinnerung (della reminiscenza) 115 •
u,sf, dopo aver decretato la « perte d'auréole » da parte del
poeta, dietro la maschera della propria eccentricità cerca di nascon-
dere « da necessità sovraindividuale della sua forma di vita e, fino
ad un certo grado, .anche del suo destino di vita » 116 , di mant~
nere, segretamente, intatta la « sostanza» della figura che
recita 117 •
« Inquietudine irrigidita (erstarrte Unruhe) - scrive Benja-
min - è anche la formula per l'immagine della vita di Baudefaire,
che non conosce alcun sviluppo. » 111
Ma questa definizione (erstarrte Unruhe) può esser tranquil-
lamente estesa a -t,utto il complesso delle « operazioni » baude-
lairiane ora menzionate; e se l'allegoria, ned suo « succhiare » la
vita a ciò che include nel suo cerchio, nel suo distruggere fer
conservare, « offre l'immagine della !inquietudine irrigidita »11 , è
1

proprio l'allegoria 131 a costituire lo spazio ed il tramite, nel quale


- nella poesia baudelair.iana - queste operazioni vengono con-
dotte.

114 Alla luce di questo dato va letto il peculiare rapporto che Ja poesia di
Baudelaire intrattiene con la folla ( « questa lolla, di cui ... non dimentica mai
l'esistenza, non funse da modello a nessuna delle sue opere. Ma essa è iscritta
nella sua creazione come figura segreta » - e piu avanti - « Ja muu è talmente
intrinseca a Baudelaire che si cerca invano in lui una descrizione di essa», AN,
pp. 97 e 99) e con la stessa Parigi, a differenza di quello, ad esempio, di Hugo.
Ma per questo si vedano i paragrafi ,. 6 e 7 di Ober einige Motive bei Baude-
laire e tutto il capitolo Der Fl4neur di Das Paris des Second Empire bei Baudelaire,
IU « Il "ricordo" (Andenken) è la reliquia secolarizzata. L'Andenken è il
complemento dell'Erlebnis. In esso si deposita la crescmte autoestraniazione del-
l'uomo, che cataloga il suo passato come morto possesso. L'allegoria ha sgombrato,
nell'Ottocento, il mondo esteriore per insediarsi in quello interno. La reliquia
deriva dal cadavere, l'Andenken dalla esperienza defunta (abgestorbene Erfahrung),
che si definisce, eufemisticamente, Erlebnis [c.n.]. • (AN, pp. 1».1136; la tr•
duzione è stata lievemente modificata.)
116 GS, I, 2, p. 690.
117 « Dietro le maschere di cui faceva uso, il poeta in &udelaire conservat111
l'incognito. Cos{ provocatorio poteva apparire nei suoi rapporti, cosf circospetto
procedeva nella sua opera. L'incognito è la lcgc della sua poesia [e.o.].,.
(lvi, I). 601.)
ira AN, p. 132; la traduzione è stata lievemente modificata.
11, c.&. GS I, 2, p. 666.
llD « Le allegorie sono luoghi in cui Baudelaire placava il suo istinto di
distruzione.» (AN, p. W.)

275
Non sta, però, tutta qui Ja peculiarità dell'immagine di Baude-
laire, la '5\la autentica« modernità», :bensf nel .fatto che le allegorie
si rovesciano contro le sue intenzioni 121 ; che nello spleen l'argine
protettivo dell'Erlebnis si rompe, riversando nei versi baudelai-
riani il torrente della historische Er/ahrung.

C. Erlebnis-Erfahrung. Questa particolare opposizione-trapas-


so tra Erlebnis ed Er/ahrung, determinato attraverso le categorie
« storiche» e «soggettive» della temporalità, è la chiave del sag-
gio 'Ober einige Motive bei Baudelaire.
· Qui la cornice storico-teorica entro cui si dipana il discorso
benjaminiano è, in un certo senso, inedita rispetto agli altri scritti
su Baudelaire: questa è costituita da quella « serie di -tentativi»
di rifondare l'Er/ahrung (che nella sua dimensione pubblica e
quotidiana - dalla fine del secolo scorso in poi - era andata
« denaturandosi », per l'inserirsi di « fenomeni di massa » 122 nel-
le maglie della sua stessa struttura) all'interno dell'Erlebnis, fa-
cendo di quest'ultimo l'orizzonte di « autenticità» di queHa
(1'espe1ienza).
Se Das Erlebnis und die Dichtung di Dilthey è uno dei primi
tentativi di questa serie, che finisce con Klages e con Jung, la ra-
dice teorica di questi tentativi è da ravvisare nel Bergson di Ma-
tière et mémoire. La «memoria » si presenta qui come la condi-
zione dell'intangibilità del soggetto dalla disgregazione che questi
esperisce alla « superficie» della vita sociale, come forza che ne
(ri)costituisce la sostanza definendola all'interno della durée.
Ma se Bergson, non specificando storicamente la memoria,
non comprendendo la « determinazione storica » che tesse dal-
l'interno la struttura dell'esperienza 123, tralascia di dire che « so-
lo il poeta può essere il soggetto adeguato» della durée, la Recher-
che proustiana si presenta come il tentativo consapevole, intellet-
rn L'espressione è qui da intendersi nel senso di: « in modo inconsapevole
a Baudelaire stesso» e insieme in quello di: « cosf da disilludere i suoi progetti».
1ZZ Dal carattere di « massa » della produzione a quello che assumeva la
fisionomia della Grosssladt, con la «folla» che popolava le sue strade.
123 La critica che Benjamin muove a Bergson non è semplicemente esterna,
ma muove - internamente al discorso bergsoniano - dalla struttura "storica"
dell'esperienza: « in reaJtà l'esperienza è un fatto di tradizione, nella vita collet-
tiva come in quella privata. Essa non consiste in singoli eventi esattamente fissati
nel ricordo, quanto nei dati accumulati, spesso inconsapevoli, che confluiscono
nella memoria» (AN, p. 88).

276
tualmente controllato 124 , di verificare « la teoria bergsoniana del-
1'e,perienza ». Questo, però, con l'introduzione di un elemento
che suona come critica e correttivo della stessa teoria bergsoniana,
secondo la quale sembra che « il volgersi all'attualizzazione intuiti-
va del flusso vitale sia una questione di libera scelta » 125 : la
distinzione proustiana tra mémoire volontaire e mémoire invo-
lontaire 126 •
Tale distinzione proustiana - nota Benjamin - ha un ri-
scontro oggettivo, che ne diviene al contempo la fondazione, nella
correlazione che Freud, in Jenseits des Lustprinzips, stabilisce tra
memoria {nel semo della mémoire involontaire) e coscienza. Qui,
come è noto, Freud suppone che all'interno cli uno· stesso sistema
di processi psichici « il diventare cosciente e il lasciare dietro
di sé una traccia mnestica siano ·processi tra loro incompatibili»,
per cui mentre nel sistema di cui la coscienza è funzione « il pro-
cesso di eccitamento diventa conscio, ma non lascia tracce perma-
nenti», l'eccitamento trasmesso ai sistemi intemi .adiacenti « lascia
in questi sistemi Je tracce che costituiscono il londamento del
ricordo» 127 • Tanto che tali residui mnestici si presentano con
tanta forza e capacità di persistenza nella misura in cui'<< il processo
dal quale ·sono risultati non ha mai raggiunto la coscienza » 121 ,
che ha la funzione di proteggere dagli stimoli.
Se l'Erlebnis, allora, è evento vissuto attraverso lo schermo
della coscienza e da questa assimilato, lo spazio dolla Recherche
proustiana è quello della Er/ahrung, di ciò « che non è stato vissuto
espressamente e consapevolmente, ciò che non è stato, insomma,
124 « Egli [Proust] fu (per cominciare con l'aspetto piu esteriore della cosa)
un perfetto regista della sua malattia.,. (W. Bcnjamin, Zum Bilde Proust, trad.
in AR, p. 39.) A questo importante saggio, apparso sulla Literarische Welt nel
1929, per una verifica nell'opera proustiana della tematica qui affrontata, riman-
diamo interamente.
u, AN, p. 89.
126 Benjamin, nel citato saggio su Proust, accosta la Mémoire involontaire
piu all'oblio che al ricordo volontario, le cui informazioni sul nostro passato
corrono sul filo dell'Erlebnis e per questo « non conservano nulla di esso•:
il nostro passato, quello non depurato dal filtro razionalinante della 008c:iem:a,
scrive Proust, « è inutile cercare di rievocarlo, tutti gli sforzi della nostra intel-
ligenza sono vani. Esso si nasconde all'infuori del suo campo e del suo raggio
di azione in qualche oggetto materiale ( nella sensazione che ci verrebbe data da
questo oggeno materiale) che noi non supponiamo. Questo oggetto vuole il caso
che lo incontriamo prima di morire, o che non lo incontriamo • ( M. Proust, Alla
ricerca del tempo perduto. La strada di Swann, trad. di N. Ginzburg, Milano,
1970,,. 46).
J S. Freud, Al di ltl del principio del piacere, trad. di A. Marictti, Torino,
1975, p. 43.
11.1 Ivi.

277
un' "esperienza vissuta" » 119 ed è stato, invece, riauivato dalla
mémoire involontaire.
La tensione che percorre l'opera proustiana è, quindi, giun-
gere alla riappropriazione della propria Erfahrung, al suo « domi-
nio», attraverso la scrittura. Ciò che definisce il tentativo prou-
stiano è il carattere individuale - privato - della sua impre-
sa 130 : alla distruzione dell'Erfahrung sul piano della vita sociale,
Proust risponde: « La redenzione è una mia impresa privata » m.
La « redenzione del passato fRettung der Vergangenheit) » 132
nella wa opera è chiaramente Rettung del proprio passato indivi-
duale.
Ma la stessa « perfetta riuscita » di questa intenzione prou-
stiana è ciò che rivela fa « Verkummerung » (deperimento)"della
esperienza. Perché « dove c'è esperienza nd senso proprio del ter-
mine, determinati contenuti del ,passato individua-le entrano in con-
giunzione nella memoria con quelli del passato collettivo. I culti
con i loro cerimoniali, con le loro feste (di cui forse non si parla
mai in P,roust), realizzavano di continuo la fusione tra questi due
materiali della memoria. Essi provocavano il ricordo in epoche
determinate e restavano occasione e appigli di esso durante tutta
la vita » 1".
II tempo che questi ricotdi (Eingedenken) dischiudono è
un tempo« auratico »: proprio a questo fa riferimento Baudelaire
col suo concetto di -« correspondances » 134 •

D. Idéal e spleen. Le correspondances sono l'« idéal » baude-


lairiano, lo stato della esperienza in cui questa trattiene ancora
elementi cultuali, nei quali « cerca di stabilirsi al riparo da ogni
129 AN, p. 92. Questo perché - scrive Benjamin nel saggio su Proust - « un
evento vissuto è finito, o perlomeno è chiuso nella sfera dell'esperienza vissuta
(Erlebnis), mentre UD evento ricordato è senza limiti, poiché è solo la chiave
per tutto cib che è avvenuto prima e dopo di esso» (AR, p. 28).
uo La stessa espressione mémoire involontairc - nota Bcnjamin - « reca i
segni della situazione in cui è stata creata. Es&a appartiene al repertorio della
persona privata, isolata in tutti i sensi• (AN, p. 91).
Ili Ivi, p. 118.
ll2 Il tema della « redenzione del passato • è affrontato nelle Tesi, che, per
un aspetto, SODO costituite dall.'Um/unlttionin-ung in senso politico e collettivo del
tentativo proustiano.
m AN, p. 91.
134 Si veda per questo la poesia, delle Fleurs du mal, Correspondances (Ch.
Baudelaire, Poesie e p,ose, cit., p. 20), che insieme alla poesia LII vie antérieure
è oggetto dell'analisi bcnjaminiana nel paragrafo 10 di Ober einige molive bei
&udelaire.

278
crisi » 135 • Ndla ~perienza delle co"espondances il poeta è sot-
tratto ai « produits avariés, nés d'un siécle vaurien » 136 e « dans
tout ce qu'il 1boit et dans tout ce qu'il mange / Retrouve l'amboi-
sie e le nectar vermeil » 137 •
La connossione con il tutto non è ancora infranta e « l'homme
y passe à travers des forets de symboles / Qui l'observent avec
des regards familiers » 133 •
« ,Le co"espondances - scrive Benjamin - sono le date
del -ricordo. Non sono date .storiche, ma date della preistoria (Vor-
ge.schichte) » 139, in esse si cdebra l'incontro con 1« la vie an-
térieure ».
iSolo col rimando ad un mitico tempo anteriore 140 nella
nostalgia di uno « stato » da sempre trascorso e per questo dipinto
con la solennità di un cerimoniale 141 , Baudelaire « poteva valu-
tare appieno il significato della catastrofe di cui egli, come moderno
si trovaiva ad c&Sere testimone » 142 •
Non si danno « corrispondenze simultanee come .furono col-
tivate in seguito dai simbolisti » 143 : propria di iBaudelaire è la
coscienza che lo stato delle co"espondances è totalmente conse-
gnato a:IJa vie antérieure; l'esperienza della durée è solo evocata
come i« qualcosa di irrimediabilmente perduto», completamente
rescissa dal presente, come un'astratta negazione che non lo com-
prende, ma si insedia in esso e per questo vi soggiace. Non c'è
immagine, nella poesia baudelairiana, che illumini tutto questo,
piu della metafora contenuta nei versi che concludono L 1albatros:
Le Pocte est semblable au prince des nu~
Qui han~ la tcmpéte et se rit de l'archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes dc géant l'cmpechent de marcher 144•

Il «tempo» irrompe nella produzione baudelairiana, come


~ AN, p. 114.
136 01. Baudclaire, L'idéal, in Poesie e prose, cit., p. 42.
137 lvi, Benédiction, p. 12.
ns lvi, Co"espondances, p. 20.
139 AN, p. 115.
140 « C'est là que }'ai vécu dans lcs voluptés calmcs. > (Ch Baudela.irc, La
vie antérieure, in Poesie e prose, cit., p. )4.)
141 « J'ai longtcmps habité sous dc vastes portiques / ... / Les houles, en
roulant les images des cieux, / Melaient d'une façon solennelle et mystiquc / Lcs
tout-puissants acrords dc leur richc musique / Aux couleurs du couchant reflété
par mcs yeux. • (lvi)
142 AN, p. 1d.4.
143 Ivi, p. 115.
144 Cli. Baudclaitc, L'albatros, in Poesie e prose, cit., p. 18.

279
potenza negativa che rode dal di dentro la « posizione » del poe-
ta come Ilaneur. Non è un « tempo »riconducibile semplicemente
alrorizzonte individuale, di fronte a questo anzi si presenta come
qualcosa che lo sovrasta, come fantasma di quelle forze stol'liche,
che minacciavano di travolgere le stabilizzazioni interne raggiunte
dall'esperienza del poeta: « Ad ogni minuto siamo schiacciati dal-
l~idea e dalla sensazione del tempo. E- non ci sono che due mezzi
per sfuggire a questo incubo, per dimenticarlo: iJ. piacere e il la-
voro. Il piacere oi logora. Il lavoro ci fortifica. Scegliamo ... Il
tempo non si può dimenticare che servendosene » 145 •
Il « soggiacere » di Baudelaire al proprio ·presente non è
sémpHce disfatta, ma solitario sforzo di intendersi, nella « fanta-
sque escrime » dei suoi versi, con la « beauté moderne», fare di
questa il tessuto della propria esperienza. E la riuscita di una
tale Erfahrung l'ottiene solo facendo dello Chockerlebnis la propria
arma.
Il prezzo ,pagato da Baudelaire è la dissoluzione di ogni « au-
ra» e, prima fra tutte, di quella legata al« tempo».
Alle .poesie detl'idéal seguono quelle dello spleen. Di fronte
all'idéal, « che dispensa ila forza del ricordo» 146 , sta lo spleen
che « gli oppone l'orda dei secondi» 147 e lo tiene in scacco:
tra essi non si dà alcuna « armonica » sintesi, ma solo dissonante
contrasto.
« Nello spleen il tempo è oggettivato; i minuti coprono l'uo-
mo come fiocchi. Questo tempo è senza storia, come quello della
mémoire involontaire. Ma nello spleen la percezione del tempo
è acuita in modo sovrannaturale; ogni secondo trova la coscienza
pronta a parare il suo colpo (chock) » 148 • Il tempo dello spleen
è « entleert » 14' e svuotato è pure il soggetto che - abbando-
nato al « vuoto decorso del tempo» - è come «attraversato»
da esso.
Non c'è in Baudelaire l'utopia bergsoniana della ricomposi-
zione della soggettività -nella durée: « Baudelaire tiene in mano,
nello, spleen e nella vie antérieure, gli elementi dissociati della
vera esperienza storica» 150 • Mentre nella durée bergsoniana v'è
la mistificazione di un Erlebnis che si vuole t-ransvalutato e trasfor-
1.,146 Ivi, Raui, p. 1003.
AN, p. 116.
147 Ivi.
141 Ivi, p. 117.
1.- Or. il commento di Benjamin alla poesia L'Horlog~, in GS, I, 3, p. 1141.
150 AN, p. 118.

280
mato in Erfahrung, « Io spleen invece espone l'Erlebnis nella sua
nudità » 151 e cosf lo rende permeahi!le al « tempo » del processo
storico, ai ritmi della realtà sociale 152 , fino a che l'Erlebnis (bau-
delairiano) diviene rea/,mente Erfahrung.
« Lo spleen - afferma Benjamin - non è nient'altro che
la quintessenza dell'esperienza storica. [c.n.] » 153

E. Progresso e Eterno Ritorno. Le invettive baudelairiane


contro l'idea di progresso is. nascono dalla sua esperienza splee-
netica; ad essa è ,propria la percezione della catastrofe, cod che
l'idea di progresso (« questa idea grottesca, fiorita sul terreno
putrido della fatuità moderna») 155 diviene - agli occhi di Bau-
delaire - « la diagnosi di una decadenza di già troppo vi-
sibile » 156 •
Quello contro cui si scaglia è la cieca fiducia della borghesia
nei « miracoli » dello sviluppo della tecnica 157 ; e di fronte alle
immagini del progresso come « serie indefinita» si domanda se
questo « non sia forse un modo di suicidirsi incessantemente rin-
novato e se chiuso nel cerchio di fuoco della logica divina, non
rassomigli aHo scorpione che si trafigge da sé con la sua terribile
coda » 158•
Il concetto di progresso si fonda qui nell'idea di catastrofe,
che si rivdla come « la sussistenza dell'esistente » 159 e l'imma-
gine dello scoi,pione richiama la verità hegeliana, secondo cui il
progresso della« cattiva infinità» è I(( non un procedere e un venir
piu avanti, ma la ripetizione sempre dello stesso » 160 e inserisce
1s1 Ivi.
162 ~ in questa direzione, ci sembra, che Benjamin legge i Tableaux Pa,isiens.
15.3 GS, I, 3, p.11,1.
1.54 e&. Ch. Baudelairc, Poesie e prose, cit., pp. 782-78,; 999-1002; 1016-1017
e 1042-1043.
L5S Oi. Baudelaire, Esposizione universale. 1855. Belle arti, in Poesie e prose,
cit., p. 783.
156 lvi.
1.57 « Se domandate a ogni buon francese che legge tutti i giorni il suo gior-
nale, nel suo caffè, che cosa intenda per progresso, risponderl che è il vapore,
l'elettricità e l'illuminazione a gas ... il poveruomo è talmente americanizzato dai
suoi filosofi zoocrati ed industriali, che ha perduto la nozione delle differenze
che caratterizzano i fenomeni del mondo fisico e del mondo morale, del naturale
e del sovrannaturale.» (Ivi)
158 lvi, p. 784.
1.!B GS, I, 3, p. 1139.

1 G.W.F. Hegcl, Scienza della logica, trad. di A. Moni e C. Cesa, Bari,
1968, I, p. 249. Degno di rilievo ci sembra che Benjamin, in un manoscritto

281
la figura di Baudelaire, insieme a Nietzsche e al Blanqui di L'éter-
nité par les astres 161 , in una costellazione (quasi sincrona) c~
stituita dalla idea deli,eterno ritorno 162 •
Se quest'ultima da un lato è senz,altro negazione dell'ottimi-
smo borghese, dall'altro di questo ottimismo non ne è che il rove-
scio; annunciandosi « neU'istante in cui la sicurezza delle condi-
zioni di vita cominciò a diminuire nettamente, in seguito alla suc-
cessione accelerata deù.le crisi » 163 , è rimmagine attraverso cui
la borghesia mostra il suo timore « a guardare in faccia allo svi-
luppo incombente dell'ordine produttivo che essa stessa aveva mes-
so in opera » 164 •
Con l'idea dell'eterno ritorno si vuol trasferire la Reproduk-
tionstechnik all'interno delraccadere storiico, fare di questo « un
articolo di massa » 165 ; si vuol « rimuovere » la deter.minatezza
storica delle contraddizioni, che lo sviluppo delle forze produttive
genera, ·per i rapporti di produzione (anche questi « occultati »)
cui è vincolato.
« La fede nel progresso, in una infinita perfettibilità - un
compito infinito nella morale - e l'idea dell'eterno ritorno sono
complementari. [ c.n.] Sono le irrisolvibili antinomie, di fronte
alle quali va sviluppato il concetto dialettico di tempo st~
rico. » 166
.:B. colta, in questa complementarietà, l'apparenza socialmente

appartenente al compJcsso di Vbtr einige Motive bei Baudela;,e, scriva: « La cattiva


infinità compare in Hcgcl come scgnatwa della società borghese. Mostrare la cattiva
infinità nel movimento del capitale» (GS I, 3, p. J:117'7).
16I Si veda per questo la lettera a Horkheimcr del 6 febbraio '38 (in GS,
I, 3, pp. 1071-1072), dove Bcnjamin parla di questo testo, l'ultimo che Blanqui
scrisse nella sua prigionia a Fort du Taureau, come di una «scoperta» che
avrebbe influenzato tutto il suo lavoro. Su Blanqui si veda pwe, in rapporto a
questo suo ultimo scritto, il manoscritto pubblicato in GS, I, 3, pp. 1'153. « Il
libro - nota Bcnjamin - proclama l'idea dell'eterno ritorno dieci anni prima
dello Zarathustra di Nietzsche: quasi meno pateticamente e con una forza vera-
mente allucinatoria. » (lvi, p. 1151}.) In merito si veda ora il recente saggio di
F. Rclla, Ben;amin e Blanqui, in AA.VV., Critica e storia, cit., pp. 181-200.
162 « Mostrare energicamente come l'idea dell'eterno ritorno penetra quasi
nello stesso tempo nel mondo di Bauddairc, Blanqui e di Nietzsche. In Baudclairc
l'accento cade sul nuovo, strappato con er,oico sforzo al scrnpreuguale, in Nietzsche
sul sempJCUguale, che l'uomo affronta con eroica fermezza. (Blanqui è molto
piu vicino a Nietzsche che a Baudclaire, ma in lui prevale la rassegnazione).
In Nietzsche questa esperienza si proietta cosmologicamcnte nella tesi che non
succede piu nulla di nuovo.» (AN, p. 1J3.)
16.l Ivi, p. 128.
164 Ivi, p. 134.
165 Ivi, p. 128.
166 Passagen, Konvolut D, BI. 10, B.-Archiv. Ms. 209'1 B, citato in R. Tiedc--
mann, Studien, cit., p. 138.

282
necessaria in cui la coscienza borwiese apprende la dinamica tem-
porale interna al processo di sviluppo capitalistico: « progresso
indefinito» ed« eterno ritorno», inteso come ritorno dell'identico,
sottendono entrambi un tempo svuotato di referen~i materiali, che
nella loro connessione ne costituirebbero lo spessore determinato,
definendolo - in ogni suo segmento - come tempo storico.
La rappresentazione del divenire temporale in entrambe le
immagini (già interamente contenute nella frase hegeliana prima
citata) è realmente « geschichtslos »: se fa prima postula uno svi-
luppo quantitativo delle iforze produttive, da cui i rapporti di pro-
duzione sono assenti, 1a seconda di fronte alle contraddizioni sto-
riche, che questo sviluppo « sembra» poter generare, «presenta»
la necessità di un continuo riprodursi di quei rapporti (prima
« rimossi ·») .
Alla luce di tutto questo appare chiaro il limite della lotta
baudelairiana contro il « progresso meccanico», i 1 limite storico
del suo «eroismo»: se lo spleen può esser superato solo dalla
messa in opera del « nuovo », il « nuovo », in Baudelaire, porta
« in massima misura lo stigma di quella realtà ... , contro cui il
poeta si rivolta» 167 • Cosf che « la poesia di Baudelaire fa appa-
rire il nuovo nel sempreuguale e il sempreuguale nel nuovo
[c.n.] » 168 •

F. Merce e allegoria. Baudelairc, nota Benjamin, è .insupera-


bile come Grubler (rimuginatore) e il Grubler «come tipo storica-
mente determinato di pensatore, è quello che è di casa fra le alle-
gorie » 169 ; come Allegoriker Baudelaire fu, nel suo tempo, « iso-
lato », « un epigono », ma certo questo carattere epigonale non
imped{ alla sua produzione, alla sua stessa «figura», di costituire
una sorta di« denudamento », fin nei suoi aspetti piu osceni, delle
illusioni della propria classe.
L'allegoria è come il ponte costruito nella materia della scrit-
tura, che il poeta tenta di gettare tra lo spleen e la vie antérieure,
ma proprio l'impossibilità di saldare questi termini fa dell'opera
di Baudelaire una «provocazione» nei confronti del proprio tem-
po. L'allegoria baudelairiana, a differenza di quella barocca, dal
mondo esteriore degli oggetti si insidia in quelio reificato dell'in-
167 GS, I, J, p. 11,2.
161 AN, p. 133.
169 lvi, p. 132.

283
teriorità: « se la figÙra-chiave della vecchia allegoria è il cadavere,
la figura-chiave della nuova allegoria è il ricordo (Andenken). H
ricordo è lo schema della trasformazione della merce in oggetto
di collezione » no.
Si evoca nell'oggetto il tempo delle correspondances per esor-
cizzare il potere che esso, come «merce», attraverso il suo« prez-
zo », esercita sugli uomini estraniandoli ,gli uni dagli altri 171 ,
ma è proprio in fondo a questo percorso (quello dell'allegoria)
che si mcontra il « tempo di lavoro estraniato » depositato nel-
1'oggetto-merce 172 •
Se, nel momento in cui « l'ambiente oggettivo degli uomini
assume sempre piu indiscretamente l'espressione della merce»,
si produce la rédame ,per trasfigur.are il carattere di merce delle
cose, a « questa illusoria trasfigurazione del mondo della merce
si contrappone la sua deformazione nell'allegorico » 173 •
Ma cosf è la stessa merce che cerca « di vedere se stessa
in volto » 174 •
La « figura » in cui questo movimento, nella poesia baude-
lairiana, si palesa è la prostituta: mentre neH'intérieur borghese

170 lvi, p. 138.


111 Cfr. in GS, I, 3, p. 1174.
m La svalutazione delle cose, nell'allegorizzare baudclairiano, diviene cos(
metafora della svalutazione della capacità lavorativa dell'operaio nel processo pro-
duttivo di merci, o meglio del suo unico impiego per la «valorizzazione• del
capitale (cfr. per questo le notazioni di R. Tiedemann in Nacbwort a Cb. Baude-
laire, cit., p. 182). Bcnjamin stesso svolge importanti considerazioni sul rapporto
tra Chockerlebnis nella poesia di Baudelairc e nuova organizzazione dei processi
produttivi (progressiva meccanizzazione, nastro automatico, progressiva frammen.
tazione-specializzazione nelle operazioni produttive, ccc.) nei paragrafi 8 e 9 di
()ber einige Motive bei Baudelaire. Qui, tra l'altro, individua nelle rappresenta-
zioni baudelairiane del « gioco d'azzardo,. (con i suoi movimenti repentini, il
suo « ricominciare sempre da capo ») il modo in cui il poeta si avvicina a certe
caratteristiche del « processo di lavoro industriale•· Certo, tutta la distanza che
separa Baudelaire dalla coscienza di siffatti fenomeni è data dalla sua posizione
di /laneur, di ozioso, per il quale il lavoro, alla fine, diviene arma contro il
tempo. ( « Bisogna lavorare se non per gusto almeno per disperazione / perché,
tutto ben considerato, lavorare è meno noioso che divertirsi», scrive Baudclai.rc.)
Mentre, nel caso del lavoro salariato, il lavoro è già interamente soggiogato e aus-
sunto dal « tempo di lavoro astratto». t lo stesso fatto per cui l'uomo, che come
forza-lavoro è egli stesso merce, non ha alcuna necessità di una Ein/iihlung tra-
sfigurante nel carattere di merce delle cose, mentre tale esigenza è propria del
/ldneur, come «figura» della borghesia che esita a riconoscere la merce come
unico soggello della vita sociale e, per questo, indugia e s'intrattiene amorosa-
mente con essa ()a merce). Anche se questo abbraccio è un «accoppiamento,.
di morte. Si vedano in merito le importantissime notazioni benjaminiane in Das
Paris des Second Empire bei Baudelaire, GS, I, 2, pp. 558-562.
m I vi, p. 671. .
174 lvi.

