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La personalità morale e poetica di Akutagawa Ryûnosuke nei suoi ultimi racconti

Author(s): Guidotto Colleoni


Source: Il Giappone , 1968, Vol. 8 (1968), pp. 49-96
Published by: Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO)

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/20750603

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Guidotto Colleoni

La personalit? morale e poetica di Akutagawa Ry?nosuke


nei suoi ultimi racconti

Premessa

Questo nostro lavoro consiste fondamentalmente in una serie di studi analitici


sui racconti dell'ultimo Akutagawa1: studi analitici che in tanto si giustificano,
in quanto vogliono esser ricondotti in ogni momento a un'interpretazione sintetica
e organica della personalit? morale e poetica dello scrittore.
Per rendere pi? evidente l'intimo nesso logico, che lega insieme i diversi mo
menti del nostro discorso critico, dovrebbero bastare i continui raffronti e richiami
che abbiamo stabilito da racconto a racconto. Tuttavia, per predisporre la mente
del lettore a una comprensione il pi? possibile chiara e sicura, premettiamo un'in
troduzione in cui si tracciano, in forma sistematica, le linee essenziali della spiri
tualit? akutagawiana, considerata, per?, dal particolare punto di vista di chi ne
studia l'ultima stagione creativa.
Ma il lettore deve sempre ricordare che la problematica morale ed estetica
dello scrittore, poeta e non filosofo sistematico, in tanto ha un significato storica
mente concreto, in quanto si oggettiva e vive in forme sempre diverse, distinte
sovente da appena percettibili sfumature dell'espressione artistica, sfaccettature
di un unico prisma, che si possono cogliere solo aderendo strenuamente ai testi.
Cos?, fin dall'inizio, diamo ragione del metodo, sintetico ed analitico ad un
tempo, della nostra trattazione.

In appendice presentiamo un'opera esemplare dell'ultimo Akutagawa, tradotta


da noi direttamente dal testo originale giapponese. Abbiamo scelto Shinkiro, che ?
un perfetto capolavoro, a cui abbiamo anche dedicato uno studio particolarmente
approfondito.

1 Cio? gli ultimi trentuno sh?setsu da Daid?ji Shinsuke no hansei (1924) ad Aru ?h?
no issh? (1927), esclusi gli sh?hin e gli zuihitsu.

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50 Guidotto Colleoni

Introduzione

I. Akutagawa nel clima del Decadentismo.

L'opera di Akutagawa Ry?nosuke ? ancora superficialmente e parzialmente


conosciuta in Occidente.
Sono stati tradotti sia da Giapponesi sia da Occidentali in varie lingue europee
non pochi dei suoi racconti. Ma basta scorrere rapidamente i titoli di tali tradu
zioni per accorgersi che prevalgono i racconti di argomento storico, o in ogni caso
di ispirazione pi? propriamente oggettivo-realistica, i componimenti caratteristici
del primo Akutagawa per intenderci.
Poco o nulla si conosce invece, da noi, dell'ultima creazione artistica dello
scrittore; della quale appunto si vuole qui discorrere. E questo saggio critico
vorrebbe essere anche un invito alla lettura di opere, che, oltre alla loro intrinseca
validit? estetica, hanno un notevole significato storico non solo nei limiti della
moderna letteratura giapponese, ma anche come espressione di idee particolar
mente vivaci, feconde e significative nelle letterature del mondo occidentale dei
primi decenni del secolo XX.
Ci? meglio si comprende, se si tiene presente che di tutti gli scrittori giapponesi
dell'era Taish? (1912-1926) Akutagawa ? quello che meglio ha saputo innestare
sul tronco della cultura nazionale gli elementi vitali della cultura occidentale:
quindi l'opera di questo scrittore dell'Estremo Oriente pu? anche essere senz'altro
definita una manifestazione potente della ?nostra? spiritualit?, di noi uomini
del XX secolo a prescindere dalle varie nazionalit?.

I due critici giapponesi Hori Tatsuo e Sat? Haruo hanno avuto ragione di
dire che Akutagawa percorre una via che comincia con M?rim?e e finisce con Strind
berg (ben s'intende, si tratta dello Strindberg allucinato di Inferno e della Via
di Damasco). Questa maniera di dire deve essere intesa, per?, con discrezione,
come tutte le maniere di dire che pretendono di definire un fatto culturale con
un'ingegnosa e breve figura tale da colpire la fantasia del lettore.
Naturalmente, come l'Akutagawa decadente ? realista ? delle prime opere non
sente solo l'influsso di M?rim?e, ma anche di molti altri, (Balzac, Flaubert, Mau
passant, France, i fratelli Goncourt, Poe, Tolstoj, Mori ?gai, Natsume Soseki ecc.),
cos? l'ultimo Akutagawa decadente-simbolista non si limita ad accogliere in s? le
suggestioni del solo Strindberg, ma anche ascolta e fa suo il messaggio di Baude
laire, Mallarm?, Rimbaud, Verlaine, Wilde, forse di Pirandello e, tra i Giapponesi,
di Shiga Naoya, il maestro del racconto autobiografico2.
E' vero, per?, che l'influsso di Strindberg appare particolarmente forte ed
evidente nelle ultime opere di Akutagawa. Si direbbe che lo scrittore giapponese
abbia trovato nello scrittore svedese un fratello spirituale. In Haguruma il nome
di Strindberg ? dato addirittura a un personaggio, che ? al limite tra la realt? e
il sogno.

2 Per l'importanza della lezione di Shiga nelle opere akutagawiane vedi soprattutto
Daid?ji Shinsuke no hansei, Shinkiro e Haguruma.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 51

I due scrittori, minati dalla neuropatia, vissuti in un tempo di crisi di tutti


i valori morali e intellettuali, ricercano un punto di approdo, che non trovano.
Sentono la crisi spirituale quasi come una malattia, una peste fisica3; sentono
la nostalgia della fede religiosa, il fascino del misticismo, della magia, del simbo
lismo; neirultimo periodo della loro vita sono ossessionati dalle presenze demo
niache (come non pensare a Poe?); hanno in comune anche alcuni atteggiamenti
satirici e certe concezioni politico-sociali.
Per entrambi a un certo momento ?non c'? pi? che un solo personaggio,
l'autore stesso lottante contro le potenze occulte, simboli dell'impossibilit? di vivere
con e per gli altri: castigo per chi ha anteposto la ragione alla fede ?4.
Profondi, ma meno evidenti a prima vista, sono gli influssi di Baudelaire
e di tutto il simbolismo francese nell'ultimo Akutagawa. Baudelaire soprattutto
esercit? su di lui un grande fascino. In un solo verso del poeta francese egli
trovava tutto quel vastissimo significato che non riusciva pi? a trovare negli
scrittori veristi, n? occidentali n? giapponesi, che, troppo sicuri di s?, troppo
fermamente convinti di poter compiutamente intendere e dominare la realt?, si
fermavano al dato esteriore e non sapevano cogliere col sentimento la suggestione
delle cose intellettualisticamente inesprimibili.
Dice Baudelaire in Fus?es: ? Dans certains ?tats de l'?me presque surnaturels,
la profondeur de la vie se r?v?le toute enti?re dans le spectacle, si ordinaire qu'il
soit, qu'on a sous les yeux. Il en devient le symbole ?.
Anche Akutagawa negli ultimi anni della sua vita5 cerc? di auscultare con
rinnovata sensibilit? e in maniera del tutto personale le misteriose risonanze che
vibrano nel fondo tenebroso della coscienza, sollecitata dagli spettacoli naturali.
E veramente baudelairiano ? il suo culto dell'arte come superstite valore che
giustifica la vita.

