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Premessa
1 Cio? gli ultimi trentuno sh?setsu da Daid?ji Shinsuke no hansei (1924) ad Aru ?h?
no issh? (1927), esclusi gli sh?hin e gli zuihitsu.
Introduzione
I due critici giapponesi Hori Tatsuo e Sat? Haruo hanno avuto ragione di
dire che Akutagawa percorre una via che comincia con M?rim?e e finisce con Strind
berg (ben s'intende, si tratta dello Strindberg allucinato di Inferno e della Via
di Damasco). Questa maniera di dire deve essere intesa, per?, con discrezione,
come tutte le maniere di dire che pretendono di definire un fatto culturale con
un'ingegnosa e breve figura tale da colpire la fantasia del lettore.
Naturalmente, come l'Akutagawa decadente ? realista ? delle prime opere non
sente solo l'influsso di M?rim?e, ma anche di molti altri, (Balzac, Flaubert, Mau
passant, France, i fratelli Goncourt, Poe, Tolstoj, Mori ?gai, Natsume Soseki ecc.),
cos? l'ultimo Akutagawa decadente-simbolista non si limita ad accogliere in s? le
suggestioni del solo Strindberg, ma anche ascolta e fa suo il messaggio di Baude
laire, Mallarm?, Rimbaud, Verlaine, Wilde, forse di Pirandello e, tra i Giapponesi,
di Shiga Naoya, il maestro del racconto autobiografico2.
E' vero, per?, che l'influsso di Strindberg appare particolarmente forte ed
evidente nelle ultime opere di Akutagawa. Si direbbe che lo scrittore giapponese
abbia trovato nello scrittore svedese un fratello spirituale. In Haguruma il nome
di Strindberg ? dato addirittura a un personaggio, che ? al limite tra la realt? e
il sogno.
2 Per l'importanza della lezione di Shiga nelle opere akutagawiane vedi soprattutto
Daid?ji Shinsuke no hansei, Shinkiro e Haguruma.
9 Bisogna anche dire che i gravi disturbi fisici, soprattutto nervosi, di cui lo scrittore
soffr? negli ultimi anni furono senza dubbio fra le immediate cause principali del suo
suicidio.
intelligenti. D'altra parte una vera e propria confidenza umana era resa impossi
bile dalle responsabilit? dell'insegnamento. La passione per i libri, nata in Shin
suke indipendentemente dalla scuola, era incominciata quando, ancora bambino,
egli aveva scovato nella biblioteca domestica un libro cinese di avventure di ban
diti, che lo aveva entusiasmato facendogli sognare imprese eroiche.
Shinsuke la vita l'ha osservata sempre attraverso la letteratura: per inten
dere i sentimenti degli uomini non aveva che i libri. Leggeva i romanzi e
i drammi che avevano prodotto le letterature dell'Europa della fine del seco
lo XIX (prima adesione al realismo); e scopriva la propria anima incapace di
distinguere tra il bene e il male (nota tipicamente decadente). I libri gli hanno
insegnato anche a sentire la bellezza della ? natura ?20. Soprattutto gli haiku della
grande fioritura letteraria giapponese tra la fine del secolo XVII e il principio
del XVIII gli hanno reso pi? viva la sua attitudine a cogliere messaggi di miste
riosa poesia dalle cose che ci sono attorno21.
Anche la bellezza della donna gli era apparsa attraverso la letteratura (Gautier,
Balzac, Tolstoj). S?, perch? la realt? cruda e obiettiva era bassa e volgare. La
bellezza ? nella trasfigurazione letteraria.
L'ultimo capitolo di Daid?ji Shinsuke no hansei ? intitolato Tomodachi (Gli
amici). Shinsuke desiderava per amici solo coloro che avessero doti spirituali no
tevoli, solo gli avidi di conoscenza: non gli importava che fossero persone per
bene: disprezzava gli onesti imbecilli e li scherniva. Egli amava gli intelligenti e
tuttavia arrivava anche a odiarli per la loro altera sicurezza di s?. Ma odiava
soprattutto coloro che appartenevano a classi sociali superiori alla sua. E non li
detestava soltanto perch? erano pigri o codardi o sensuali, ma anche per qualcosa
che non sapeva definire. Shinsuke, d'altra parte, sentiva simpatia e si rattristava
per le classi infime, anche se qu?sta simpatia era del tutto inutile.
Il capitolo si chiude con un episodio che presenta in azione la crudelt? dei
ricchi che si divertono a provocare la miseria degli umili.
Il racconto, se cos? si pu? chiamare, fu accolto con favore dalla critica del
tempo22. Piacque che Akutagawa si fosse finalmente deciso a introdurre se stesso
come protagonista nella sua opera letteraria e, soprattutto, che si fosse tolto la
maschera mostrandosi a nudo. Era infatti allora prevalente, come abbiamo veduto,
la moda letteraria del racconto autobiografico. Venne subito spontaneo fare un
paragone tra l'uomo Akutagawa e il personaggio Shinsuke. E si intravide, con
delusione da parte di qualcuno, che doveva esserci una differenza.
Noi ora possiamo giudicare molto ingenua la pretesa di trovare un'identit?
assoluta tra la persona pratica dell'autore e la sua creatura fantastica; ma tanta
era allora la smania dell'autobiografismo minuzioso e pedante!
20 Sappiamo che la natura che piaceva a Shinsuke non era l'aperta campagna, non
scene agresti o pastorali, ma la squallida e grigia ? natura ? del suo quartiere.
21 Non sfugga l'importanza di questa esperienza culturale. Lo scrittore, formato pre
valentemente sulle letterature europee della seconda met? dell'Ottocento, qui rivela anche
di avere molto amato alcune forme della letteratura del suo paese. E, in verit?, l'attitudine
a sentire negli spettacoli naturali, anche nei pi? comuni e quotidiani, delicatissime sug
gestioni di poesia e la capacit? di comunicarle al lettore con grande sobriet? di mezzi
apparentano in qualche modo Akutagawa a molti poeti della letteratura giappo
nese classica.
22 Vedi la conversazione critica su Daid?ji Shinsuke no hansei apparsa nel numero
del febbraio del 1925 della rivista Shinch?.
cose, che sono disparatissime secondo una logica quotidiana, finiscono col con
correre a dare risalto e compiuta espressione poetica a sentimenti umani flut
tuanti e difficilmente definibili.
La mano dell'artista ? qui felicemente leggera, pi? che altrove. Il suo scetti
cismo ironico e disincantato, escluso di proposito ogni tono drammatico, non
opprime minimamente il lettore. Racconti come S?shun sono come riposanti oasi
di tranquilla attivit? creativa, in cui l'autore ha potuto tenere a freno i terribili
mostri dell'angoscia che lo assediavano. Al lettore stesso sembra, per un mo
mento, di uscire da un'atmosfera di incubo.
Lo spunto di questo racconto ? senza dubbio tratto dal Naso di Gogol e, forse,
dalla Metamorfosi di Kafka, se Akutagawa ne ebbe notizia, come alcuni credono
probabile.
Un impiegato di una societ? commerciale, Oshino Hanzabur?, muore in Cina
improvvisamente. Si presenta (sic!) in un ufficio che ha tutte le apparenze di un
ufficio qualunque (se non fosse il fatto che non si vede nulla fuori della finestra).