284
si cercava di «umanizzare» la merce in modo «sentimentale»
(attraverso fodere, astucci ecc.) nella Hure deMa metropoli la mer-
ce celebra la propria Menschwerdung (incarnazione), discopre la
propria « aura » (il. suo prezzo) e presenta in essa fa figura mate-
riale dell'Einfiihlung del cliente nella merce 175•
L'allegorizzare baudelairiano non è cosf che un ripercorrere,
all'interno del « soggetto», nell'esperienza dello spleen, il movi-
mento reale della produzione e dcillo scambio delle merci, per-
ché - come nota H.J. Krahl - è « la sussistente astrazione del
valore di scambio dai particolari valori d'uso» che « rovina i va-
lori d'uso ed i bisogni e li trasforma in allegorie facendoli
morire • 176 •
E non si tratta qui semplicemente del fatto che « la forma
artistica dell'alilegoria e la forma di merci del prodotto corrispon-
dono l'uno all'altra» 177 •
Se infatti « la svalorizzazione del mondo delle cose nell' al-
legoria viene superata, aY'intemo dello stesso mondo delle ~e,
attraverso la merce» 171, è quest'ultima (la merce) il rea-
le « fondamento dell'intenzione allegorica in Baudelaire » "'.
Tanto che iBenjamin poteva saiivere ad Horkheimer: -« il nuovo,
che fa saltare l'esperienza del sempre-uguale, in balla della quale
lo spleen ha gettato il poeta, non è nient'altro che l'aureola del-
la merce » 180 • ·

175 Scrive Bcnjamin: « Schema della Ein/iihlun1.. t un doppio schema. Esso


comprende l'Brlehnis della merce e l'Erlehnis del cliente. L'Brlehnis della merce
è l'Einfuhlung nel cliente. -L'Einfiihlung nel cliente è Ei;,fublung nel denaro.
La virtuosa di ta]e Ein/iihlung è 1a puttana. L'Erlebnis del cliente è Ein/iihlung
nella merce. Ein/uhlung nella merce è Ein/iihlung nel preu.o (il valore di scambio).
Baudclaire era un virtuoso di questa Ein/iihlung. Il suo amore per la puttana
ne rappresenta il compimento». (GS, I, 3, p. 1178; dr. anche p. 1074).
176 H.J. Krahl, Sulla logica dell'essenza nell'analisi marxiana delle merci, in
Marx e la rivoluvone, dt., p. 206.
177 Ivi. Cos( scrive Krahl che poco prima aveva par1ato, a proposito di
Benjamin e Adorno, di un rapporto di « convergenza ed analogia» tra « orga-
nizzazione capitalistica nel modo della produzione nella forma delle merci e nelle
fonne artistiche», differenziando questo rapporto dal «rispecchiamento». Ma
almeno per Bcnjamin, come abbiamo visto, in questo rapporto si tratta di
Aus-druck: mentre infatti nel rapporto analogico tra Basis e i)berbau si presup.
pongono due movimenti paralleli, l'un dall'iptro indipendenti, nella definizione
benjaminiana ci sembra sia contenuta, insieme all'istanza della complessa media-
zione tra due diversi aspetti di una medesima totalità sociale, pure quella della
Bestimmun1. dell'uno nei confronti dell'altro, che non esclude certo la sincroni-
cità di processi relativamente autonomi, come « sezioni » del processo storico
complessivo.
178 GS, I, 2, p. 660.
111 GS, I, 3, p. 11.51.
110 Ivi, p. 1074.

285
Quanto Benjamin aveva detto dell'irreversibile rottura del-
l'ordine simbolico - ·nelle pagine sull'allegoria del Trauerspiel-
buch - trova la sua conclusione logico-storica nella trasposizio-
ne-risucchio dell'intenzione allegorie.a nel mondo della merce, nel
suo« movimento.», che Benjamin scopre nella ·poesia di Bauàelaire.
Se l'antinomia Schein-Bedeutung 111 nall'allegoria è prodot-
ta dall'articolazione a-ibitraria tra immagini e significati, che l'Al-
legoriker estrae « da1 !fondo disordinato che il suo sapere .gli met-
te a disposizione» 112, ed è «mantenuta» in questo stesso sa-
pere, cosf che l'emblema - come «composizione» di apparenze
in cui ogni « essenza » si è ritratta e la stessa « mediazione na-
turale» tra immagine e significato è spezzata - è il « sigillo di
autenticità deH'allegoria » 183 ; allora Pautentko significato dell'em-
blema allegorico è il soggetto che ne dispone. N~lle poesie di Bau-
delai re è lo svuotamento di questo soggetto che si attua: .fino a
che la .sua intenzione è assorbita nell'apparenza «impenetrabile»
dell'oggetto-merce. « Le qualità umane del f/aneur sono quelle
della merce. » 184
E « come Ja merce giunge a'l prezzo, questo non si lascia
mai cogliere in alcun modo, né nel corso della sua produzione,
né, piu tardi, quando questa si trova sul mercato. Altrettanto ac-
cade all'oggetto nella sua esistenza allegorica. Non gli è stato can-
tato nella culla, a quale significato la malinconia dell'allegorico
lo promuoverà. Ma se questo (l'oggetto) ha ricevuto, una volta,
un significato, questo gli può essere sottratto in ogni momento
in favore di un altro. Le mode dei significati mutano cosi repenti-
namente, quasi come il preuo muta per la merce. In e/letti il si-
gnificato della merce si chiama: Preuo; un altro essa, come merce,
non ne ha [c.n.] » 185 •
Qui quanto era promesso nel Trauerspielbuch si compie; quel
che si presenta come segno della mere~ - il suo prezzo 186 _-
C&. ivi, p. 1174.
111
Passagen, Konvolut J, BI. 80, citato in R. Tiedemann, N«hwort a Cb.
1rz
Baudelaire, cit., pp. 182·183.
lll CTr. GS, I, 3, p. 1151.
114 lvi, p. 1173.
Passagen, Konvolut
115 J, BI. 80, citato in R. Tiedcmann, Nachwort a Cb.
Baudelaire, cit., p. 183.
186 Manteniamo, qui, volutamente l'identità che Benjamin presuppone tra
prezzo e valore di scambio (dr. nota 175). Va da sé che in Marx la designazione
del «prezzo,. come segno della merce è assai piu complessa; anche se va notato
che il rifiuto del termine « segno » - dopo che sono stati notati, da Marx, i
suoi vantaggi in quanto in esso v'è « l'intuizione che la forma di denaro della
cosa sia esterna a quest'ultima e sia pura /orma fenomenica di rapporti umani

286
appare come il &uo unico si8n,ificato. E, certo, lo spessore cli tale
apparenza è tutt'altro che evanescente.
Per questo « il feticcio è il sigillo d'autenticità della mer-
ce» 117 : questa ora è il soggetto. « Baudelaire stabilisce l'uma-
nità nella folla; ma il suo soggetto non è piu l'uomo ma fa mer-
ce» 188 • L'-« aura » che, nell'opera di Baudelaire, non viene di-
strutta è quella che avvolge la merce. Questo è il geroglifico,
che Ba.uàelaire non decifra, ma entro cui si dispone, potendo so-
lo testimoniarne la potenza m.
III
A. Adorno e l'attualità della filosofia. Ogni considerazione
del rapporto Adorn(),jBenjamin (cui qui non possiamo dedicare
che brevi cenni) non può che muovere dalla constatamone che
la produzione benjaminiana fino all'Ursprung des deutschen Trauer-
spiels, ed in particolare quest'u:ltimo · testo, è, in larga misura,
il presupposto dell'inizio del « Philosophieren » adorniano. E lo
è sia in un senso, ovviamente, storico-temporale " 0 che in sen-
so teorico.
Di tutto questo una efficace testimonianza è 1a prolusione
che il giovane Adorno, dopo aver conseguito la libera docenza,
pronunziò ·(il 7 maggio 1931) all'università di Francoforte sul
tema Die Aktualitat der Philosophie 191 •
Lo stretto nesso che -s'impone, qui, tra molti tratti dell'argo-
nascosti dietro di essa» (Il capitale, cit., p. MO) - è motivato dal fatto che
questo rimandava alla « maniera prediletta dell'illuminismo del XVIII secolo»,
di considerare il segno « prodotto arbitrario dena riflessione dell'uomo», in
modo da togliere « la parvenza della stranezza a quelle enigmatiche forme di
rapporti umani, il processo genetico delle quali non si era ancora in grado di
decifrare» (ivi, p. 1'11).
111 GS, I, 3, p. 1151.
181 Ivi, p. 1173.
119 Baudelaire è - secondo Benjamin - « un testimone ... nello "storico"
processo, che il proletariato intenta alla classe borghese» (Passa1.en, Konspelet
zum « Baudelaire », unv. Ms., citato in R. Tiedemann, Nacbworl a Ch. Baudelaire,
dt., p. 169).
190 Si vedano per questo le « Erinncrungcn » cli Adorno, in Th. W. Adorno,
Ohe, Walter Beniamin, cit., pp. 9-15.
191 In Th. W. Adorno, Gesammelte Schriften, Bd. I, Frankfurt/M., 197'3,
pp.32.5-344, trad. cli C. Pettazzi (con la collaborazione di F. Fergnani e M. Gal-
lerani) in Utopia, luglio-agosto 1973, pp. 3-11. Degno di nota ci sembra pure
che Adorno, nel 1932, tenne nella stessa università, che aveva respinto la do-
manda cli abilitazione cli Benjamin, un seminario sul Trauerspielbuch: ciò a cui
era stato negato un visto di ingresso ufficiale, divenne - nella stessa univer-
sità - oggetto cli studio. - Sul pensiero del giovane Adorno si veda il volume
cli C. Petrazzi, Th. Wiesengnmd Adorno, F'tre11ZC, 1979.

287
mentazione adorniana e certe categorie fondamentali dell'Ur-
sprung, soprattutto della sua erkenntniskritische Vo"ede, è evi-
dente 192 • Tanto che dalla stessa particolare moda'lità, attraver-
so la quale il testo di Adorno si congiunge e deriva da quello
benjaminiano, si possono inferire certe caratteristiche del rappor-
to Adorno-Benjamin nella seconda metà deg,li anni trenta e fi-
nanche delle ulteriori prese di posizione nei confronti del pen-
siero benjaminiano, contenute nella produzione adorniana succes-
siva alla morte dell'amico (dagli scritti specificamente uber Ben;a-
min a certe pagine della Negative Dialektik). Questa particolare
modalità ci sembra consistere in una sorta di « effetto-ontologiz-
zante », che determinate categorie benjaminiane subiscono nel mo-
mento in cui sono assunte all'interno del pensiero adomiano, ve-
nendo a svolgere in quest'ultimo una funzione divergente da quel-
la che lo stesso Benjamin, nell'arco della sua produzione, als histo-
rischer Materialist, assegnerà •loro.
Se punto di partenza della « prolusione » adorn.iana è la co-
scienza di una frattura insanabile fra il pensiero e la totalità del
reale, la consapevolezza dell'incapacità della filosofia di compren-
r
dere « essere » al suo interno, a questa coscienza si accompagna
l'abbandono di ogni illusione sulle possibilità di ricomporre ·una
tale frattura, di colmare la divaricazione apertasi 193 • Sotto que-
sta luce, come tentativi .non riusciti, sono « lette » da Adorno
le maggiori correnti filosofiche (a lui) contemporanee: dal neo-
kantismo di Marburgo a Simmel, dalla fenomenologia husserliana
a quella -« materiale » di Scheler, dalla filosofia dei valori di Rickert
alla « ontologia soggettiva» (« mera soggettività e mera tempo-
ralità ») m di Heidegger; fino a vedere, acutamente, nella fi-
losofia analitica del W iener-Kreis la pacifica ratificazione di un
tale « fallimento ».
La conclusione, cui Adorno giunge, è che la filosofia può
strappare alla realtà, come totalità, solo brandelli di conoscenza;

192 Ma già nel lavoro di abilitazione di Adorno, Kierleegaard. Konst,uktion


des Astbetischen, che Benjamin rcccns.( nel 19J.3 (GS, LII, pp. 380-383), la p~
senza dell'U,sprung è rilevante. Cfr. per questo in Kierkegaa,J. Coslru:.ione del-
l'estetico, trad. di A.B. Cori, Milano, 1962, le pp. 7', 143-144, 16~168 e passim.
191 « La oorrispondcnza del pensiero all'essere come totalità è andata di-
strutta e con ciò è divenuta inattingibile attraverso domanda l'idea stessa dell'ente,
che potrebbe stare in chiara trasparenza - come una stella - solamente sopra
una compatta e armonica realtà, e che forse è impallidita all'occhio umano per
tutti i tempi, da quando le immagini della nostra vita sono avallate solo attra-
verso la storia.» (Th. W. Adorno, L'allualità della filosofia, cit., p. 3.)
1114 lvi, p. 5.

288
che solo « in &parsi frammenti e in .semplici tracce» v'è « la spe-
ranza di giungere una volta alla vera e giusta realtà » 195 • Lo
spazio della filosofia è, dunque, la Deutung dei frammenti di real-
tà, che le si .presentano come « segno» da deciii:are. La pretesa
di una fondazione dei presupposti del proprio filosofare è dimessa.
L'idea dell'interpretazione è diiferemiata da Adorno da quel-
la del « conferimento di senso»: se in quest'ultima domina la
ricerca di un'essenza al di là del mondo fenomenale, è questo
ora che ·si presenta, nella sua semplicit:à, all'interrogazione filo-
sofica, come « enigma » che contiene nei suoi stessi elementi la
propria soluzione. Questa si dà in un diverso raggruppamento
di questi elementi, in « mutevoli costellazioni » ( o Versuchanord-
nungen). In una loro diversa costruzione, che da questi stessi
derivi e da essi produca delle « immagini storiche » attorno alle
quali Ja realtà si condensa in modo stringente, costituendo cosf
dei modelli i« con i quali la ·i'atio si avvicina, saggiando e provan-
do, a una realtà che sfugge alla legge, ma che può sempre imitare
lo schema del -modello, purché esso sia formulato corretta-
mente » 196 •
Siamo di fronte, ad una « secolarizzazione » delle « idee »
benjaminiane in « immagini storiche» apparentemente non mol-
to dissimile da quella che - tendenzialmente - lo stesso Be-
njamin opererà 197, ma con -una differenza, che - solo a pri-
ma vista - pub sembrar di poco conto. Negli ultimi scritti be-
njaminiani, ilifatti, la « costellazione » si configura tra una de-
terminata «situazione» storica ed il presente dello « bistorische
Materialist » e, come tale, è prodotta dalla interazione del.Ia tem-
poralità determinata che percorre questi due « momenti » stori-
ci, che della costellazione sono gli estremi. 1Determinante è, qui,
che il confluire di uno specifico momento della storia passata e
del presente in un 'unica costellazione è a sua volta un processo
temporalmente determinato, .Ja maturazione di un processo ogget-
tivo, riconoscere il quale è compito dello « storico dialettico».
La tra9formazione in senso politico-epistemologico della di-
mensione messianico-rivoluzionaria della temporalità è - ora, co-
me in seguito - assente in Adorno: alla secolarizzazione di cer-
195 Ivi. p. 3.
19' Ivi, p. 10.
197 Si veda l'accordo di Benjamin con l'interpretazione adorniana del « dia-
lcktischen. Bild » come « costellazione ,. (BR, p. 688), con l'importante precisa-
zione, pero, che certi clementi di questa costellazione sono costituiti, per Benjamin,
-dalle « Traumgcstalten ».

289
te « categorie» come «idea» e «costellazione», manca ogni im-
pulso trasformante e H fondo contemplativo presente taJvolta nella
Vorrede -benjaminiana, rimane nella traduzione « materialistica »
che il discorso adorniano, fino alla Dialettica negativa 198, ne vuol
rappresentare.
Il « materialismo » si configura - nella soluzione adornia-
na - come « interpretazione del Privo-di-intenzione », coscienza
della irreversibile rottura dell'ordine simbolico e per questo ri-
nuncia ad ogni domanda relativa alla totalità 199 •
La polemica col Lukacs di Storia e coscienza di classe
- pur citato, nella «prolusione», direttamente e indirettamente
(con l'ammissione ipotetica della forma di merce come chiave per
la comprensione dei fenomeni sociali) - è qui evidente. E se
tale polemica poteva essere dettata da una avversione contro certi
residui idealistici del testo lukacsiano, non bisogna dimenticare
che per Lukacs il « punto di vista della totaHtà » era legittimato
da.I riferimento al proletariato come soggetto storico, cosa que-

198 Cfr. Th. W. Adorno, Dialettica negatifJa, cit., pp. 145-146, 295 e 368.
Non è solo « Stimmung • rivoluzionaria quclla presente nella XVII tesi sul con-
cetto di storia (AN, pp. S.1-&2), ma è una determinazione interna alla sua prati-
cabilità, ciò che ne impedisce una neutra fonmlizzazione. La « costellazione•, che
interviene nella Dialettica negativa di Adorno, come J)05sibilità di mantenere il
«particolare,. senza ipostatizzare (hegelianamente) la mediazione, è pur sempre
legata ad una « aggiornata » istanza gnoseologico-metafisica, alla problematica sog·
getto-oggetto, pur se col fine di superarla: « cogliere la costellazione in cui sta
la cosa equivale a decifrarla come quella che lo porta con sé come divenuto ...
La conoscenza dell'oggetto nella sua costellazione è conoscenza del processo accu-
mulato in esso» (Th. W. Adorno, Dialettica negativ11, cit., p. 146).
199 Il rimando a quello che nella Dialettica negativa è definito il primato
materialistico dell'oggetto è qui evidente (ivi, pp. 164-185): « indice del primato
dell'oggetto è l'impotenza dello spirito in tutti i suoi giudizi come nell'organiz-
zazione della realtà. L'elemento negativo, cioè che allo spirito non è riuscita la
conciliazione insieme all'identificazione, diventa motore della propria demistifi-
cazione» (ivi, p. 166). - Non ci è possibile qui svolgere come il «materialismo,.
della Dialettica negativa, pur tra osservazioni assai penetranti, concluda in un
« sapersi condizionato dal pensiero» da una realtà sociale (la società dello scam-
bio); nel prendere coscienza di quesra, senza svelarne gli effettivi meccanismi, per
poi ritrarsi nclla critica. (Critica che cosf viene a definirsi come critica senza
scienza). Notiamo solo che il riferimento al materialismo come prassi, come
costruzione di una figura del reale da cui deriva l'esigenza di una sua trasfor-
m:nfone, si trasforma nella Dialettica negativa in constatazione del fallimento
di questa prassi, definita « irretita » (p. 3~) « deforme » (p. 219) e per questo
« rinviata ». La dialettica è trasferita qui interamente nello spirito « che diventa
autonomo » (p. 3.52), nel pensiero « critico ,. « cui resta, come atteggiamento, un
pezzo di prassi, per quanto nascosta a se stessa• {p. 219). Per questo, comunque,
rimandiamo al volume di M. Vacatello, Th. W. Adorno. Il ,i,,vio della prassi,
cit. dr. anche le notazioni di F. Mesini, in Dialettica dell'avanguardia cit. pp. 72-75.

290
sta completa-mente assente in Adorno (qui ed in seguito) 200 ,
a differenza che in iBenjamin.
La riuscita dell'interpretazione filosofica, comunque, è data
solo nella « composizione deU'infinitamente piccolo», nella « co-
strU2ione di piccoli elementi privi di intenzione» 2111 derivati
da « concreti complessi intrastorid » 202 attorno ai quali la do-
manda filosofica si concentra e si verifica, poiché - conclude
Adorno - « non è dato aJ.lo spirito di produrre o di abbraccia-
re la totalità del reale, ma gli è dato di penetrare nel piccolo
e di $J>eZZare nel piccolo le misure del puro Ente »203 •
Se da un lato Adorno fonda qui tutto il suo sua:essivo « Es-
saysmus filosofico», d'altro lato è già fondato - in queste -pro-
posizioni - iJ trapasso della metafisica in micrologia, teorizzato
nelle ultime pagine della Negative Dialektik 204 •
Tale teorizzazione va, solo apparentemente, nella stessa di-
rezione della metodologia benjaminiana, del suo .peculiare modo
di procedere, definibile gi.ustamente - anche se non esaustiva-
mente - come «micrologico». La m.iorologia adorniana « è il
luogo della metafisica come riparo dal totale » 205 , è la rappre-
sentazione « nella piu intima cella del pensiero » del desiderio
dell'« altro », come « altro » dalla totalità della « connessione d'ac-
cecamento oggettiva» cli cui la dialettica è l'autocoscienza; la mi-
crologia benjaminiana procede inversamente: muove dal frammen-
to per cogliere, attraverso il suo vaglio critico, le connessioni non
apparenti di un « tutto». ,E questo sia nell'Ursprung (con il ri-
ferimento alla monadologia leibniziana) che nelle Thesen (facen-
do di un « particolare storico» - 1per la temporalità determinata
ed intensiva che contiene - « la chiave interpretativa di un in-
tero processo ») 206 •
Ontologi2zando in atteggiamento complessivo quel che in Be-
njamin è procedimento - «metodo» nel senso etimologico del
termine - Adorno congela la diaiettica in pura negatività 7111 •
llOO Or., fra l'altro, G.E. Rusconi, Hegelismo, marxismo e teoria critica.
Th. W. A.domo, in G.E. Rusconi-A. Schmidt, La scuola di F,.,,coforte, Bari, 1972,
pp. 135'-1'7 e in part. 140-141.
2111 Th. W. Adorno, L'attualità della filosofia, eit., p. 8.
zrz lvi, p. 9.
203 Ivi, p._ 11.
2Df Th. W. Adorno, Dialeltica negativa, cit., pp. 368-369.
D Ivi,_ p. 368.
D F. Masini, L'estetica di G. Lukacs e il problema delle av(lllgua,die, in
Dialettica dell'avaguardia, cit., p. 92.
2111 « Non temo il rimprovero di negatività infeconda », afferma Adomo già
nella prolusione del '31 (Th. W . .Adomo, L'at1wli1, della filosofia, cit., p. 9).

291
In un mondo che « oggettivamente apprestato a totalità non
lascia emergere la coscienza » 2°', la dialettica è la sottrazione
del soggetto all'identificazione entro questa totalità, è « insieme
riflesso della connessione d'accecamento universale e sua cri-
tica»•, ma critica assolutamente immanente, puramente intel-
lettuale, che non individua alcuna forza interna a questa totalità,.
capace di una frattura, di un suo « storico » sovvertimento.
Lucidamente tutto questo è reso esplicito da Adorno: « nel-
l'epoca della repressione ~ociale universale -soltanto nei tratti del.
l'individuo violato, sbriciolato, vive l'immagine della libertà con-
tro la società» 210 •
Adorno conclude da dove, in un certo 1enso, Benjamin (e
anche Brecht) prendono le mosse: fa disgregazione dell'individuo
non è per essi « immagine della libertà », ma indicazione « sto-
rica » di uno spazio di trasformazioni possibili e anzitutto di tra-
sformazioni politiche.
Ma la differenza non sta solo qui: in Adorno l'analisi della
società capitalistica è condotta in modo tale 211 che l'unica con-
traddizione vitale e feconda è quella tra individuo e totalità so-
ciale, tanto da non essere storicizzata e da assumere da coloritura
dell'hegeliano rapporto individuale-universale 212 _

B.· Lo Hornberger Brie/. Alla luce di quanto detto sinora,.


emergono, abbastanza chiaramente, le motivazioni profonde da
cui traggono origine Je critiche di Adorno (non tutte quindi ri-
conducibili a contingenti motivi filologici o ad una pretesa « orto-
dossia » marxista dello stesso Adorno) all'Exposé del Passagen-
werk ,prima, ed alla stesura della seconda parte della Baudelai-
re-Arheit poi.
L'ombra di Bertolt Brect (« Berta und ihr "Kol-
lektiv" ») 213 grava sul carteggio tra Adorno e Benjamin - in
cui queste critiche sono espresse 214 - come motivo di divisio--

lOITh. W. Adorno, Dialettica negativa, dt., p. 16.


D lvi, p. 366.
Ivi, p. 238.
210
Cioè tematizzando cosf fortemente i rapporti di scambio da accantonare·
211
quelli di produzione. Or. M. Vacatello, Th. W. Adorno, dt., pp. 41-60.
212 Or. M. Vacatello, Th. W. Adorno, cit., pp. 76-77.
2ll Lettera di Adorno a Benjamin del 2 agosto '3.5, in Th.W. Adorno, Ober
W.B] p. H6.
14 Tralasciamo qui di analizzare l'importante lettera di Adorno del 17 di-
cembre '34, riguardante il saggio benjaminiano su Kafka (ivi, pp. lOJwMO) e-

292
ne, seppur non sempre esplicitamente ammesso. Sembra quasi che
Adorno consideri la produzione dell'amico - successiva al « de-
cisi'Vo incontro » con Breoht - come una deviazione rispetto aJ
saggio sulle W ahlverwandtschaften e al Barockbuch 21 , tanto
che può sci,ivere in conclusione alla lettera sul Kuntswerk: « il
mio compito è piuttosto tener saldo il Suo braccio finché il sole
di Breoht non sia di nuovo tramontato in acque esotiche » 216 •
Le critiche « ,radicali », che Adorno rivolge alI'Exposé del
'35, si appuntano essenzi&lmente sulla accezione benjaminiana di
« immagine dialettica», sull'anooisi del « carattere di /éticcio del-
la merce » e sull'uso che Benjamin fa del concetto di « coscien-
za collettiva ».
Per Adorno le immagini dialettiche non sono altro che le
immagini storiche, di cui parla nella prolusione del '31, i modelli
e, per questo, « in alcun modo dei ·prodotti sociali, ma costella-
zioni obiettive, nelle quali la società rappresenta se stessa » 217 •
Quel che contesta radicalmente a Benjamin· è che le immagini dia-
lettiche siano da ricondurre, « als Traum », a contenuti della co-
scienza: questa è una concezipne «immanente» dell'immagine dia-
lettica in cui, non solo è minacciata « l'originaria "forza" del con-
cetto, che era teologica», ma - avverte Adorno - « non viene
nemmeno raggiunto quel movimento sociale nella contraddizione
(jene gescllschaftliche Bewegung im Widerspruch), per il quale
Lei sacrifica la teologia » 211 •
Quel che non comprende (o non accetta) Adorno è che Be-
njamin ha sottratto, almeno nel II Entwur/ del Passagenwerk,
il concetto di immagine dialettica ad ogni suggestione ontologi-
co-oggettivistica (pur se di una ontologia del processo storico),
quella del 18 marzo '36 in merito al Kunslwerk-Au/satz (ivi, pp. 126-134).
Un'analisi dal rapporto Adorno-Bcnjamin negli anni trenta, comunque, potrebbe
dirsi completa solo approntando un puntuale confronto, da una parte tra il
K•nstwerk-Aufsat:z bcnjaminiano e il saggio di Adorno, Ober den Fetischcharaker in
de, Musik. ,1r1d die Regression der Hiires (traci. di G. Manzoni, in Disso111111te, Mi-
lano, 19,9); e dall'altra tra Ober einige Motive bei Baudelaire e l'adorniano
Versuch iibe, Wagner (trad. di F. Bortolotto, in Wagner. Mahler, Torino, 1966).
215 Si vedano, per questo le affennazioni - non troppo delicate - in merito
al tentativo di Benjamin di « devolvere tributi al marxismo ,. per solidarietà con
l'Institut; questo, scrive Adorno, non giova né al marxismo, né e alla Sua so-
stanza piu personale,. (lettera di Adorno a Benjamin del 10 novembre '38, in
Th. W. Adorno, Vber W.B., cit. p. 141).
216 Lettera di Adorno a Benjamin del 18 marzo '36 (ivi, p. 134).
211 Lettera di Adorno a Bcnjamin del 2 agosto '35 (ivi, p. 119). Questa let-
tera è tradotta anche in LT, pp. 294-305.
211 Th. W. Adorno, Ober W.B., cit., p.112.

293
e che quella « gesedlsohaftliche Bewegung im Widerspruch » vie-
ne raggiunta tramite la decifrazione delle forme, dei contenuti
e dei prodotti della coscienza, in un'epoca determinata.
Nell'analisi del « modo in cui il carattere di feticcio è rece-
pito nella coscienza collettrva » non v'è per niente quell' « Ab-
bild-Realismus » di cui ,parla Adorno 219 : ,le immagini utopiche,
di ,sogno, che da tale ricezione sono generate, aprono la possi-
bilità di svelare contraddizioni interne alla classe dominante ed
ogrono elementi utili ad un « intervento» critico-rivoluzionario
nedla sua« tradizione» culturale.
L'immagi,te dialettica per Adorno - come scrive nel suo
Kierkegaard, attribuendo la definizione a Benjamin 220 - è, in-
vece, ,l'arrestarsi della dialettica stessa in un'immagine del pre-
sente per evocare in esso « il mitico, in quanto è il passato piu
lontano: Ja natura in quanto preistoria» 221 • In tali immagini
- come, ad esempio, quella dell'intérieur in Kierkegaard - dia-
lettica e mito sono condotti ad un punto di indifferenza; la dia-
lettica storica si ribalta in natura mitica. Non per niente Adorno
cita, in questo contesto del Kierkegaard, il passo del Trauerspiel-
buch, in cui si afferma che nell'allegoria la storia si presenta co-
me un « ,pietrificato paesaggio primevo {erstarrte Urlandschaft) ».
Il non aver trasceso jJ concetto di Naturgeschichte proprio
del Trauerspielbuch, l'aver quindi compreso il tempo storico della
società borghese ·(nel capitalismo « avanzato ») solo attraverso
questa categoria, è un dato ohe - a nostro avviso - spiega
molte delle obiezioni mosse da Adorno alla definizione benjami-
niana di immagine dialettica e, per certi versi, anche gran parte
del successivo « sviluppo » del suo pensiero 222 •
Cosf si chiarisce la critica adorniana alla formula secondo
cui « il nuovo si compenetra col vecchio »: questa affermazione
benjaminiana, infatti, si può giustificare solo riconducendo rim-

219Lettera di Adorno a Benjamin del 2 agosto '35 (ivi, p. 113 ).