Ci siamo soffermati soprattutto sui rapporti tra Akutagawa e Strindberg e


Baudelaire, perch? essi ci sembrano particolarmente significativi e importanti e
ci permettono di concludere riaffermando che lo scrittore giapponese, pur cos?
originale anzi unico, fu, tutto, uomo del suo tempo, vivente e dolorosa espressione
della profonda crisi spirituale che travagli? gli uomini colti di tutto il mondo tra
la fine dell'Ottocento e il primo Novecento (e che non si pu? dire abbia avuto
ancora una vera soluzione!).
Si deve dire, d'altra parte, che i Giapponesi, per nativa disposizione d'animo
e per eredit? culturale sensibilissimi di fronte alle suggestioni emananti dagli spet
tacoli naturali, erano singolarmente ben preparati ad accogliere la poetica deca
dente-simbolistica 6.

3 Akutagawa arriva a sentirla, la crisi spirituale, quasi tangibilmente nella Presenza


del ?Demone maligno della fine del secolo?: vedi Mitsu no mado, Haguruma e soprat
tutto Anch?-mond? e Arn ah? no issh?.
4 Vedi G. Oreglia: Strindberg - II meglio del teatro, Torino 1951.
5 Ma ci sono notevoli anticipazioni di questi stati d'animo anche in alcuni suoi rac
conti degli anni precedenti: per esempio, Mikan e Numachi (1919).
6 Negli studi su Daid?ji Shinsuke no hansei e su Shinkir? accenniamo ad alcuni
caratteri della sensibilit? giapponese riconoscibili in Akutagawa.

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52 Guidotto Colleoni

II. Vevoluzione del pensiero di Akutagawa.

La Weltanschauung di Akutagawa appare fondalmente e irrimediabilmente


pessimistica e scettica sin dall'inizio. Egli sente la vanit? e la falsit? di tutte le
umane istituzioni e attivit? (lavoro, politica, guerra, amore, religione ecc.). Multi
formi e contraddittori sono per lui gli aspetti della conoscenza: quindi ? impossi
bile conoscere intellettualmente un reale obiettivo e coerente (Yabu no naka, 1921).
Impossibile conoscere noi stessi e gli altri: siamo condannati all'inferno della soli
tudine (Kodoku-jigoku, 1916), in cui ? vano sperare una vera comunione di affetti,
neanche con le persone che pi? vorremmo amare7.
Impossibile stabilire i complessi moventi delle nostre azioni (Kesa to Morit?,
1918; Hankechi, 1916). Che valore conoscitivo ha dunque il materiale di cui si ser
vono gli storici per le loro compilazioni pretenziose, se di nulla possiamo esser
certi? L'importante ? scrivere una bella ? storia ?, sia pure con elementi irreali
(Saig? Takamori, 1917).
Nel crollo di tutti i valori etici e gnoseologici, come in molti altri scrittori
decadenti, cos? anche in Akutagawa si salva l'arte; ma per lui solo temporanea
mente. La vita si giustifica nell'attivit? estetica, che opera nell'anima una tran
quillante catarsi; ma, quando nell'artista sar? venuta meno anche la fiducia nelle
proprie capacit? di creazione spirituale, non rester? che la morte (Haguruma, 1927;
Aru ah? no issh?, 1927). Tuttavia gli stessi dolori umani fanno credere che
qualcosa esista che vada al di l? dei nostri sensi: nell'ultimo Akutagawa oscure
Forze maligne, quasi Presenze demoniache, incombono sempre pi? minacciose e
inesorabili e sembrano concretarsi in terribili allucinazioni (Shinkir?, 1927; Ha
guruma 1927; Anch?-mond?, 1927). L'infelice disperato sente fortissima la nostalgia
per la fede religiosa, soprattutto cristiana; ama il ? suo Cristo ? e vorrebbe credere
in Lui come gli uomini del medioevo; ma invano: egli ormai non pu? pi? credere
che nel Male. E' destino degli scettici contraddirsi: non possono credere nella
Luce e finiscono col credere nelle Tenebre (cfr. Haguruma, 1927).

Il vano anelito ad una fede veramente consolatrice si accompagna e si alterna


negli ultimissimi racconti di Akutagawa a un atto di umilt? intellettuale: in
Haguruma e soprattutto in Anch?-mond? e Aru ah? no issh? egli arriva a rinne
gare certi orgogliosi miti del Romanticismo eroico e insiste soprattutto nella rap
presentazione poetica delle sue personali, terribili angosce, quasi rinunciando a
dimostrare la validit? assoluta delle sue idee. Potr? altri trovare una liberazione
e un acquietamento? Egli non pu?8.
E ancora della sua disperazione egli continua a ricercare le cause psicologiche,
quasi fisiologiche, quando ripetutamente afferma che, oltre la responsabilit? per
sonale, altri tre sono i fattori che determinano il destino dell'uomo: ereditariet?
(la madre di Akutagawa mor? pazza e ci? pes? come un incubo sulla vita dello
scrittore), ambiente e caso fortuito. Qui, in questa volont? di indagare un fatto

7 A volte ci consoliamo di questa incapacit? pratica di comunicare i nostri sentimenti,


vagheggiando affettuosamente i morti o gli assenti (Kare e Kare dai-ni, 1926; Tenkibo, 1926).
8 A questo proposito sarebbe istruttivo un confronto col Dialogo di Tristano e di
un amico di Leopardi.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 53

naturale con scientifica obiettivit?, ? da vedere, da una parte, ancora un atto


di umilt? e, dall'altra, un tributo pagato a certe idee del positivismo.

Quali furono le idee politiche di Akutagawa? Egli dichiar? sempre apertamente


la sua simpatia per i movimenti in difesa del proletariato; non poteva per? credere
che gli uomini avessero la capacit? di creare il benessere universale, se voleva
mantenersi davvero coerente al suo pessimismo. D'altra parte affermava di non
avere ? passione ? per l'azione pratica rivoluzionaria. E come poteva avere pas
sione per un ideale pratico egli che si sentiva sempre pi? alienato dalla vita,
spiritualmente moribondo, come il suo personaggio Genkaku (Genkaku-sanbo,
)2 ) Akutagawa inoltre si sapeva artista e giudicava debilitante l'attivit? artistica
per un rivoluzionario. Per lui la risoluzione estetica di un sentimento distacca
da tale sentimento, tranquillando lo spirito e quindi spegne qualsiasi ardore com
battivo che stimoli all'azione efficace (vedi Kare e Kare dai-ni, 1926; e soprattutto
Genkaku-sanbo, 1927).

Come si vede, abbiamo delineato non proprio una filosofia sistematicamente


espressa, ma, pi? esattamente, una storia di travagli di un'anima sensibilissima,
che, gi? convinta fin dai primissimi anni del male del vivere, si nega a poco a
poco qualsiasi consolazione (affetti familiari, arte, religione) e arriva alla dispe
razione che ben si pu? definire incapacit? di vivere9.