Un impiegato, dopo aver consultato i suoi registri, s'accorge che c'? stato un di
sguido. Si aspettava l'arrivo di un altro: cio? al posto di Oshino doveva morire
il signor Henry Barrett. Il guaio pi? grosso ? che intanto le gambe del povero
Oshino sono gi? andate in putrefazione (e lui non se n'era accorto!) e bisogna
sostituirle. Non si fa in tempo a far venire le gambe di H. Barrett, ancora vivo e
attualmente in viaggio per Han-k'ou. Bisogna affrettarsi prima che tutto il resto
del corpo vada in putrefazione. Finalmente, nonostante le proteste del malca
pitato, ci si rassegna a sostituire le gambe marcite con zampe di cavallo.
Cos? Oshino risuscita e viene festeggiato da tutti. E ricomincia la sua vita,
difficilissima. Si affanna il povero impiegato per nascondere ai colleghi, agli amici,
alla moglie i suoi eccezionali arti: si immaginino gli espedienti e i sotterfugi. Se
nonch? le gambe di Oshino si vanno facendo sempre pi? indipendenti e capricciose:
hanno spesso voglia di sparar calci, risentono del tempo atmosferico. Soprattutto
quando soffia il vento che viene dal deserto della Mongolia, esse divengono terri
bilmente inquiete: il cavallo a cui erano appartenute era stato di razza mongola.
E un brutto giorno, durante una tempesta di sabbia, Oshino non pu? pi? tratte
nere le sue gambe e fugge di casa, lasciando la moglie esterrefatta.
La notizia fa scalpore nella citt? di Pechino. Si giudica dai pi? che la causa
della fuga dell'impiegato sia un improvviso accesso di follia: veramente irrespon
sabile quest'uomo che si permette il lusso di impazzire ! (Cos? si legge in un
giornale).
Un giorno un uomo lacero e stanco bussa alla casa di Oshino, dove la moglie
Tsuneko vive una vita malinconica e solitaria. Ella riconosce nell'uomo il marito
e sta per abbracciarlo, ma, intravedendo le zampe di cavallo dagli sdruci dei
calzoni, indietreggia inorridita; vorrebbe vincersi, ma non pu?. L'uomo capisce e
si allontana rassegnato.
Nessuno crede a quel che ? avvenuto a Tsuneko.
Notizia interessante pubblicata nello stesso giornale che ha annunziato la risur
rezione di Oshino: un uomo ? morto improvvisamente, mentre era in treno, diretto
a Han-k'ou. Il nome dell'uomo: Henry Barrett. Teneva in mano un flacone per
In Haru tutto ? descritto e narrato dal punto di vista di Hiroko, che considera
con stupore i mutamenti della sorella minore Tatsuko, donna appassionata e
impulsiva.
Qui d? notevole prova di s? l'intelligenza acutissima di Akutagawa che esa
mina e registra sottilissimi trapassi di stati d'animo. Non ha dunque molta im
portanza l'intreccio, il ? fatto ?, comune e per se stesso pressoch? insignificante
non conoscendosene la conclusione; ma soprattutto viene messa in luce la coscienza
dei personaggi o, piuttosto, di un personaggio, Hiroko, che cerca di intendere i
complessi sentimenti suoi e degli altri. Si direbbe che Akutagawa abbia prestato
a Hiroko parte della sua anima, la sua sensibilit?, l'umorismo sottile e soprattutto
la capacit? di sentire negli ambienti, nelle cose, una vita segreta che concorda con
i sentimenti umani: un senso di serenit? nasce dalla contemplazione di un piccolo
quadro di Atsusuke, misteriosi rapporti si stabiliscono tra le sale del museo e
l'uomo e la donna che vi si incontrano25.
Notevole, alla fine del II capitolo, il ricorrere di una forma d'espressione
assolutamente caratteristica di Akutagawa: il dissolversi o, meglio, il risolversi
di una meditazione, di un intimo interrogarsi, in uno spunto paesaggistico, in cui
si intrecciano la visione attuale e la memoria di altre esperienze: Hiroko, in treno,
dopo essersi a lungo domandata come la sorella abbia potuto innamorarsi di
Atsusuke, guarda dal finestrino, vede le gole delle montagne, le criptomerie, i ci
liegi in fiore e pensa che fa freddo e ricorda i ciliegi di Arashiyama.
Non crediamo necessario cercare un preciso significato simbolico in questi
ciliegi fioriti. Ma si potrebbe essere tentati a far questo anche dal titolo del rac
conto: Haru cio? ? Primavera ?. Effettivamente Tatsuko, appassionata e impulsiva,
pu? essere considerata una vera manifestazione umana della natura primaverile,
a cui viene contrapposta la sorella razionale e riflessiva. Anche Atsusuke rivela
nella sua ingenuit? un animo primaverile. D'altra parte, non ha saputo egli dipin
gere un quadro che spira luce e freschezza giovanile?
Si direbbe che Akutagawa abbia voluto qui celebrare, una volta tanto, la
vittoria della vita e dei sentimenti contro la sfiduciata e rassegnata chiaroveggenza
della ragione. Ma il racconto non ? concluso: non sappiamo come andranno a
finire le cose. L'autore non si ? sentito di accettare una soluzione ottimistica?
Oppure, essendo qui il suo interesse principale l'indagine psicologica in un parti
colare clima di sentimenti, non gli importava di arrivare ad una conclusione
? costruita ? secondo le regole della narrativa tradizionale?
Con Orni no hotori si entra nel pieno clima simbolistico dell'? antiracconto ?,
in cui non trovi pi? la struttura del racconto tradizionale, intesa come sviluppo
di vicende obiettivamente omogenee e coerenti secondo una logica esteriore.
L'autore, che parla direttamente come personaggio protagonista, in prima per
sona, vuol qui soprattutto comunicare al lettore il sentimento della presenza del
magico nei diversi fatti della vita d'ogni giorno, anche in quelli apparentemente
meno significativi.
Gli elementi fondamentali che entrano nella composizione di questa opera
sono: a) la conversazione svagata tra amici su argomenti comuni; b) un sogno
strano e oppressivo; c) due passeggiate in riva al mare; d) incontri con per
sone, animali e cose, descritti in maniera tale che tutto sembri avere, in rapporto
al protagonista, un senso metafisico. Tali elementi strutturali verranno ripresi
con altre forme, altro tono e altro ritmo in Shinkiro.
Il tono generale di Umi no hotori, pur essendo lo sfondo generalmente cupo
e malinconico, tende, soprattutto verso la fine, a schiarirsi e a risolversi in forme
piuttosto tranquille. V'? anche un certo realismo, un po' ironico: affiorano que
stioni di vita pratica familiare, che, perdendo ogni peso concreto, contribuiscono
ad assicurare la levit? del tono della narrazione. Alcuni incontri (il ragazzo
sorridente, le due giovani bagnanti) sono manifestazioni obiettive di umanit?
lieta: visioni, seppure fuggevoli, di serenit?: il lettore si sente allora abbastanza
sollevato. La voce della vita luminosa e giovane (le risa delle due bagnanti) sembra
aver superato di intensit?, quasi sopraffatto la tristezza dello sfondo.
I colori tetri si accentuano nel III capitolo: la conversazione era stata sva
gata e leggera; ma l'incontro con i poveri pescatori, il racconto della morte di
uno di loro hanno proiettato un'ombra oppressiva su tutti i personaggi. Nessuno
ha pi? voglia di ridere; sembra che una Presenza misteriosa insista per farsi
sentire. Ma le quiete battute finali, che esprimono una certa spensierata indiffe
renza, allentano alquanto la tensione degli stati d'animo.