220Benjamin stesso, però, in una lettera del 9 dicembre '38, avverte Adorno
di avere una correzione da proporre in merito alla definizione di immagine dialet-
tica contenuta nel Kierkeg(l(Jrd, ma rimanda questo ad un'altra occasione. Cfr.
t
LT, 371.
l Th. W. Adorno, Kierkegaard, cit., p. 144.
222 Dell'importanza per Adorno del concetto di Naturgeschichte ~ testimo-
nianza la conferenza tenuta il 15 luglio 1932 al gruppo locale francofortese della
Kant-Gesellschaft, Die Idee der N111urgeschichte (ora in GS, I, pp. 345-365).
Questo testo assai importante, che non può essere qui analizzato, contiene, forse
in maniera piu critica e aperta che altrove, tutto il nucleo del discorso adorniano
sul rapporto mito-storia-apparenza. Su esso si dovrà tornare.

294
magine dialettica»; a qualcosa di« prodotto » dalia società che essa
« rappresenta »; a matrici soggettive dunque, pur se storicamente
e socialmente determinate. Mentre Adorno - come abbiamo vi-
sto - riporta il « movimento » del « dialektisches Bild », imme-
diatamente a quello storico-sociale dei processi produttivi, cosi
che il rappor.to tra «mitico» e « storico», in esso, è « ontolo-
gizzato » in rapporto caratterizzante tutta la società capitalistica:
il mito, allora, « non è la Sehnsucht, priva di connotati di classe.
della "vera" società, ,ma il carattere oggettirvo della stessa merce
C6traniata (der ent:f.remdeten W are selber) » 223 e « il recentissi-
mo è, come apparenz.a e fantasmagoria, lo stesso antico [ c.n.] » 224 •
Tanto che « dall'immagine dialettica non si può mai pretendere
una "prestazione" ,("Leistung") ideologica o sociale in ge-
nere» 225 : non, quindi l'immagine dialettica presente, come so-
gno, nell'immanenza della coscienza, ma la -stessa « immanenza del-
la coscienza (iBewusstseinsimmanenz}, come intérieur, è, per il
XIX secolo, d'immagine dialettica come estraniazione (Entfrem-
dung) » 226.
A ,ben vedere è qui presente una sorta di disperazione nei
confronti della brechtiana « revolutionire Bedeutung der Ober-
bauarbeit » 227 ed entra in gioco, già, la concezione adomiana
dell'ideologia la quale « non si sovrappone all'essere sociale come
uno strato che si possa staocare, ma gli inerisce » 221 • E gli inerisce
in modo tale che « la coscienza diviene sempre piu... un semplice
momento di transizione nel drcuito della totalità» 229 : tanto che
non è piu possibile individuare « contraddizioni determinate» tra
le varie sezioni, attraverso cui si « struttura » la totalità sociale. Le
« strutture » di questa si intricano V'icendevolmente sino a diluirsi
in <, totalità indistinta », cosi: che « -idedlogia significa oggi: la so-
cietà come fenomeno» 230 e l'unico varco aperto è quello di una
« indiV'iduale » ripulsa, l'unica diiletcica è quella negativa.
« Il carattere di feticcio della merce non è un fatto della

223 Lettera di Adorno a Bcnjamin del 2 agosto '.35, in Th. W. Adorno, Ohe,
W.B., cit., p. 120.
224 lvi, p. 119.
225 Lettera di Adorno a Benjamin del 2 agosto '35 (ivi).
Zl6 lvi, p. 113.
m Cfr. B. Brecht, Thtsen zur Theorie des Oberbaus, in Gesammelte Werke,
Bd. 20, cit., _l)p. 76-88.
221 Th. W. Adorno, Dialettica negatiw, cit., p. 3.20.
229 Th. W. Adorno, Kullurkritik und Gtsellscha/1, trad. di C. Mainoldi, in
Prismi, cit., p. 18.
230 lvi.

295
coscienza, ma è dialettico nel senso eminente, che produce co.
scienza. » 211
In merito a questa ,proposizione, da molte parti 232 , si è
notata l'« ortodossia» marxista adorniana, rispetto alle incertez-
ze ed alle ambiguità benjaminiane. Ma ali'« ortodossia», come
si sa, inerisce un certo carattere di « sovratemporalità », un'inca-
pacità di cogliere il processo storico nelle sue articolazioni speci-
fiche. Se da Adorno è, giustamente, posto in evidenza il caratte-
re non metaforico-coscienziale del « feticismo della merce», ben-
si il suo essere espressione di un processo reale 233 ed è -pure
tendenzialmente giusta l'affermazione che questo Hl « carattere
di feticcio della merce ») « produce C09Cienza », da tutto ciò non
può essere ancora desunto niente circa lo speciifico «momento»
storico, che costituisce l'oggetto della ricerca di Benjamin.
iLe forme della « coscienza .necessariamente falsa » mutano
in relazione mediata ai mutamenti della struttura economico-so-
ciale, ili determinarsi del « carattere di feticcio della merce» come
contenuto deIJa coscienza è, quindi, un fenomeno .storicamente
determinato e, piu precisamente, esprime quel complesso proces-
so strutturale e sovrastrutturale, per cui la lforma-merce si impo-
ne e si espone nell'ambiente oggettivo dell'abitante della me-
tropoli.
Per ·questo, a nostro avviso, il di-scorso adomiano difetta di
mediazione storica, mentre pro?rio su questo terreno - quello
della modalità di ricezione, storicamente determinata (nella Pa-
rigi del II Impero), del carattere di feticcio della merce all'in-
terno della « coscienza collettiva » - si innesta il II ,progetto
benjam.iniano del Passagenwerk.
Con queste premesse, comunque, è comprensibile l'avversio-
ne adorniana all'impiego di concetti come « coscienza collettiva».
« Se da defascinazione (Entzauberung) dell'immagine dialet-

231 Lettera di Adorno a Benjarnin del 2 agosto '35, in Th. W. Adorno, Ober
W.B , cit., p. ·112.
23Z Cfr., ad esempio, J. Habermas, Bewusstmachende oder retlende Kritilt:,
cit., (Habcrmas, comunque, vede bene la diflaentitl specific11 tra la concezione del-
l'immagine dialellica in Adorno e in Bcnjamin, pur traendone conseguenze diverse
dalle nostre); e A. Schmidt,. La « Rivista per lt, ricaca sociole » e il ruolo di
Horkheimer, in G. E. Rusconi-A. Schmidt, La scuou, di Franco/orte, cit., pp. 62-6}.
231 « L'analisi marxiana del feticismo della merce - osserva acutamente
G. Marramao - non ha come risultato II la riscoperta sotto l'asgettività feticistica,
della soggettività umana alienata", bens( il disvelamento del fatto che dietro lo
scambio si cela un determinato rapporto di produ:ione. • (G. Marramao, Note
sul ,apparto di economia politica e teoria critica, intr. a F. Pollock, Teoria e
prassi dell'economia di piano, Bari, ·1973-, p. 46.)

296
ti.ca - scrive Adorno a Benjamin - la psicologizza come "sogno",
allora essa (la defascinazione), proprio per questo, ricade nel fa-
scino della psicologia borghese. Chi è al.lora il soggetto del so-
gno? Nel XIX secolo, certamente, è soltanto l'individuo; nei so-
gni del quale, però, non si possono leggere, immediatamente ri-
prodotti, né il clJ1'attere di feticcio né t suoi monu-
menti. [c.n.] » 234
La critica all,impiego del concetto di Kollektivbewusstsein
è mossa da Adorno, sia dal punto di vista della psicologia (« l'io
delle masse (das Massen-ich) esiste solo durante i terremoti e
le catastrofi colJettive ») 235 , che da quello del « processo so-
ciale ». LI KollektivbewussJsein, infatti, costituirebbe un'iposta-
tizzazione di « immagini arcaiche», mentre - se « il ,plusvalore
oggettivo si impone proprio nei singoli soggetti e contro di es-
si » - il luogo di produzione delle immagini dialettiche non è
in un arcaico « io collettivo », ma « negli indiviidui privati
estraniati (in den biirgerlichen entfremdeten Individuen) » 236 •
Far ricorso al concetto di « coscienza· collettiva » non è che un
modo per stornare dalla vera « Objektirvitat » e dal suo reale cor-
relato: r« entfremdete Subjektivitat ». E polarizzare e risolvere
dialetticamente la coscienza in questi due termini, è la proposta
di Adomo 237 •
Ma - come osserva Ja Brenner - il Kollektivbewusstsein,
in Benjamin, non è assunto empaticamente, non è per niente un
« Positivum » 231 • ~ semplicemente lo spazio in cui far agire il

234 Lettera di Adorno a Bcnjamin del 2 agosto '35, in Th. W. Adorno, Ober
W.B., cit., p. 114. Ma questo - come abbiamo visto - non era nelle intenzioni
di Benjamin: cfr. la lettera di Benjamin a Gretel Adorno del 16 agosto '35,
BR. p. 688.
235 Lettera di Adorno a Bcnjamin del 2 agosto '35, in Th. W. Adorno, ()ber
W.B"iJ'. 115.
lvi,
2J7 Oie poi Adorno, verso la conclusione della lettera a Bcnjamin, affermi:
« quando io rifiuto l'impiego del termine "coscienza collettiva n, non lo faccio
naturalmente, per lasciare stare l'" individuo privato" (das "bi.irgerliche Indivi-
duum,,) come substrato essenziale. Questo lo si deve render trasparente ncl-
1'intlrieur come funzione sociale e la sua "conchiusa armonia" (Geschlossenheit)
svelare come apparenza. Ma come apparenza, non di fronte ad una ipostatizzata
coscienza collettiva, bcns( di fronte all'effettivo processo sociale stesso. L'" indi-
viduo" in questo ~ uno •s~nto di passaggio" (Durchgangsinstrumcnt) dialet-
tico, che non può essere eliminato in modo mitico, ma può esser solo "superato
dialetticamente" (aufgehobcn} *' (ivi, p. 123}, non toglie il sospetto che operi
una lettura parziale dei processi storici e che riponga ogni residua speranza nella
autonoma capacità di riscatto della soggettività disgregata.
231 Si veda H. Btcnncr, Die Lesbukeit dtr Bilder, cit., p. 57.

297
pensiero dialettico. Se esso è « il regno dell'apparenza, delramhi-
guità: coscienza estraniata di una borghesia angustiata, che rece-
de dal suo ruolo storico», compito di Benjamin è dischiudere « il
movimento trasformante, di rottura dd sistema, in questo stato
estraniato della coscienza» 239 , il punto critico che preme alla
rottura di quell'apparenza, e rende possibile - in un tempo de-
terminato - la leggibilità di qudle stesse immagini.
In questo senso fa concezione di immagine dialettica è
- in Benjamin - piu -« aderente » ai processi materia.U di quanto
si potrebbe pensare: la dimensione determinata della temporali-
tà, che la sottende, è già rottura dello schema della Naturgeschi-
chte (discoperto cos( come « apparenza socialmente necessaria»),
possibilità di comprensione e di « intervento » nella concreta di-
namica di una società capitalistica, in cui non è occultato (o sem-
plicemente visto come « impotente ») il proletaciato. Ed è proprio
l'assenza di questa concezione della temporalità, che fa della dia-
lettica adorniana individuo-totalità sociale, una dialettica che si
&volge tutta entro le maglie di una Naturgeschichte e per que-
sto - essendo destoricizzati i suoi stessi termini - ha, al suo
interno, il sapore della « cattiva infinità » hegeliana 240 •

C. I.A mancanza di mediazione e le ali della costruzione. Be-


njamin - alla Jettera ora analizzata - sostanzialmente non ri-
sponde 241 ; una risposta abbiamo cercato di trovarla nei suoi
stessi testi: che avesse avuto o meno 'piena coscienza di ciò che
r
lo divideva da Adorno (o che, tuttavia, non avesse voluto mani-
festare, per l'isolamento in cui si trovava), ci pare non debba
interessare molto ai fini di un confronto tra le due rispettive
posizioni teoriche .
.Una risposta molto chiara è, invece, data da iBenjamin aUe
critiche rivoltegli da Adorno in merito a Das Paris des Second
Empire bei Baudelaire. Questo testo - come abbiamo già det-
to - doveva svolgere una particolare funzione nel piano del Bau-
delaire-Buch: presentare il materiale nella sua Faletizitiit, prepa-
rando cosf la sua « soluzione » teorica, riservata alla terza parte
del lavoro.

"' Ivi.
240 Or., ivi, p. 58.
241 Or. la lettera di Benjamin a Grctcl Adorno del 16 agosto 'l5, in BR,
pp. 68.5-688.

298
iLa critica di Adorno a questo procedimento è radicale; il
testo viene sottoposto ad una minuziosa disamina, ma !>imputa-
zione principale - di cui Benjamin è fatto carico - è un rappor-
to « meccanicistico » tra struttura e sovrastruttura: « domina dap-
pertutto una tendenza a riferire immediatamente i contenuti pra-
gmatici della poesia di Baudelaire a vicini tratti dalla storia sociale
del suo tempo e, a dire il vero, il piu possibile a quella econo-
mica» 242 • La determinazione materialistica di « fenomeni» cul-
turali è ,possibile - per Adorno - solo mediandoli attraverso
il « Gesamtprozess » ed è ,proprio tale « Vermittlung » ad essere
assente nel lavoro di Benjamin. Adorno spinge ancora piu a fon-
do aa sua critica: Ja mancanza di questa Vermittlung non è altro,
nel testo henjaminiano, che il venir meno della « teoria » e « il
venir meno della teoria affetta l'enu,iria » 243 • E tale caratteri-
stica del lavoro 1benjaminiano è ricondotta a quella matrice teolo-
gica del suo pensiero, a cui lo stesso Adorno - in altro conte-
sto - invitava l'amico a ritornare: « il motivo teologico di chia-
mare Je cose per nome, si rovescia tendenzialmente nella stupe-
facente rappresentazione della nuda iatticità. A volersi esprimere
drasticamente, si .potrebbe dire che il lavoro si è insediato al cro-
cevia cli magia e positivismo » 244 •
La tesi di Adorno è che Benjamin - in un maldestro ten-
tativo cli « devolvere tributi al marxismo» - :rbbia fatto vio-
lenza a se stesso, .sottoponendo « ad una specie di censura pre-
ventiva secondo categorie materialistiche (che non coincidono in
alcun modo con quelle marxiste) » i suoi « ·pensieri piu audaci
e fecondi» 245 • L'invito, abbastanza manifesto, era che Benja-
min tornasse a quella « rhapsoàische Naivitiit », da cui egli stes-
so, già tre anni iprima - in una lettera ad Adorno - aveva
voluto prendere le di~tanze.
-Benjamin, questa volta, risponde puntualmente alle singole
obiezioni di Adorno e fonda il procedimento usato nel testo Ìl_l
questione in una originale teorizzazione del lavoro filologi-
co: « Quando Lei parla di una "stupefacente rappresentazione del-
la fatticità,,, Lei caratterizza, in tal modo, l'atteggiamento auten-
N2 Lettera di Adorno a Benjamin del 10 novembre '.38, in Th. W. Adorno,
Ober W.B., cit., p .138. Anche questa è tradotta in LT, pp. 361-368, insieme
alla risposta di Benjamin, pp. 368-376. Su queste due lettere dr. di G. Agambcn,
In/anva e storia, cit., pp. 109-127.
243 Ivi, p. 139.
244 lvi, p. 140.
245 Ivi, p. 141.

299
ticamente filologico. Questo, non solo per il suo risultato, ma
proprio in quanto tale dovrebbe esser calato nelila costruzione.
In effetti l'indifferenza tra magia e positivismo, come Lei felice-
mente formula questo fatto, è da liquidare. In altre parole: l'in-
terpreta2ione filologica dell'-autore deve esser "superata" in sen-
so hegeliano (ist ... auf hegelsche Art "aufzuheben,') da materiali-
sti dialettici » m.
Quel che Adorno non ·ha compreso è la 'Particolare funzione
che quel testo doveva svolgere nell'insieme della Baudelaire-Ar-
beit e ben altro che una mancanza di teoria era presente nel pia-
no di questa: « L'apparenza della chiusa fatticità che inerisce alla
ricerca filologica e getta il ricercatore in suo potere, scompare
nella mis'U1'a in cui l'oggetto viene costruito in prospettiva sto-
rica [ c.n.] » 247 •
Si delinea qui tra filologia e cos-truzione un rapporto affine
a quello che Marx, nel secondo Nachwort del Capitale, pone tra
Forschungsweise e Darstellungsweise. Ma nel concetto benjaminia-
no di costruzione si affaccia inoltre il problema del tempo storico ine-
rente alla produzione intellettuale. Cosa significhi: « costruire l'og-
getto in prospettiva storica», è ,possibile comprenderlo solo cac-
ciando dal termine « storico » ogni residuo storicistico, che qua-
lifichi il termine stesso come « aproblematico ». Non è in que-
stione qui, né una semplice articolazione concettuale del « mate-
riale» raccolto, né una sua disposizione in senso rigidamente dia-
cronico, che restituisca, in una '« deterministica» concatenazione,
i fatti per « come sono veramente accaduti». Costruzione non
è - per Benjamin - semplice ricostruzione. Né -può identificarsi
con la mediazione, che Adorno propone. L'Aufhebung del mo-
mento filologico è da costruzione degli elementi che questo pro-
duce, non 1a loro fusione nella « totalità ». La direzione interpre-
tativa della filqlogia può essere solo funzionalizzata alla costru-
zione storica dell'oggetto, non eliminata dalla « verità» della me-
diazione. Verità assoluta dall'« esperienza storica » di chi« costrui-
sce» l'oggetto.
« Le linee prospettiche di questa costruzione - scrive in-
fatti Benjamin - confluiscono nella nostra ,propria esperienza sto-
rica. Cosf l'oggetto si costituisce come monade. Nella monade di-
viene vivo tutto ciò che, come reperto testuale, giaceva in una
246 Lettera di Benjamin ad Adorno del 9 dicembre '38, in GS, I, 3, p. 1103.
2f1 lvi, p. 1•104.

300
mitica rigidità. » Nella costr~one benjaminiana dunque si me-
die.no internamente la « tessitura temporaie » dell'oggetto preso
in esame e quella propria del prerente. Questa mediazione è però
funzione dinamica della costruzione stessa dell'oggetto, non « fi-
nale» risoluzione dei suoi momenti. Per questo è in tale dina-
micità-funzionalità della mediazione che si costituisce la monade.
11 materiale « straniato» dalla considerazione filologica, prende
parola nella struttura monadica che assume l'oggetto della ricer-
ca, si connette in essa, riceve una sintassi unificante. Questa « sin-
tassi » è la vita del materiale costruito, la sua « rappresentazio-
ne » nel « teatro » della monade Ma questa sintassi è totalmente
« storica »: la monade è prodotto della mediazione del « tempo »
<lei materiale e di quello del considerante. Per questo è risultato
della costruzione storica, concrezione prospettica del materiale fi-
lologicamente elaborato, determinata dalla «historische Erfahrung»
del ricercatore.
Ma quel che forse, in questa lettera, è piu degno di nota
- non potendo ,le notazioni -precedenti trovare la loro necessa-
ria distensione che in una specifica analisi delle Tesi - è il di-
niego (munito di una visibile determinazione politica) che Be-
njamin oppone all'invito adorniano a tornare all'esoterico « Phi-
losophieren » della sua prima produzione: « Se io là [ in un collo-
quio di qualche anno prima con Adorno a Sanremo] mi rifiutavo
,di appropriarmi in nome dei miei propri interessi produttivi di uno
sviluppo esoterico del pensiero ( esoterische Gedankenentwick-
lung) ... allora in ultimo, non era in gioco solo una solidarietà
con l'Istituto, né pura fedeltà al materialismo dialettico, ma so-
lidarietà con le esperienze ,(Erfahrungen), che rutti noi abbiamo
fatto negli ttltimi quindici anni. Si tratta quindi dei miei piu pro-
pri interessi produttivi anche qui; non voglio negare che essi al-
l'occasione potranno cercare di far violenza a quelli originari. C'è
un antagonismo al quale non mi sognerei mai di venir sottratto.
Venirne a capo costituisce il problema del lavoro e questo è una
cosa sola con la sua costruzione. I o penso che la speculai.ione
spicca il suo volo necessariamente temerario, con una certa pro-
babilità di riuscita, solo se, invece di appiccicarsi le ali di cera
dell'esoterismo, cerca la sua fonte d'energia unicamente nella co-
struzione [c.n.] » 241 •

241 Lettera di Benjanùn ad Adorno del 9 dicembre '38 (ivi).

301
D. Naturgeschichte e dialettica negativa. Nella Dialettica ne-
gativa (come nella prolusione del '31) certe categorie benjaminia-
ne - crune origine, costellazione, monade 249 - giocano un ruo-
lo non secondario nella costruzione del discorso « dialettico » di
Adorno, senza però che ne sia assunta criticamente la trasfocma-
zione-storicizzazione impressagli dallo sviJuppo della « filosofia »
benjaminiana dopo il Trauerspielbuch.
Mentre infatti la concezione benja.miniana della « tempora-
lità determinata » :(qualora non la si riduca alla sua origine teo-
logico-giudaica o la si traduca in una qualche variante del deci-
sionismo esistenzialista), opponendosi al concetto di « tempo-vuo-
to » come « apparente », introduce ,la critica della « naturevolez-
za » della società capitalistica in quanto non sqlo presuppone l'esi-
stenza di una « contraddizione fondamentale» {quella tra svilup-
po delle forze produttive e rapporti di produzione), ma contie-
ne - nella forma della discretezza del tempo storico - la pos-
sibilità cli cogliere Je « .figure » ~ecifiche di tale contraddizione,
cioè il suo strutturarsi come « contraddizione determinata » nelle
varie « sezioni» che scandiscono diacronicamente il processo; in
Adorno è presente, invece, un'assunzione empatica del concetto
benjaminiano di Naturgeschichte 250 , · come orizzonte trascendi-
bile soltanto nella negazione « indeterminata » dell'intellettuale
« critico » 251 •

24' Per la categoria di origine si veda Th. W. Adorno, Dialettica negativa, cit.,
p. 139; per quella di costellazione e monade, pp. 324-325.
2'11 Ivi, pp. 324-.325.
251 In nessun altro punto, forse, Adorno si è distanziato da Benjamin come
nella sua concezione dell'intellettuale, nella quale non v'è sentore alcuno della
critica radicale all'intellettuale borghese « progressista », contenuta in Der Autor
als Produzent. Nessuna aureola è caduta dalla testa dell'intellettuale adorniano.
« :B. compito di coloro - scrive Adorno - che avessero l'immeritata fortuna di
non adattarsi completamente alle norme vigenti, nclla loro costituzione spiri-
tuale ... di esprimere con slancio morale, per cos1 dire in loro rappresentanza,
ciò che i piu, cui si rivolgono, non sono in grado di scorgere o si rifiutano di
vedere per realismo. Criterio del vero non è la sua comunicabilità immediata
ad ognuno.» ( lvi, p . .31l.) Oie questo poi abbia le sue motivazioni storiche, in
1

un periodo di latenza della conflittualità di classe in Germania occidentale, sarebbe


« miopia » non riconoscerlo. E una possibile radice di questo può esser ravvisata
in questa lucida frase di Adorno: « La causa storica dell'aporia è il fatto che
in Germania è fallita la rivoluzione contro i fascisti, precisamente che nel 1944
non c'è stato un movimento rivoluzionario di massa» (ivi, p. 257). Tutte queste
critiche ad Adorno, comunque, sono acquisite da tempo, noi non facciamo altro
che ripeterle; dr., ad esempio, quanto scrive H. J. Krahl, in La contraddivone
politica della teoria critica di Adorno, in Quaderni piacentini, n. 39, a. VIII,
novembre 1969, pp. 210-212 e - in una prospettiva diversa - T. Pedini nel
Saggio introduttivo a Th. W. Adorno, Parole chiave, traci. di M. Agrati, Milano,
1974, pp. lX..UXX.

302
È la Naturgeschichte lo schema che sottende quella che Ador-
no chiama Ja Naturwuchsigkeit della società capitalistica, la sua
« apparenza socia1mente necessaria » 252 • Quest'ultima « è reale
e nello stesso tempo apparenza. elle l'assunto di legge naturale
non deve essere preso alla lettera, e tanto meno ontologizzato
nel senso di un qualche progetto del cosiddetto uomo, è conferma-
to dal motivo piu potente della teoria marxiana in generale, quel-
lo dell'eliminabilità di tali leggi» 253 • Fin qui niente da ecce-
pire. Giustamente « la normatività naturale della società » è de-
finita sia come ·« ideologia, in quanto viene ipostatizzata come
dato naturale immodificabile», sia come qualcosa di reale, in quan-
to « legge dinamica della società inconsapevole » 254 • Quel che
è obliterato da Adorno, sono i «modi» storici di trasiormazio-
ne-eliminazione di questa legge, le « forme » di analisi scientifica
e di critica pratica di questa ideologia.
Lo spessore dell'apparenza è tale che solo ad alcuni, singo-
lamnente presi, è dato penetrarilo.
« La tetra società unitaria non tollera piu nemmeno quei mo-
menti relativamente autonomi, staccati, che un tempo intendeva
la teoria della dipendenza causale tra 6truttura e sovrastruttura,
Nella prigione all'aria aperta che il mondo sta diventando, non
importa piu che cosa dipenda da che cosa, tanto si è impresso
su tutto il marchio dell'unità. »- 255
In una situazione in cui l'.« apparenza è divenuta tota-
le » , non è possibile alcuna ricognizione dolle contraddizioni
256

interne, che articolano la totalità sociale, ma solo un «attacco»


frontale a questa totalità. La compenetrazione di struttura e so-
vrastruttura è dilatata in modo tale che non esistono piu i con-
notati distintivi di entrambe. « La causa si è ritirata per cos{ dire
nella totalità: all'interno del suo sistema diventa indi-
stinguibile. » 257
In tale contesto - COJDe è stato notato - « gli individui
si trovano cli fronte a rapporti che hanno assunto una oggettua-
lità non piu soltanto "~ttrale" ma tale da dominare gli uomini
in modo irresistibile» •. Se « l'interesse al profitto», « il raJ>
252 Th. W. Adorno, Di4lellica negativa, cit., p. 320.
ail Ivi.
254 lvi,p. 321.
255 Th. W. A.domo, Kulturkritik und Gesellscha/1, cit., p. 21.
256 Th. W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 13.
'151 lvi, p. 240.
251 M. Vacatello, Th. W. Adorno, cit., p. 60.

303
porto di classe » è visto da Adorno come ciò che unifica e man-
tiene in vita la società, in quanto « oggettivamente motore del
processo produttivo » 259 , tutto questo è subito ricondotto al-
1'astratto « principio di identità che assoggetta tutto», alla ratio
che produce « il dominio della natura, progrediente nel dominio
sugli uomini ed infine sulla natura interiore» 260 •
Cosf se il tempo-vuoto, rapparenza dol sempre-uguale è fat-
to scaturire dal processo dello scambio, questo stesso è destori-
cizzato, in quanto non è solo nello scambio capitale-laivoro che
è vista la rottura del principio stesso (dello scambio), ma in ogni
scambio e da sempre 261 •
t la stessa categoria di apparenza in Adomo ad essere forte-
mente ambigua, tendendo essa a divenire necessità reale: « la teo-
ria riesce a smuovere il peso enorme della necessità storica sol-
tanto quando essa è riconosciuta come l'apparenza divenuta real-
tà, e la Jeterminazione storica come metafisicamente casua-
le [e.o.] » 262.
L'unico spazio della «teoria» sembra essere quello di spez-
zare la pretesa di -assolutezza di questa « totalità» (« apparen-
za socialmente necessaria come ipostasi dell'universale spremuto
dai singoli uomini ») 263 , riconoscerla come « apparenza », ma
solo per far baluginare la possibilità che « un giorno potrebbe
essere diverso ».
Non che in Adorno sia del tutto assente la dialettica di for-
ze produttive e rapporti di produzione, questa anzi - come ha
notato G. Marramao, parlando del rapporto tra Adorno e Pol-
lock - « rimane sempre [o quasi, aggiungiamo noi], dal punto
di vista teorico-astratto, il principio fondamentale di spiegazione
della società capitalistica; questa dialettica però ... sembra essersi
sospesa, Jasciando subentrare una sorta di "processo di adatta-
mento", che se non confuta la legge marxiana della caduta ten-
denziale del saggio di profitto, la sottrae tuttavia a quella tempo-
ralità concreta sulla quale dovrebbe proiettarsi la misura della
sua validità [ c.n.] » 264 •
Si può dire, per questo, che la « teoria critica» adorniana
299Th. W. Adorno, Dilllettica negativa, cit., p. 287.
~ lvi, p. 288.
Cfr. Th. W. Adorno, Fortschritt, in Parole chiave, cit., pp. 61-62.
26 1
262Ivi.
261Ivi.
264G. Marramao, Note sul rapporto di economia politica t teoria critka,
cit., pp. 40-41.

304
si perde nelle antinomie della Naturgeschichte, come « apparen-
za socialmente necessaria» del tempo della società capitalistica
avanzata, non scorgendo per mente, in questa, le contraddizioni
«storiche» che incrinano l'apparenza della sua «naturalezza»;
tanto da risowersi nello Streben di riuscire a fissare il suo « sguar-
do di Medusa» senza rimanerne impietrita. La «critica·», disar-
ticolatasi dalla « scienza», respinge la propria «socializzazione»
e si ritrae tutta nella teoria 265 •
L'unica prassi da essa fondata è quella estetica; se l'arte,
infatti, è « apparenza anche nelle sue cime piu alte», « essa ri-
ceve l'apparenza, l'elemento irresistibile in essa, dal senza appa-
renza. Liberandosi dal concetto essa dice ... che non tutto è soltan-
to nulla», cosf die « nell'apparenza è •promesso il senza appa-
renza » 266 • E mentre l'ultima produzione benjaminiana - pur
in tutta la sua tortuosità, i suoi Umwege - apre il problema
di una teoria materialistica del tempo storico e dello stesso pro-
cesso, la conclusione logica della Negative Dialeletik è una Asthe-
tische Theorie.