III. L'evoluzione delle forme della narrativa akutagawiana.

Come ? noto, la produzione letteraria di Akutagawa comprende un grande


numero di racconti (circa 100), oltre i saggi, i pensieri sparsi, le poesie ecc. La
sua carriera letteraria comincia nel 1915-16 con la pubblicazione dei racconti Rash?
mon e Rana, che ottennero grande successo, e termina con Aru ano no issh? (1927),
specie di testamento spirituale, scritto quando l'autore aveva ormai stabilito il
suicidio, e pubblicato postumo. Il genere narrativo ? la forma in cui si ? compiu
tamente espresso il genio di Akutagawa. Ma ? una forma narrativa che parte dal
racconto per approdare all'antiracconto, dal ? realismo ? oggettivo delle novelle
storiche al ? realismo magico ? delle ultime visioni.
Si suol definire Akutagawa un realista ? tout court ?. Ora tale insufficiente
definizione non pu? convenire che ai racconti della sua prima maniera, che, d'altra
parte, a ben guardare, nella loro apparente obiettivit?, non sono che allegorie del
mondo interiore dello scrittore. Egli stesso, in un suo scritto teorico (Ch?k?-d?
zakki), ci parla delle ragioni del suo interesse per certi fatti e personaggi della
storia antica e-anche relativamente recente: gli occorreva, per una compiuta elabo
razione artistica uno sfondo credibile e, nello stesso tempo, straordinario e distac

9 Bisogna anche dire che i gravi disturbi fisici, soprattutto nervosi, di cui lo scrittore
soffr? negli ultimi anni furono senza dubbio fra le immediate cause principali del suo
suicidio.

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54 Guidotto Colleoni

cato dalla banalit? quotidiana, proiettato in un mondo remoto e pure accettabile,


su cui disegnare e sviluppare un tema umano; si doveva creare cos? un'atmosfera
in cui i moderni potessero respirare a proprio agio ritrovando la propria umanit?.
Come ha ben visto Yoshida Seiichi10, Akutagawa non ha voluto semplicemente
far rivivere et? passate per intenderne il significato storico e neppure presentare
complessi studi psicologici di personaggi da noi lontani; bens? ha creato sempre
? situazioni ?, ambienti, stati d'animo, tali da provocare profonde e misteriose
risonanze nello spirito degli uomini del nostro tempo: ? situazioni ?, ambienti,
stati d'animo, che gi? sono, come s'? detto, immagini del mondo interiore dello
scrittore11.
Per il quale, per?, ben si vede, non poteva essere che provvisoria tale maniera
di esprimersi in una forma, in cui, sia pure in apparenza, non entrava quasi mai,
direttamente, il personaggio ? io ?. La crisi del naturalismo, la caduta di ogni fede
nella validit? assoluta della cognizione intellettuale aveva operato anche in
Akutagawa, che, a un certo punto, ? non ha quasi pi? il tempo di guardare all'ester
no, ma volge sempre pi? esclusivamente l'occhio in se stesso ed avverte un oscuro
sfacelo ?. Bisogna ancora dire che uno dei generi pi? vivaci della nuova letteratura
giapponese fu appunto il racconto autobiografico. Scrivere di s? fu una moda che
piacque e si diffuse: in molti nasceva dal semplice desiderio di conservare in
qualche maniera tutti i particolari, fin le minuzie insignificanti della vita quoti
diana, gusto che secondo D. Keene12 ha qualche rapporto ? with the extraordinary
craze for the camera in Japan?. Non occorre dire che, se Akutagawa si decise,
anche lui, a parlare direttamente di s?, ci? avvenne, nel suo caso, non per frivola
ubbidienza a una moda, ma per un imperioso e serissimo bisogno spirituale.

Lo scrittore, abbandonando progressivamente il racconto storico, si volge dun


que al racconto ispirato alla comune vita contemporanea; e comincia a trattare
un materiale che si fa sempre pi? palesemente autobiografico13, adottando infine,
per alcuni componimenti, una tecnica narrativa, in cui la struttura del racconto
tradizionale, costituito da un intreccio romanzesco, non ha pi? alcuna importanza,
ed esprimendosi con una lingua che diviene sempre pi? semplice, pi? spoglia, a
volte quasi dimessa14.

10 Vedi Yoshida Seiichi: Akutagawa Ry?nosuke no sh?gai to geijutsu (Vita e arte di


Akutagawa Ry?nosuke) in Akutagawa Ry?nosuke armai, T?kyo, 1955,
11 Qui possiamo esplicitamente stabilire una profonda differenza tra Akutagawa e i
veri e propri realisti: questi credono nel mondo oggettivo e pretendono di rappresentarne
la materialit? quasi scientificamente; egli invece, anche nei racconti storici, anche in quelli
pi? apparentemente obiettivi e ? veristici ?, ha voluto rappresentare o, meglio, far sentire
al lettore il tremito indefinibile dell'anima, percepito come religioso orrore ohe spiri
dalle cose.
12 Vedi D. Keene, Modem Japanese Literature, New York, 1956.
13 Come data approssimativa dell'inizio di questa nuova e ultima forma d'espressione
akutagawiana si pu? segnare il 1924-25. Ma occorre ricordare che i primi indizi di rinno
vamento gi? si vedono in alcuni racconti degli anni immediatamente precedenti, cio? i
cosiddetti Yasukichi-mono, nei quali lo scrittore parla piuttosto estesamente di se stesso,
pur sotto il velo del nome finto. Vedi appresso, nello studio su Daid?ji Shinsuke no
hansei (dicembre 1924), la nostra discussione sull'opportunit? di fare cominciare con
questo racconto l'ultimo periodo dell'attivit? creativa di Akutagawa.
14 E' istruttivo, a questo proposito, il confronto con lo stile elaborato, ricercatamente
letterario dei suoi primi racconti.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 55

Tale ? l'ultimo Akutagawa, sorretto da una rinnovata poetica che accetta la


?banalit?? quotidiana e pu? fare a meno del fatto straordinario. Il racconto
storico ? metafora allegorica del proprio mondo interiore ? aveva minacciato
di divenire un velo troppo spesso, quasi un muro che avrebbe finito col far per
dere il contatto con l'anima dello scrittore. Il quale tuttavia, come vedremo, non
volle mai rinunciare del tutto al gusto della rielaborazione di materiale offertogli
dalla sua esperienza culturale. La linea dell'evoluzione letteraria akutagawiana non
? facile da tracciare non solo per le anticipazioni, ma anche per i frequenti ritorni.

Ci possiamo domandare perch? Akutagawa non abbia, a un certo momento,


scritto soltanto poesie, lasciando definitivamente il genere narrativo. Ha un
senso questa domanda? Ad ogni modo possiamo rispondere che le strutture del
racconto in prosa ottimamente si confacevano alla sua personalit? di narratore
nato, dotato di uno spirito raziocinante che lo faceva divenire critico degli uomini
e della loro societ? (vedi Kappa, 1927), assillato dall'esigenza di una visione che
fosse tanto pi? concreta e persuasiva e limpida, quanto pi? l'argomento da trattare
si presentava vago e inafferrabile, interessato a ? situazioni ? non statiche, ma
dinamiche, cio? tali da presentare complessi sviluppi.

Gli ultimi trentuno racconti di Akutagawa


da Daid?ji Shinsuke no Hansei a Aru Ah? no Issh?