Ancora una volta Akutagawa sente l'esigenza di far vivere i demoni dello scet
ticismo e dell'ironia nell'interpretazione moderna di un'antica leggenda buddhistica:
un ritorno a un genere che sembrava definitivamente abbandonato.
E' questo l'Akutagawa letterato (considerato con ben poco favore dai cri
tici suoi contemporanei), l'artista che si consola appunto nell'esercizio dell'arte,
perseguendo l'ideale del racconto perfetto; esercizio per altro non gratuito, non
fine a se stesso, giustificato dall'esigenza di risolvere esteticamente la propria
concezione pessimistica della vita.
Nidai, miserabile rifiuto della societ?, impuro fisicamente e spiritualmente,
senza problemi morali e religiosi, viene forzato a prendere la Via della Salvezza
dall'intervento diretto e visibile del Buddha. Il pover'uomo, timido e conscio
della sua miseria, sente una barriera invalicabile tra s? e i grandi della terra,
tra i quali ? anche il Buddha. Divenuto monaco, continua a sentire tale barriera.
? O Nidai, tu sei fortunato, perch? cammini ormai sulla Via che porta alla Beati
tudine ?. ? Non ? stata colpa mia; ? stata colpa del Buddha che mi ha perseguitato
a lungo e mi ha costretto...?.
Akutagawa conclude assicurandoci che, secondo i sacri testi, Nidai, praticando
assiduamente e con fervore i precetti della religione, ottenne la salvezza. In que
sto racconto l'autore ha voluto certo dare un esempio del sentimento di fatale
estraneit?, che ci impedisce di comunicare veramente con gli uomini e con Dio:
? la nuova Babele dello spirito, angoscia dei nostri tempi. Un problema simile
vive anche in un altro racconto akutagawiano, Kumo no ito (1918), in forma
assai pi? drammatica.
Notevole in Nidai l'abilit? di fondere insieme umorismo, andamento fiabesco
e realismo e di tenere in sospeso l'attenzione del lettore fino alla conclusione.
vince, perch? nella vita, sia nel sonno che nella veglia, non v'? salvezza n? conso
lazione. Ma in che si pu? sperare, se anche resistenza nel mondo della Morte
appare una pi? tetra riproduzione della vita?
E' istruttivo per la comprensione dell'evoluzione del pessimismo di Akutagawa
il confronto col suo precedente racconto Roku no miya no hime-gimi (1922), in
cui l'anima della protagonista rimane in un mondo misterioso che non si sa se
sia Inferno o Paradiso. Il tema della vita possibile dopo la morte verr? compiu
tamente trattato dallo scrittore nel successivo Kappa (1927), quando egli sar?
ormai prossimo al suicidio, in preda a totale disperazione.
In Ko-nan no ?gi non c'? soltanto una ? verit? romanzesca ? di cui Akutagawa
sarebbe stato testimone e che rivela la natura passionale degli abitanti di una
provincia della Cina. C'? anche, e soprattutto, come componente essenziale, lo
stato d'animo dell'autore, che si trova ad essere spettatore della strana vicenda:
stato d'animo sotterraneo, non esplicitamente descritto, ma che il lettore deve
indovinare da pochissimi accenni, spesso indiretti: brevi notazioni dello sfondo
paesaggistico, pennellate di ombre e luci che ritornano come leit-motive e segnano,
per cos? dire, il ritmo interno della narrazione: i tetti di tegole e i muri bianchi
di Chang-sha, gli scoiattoli nella gabbia, e soprattutto un ventaglio...
Per tentare di intendere veramente tale stato d'animo conviene soffermarsi
sulla fine del racconto.
L'autore, ormai sulla nave, mentre si allontana dalla citt? di Chang-sha, ripensa
all'avvenimento, alla donna...
Scende in cabina e comincia a fare i conti delle spese di viaggio. Vede su un
tavolo un ventaglio, evidentemente dimenticato da un altro passeggero. Ricomincia
a pensare all'amico cinese che gli ha fatto conoscere Gyoku-ran, l'amante del bandito.
Noi ci domandiamo che significato ha il ventaglio, cos? importante nella
mente di Akutagawa da indurlo a intitolare il racconto appunto ? Il ventaglio
dello Hu-nan... ?. Questo arnese, di uso cos? comune in Estremo Oriente, appare
nella narrazione di sfuggita, solo due volte, all'inizio e alla fine: all'inizio ? por
tato da Gan-h? (pron. s.g.), un'amica di Gyoku-ran, la quale Gan-h? si dimostra
poi vivamente commossa durate l'episodio del biscotto; alla fine il ventaglio
sembra avere la funzione di richiamare la mente dell'autore sui personaggi della
drammatica vicenda. Anche questa volta, senz'altro, ? da riconoscere l'Akutagawa
che fa parlare alle cose un linguaggio pressoch? intraducibile in termini logici,
Nel primo ? Perch? ? Faust, l'uomo che, servendo il Signore, vuol dare un
senso alla vita, considera la realt? (adombrata nel simbolo della mela) da pi?
punti di vista, per arrivare ad un'unica soluzione: le cose del mondo, idoleggiate
come oggetti di indagine filosofica o di contemplazione estetica, od anche di
attivit? economica, finiscono con l'essere strumenti di tortura. Questa ? la realt?,
la realt? del dolore rivelata a noi dal demonio interno del dubbio, che emerge
vivissimo dalla nostra coscienza, quando pi? ci tormentiamo per trovare un senso
nella vita, per comprenderla nel doppio senso di conquistarla e di intenderla.
Dal momento della rivelazione demoniaca comincia l'ultimo atto della tragedia
di Faust-Akutagawa. Lo scrittore non dice esplicitamente che cosa accadr? in
quest'ultimo atto. Certo non si arriver? alla soluzione ottimistica di Goethe da
Akutagawa tanto invidiato per il raggiunto equilibrio (vedi Aru ano no issh?).
Qui Akutagawa indulge al gusto decadente degli ambienti foschi, in cui vivono
personaggi d'eccezione, malati nel corpo e nello spirito, che sembrano esclusi dal
mondo esterno. Vi si sente l'eco di Poe, del Poe della Rovina della casa Usher,
tanto per fare un esempio notissimo.
Haru no yoru ha importanza come primo tentativo di abbozzare descrizioni
di luoghi, persone e stati d'animo, che avranno pieno sviluppo in Genkaku-saribo.
3) Distaccata piet? troviamo nel ricordo del padre, uomo dotato di robusta
e un po' rozza vitalit?.
Lo scrittore pone in rilievo il contrasto tra i comportamenti diversi dei geni
tori in punto di morte. Il padre manifesta i suoi affetti in maniera vistosa e
alquanto volgare; la madre piange silenziosamente e sembra per un momento
tornata alla ragione.
28 Akutagawa, pur dichiarando apertamente la sua simpatia per gli ideali socialisti,
non credeva nell'efficacia dell'azione degli intellettuali rivoluzionari. Vedi a questo propo
sito l'introduzione a questo lavoro (cap. II).
Quest'opera straordinaria (di cui l'autore stesso si dimostra nelle sue lettere
assai soddisfatto), dopo il primo esperimento di Umi no hotori, ? un esempio, que
sta volta perfetto, di vero e proprio ? antiracconto ?, che sembra precorrere certe
forme della narrativa d'oggi, in cui l'intreccio romanzesco tradizionale non esi
ste pi?.