265 « Questo _progressivo processo di astrazione dalla prassi sociale ha ritrasfor-


mato la Teoria Critica di Adorno nelle forme contemplative ormai difficilmente
legittimabili della teoria tradizionale.» (H. J. Krahl, 1.4 contraddizione politica della
teoria critica di Adorno, cit., p. 2ta.)
266 Th. W. Adorno, Dialettica negativa, cit., p. 36S.

305
VII. Le tesi « sul concetto di storia »

Provavo un senso di profonda stanchezza nel


sentire che tutto quel Tempo, cosf lungo, non sol-
tanto era stato ininterrottamente v:issuto, pensato, se-
creto da mc, che era la mia vita, che era me stesso,
ma che per di piu dovevo tenerlo avvinto a mc
senza requie, che esso mi so"eggeua, che io ero ap-
pollaiato sul suo apice vertiginoso, che non potevo
muovermi senza spostarlo con mc.
(M. Proust)
Dic Tradition aller toten Geschlccbtcr lastet wie
cin Alp auf dem Gehime der Lebendcn. *
(K. Mana)
C.erto noi abbiamo bisogno di storia, ma ne abbia-
mo bisogno in modo diverso da come ne ha bisogno
l'ozioso raffinato nel giardino del sapere, sebbene
costui guardi sdegnosamente alle nostre dure e sgra-
ziate occorrenze e necessità.
(F. Niet:sche)

I
A. Metaphorik e giudaismi. « Walter Benjamin si è avvele-
nato in """ piccola località J'Ul confine spagnolo. La gendarmeria
aveva fermato il piccolo drappello di cui faceva parte. Quando
il mattino seguente i suoi compagni di viaggio sono andati a co-
municargli che era stato concesso il permesso di -proseguire il viag-
gio, l'hanno trovato morto. Leggo l'ultimo lavoro che ha mandato
all'Istituto di sociologia. iMe lo dà Giinther Stern, avvertendomi
che è un lavoro orduro e confuso, mi sembra che abbia pronun-
ciato anche la parola "già". Il breve saggio si occupa della ricerca
storica e può darsi che sia stato scritto dopo la lettura del mio
Cesare (che su B[enjamin] non aveva fatto una grande impres-
sione quando lo lesse a Svendborg). B[enjamin] si rivolge con-
tro i concetti di storia come svolgimento, di progresso come vi-
gorosa intrapresa di menti riposate, di lavoro come fonte della
morale e di classe operaia come protegés della tecnica ecc. Irride
la frase, che si sente spesso ripetere, secondo la quale c'è da me-
ravigliarsi del fatto che una cosa come il fascismo abbia potuto
fare la sua comparsa "ancora in questo secolo" (come se esso
non fosse il frutto di tutti i secoli). Insomma il breve lavoro
~ chiaro e chiarificatore [ klar und entwirrend] (nonostante tutte
le sue metafore e il suo giudaismo [ trotz alle, metaphorik und
* La tradizione di tutte le defunte generuioni grava come un incubo sul
cervello dei viventi.

307
;udaismen]) e si pensa con o"ore a quanto sia scarso il numero
di coloro che sono pronti ·almeno a fraintendere una cosa del ge-
nere. [c.n.] » 1
Cosi Bertolt Brecht, quando apprese la notizia de.Ifa morte
dell'amico e poté leggere il suo ultimo lavoro, le Thesen iiber
den Begriff der Geschichte.
Non crediamo che queste parole sfano state dettate, in Brecht,
da una qualche esigenza di rispettare la memoria dell'amico 2 •
Se la valutazione delle T hesen si distanzia abbastanza nettamen-
te da quella data qualche anno prima, nello stesso Arbeits;ournal,
in merito al Kunstwerk-Au/satz 3, è, a nostro avviso, per il mo-
tivo che gran parte della tematica delle Thesen, a diHerenza di
altri scritti benjaminiani, doveva esser familiare a Brecht già da
alcuni anni. Del resto, nel 1937, in una iettera a Benjamin, aveva
espresso il suo accordo col contenuto del saggio su Fuchs '.
Brecht ha ragione, Ja sua presenza è avvertibi,le chiaramen-
te nelle Thesen, anche se non tproprio nel senso che intende nella
sua nota e cioè attraverso un ripensamento da parte di Benjamin
del Giulio Cesare: quel che nelle Thesen è presente in modo de-
terminante è il rapporto Benja.min.J3recht, quale si era venuto ap-
profondendo nel corso degli anni trenta.
Il modo con oui nell'appunto ,brechtiano è espresso il con-
tenuto delle Thesen è ,perciò sintomatico della ricezione che lo
stesso Brecht ebbe di questo rapporto. Lucidamente sono indi-
viduati i termini negativi del discorso benjaminiano, il bersaglio
della sua critica: la << Vorstellung » della storia come « Ablauf »,
Passunzione empatica del concetto di « progresso » come proces-
so indolore e inarrestabile, la rice2Jione feticistica della tecnica
nella socialdemocrazia, ecc. Quel che, nelle poche righe brechtia-
1 B. Brecht, Arbeits;ournal, I, cit., p. 292 (nota dell'agosto '41).
2 Alla cui morte, ricordiamo, Brecht dedicò alcune poesie. Si veda in B.
Brecht,Gesammelte Werke, VI, cit.: An W.B., der sich au/ der Flucht von Hitler
entleibte (p. 49); Zum Freitod des Fluchtlings W .B. (p. 50); e anche Verlust-
liste (p. 51 ).
3 Cfr. B. Brecht, Arbeitsiournal, cit., p. 14 (nota del 25 luglio '.38).
4 « Caro Benjamin, ho letto il suo studio su Fuchs ancora una volta e sta-
volta mi è piaciuto ancora di piu. Lei prenderà atto di questo oon una certa
nonchalance; ma io penso, che proprio il suo interesse moderatamente temperato
all'oggetto del suo lavoro è stato d'aiuto all'economia di questo. Qui non c'è
alcun pezzo d'ornamento [zierat], ma tutto è leggiadro [zierlich] (nel vecchio
buon significato) e la spirale non è mai allungata attraverso uno specchio. Lei
rimane sempre presso l'oggetto, o meglio l'oggetto rimane presso di lei.,. {Brecht
a Benjamin, 1937, in Briefwechstl -zwischen W.B. und B.B., in AA.VV., Zur
Aktualital W. Benjamins, cit., pp . .+3-44.)

}08
ne, è assente è un qualsiasi riferimento alla dimensione teorico-e~
struttiva delle Thesen.
Il « klar und entwirrend » non pul, allora che riferirsi agli
obiettivi critici delle Thesen, alle coordinate politiche (immedia-
te e non) entro cui queste si muovono: i motivi della sconfitta
della classe operaia, in Germania ed in altri paesi, ad opera del
fascismo, le responsabilità della socialdemocrazia (ma non solo
di questa), la guerra. ·
Come 11ife11i~e G. Scholem 5, Benjamin scrisse le T hesen al-
l'inizio del 1940, dopo esser stato rilasciato dal Lager in cui, come
altri emigrati tedeschi, era stato internato 15 e le lesse all'amico
Soma Morgenstern, come una risposta al patto Hitler-Stalin.
Ma certamente non è dagli inizi del '40 che Benjamin pensava
all'argomento delle Thesen: è almeno dal 1937, dal tempo del
Puchs-Aufsat1., in cui certi concetti sono svolti già in modo com-
piuto, tanto che singoli passi di questo verranno letterahnente
ripresi nella stesura delle Thesen; e poi a condurre a queste, oltre
che la drammatica situazione storico politica, era la stessa proble-
matica interna alla Baudelaire-Arbeit 1 e, in modo diretto, la stessa
critica baudelairiana alla fede nel progresso.
Scrive Benjamin ad Horkheimer in una lettera del 22 febbraio
'40: « ]e vien'r d'achever un f!ertain nombre de théses sur le con-
cept d'Histoire. Ces thèses s'attachent d'un part, aux vues qui
re trouvent ébauchées au chapitre I du 'Fuchs'. Elles doivent,
d'autre part, servir comme armature théorique au deuxi~me essai
su, Baudelaire. Elles constituent une première tentative de fixer
un aspect de l'histoire qui doit établir une scission irrémédiable
entre notte façon de voir et les survivances du positivisme qui,
à mon avis, démarquent si profondément meme ceux des concepts
5 Si veda di G. Scholem, W.B. ,md sein Engel, in Zu, Aletualitit W. Benia-
mins, cit., p. 129.
6 Per questo si vedano i ricordi di Hans Sahl, W.B. im Lager, in Zur
Aklualilal W. Beniamins, cit., pp. 74-81.
7 In una lettera ad Horkheimer del 24 gennaio '39 (e quindi alcuni mesi
prima del patto sovietico-tedesco) Bcnjamin scrive: « Per seguire le tracce della
storia del concetto di progresso, mi sono occupato di Turgot e di altri teorici.
Riprendo il disegno complessivo del Baudelai,e, della cui revisione ho informato
nell'ultima lettera Tcddie Wicsengrund, dal lato epistemologico [crkenntnisthec>
rctlschen]. In relazione a questo diverrà importante il problema del concetto di
storia e del ruolo che in essa gioca il progresso. La frantumazione dell'idea
[Vorstellung] di un continuum della Kultu,, che era stata postulata nel saggio
su Fuchs, deve avere conseguenze epistemologiche [erkcnntnisthcoretische], tra
le quali una delle piu importanti mi pare la determinazione di limiti, che nella
storia sono tracciati all'uso del concetto di progresso• (GS, I, 3, p. 1225).

309
d,Histoire qui, en eux-m~es, nous sont les plus proches et Ics
plus familiers. Le caracrere dépouillé que fai du donner à ces
thèses me dissuade de vous les annoncer pour vous dire que les
études historiques auxquelles vous me savez adonné ne m'emp~-
chent pas de me Iffltir sollicité aussi vivement que vous et les
autres amis là-bas par les problèmes théoriques que la situation
monJiale nous propose inéluctablement [c.n.] » 8 •

B. Lo « stato di pericolo » della situazione mondiale. Sono


proprio le coordinate teoriche (date dalla sua produzione recente),
entro cui le Thesen si muovono, che permettono a questo scritto
benjaminiano un impatto non passivo con « i problemi teorici »
imposti dalla « situazione mondiale», che differe-nzia, per la sua
portata costruttiva, la risposta henjaminiana al patto sovietico-
tedesco del 2 3 agosto 19 39, da quella di molti altri intellettuali
« progressisti » 9 •

a Ivi, pp. 1225,1226.


' ~ da notare che il discorso di Benjamin in merito alla politica dei partiti
comunisti e in particolare del patto Hitler-Stalin è, nelle Thesen, assai sfumato
e sempre indiretto. La critica è sempre rivolta direttamente alla socialdemocrazia,
che, per i riferimenti specifici contenuti nelle Thesen, si configura abbastanza
chiaramente come quella della 1I Internazionale; ed è ad essa che vengono opposti,
nella Tesi XJ.I, la coscienza rivoluzionaria affermatasi nella lega di Spartaco da
una parte e il nome di Blanqui dall'altra. Che nel suo discorso sulla socialdemo-
crazia, e quindi sul cosiddetto « marxismo della I,I Internazionale», sia contenuto
una sorta di messaggio in merito alla situazione presente è indicato chiaramente
nella Tesi X, dove Benjamin affenna che il pensiero che svolge nelle Thtsen
« si propone, nel momento che i politici in cui avevano sperato gli avvenari del
fascismo giacc-iono a terra e ribadiscono la disfatta col tradimento della loro causa,
di liberate l'infante politico mondiale dalle pastoie in cui lo hanno avviluppato »
(AN, p. 77). Clic qui vi sia un implicito riferimento alla parte comunista del
movimento operaio è confermato pure dal fatto che, nel prosieguo della stessa
tesi, sono indicate come note caratteristiche di questi politici, oltre alla « nota
fede nel progresso », la « fiducia nella loro "base di massa" » e « il loro servile
inquadramento in un apparato incontrollabile ». Il fatto che poi le ultime due
caratteristiche siano indicate nella versione francese (incompleta) che Benjamin
stesso scrisse delle Thesen con: « une confiance aveuglc dans la force, dans la
justesse et dans la promptitudc des réaction gui se forment au sein des masscs •
e « une confiance aveugle dans le parti> (GS, I, 3, p. 1264) rende ancor piu
evidente il riferimento alla politica staliniana. Il fatto però che Bcnjamin non
abbia voluto affrontare il discono in via diretta, ma solo attraverso allusioni e
analogie, ci sembra non debba essere sottaciuto. Un primo motivo lo possiamo
ascrivere senza dubbio al fatto che le Thesen non dovevano esser per niente
un pamphlet politico, ma, da un lato, continuare le riflessioni del Fuchs e,
dall'altro, fondare teoricamente il seguito del Baudelaire. Vi sono poi, a nostro
avviso, in tutto cib due altri motivi, che nella loro unità potrebbero qualificare
la «politicità» non ingenua e immediatamente reattiva delle Thesen. Il primo

310
t per questo che ci sembra fuori luogo (in quanto non coglie
la complessa e tormentata « sostanza» politica delle Thesen) la
tendenza di certa critica tedesca a calcare ,la mano, non senza com-
piacimento, su questo aspetto delle Thesen, quasi a voler ravvisare,
a tutti i costi, una sorta di ravvedimento in extremis da parte
di Benjamin in merito alla posizione, fin allora mantenuta e difesa,
nei confronti dell'URSS 10 • Tanto piu che la delusione e la gb-
stificata preoccupazione .per il patto sovietico-tedesco non è certo
il motivo dominante entro cui la « situazione » storica si fa perce-
pibile nelle Thesen: questo (il patto) « era per cosf dire l'ultimo
segnale per la pericolosità » 11 di quella « cieca fede nel progres-
so », la cui critica aveva radici profonde nella produzione bonja-
miniana. Come nota la Greffrath, « le Tesi di Benjamin sulla storia
sono contrassegnate da un'angoscia [Angst], me nel saggio su
Fuchs non era ancora cosf visibile » 12 ; l' « Angst » trae origine
dall'oggettivo « Gefahrzustand » che il momento storico compor-
tava: lo scoppio della guerra, la possibilità di un'irreparabile vitto-
ria del fascismo, di una distruzione e di una « barbarie » assai
diversa da quella evocata in Er/ahrung und Armut. iE la caratteri-

dei quali ci sembra consista nell'ipotesi che Bcnjamin, anche dopo il patto sovie-
tico-tedesco, non avesse cessato del tutto di considerare « anche se sotto le pm
pesanti riserve », e dic Sowjetunion noch als Agentin unsercr Intercsscn in cinem
kiinftigen Kricgc wie in der Venogerung dicses Krieges [ ... ]»(lettera di Benjamin
a Horkheimer del 3 agosto '38, manos. ined. citato in R. Tiedemann, Historischn
Matemlismus ode, politische, Messianismus?, in AA.VV., Materiolien zu Beniomins
Thesen « Obe, den Begrilf der Geschichte », a cura di P. Bulthaup, Frankfurt/M.,
197.5, p. 101 (d'ora innanzi MA); e questo spiegherebbe il tono indiretto del
discorso bcnjaminiano, il suo carattere di avvertimento (contra tale ipotesi po-
trebbe andare quanto riferisce G. Scholem; cfr. Scholtm-Biogr., pp. 27+27.5). L'altro
motivo ci pare dato dalla cosciema di Benjamin che certe « distorsioni • nel
marxismo (economicismo, meccanicismo ecc.) hanno origine nella II Internazi~
nale, tanto che il riferimento al presente e quindi al movimento comunista e al
marxismo dclls III Internazionale, criticamente filtrato attraverso il discorso sulla
socialdemocrwa, viene a perdere ~gni immediatezza polemica e si trasfonna in
una profonda e costruttiva critica. Or. per questo quanto nota Krista R. Grcffrath
in De, hislorische Materialist als dialektischer Historiktr, in MA p. 199.
10 Si veda, ad esempio, quanto scrive R. Ticdemann in MA, pp. 99-104.
Qui Tiedemann afferma, tra l'altro, che se Benjamin di fronte ai processi di
Mosca era riuscito a malapena a dominare le e ldentitiitschwierigkeiten » di gran
pane della intclligcntsija rivoluzionaria, « l'alleanza tra Stalin e Hitler lo costrinse
pero a cercare anche per la propria persona una via d'uscita ,[Ausweg] » (p. 102), pre-
mendo cos( troppo il tasto sull'interpretazione delle Thesen come espressione di
una crisi: queste, piu che un • Auswcg • per la propria persona, ci sembrano
rappresentare il tentativo di dominare criticamente una « crisi » non solo perso-
nale ma «storica• e, quindi, di intervenirvi pur con l'esiguità dei propri mezzi.
11 Krista R. Greffrath, in MA, p. 227.
u lvi, p. 205.

311
stica delle Thesen non sta semplicemente nel rendere percepibile
una tale « situazione di pericolo », quanto nello « sforzo » di co-
struire una teoria capace di fronteggiarla, di« resistere» aU'incom-
bere degli eventi. Solo nella comprensione che il fascismo non
era una semplice «parentesi», una improvvisa rottura di quello
che fino allora aveva rapp.resentato il continuum della storia euro-
pea, bensf il suo condensato, la «precipitazione» di tendenze già
da tempo operanti in questo, lo sbocco « politico » di una acuta
crisi dello sviluppo capitalistico - quello che insomma Brecht
definisce il « frutto di tutti i secoli » - poteva essere imbastita
una fotta che di un tale « fenomeno » storico andasse alle radici.
Se la « tradizione degli oppressi» insegnava « che lo "stato
di emergenza" in cui viviamo è la regola» 13 si doveva, per Benja-
min. giungere ad un concetto cli storia che « comprendesse » questa
regola: « Avremo allora di fronte, come nostro compito, la crea-
zione del vero stato di emergenza: e ciò migliorerà la nostra posi-
zione n'ella lotta contro il fascismo [c.n.] » 14 • E tutto questo
prima che fosse troppo tardi. E troppo t'ardi, in un certo senso,
almeno per iBenjamin lo fu realmente.

II

A. Politicità delle T hesen. Scrive R. Tiedemann che « le riven-


dicazioni [ Reklama~ionen] degl,i ultimi scritti benjaminiani - sia
per i teoremi antiautoritari, nel frattempo già liquidati, del movi-
mento di protesta del 1968, sia ,per un sedicentesi marxismo orto-
dosso, ,per lo piu solo dogmatizzato - si trovano irritate soprat-
tutto dall'ultimo lavoro del filosofo: le Tesi "sul concetto di sto-
ria"» 15 ; e, aggiungendo giustamente che le Thesen non stanno
in alcun modo« isolate, come un blocco erratico nell'opera benja.
miniana », reclama, a sua volta, un esame critico di queste inte-
ressato « ai contenuti reali e di verità [ an den Sach- und W ahrheits-
gehalten], non in ·primo luogo a processi di valorizzazione poli-
tica» 16• ili tentativo - nota ancora Tiedemann verso la fine
del saggio in questione - di estrapolare contenuti politici dal
linguaggio teologico benjaminiano « non può neppure pretondere

13 AN, p. 76.
14 lvi.
15 R. Ticdemann, in MA, p. 79.
16 Ivi, p. 81.

312
di analizzare in modo esaustivo la funzione del pensiero teologico
nelle tesi di filosofia della storia » 17 •
Ora, pur riconoscendo tutti i limiti di un'assunzione empatica
ed immediata degli scritti benjaminiani in un orizzonte politico,
che da qualche ,parte in Germani! (sulla scia dei movimenti studen-
teschi del '68) v'è certamente stata 11 , e rifiutando contempora-
neamente ogni operazione tautologistica, tutta intenta cioè a dimo-
strare ,Ja concordanza ·(o la compatibilitè) dei risultati piu maturi
della ricerca benjaminiana con ,gli assiomi di un preteso « marxismo
ortodosso»; non ,per. questo ci pare di 1poter rinunciare, come
vorrebbe Tiedemann, ad includere l'ultima produzione benjami-
niana nell'orizzonte del materialismo storico, e, di conseguenza, a
riconoscere ad essa una intrinseca politicità, che proprio nelle The-
sen trova la sua espressione piu profonda. Questo ci sembra pos-
sibile da un 'lato, nello scartare qualsiasi intenzione riduttivistica
che riconduca ciò che viene definito « materialismo storico » ai
«già-detto» di Marx, riconoscendo con Lenin che « i discepoli
non salvaguardano l'eredità come gli archivisti custodiscono le vec-
chie carte. Salvaguardare ·l'eredità non significa limitarsi aE.'ere-
dità » 19• Dall'altro considerando la politicità di una produzione
teorica, non nell'accezione limitativa di un rimando immediato aHa
prassi, bensf nella sua produttività all'interno di quella che
Althusser ha definito « lotta di classe nella teoria» 20 , o - altri-
menti detto - all'interno dei rapporti di produzione intellettuale
della « situazione» stomca in cui si sviluppa e nei confronti deDa
particolare « tradizione» da cui trae origine.
Ma è proprio un'accezione povera di «dialettica» del ter-
mine « politico » e del rap,porto teoria"'Prassi 21 che conduce Tiede-

17 lvi, p. 112.
18 Significativa in proposito è la nota autocritica che H.D. Kittsteiner pospone
alla ripubblicazione del suo scritto Die « geschichtspbilosophischen Tbesen » (pub-
blicato per la prima volta nel n . .56-.57 di AJternaJive, ottobre 1967, pp. 243-251),
in MA, pp. 39-40: « Con il processo di appropriazione di Marx nel movimento
degli studenti che si andava sciogliendo, i limiti di Beojamin divennero chiari:
egli poteva infatti dire molto delle esperienze di un individuo borghese con il
capitalismo, ma assai poco su questo stesso. Invece di andare ulteriormente alla
ricerca di on Bcnjamin marxista, abbiamo cominciato a leggere Marx ». Cosf
Kittsteincr, resta solo da notare che con simili «attese» nei confronti dell'opera
benjaminiana non si poteva giungere a diversa conclusione. ·
19 V. I. Lenin, Opere complete, II, Roma, 19.54, p . .524.
20 Cfr. L. Althusser, Umanesimo e stalinismo, cit., pp. 9-16.
21 Configurato da Tiedcmann in quella che definisce la manciana « scoperta
del telos pratico, che inerisce ad ogni teoria, che sia piu di una positivistica
classificazione dei ciechi dati di fauo » (in MA, p. 111).

313
mann a ricercare quale tipo di prassi ~olitica sia fondato nelle
T hesen ed a concludere che questa nòn è altro che quella propria
di un « anarchismo » cui Benjamin sin dalla sua gioventu sarebbe
se_mpre rimasto legato e di un « blanquismo » simpatetica.mente
appreso nel corso della Passagenarbeit 22 • E tutto questo fino
ad affermare grossolanamente che le T hesen « sono nientemeno
che un manuale di guerriglia urbana » 23 •

B. Lo khema « generativo » delle T hesen. Se in una conside-


razione delle Thesen distinguiamo l'aspetto storico-politico piu con-
tingente - quello della lotta al fascismo e del patto russo-tede-
sco - {di cui abbiamo dato qualche cenno in precedenza), dal-
l'aspetto piu propriamente teorico, vediamo come quest'ultimo si
articola, a sua volta, in due direzioni, passibi-li di essere « ferma-
te » solo provvisoriamente in due piani diversi del discorso -
in un'operazione che potremmo dire propria dell'intelletto hegelia-
namente inteso - considerato che la sostanza teorica delle Tesi
sta tutta nel mostrare il necessario intrecciarsi deHe due direzioni
e la reciproca circolarità dei due piani. Questi due piani possiamo
definir-li, per comodità, l'uno epistemologico e l'altro politico.
Nel primo (quello epistemologico), che potremo dire impro-
priamente« oggettivo», le Thesen si definiscono come un discorso
sul « concetto di storia » ( una ricerca della sua « struttura ») 24
rappresentato nella aporia fondamentale tra continuum (come
«storia» degli oppressori) e discontinuum (come « tradizione»
degli oppressi) all'interno del processo storico 25 • Per cui si tratta
di vedere la discontinuità nella «reale» continuit-à del processo,
onde individuare quei .punti d'attacco (quelle contraddizioni), ia-
cendo leva sui quali è possibile trasformare l'assetto in oui il con-
tinuum del processo si configura al presente. Il termine di riferi-
22 Ivi, pp. 108,.111.
23 lvi, p. 110. Che l'autore in questione cerchi poi di mitigare il significato
di una simile affermazione (definendola una conseguenza di cui Bcojamin non era
del tutto cosciente) e di giustificarla teoricamente (identificandola come il telos
pratico che inerirebbe alle Tesi, per chi vi volesse leggere delle direttive per
l'azione, mentre il loro effettivo contenuto politico si celerebbe « sotto la maschera
del suo linguaggio teologico ») non ci sembra tolga niente alla assoluta incongruità
dell'espressione usata, nei confronti del testo benjaminiano.
24 Cfr. GS, I, 3, p. 1232.
25 Scrive Benjamin nei manoscritti preparatori alle Tesi: « Aporia fonda-
mentale: "la tradizione come il discontinuum di ciò che è stato in contrapposi-
zione alla Historie come al continuum degli avvenimenti"» (GS, I, 3, p. 1!236).

314
mento negativo è qui, oltre al continuum storico effettivo, la conti-
nuità storica reifkatasi nelle forme della coscienza borghese, come
apparente continuità di una « tradizione», nella quale è « la sta-
bi!lità [Bestandgkeit] dell'apparenza [Scheins] di stabilità » 216
a fondare la continuità. E se ambedue sottendono un tempo omo-
geneo e vuoto, il punto di approdo benjaminiano - attraverso
la critica a tale « apprensione » della temporalità - è il tentativo
di determinare il concetto {materialista) di « tempo storico », co-
me costituito da Jetztzeit 27 e quindi discontinuo, nella appren-
sione del quale il ma/lerialista storico ,può rompere il continuum
aconcettuale, in cui si esprime la forma della coscienza storica
propria dello Historismus, ed opporre la «costruzione» alla mera
addizione dei fatti.
Nel secondo piano (quello politico), che ancora impropria-
mente possiamo definire « soggettivo», la teoria benjaminiana della
storia si specifica - come ha visto acutamente la Greffrath -
in una « teoria della esperienza con la storia », che cerca « di
cogliere il modus, in cui il ,passato può divenire un momento critico
delresperienza presente » 28 • ~ questo il ·problema della « coscien-
za storica» che trova la sua verttica al ipresente solo in quella
che Benjamin definisce « la lotta per il passato oppresso». Proble-
ma che implica da un lato il rapporto ohe la classe oppressa, come
soggetto storico, nel momento della sua azione politica e quindi
nel tentativo di rottura della continuità storica, intrattiene col
passato; dall'altro la coscienza « politica » del presente nello stori-
co materialista che indaga gli eventi passati. La struttura che « ri-
solve » entrambi i lati di questo problema è la «costellazione»
che si instaura tra una determinata immagine del passato, sbalzata
dal continuum in cui giaceva indistinta, e il presente (della classe
o.ppressa e del materialista storico). E determinante è che il con-
fluire di UijO specifico momento della storia passata e del prese-nte
in un,unica ·« costellazione », è anch'esso un processo temporal-
mente determinato, la maturazione di un processo oggettivo, rico-
nosce-re il quale (e riconoscervisi come parte) è compito sia del
« soggetto » rivoluzionario che dello « storico dialettico ». È a
questo punto che il tempo storico, formato da ]etztzeit, si può
definire come « messianico » e prende cor,po quella che Benj-amin

26 lvi.
n Per il concetto di Jetztuit rimandiamo a quanto diremo piu avanti.
28 K.R. Greffrath, in MA, p. 221, la quale afferma giustamente che questa
è la pane piu produttiva della teoria benjamioiana.

315
chiama « Rettung der Vergangenheit » ed è qui che avviene « il
passaggio » del secondo piano nel primo.
Senza questo « passaggio », che possiamo dire « di fondazio-
ne», il discorso swl~ EJfahrung mit der Geschichte » cadrebbe
inevitabilmente oel baratro del soggettivismo e la Geschichte si
ridurrebbe a Erlebnis: che Benjamin abbia percepito questo pro-
blema ce lo testimoniano in qualche modo i frammenti preparatori
delle Thesen, che non l'abbia sviluppato_ quasi per niente costi-
tuisce senza dubbio il limite « epistemologico» del discorso con-
tenuto in esse.
Comunque, attraverso la concezione benjaminiana della Jetzt-
zeit, e quindi attravierso la stessa figura della «costellazione»,
la rigidezza dei termini «oggettivo» e «soggettivo» è tolta: la
determinatezza della Jetztzeit ,(-« tempo-ora», come traduce Sol.mi,
o « tempo attuale » - ,presente - come preferiamo) viene cosf
ad essere il punto d'incontro e di reciproca implicazione dell'istan-
za oggettivo-.processuale e di quella soggettivo-conoscitiva da un
lato e soggettiv01)0litica (trasformante) dall'altro. Ma è proprio
a questo punto che si dà un ulteriore« passaggio» ddl primo piano
(epistemologico) nel secondo ,(politico), in quanto nel primo oltre.
che un « riconoscimento » cli un processo si dà pure un « inter-
vento» in esso, nel senso che un determinato momento della« tra-
dizione » storica è strappato al conformismo, al suo essere reificato
in semplice strumento delle classi dominan-ti. E tutto questo a
sua volta ha il suo i.fondamento ultimo in quelle rotture reali della
storia - come processo lineare, come accumularsi quantitativo
di fatti che non confermano altro che la ·perennità del già conso-
lidato - che sono i processi rivoluzionari, i quali oltre alla rottura
comportano sempre ,(e qui si situa J'esempio della rivoluzione fran-
cese portato da iBenjamin) una coscienza del passato diversa da
quella imposta cOJDe « unica » dalla classe dominante.
Ma tornando a quel carattere di «intervento» proprio della
prassi storiografica del marterialista storico è da dire che questa
è possibile solo nell'inversione del rapporto passato-presente, soli-
tamente inteso come successione lineare causalmente determinata
ed irreversibile, -nel considerare quindi il passato come qualcosa
di non irrimediabilmente concluso ed il presente (non inteso come
semplice « Obergang ») come « il luogo in cui s1 dovrebbe costrui-
re Ja storia» 29 • Determinante a questo p\1llto è, di nuovo, la
29 R. Tiedemann, Studien, cit., p. 153.