1. Il disegno ideale del costituirsi dell'eroe romantico-decadente1*.

Daid?ji Shinsuke no hansei (Met? della vita di Daid?ji Shinsuke). Sottotitolo:


Aru seishinteki fukeiga (Pittura di un paesaggio spirituale), dicembre 1924.
Pu? sembrare arbitrario segnare un termine preciso come inizio dell'ultimo
periodo dell'attivit? creatrice di uno scrittore, la cui carriera letteraria ammette
notevoli anticipazioni e ritorni. Si potrebbe, effettivamente, obiettare che anche
negli Yasukichi-mono (ossia nei racconti in cui ? protagonista Horikawa Yasu
kichi) e in altri racconti, nei quali appaiono memorie personali16, era stato trat
tato da Akutagawa materiale autobiografico. Ma a queste obiezioni si risponde
facilmente che, mentre i precedenti racconti autobiografici consistevano soprat
tutto in elaborazioni lirico-narrative di memorie frammentarie (strani incontri,
stati d'animo fugaci, occasionali riflessioni morali)*, nei sei capitoli di Daid?ji
Shinsuke no hansei si tenta invece per la prima volta, da parte dell'autore, di dare
un quadro generale, compiuto in ogni parte, dell'esperienza intima, morale ed
estetica di un adolescente nervoso e sensibile ? Shinsuke ? che evidentemente

15 Per un criterio di sinteticit? organica abbiamo delineato in brevi compendi le


caratteristiche pi? significative di ogni racconto, cercando di rilevare l'arco evolutivo
delle ultime creazioni narrative akutagawiane.
16 Si pensi, per es., a Mikan, che ? del 1919, e al precedente Ano koro no jibun no koto.

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rappresenta l'autore stesso. Il quale sente il bisogno di presentarsi e di farsi


giudicare. L'opera non ? tuttavia finita: Akutagawa in una nota aggiunta avverte
che quel che ha scritto ? solo un terzo o un quarto di quel che aveva avuto inten
zione di scrivere.
Consideriamo ora il contenuto di questa ?pittura di un paesaggio spirituale?
nelle sue parti pi? significative.

Shinsuke ? nato in un quartiere povero di Tokyo: botteghe squallide, strade


fangose, canali maleodoranti e melmosi. Malinconica la vita in un tale quartiere.
Eppure Shinsuke lo preferiva a qualsiasi altro luogo, che sarebbe stato per lui
ancora pi? opprimente. Shinsuke non amava la lieta e serena natura delle praterie
fiorenti e dei boschi ombrosi; non amava la campagna: non amava, insomma,
quella comunemente giudicata ?bella natura?, in cui egli trovava piuttosto i lati
pi? brutti. Non lo soddisfaceva, per altro, neppure la natura selvaggia, che lo
rendeva inquieto. Gli erano care invece quelle poche erbe stentate, che fiorivano
sui tetti delle case dei suoi vicini e le nuvole che si specchiavano nelle pozzan
ghere: angoli di vita naturale insinuatisi nel mondo cittadino17. Shinsuke, pur
amando il suo quartiere povero, detestava la povert? della sua famiglia, che lo
obbligava a privarsi di libri, vestiti ecc., e invidiava gli amici che potevano procu
rarsi tutte queste cose. Ma egli non voleva riconoscere di essere invidioso e geloso,
perch? li disprezzava, questi amici. Disprezzava specialmente suo padre, di cui
considerava freddamente la calvizie e la bassa statura, e se ne vergognava. E si
vergognava di se stesso, della propria bassezza d'animo di figlio empio. Ma non
poteva non essergli odioso questo padre superficiale, rozzo e incolto, che predi
cava principi militaristici e nazionalistici, pretendendo di atteggiarsi a uomo di
alta moralit?. Shinsuke era costretto a piccoli inganni, a piccoli furti ai danni della
famiglia, per potersi comperare libri e riviste. Egli si sentiva avvilito per tali
azioni meschine e nello stesso tempo se ne compiaceva: il piacere di avere ucciso
un dio !18. L'odio, sordo, cupo e doloroso contro la falsit? e le stolte coercizioni
era il sentimento predominante di Shinsuke; ma pure le tenebre dell'anima sua
erano talvolta rischiarate da alcune gioie ? brillanti successi scolastici, ammira
zione da parte di un amico ? gioie che erano come ? raggi di sole che filtrassero
da un cielo nuvoloso ?19.
Shinsuke, pur cos? amante dello studio, detestava anche la scuola: detestava
soprattutto le coercizioni disciplinari e il nozionismo meschino e inutile e la gret
tezza spirituale della maggior parte degli insegnanti, da cui era giudicato effemi
nato, frivolo ed arrogante, perch? apprezzava la forza spirituale pi? di quella
fisica, perch? amava il bello senza tener conto dell'utile materiale, perch? non
temeva di dire apertamente le proprie opinioni di fronte a tutti.
Il ragazzo scontroso e spiritualmente contorto non sapeva, per?, neppure cor
rispondere alla simpatia che gli dimostravano alcuni insegnanti pi? sensibili e

17 Una sensibilit? simile troviamo in Baudelaire.


18 L'analisi che l'autore fa di s? ? fredda e approfondita: egli vuole apparire spietato
anche contro se stesso. Si noti la violenza del ribelle che gode di violentare le cose giudi
cate pi? sacre; ma questa stessa furia distruttrice tradisce un profondo interesse per le
cose che si odiano!
19 Questa immagine di luqe che rompe, sia pure per un momento, le tenebre era gi?
nel racconto Samusa, che precede di pochi mesi Daid?ji Shinsuke no hansei, ed efficace
mente rivela quanto Akutagawa fosse assetato di simpatia umana.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 57

intelligenti. D'altra parte una vera e propria confidenza umana era resa impossi
bile dalle responsabilit? dell'insegnamento. La passione per i libri, nata in Shin
suke indipendentemente dalla scuola, era incominciata quando, ancora bambino,
egli aveva scovato nella biblioteca domestica un libro cinese di avventure di ban
diti, che lo aveva entusiasmato facendogli sognare imprese eroiche.
Shinsuke la vita l'ha osservata sempre attraverso la letteratura: per inten
dere i sentimenti degli uomini non aveva che i libri. Leggeva i romanzi e
i drammi che avevano prodotto le letterature dell'Europa della fine del seco
lo XIX (prima adesione al realismo); e scopriva la propria anima incapace di
distinguere tra il bene e il male (nota tipicamente decadente). I libri gli hanno
insegnato anche a sentire la bellezza della ? natura ?20. Soprattutto gli haiku della
grande fioritura letteraria giapponese tra la fine del secolo XVII e il principio
del XVIII gli hanno reso pi? viva la sua attitudine a cogliere messaggi di miste
riosa poesia dalle cose che ci sono attorno21.
Anche la bellezza della donna gli era apparsa attraverso la letteratura (Gautier,
Balzac, Tolstoj). S?, perch? la realt? cruda e obiettiva era bassa e volgare. La
bellezza ? nella trasfigurazione letteraria.
L'ultimo capitolo di Daid?ji Shinsuke no hansei ? intitolato Tomodachi (Gli
amici). Shinsuke desiderava per amici solo coloro che avessero doti spirituali no
tevoli, solo gli avidi di conoscenza: non gli importava che fossero persone per
bene: disprezzava gli onesti imbecilli e li scherniva. Egli amava gli intelligenti e
tuttavia arrivava anche a odiarli per la loro altera sicurezza di s?. Ma odiava
soprattutto coloro che appartenevano a classi sociali superiori alla sua. E non li
detestava soltanto perch? erano pigri o codardi o sensuali, ma anche per qualcosa
che non sapeva definire. Shinsuke, d'altra parte, sentiva simpatia e si rattristava
per le classi infime, anche se qu?sta simpatia era del tutto inutile.
Il capitolo si chiude con un episodio che presenta in azione la crudelt? dei
ricchi che si divertono a provocare la miseria degli umili.