Shinkir? nasce dall'elaborazione artistica di un tesoro di intense esperienze
intime, in cui confluiscono, pi? o meno sotterranee, visioni oniriche e memorie
infantili. Denominatore comune, che pone sullo stesso piano la realt? e il sogno,
? l'incubo costante di una Presenza metafisica paurosa, nascosta nella concretezza
apparentemente innocente delle cose d'ogni giorno.
10. Disperata nostalgia di amore e di fede religiosa nelle forme di una favola
satirica.
La fede nella Trascendenza potrebbe dare un senso alla vita, ha detto Mag,
il Kappa filosofo. E noi sappiamo quanto Akutagawa amasse il Cristo, quanto si
sentisse fortemente attratto da Lui, che ? pose nuovo combustibile (idee nuove)
su vecchie fiamme? (le antiche passioni) (vedi di Akutagawa il saggio Seiko no
Hito) 2L differenza di noi, miseri mortali, che ci ostiniamo a riversare vecchio com
bustibile su nuove fiamme (Kappa, cap. XI)31.
Ma Akutagawa non poteva credere (vedi Haguruma). ? Cristo forse ? morto ?
(vedi Kappa, ultimo capitolo). Desiderio di amore e desiderio di fede religiosa
sono in Kappa le due note pi? intensamente umane e poetiche, anche se compresse
e appena percettibili sotto il gioco un po' arido dello scetticismo ironico e para
dossale. E proprio questi sentimenti di un'umanit? tanto pi? pudicamente conte
nuta, quanto pi? intensamente sofferta, distinguono il dolente e perplesso pessi
31 II cap. XI riporta alcuni pensieri del filosofo Mag che si fingono raccolti in un
libro intitolato Ano no kotoba (? Parole di un idiota ?). Evidentemente Akutagawa pen
sava all'opera sua, Aru ah? no issh? (Vita di un idiota), che sarebbe uscita postuma.
Akutagawa non pensa ormai che l'uomo si possa in alcun modo liberare dal
male, neanche col suicidio; ? per? ch'esser beato / nega ai mortali e nega ai morti
il fato ?, dice Leopardi nel ? coro ?, con cui s'apre il Dialogo di Federico Ruysch
e delle sue Mummie.
Ma, mentre i morti di Leopardi continuano a ? vivere ? in un mondo fantastico,
immersi in un'ombra crepuscolare, senza tormenti n? gioie, i morti di Akutagawa
invece (vedi Kappa, cap. XV e anche Shigo) hanno le medesime tormentose pas
sioni dei vivi e ricordano benissimo le cose della terra e se ne sentono attratti.
Neanche la morte ci concede la sicurezza dall' ? antico dolore ?. Il pessimismo dello
scrittore giapponese ? quindi pi? desolato di quello di Leopardi. Una vita quieta,
se non felice, sarebbe possibile soltanto nella situazione irreale, dunque realmente
impossibile, del vecchio Kappa del cap. XVI.
Dice il critico Kataoka Teppei82 : ? In Kappa Akutagawa fa la somma finale
delle sofferenze accumulate. In Kappa si trovano mescolati realismo, scetticismo
e romanticismo. Nessuna conclusione, nessuna speranza per l'uomo, il quale non
sa fare altro che scrivere una favola. Questo ? il segno della disperazione pratica.
Kappa non ? un'opera scritta da uno che ha fiducia in una sua personale vittoria.
Calare nella forma artistica della favola il proprio pensiero non ? opera di chi ha
fiducia di vincere nella realt??.
E' opportuno qui ricordarsi di quel che Akutagawa affermava dell'impossi
bilit? per l'artista di agire efficacemente nella realt? (vedi sopra il nostro studio
su Genkaku-sanb? e soprattutto il cap. II dell'introduzione, l? dove accenniamo
alle idee politiche dello scrittore).
Concludiamo riportando, tradotta, la poesia di Tock, il Kappa poeta e suicida,
che si legge nell'ultimo capitolo:
?Tra i bamb? e le palme fiorite da tempo dorme il Buddha; presso il fico
inaridito sul margine della strada anche Cristo sembra morto.
Ma noi abbiamo bisogno di riposo, pur rimanendo davanti agli scenari del
teatro.
(E il rovescio dei fondali ? rattoppato con innumerevoli rattoppi di tela di
pinta?)... ?.
i valori religiosi che si dicono assolutamente eterni e invariabili: gli dei giappo
nesi assorbono e fagocitano, per cos? dire, anche il Dio cristiano, fino a renderlo
proprio e quasi irriconoscibile. Chi alla fine vincer?? Dio o gli dei? Noi soltanto
con le nostre azioni potremo dare una risposta.
In Kappa, abbiamo gi? veduto, si riconosce l'esigenza di una fede nel Trascen
dente che dia un senso alla vita... ?ma Cristo sembra morto?. Qui, in Y?waku,
l'autore concepisce l'ambizioso disegno di interpretare la storia di tutti gli uomini
(almeno dal tempo di Cristo in poi) in una grandiosa vicenda allegorica, in cui
senti tutta la problematica religiosa di un moderno Faust decadente.
E' assai difficile, per non dire impossibile, interpretare il significato preciso
di tutte le singole allegorie. E' certo comunque il senso generale: Akutagawa ha
qui voluto rappresentare la realt? estremamente complicata del mondo, conside
randola dal punto di vista dell'ideale religioso ripetutamente sconfitto e avvilito
dalla prassi quotidiana. E questa realt? tragica della storia dell'uomo diviene
ancora pi? dolorosa, quando lo scrittore ce ne fa sentire anche i lati ridicoli e
spregevoli (simboleggiati, ad esempio, dalle due scimmie ? vedi anche i gi? stu
diati Mit su no naze e Tenkibo).
Verso la fine, quando San Sebastiano33, il protagonista della simbolica vi
cenda, lasciato solo dal capitano di mare (una specie di nuovo Mefistofele,
spietato rivelatore delle umane miserie), riprende in mano la croce e la stringe
con tutte le sue forze, l'ideale religioso sembrerebbe risorgere; ma subito alla
figura di San Sebastiano si contrappone l'interno borghese dell'ultima scena, che
ci fa sentire la noia e la vanit? delle nostre quotidiane abitudini, che spengono
ogni nobile aspirazione. E il padrone di casa dell'interno borghese, che ha lo stesso
volto del capitano di mare, sembra voler significare che il senso della noia e
della vanit? ? pi? intensamente sofferto da chi ha pi? chiaramente compreso l'in
sensato gioco della vita.
varca questa soglia diviene un eroe?34; il mazzo di fiori gettato dalla ballerina,
il quale diventa un mazzo di spine nelle mani del ragazzo; il gatto col turbante
che invita a comprare una maglia, inutile per chi non pu? acquistare neanche
l'indispensabile: tutti questi ?personaggi? stanno senza dubbio a rappresentare
altrettante tentazioni, che ci promettono invano la felicit? o almeno la soluzione
dei nostri pi? gravi affanni. Ma chi ha smarrito il proprio ?padre?, cio? la sicu
rezza, la fiducia nella vita, non crede ai tentatori, cio? alle illusioni, sia meschine
(gli effimeri piaceri), sia sublimi (i sogni di grandezza).
Assistiamo qui, ancora una volta, alla vanificazione di tutti gli ideali: anche
di quelli artistici (i nomi degli uomini famosi si rivelano poi essere nomi comuni).