316
coscienza-conoscenza che lo -« historische Materialist » ha del pre-
sente, anzi lo stesso « punto » del ,presente da cui guarda al passato.
Se quindi la fondatezza epistemologica si era rivelata necessa-
ria .per« salvare» ogni « Rettung der Vergangenheit » dal pericolo
del relativismo soggettivistico, a sua volta la dimensione politica
si rivela interna a quella considerazione epistemologica sulla sto-
ria, che si vuole differenziare da quell'atteggiamento contempla-
tivo - tipico dello storicismo - che pur volendosi neutro (anzi,
proprio per questo) è sempre identificazione nella classe domi-
nante, nei rvmcitori.

C. Una str(l1t(l partita a scacchi. Ma oerchiamo ora di vedere,


addentro alle Thesen stesse, quel che finora abbiamo svolto in
maniera meramente enunciativa ed in forma astratta (sacrificando
molto la ricchezza del discorso benjaminiano) senza peraltro alcu-
na intenzione di rispettare l'ordine del discorso in precedenza assai
schematicamente abbozzato.
La prima tesi piu che premessa al seguito delle altre è la
sintesi, risolta in un'immagine, del «movimento» concettuale che
in quelle viene condotto. Ad una giusta comprensione di questa
è, per molti versi, affidata pure la comprensione del resto; vale
la pena perciò riprodurla integralmente.
« Si dice che ivi fosse un automa costruito in modo che rispon-
desse, ad ogni mossa cli un giocatore cli scacchi, con una contro-
mossa che gli assicurava la vittoria. Un fantoccio in veste da turco,
con una ·pipa in bocca, sedeva di fronte alla scacchiera, poggiata
su un'ampia tavola. Un sistema di specchi suscitava l'illusione che
questa tavola fosse itrasparente da .tutte le parti. In realtà c'era
accoccolato un nano gobbo, che era un asso -nel gioco degli scacchi
e che guidava per mezzo di fili la mano àel burattino. Qualcosa
di simile a questo apparecchio si può immaginare neJ.la filosofia.
Vincere deve [soll] sempre il .fantoccio chiamato "materialismo
storico". Esso può farcela senz·aitro con chiunque, se prende a
suo servizio la teologia, che oggi come è noto è piccola e brutta,
e che non deve farsi scorgere da nessuno. » 30 •
Come scrive Benjamin in una prima stesura delle Thesen,
che contiene importanti :varianti, un .pendant ali'« Apparatur » con-
tenuta nell'immagine prima descritta, ci si potrebbe tanto ,piu facil-
30 AN, p. 72.

317
mente immaginare, se « la contesa per il vero conoetto di storia»
venisse pensata « -in forma di una partita a scacchi tra due part-
ners » 31 •
Mostrare le condizioni, le mosse,- la -strategia per vincere la
«partita» è il compito delle Thesen. L'avversario che Benjamin
ha cli fronte si può appellare sinteticamente « Historismus », ed
in esso è significata la tradizione culturale tedesca consolidatasi
dopo Hegel e attraverso una -lettura polemica e Msai «parziale»
di Hegel stesso, tradizione in cui venivano a confluire in funzione
complementare positivismo e Lebensphilosophie, cosi che le teoriz-
zazioni di Dilthey si ,ponevano come consequenziali rispetto alle
ricerche della « historische Schule », e davano ad es9e una « fonda-
zione epistemologica» 32 tutta risolta nell'Erlebnis. Il risultato
di questa tradizione, che a scomporla nei suoi diversi momenti
ci re9t'.ituirebbe la precisa funzione ideologica da essi svolta negli
sviluppi politici ed economici della storia -tedesca, era dato per
Benjamin da una concezione della storia come « Unive,salgeschi-
chte » - in cui ogni epoca sta immediatamente e nella stessa misu-
ra davanti a Dio (Ranke), « ridotta » epicamente a sequela di fatti
da narrare (« bloss zeigen wie es eigentlich gewesen ») 33 - ed
insieme dalla determinante immedesimazione delllo storico-narrato·
re nell'oggetto narrato. Immedesimazione, che non è nient'altro
- come ha visto Tiedemann 3A - che il « Verstehensbegriff »
di Dilthey, tutto risolto in « un ritrovamento dell'io nel tu» 35 •
E se questa concezione si « voleva » sorta in opposizione
da un lato alla kantiana « filosofia della storia » - in cui questa
31 GS, I, 3, p. 1247.
32Si veda per questo, R. Tiedcmann, Studien, cit., pp. 138-146; per il rap-
porto tra Hislorismus e ldealismus dr. anche G. Mensching, Zeit und Fortschrill
in den «geschichtphilosophischen Thesen » Walter Beniamins, in MA, pp. 172·
178, il quale dimostra come il tentativo dell'Historismus di sbrigliare la storia
dai concetti generali dcll'Idealismus finisce per sottomettere l'intero decorso sto-
rico ad un concetto ancor pio generale, quello di natura, configurandolo come
« dcr blinde, nariirliche Gatrungsprmcss ». Si veda ancora in merito a questo
K.R. Greffrath, in MA, pp. 193-196.
33 L. von Ranke, Geschichte der romanischen und germanischen V olJte, wn
1494 bis 1514, Leipzig, 1872 (2), Vorrede der ersten Ausgabe (1824), p. VIII,
citato da K.R. Grcffrath, in MA, p. 194.
34 Cfr. R. Ticdcmann, Studien, cit., p. 1411.
35 W. Dilthey, Nuovi studi sulla costruzione del mondo storico nelle sden::e
dello spirito, in Critica della ragione storica, cit., p. 293.
Questi sono per Benjamin - come scrive in un manoscritto preparatorio
delle Thesen, in GS, I, 3, pp. 1240-1241 - i tre capisaldi dello Historismus da
abbattere e, aggiunge, la EinfiJhlung, « il terzo bastione dello Historismus è il phi
forte e il piu difficile da assalire»: vedremo in seguito i motivi.

318
ultima (la storia) si presenta come teleologicamente determinata
da un'idea che, trascendendo infinitanumte la storia empirica, si
pone nei suoi _confronti come un « compito infinito» 36 - e
dall'altro alla soluzione hegeliana cli questa antinomfa - consisten-
te nel calare l'idea nella storia come fattore costitutivo (e non
pro sempficemente regolativo, come per Kant} cli essa, cosi da
determinare la storia come progreHiva realizzazione dell'idea 37
- tale opposizione in realti non consisteva altro che nell'aver
recepito in modo del tutto «particolare» l'eredità dell'idealismo
hegeliano, accantonando cioè il carattere sistematico ed « oggetti-
vo» della sua filosofia ed espungendo la « dialettica» (come com-
presenza ed unità di « contraddizioni »} dal processo.
Il sostrato materiale dei tre aspetti fondamentali dello Histo-
rismus, prima accennati, non è che quel tempo vuoto ed omogeneo
di cui parla Hegel, il tempo come « unità negativa dell'esteriori-
36 Scrive acutamente P. Bulthaup a proposito della « filosofia della storia»
kantiana: « Poiché esseri finiti non possono essere all'altezza del compito infinito
di superare l'ibisso tra idea e realtà empirica, paradossalmente, in virtu della
presenza dell'ideale [ldeellen] nella volontà umana, la realtà dell'ideale nell'em-
pirico, il regno di Dio sulla terra, viene sospinta nell'infinita lontananza della
fine della successione temporale, cosf che infine l'estensione della vuota succes-
sione tcm~rale, il progresso infinito, diviene l'unica p~a dclla realtà dell'idea
morale» (·P. Bulthaup, Parusie. Zur Gescbichtstheorie Walter Ben;amins, in MA,
p. 126). Per ulteriori chiarimenti sulla tematica dclla storia in Kant e in Hegc.J
si vedano in questo saggio soprattutto Je pp. 124-144.
n In Hegel infatti la differenza antinomica tra « concetto costitutivo » cd
« idea regolativa » ~ tolta nel movimento concettuale del « Selbstbewusstscin »,
come risultato della « Sclbstreflexion », « del pensiero che si riferisce a sé, che
è attività e contemporaneamente oggetto di questa attività». (P. Bulthaup, in
MA, p. 128). Cosf che - secondo Bulthaup - se per Hegel la storia viene a
definirsi come «realizzazione» [Venvirkllchung] dell'autocoscienza razionale attra-
verso se stessa », ogni accidentalità è espunta dal processo storico e con ciò ogni
discrepanza tra Geist e Wirklichkeit; in tal modo - osserva ancora Bulthaup -
« ist dic Wirklichkeit immer schon crlost » (ivi, p. 130). Ma per una considera-
zione piu sfumata e profondamente innovativa di questi problemi di ermeneutica
hcgeliana sono da vedersi le fini osservazioni di R. Bodei, in R. Bodci-F. Cas-
sano, Hegel e Weber. Egemonia e legittimu.ione, Bari, 1977, ed in part. le pp. 1,13-
122 e 175-177. Qui Bodei ponendo l'accento« sui differenti livelli di unione fra sape-
re e realtA » (ivi, p. 1116) - né quindi sulla piatta identificazione di logica e storia,
né su una loro astratta disgiunzione - nota giustamente come in Hcgel non si
dia « chiusura » del processo storico, ma come proprio nel concetto hegeliano
di processo siamo di fronte ad una « ragione che si coniuga continuamente con
la realtà, prendendo fona da essa » e ad una « realtà che si intride progressiva-
mente di razionalità, che è stata dissodata per millenni dalla "ragione autoco-
sciente"» (ivi, pp. 115-116). Cosf che, per tornare alle osservazioni di Bulthaup,
l'Erlosung del reale, piu che data per scontata ed immediata, è affidata (in ultima
e piu alta istanza) alla capacità della filosofia di « riconoscere» la « razionalità»
operante nei diversi livelli del reale, al « sapere del fine» del movimento natu-
rale e storico.

319
tà », come indifferenza ad ogni alterità 38 • Ma mentre in Hegel
questo « tempo » non conosce ,progressione reale, non è che un
generarsi che immediatamente si annulla e continuamente annulla
questo stesso annullarsi, che un distendersi che si ritrae continua-
mente nell'eguilglianza con sé 39 , nella rappresentazione della sto-
ria che Benjamin si propone di combattere, il «tempo» hegeliano
è stato sottratto alla filosofia della natura in cui Hegel lo aveva
inserito e trasposto (senza molte mediazioni) in quella della storia.
Questa era l'unica determinazione della temporalità, che in
un tempo di-« crisi» del ·pensiero borghese, di incapacità di domi-
nio epistemologico sulla globalità del processo storico, permettesse
di ridurre quest'ultimo ad Erlebnis, creando cos{ lo spazio omoge-
neo entro cui potesse aver luogo il V erstehen cliltheyano, facendo
della storia la manifestazione di un « Geist » meramente soggettivo
e quindi definendola come Kulturgeschichte 40• Ma questo a
prezzo di accantonare tutti gli elementi critici nei confronti di
questa concezione ,presenti, a ben vedere, già in Hegel 41 e soggia-
cendo di ,nuovo alle antinomie della kantiana « Geschichtsphilo-

31 « Come allo spazio, cosi anche al tempo niente preme la differcnza del-
l'oggettività e di una coscienza soggettiva che le sia di fronte.• (G.W .E. Hcgel,
Enciclopediti delle scienze Jilosofiche in compendio, I, cit., p. 21·7.)
39 Cfr. G.W .F. Hcgel, Scienza della Logica, I, cit., p. 201.
40 Definizione che ha, nel suo rovescio, l'effetto di appiattire il lato mate-
riale-oggettivo del processo storico, la stessa società, in qualcosa di caoticamente
empirico, di non comprensibile nella sua « interna razionalità » e per questo di
non dominabile razionalmente in modo organico, facendone un « mondo etichet-
tato per comcxlità, utilitaristicamente », controllabile solo « mediante il privilegio
accordato alla "spazializzazione ", all':Erkliiren o agli pseudo-concetti delle scienze»
(R. Bodci, op. cii., p. 115); oppure weberianamcntc « razionalizubile » solo in
modo par.tialc cd unilaterale, a livelli sconnessi uno dall'altro. Per interessanti
osservazioni sulla riduzione della storia a Kulturgeschichte e sulle consegucme di
tale riduzione in Weber, cfr. L. Colletti, ldeologiti e società, Bari, 1969, pp. 50-59;
ma per questa tematica in Weber dr. anche l'lntrodu%ione di R. Racinaro a
M. Adler, Causaliti e teleologia nellti disput11 sullti sdenu, a cura di R. Racinaro,
Bari, 1976, pp. XXIV-XXV e LI-LIV.
41 A tal proposito va meditata l'osservazione di B. De Giovanni intorno alla
critica che Hcgel, nella Scienza della Logica, opera del kantismo: « La scansione
unidimensionale, unitemporale della scienza trascendentale trova il suo vero fon-
damento teorico nella unificazione /rti i luoghi logici del ttmpo e del soggetto,
attraverso un innalzamento del soggetto della certezza cartesiana a soggetto ordi-
natore d'ogni scienza possibile [c.n.] • (B. De Giovanni, Hegel e il tempo storico
della società borghese, cit., p. 66). Seppur attraverso determinati «passaggi»
logico-storici (scanditi dall'ingresso della società capitalista in nuove forme di
organizzazione politica cd economica) v'è nello Historismus una regressione anti-
hege]iana (che in virtu della sua « segnatura storica• prelude ai neokantismo)
tesa ad unificare quelli che Dc Giovanni definisce il « tempo della coscienza »
e H « tempo del sapere » in una medesima struttura, quella fornita dalla coscienza
o - piu in generale - dal «soggetto» e dalla sua «tipologia».

320
sophie ». Antinomiè, che derivano tutte dal fatto che « in Kant,
il concetto di storia non elabora se stesso come concetto » 42 •
Cosf che mentre in Kant si viene a stringere una « connessione
organica» fra « dimensiowe dell'etica e dimensione della storia»,
quest'ultima - riducendosi a -« esposizione di uno sviluppo antro-
pologico », in virtu della sua classificazione entro la categoria « mo-
rale » di « progresso umano » - è semplificata e compressa nel-
l'orizzonte generico del tempo, -come« legge specifica di fondazione
del sensibile» (De Giovanni). Di qui la contraddizione tra la
« storia » come campo della libertà, come spazio dell'agire etico
(e quindi sottratto alle connessioni causali del mondo sensibile)
e il suo essere sussunta entro la « dimensione generica del tempo »
(De Giovanni), non differenziata cioè dalla « struttura etico-tra-
scendentale ». La complessità del concetto di « storia » viene in
tal modo a risolversi e a diluirsi iin un «progresso etico» nel tempo,
cosf che « il tempo della storia è sempre il tempo della
coscien%a » 43 •
Se in questa identificazione affonda le radici l'av,versario con
cui la partita delle Thesen - « um den wahren ìBegriff der Ge-
sohichte » - deve essere giocata, quelJo che la dovrebbe vincere,
il « materialismo storico», è per Benjamin, nella sua attuale forma
storica, sprovvisto di strumenti teorici adeguati al compito. Grava
su di esso infatti l'erediti del« marxismo della lI :Internazionale »
(ancora non criticato alla radice), tutto subalterno al pensiero
borghese, oscillando tra un meccanicismo di stampo positivista
e un volontarismo di derivazione kantiana 44 •
42 B. Dc Giovanni, op. cil., p. 124.
43 Non sembrino queste divagazioni rispetto all'oggetto del nostro discorso:
se, da un lato, si pul, dire che sono sollecitate dalle tesi benjaminiane, dall'altro,
sono implicitamente sottese a questo. Basti richiamare qui che Benjamin, già in
una lettera del '17, aveva acutamente colto questi aspetti della riflessione kantiana
sulla stom, che De Giovanni estrae dal confronto con la critica hegeliana del
kantismo: « In Kant - scriveva Benjamin a Scholcm - si tratta meno della
storia che di cene costellazioni storiche di interesse etico. E ancora oltre a questo
l'aspetto etico della storia viene definito come inaccessibile ad una specifica con-
siderazione e viene avanzato il postulato di un metodo e di un modo di conside-
rare scientifico-naturale». (Lettera a G. Scholem del 23 novembre '17, BR, p. 161).
44 La complementarietà di questa oscillazione propria del pensiero teorico
della socialdemocrazia era stata individuata chiaramente da Lukacs in Rosa Luxem-
burg marxista del 1921: « Il fatalismo economico e la rifondazione etica del
socialismo sono aspetti strettamente connessi tra loro. Non a caso li ritroviamo
in egual modo in Bemstein, Tugan-Baranowskij e Otto Bauer. E precisamente
non come risultato della necessità di cercare e di trovare un surrogato soggettivo
alla via oggettiva verso la rivoluzione, che essi stessi si sono preclusa, ma come
conseguen?.a metodologica del modo di procedere dell'economia volgare» (G. Lu-
Ucs, Storia e coscienu di classe, trad. di G. Piana, Milano, 1973, p. 49).

321
Non per niente il « materialismo storko », identificato da
Benjamin nella « Puppe in tiirkischer Tracht », è indicato tra vir-
golette, e questo solo nella prima tesi; nelle altre lo stesso termine
verrà sempre indicato senza di esse e certo non è mai considerato
privo dell'apporto della teologià, che Benjamin - nella prima
tesi - propone 45 •
« Vincere deve [ soll] - suona una variante della prima tesi
- se da me dipendesse, il fantoccio turco, che i filosofi chiamano
materialismo. » 46
Ciò che Benjamin all'inizio della tesi chiama l'automa (Auto-
mat), costruito in modo tale da poter rispondere ad ogni mossa,
e che successivamente ricompare col termine « Apparatur », non
è per niente da identificare semplicemente con il fantoccio, questo
è solo una parte di esso: « fantoccio e nano - come nota Tiede-
mann - costituiscono insieme e con la scacchiera, unitamente
al tavolo corrispondente, questo automa » 47 • t l'intera « Appa-
ratur » me indica ciò che nel seguito delle Thesen viene chiamato
materialismo storico, cosi che successivamente anohe a'impiego di
categorie e termini teologici sono assunti internamente alla pro-
spettiva di questo.
C'è ooa tensione non trascurabile tra l'immagine che apre
la ·prima tesi e l'interpretazione che Benjamin ne dà 48 : in questa
ultima il rapporto tra « Puppe » e « Zwerg » viene invertito 49 •
Se nell'immagine è il -nano a guidare per mezzo di fili il fantoccio,
nell'interpretazione-trasfor:mazione benjaminiana, al contrario, è il
fantoccio chiamato « materialismo storico» che deve prendere al

4.S Cfr. per questo quanto afferma R. Tiedcmann in MA, pp. 98-99; il quale
però interpreta la « Partie » nei termini del « Klasseokampf,. in generale: il
che, se non è del tutto illegittimo, rende piu vago il discorso bcnjaminiano, tutto
teso a individuare un nuovo concetto di storia che pennetta di migliorare la
posizione nella lotta contro il fascismo. Si veda anche quanto scrive la Greffrath,
in MA, pp. 206-207, la quale tra l'altro ha visto molto bene come la prima tesi
si spjeghi nella critica al marxismo della II Internazionale. Si veda infine anche
G. Kaiser, Walter Benjamins «geschichtsphilosophische These,n, in MA, p. +4,
che ttae conclusioni assai diverse dalle nostre.
46 GS, I, 3, p. 1247.
47 R. Tiedemann, in MA, p. 97.
43 Cfr. H. Pfotcnhauer, Eine Puppe in liirkischer Trachl, in MA, p. 279.
49 Or. per questo R. Tiedcmann, in MA, pp. 97-98, che interpreta questa
« Verkchrung,. come rovesciamento del rapporto tra rigido (la « Puppe • come
« totcs Ding ») e vivente; anche se, va detto, carica tale inversione di si11,iffcati
ecc:cssivamentc macchinosi (come il rapporto servo-signore in Hcgcl cd il concetto
di reificazione in Marx).

322
suo servizio la teologia, « che oggi, come è noto, è piccola e brutta,
e che non deve farsi scorgere da nessuno » 50 •
Benjamin dispone dell'immagine descritta come l'Allegorileer
diapone delle sue allegorie: significati e funzioni vengono capovolti.
Quel che ne.Ll'immagine è « Automat » già perfettamente costruito
e funzionante, nell'interpretazione diviene un compito, qualcosa
di programmatico 51 , che le tesi cercheranno di costruire.
A que91:o punto ogni interpretuione del tcntatiYo benjami-
niano nei termini consunti e ideologicamente vw.ati cli un« marxi-
smo umano», di una -« n~essaria insufficienza del marxismo a
risolvere i problemi dell' "uomo,,» e quindi della teologia come
supplemento d'anima 52 , è assolutamente fuor di luogo in quanto
filologicamente infondata. Non rispondente al pensiero benjami-
niano è pure la tesi secondo cui, essendo il nano a mettere in
movimento il pupazzo, la teologia « che come ingenium pone .in
-movimento l'apparato del materialismo storico, è il materialismo
storico, di cui si parla nelle tesi seguenti» 53 : cosi scrivendo si
considera solo il contenuto delle immagini e non il muts.mento
di senso che gli impone finterpretazione benjaminiana.
Né tanto meno si 1può parlare di una divisione di compiti
tra teologia e materialismo nella conduzione della partita 54 : della
teologia come fattore teorico autonomo non si fa menzione nel
resto delle tesi, dove essa è assunta interamente nella prospet.tiva
dello « historische Materialismus ». E neppure ci sembra sosteni-
bile J'ipotesi, secondo la quale la teologia giudaico-cristiana costi-
tuirebbe il nucleo genuino da cui il marxismo aveva tratto il suo
impulso originario e per questo si tratterebbe per esso solo di
tomare .alle proprie origini, di dpristinare nella sua forma primi-
50 AN, p: 72.
51 Or. quanto scrive la Grcffrath in MA, p. 208.
52 Queste sono le posizioni ad esempio di H. Giinther, che ha pubblicato
proprio un volume dal titolo Walter Beniamin untl dn- humane Marxismus, cit.
51 Cos( G. Kaiser in MA, p. 44. Questo punto di partenza fa s( che in
questo saggio, non privo di spunti filologicamente interessanti, Kaiser concluda
nell'inaccettabile osservazione, secondo cui e Benjamin non secolarizza la teologia,
egli teologizza il marxismo, cosi che il vero materialismo storico ... in verità è
la vera teologia» (ivi, p. 74). Fino a sosu~nere, a chiare note, che la filosofia
della storia benjaminiana non è che « Geschichtsthcologie » e come tale richiede
la fede.
54 C.omc sembra sostenere un po' semplicisticamente H.D. Kittsteiner, in Die
« geschichlsphilosophischen Thesen », in MA, per il quale nelle Thesen « il mate-
rialista storico si pone di fronte al presente come marxista, di fronte al passato
come teologo della memoria [Eingcdenken] (ivi, p. 37). Per la critica a questa
posizione si veda quanto scrive H. Pfotenhauer, in MA, p. 280 e p. 289 (nota 89).

323
tiva ciò che nel suo -«complesso,. teorico aveva fatto ingresso
in forma secolarizzata e attraverso complesse mediazioni 55 •
Scrive lucidamente K.R. Grcffrath: -« la teologia non è il cen-
tro segreto del criticato "materialismo storico", bensi è l'elemento
con cui Benjamin si propone di porre in movimento questo stesso
per liberarfo dai suoi fatali irretimenti deterministici » 56 e (ag-
giungiamo) renderlo cosf capace di -« affrontare » teoreticamente
Io Historismus.
La domanda che legittimamente si impone a questo punto
è perché Benjamin in questa «operazione» faccia ricorso proprio
alla teologia.

D. Memoria, redenzione e «politica». Giustamente Tiede-


mann nota 57 che non ci si rpuò contentare di una semplice decifra-
zione del linguaggio metaforico benjaminiano, dell'uso che Benja-
min fa di termini e categorie ,propri della teologia giudaica e ne
cerca perciò una risposta in queLle che chiama « geschichtliche
Begriindungen » (marxismo dogmatico, politica staliniana, ecc.);
ma cosf ci pare che il significato teorico del discorso benjaminiano
sul concetto di storia risulti abbastanza ridotto, stabilendosi tra
teologia e materialismo storico una equazione lineare i cui termini
di differenziazione sono semplicemente « storici » 58 •
Come le categorie teologiche nelrUrsprung costituivano lo
spazio di distanza critica dal materiale analizzato, cosf da impedire
la completa Versenleung (sprofondamento) in esso, nelle Thesen la
te:>logia è la forma teorica che rende possibile solltrarsi alle cristal-
lizzazioni in cui il .« materialismo storico » si è storicamente irri-
gidito, prender distanza dalla apparente definitività dei suoi risul-
tati e mettere, anzi, in movimento quella rigidità, sostanziandola di
nuovi elementi teorici, che non la facciano soccombere alle tendm-
ze storiche proprie della « herrschende Klasse ».
65 Or. per questo quanto scrive R. Ticdemann, in MA, p. 9.5; e K.R. Gref-
frath, ivi, p. 207.
56 Ivi, p. 208.
S1 lvi, p. 9.5.
58 Questo forse anche perché Tiedemann intende certe parti delle Thesen
come una ,it,aduvone nel linguaggio della teologia di ciò che Marx aveva seco-
larizzato e che per Benjamin « doch 'gut so' war • (ivi, p. 95'): se le tesi si
limitassero a questo l'operazione bcnjaminiana sarebbe tautologica e tutta risolta
in un accorgimento tattico dovuto al1a particolare situazione storica. Per una
critica piu articolata a questa posizione di Tiedcm~nn ci permettiamo di riman-
dare a] nostro, Critica dell'app11,enia storica nell'ultimo Ben;amin, in Metapho-
rein, n. 1, a. I, 1977. '

324
.:S a questi nuovi « olementi teorici », allora, che dobbiamo
fare attenzione. E quale sia, dunque, lo « specifico » apporito della
« kleine und hassliche Theologie » è lo stesso Benjamin ad indicar-
celo: « Nel ricordo [Eingedenken] noi facciamo un'esperienza,
che ci vieta di cwnprendere ,per principio in modo ateologico Ja
storia, tanto poco però ci è lecito cercare di scriverla in concetti
teologici » 59 •
Se nelle Thesen Benjamin muove dall'esigenza« di un nuovo
modo di appropriazione del passato» 60, è la teologia che deve
fornirgli gli strumenti adatti a soddisfare tale pretesa, portando
nella« -Pattie», che si gioca una nuova comprensione della tempo-
ralità storica. ~ necessario, a tal fine, che « tra storiografia e
politica» si imponga la stessa connessione che in campo teologico
intercorre « tra la memoria [Eingedenken] e la redenzione » 61 •
Come nell'esperienza individuale l'immagine della relicità non
è astrattamente riposta in un (ignoto) futuro, in cui niente è
contenuto del « soggetto »., ma si alimenta di tutto ciò che alla
propria esperienza, nel passato, è stato negato, di tutto ciò che
è tallito o rimasto.inconcluso, tanto che l'idea di felicità è« durch
und durch von der Zeit tingiert » 62 ed in essa è indissolubilmente
contenuta quella di « Erlosung »; cosf - scrive Benjamin - av-
viene per« la rappresentazione del passa,to, che è il compito della
storia » 63 •
Ciò che è «passato», non per questo è irrimediabilmente
« abgeschlossen » (concluso), la struttura dell'accadere storico non
è aperta solo in direzione del futuro (come sembrerebbe ovvio),
ma pure - per il « presente » che lo conosce (e per chi nel pre-
sente « agisce ») - in direzione del passato: « il passato reca con
sé un indice segreto, che fo rimanda alfa redenzione»". Benjamin
risponde qui alle obiezioni che Horkheimer aveva mosso aJ Fuchs

59 GS, I, 3, p. 123.5.
611K.R. Greffrath, in MA, p. 194.
61 GS, I, 3, p. 1248.
62 GS, I, 2, p. 693. Ma si legga per questo tutta la bellissima tesi II, piu
ampia nelle GS di quella contenuta nella traduzione di Solmi.
63 AN, p. 73.
64 GS, I, 2, p. 693 (qui il testo è leggermente diverso da quello uadotto
da Solmi). « C'è - continua Bcnjamin - un'intesa segreta fra le generazioni
passate e la nostra. Noi siamo stati attesi suJla terra. A noi, come ad ogni gene-
razione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica su
cui il passato ha un diritto. Questa esigenza noo si lascia soddisfare facilmente.
Il materialista storico lo sa.» (AN, p. 73.)