Il racconto, se cos? si pu? chiamare, fu accolto con favore dalla critica del
tempo22. Piacque che Akutagawa si fosse finalmente deciso a introdurre se stesso
come protagonista nella sua opera letteraria e, soprattutto, che si fosse tolto la
maschera mostrandosi a nudo. Era infatti allora prevalente, come abbiamo veduto,
la moda letteraria del racconto autobiografico. Venne subito spontaneo fare un
paragone tra l'uomo Akutagawa e il personaggio Shinsuke. E si intravide, con
delusione da parte di qualcuno, che doveva esserci una differenza.
Noi ora possiamo giudicare molto ingenua la pretesa di trovare un'identit?
assoluta tra la persona pratica dell'autore e la sua creatura fantastica; ma tanta
era allora la smania dell'autobiografismo minuzioso e pedante!

20 Sappiamo che la natura che piaceva a Shinsuke non era l'aperta campagna, non
scene agresti o pastorali, ma la squallida e grigia ? natura ? del suo quartiere.
21 Non sfugga l'importanza di questa esperienza culturale. Lo scrittore, formato pre
valentemente sulle letterature europee della seconda met? dell'Ottocento, qui rivela anche
di avere molto amato alcune forme della letteratura del suo paese. E, in verit?, l'attitudine
a sentire negli spettacoli naturali, anche nei pi? comuni e quotidiani, delicatissime sug
gestioni di poesia e la capacit? di comunicarle al lettore con grande sobriet? di mezzi
apparentano in qualche modo Akutagawa a molti poeti della letteratura giappo
nese classica.
22 Vedi la conversazione critica su Daid?ji Shinsuke no hansei apparsa nel numero
del febbraio del 1925 della rivista Shinch?.

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58 Guidotto Colleoni

In realt? Akutagawa non ha voluto compilare un diario fotografico, aderente


scrupolosamente ad una realt? materiale ed inerte, bens? ha scelto accuratamente
certe memorie della sua infanzia e adolescenza, che, elaborate e trasfigurate se
condo il suo credo morale e artistico, gli sono servite per ? dipingere ? questo
personaggio di Shinsuke, figura ideale ed esemplare di eroe ribelle dei nuovi tem
pi: decadente nichilista e scettico23, nemico delle convenzioni sociali, estraneo al
l'ambiente in cui si trova a vivere, turbato anche da intime contraddizioni; e
tuttavia strenuamente fedele a un suo ideale, cio? al culto dell'intelligenza e
dell'arte24.
E anche la disposizione delle parti dell'opera dimostra che Akutagawa ancora
una volta volle comporre artisticamente. I sei capitoli sono costruiti secondo
uno schema costante: all'esposizione dei caratteri fondamentali dell'educazione del
protagonista seguono episodi che lasciano nella mente del lettore un'impressione
particolarmente vivace: su uno sfondo grigio e squallido si accendono ogni tanto
colori intensi, caldi e luminosi, che sono una riprova della ricca umanit? dell'autore.

2. Ironia e piet?. L'autore torna a celarsi nei suoi personaggi.

a) So shun (Principio di primavera), gennaio 1925.

Il giovane Nakamura attende invano, in un museo zoologico, la sua amante.


Akutagawa qui narra un avvenimento che non riguarda direttamente la sua
persona. Solo verso la fine interviene il personaggio di Yasukichi, (che impersona
lo scrittore stesso), il quale commenta ironicamente e con distacco ci? che ?
avvenuto all'amico Nakamura.
Spunti di satira ironica del romanzo d'amore convenzionale si possono, d'altra
parte, ritrovare anche in un'altro racconto akutagawiano, Aru ren'ai sh?setsu
(1924), di cui senza dubbio lo scrittore si ? ricordato quando compose S?shun:
alcuni caratteri attribuiti alla donna sono comuni nei due racconti.
Un ritorno alla precedente tecnica? Cos? sembrerebbe. Effettivamente Akuta
gawa osserva la realt? da diversi punti di vista, tornando anche sul gi? fatto, per
meglio approfondire le sue intuizioni del mondo e di se stesso. Ed egli si rinnova
arricchendo sempre di pi? la sua sensibilit? e trovando per essa un'espressione
sempre pi? diretta ed aperta.
In S?shun i sentimenti e le riflessioni del protagonista si fondono con l'atmo
sfera che vibra nell'ambiente: si stabilisce come una corrispondenza ideale tra i
rettili esposti nelle vetrine, gli uccelli impagliati, le vaste sale semibuie del museo,
gli scorci di paesaggio esterno da una parte e i pensieri di Nakamura dall'altra:

23 Sotterraneo, pudicamente contenuto, circola tuttavia in Daid?ji Shinsuke no hansei


un desiderio nostalgico di amore romantico. Significativo, a questo proposito, l'interesse
dell'adolescente protagonista per lo scrittore Kunikida Doppo, incline ad abbandonarsi
nelle sue opere a toni patetici e sentimentali.
24 Non ? arbitrario ritrovare in tale atteggiamento spirituale l'influenza di un supero
mismo intellettuale di tipo nietzschiano-strindberghiano: ? significativo che il libro tanto
caro al protagonista di cui si parla nel cap. V di Daid?ji Shinsuke no hansei sia proprio
il Cos? parl? Zarathustra di Nietzsche.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 59

cose, che sono disparatissime secondo una logica quotidiana, finiscono col con
correre a dare risalto e compiuta espressione poetica a sentimenti umani flut
tuanti e difficilmente definibili.
La mano dell'artista ? qui felicemente leggera, pi? che altrove. Il suo scetti
cismo ironico e disincantato, escluso di proposito ogni tono drammatico, non
opprime minimamente il lettore. Racconti come S?shun sono come riposanti oasi
di tranquilla attivit? creativa, in cui l'autore ha potuto tenere a freno i terribili
mostri dell'angoscia che lo assediavano. Al lettore stesso sembra, per un mo
mento, di uscire da un'atmosfera di incubo.

b) Urna no ashi (Le zampe di cavallo), gennaio 1925.