Per un momento il volto di un Consolatore sembra mostrare infinita compassione
(il volto paterno che appare sospeso nell'aria con un'espressione di amore e di
tristezza e subito svanisce, scena 46); ma anche questa ? un'illusione che, come
nebbia, si dissolve, e la ricerca angosciosa ricomincia (vedi l'ultima scena, che ?,
come abbiamo gi? detto, una ripetizione dell'inizio).
12. Un racconto in cui la realt? tragica della malattia nervosa viene proposta
in nuova forma obiettiva. - Un estremo ritorno al racconto storico, in cui
si esprime ancora una volta lo scetticismo gnoseologico akutagawiano.
tive e di universale validit?. Non importa che le ragioni con cui il malato vorrebbe
giustificare le sue ansiet? siano ridicole e assurde: la malattia non ? per questo
meno reale. E' l'angoscia che assume mille volti diversi, secondo la personalit?
di ciascuno di noi, ma tutti ugualmente terribili.
Personaggi realmente esistiti (inizio del secolo XVII) agiscono in una vicenda
inventata, che ? un incentivo a meditare sulle molteplici e spesso indefinibili
ragioni del nostro agire.
E' un onore o un insulto per un guerriero ucciso in battaglia il fatto che al
suo nemico sia portata la sua testa tagliata? E' un onore, checch? ne pensi il corti
giano Masazumi, se lo spirito di Naoyuki, il valoroso guerriero caduto sul campo,
parlando per bocca dell'umile serva Kochiya, pretende che Ieyasu apra il cesto in
cui si trova la sua testa. Ma poi si viene a sapere che Kochiya era stata l'amante
di Naoyuki. La donna ha dunque parlato di sua volont? ingannando i padroni.
Ma li ha ingannati veramente? ? Io non mi faccio ingannare ?, dice Ieyasu, uno
dei personaggi principali del racconto, il quale ha imparato, dopo tante espe
rienze, che ? tutte le cose umane hanno un duplice aspetto ?, e ha conosciuto ? le
misteriose sfingi che sono nel fondo delle tenebre che avvolgono la nostra vita?.
Ognun vede che l'autore stesso col suo malinconico scetticismo si ? trasferito
nella persona di questo tollerante e pensoso Ieyasu.
13. Un raggio di calda e sofferta umanit? brilla, per un momento, nel mondo
sempre pi? gelido e tetro delVincomunicabilit? e delVindifferenza. - Un'oasi
di malinconica quiete. - La necessit? del dolore e della morte e il desiderio
di annientarsi.
Nel primo episodio, di pi? vasto respiro, il narratore va a far visita, come
rappresentante di tutti i parenti, al cugino36 imprigionato, reo di aver falsificato
documenti. Il narratore, innervosito da un'attesa inverosimilmente lunga (dalle 10
alle 18!) nella sala d'aspetto, gelida e squallida, del carcere, vieppi? immalinco
nito dall'atteggiamento di rassegnata indifferenza dei familiari degli altri detenuti
e degli impiegati scortesi e antipatici (e tuttavia vagamente patetici nell'esercizio
del loro non amabile mestiere), pu? finalmente parlare col cugino; ma la con
versazione dei due congiunti ? fredda e formalistica: essi evitano soprattutto
il sentimentalismo, che sarebbe stato falso e inopportuno. Attira l'attenzione del
narratore una giovane, che piange accanto a lui; ma soprattutto lo colpiscono le
parole di un vecchio rivolte ad un altro detenuto, forse suo figlio: ? Quando sono
solo, lontano da te, mi vengono in mente tante cose da dirti; ma, appena ti vedo,
le dimentico tutte?. Parole veramente significative, che sono la chiave per inten
dere rettamente tutto il racconto. L'autore rivela qui ancora una volta (ma in
forma nuova) il suo umano desiderio di amore, vivo sotto la corazza di ghiaccio
dello scetticismo pessimistico.
A lui la sua stessa indole naturale, schiva e ritrosa, e le circostanze disgra
ziate della vita hanno precluso la comunicazione degli affetti; eppure non sfuggono
alla sua sensibilit? ? i tenui raggi di sole tiepido che vengono talvolta a brillare
nel mondo gelido ? (vedi S amusa, gi? cit.).
Il narratore ? ora uscito dal carcere; ma le parole del vecchio continuano
ancora per qualche tempo ad echeggiare nel suo cuore, e rendono pi? intensi e
perci? stesso pi? dolorosi i suoi sentimenti di umana compassione verso gli
uomini. ? Sentivo di non essermi comportato bene con mio cugino; ma nello
stesso tempo sentivo la nostra comune responsabilit?... Mi ripetevo le fioche parole
del vecchio, che mi sembravano ancora pi? umane del pianto della giovane ?. Sem
bra dire Akutagawa: di tutti e di nessuno ? la colpa del gelo ? invernale ? che ci
paralizza nello spirito e impedisce che prenda forma il nostro desiderio di espan
sione sentimentale.
Nel secondo episodio il narratore ?, nello stesso giorno, in casa del cugino
e parla dell'imminente processo col fratello e con la moglie del detenuto.
Il tono della conversazione ? sempre pi? freddo e distaccato. Il narratore,
un po' distratto, nota, per?, con una certa invidia la sicurezza pugnace del fratello
del detenuto, pronto a darsi da fare, per tirar fuori s? e gli altri dall'incresciosa
situazione. Ma noi vediamo subito che l'energico spirito di iniziativa di costui,
anche se sul piano dei vantaggi, per cos? dire, materiali (assoluzione dall'accusa
di falso) potr? sortire effetti positivi, non per questo riesce a stabilire rapporti
di umana simpatia: Akutagawa lo invidia, il suo parente, ma non lo comprende
e non ne ? compreso: l'incomunicabilit? dei sentimenti resta.
ora egli riesce ad esprimere i suoi sentimenti e il racconto si chiude con due
battute di conversazione scambiate con la vedova del suicida: conversazione fredda
e indifferente che sembra nascondere o, meglio, sottindere un'immedicabile stan
chezza morale.
Pu? giovare ora un confronto tra Tenkibo e Fuyu. Se in Tenkibo Akutagawa
risolveva in un'elegia tenera e malinconica i suoi sentimenti, realizzando, sia pure
unilateralmente, una piena espansione di umani affetti, il finale di Fuyu, invece,
fa apparire ancora pi? squallida e tetra la solitudine spirituale a cui la vita ci
condanna.
tutti gli uomini; tranquilla e rasserenata catarsi finale. Le cupe angosce degli
altri racconti sembrerebbero in qualche modo superate. Ma, in realt?, la soluzione
finale della vicenda di Tegami ? da considerarsi come un'oasi di relativa pace
sulla fatale via che condusse Akutagawa alla morte.
In Mitsu no mado la coscienza della vita tiranna di dolore, che rende vano
qualsiasi sentimento di piet?, si fa sempre pi? chiara e profonda dal primo
all'ultimo episodio. Lo scrittore si trasferisce successivamente e gradualmente in
tre coscienze: i guardiamarina A. e K. e la nave XX: nell'ultima, in quella della
nave XX, animata e sensibile, l'identificazione ideale dell'autore col personag
gio ? compiuta.
38 Akutagawa usa spesso siglare i nomi dei suoi personaggi quasi essi fossero (e
spesso sono) persone reali da mantenere nell'incognito. Si veda un uso analogo in Kafka.