325
ed in particolare alla definizione benjaminiana dell' « opera del pas-
sato » come « aperta » 65 •
« Gli sconfitti sono effettivamente sconfitti », questa era la
critica « radicale» che Horkheimer opponeva alla tesi benjami-
niana 66 • La risposta di Benjamin consisteva nella considerazione
che « la storia non solo è una scienza ma non meno una forma
della memoria [Eingedenken]. Ciò che la scienza ha ,,fissato,,,
la memoria lo può modificare. La memoria può fare di ciò che
è inconduso {la felicità) qualcosa di concluso e di ciò che è concluso
(la sofferenza) quakosa di inconcluso » 67 •
Questo non significa, per Benjamin, accantonare qualsiasi
« Wissenschaft der Geschichte », ma volgersi contro quella che
ha «fissato» il passato nella « memoria» della classe dominan-
te 68 , iper far risuonare nel presente reco del «rimosso», l'in-
significante che si voleva in essa definiti!vamente sepolto 69 •
Torna qui, in ben diverso contesto, l'opposizione proustiana
tra mémoire volontaire e involontaire ( analizzata da Benja-
min in Ober einige Motive bei Baudelaire): « Historie in senso
stretto è quindi un'immagine [Bild] che ha origine dalla memoria
involontaria, un'immagine, che nell'attimo del pericolo 6i presenta

~ Per un'acuta analisi di decisivi passi del Fuchs sull'argomento, cfr. quanto
scrive K.R. Greffrath, in MA, pp, 209-213.
66 Lettera (inedita) a Bcnjamin del 16 marzo '37, citata in R. Ticdcmann,
in MA, p. 87. t da notare che già in un saggio del 1933 (apparso sulla Z/S),
Materialismo e metafisica, Horkheimer aveva chiaramente espresso questa posi-
zione: « Con tutto l'ottimismo che esso può manifestare quanto alla trasforma-
zione dei rapporti - scrive Horkheimer - nonostante la sua valutazione positiva
della felicità che si ricava dal _lavoro teso alla trasformazione e dalla solidarietà,
il materialismo è ... segnato da un tratto pessimistico. All'ingiustizia passata non
si può porre rimedio. Non c'è compensazione per le sofferenze patite dalle gene-
razioni trascorse. Ma mentre nelle correnti idealistiche il pessimismo oggi suole
riferirsi al presente e al futuro terreno ... la mestizia insita nel materialismo con-
ce me gli avvenimenti passati» (M. Horkheimer, Materialismo e metafisica, in
Teoria critica, cit., p. 47).
61 Passagenwerk, Konvolut N, BI. 8 (unv. Ms.), citato in R. Tiedemann, in
MA, p. 88.
68 Cfr. per questo quanto scrive H. Schweppcnhiuser in Prtllsentia prtllteri-
torum. Zu Benjamins Geschichtsbegri/1, in MA, p. 7.
"' Si può dire, a nostro parere, che un aspetto delle Thesen, è costituito
da un approccio di tipo psicanalitico (da Benjamin, del resto, già accennato in
'Ober einige Motive bei Baudelaire, nel riferimento al freudiano Jenseits des uut-
prinzips) al problema-storia, tanto che pure per il benjaminiano « materialista
storico ~ si tratta di « svelare le intime relazioni fra il materiale del disconosci-
mento presente e quello della rimozione avvenuta in passato » (S. Freud, Costru-
zioni nell'analisi, trad. di R. Colomi, Torino, 1977, p. 86; q~to articolo di
Freud, è del 1937).

326
improvvisamente al soggetto della storia » 70 • Il pericolo che mi-
naccia, al presente, la classe oppressa, reca con sé un'immagine
del passato, che rischia di svanire col presente, che non si riconosca
in e~a 71 : il pericolo è che la storia, come continuità di oppres-
sione, si affermi di nuovo e travolga, assimilandoli al suo corso,
facendone strumento delle classi dominanti, tanto il « Bestand »
(patrimonio) della tradizione, quanto i suoi attuali destinatari.
Questo Bild - come scrwe Schweppenhauser - è allora
la « unkonstruierbare conditio einer Konstruktion » 72 • L'Einge-
denken non sta dunque in « romantica » opposizione ad ogni
« scienza della storia», ma diviene l'impulso determinante - per
la tensione in cui ciò che in esso è significato {l'immagine del
passato) sta con il «presente» dello storico - « una scienza
della storia che non abbia piu come oggetto un groviglio di puri
dati di fatto, bensi quel gruppo definito di fili che rappresenta
la trama di un passato nell'ordito del presente [c.n.] » 73 •
Secondo queste ultime parole tratte dal saggio su ·Fuchs (che,
è bene Qirlo, esprimono un tratto fondamentale della riflessione
benjaminiana sulla storia, non sempre immediatamente avvertibile
nelle Thesen) si rende visibile nettamente la distanza di Benjamin
da quella che De Giovanni definisce la riduzione diltheyana del
passato a « ricordo » 74 •.,JJ « passato » non è semplicemente con-
tenuto della coscienza, ma, come « momento » determinante, è
contenuto nel « presente », come « gruppo definito di fili » è in-
trecciato in esso. Non è in questione qui solo lo spesso.re materiale
e la « forza » che la tradizione (intesa nella sua accezione « plu-
rale ») ese11Ciita nel « presente >>, ma anche la dimensione complessa
e « strutturale » di quest'ultimo. Il passato non sta nei suoi con-
fronti in una relazione Jineare di tipo causale (« sarebbe errato
- scrive 1Benjamin - voler identificare questa trama col mero
nesso di causa ed effetto ») 75 , ma è avvolto, come parte di
esso (del presente) nella -sua struttura stratificata, e « stratificata »
in modo tale che l'ordine di disposizione degli stessi « strati »
10 GS, I, 3, p. 1243.
71 Si veda per questo la tesi V, in GS, I, 2, p. 625; dr. anche la versione
francese che Bcnjamin dà di questa tesi, in GS, I, 3, p. 1261.
72 H. Schweppenhiiuser, in MA, p. 9; sul rapporto tra il tempo incostruibile
dell'immagine della memoria involontaria e il tempo costruito del maJerialismo sl<r
rico si vedano le importanti pagine di M. Zenck, in Kunst als begrillslose E,ltenntnis,
Miinchen, J.977, in part. pp. 163-188.
73 OA, p. 93.
74 B. De Giovanni, op. cii., pp. 172-173 e nota.
~ OA, p. 93.

327
non è quello semplicemente «cronologico». Ed è a partire da
questa esigenza benjaminiana di definire il concetto di « presen-
te», che si può comprendere cosa intenda per « storiografia mate-
rialistica», e cioè la sua intenzione di superare la dicotomia (di
sapore weberiano) tra « rappresentazione storica» e « apprezza-
mento ». « L'oggetto storico - scrive nel Fuchs - sObtratto alla
pura fatticità non richiede alcun apf>t'ezzamento. Esso non propone
infatti vaghe ,analogie con l'attualità, bensi si costituisce nel preciso
compito dialettico che l'attualità è chiamato ad assolvere
[c.n.] » 76.
Ma intorno a tali quostioni cercheremo di dire qualcosa piu
avanti.

E. « Salvazione del passato» e Historismus. t comunque


nel rapporto tra Eingedenken - vale a dire tra l'immagine del
passato che« balena» nel momento del pericolo - e questa defini-
zione benjaminiana di « scienza della storia » che si accende il
motivo della -« Rettung der Vergangenheit ».
Tale motivo è Pespressione di una doppia correlazione che
si instaura tra « presente » e « pa,ssato », che come tale contiene
pure tutta la tensione, presente nelle Thesen, tra il compito dello
« historische Materiallst » e quello proprio dell'azione rpolitica del-
la classe oppressa 77 •
L'Erlosung del ,passato si attua, da una parte, nel « compie-
re» al presente ciò che in un ,passato era fallito, dall'altra (e
questo è il compito del male,rialista storico), nello strappare il
passato alla tradizione in cui le tendenze ideologiche della classe
dominante lo hanno imprigionato, in una storiografia quindi da
intendersi solo come i<< Partei ergreifende Interpretation von Ge-
schichte » 78 •
Questo implica, per lo·« storico dialettico», « passare a con-
trappelio la storia» 79 , muovere da un'« inquietudine » che guar-
da con diffidenza a ciò che viene chiamato« patrimonio culturale»
76Ivi, p. 93.
77 «Tensione ,. tutta espressa, come ha visto la Greffrath (in MA, p. 210),
nello stretto nesso intercorrente tra la seconda e la dodicesima tesi, dove Bcnjamin
parla della classe operaia come ultima classe schiava « che porta a termine l'opera
di liberazione in nome di generazioni di vinti ,., che apprende « Hass und Opfcr-
wille,. (odio e volontà di sacrificio guardando all'immagine « degli avi asserviti, e
non all'ideale dei liberi nipoti» (AN, p. 79).
78 K.R. Greffrath, in MA, p. 221.
19 AN, p. 76.

328
del passato: questo rivela infatti ai suoi occhi « un,origine a cui
non può pensare senza orrore. Esso deve la propria esistenza non
solo alla fatica dei grandi geni che lo hanno creato, ma anche
alla schiavitu senza nome dei loro contemporanei » 80 •
La Kulturgeschichte, come manifestazione del Geist, nascon-
de la « materia » storica di cui è sostanziata, il sangue dei Namen-
lose da cui ha tratto alimento. Ed è proprio alla memoria dei
« senzanome >> 81 , che deve essere dedicata la « historische Kon-
struktion »: Ja prima necessità consiste perciò nel frantumare lo
stesso concetto di Kulturgeschichte 82 per integrarla nella storia
delle lotte di classe.
La tensione che, in questa concezione della storia, da ciò
che è trascorso giunge al tempo attuale dello storico e produce
cosi: quella « costellazione critica in cui proprio questo frammento
del passato si incontra proprio con questo presente » 83 , è « cari-
ca» di una percezione e di una appercezione della temporalità,
tale da lacerare la solida continuità del processo, alla quale, in
atteggiamento placidamente narratiivo si abbandona lo H isto-
rismus. Proprio dello Historismus nella sua complementarietà tra
una passiva « Einfiihlung in ciò che è stato » e una « proiezione
di ciò che è stato nel presente» 8\ è l'assoluto appiattimento
di ogni dialettica storica. Qualsiasi categoria teorica di compren-
sione del processo storico è accantonata. L'immagine di Universal-
geschichte che scaturisce da questo presupposto, non è che fa
totalità del processo nella sua rozza empiricità: di fronte ad esso
si può solo registrare l'accaduto o « riviverlo ». Gli avvenimenti
« scorrono» sul flusso temporale, non ne sono intessuti, gli sono
indifferenti, e come tali da un lato, incasellati e chiusi definitiva-
mente in e9So, e, dall'altro, sconsideratamente attualizzabili, come
« morte cose », nell'Erlebnis dell'Historist. La riduzione della st<r
ria ad una « Sammlung von Antiquitaten » (collezione di antichità)
111 Ivi, pp. 75-76. « Non è mai - continua Bcnjamin - documento di cultura
senza essere, nello stesso tempo, documento di barbarie. E come, in sé, non è
immune dalla barbarie, non lo è nemmeno il processo della tradizione per cui è
passato dall'uno all'altro. ,. (lvi)
81 GS, I, 3, p. 1241. « 11 difficile - scrive ancora Bcnjamin - è questo:
onorare la memoria dei senza-nome, come quella di coloro che sono famosi.» (Ivi)
82 « Il continuum della storia, fatto saltare dalla dialettica, in nessuna delle
sue parti subisce una dispersione pitl ampia che in quella, che si chiama cul-
tura ... Ciò che le manca [ alla Kulturgeschichte] ~ il momento distruttivo, il
quale garantisce l'autenticità del pensiero dialettico come l'autenticità dell'cspe-
rie.D.1.1 del dialettico.» (OA, pp. 91~92.)
83 Ivi, p. 82.
84 GS, I, J, p. 1230.

329
non è che la condizione per farne « Gegenstand des Genusses » 85
(oggetto di godimento). « Sostanza », nella considerazione della
storia proprio dello Historismus, è solo « lo scorrere privo di con-
tenuto, puramente oggettivo» 86 ; il tempo è cos{ svuota·to di ogni
interna determinazione e « i fatti in sé immutabili sono i suoi acci-
denti che la ricerca storica deve solo ordinare giustamente nel
continuum del tempo » 17 • L'Historist non ha che da « lasciarsi
scorrere tra le dita la successione dei fatti come un rosario » 11,
enumerarli e narrarli. Ma proprio come la caratteristica della re-
citazione del rosario è la ripetizione di formule che può procedere
all'infinito, cosf la continuità dello Historismus - continuità da cui
è stata espunta ogni discretezza, essendo il tempo che la sottende
tanto completamente astorico, quanto infondatamente « natura-
le »89 - cela in sé « l'eterno ritorno dell'eguale » 90 • La sua logica
del resto non è altro che la hege1iana logica della quantità 91 •
V'è perciò nelle posizioni dello Historismus, in fondo, un
atteggiamento di difesa, la rassegnazione di gruppi intellettuali,
che, coscienti di non poter ricondurre ad unità « sistematiche»,
a sintesi concettuali le molte« forme» (estetiche, politiche, econo-
miche, ecc.) che esprimono il « presente », del processo storico
tematizzano solo la categoria della « successione», facendo del
passato da un lato Ja « preparazione » e la·« giustificazione» della
storia attuale e dall'altro lo spazio in cui ricercare - per porli
al sicuro negli~ scrigni» delle proprie opere - i documenti « spi-
rituali » della propria « ,genealogia » intellettuale. Tutto ciò al prez-
zo di « devitalizzare » nella storia passata tutte quelle -« nervatu-
re» problematiche che pulsano fin dentro il presente e che (se
considerate) porterebbero scompiglio nell'atteggiamento edificante
e giustificatorio in cui si mantiene lo storicismo. E mentre il rove-
scio di questa « rimozione di ogni eco di "lamento" dalla sto-
ria» 92 è la rinuncia a svolgere una funzione produttiva nel pro-
cesso storico, la sua contropartita è l'assimilazione di esso, attra-
verso la riduzione dei suoi ritmi a quelli della propria Bildung.
M K.R. Greffrath, in MA, p. 195.
M G. Mensching, in MA, p. 173.
87 Ivi.
AN, p. 82.
118
89 Sul tempo vuoto dello Historismus come Natuneit dr. H. Schweppen·
hiuser, in MA, pp. 13-14.
90 Cfr. per questo quanto acutamente scrive G. Mensching, in MA, pp. 177-178.
91 Cfr. G.W.F. Hegel, Scienza della Logica, I, cit., soprattutto le pp. 197·202
e 213-215.
92 GS, I, 3, p. 1231.

330
F. Einfuhlung. Se l'unico spazio metodologico in cui lo Histo-
rist si muove liberamente è quello della Ein/iihlung, l'origine di
questa - scrive Benjamin - « è la pigrizia del cuore, l'acedia,
che dispera di impadronirsi dell'immagine storica autenti.ca, bale-
nante per un attimo» 93 • Mentre « ,postula un'immagine "eterna"
del passato » 94 , lo storicismo non fa altro che acquietarsi alle
condizioni del presente, richiedendo, a sua volta, un loro continuo
ed identico riprodursi.
Se l'eliminazione del momento epico-narrativo dalla rappre-
sentazione della storia (e con questo l'idea di Universalgesrhichte)
si compie nel conseguimento di una« Struktur àer Geschichte » 95 ,
nello opporre quindi ad ogni considerazione semplicemente empi-
rica una « Konstruktion » determinata teoricamente 96 , Benjamin
non si nasconde (come abbiamo già accennato) la difficoltà di
abbattere il terzo e piu saldo bastione dello Historismus: l'Ein-
fiihlung.
I mezzi necessari a questo fine non sono solo quelli della
« costruzione teorica», è necessaria contemporaneamente la co-
scienza cli un « punto di svolta » pratico nel processo storico.
Alla domanda in chi propriamente si immedesima lo Histo-
rist, - « la risposta suona inevitabilmente nel vincitore. Ma i pa-
droni di ogni volta sono gli eredi di tutti quelli che hanno vinto.
L'immedesimazione nel vincitore torna quindi ogni volta di vantag-
gio ai padroni del momento» w.
« Il materialista storico - osserva Benjamin - rispetta que-
sto stato di fatto. Egli si rende pure conto che questo stato di
fatto è ben fondato. » 98
L'Einfuhlung è dunque il trait d'union tra lo Historist e
la classe egemone, il segno della sua partecipazione al « corteo
trionfale in cui i dominatori di oggi passano sopra a quelli che
93 AN, p. 7,5.
94 lvi, p. 81.
SIii GS, I, 3, p. 1231.
96 E qui Bcnjamin si rifà acutamente allo stesso Marx: « La liquidazione
dell'elemento epico - scrive - è da accettare senza obiezioni, come Marx, come
autore, ha fatto nel Capitale. Egli ha riconosciuto come la storia del capitale si
possa p,odu"e solo nella estesa struttura d'acciaio di una teoria. Nel disegno teorico
del lavoro sotto il dominio del capitale, che Marx depone nella sua opera, gli
interessi dell'umanità sono custoditi [aufgehoben] meglio che nelle monumentali
e particolareggiate, nel fondo comode, opere dello Historismus » (GS, I, 3,
p. 1241).
,,, AN, p. 75.
98 GS, I, J, p. 1241.

331
oggi giacciono a terra » '', trascinando come preda, in questo
trionfo, i cosiddetti Kulturgiiter: combattere la Ein/uhlung è possi-
bile solo, quindi, mos,trando la « crisi » di questo dominio, l'incri-
narsi di una determinata egemonia. Mettere in discussione la capa-
cità egemonica di una, classe sul presente significa far vacillare
il suo i« dominio» sul passato, la solida continuità della sua tradi-
zione: « un tempo - scrive Benjamin - che non è piu in grado
di trasfigurare in modo originario le proprie posizioni di dominio,
non ba piu alcun rapporto con la trasfigurazione che tornava a
vantaggio delle sue posizioni di dominio passate» 100 •
Iil profilarsi di un historische Ge/ahr ( pericolo storico) è ciò
che può far vedere oltre l'« apparenza storica {historische Schein) »,
che accieca la coscienza dello Historist 101 e render visibili neli'ap-
parenza socialmente necessaria del continuum · storico-temporale
quelle contraddizioni «determinate» che possono farlo saltare.
« Ogni gruppo sociale - scrive Gramsci - ha una "tradizi~
ne"', oo "passato" e pone questo come il solo e totale passato.
Quel gruppo che comprendendo e ,giustificando tutti questi "passa-
ti", saprà identificare la linea di sviluppo reale, perciò contraddit-
toria, ma nella contraddizione passibile di superamento, commet-
terà meno "errori", identificherà piu elementi "positivi" su cui
far leva per creare ,nuova storia. » 102
La citazione gramsciana mostra chiaramente il nuovo rappor-
to con 11 « passato », che implica il delinearsi di una nuova ege-
monia. E questo sostanzialmente, pur nella sua originale intona-
zione (priva cioè della flessione organicistico-dialettica presente
nel testo gramsciano), intende Benjamin nella tesi IV, quando,
aftermando che la lotta di classe ha come conseguenza di porre
in discussione « ogni vittoria che sia toccata nel tempo ai domina·
tori » 103 , scrive: -« Come i fiori volgon~ il capo verso il sole,
cosf, in forza di un eliotropismo segreto, tutto ciò che è stato
tende a volgersi verso il sole che sta salendo nel cielo della sto-
ria» uM.
99 AN, p. 75.
100 GS, I, 3, p. 1234.
101 Cfr. H. Schweppcnhiuser, in MA, p. 8. -
102 A. Gramsci, Qu(ldtrni dal carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, 197,,
II, p. 1154.
103 AN, p. 73.
HM lvi, pp. 73-74. Sulla relazione di questa immagine bcnjaminiana con certi
tratti del pensiero blochiano si veda {come suggerisce R. Bodci ncll'lr,trodu%ione
all'antologia di scritti di E. Bloch, K. Marx, trad. di L. Tosti, Bologna, 1972. p. 9,
e in quella a Sogget10-0ggello, trad. di R. Bodci, Bologna, 1975, pp. XI-XHl):

332
~ nel riferimento alla classe operaia, come 5oggetto capace
di una rottura «radicale» della continuità. storica e quindi di
imporre ad essa una diversa periodizzazione 105 (si pensi qui al-
l'esempio piu chiaro: la rivoluzione russa), che si dà la possibi-
lità di una coscienza e conoscenza storica, diver5a da quella dello
storicismo.
Ma prima di analizzare ulteriormente come questo sia possi-
bile e cosa comporti teoricamente (in modo da non rimanere una
semplice istanza etica) veniamo a quella che, secondo noi, costi-
tuisce il centro geometrico delle Thesen: la nona 106 •

G. Angelus Novus. « C'è un quadro di Klee che s'intitola


Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allon-
tanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalanca-ti,
la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere
questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una
catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza
tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe
ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una
tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed
è cosf torte che egli non può piu chiuderle. Questa tempesta lo
spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre
il cumulo delle rovine sale davanti a lui nel cielo. Ciò che chia-
_miamo il progresso, è questa tempesta. » 107
La tesi IX introduce attraverso un'allegoria la critica all'idea
di progresso •oa, che conclude, in un certo senso, la parte piu
propriamente critico-distruttiva delle Thesen.
Università, Marxismo, Filosofia (in K. Marx, cit., p. 171), è la parte conclusiva
di Soggetto-Oggetto, in part. le pp. 5)5-~,. - Su tempo e storia in E. Bloch, è
da vedere ora la recente e importante ricerca dello stesso Bodei, Multiversum,
N•poli 1919.
1m Non per niente Benjamin la chiama « il soggetto della conoscenza storica»;
cfr. AN, p. 79.
106 Crediamo di poter parlare abbastanza tranquillamente in questi termini,
considerando la tesi XVII come conclusione effettiva delle Thesen: mentre infatti
quelle che sono indicate come «A• e « B ~ erano state tolte dall'ultima stesura
delle Thesen (dr. per questo quanto scritto dai curatori delle GS, ivi, pp. 1253-
1254) la tesi XVIII può benissimo essere considerata un'appendice delle tesi
XIV e XV, non contenendo rispetto ad esse niente di nuovo.
107 AN, pp. 76-n.
108 Forse proprio a questa tesi si riferisce Benjamin in un appunto pubblicato
nell'apparato critico delle GS (I, 3, p. 1238), dove inizia l'cnumeraiione di una
serie di concetti da criticare nelle Tbesen, scrivendo: « Kritik des Fortschritts - zur
Allegorie ,..

333
Oie l'immagine dell'angelo abbia nel contesto delle tesi una
funzione straniante ci sembra indubbio. « La distruzione come
il clima di un'umanità autentica» 109, scrive ancora Benjamin
in un frammento preparatorio alle Thesen. Ed è proprio nell'imma-
gine dell'« angelo nuovo di Klee » (« che preferirebbe liberare
gli uomini prendendo loro quello che hanno [piuttosto] che ren-
derli felici donando ») 110, che si può - come scrive Benjamin
nel saggio su Kraus - « comprendere un'umanità che si afferma
nella distruzione » 111 •
Lo sguardo dell'angelo, nella IX tesi, vede oltre la compren-
sione abituale del decorso storico: ciò che appare come « catena
di eventi » si rivela ai suoi « aufgerissenen Augen » come catastro-
fe. Ma se riconoscere la catastrofe tempestivamente è la condizione
per porvi un arresto, l'angelo non sembra, in questo, avere alcun
potere: una tempesta, impigliatasi nelle sue ali, lo spinge nel futu-
ro, cui volta la schiena, mentre dinanzi a lui la massa delle rovine
« storiche» continua a crescere.
Senza addentrarci nel groYiglio di « congetture e confutazio-
ni » che si sono accumulate su questa tesi benjaminiana 112 , cre-
diamo che, a questo punto, qualche chiarimento ci possa esser
dato da alcune interessanti considerazioni di G. Scholem. Lo stu-
dioso della mistica ebraica nota infatti m come nella immagine
descritta da Benjamin siano presenti essenzialmente due concetti
(che, per esser da -tempo noti al ·nostro autore, non possono essere
stati inseriti casualmente): quello barocco della storia come « inar-
restabile decadimento», e quello cabalistico del Tikkun, cioè della
messianica « Wiiederherstellung und Ausbesserung » ( restaurazio-
ne e riparazione) di tutte le cose nella loro originaria integrità
(motivo mdicato chiaramente nella tesi con l'espressione: « sve-
gliare i morti e ricomporre l'infranto»). Quest'ultimo però - os-
serva Scholem - secondo la Kabbalah lurianica può essere compito
solo del Messia, mai di un angelo. Ciò spiega la melancholia della
figura dell'« Engel der Geschiohte » nell'immagine benjaminiana,

10, GS, I, 3, cit., p. 1243.


no AR, p. 132«
lll l'Vi.
Jll Si veda, tra l'altro, G. Kaiser, in MA, pp. 53-'6; H. Schweppcnhiuser,
Pbysiognomie eines Pbysiognomikers, in Zur Alttualitàt W. Benjamins, cit., p. 152;
R. Tiedemann, in MA, pp. 81-86; K.R.. Gteffrath, in MA, .p. 204; P. von H.sel-
berg, Benjtltllins Engel, in MA, pp. 337-3.56.
JU Io G. Scholem, W. Benjamin und sein Engel, in Zur Alttualiliit W . .Be-
nj11mi11s, cit., pp. 132-135.

334
tutta data clall'impotenza a « redimere» ciò che gli si presenta co-
me rovina e da cui invece non può far altro che allontanarsi.
Senza seguire ulteriormente Scholem, possiamo ben intendere
nella figura ddl'angelo lo « histoi,ische Materialist » 114, come
del resto non crediamo sia difficile sostenere che, nelle Thesen,
la figura del Messia significhi I'Arbeiterklasse 115 • La IX tesi ci pre-
senta cos{ lo smarrimento di un « angelo » -per la differenza-distan-
za dal suo« Messia», che, pur volendo, non è in grado nemmeno
di annunciare, tanto che « la sua bocca è aperta» ma non pronun-
cia alcuna pardla.
Se la Rettung del passato non è· solo frutto di un'« operazione
teorico-intellettuale» ,(quella del materialista storico), ma anche
e non in ultima istanza di un'azione storico-politica (quella della
classe oppressa), l'immagine allegorica della tesi IX testimonia
la tensione e, in un certo senso, pure la « storica lacerazione»
tra questi due momenti della Rettung.
La tempesta chiamata «progresso» - questo risulta chiaro
dalla tesi in questione - non è ciò cui ci si deve affidare, bensf
ciò che bi6ogna arrestare 116; il fa,tto è che le forze capaci di
tale «arresto» sembrano ignare della sua urgenza, vedendo nel
decorso storico solo un « avanzare verso il meglio » e non il profi-
larsi della « catastrofe ».

H. Socialdemocrazia e « 1viluppo tecnico». Si impone a que-


sto punto, per Benjamin, la critica della socialdemocrazia (con
i rimandi al presente cui abbiamo in precedenza accennato), della
sua Geschichtsauflassung, omogenea nel fondo a quella dello stori-
114 Cfr. in proposito R. Ticdcmann, in MA, pp. 85-86, il quale, tra l'altro,
confuta giustamente molte osservazioni di G. Kaiser in riguardo.
115 Di cui si parla direttamente solo nella tesi VI e nella « B •; proprio della
VI Tiedemann osserva che « in nessun luogo nelle tesi di filosofia della storia
Benjamin parla in modo piu immediatamente teologico che qui, in nessun luogo
egli intende cib piu materialisticamente • (in MA, p. 93 ). Questa supposizione - se-
gnatamente a proposito della figura dell'Anticristo - ~ confermata da Benjamin
nella recenaione apparsa nel 19}8 su Die neue Weltbuhne, al romanzo Die Rettung
di A. Seghers, cfr. GS Hl, pp. 534-),.
116 « Marx dice che le rivoluzioni sono le locomotive della storia mondiale.
Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono
l'afferrarsi del genere umano, che viagia su questo treno, al freno di sicurezza.•
(GS, I, ;, p. 12l2.) Queste considerazioni si coonettono strettamente con la tesi IX
e lo « spostamento d'accento • di Benjamin rispetto alla frase marxiana è compren-
sibile considerando la costellazione storica in cui scriveva le Thesen; non bisogna
dimenticare infatti che nella tesi VIII e X il discorso verte sulla lotta al fascismo
e sulla disfatta dei politici, in cui avevano sperato gli avversari del fascismo.

33.5
cismo. Solo attraverso una tale critica, nella definitiva liberazione
da uno « schema della progressione in un tempo omogeneo e vuo-
to » 117, si possono dispiegare tutte le « energie distruttive del
materialismo -storico, che cosi a lungo sono state parMW!ate » 111 •
« Ll conformismo ... è sempre stato di casa nelila socialdemo-
crazia ... è una delle cause del suo sfacelo successivo. Nulla ha corrot-
to la classe operaia tedesca come l'opinione di nuotare con la cor-
rente. Lo sviluppo tecnico era il ~ilo della corrente con cui credeva
di nuotare » 119 •
Alla base di tutto ciò pesaiva il « fallimento dc;Ha ricezione
deHa tecnica nel secolo XIX »1211 • Si riconoscevano nello sviluppo
della tecnica « i progre5si della scienza naturale, ma non i regressi
della società», non ci si rendeva conto « che a condizionare que-
sto sviluppo concorre[ va], in modo decisivo, il capitalismo »,
misconoscendo cosi « il lato distruttivo di questo sviluppo, per-
ché .. ormai 'lontanissimi dall'aspetto distruttivo della dialetti.ca » 121 •
Seppur di sfuggita - nel saggio su Fuchs - Benjamin coglie
come l'origine teorica di questo « atteggiamento» della socialde-
mocrazia sia la mancata tematizzazione del « concetto di storia »;
il presentarsi deLla « scienza naturale» come « scienza tout-
court » 122 , che -traeva impulso dalla « separazione... antidialetti-
ca » tra le « scienze della natura e quelle dello spirito » 123 • Era
questa «separazione» - prodotto di una scissione e frantuma-
zione .piu generale presente nella società (sia a livello delle singole
scienze, sia nel rapporto tra lo « sviluppo » di queste e la loro
« direzione» ,politica) 124 - ad oscurare Io spessore storico della
« tecnica » e la politica che racchiudeva la direzione impressa al
suo sviluppo. Dal non cogliere questo essenziale « lato » della
« tecnica», dal vedere in essa solo l'effetto di un progresso della
scienza feticisticamente considerata, al concludere in una « falsa
identificazione del progresso delle forze produttive con il progresso
dei rapporti di produzione » 125 , il passo era breve.
111GS, 1, 3, p. 1240.
ua lvi.
AN, p. 77.
119
uo OA, p. 89. La tecnica, per Beojamin, « non è evidentemente un fatto pura-
mente scientifico. Essa è anche un che di storico (c.n.] • (ivi, p. 88).
121 OA, p. 89.
122 Ivi, p. 88.
123 lvi, p. 89.
124 Cfr. in proposito R. Racinaro, Introduzione a M. Adler, op. cii., pp.
XXIV-XXV.
111.'1 K.R. Grcffrath, in MA, p. 197; per la critica henjaminiana alla social-
democrazia cfr. anche G. Mcnsching, in MA, pp. 179-182 .