Lo spunto di questo racconto ? senza dubbio tratto dal Naso di Gogol e, forse,
dalla Metamorfosi di Kafka, se Akutagawa ne ebbe notizia, come alcuni credono
probabile.
Un impiegato di una societ? commerciale, Oshino Hanzabur?, muore in Cina
improvvisamente. Si presenta (sic!) in un ufficio che ha tutte le apparenze di un
ufficio qualunque (se non fosse il fatto che non si vede nulla fuori della finestra).
Un impiegato, dopo aver consultato i suoi registri, s'accorge che c'? stato un di
sguido. Si aspettava l'arrivo di un altro: cio? al posto di Oshino doveva morire
il signor Henry Barrett. Il guaio pi? grosso ? che intanto le gambe del povero
Oshino sono gi? andate in putrefazione (e lui non se n'era accorto!) e bisogna
sostituirle. Non si fa in tempo a far venire le gambe di H. Barrett, ancora vivo e
attualmente in viaggio per Han-k'ou. Bisogna affrettarsi prima che tutto il resto
del corpo vada in putrefazione. Finalmente, nonostante le proteste del malca
pitato, ci si rassegna a sostituire le gambe marcite con zampe di cavallo.
Cos? Oshino risuscita e viene festeggiato da tutti. E ricomincia la sua vita,
difficilissima. Si affanna il povero impiegato per nascondere ai colleghi, agli amici,
alla moglie i suoi eccezionali arti: si immaginino gli espedienti e i sotterfugi. Se
nonch? le gambe di Oshino si vanno facendo sempre pi? indipendenti e capricciose:
hanno spesso voglia di sparar calci, risentono del tempo atmosferico. Soprattutto
quando soffia il vento che viene dal deserto della Mongolia, esse divengono terri
bilmente inquiete: il cavallo a cui erano appartenute era stato di razza mongola.
E un brutto giorno, durante una tempesta di sabbia, Oshino non pu? pi? tratte
nere le sue gambe e fugge di casa, lasciando la moglie esterrefatta.
La notizia fa scalpore nella citt? di Pechino. Si giudica dai pi? che la causa
della fuga dell'impiegato sia un improvviso accesso di follia: veramente irrespon
sabile quest'uomo che si permette il lusso di impazzire ! (Cos? si legge in un
giornale).
Un giorno un uomo lacero e stanco bussa alla casa di Oshino, dove la moglie
Tsuneko vive una vita malinconica e solitaria. Ella riconosce nell'uomo il marito
e sta per abbracciarlo, ma, intravedendo le zampe di cavallo dagli sdruci dei
calzoni, indietreggia inorridita; vorrebbe vincersi, ma non pu?. L'uomo capisce e
si allontana rassegnato.
Nessuno crede a quel che ? avvenuto a Tsuneko.
Notizia interessante pubblicata nello stesso giornale che ha annunziato la risur
rezione di Oshino: un uomo ? morto improvvisamente, mentre era in treno, diretto
a Han-k'ou. Il nome dell'uomo: Henry Barrett. Teneva in mano un flacone per

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60 Guidotto Colleoni

medicinali. Veleno? Suicidio? Non sembra: all'analisi il liquido contenuto nel


flacone ? risultato essere alcool.

In questo racconto cose straordinarie vengono descritte e narrate con grande


semplicit?. I personaggi sono comunissimi: il magico e lo straordinario si inseri
scono con grande naturalezza nel quotidiano.
Dal contrasto tra l'umorismo ironico distaccato del tono della narrazione e
l'obiettivo orrore della tragedia del protagonista l'artista fa emanare un senso di
grave squallore, che si va progressivamente incupendo. Sembra possibile, all'inizio,
un compromesso per la continuazione della vita sociale dell'uomo con le zampe
di cavallo; ma le necessit? di ogni giorno rendono sempre pi? insostenibile la
finzione: ? come una malattia che progredisce inesorabilmente. Impossibile non
pensare a Kafka: diremmo che Akutagawa si trovi qui tra Gogol e Kafka:
l'umorismo potrebbe essere paragonato a quello dello scrittore russo; ma l'atmo
sfera grigia e oppressiva ? veramente vicina a quella che spira dalle opere del
narratore di Praga.
Akutagawa cerca di non rivelare direttamente la sua piet? per il protagonista:
i fatti sono pietosi. Basti pensare alla danza grottesca, a cui ? costretto Oshino
dalle sue gambe capricciose, descritta con tono leggero e vista con estrema obiet
tivit?; eppure non pu? non sorgere in noi un insieme di orrore e piet?.
In pi? punti del racconto l'ironia dell'autore si manifesta anche nella satira
mordace della rettorica dei discorsi ufficiali e, in genere, delle convenzioni sociali.
Ricordiamo, per es., il giornale in cui si afferma che non si ha diritto di impaz
zire: ? da irresponsabili, non ? patriottico! E sembra anche ironica la descri
zione di Tsuneko, donna estremamente comune, moglie di un comunissimo im
piegato.
In generale c'? qualcosa di stilizzato nel comportamento dei personaggi che
qui, di proposito, l'autore non vuol caratterizzare profondamente. A lui importa
soprattutto rappresentare o, meglio, simboleggiare in maniera persuasiva l'orrore
di un assurdo, incomprensibile destino umano. Pi? intensi appaiono i sentimenti
nella seconda parte del racconto: sembra che Akutagawa riveli qui qualche com
passione per i suoi personaggi. Ma l'ironia scettica riprende in pieno nella chiusa.
E l'equilibrio del tono della narrazione si riafferma sicuro.

3. Un abbozzo di studio psicologico, in cui si colgono ancora segrete armonie


tra i sentimenti e le cose. - Un ritorno al racconto drammatico della pri
ma maniera. L'autore continua a celarsi nei suoi personaggi; ma, pur
con qualche incertezza, sente l'esigenza di rinnovare la sua poetica.

a) Haru (Primavera), aprile 1925.

Incompiuto, senza prevedibile conclusione. La trama ? semplicissima, ridotta


al minimo.
Hiroko, signora sposata, va dalla sorella minore Tatsuko, che ha deciso di
sposarsi col giovane pittore Atsusuke e vuol consigliarsi con lei. Le sorelle si ritro
vano e parlano della questione; quindi Hiroko si incontra con Atsusuke per

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 61

conoscerlo. Il racconto si interrompe, mentre, in una sala di un museo, Hiroko


cautamente chiede al pittore informazioni su di lui e sulla sua famiglia in vista
del matrimonio di Tatsuko.

In Haru tutto ? descritto e narrato dal punto di vista di Hiroko, che considera
con stupore i mutamenti della sorella minore Tatsuko, donna appassionata e
impulsiva.
Qui d? notevole prova di s? l'intelligenza acutissima di Akutagawa che esa
mina e registra sottilissimi trapassi di stati d'animo. Non ha dunque molta im
portanza l'intreccio, il ? fatto ?, comune e per se stesso pressoch? insignificante
non conoscendosene la conclusione; ma soprattutto viene messa in luce la coscienza
dei personaggi o, piuttosto, di un personaggio, Hiroko, che cerca di intendere i
complessi sentimenti suoi e degli altri. Si direbbe che Akutagawa abbia prestato
a Hiroko parte della sua anima, la sua sensibilit?, l'umorismo sottile e soprattutto
la capacit? di sentire negli ambienti, nelle cose, una vita segreta che concorda con
i sentimenti umani: un senso di serenit? nasce dalla contemplazione di un piccolo
quadro di Atsusuke, misteriosi rapporti si stabiliscono tra le sale del museo e
l'uomo e la donna che vi si incontrano25.
Notevole, alla fine del II capitolo, il ricorrere di una forma d'espressione
assolutamente caratteristica di Akutagawa: il dissolversi o, meglio, il risolversi
di una meditazione, di un intimo interrogarsi, in uno spunto paesaggistico, in cui
si intrecciano la visione attuale e la memoria di altre esperienze: Hiroko, in treno,
dopo essersi a lungo domandata come la sorella abbia potuto innamorarsi di
Atsusuke, guarda dal finestrino, vede le gole delle montagne, le criptomerie, i ci
liegi in fiore e pensa che fa freddo e ricorda i ciliegi di Arashiyama.
Non crediamo necessario cercare un preciso significato simbolico in questi
ciliegi fioriti. Ma si potrebbe essere tentati a far questo anche dal titolo del rac
conto: Haru cio? ? Primavera ?. Effettivamente Tatsuko, appassionata e impulsiva,
pu? essere considerata una vera manifestazione umana della natura primaverile,
a cui viene contrapposta la sorella razionale e riflessiva. Anche Atsusuke rivela
nella sua ingenuit? un animo primaverile. D'altra parte, non ha saputo egli dipin
gere un quadro che spira luce e freschezza giovanile?
Si direbbe che Akutagawa abbia voluto qui celebrare, una volta tanto, la
vittoria della vita e dei sentimenti contro la sfiduciata e rassegnata chiaroveggenza
della ragione. Ma il racconto non ? concluso: non sappiamo come andranno a
finire le cose. L'autore non si ? sentito di accettare una soluzione ottimistica?
Oppure, essendo qui il suo interesse principale l'indagine psicologica in un parti
colare clima di sentimenti, non gli importava di arrivare ad una conclusione
? costruita ? secondo le regole della narrativa tradizionale?