39 Notevole la scelta di Maupassant, lo scrittore morto pazzo. Vedi la nota seguente.
40 Ancora un artista colpito dalla follia. E' significativo che vengano ricordati in
questo racconto (ultimo tra quelli pubblicati vivente l'autore) due scrittori segnati dal
terribile male: Maupassant e Uno K?ji. Akutagawa di certo vedeva in loro, vittime del
? Demone della fine del secolo ?, qualcosa del suo destino. Vedi anche Aru ano no issh?.
Alcune immagini ricorrenti di cose inanimate (le foglie del sedano, la falce
di luna), misteriosamente armonizzate con i sentimenti umani, sembrano scandire
il ritmo dell'avvicendarsi degli stati d'animo.
alternandosi con tale frequenza, che quasi sembrano sovrapporsi: un po' come
in uno ? stretto ? finale di una fuga).
Non mancano tuttavia nell'opera brevi schiarite, momenti in cui la natura
sembra promettere pace e vita (i pezzi di carta per le vie di Tokyo, simili a petali
di rose, i colori bene armonizzati nella sala del caff?)41. Ma subito, ogni volta,
gli incubi riprendono sempre pi? angosciosi fino alla terribile conclusione: ? Non
ho pi? forza di scrivere. Vivere in preda a questi stati d'animo ? una sofferenza
indicibile. Non c'? nessuno che voglia venire, silenzioso, a strozzarmi mentre
dormo??. Non resta che la morte: tutte le promesse di pace in questa vita si
sono rivelate illusorie ed effimere.
L'evasione in un mondo felice, romanticamente immaginato in lontane citt?
leggendariamente trasfigurate (Madrid, Rio, Samarcanda), ? subito giudicata
un sogno fanciullesco dalla ragione ironica dello scrittore scettico e disincantato.
E il mito di Icaro viene a significare poeticamente la tragedia dell'uomo che
vuole levarsi a volo con le sue forze verso il cielo dell'ideale ed ? destinato,
misera e ridicola creatura di fango, ad affogare nelle bassure della terra42.
La consolazione della Fede religiosa non ? neppure possibile, d'altra parte,
per chi crede soltanto nelle Tenebre. Nel cap. V dice il vecchio asceta al narra
tore: ?- ?Non vorresti divenire un credente?? ?Se lo potessi!...? ?Non ? una
cosa difficile. Basta credere in Dio, nel Suo Figlio Cristo e nei miracoli compiuti
da Cristo ?. ? Posso credere nel Diavolo ?. ? Dunque perch? non credi in Dio? Se
credi nell'Ombra, dovresti credere anche nella Luce ?. ? Ma v'? anche l'Oscurit?
senza Luce ?. ? Che cosa ? l'Oscurit? senza la Luce? ? Non potevo fare altro che
tacere. Anch'egli, come me, camminava nelle Tenebre. Ma credeva che oltre le
Tenebre ci fosse la Luce. Questo solo era il punto in cui la logica sua e la mia
differivano. E proprio questo era il fossato che io non potevo oltrepassare.?
Qui noti la capacit? di autocritica dell'artista, umile e onesto, che, mentre con
tinua a sentire il dolore di tutte le creature, non pretende di dettare norme di
vita, n? pratica n? teoretica; troppo umile e troppo onesto d'altra parte: l'aveva,
s?, una coscienza morale e artistica, egli che fino all'ultimo, tra mille torture fisi
che e morali, sent? il dovere di continuare a creare opere d'arte, superando,
come s'? visto, il suo stesso pessimismo che lo avrebbe dovuto, logicamente,
paralizzare nell'inazione.
Ma, mentre riconosce la funzione catartica del dolore, egli non insuperbisce,
non si giudica un eroe. Perch? dovrebbe inorgoglirsene? Anche i criminali pi?
abietti sono inchiodati alla loro croce. E qui vediamo la decadenza del mito
romantico dell'eroe del dolore che lancia la sua superba sfida alla vita meschina.
Non pi? la magnanimit? dell'?io? superstite in mezzo alla rovina degli ideali,
ma piuttosto la coscienza dello squallore tenebroso, opprimente, di una vita
senza grandezza.
Akutagawa evita cos? di assumere pose statuarie: rifiuta il mito del su
peruomo47: egli non cerca ormai che la pace per la sua povera anima tormentata,
simile al regno diviso in se stesso di cui parlava Ges?: la pace garantita da una
vita semplice, riscaldata dagli affetti familiari ed economicamente sicura, lon
tana da qualsiasi ambizione intellettuale e anche dalla creazione letteraria che
risveglia i mostri dell'angoscia nascosti nel mondo del subcosciente.
Ancora una volta ? da ammirare l'esemplare, onesta sincerit? dell'uomo che
non esita a mettere in evidenza i suoi sentimenti anche se contraddittori: del
l'artista ammiratore della grandezza dolorosa di Baudelaire e di Rimbaud, che
ora si ? tuttavia umiliato a riconoscere i valori della vita borghese.
Alla fine del dialogo la Voce misteriosa tace: Akutagawa ? solo; ma la con
fessione sincera e gli atti di umilt? gli hanno dato per un momento nuove forze.
Egli si propone di far nascere in s? l'uomo nuovo, capace di affondare salda
mente le radici nella terra, per vivere una vita moralmente sana per la salvezza
sua e dei suoi figli.
Attraverso il sentimento del proprio dolore e la compassione per gli altri,
superando l'orgoglioso satanico compiacimento, romantico-decadente, della pro
pria infelicit?, egli intravede la salvezza in un possibile equilibrio spirituale. Ma
ben sappiamo che fu l'illusione di un momento: il Demone del male sarebbe ben
presto tornato all'assalto.
47 Questo rifiuto segna in maniera esplicita il compiuto superamento del mondo spiri
tuale di Daid?ji Shinsuke no hansei. Ma puoi vedere anche in Haguruma qualche evidente
indizio della nuova disposizione d/animo dello scrittore.
concepita come fonte di consolazione, ultimo rifugio di uno sconfitto della vita48,
sono motivi di ispirazione che si trovano anche in Haguruma, Shinkir?, Shigo,
Nenmatsu no ichinichi.
In Nenmatsu no ichinichi abbiamo veduto, in particolare, come il piano del
l'immaginario si innestasse su quello del reale, improvvisamente, senza soluzione
di continuit?, al di fuori dello spazio e del tempo logico. Qui, in Yume, si arriva
a una compenetrazione del reale con l'immaginario intima e totale, pi? persua
siva e meno artificiosa. Il protagonista di questo racconto (un pittore) ormai sa
che tutto ci? che gli avverr? pu? averlo gi? veduto in sogno. Tutto ci? che accade
? dunque gi? prestabilito, ? portato a concludere il lettore: gi? vive in un mondo
per cos? dire metafisico, che, a tratti, emerge chiaramente nella luce della co
scienza e ci convince dell'inanit? di tutti i tentativi di sfuggire a un destino di
angoscia e di morte. La realt?, gi? cos? orribile per se stessa, questa realt? in
cui tutto sembra essere estraneo al pittore protagonista (gli amici incapaci di
confortarlo, tanto che egli sembra solo al mondo; la modella indifferente e apa
tica; il bue legato al palo; il tappeto sul pavimento dello studio ecc.) si fa ancora
pi? terrorizzante, se viene concepita come il manifestarsi concreto e ordinato nel
tempo di ? situazioni ? gi? in qualche modo preesistenti.