.336
Di qui l'intreccio tra determinismo ed ottimismo sulla vitto-
ria finale del proletariato, tra darwinismo e neokantismo ne1Ja
concezione della storia 126, fino alla complementarietà teorica tra
« neokantismo ed empirismo» da una parte e tra « neokantismo
ed eticismo » dall 'ahra 127 •
Nella socialdemocrazia la marxiana « società senza classi »
era elevata ad «ideale» e l'« ideale», nota Benjamin, nella dottri-
na neokantiana è definito come « compito infinito » 121 • Il pro-
cesso storico, svuotato di ogni « contraddizione determinata », si
trasformava cosf « in un'anticamera, in cui si poteva aspettare
con maggiore o minore calma [Gelassenheit] il sopraggiungere
della situazione rivoluzionaria » 129 • Mentre « non c'è un attimo
[ Augenblick], che non porti con sé la sua chance rivoluzionaria » uo
e questo non in un senso generico, tale da slittare neMa forma di
un impotente « volontarismo» etico. La « chance rivoluzionaria»
che Benjamin intende, ,infaui, « vuole esser definita come specifi-
ca, cioè come chance di una soluzione del tutto nuova in vista di
un compito del tutto nuovo », cosi che « per il pensatore rivoluzio-
nario la peculiare chance rivoluzionaria di ogni attimo storico è
confermata dalla situazione poliricà » 131 •

I. Il tempo «complesso» della contraddizione. Josef Dietz-


gen, scrivendo che: « sul Mechanismus del progresso, poggia la
fiducia della socialdemocrazia. Noi ci sappiamo indipendenti dalla

126 41 La concezione deterministica si accompagna cosi a un incrollabile


ottimismo. Alla lunga nessuna classe potrà operare politicamente con successo
senza la fiducia. Ma la differenza sta in questo: si tratta cli vedere se l'ottimismo
concerne )a capacità d'azione della classe oppure invece le circostanze in cui la
classe è chiamata ad operare. La socialdemocrazia era incline a questo secondo
e alquanto discutibile ottimismo.» (OA, p. 100.) Quanto questa notaziooe cli
Benjamin sia profondamente vicina al gramsciano « pessimismo della ragione •
unito all'« ottimismo della volontà,. non ci sembra inutile sottolinearlo: cfr. per
questo le chiarissime pagine di Gramsci in Quaderni dal carcere, cit., II,
pp. 1387-1389.
IZ7 Cfr. R. Racinaro, Introduiione a M. Adler, op. cit., p. XXXI.U.
12.1 GS, I, 3, p. 1231. 41 E questa dottrina - continua Bcnjamin - fu la
scuola filosofica del panito socialdemocratico: da Schmidt a Stadler fino a Natorp
e Vorliinder ». Per i rapporti tra neokantismo e socialdemocrazia si veda l'anto-
logia Marxirmus und Ethik. a cura di H.J. Sandkiihler e R. de Vega, Frankfurt/M.,
1'974; sul significato generale del neokantismo cfr. pure quanto scrive R. Racinaro,
lntroduiione a M. Adler, op. cit., p. LXXXIV.
129 GS, I, 3, p. 1231.
uo Ivi.
131 Ivi.

337
buona :volontà. Il nostro principio è un principio meccanico, la
nostra filosofia materialistica » 132 - aveva perfettamente riassunto
ciò contro cui si scagliava la critica benjaminiana.
In una assimilazione del corso storico a processi fisico-naturali
(o puramente «meccanici», come nel caso di Dietzgen), che deri-
vava, da una rigida applicazione della seconda analogia kantiana
dell'esperienza, « iJ principio della serie ,temporale secondo la legge
della causalità» (« applicazione » che, tra l'altro, non considerava
per niente le implicazioni teoretiche contenute nell'intreccio delle
tre analogie), si espungeva, insieme alla complessità della nozione
di processo storico, ogni contraddittorietà dal processo stesso. E,
di conseguenza, pure il «dimensionamento» specifico e tempo-
rale della contraddizione « storicamente » fondamentale tra forze
produttive e rapporti di produzione, vale a dire la relazione tra
le « crisi » politico-economiche dello sviluppo capitalistico e gli
« inediti » sbocchi di queste stesse, i differenti livelli di trasfor-
mazione storico-complessiva, che in queste si potevano produrre.
D'ahro canto Ja considerazione del «momento» etico-final.i-
stico nella storia non è (come abbiamo già accennato) che il pen-
dant di tale assimilazione. Permanendo una visione del processo
storico come del tutto lineare e continua, per questa « considera-
zione » non si può dare in esso che progresso « interminabile »,
« essenzialmente incessante» e « di tutta l'umanità» 133 • Impensa-
bile, in una siffatta concezione, la possibilità che da questo « pro-
gresso » vengano suscitate immani forze distruttive. E il « mo-
mento» in cui Benjamin scrive le Thesen è contrassegnato proprio
dal delinearsi concreto di una tale possibilità. Per questo la sua
« critica del progresso » è affatto determinata 134 •

1l2 J. Dietzgen, Sozialdemokratische Philosophie, in Stimtliche Schriften, Bd. 1,


BerJin, 1930, p. 165; citato in G. Mensching, in MA, p. 181.
133 AN, p. 79.
134 E non una « absolute ... Negation des Fortschritts », come vuole R. Tie-
dcmann (in MA, p. 108), il quale interpretando lo « stato d'eccezione» reclamato
da Benjamin, come « das Andere zur Geschichte », evita il nesso fecondo conti-
nuità/discontinuità, che percorre tutte le Thesen. Del resto in un frammento
inedito del Passagenwerle (citato da G. Mensching, op. cit., p. 192), Benjamin
riconosce chiaramente la funzione critico-positiva svolta storicamente dal concetto
di progresso nel periodo « eroico » della borghesia. Per una valutazione critica
del concetto di progresso si veda quanto scrive Gramsci, in Quaderni del carcere,
cit., II, pp. 1335-1338 (dove, tra l'altro, afferma: « la crisi dell'idea di progresso
non è ... crisi dell'idea stessa, ma crisi dei portatori di essa idea, che sono diven-
tati "natura,, da dominare essi stessi » (ivi, p. 1336); e il saggio di E. Bloch,
Dilferenziazioni nel concetto di progresso, in Dialettica e speranza, a cura di
G. Scorza, Firenze, 1967, pp. 3-38> assai vicino, per molti versi, al discorso
benjaminiano.

338
Della fede socialdemocratica nel progresso - rinunciataria nei
confronti di qualsiasi «intervento» nella storia che ne rappresenti,
in qualche modo, una rottura e, in questo, del tutto vicina (se
si eccettua un certo teleologismo) alle posizioni « storicistiche » -
Benjamin vuol colpire il «nucleo» fondamentale: « La concezione
di un progresso del genere umano nella storia è inseparabile da
quella del processo della storia stessa come percorrente un tempo
omogeneo e vuoto. La cri-tica dell'idea di questo processo deve
costituire la base della critica dell'idea del progresso come tale
[ iiberhaupt] » 135 •
Solo opponendo alla comprensione del processo storico, come
meramente regolato dai ritmi del tempo cronologico (dalla Natur-
zeit) 136 , una comprensione di esso come internamente determi-
nato da ]et1.t1.eit, costituito quindi da un « tempo» su cui gli
accadimenti non « scivolano» indifferenti, ma si fondono intima-
mente con esso, fino a costiruire in questa fusione il loro spessore
specificamente «storico», si può cogliere l'essenziale discretezza
« storica » che sottende la continuità cronologica 137 , il ritmo
specilfico di ogni « sezione» sincronica del processo, dato dalla
peculiare configurazione e connessione delle 6ue parti.
Mentre « la ·relazione dell'Einst [pnima] all'Jetzt [adesso]
è puramente temporale (continua), quella del passato al presente
è di genere dialettico, discontinua » 131 : di conseguenza, ciò che
viene chiamato « dwenire storico» si con.figura in modo intima-
mente «discreto» non solo quanto alla sua «struttura», ma -
proprio per i salti e Je rotture che caratterizzano il discontinuum
del processo - anche quanto alla forma che ogni presente intrat-
tiene con parti del passato.
ll>er questo - come Benjarnin scrive nella tesi XIV - « la
storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omo-
geneo e vuoto, ma quello pieno di ,,tempo-ora,, [Jetztzeit] ,. "'.
1J11 AN, p. 80.
136 « Il tempo cronologico - scrive Bloch - è un progredire simmetrica-
mente suddiviso in spazi eguali, e perciò esso trapassa con violenza "inesorabile"
e cioè uniforme ... Ma un progredire che si può esprimere in tal modo è asso-
lutamente indifferente di fronte ai propri contenuti, che in esso avvengono o
anche non avvengono. » (,E. Bloch, Dil/erenvaioni nel concetto di progresso, cit.,
p. 21.) Per wi rifiuto radicale della concezione blochiana del « tempo storico»,
dr. G. Lukb, Conversazioni (con H.H. Holz, L. Koflcr, W. Abendroth), trad.
di C. Pianciola, Bari, 1973 (2), pp. 182-183.
IJ7 « Il concetto di tempo storico - scrive Benjamin - si contrappone al-
l'idea [Vorstcllung] di un continuum temporale.• (GS, I, }, p. 11245.)
138 lvi, p. 1243.
U9 AN, p. 80.

339
La ]etztzeit benjaminiana, in questo senso, è critica alla tra-
sformazione storicista della definizione hegetiana di « temporalità
naturale» in -« temporalità 6torica », come pure del (neo)kan-tiano
formalismo del tempo, inteso come « trascendentale» sia dei « fe-
nomeni» naturali che desli accadi.menti storici: la determinatezza
(oggettiva e soggettiva) non -gli è esterna ed indifferente, essendo
essa costituita dal reciproco implicarsi di processo storico oggettivo
da una parte e sua conoscenza-trasformazione dall'altra. Pur se
anch'esso temporalmente determinato, il ·fondersi di questi due
momenti non è per niente « necessario », ma in permanenza è
esposto a sfasature e sconnessioni, delle quali Historismus e social-
democrazia sono due espressioni signiiica-tive. Ciò sottrae la dialet-
tica storica alla determinazione teleologica presente ancora in He-
gel 140, e. restituisce lo « svolgersi » dialettico del ,processo storico
alle sue determinazioni materiali. C.OSf l'esito del processo stesso
- la possibilità che in esso si diano mutamenti qualitativi -
è costantemente « aperto » 141 •
Nutrirsi dell'idea di « nuotare con la corrente », per questo,
significa credere che basti lo stesso« fluire» degli eventi a scioglie-
re la durezza di granito delle « contraddizioni » che definiscono il
presente: ma niente è piu ingannevole e fuorviante di questa im-
magine del« fiume» per comprendere H movimento storico. Svuo-
tato di ogni ·specificità, che non sia quella quantitativa, il «ritmo»
degli avvenimenti non diviene che il veicolo che trasporta con sé
e «mantiene» sostanzialmente ,intatte le forme di dominio, le
« forze egemoniche » che tengono in « rigida fissità» i nuclei fon-
damentali· di queste contraddizioni, oscurandone la natura con
l'apparente movimento dei loro contorni. Non v'è, petciò, « passa-
HO La questione della teleologia in Hegel non ~. comunque, cosf semplice
e lineare come una certa tradizione interpretativa farebbe pensare. Per la presenza
in Hcgcl di « residui di tclcolOjismo:. anche nell'opera dove piu si allont:ana da
questa prospettiva, e cioè la Logica, dr. B. De Giovanni, op. cit., pp. 95-96
(nota ,1,18) e p. 7l; per il « senso profondo del processo teleologico in Hegel •
- vale a dire: come espressione di un movimento teleologico reale, che a sua
volta esprime una forma determinata di dominio - oltre al libro di De Giovanni,
dr. anche le osservazioni di R. Bodei, in Hegel e Webe,, eit., pp. ~75. Sull'argo,
mento si veda anche l'importante saggio di N. Badaloni, in Per il comunismo,
Torino, 1972, pp. 13-.53.
141 Osserva ·acutamente a questo proposito H. Schweppenhiiuser (in .MA,
p. 21): « il processo come tale non ~ "vero", voglio dire, la discontinuità os-
servat:a in esso attraverso la sua mediazione con la continuità viene privata del
suo peso - di ciò che non permette la trasfigurazione della storia. In questo punto
Benjamin sta con Marx, e anche con Kicrkegaard, contro Hcgel - come contro
uno, che contravviene alla propria visione ».

340
to » che possa dirsi « una volta per tutte al riparo nei granai del
presente» 142 , perché in alcun modo, per le classi dominate, questa
immagine può esprimere la realtà del presente, finché in esso è il
passato a dominare 143 , finché è il « tempo vuoto » (astratto) del
capitale a succhiare « '1a quantità maggiore possibile di lavoro
vivo» 144 •

L. Rivoluzioni: disrontinuum della storia. La verifica e la


a,pplicazione del concetto di Jetztzeit Benjamin la trova nella co-
scienza che le classi « storicamente» rivoluzionarie hanno, nel mo-
mento della loro azione, di far saltare il continuum della
storia 145 , nella stretta connessione che c'è tra la loro coscienza
della « discontinuità storica » e il concetto che queste hanno
« (non solo della storiia ·futura, ma anche) della storia tra-
scorsa » 146 •
Insieme alla configurazione politico-sociale del « presente»,
si cambia l'immagine del passato, si distrugge la « tradizione»
cui si « appoggiava » la classe fin'allora dominiante e se ne fonda
una nuova. L'esempio piu chiaro di ciò era dato, per Benjamin,
dalla rivoluzione francese e dal diretto rapporto che essa instaurò
con la Roma repubblicana: « per Robespierre, - infatti - la
Roma antica era un passato carico di tempo-ora [Jetztzeit], che
egli facev,a schizzare dalla continuità della storia » 147 •
Se qui ·Benjamin riprende le considerazioni che Marx svolge
all'inizio di Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, « sembra » poi
non tener conto della differenza c-he Marx instaura tra rivoluzione
borghese e rivoluzione proletaria 141 • Quest'ultima - per Marx
- « non ,può trarre la propria poesia dal passato: ma solo dal-
l'avvenire. Non può cominciare ad essere se stessa prima di aver
liquidato ogni fede superstiziosa nel ,passato. Le ,precedenti rivolu-
1•2 OA, p. 90.
l-43 Cfr. K. Marx-F. Engels, Manifesto del Partito comunista, in Man:-Engels,
Opere complete, VI, a cura di F. Codino, Roma, 1973, p . .500.
144 K. Marx, Il capitale. Capitolo VI inedito, trad. di B. Maffi, Torino, 197.5,
p. 102. In proposito cfr. B. De Giovanni, Per un'analisi politica del « tempo di
lavoro» in Marx, in Critica marxista, n. 2-3, 1975 (ora questo saggio è in B. De
Giovanni, La teoria politica delle cl,zssi nel «Capitale», Bari, 1976)
u..~ AN, p. 80.
146 GS, I, 3, p. 1236.
147 AN, p. 80.
148 Cfr. per questo problema: K.R. Grcffrath, in MA, pp. 217-218; e H.
Pfotcnhauer, in MA, pp. 267-268.

341
zioni storiche avevano bisogno di reminiscenze storie~ per farsi
delle illusioni sul proprio contenuto. Per prendere coscienza del
proprio contenuto, la rivoluzione del secolo decimonono deve la-
sciare che i morti seppelliscano i morti. Prima la frase sopraffaceva
il contenuto, ora il contenuto trionfa sulla frase» 149 •
Se nelle T hesen tale differenza non pare esplicimta, i mano-
scritti preparatori ad esse chiariscono come invece fosse ben pre-
sente a ·Benjamin: « per il proletariato - scrive - la coscienza
del nuovo compito non trovava riferimento in alcuna corrisponden-
za storica. Nessuna memoria [Erinnerung] vi ebbe luogo» JSD.
Ma è proprio questo « Gefiihl des Neubeginns » (sentimento di un
nuovo inizio) 151 , in quanto coscienza di una di-scontinuità storica
piu « netta » di ogni altra, a coscituire un « balzo dialettico nel
passato » 151, ad instaurare con esso una nuova relazione, a fondare,
quindi, una nuova tradizione: quella degli « oppressi » 153 •
Quel che semmai dllferenzia il discorso di Benjamin da quello
di Marx, su questo punto, è il concetto di Rettung de, V ergan-
genheit, che, se nell'azione del proletariato consiste - piuttosto
che nella « evocazione del passato» (criticata da Msrx) - nel
suo adempimento, neHa « soddisfazione di esigenze, che il pas-
sato pone al presente come incompiute » 154 , acquista la sua pre-
gnanza e la sua cosciente espressione nel lavoro teorico deLlo hi-
storische Materialist:

M. L'inversione pa~sato-1Wesente. Se ciò che comporta il con-


cetto di Rettung per il makrialista storico rabbiamo già visto
in precedenza, cerchiamo ora di esaminare brevemente come si
articoli teoricamente quella che Benjamin definisce « materialisti-
sche Geschichtsschreihung ».
149 K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, cit., p . .50.
150 GS, I, 3, p. 1236.
151 lvi, p. 1242.
152 « La moda - scrive Benjamin nella tesi XIV - ha il senso dell'attuale,
dovunque essa viva nella selva del passato. Essa è il balzo di tigre nel passato.
Ma questo balzo ha luogo in un'arena dove comanda la classe dominante. Lo stesso
balzo, sotto il ciclo libero della storia, è quello dialettico, come Marx ha inteso
la rivoluzione.• (AN, p. 80.)
153 « Tre momenti - è scritto in uno dei &ammenti preparatori alle The-
sen - sono da inserire nei fondamenti della visione materialistica della storia:
la discontinuità del tempo storico; la forza distruttiva della classe operaia; la
tradizione degli oppressi. • (GS, I, 3, p. 1246.)
154 K.R. Grcffrath, in MA, p. 219.

342
L'originalità della proposta benjaminiana in tema di « prassi
storiografica » non la si può comprendere se non a .partire dalla
sua particolare lettura della « struttura » della temporalità sto-
rica. Secondo questa il «movimento» storico è determinato da
« scatti» diseguali ed asimmetrici, tali che il presente non solo
non è mai semplice risultante di ciò che lo ·precede, ma - mentre
può contenere la .possibilità che il «ritmo» del processo sia acce-
lerato 155 - ha pure Ja capacità cli « sviluppare » immagini del
passato rimaste oscure ,per il « tempo » in cui sorsero 156 •
Per questo Benjamin parla - in un frammento del Passa-
genwerk - della necessità di una « svolta copernicana» nel rap-
porto passato-presente 157 • E ·qui si comprende come il concetto
di Gegenwart sia definito da quello di Jetztzeit 158 e, quindi,
come quest'ultimo implichi - secondo la fdice espressione di
H.H. Holz - « una specie di tempo concentrico, che si dispone
prospetticamente intorno al presente » 159 •
Ma perché un determinato « momento storico» possa aprire
« una stanza del passato del tutto determinata e fin'-allora rimasta
chiusa » 160 , è necessario che l'inversione nel rapporto passato-
presente, che Benjamin propone, sia sottratta ad una caratterizzia-
zione meramente « temporale», che, di nuovo, non « salverebbe»
da una considerazione grezzamente empirica del processo storico.
Condizione è quindi - anche se, va detto, questo non è del tutto
esplicitato in Benjamin - che lo stesso concetto di presente si,a
tolto a parametri 5'/oricistici .( o cosoienziali) di qualsiasi tipo e
sia, anzi, tematizzato proprio come concetto 161 ; che dunque l'in-
versione del suo rapporto con il passato sia definita come inversio-
ne epistemologica flispetto allo Historismus. Espressione questa
155 Cfr. ad esempio la tesi XV (AN, pp. 80-81), dove Benjamin, in relazione
al continuum della storia fatto saltare dalle classi rivoluzionarie, parla del « calen-
dario » come « acceleratore storico ».
156 Si veda per questo l'importantissimo brano dal titolo Das dialektische
Bild, in GS, I, 3, p. 1238.
157 « Svolta » per 1a quale, scrive Benjarnin, il rapporto passato-presente deve
venir rovesciato e « ciò che è stato trasformarsi nel rovesciamento dialettico, nel-
l'irrompere della coscienza ridesta• (Pamzgen, Konvolut K, Bl. 1, B-Atthiv,
Ms. 2381, citato in R. Tiedemann, Studien, cit., p. 153 ).
I.SI Benjarnin infatti parla del materialista storico, come di colui che fonda
« einen Begriff der Gegenwart als der "Jetztzcit", in wclchcr Splittcr dcr mes-
sianischen eingesprcngt sind ». (GS, I, 2, p. 704).
159 H.H. Holz, Prismatisches Denken, in AA.VV., Ober W. Benjamin, cit.
p. 103.
160 GS, I, 3, p. 1231.
161 Per questo rimandiamo a B. De Giovanni, Hegel e il tempo storico della
societJ borghese, cit., pp. 129-145.

343
ultima di un « movimento storico» ohe attende aill'inversione
pratica di quel « dominio del passato sul presente», che denota
la società capitalistica. In conclusione, la fondatezza epistemologica
dell'inversione benjaminiana, come di tutta la sua riflessione sul
concetto di tempo storico, può esser data solo da una conoscenza
del processo, che non muova esclusivamente dall'interno di esso,
dall'interno del suo «passare», ma - in primo luogo - da un
« presente » ( e qui il termine Jetztzeit, come « tempo presente »,
« epoca attuale », potrebbe caricarsi di un significato fmora rima-
sto in ombra) inteso come « taglio sincronico» nel decorso storico,
«pieno» certo di tutte le determinazioni del passato, ma insieme
« luogo » di una realtà da apprendere in tutta la sua specificità 162 •
A questo Benjamin, almeno in ,parte, sembra essersi avvici-
nato nella ,tesi XVI: « auf den Begriff einer Gegenwart, - scrive
- die nicht Obergang ist sondern in der die Zeit einstebt und
zum Stillstand gekommen ist, kann der historische M-aterialist
nicht verzichten. Denn dieser Begriff definiert eben die Gegen-
wart, in der er fiir seine Person Geschichte schreibt » 163 •
Che Senjamin in-tendesse con queste ,parole un qualche riferi-
mento a certe implicazioni metodologiche contenute nella teoria
marxiana ·{il luogo « classico» delle quali è senz'altro l'Introdu1.io-
·162 Per una espressione pi(1 chiara di ciò che 'negli scritti benjaminiani trapela
solo come esigenza, non dispiegata concettualmente, ci sembra utile ricordare che
L. Althusser (certo in un assai diverso contesto tematico) - attraverso una aitica
della « continuità omogenea del tempo• in Hcgel, la cui concezione del tempo
storico è definita « ideologica » - pone il problema di « costruire il concetto
marxista di tempo storico a partire dalla concezione marxista della totalità so-
ciale » (L. Althusser, Leggere il Capitale, trad. di R. Rinaldi e V. Oskian, Milano,
1971, p. 104). Giungendo alla conclusione che, se il tempo storico è definibile
« come la forma specifica d'esistenza della totalità sociale considerata, esistenza i
cui differenti livelli strutturali di temporalità interferiscono in funzione dei rai>-
porti propri di corrispondenza, non corrispondenza, articolazione, scarto e torsione
che legano tra loro, in funzione della struttura d'insieme del tutto, i differenti
"livelli" del tutto» (ivi, p. 116), questo è possibile solo sottraendo il concetto
di « sincronia » a quello di « semplice presenza temporale concreta •. Ravvisando
bensf essa come « l'eternità nel senso spinoziano, ovvero conoscenza adeguata di
un oggetto complesso per mezzo della conoscenza adeguata della sua complessità »,
come ciò che « concerne la conoscenza dell'articolazione complessa che fa della
totalità una totalità» (ivi, p. 115), Semmai quel che Althusser qui non sottolinea
~ la temporalità storica determinala, che anche la « conoscenza adeguata» di tale
« oggetto complesso• implica. Per una critica, poi, all'interpretazione althusseriaoa
del tempo storico hegeliano, dr. B. De Giovanni, Hegel e il tempo storico della
societ4 borghese, cit., pp. 48-,2.
161 GS, I, 2, p. 702. « Al concetto di un presente che non ~ passaggio, ma
in bilico nel tempo ed immobile, il materialista storico non può rinunciare. Poiché
questo concetto definisce appunto il presente in cui egli per suo conto scrive
storia.» (AN, p. 81.)

344
ne del '57) non ci è dato saperlo. Espressamente Benjamin, nei
manoscritti finora pubblicati, si riferisce alla « stahleme, weitge-
spannte Geriist einer Theorie » in cui Marx « darstellt » la storia
del capitale 164, solo in relazione al concetto di «costruzione»,
che liquida la continuità epico-narrativa dello Historismus. Che
Benjamin non presenti, .poi, queste ultime considerazioni nella ste-
sura delle Thesen, può esser forse sintomo di qualche incertezzc1
in proposito; questo non esclude tuttavia che formalmente vi sia,
almeno ,per alcuni tratti, una certa relazione -tra il discorso benjar
miniano e quello marxiano 165 •

N. Costruzione. Quel che Benjamin a,fferma nella -tesi XVI,


comunque, è il presupposto che ,permette di opporre (nella tesi
XVH) al procedimento puramente additivo dello Historismus
(privo di « armatura teoretica»), che accumula una massa di fatti
per « riempire il tempo omogeneo e vuoto » 166, il « konstrukti-
ve Prinzip » che sta alla' base della storiografia materialistica.
Se il concetto di costruzione si può derivare, -in Benjamin,
dal « principio di montaggio» delle avanguatdie, non lo si può
affatto ilimitare ad esso, in quanto vi è senz'altro presente la tra-
dizione speculativa deill'idealismo tedesco, come del resto nel con-
cetto marxiano di Darstellung 167 • Scrive G. Mensching: « Una co-
struzione concettuale o~e dietro la superficie dei fenomeni sen-

164 Cfr. in proposito la nota 96 di questo capitolo.


165 In questo siamo d'accordo con quanto scrive R. Ticdemann (in MA,
p. 92 e 117. nota 44 ). secondo il quale una esemplificazione della « metodologia »
benjaminiana nella marxiana crilica dell'economia politica, se non è in alcun
modo una caratterizzazione sufficiente per ~est'ultima, non per questo è « impos·
sibile » (Su questo problema cfr. anche G. Mensc:hing, in MA, p. l7j). Una
delle lacune, se cosf si potesse dire, del discorso metodologico benjaminiano
comunque è, a nostro parere, la mancata tematizzazione del concetto e del pro-
cesso di astrazione, nella accezione marxiana del termine, come modo cioè in cui
il pensiero risale e si appropria del concreto. Lacuna sulla quale ha pesato sen-
i'altro la radicale critica cui Benjamin, fin dagli scritti giovanili, ma in modo
piu pregnante nella Vo"ede all'Ursprung, aveva sottoposto il procedimento della
« cattiva astrazione ». Sul problema della differenza tra « buona » e « cattiva »
astrazione in Marx, dr. quanto osserva L. Althusser, in Leggere il capitllle, cit.,
pp. 94-96.
166 AN, p. 81.
167 Or. quanto afferma A. Schrnidt in La « Rivista per la ricerca sociale» e
il r1'olo di Horkheimer, in A. Schmidt-G.E. Rusconi, 1A scuola di Francoforte,
cit., p. 86. Sul concetto di costruzione in rapporto a Hegel, dr. R. Ticdemann,
Studien, cit., pp. 68-70; anche se l'accostamento ci pare un po' semplificante e
sbrigativo. Sull'origine schcJlinghiana del concetto bcnjaminiano di costruzione ha
invece accennato Adorno proprio n~lla Vorrede al citato libro di Ticdemann (p. 8).