b) Onsen-dayori (Notizie da una stazione termale), aprile 1925.

Racconto intensamente realistico e drammatico. L'ambiente ? cupo e alcune


circostanze sono caratterizzate da evidente romanticismo: significativa la caval
cata sul cavallo cieco.

25 Vedi nel gi? studiato S?shun stati d'animo simili.

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62 Guidotto Colleoni

Riappare lo scetticismo dell'autore nelle due interpretazioni del suicidio del


protagonista (vedi Yabu no naka, che ? del 1921. Come non pensare a Pirandello?).
Un ritorno dunque al racconto realistico, che ha per oggetto la vita dura e sten
tata dei campi. Viene subito alla mente Ikkai no tsuchi (1923). Ma la grandiosit?
tragica del finale di Ikkai no tsuchi ? lontanissima dai toni smorzati delle per
plesse, sfiduciate considerazioni che si esprimono nella conclusione di Onsen-dayori.

4. Un componimento in cui il mondo delle segrete corrispondenze tra i senti


menti e la natura si esprime con forme gi? del tutto rinnovate. - Ancora
un'interpretazione moderna di un'antica leggenda buddhistica.

a) Umi no hotori (Vicino al mare), 7 agosto 1925.

Con Orni no hotori si entra nel pieno clima simbolistico dell'? antiracconto ?,
in cui non trovi pi? la struttura del racconto tradizionale, intesa come sviluppo
di vicende obiettivamente omogenee e coerenti secondo una logica esteriore.
L'autore, che parla direttamente come personaggio protagonista, in prima per
sona, vuol qui soprattutto comunicare al lettore il sentimento della presenza del
magico nei diversi fatti della vita d'ogni giorno, anche in quelli apparentemente
meno significativi.
Gli elementi fondamentali che entrano nella composizione di questa opera
sono: a) la conversazione svagata tra amici su argomenti comuni; b) un sogno
strano e oppressivo; c) due passeggiate in riva al mare; d) incontri con per
sone, animali e cose, descritti in maniera tale che tutto sembri avere, in rapporto
al protagonista, un senso metafisico. Tali elementi strutturali verranno ripresi
con altre forme, altro tono e altro ritmo in Shinkiro.
Il tono generale di Umi no hotori, pur essendo lo sfondo generalmente cupo
e malinconico, tende, soprattutto verso la fine, a schiarirsi e a risolversi in forme
piuttosto tranquille. V'? anche un certo realismo, un po' ironico: affiorano que
stioni di vita pratica familiare, che, perdendo ogni peso concreto, contribuiscono
ad assicurare la levit? del tono della narrazione. Alcuni incontri (il ragazzo
sorridente, le due giovani bagnanti) sono manifestazioni obiettive di umanit?
lieta: visioni, seppure fuggevoli, di serenit?: il lettore si sente allora abbastanza
sollevato. La voce della vita luminosa e giovane (le risa delle due bagnanti) sembra
aver superato di intensit?, quasi sopraffatto la tristezza dello sfondo.
I colori tetri si accentuano nel III capitolo: la conversazione era stata sva
gata e leggera; ma l'incontro con i poveri pescatori, il racconto della morte di
uno di loro hanno proiettato un'ombra oppressiva su tutti i personaggi. Nessuno
ha pi? voglia di ridere; sembra che una Presenza misteriosa insista per farsi
sentire. Ma le quiete battute finali, che esprimono una certa spensierata indiffe
renza, allentano alquanto la tensione degli stati d'animo.

b) Nidai, 7 agosto 1925.

Ancora una volta Akutagawa sente l'esigenza di far vivere i demoni dello scet
ticismo e dell'ironia nell'interpretazione moderna di un'antica leggenda buddhistica:
un ritorno a un genere che sembrava definitivamente abbandonato.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 63

E' questo l'Akutagawa letterato (considerato con ben poco favore dai cri
tici suoi contemporanei), l'artista che si consola appunto nell'esercizio dell'arte,
perseguendo l'ideale del racconto perfetto; esercizio per altro non gratuito, non
fine a se stesso, giustificato dall'esigenza di risolvere esteticamente la propria
concezione pessimistica della vita.
Nidai, miserabile rifiuto della societ?, impuro fisicamente e spiritualmente,
senza problemi morali e religiosi, viene forzato a prendere la Via della Salvezza
dall'intervento diretto e visibile del Buddha. Il pover'uomo, timido e conscio
della sua miseria, sente una barriera invalicabile tra s? e i grandi della terra,
tra i quali ? anche il Buddha. Divenuto monaco, continua a sentire tale barriera.
? O Nidai, tu sei fortunato, perch? cammini ormai sulla Via che porta alla Beati
tudine ?. ? Non ? stata colpa mia; ? stata colpa del Buddha che mi ha perseguitato
a lungo e mi ha costretto...?.
Akutagawa conclude assicurandoci che, secondo i sacri testi, Nidai, praticando
assiduamente e con fervore i precetti della religione, ottenne la salvezza. In que
sto racconto l'autore ha voluto certo dare un esempio del sentimento di fatale
estraneit?, che ci impedisce di comunicare veramente con gli uomini e con Dio:
? la nuova Babele dello spirito, angoscia dei nostri tempi. Un problema simile
vive anche in un altro racconto akutagawiano, Kumo no ito (1918), in forma
assai pi? drammatica.
Notevole in Nidai l'abilit? di fondere insieme umorismo, andamento fiabesco
e realismo e di tenere in sospeso l'attenzione del lettore fino alla conclusione.

5. Il deserto interiore e l'angoscia nel sogno e nella realt? (Shigo e Nenmatsu


no ichinichi). - Il ?Bene dell'Indifferenza? e la piet? delle cose (Ko-nan
no ogi).

a) Shigo (Dopo la morte), settembre 1925.