Unica ragione di vita, in cui crede ancora il pittore ? l'arte: con tutte le
sue residue energie egli si dedica al suo quadro, che, per?, non arriva a compi
mento. L'ultimo sforzo dell'artista che tenta di sopravvivere nel mondo della crea
zione estetica ? ormai prossimo a vanificarsi definitivamente.
cattivo padre. ? Ridi dunque della mia stoltezza ?, dice alla fine della lettera
introduttiva51.
E la materia stessa da trattare non gli si dispone pi? negli ampi e simmetrici
? quadri spirituali ? di Daid?ji Shinsuke no hansei: i 51 capitoletti di Aru ah?
no issh? sono come fulgurazioni istantanee, rapidissime immagini, illuminazioni
tese a una concisione sintetica, che dovrebbero simboleggiare l'evoluzione della
personalit? sentimentale, culturale e specificatamente artistica di un uomo estre
mamente complesso e contraddittorio.
Singolare, difficile e anche pericoloso tale metodo d'espressione!
L'ordine della trattazione ? approssimativamente cronologico; ma in verit?
i fatti non vi si succedono in una sequenza meccanica ed inespressiva: lo scrittore
vuole rappresentare la misteriosa logica interna delle cose della vita. Ancora una
volta ? l'artista che si confessa: colui che interpreta la realt? trasfigurandola
magicamente.
Alcuni dei capitoli pi? significativi di Aru ah? no issh? sono dedicati alla
formazione culturale dello scrittore. Nel primo capitolo, intitolato ? Epoca ?, ve
diamo ?lui? come un giovane ventenne che cerca libri nuovi in una libreria:
in piedi su una scala legge i frontespizi: Maupassant, Baudelaire, Strindberg,
Tolstoj, Nietzsche, Verlaine, i fratelli Goncourt, Dostojevskij, Hauptmann, Flau
bert52: dall'alto della scala (evidente il simbolo!) come gli appaiono piccoli e
meschini i commessi e i clienti che s'aggirano tra gli scaffali; pensa: ? La vita
umana vai meno di un verso di Baudelaire?.
Questa frase ha dato da fare a molti critici. Parecchi significati sono stati
proposti, del resto non inconciliabili tra loro. Invero qui lo scrittore vuol dire
che a vent'anni si sentiva gi? conscio della vanit? della vita pratica, ma poteva
ancora rifugiarsi nel culto dell'arte (l'ultimo rifugio): Baudelaire ha sentito come
lui: ? la voce altissima della poesia, che parla per tutti i ?maledetti? signoreg
giati dal ?Demone maligno della fine del secolo?, disperati e tuttavia strenua
mente attaccati all'ideale della creazione artistica. Un verso di Baudelaire, cio?
la perfetta poesia, pu? dare un significato alla vita.
La meditazione, diremmo meglio l'illuminazione, del I capitolo ? stata giusta
mente messa in rapporto con ci? che si legge nell'VIII. Qui il protagonista, in
una giornata di pioggia, camminando per la citt?, vede sprizzare un lampo vio
letto dai fili elettrici sospesi sulle vie dove passa il tram. ? Non vi era per 'lui'
nulla di desiderabile nella vita umana; soltanto quella meravigliosa e terribile
fiamma violetta sospesa nel vuoto 'egli' voleva afferrare, anche a costo di dare
in cambio la vita?. La fiamma elettrica pu? ben essere il verso di Baudelaire:
? la fulgurazione istantanea, conquista momentanea ed eterna dello spirito: ?
l'uomo che si sente, sia pur confusamente, assunto a dignit? divina, perch? ha
sfiorato il mistero dell'infinitamente ed eternamente bello, superando le meschi
nit? della vita terrena.
Questa volta il messaggio che arriva dal mondo circostante non ? d'angoscia
n? di morte, ma di vittoria e di vita. Tale ? il significato pi? vero e profondo
dell'episodio della fiamma violetta e si pu? conciliare benissimo con l'opinione
di coloro che ci vedono soltanto il gusto degli spettacoli artificiali, il fascino
della citt?. In verit? ? propria di molti poeti moderni la capacit? di ? illuminarsi ?
(nel senso pi? profondo e nuovo del termine) stimolati piuttosto dal mondo
artefatto dall'uomo che da quello naturale. E basti ancora l'esempio di Baude
laire.
L'illuminazione del cap. Vili di Arti ano no issh? ? anche simbolo di quel
desiderio pi? volte ricorrente in Akutagawa di evasione dai ceppi della famiglia
e della societ? verso un favoloso mondo di eroi (Aru ano no issh? capp. XI, XX
e XXXV; vedi anche Haguruma). Senonch?, quando si vorr? determinare di quale
eroismo si tratti, ecco la delusione: nulla di ci? che si pu? tangibilmente posse
dere ha appagato ? lui ?, l'escluso dalla vita pratica.
Figura ideale d'eroe ? Lenin, ? colui che pi? d'ogni altro ha custodito i dieci
comandamenti e pi? d'ogni altro li ha infranti; colui che pi? d'ogni altro ha
amato le moltitudini e pi? d'ogni altro le ha disprezzate; colui che pi? d'ogni
altro s'? infiammato per un ideale e pi? d'ogni altro ha avuto chiara coscienza
della realt?? (Aru ah? no issh? cap. XXXIII). Akutagawa vede l'eroe della rivo
luzione russa ascendere un'alta montagna; lo contempla da lontano ?dalla fine
stra della casa di Voltaire?: lo scetticismo ironico accende la fantasia del
82 Nel corso dell'opera compaiono anche altri nomi di scrittori, tra cui particolar
mente significativi S?seki, il venerato ? maestro ?, e Goethe, invidiato modello di rag
giunto equilibrio morale.
poeta, d? le ali al suo estro poetico; ma sono ali di Icaro che lo faranno preci
pitare nel mare del Nulla (cap. XIX). Per ?lui?, per il poeta che sempre pi?
intensamente sentir?, soprattutto verso la fine della vita, la nostalgia per una
fede religiosa (cap. L), ? stato un gioco assai pericoloso abbracciare ? il cuscino
profumato di rose ? dello scetticismo; ? egli ? non s'era accorto, all'inizio, che
un mostro (il ? centauro ? del cap. XVI) si nascondeva ? nel cuscino ?. Qui lo
scrittore ci vuole evidentemente dire che la sua sconsolata filosofia gli si ?
trasfigurata in vaghe immagini poetiche che per? lo hanno vieppi? indotto, quasi
con amabile dolcezza, a disperare di tutto, perfino, paradossalmente, del mito
dell'arte consolatrice.
Negli ultimi capitoli Akutagawa ha ormai ceduto le armi al ? Demone della
fine del secolo ?, oscuro tormentatore di tante vittime illustri. Col barlume di
coscienza che gli resta ? egli ? ha ancora la forza di notare gli ultimi progressi
della sua malattia psichica e fisica: ? il crepuscolo della vita su cui, tra poco,
scenderanno definitivamente le tenebre.
APPENDICE
I MIRAGGI (Shinkiro)
I.
54 In Shorten (1924) e precisamente nel cap. II intitolato ?Il segreto della strada?,
Yasukichi (personaggio che rappresenta l'autore stesso) ricorda di essere stato singolar
mente colpito, nella sua infanzia, dalla vista di due solchi su una strada sabbiosa, che
poi gli era stato rivelato essere le tracce lasciate dalle ruote di un carro.