345
sibili ne coglie l'essenza, si basa certo sull'esperienza e quindi an-
che sull'intuizione, ma in queste non la si può ritradurre. Essa per-
ciò non può neanche essere sostituita dal principio surrealistico del
montaggio. Un montaggio di sparsi frammenti di qualcosa che si
deve conoscere, si può solo comprendere, se alla sua base sta un
principio costruttivo e quindi, in ultima istanza, concettuale » 161 •
E però la presenza del principio di montaggio di disgregati
frammenti del principio costruttivo che torce materialisticamente
il verso esterno e ,interno della « costruzione » concettuale benja-
miniana. E la teologia insieme alla prassi «surrealista» è uno degli
agenti (forse il piu segreto, ma decisivo) di questa torsione. La
« costn12Jione » benjaminiana ha dunque lacerato dentro di sé ·ogni
volontà di Au/hebung ohe non mantenga la differenza dei suoi
elementi. La mediazione concettuale è cosf invertita dn momento
del « processo costruttivo », non in Wieder-herstellung della sua
totalità. La costruzione non è ri-costruzione, non deve restaurare
un'immagine infranta dagli effetti devastanti del tempo.
161 G. Mensching, in MA, p. 177. La critica piu radicale al concetto benja-
miniano di costruzione è senz'altro venuta da parte di P. Bulthaup, il quale (in
MA, pp. 134-14.5), dopo aver rigid~nte ristretto il concetto di costruzione alla
tcenica surrealistica del « montagio », può facilmente mostrare come sia impos-
sibile, dalJe « Erschcinungsformen » del modo capitalistico di produzione, risalire
al suo « Wcsen ». Il problema· non ci pare che in Bcnjamin si ponga cos{ brutal-
mente. Che « Wescn » ed « Etschcinung » della società capitalistica non coinci-
dano è certo, come è certo che bisogna risalire alla contraddizione fondamentale
(quella dello scambio tra capitale e forza-lavoro, con il CODSegllente proccsso di
valorizzazione che al capitale ne deriva) per cogliere « das Wcsen der kapita-
listischen Produktionsweise »: tutto questo in Bcnjamin se non scont.ato è per-
lomeno presupposto (anche se cib non significa certo un'assimilazione, da parte
di Benjamin, di tutta la marxiana critica dell'economia polilica nella sua comples-
sità). Si tratta allora di vedere se lo sviluppo capitalistico non produca necessari•·
mente le forme storiche di questa contraddizione, non la dimensioni in tempi
storici determinati, che ne costituirebbero la complessità. In tal senso una ricerca
del W esen disincarnata dal suo apparire specifico sarebbe assai problematica.
Si potrebbe forse parlare in proposito, con Althusser, del « carattere surdeter-
minato » delle contraddizioni storiche particolari.
C.Crto il discorso di Bulthaup, assai complesso nelle articolazioni e denso di
sfumature, meriterebbe una ben piu approfondita e puntuale discussione. Perin-
tanto possiamo dire che non ci convince il fatto che questi, dalla distinzione
marxiana tra una « sussunzione formale » del lavoro salariato al capitale ed una
«reale», derivi che in quest'ultima condizione l'obiettivo interesse di classe del
proletariato è astratto di fronte agli interessi immediati dei lavoratori. (E qui è
tutto da definire cosa si intenda per interesse di classe.) Mentre, in una situa-
zione in cui gli oggetti dell'Erfahrung individuale vengono distrutti e la soggetti-
vità dell'intellettuale minacciata, ci sarebbe - per i « ProdU2CDten in der isthc-
tischen Sph.are » - una coincidenza di interessi immediati cd obiettivi, tale da
determinare in essi l'esigenza di una e Stillstcllung der Automatik des Port-
schritta ». (Solo CCJ5( sarebbe restituita loro, secondo Bulthaup, una &Oggettività
autocosciente, che come tale è condizione della loro «produzione>.)

346
Il « prino~pio costruttivo» nella teoria della storia, come pro-
dotto dell'inversione passato-presente, è (come abbiamo visto) cor-
relato di un processo di inversione materi•e. La «costruzione»
storica dello Historiker è metafora non eliminabile, non mediabile,
ma essenziale ed autonoma di una costruzione inedita (po1itica)
della storia, a partire dai frammenti che formano il presente. E
solo da essi: di qui la radicale contingenza di ogni costruzione.
Nella teoria, questo significa che il « principio costruttivo» non
« ritrova » l'essenza perduta dietro l'apparenza. Se nel!lo svuotà-
mento allegorico non ci si può fermare - bisogna andare oltre,
costruire - non è certo possibile tornare dietro di esso. L'allegori-
co, come abbiamo visto è la critica a priori di ogni dialettica teleo-
logica, che abbia il proprio senso nella mediazione. (Questo può
dire molto, a posteriori, anche sul concetto marxiano di Darstellung,
Ma non è questo il luogo per parlarne).
Il carattere materialistico della costruzione storica benjami-
niana - che, per questo, sa la propria provvisorietà, il suo essere
sperimentale, la sua differenza «teologica» da ogni pretesa alla tota-
lità - consiste proprio nel carattere aperto della contraddizione.
E questo è dato dalla complessità del tempo di quest'ultima.
I,l tempo storico nel suo carattere di costellazione mobile
tra momenti, nel suo definire un ,presente non puntuale e non
fluido, che a sua volta definisce Io stesso soggetto storico e/ o
epistemologico, è dentro il concetto benjaminiano, come l'assioma
« materiale » che ne impedisce la chiusura, la circolarità del suo
movimento. Per ·Benjamin è il tempo storico la potenza di ogni
concetto. Ma il tempo storico non ha niente di « naturale», è
un'idea - un apriori materiale - che si forma nel presente attra-
verso Ja costellazione dei suoi estremi {inversione ·passat~presente,
rapporto conoscenza-trasformazione, ecc.). Compito del soggetto
storico, come di quello epistemologico, è inscriversi in questa co-
stellazione ed insieme conoscerla-mutarla; produrne la trasforma-
zione. Costruirne i .frammenti che racchiude.
! H paradigma « tempo » infine che allontana ogni tenta-
zione « idealistica » e/o organicistica dal principio costruttivo be-
njaminiano e costituisce il suo tessuto materialistico.
Al benjaminiano concetto di costruzione è inerente allora, co-
me abbiamo già accennato, non semplicemente l'articolazione con-
cettuale del « materiale » raccolto (o, se vogliamo, dei « fatti ,. re-
gistrati neHa loro empiricità) ma pure, come internamente mediata,
la « tessitura» temporale dell'« oggetto» ·(un'epoca, un autore, o

347
una singola opera) preso in esame. Ed i fili che s'mtrecciano in que-
sta « tessitura » non sono ~o quelli propri del « tempo » interno
all'oggetto della ricerca ma, con funzione determinante, anche quel-
li che percorrono l'Erfahrung dello historische Materialist. « Far
agite -Pesperienza della storia, - scrive Benjamin nel Fuchs - che
per ogni presente è un'esperienza originaria: è questo il. compito
del materialismo storico. » 169
,L'Erfahrung del presente (da non confondersi certo con un
semplice Erlebnis) viene cos{ a svolgere una essenziale funzione
all'interno detla teoria benjaminiana della storia 170 • Tale Er/ahrung
è infatti uno dei poli, insieme ad un determinato «momento>
del passato, della « costellazione storica » entro cui l'oggetto della
ricerca si costituisce come « monade ».

O. Monade.« Zum Denken gehort nicht nur die Bewegung


der Gedanken sondern ebenso ihre Stillstellung. Wo das Denken in
einer von Spannungen gesattigten Konstellation plotzlich einhalt,
da erteilt es derselben einen Chock, duroh den es sich als Monade
kristallisiert. Der historische Materialist geht an einen geschichtli-
chen Gegenstand einzig und allein da heran, wo er ihm als ,Monade
entgegentritt. » m
11 costituirsi monadico di una determinata epoca, autore od
opera è critica radicale aUa continuità indifferenziat-a, cui si affida
lo Historismus. La cristallizzazione di un determinato « momento
storico» in monade è ciò che impedisce la « mistica» Einfuhlung
nell'accadere stor,ico (ridotto a Geistesgeschichte) ed allontana
l'impulso alla reificazione nella considerazione storiografica, vale
a dire fa riduzione di una determinata epoca, di un determinato
autore, di una determinata opera aJ « tempo» del proprio Erlebnis.
La monade è dunque la contrazione e concrezione sincro-
nica all'interno del corso storico-temporale, che rende necessaria
la costruzione dell'aspetto « diacronico» dell'« oggetto» ,preso in
169OA, p. 83.
170 Certo sell7..a che quest'ultima si pieghi, come vuole Habcrmas, ad essere
semplice momento di una teoria dell'Er/ahrung, (cfr. J. Habermas, Bewusslma-
chende oder rellende Kritik, in Zur Alel"alitiil W. Benjamins, cit., p. 207).
11 processo semmai è inverso, nel senso che, per Bcnjamin, l'Er/ahrung si cosli-
luisce all'interno della costruzione «storico-teorica».
171 GS, I, 2, pp. 702-703. « A] pensiero non appartiene solo il movimento
delle idee, ma anche il loro arresto. Quando il pensiero si arresta di colpo in una
costellazione carica di tensioni, le impartisce un urto per cui esso si cristallizza
in una monade. Il materialista storico affronta un og~ctto storico unicamente e
solo dove esso gli si presenta come monade.• (AN, pp. 81-32.)

348
esame dallo historische Materialist, e cioè la sua « Vor-und Nach-
geschichte ».
Ci sembra impor.tante rilevare, a questo punto, come la « co-
stituzione 11> della monade è indicata da Benjamin attraverso un
duplice movimento: da un lato, è ,prodotta dal pensiero, dal suo
arrestarsi, dallo « chock » che questo impartisce ad una « costella-
zione carica di tensioni»; dall'altro, il pensiero accede ad un ogget-
to storico, solo allorché questo gli si presenta come già strutru-
rato monadicamente. La contraddizione qui è - come ha ben visto
la Gref.frath - soltanto apparente: « questa è una contraddwione,
finché si patte dalla necessità di 1legare il momento che costituisce
la monade ad uno dei due fati: o a quello del soggetto che scrive
la storia, o a quello dell'oggetto storico. Invece in Benjamin deve
essere ipotizzata una doppia determinazione: la storia presenta
corrispondenze e coste11azioni obiettive, che ,però nel potenziale
critico in esse contenuto, vengono dispiegate solo attraverso la co-
struzione storico-materialistica » 172 •
La monade si presenta allora come fa struttura in cui si fon-
dono il materiale organizzato dal pensiero ed il « movimento »
organizzante del ,pensiero stesso, come la categoria che unifica quin-
di il processo conoscitivo e l'articolazione (anche processuale) in-
terna al suo« oggetto», determinando - per la temporalità stori-
ca che in essa (nella monade) agisce come tessuto connettivo -
l'origine storiCll della stessa costruzione, senza, per questo, farla
ricadere in un nuovo, storicistico, relativismo 173 •
A questo punto gli elementi ,piu squisitamente epistemolo-
gici del discorso benjaminiano si saldano con quelli che, prima,
abbiamo detto politici e la sua « Geschichtstheorie » mostra di

in K.R. Greffrath, in MA, p. 229. Riguardo al problema della monade


dr. anche H. Engelbardt, De, historische Gegemtand als Monade, in MA,
pp. 292-315, il quale insiste soprattutto su una pretesa mancanza in Benjamin,
del criterio secondo cui deve venir « costruito i. il materiale storico; criterio che,
per l'autore in questione, non sembra possa consistere in altro che nel « Ver-
stehen • diltheyano e quindi, in ulùma istanza, nell'Erlebnis, che fonda l'omoge-
neità tra conoscente e conosciuto.
173 Semmai si può parlare in proposito - come ha fatto la Greffrath, in
MA, p. 226 - della piu radicale « storicizzazione, di ciò che viene chiamata la
verità della storia i.. L'immagine del passato che minaccia di scomparire, se non
è colta nello « historische Augenblick •, significa a questo punto la non indiffe-
renza delle « operazioni teoriche » al « tempo • della loro messa in atto. Certo
bisogna tener presente che questo tempo è affatto particolare e non ci si deve
mai stancare dal distinguerlo da ciò che con tale termine ci si rappresenta
comunemente.

349
implicare al suo interno una « T heorie der Erfahrung mit der
Geschichte ».
È nella struttura monadica che assume l'oggetto storico, in-
fatti, che lo historische Materialist riconosce « il segno di un·
arresto messianico dell'accadere o, detto altrimenti, di una chance
rivoluzionaria nella lotta per il passato oppresso. Egli la coglie
per far saltare un'epoca determinata dal corso omogeneo della
storia; come per far saltare una determinata vita dall'epoca, una
determinata opera dall'opera complessiva. Il risultato del suo pr<>
cedere è che nell'opera è conservata ·e soppressa [aufbewahrt ist
und aufgehoben] l'opera complessiva, nell'opera complessiva l'epo-
ca e nell'epoca l'intero decorso della storia. Il frutto nutriente
dello storicamente compreso ha dentro di sé il tempo, come il
seme prezioso ma ,privo di sapore » m.

III
A. Tempo vuoto e lavoro astratto. 1Molte delle figure concet-
tuali che danno vita alla «dialettica» delle Thesen (come apparirà
chiaro dal complesso delle pagine precedenti) non fanno certo
la loro comparsa in quest'ultimo scritto henjaminiano. Se alcune,
come quella di Ein/iihlung, sono oggetto della sua critica sin dal
saggio Goethes W ahlverwandtschaften e, in modo ancor piu deci-
so, dalla Vorrede al Trauerspielbuch, altre, come quella di Rettung,
affondano le proprie radici negli scritti piu marcatamente « teolo-
gici » del giovane Benjamin, o, come quella di Costellazione e
di Monade, svolgono una funzione di rilievo nella struttura del
« discorso» critico-metodologico premesso all'Ursprung. Altre an-
cora, sono, almeno nella loro esplicita tematizzazione, di acquisi-
zione piu recente per la produzione benjaminiana; scaturendo, co-
me il concetto di costruzione, all'interno della riflessione metodo-
logica inerente alla Passagenarbeit o, come la critica all'idea di
progresso (nella sua complementarietà a quella dell'eterno ritor-
no), dallo stesso « materiale » trattato nel complesso di quella
ricerca, oppure, come la critica alla Geschichtsaulfassung della So-
cialdemocrazia, essendo già state ampiamente sviluppate nel saggio
su Fuchs.
Quel che però possiamo dire costituisca il « novum » del:le
Thesen è certamente la connessione che si instaura tra questi « ele-
174 AN' p. 82.

350
mentii » del pensiero benjaminiano. Questa connessione forma la
«costruzione» (non certo «finita» in tutte le 5ue parti) del
discorso benjaminiano « iiber den Begriff der Geschichte », e pro-
duce la ri-definizione e/o chiarificazione dei termini cui sopra ab-
biamo fatto riferimento. Quest'ultima è compiuta, da un lato, fa-
cendo ruotare tutta 1a pars destruens delle Thesen attorno al perno
della critica al concetto di tempo vuoto ed omogeneo e quindi
esclusivamente -lineare e continuo, d2ll'altro, articolando quella co-
struens in direzione del -tentativo di delineare il concetto di « tem-
po storico ».
Se ormai è chiaro che jJ « tempo vuoto», puramente quanti-
tativo, non è mera parvenza ma l'« apparenza socialmente necessa-
ria» del « tempo» del prodursi e riprodursi del capitale, per cui
« il ritmo puramente quantitativo secondo il quale si muove il
processo è ] '-immagine rovesciata della riproduzione della for-
ma» 175, a questo punto possiamo dire che nel concatenarsi del
discorso benjaminiano prima e all'interno delle Thesen v'è come
un anello mancante. Quello della stretta connessione che intercorre
tra« tompo vuoto» e« lavoro astratto».
Attraverso la tematizzazione di un tale nesso è possibile, a
nostro avviso, senza togliere niente alla specificità del discorso
benjaminiano, trovare un correlato all'interno della critica della
economia politica marxiana sia all'opposizione, posta da Benjamin,
tra « tempo vuoto-omogeneo » e ]etztzeit, che all'inversione, da
lui vista come necessaria, del rapporto passato-.presente. E questo
partendo dall'aspetto «qualitativo» che si cela nello scambio (ap-
parentemente quantitativo e apparentemente tra eguali quantità)
tra capitale e forza-lavoro, tra tempo di lavoro oggettirvato e tempo
di lavoro vivo; dal conseguente « dominio del tempo del capitale
sul tempo di lavoro».
Questo dominio - scrive De Giovanni - « si proietta come
dominio della quantità sulla forma, indotto da una forma sociale
che funziona attraverso il rovesciarsi reale-apparente della forma
nella quantità . .JI tempo di lavoro {valore) prodotto dal lavoro
vivo oltre fa propria riproduzione appare nella forma di un puro
incremento quantitativo del valore esistente. La conservazione del
tempo di lavoro passato attraverso l'aggiunta di lavoro vivo ·(pre-
sente) è interna al processo di autoconservazione del capitale ...
175 B. De Giovanni, Per un'anlllili politica del « tempo di lavoro• in Ma,x,
cit., p. 41.

351
La continuità [ c.11.] della linea di accrescimento - e l'unicità
del suo soggetto - sottrae ogni discontinuità [c.n.] al ritmo di
aumento del valore esprimendo al massimo Ja qualità della produ-
zione capitalistica: la moltiplicazione del valore di scambio ... Il
potere del capitale è nell'uso del valore d'uso della forza-lavoro
come .forma del dominio deJ tempo del capitale -sul tempo del
lavoro. Ma l'uso della forza-lavoro è tutta guardata dentro l'orh-
zonte della quantità che s'accresce»; cosicché « la realtà della
quantificazione è proprio in questa esclusione reale della qualità
del rapporto di produzione » 176 •

B. La politica e le forme. Ma non è piu tempo di guardare


indietro. ,Le Thesen benjaminiane ed in esse tutta fa sua opera
ci «gettano» nel presente. In questo esser gettati siamo letteral-
mente costretti a lasciare molti «passaggi». Il lettore li rtper-
correrà in silenzio come meglio crede. ,Pensare spesso è saltare,
è un brusco sostituirsi di immagini. Non interessa adesso riempire
il vuoto che le divide. Ad ognuno il suo salto, 5econdo il suo
« tempo». Questo non signiika che il salto può essere evitato:
mutano solo i suoi modi.
Nel problema attuale del rapporto tra },a politica e le forme,
la lettura di Benjamin costringe a considerare il paradigma tempo
come costitutivo di questo rapporto. Il volto del presente ha ormai
definito a chiare note l'inade&tJatezza di una concezione del pri- «
mato della .politica» come comando esterno sulle forme, loro
estrinseca normatività 177 • ,Le molteplici forme del i)resente han-
no una logica propria, autonoma, irriducibile; di esse non si può
dare sintesi organica, armonica fusione o sintassi normatiiva. Que-
sta è i·nefficace utopia. Non c~ esperanto filosofico-scientifico, né
politico che possa fondare e/o unificare la molteplicità delle lingue
che queste forme pa·rlano, la loro autonomia. Il politico, la 5ua
forma specifica - su questo ha insistito in tempi recenti Caccia-
ti - non è metalinguaggio di questa molteplicità di linguaggi,
176 B. De Giovanni, Per un'analisi politic• del « tempo di l11Vo,o » in M4rx,
cit., p. 136. Per le contraddizioni interne a questo dominio e per la possibilità
di un suo rovesciamento si vedano, in questo saggio, anche le pp. 51-54. Su questa
tematica rimandiamo inoltre al citato saggio di H.J. Krahl, Tempo di lavoro:
trascendentalità e capitale.
171 Or. per questo, ad esempio, il saggio di B. De Giovanni, Intellettumi e
Polere, in Critica marxistt1, n. 6, 1.977, pp. H-35, e in particolare le pp. 12-22.

352
ma richiesta del loro sviluppo, trasformazione dei Joro codici inter-
ni, dei loro modi e strumenti produttivi, delle loro tecniche. Lo
spazio in cui lavora una politica di trasformazione « nel senso
del socialismo » - questa è la grande intuizione dell'Autore come
produttore - è la scissione tra forme e potere, in quanto essa
esprime una disarticolazione tra forme e sviluppo del loro linguag-
gio. La contraddizione storica attuale è policentrica: la contraddi-
zione sorge dentro ogni .forma dell'umverso sociale, dentro ogni
linguaggio scientifico particolare - è sempre Benjamin a introdur-
ci in questa verità - per la sua volontà di affermarsi e quindi di
mutare i rapporti di potere politico-economico che ne bloccano
lo sviluppo.
Ora il problema è: cOIDe si unifica, si organizza il ,policentri-
smo delle contraddizioni in un ,progetto politico, come si effettua
l'egemonia di una classe nel processo di organizzazione delle con-
traddizioni, come si esprime in esso la « centralità operaia »? Il
problema non può qui essere nemmeno sfiorato, molte discussioni
e con ben altre competenze sono sorte -attomo ad esso ed a queste
rimandiamo. Qu-alcosa può essere detto a margine do.po questo
itinerario dentro l'opera benjaminiana.
La volontà di potere di ogni linguaggio, di ogni forma dentro
la çontraddizione poli.tica che ila «lega», che arresta il suo dispie-
garsi, non .può che spezzare J,a compattezza delle forme stesse.
Ma cos'è tale spezzarsi se non un comunicare delle forme tra loro,
il necessario aprirsi di mia breccia nella Joro autonomia linguistica?
Questo comunicarsi è volontà di parlare dent,ro un progetto politico
di trasformazione complessiva; e questo non significa certo fare della
politica fa nuova lingua in cui le altre si ,traducono. La politica
non è cos{ metalinguaggio, ma l'attività del tradurre le lingue tra
loro per la foro trasformazione, il movimento del loro parlarsi. Tra-
durre una lingua in un'«ltra non implica un metalinguaggio, non
dà luogo a una loro esterna fondazione, ma immette le differenze
de!l'una nell'altra, senza togliere la specificità di entrambe. Quel
che -nella traduzione si comunica è l'intentio di una lingua - o
meglio la tensione tra l'inteso di essa e la sua espressione linguisti-
ca - che nel suo tradursi in altra lingua contribuisce a trasfor-
marla 178 • L'effettualità egemonica del politico, se consiste solo nel
171 Questo non esclude il momento conflittuale di questo tradursi, dato dalla
volontà di potere che definisce l'intenzione di ogni linguaggio, volontà che non
è che l'altra faccia della sua tensione a trasformani, ad esprimere cosi la sua forma.

353
promuovere l'autonoma trasformazione dei vari linguaggi, lo svi-
luppo delle loro forze produttive, nell'organizzare queste in un
progetto di. mutamento dei rapporti di produzione generali e spe-
cifici (interni cioè a ogni « autonomia » ), non può allora meramen-
te riflettere la loro reciproca lontananza, ma richiede la loro conti-
nua ,intersecazione, la loro comunicazione, la loro reciproca tra-
duzione. Questa non è che la socializzazione dei mezzi di produ-
zione intellettuali di cui Benjamin parla in conclusione a L'autore
come produttore. Proprio perché questi llinguaggi, queste tecniche
non sono totalmente formalizzabili (riconducib1li cioè ad un'unica
logica), non sono in rapporto di lineare o circolare continuità, è
necessario questo loro reciproco e continuo attraversa·rsi, tra-dursi.
Questa è una operazione storica che non può avvenire senza scarti,
residui, imperfezioni: è necessariamente e in permanenza provviso-
ria 179 • Ma in questo è la condizione per costruire un nesso efficace
tra sviluppo, forme e politica, dentro questa crisi, che non condanni
l'autonomia dei « soggetti» che ogni forma esprime al corporati-
vismo o all'utopia che il proprio linguaggio sia l'unico, contenga
la propria salvezza. Reciproca traduzione allora non è altro che
il processo politico di trasformazione delle forme, organizzate tin
una strategia tesa a rivoluzionare i rapporti di potere che ne bloc-
cano la produttività. Traduzione è quindi concetto dinamico, per-
ché non costituisce solo il comunicarsi della ,trasformazione delle
forme, in quanto il loro ,reciproco informarsi determina a sua volta
trasformazioni al loro interno. Politica è questo trasformarsi-tra-
dursi delle forme, dei loro linguaggi: solo cosf il legame cli queste
con lo sviluppo si annoda a quello del potere. In questo senso
traduzione è socializzazione dei loro Jinguaggi, che li mantiene
nella loro differenza, nel loro limite produttivo. Qui ci sembra
possa chiarirsi a sua volta il senso della formula: socializzazione
della pontica. ~ qui che anche la politica, come forma autonoma,
linguaggio speci.fico, spezza la propria separatezza. In tale prospet-
tiva la politica non sottostà ad alcuna utopia di riduzione ad un'uni-
ca ragione delle forme, non se ne presenta come il significato, non
esprime il loro « appaesamento », la loro radice. Essa stessa si

179 Cfr. per questo l'articolo di S. Vcca, Allo di abiura pe, NewlonJ, in
l'Unittl, 12 agosto 1978, sul problema di praticare le crisi della ragione classica
come « crescita di razionalità», a patto di « rimpiazzare un'imm,gine dinamica e
appunto provvisoria, revocabile della razionalità ». Problema che include un par-
ziale e mobile interrelarsi e tradursi di linguaggi e saperi locali.

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tra-duce nelle forme senza risolversi in esse. Si presenta a questo
punto l'attualità della foi,mula gramsciana « specialismo + politi-
ca». Ed a questa altezza può svilupparsi-definirsi il materialismo
storico come teoria di tale processo, in cui le contraddizioni diven-
gono trasformazioni ed in questo come « scienza della transizione»
(De Giovanni).
Il « ·paradigma tempo», cui ,prima abbi-amo accennato, com.
plica ulteriormente il rproblema politica-forme. Non considerarlo
rischierebbe però di trasformare in aporia questo che è il problema
del ·presente. Innanzitutto esso dice che la struttura del presen,te
-non è superficiale, piatta. Dentro la sua aspra complessità si dispo-
ne il -passato, contribuendo a detel'minare Ja forma stratificata
del suo volto roccioso, ma non - si -badi - in modo lineare,
volgarmente temporale. Di qui la necessità di una teoria e pr·atica
della politica, flessibile, ,sperimentale, che, insieme alla disconti-
nuità del volto del presente, consideri la complessità « storica»
delle sue forme. g questo il contrario dello Historismus (di Stori-
cismo): al freddo pungente che emana dal Cattivo Nuovo le « vec-
chie » forme non si fluidifica.no nel processo, lllQ si complicano
nel loro intreccio con le nuove. Formano inedite cristallizzazioni
storiche. Mutano la configurazione del problema di cui siamo par-te,
rendendo inservibili le antiche risposte, che non avvertono gli
stessi mutamenti all'interno del soggetto «politicamente» respon-
sabile. IDel soggetto cioè che ,può rispondere egemonicamente nella
crisi attuale.
In uno dei frammenti del complesso dei lavori sulle Thesen,
si legge che « alla molteplicità dei linguaggi » corrisponde « fa mol-
teplicità delle storie » 110 • Le lingue che le forme, i soggetti del
presente parlano, anche le piu recenti, non sono astratte dal proces-
so in cui sorgono, sono ca,riche di storicità determinata, di tradi-
zione, pure se in una forma lacerata, sfibrata, discontinua. Il presen-
te è costituito anche dall'intreccio delle varie tradizioni e dal peso
e/ o dalla forza che esercitano nelle loro attuali lingue, come pure
dall'ef.fettualità delle loro crisi in queste. Una politica che non
consideri dunque i tempi storici di ogni forma - prodotti anche
dalla presenza, intreccio e conflitto delle di,verse tradizioni - sa-
rebbe impotente o puramente repressirva. La necessaria immagine
del processo storico - che ne sarebbe il referente - è un'illusoria

1111 Or. GS, I, .3, pp. 123.5 e 1238.

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linea che al suo comparire brucia inesorabilmente quanto la pre-
cede. Il suo complementare pendant è l'immagine storicistica che
confida nell'immortalità del passato, della sua immota continuità
nel presente.
Ma il passato, come abbiamo visto nelle Thesen, permane
solo trasformando repentinamente le sue immagini. La « salvezza »
del passato - il ma,n.tenerlo ·nella sua « apertur-a », senza illudersi
di negarlo astrattamente o nutrirsi dell'utopia della sua conserva-
zione - sta nell'afferrarne l'immagine giusta, ·proprio nel « mo-
mento» del suo sv,anire. •Lasciare che il «passato» sia inghiottito,
non mantenerlo nei suoi elementi tuttora in atto non è che il
segno di una politica inefificace, inattuale (nel senso piu negatiovo
del termine). t questo anche il ·problema della « memoria storica »
per il movimento operaio.
Una politica di trasformazione-traduzione dei linguaggi delle
forme del presente è egemonica, efficace, quando «opera» nelle
loro tradizioni, quando ne comprende e ne permea i tempi storici,
i differenti ritmi - senza alcuna pretesa di omogeneizzarli in
un unico tempo, ma riuscendo ad esprimerne il maggior numero
nella linea vettoriale significata nel suo progetto. E questo vettore
sarà tanto piu ,profondamente ed estensivamente rivoluzionario,
quanto maggiori saranno le forze di cui è risultante. Nessuna delle
lingue che ormai sempre piu confusamente gremiscono la scena
attuale è sorta dal nulla, è ,priva di passato. Per questo si tratta
di scoprire le fila del passato - nei suoi elementi non definitiva-
mente t-rascorsi - che si intessono nel ,presente. Solo interrogando
ciascun linguaggio circa la sua tradizione, circa la sua adoperabilità,
la sua funzione possibile o effettiva, aiutandolo quindi a decidere
quanto dd suo passato è ritardante peso o elemento di forza nelle
contraddizioni si può favorire un processo di intersecazione-tradu-
zione dei linguaggi attuali . .Intersecazione-traduzione produttiva
proprio attraverso le differenze, anche estreme, di ciascuna Hngua,
di ciascun « soggetto •parlante ». Politica dunque come « integra-
zione produttiva » dei diiversi linguaggi che - senza alcuna pretesa
di prescriverne a priori le diverse direzioni di sviluppo o senza
certezze teleologiche sull'esito del suo movimento - vive nella ten-
sione a tradursi in una « sobria ,prosa ». Una ,prosa che per diffon-
dere la sua comprensibilità non si rifugia nelle forzose abbreviazio-
ni di un qualsiasi esperanto, sapendo sempre ddl'estrema provvi-
sorietà della traduzione che rappresenta, conoscendo la sua radicale

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storicità. In essa 1•uttima prosa - quella « del mondo di una
onnilaterale e integrale Attualità», di una Festa purificata da iuaI-
siasi rituale celebrativo e per questo subito compresa da tutti 1 -
vive solo come « sospesa » tensione come quanto si nega al dire di
ogni «storico» linguaggio.

111 Or. per questo GS I, 3, pp. L2J3.3-9. Qui, in questi frammenti cui ri-
mandiamo, emergono temi e problemi di una dimensione delle Thesen esplicitata
in queste pagine solo per cenni e alla quale, invece, in futuro dovrà essere dedicata
la necessaria attal.zione. Si veda intanto il nostro articolo, Benjamin e il tempo sto-
rko, in Pace e Guemi, a. 1, luglio-agosto 1980, n . .5, pp. 23-26.

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