Il senso dell'infinito e del magico, per la prima volta confusamente percepito dal
bambino quattrenne, per cui le cose pi? comuni sono misteri, viene qui, in Shinkir?, a
rinnovarsi nella coscienza dell'adulto e si complica di un oscuro significato pauroso.
55 Si noti la costruzione del periodo, della quale Akutagawa sovente si serve per
ottenere particolari effetti: il sostantivo (in questo caso ? i pini ?), dapprima espresso
semplicemente senza attributi, viene subito ripreso con una specificazione (in questo caso
? i bassi pini ?).
96 La coppia ? tempi moderni ? rappresenta il mondo di coloro che hanno fiducia
nell'avvenire, mondo da cui Akutagawa si sente escluso (vedi Kare e Kare dai-ni e
Genkaku-sanb?).
II.62
60 Senso del misterioso in fatti normali. Desolazione quieta tutta risolta in immagini.
61 Accostamento di avvenimenti che sembrano sconnessi dal punto di vista della
logica quotidiana obiettiva, ma sono invece intimamente collegati nel significare un com
plesso mondo spirituale, oscuro per l'intelligenza razionale, ma vivo e reale nel sub
conscio, esprimibile solo dalla poesia.
62 In questo secondo capitolo sono evidenti le simmetrie strutturali col primo; ma
non vi trovi pi? (se non nel ricordo delle persone) veri e propri miraggi (quelli scientifi
camente definiti come tali). Si infittiscono invece le suggestioni magiche che emanano
dagli aspetti comuni della natura.
63 Si noti l'intensificarsi dei toni cupi rispetto al primo capitolo.
Intanto O. s'era accoccolato sulla sabbia battuta dalle onde e aveva acceso
un fiammifero.
? Che stai facendo? ?
? Nulla di particolare... Per?, quante cose si vedono, se appena si fa un po'
di luce! ?
O. aveva girato il capo per guardarci da sotto in su e parlava rivolto un po'
a me e un po' a mia moglie. Effettivamente la luce del fiammifero illuminav
conchiglie d'ogni specie sparse tra le alghe. O., appena la fiammella si spense,
accese un altro fiammifero e cominci? a camminare lentamente lungo la riva
? Ah, m'ha fatto paura! Mi pareva il piede di un annegato. ?
Era una scarpa da bagno mezzo sepolta nella sabbia64.
In quel punto giacevano anche grandi spugne confuse tra le alghe.
Ma appena si spense il secondo fiammifero, tutto all'intorno si fece pi? bui
di prima.
?- Per? di giorno la caccia ? stata pi? fruttuosa. ?
? La caccia? Ah, quella tavoletta? Quelle non sono cose che si trovano tutti
i giorni. ?
Decidemmo di tornare indietro, lasciandoci alle spalle il rumore ininterrotto
delle onde. I nostri piedi calpestavano talvolta anche le alghe, oltre la sabbia.
? Anche qui ci dovrebbero essere molte cose, d'ogni specie. ?
? Vogliamo accendere un altro fiammifero? ?
? Meglio di no! Oh, si sente un suono di campanelli! ?
Tesi l'orecchio. In verit? mi domandavo se si trattasse di un'allucinazione:
ne avevo avute parecchie negli ultimi tempi. Ma ora realmente un campanello
sonava da qualche parte. Mentre stavo per domandare di nuovo ad O. se anche
lui lo udiva, mia moglie, che veniva due o tre passi dietro di noi, ci disse riden
do: ? Sono i campanelli dei miei zoccoli che suonano. ?
Ma sapevo bene, anche senza volgermi, che mia moglie portava sandali di
paglia.
? Questa sera sono diventata una bambina e mi sono messa gli zoccoli
con i campanelli. ?
? Suonano nella manica della signora... Ah, ? il giocattolo di Y.chan65! E'
il giocattolo di celluloide con i sonagli ? disse O., ridendo anche lui.
Intanto mia moglie continuava a venirci dietro e camminavamo cos?, noi tre
in fila. La nostra conversazione si fece pi? animata, prendendo lo spunto dallo
scherzo di mia moglie.
Io raccontai ad O. il sogno della notte passata. Avevo sognato di parlare
con il conducente di un autocarro davanti a un edificio di nuova costruzione.
Durante il sogno ero certo di avere gi? incontrato quella persona. Ma, anche
dopo essermi svegliato, non riuscivo a ricordarmi dove era avvenuto l'incontro.
? Poi, improvvisamente, mi sono ricordato: era una giornalista, venuta ad
intervistarmi, incontrata una sola volta tre o quattro anni fa. ?
? Dunque era una donna che conduceva l'autocarro? ?
? No, naturalmente era un uomo. Solo il viso era di quella giornalista. Una
cosa vista sia pure una sola volta rimane in qualche punto del cervello e...,
chiss? come... ?
? Eh s?. Quelli che hanno un viso particolare, tale da rimanere impresso
nella memoria... ?
? Ma non mi piaceva affatto il viso di quella persona. E proprio per questo,
anzi, ripensandoci, provo un'impressione sgradevole, sinistra. Comunque si direbbe
che al disotto della soglia della coscienza esistano molte cose...66. ?
? Insomma, ? come quando si accende un fiammifero e appaiono cose d'ogni
genere. ?
Mentre cos? parlavamo, m'accorsi per caso che i nostri visi si vedevano chia
ramente. Eppure continuava a non esserci nemmeno la luce delle stelle. Provavo
di nuovo un senso di sinistra oppressione e guardavo spesso il cielo. Mia moglie
sembr? accorgersene e rispose al mio dubbio, bench? io nulla avessi detto:
? E' il riflesso della sabbia, non pensi? ?67 disse accostando le maniche del
suo kimono l'una all'altra e volgendosi a guardare la vasta spiaggia.
? Deve essere questa la ragione. ?
? La sabbia fa strani scherzi. Qualche volta infatti produce anche i miraggi...
Lei, signora, ancora non ne ha veduti? ?
? S?; pochi giorni fa... ho veduto come una cosa azzurra, niente altro. ?
? Il miraggio non ? altro che questo; l'abbiamo veduto anche noi oggi. ?
Passammo il ponte dello Hikiji: camminavamo lungo il rialzo di terra su cui
era costruito l'albergo ?Azumaya?. Le cime di tutti i pini stormivano alla brezza
che si era levata. Ed ecco venire verso di noi con passo svelto un uomo di bassa
statura. Improvvisamente mi ricordai di un'allucinazione veduta durante l'estate
scorsa. Una sera come questa un pezzo di carta attaccato a un ramo di un pioppo
mi era sembrato un elmetto. Ma quell'uomo non era un'allucinazione. Anzi, quando
gli fummo vicini, si vide lo sparato della camicia.
? Che strana spilla da cravatta! ? dissi a bassa voce; ma mi accorsi subito
che quella che avevo creduto una spilla, era la punta accesa di una sigaretta.
Mia moglie fu la prima a ridere, ma nascose la sua risatina coprendosi la bocca
con una manica. E quell'uomo ci pass? vicino senza guardarci e prosegu? rapi
damente.
? Allora, buonanotte. ?
? Buonanotte. ?
Ci separammo da O. con questo semplice scambio di saluti e proseguimmo
nella brezza che stormiva tra i pini. E nello stormire della brezza si distingueva
appena la voce dei grilli68.