A prima vista questo breve racconto pu? sembrare la semplice narrazione


obiettiva di una paurosa esperienza onirica: l'autore sogna di continuare ad esi
stere dopo la morte.
In verit?, anche qui, i temi fondamentali sono l'incapacit? di vivere una vita
fisicamente e spiritualmente sana e il sostanziale sentimento di estraneit? che
ci impedisce di stabilire rapporti di schietta simpatia con gli altri: sia nella realt?
che nel sogno. Nella realt? Akutagawa, che pur sa di essere un terribile egoista,
malato di nervi, si sfoga contro la moglie. Ella, abituata alle sfuriate del marito,
si difende con una specie di resistenza passiva, che malamente nasconde il desi
derio di regolare la propria vita in vista del proprio comodo. Nel sogno l'amico S.,
quando dice all'autore protagonista: ? Non avrei mai creduto che tu morissi cos?
giovane ?, non riesce a nascondere la gioia egoistica d'essere ancora vivo. Tuttavia
la coscienza morale e la piet? umana riemergono per un momento nell'animo
dell'autore desto, che, riflettendo, s'avvede che il sogno ha illuminato di pi? vivida
luce il deserto che inaridisce il nostro cuore; ma egli si affretta a riaddormentarsi
e a riaddormentare la sua coscienza con qualche compressa di sonnifero.
In Shigo agiscono personaggi visibili; ma i demoni invisibili che guidano la
vicenda sono la Morte e l'Indifferenza disumana che alla morte ci guida e ci con

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64 Guidotto Colleoni

vince, perch? nella vita, sia nel sonno che nella veglia, non v'? salvezza n? conso
lazione. Ma in che si pu? sperare, se anche resistenza nel mondo della Morte
appare una pi? tetra riproduzione della vita?
E' istruttivo per la comprensione dell'evoluzione del pessimismo di Akutagawa
il confronto col suo precedente racconto Roku no miya no hime-gimi (1922), in
cui l'anima della protagonista rimane in un mondo misterioso che non si sa se
sia Inferno o Paradiso. Il tema della vita possibile dopo la morte verr? compiu
tamente trattato dallo scrittore nel successivo Kappa (1927), quando egli sar?
ormai prossimo al suicidio, in preda a totale disperazione.

b) Ko-nan no ?gi (Il ventaglio dello Hu-nan), dicembre 1925 (?).

L'influsso dei narratori francesi dell'Ottocento ? soprattutto di M?rim?e ?


? evidente nella scelta dello spunto e nelle esteriori apparenze ? veristiche ? di
questo racconto.
Akutagawa, indulgendo ancora alla poetica della sua prima maniera, ha trovato
un fatto obiettivamente straordinario da narrare.
Si crede (o si credeva!) nella provincia cinese dello Hu-nan che ci si possa
procurare salute e lunga vita, bevendo il sangue di un uomo coraggioso. Una
donna, Gyoku-ran (pronunzia sino-giapponese), accetta di mangiare un biscotto
intriso nel sangue del suo amante, il famoso bandito Ko-riku-ichi (pron. s.g.), giu
stiziato da pochi giorni. Ella dichiara di compiere il terribile gesto per amore.

In Ko-nan no ?gi non c'? soltanto una ? verit? romanzesca ? di cui Akutagawa
sarebbe stato testimone e che rivela la natura passionale degli abitanti di una
provincia della Cina. C'? anche, e soprattutto, come componente essenziale, lo
stato d'animo dell'autore, che si trova ad essere spettatore della strana vicenda:
stato d'animo sotterraneo, non esplicitamente descritto, ma che il lettore deve
indovinare da pochissimi accenni, spesso indiretti: brevi notazioni dello sfondo
paesaggistico, pennellate di ombre e luci che ritornano come leit-motive e segnano,
per cos? dire, il ritmo interno della narrazione: i tetti di tegole e i muri bianchi
di Chang-sha, gli scoiattoli nella gabbia, e soprattutto un ventaglio...
Per tentare di intendere veramente tale stato d'animo conviene soffermarsi
sulla fine del racconto.
L'autore, ormai sulla nave, mentre si allontana dalla citt? di Chang-sha, ripensa
all'avvenimento, alla donna...
Scende in cabina e comincia a fare i conti delle spese di viaggio. Vede su un
tavolo un ventaglio, evidentemente dimenticato da un altro passeggero. Ricomincia
a pensare all'amico cinese che gli ha fatto conoscere Gyoku-ran, l'amante del bandito.
Noi ci domandiamo che significato ha il ventaglio, cos? importante nella
mente di Akutagawa da indurlo a intitolare il racconto appunto ? Il ventaglio
dello Hu-nan... ?. Questo arnese, di uso cos? comune in Estremo Oriente, appare
nella narrazione di sfuggita, solo due volte, all'inizio e alla fine: all'inizio ? por
tato da Gan-h? (pron. s.g.), un'amica di Gyoku-ran, la quale Gan-h? si dimostra
poi vivamente commossa durate l'episodio del biscotto; alla fine il ventaglio
sembra avere la funzione di richiamare la mente dell'autore sui personaggi della
drammatica vicenda. Anche questa volta, senz'altro, ? da riconoscere l'Akutagawa
che fa parlare alle cose un linguaggio pressoch? intraducibile in termini logici,

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 65

ma sempre carico di significato; le cose ci chiamano senza parole: a volte ci


annunciano cupe minacce di desolazione e di morte, a volte invece, come avviene
qui, vorrebbero esprimere un messaggio di simpatia umana: un ? sottile raggio
di sole tiepido, che viene a brillare nel gelido mondo ? (vedi Daid?ji Shinsuke
no hansei, gi? studiato, e Samusa, gi? cit.). Troviamo infatti una simbolistica
corrispondenza tra il ventaglio dimenticato, dal p?ndulo fiocco rosa, e la viva,
anche se contenuta, partecipazione sentimentale di Gan-h? al dramma dell'amica.
Il critico Kataoka Teppei26 vede in questo racconto un esempio evidente di
distruzione di ideali romantici: il viaggiatore, che ha perduto ormai qualsiasi
facolt? di commuoversi di fronte alle cose umane, si meraviglia per l'azione di
Gyoku-ran, ispirata da una profonda passione; ma subito la dimentica: torna a
fare i conti delle spese di viaggio!
E' vero, riconosciamo noi, che Akutagawa insiste in pi? punti del racconto
sulla sua freddezza di spettatore che considera con assoluto distacco le emo
zioni altrui; ma in questa stessa indifferenza si rivela una volont? di difesa:
Akutagawa cerca scampo nel ?Bene dell'Indifferenza?; e, in un certo senso, lo
trova per un momento. Ma i sentimenti, la compassione, sono nelle cose stesse
ed in esse egli ora li ? vede ?, quasi plasticamente, con una specie di arcana sim
patia estetica, se non proprio morale.

c) Nenmatsu no ichinichi (Un giorno di fine d'anno), dicembre 1925.

Come in Umi no hotori e Shigo, che precedono, e in Shinkir? e Yume, che


seguono (? da considerare a parte il caso di Haguruma, per la complessit? della
struttura), in Nenmatsu no ichinichi Akutagawa cerca di stabilire sotterranei rap
porti tra il sogno e la realt? per arrivare a una pi? vera conoscenza di s?. Anche
qui troviamo all'inizio la descrizione di un sogno suggestivo (di cui alcuni ele
menti erano gi? presenti nel quadro descritto in Numachi (1919) e poi la descri
zione di comunissimi incontri misteriosamente collegati con stati d'animo morbo
samente malinconici.
In particolare si nota in questo racconto una tecnica tipicamente surrealistica.
Verso la fine infatti, quando l'autore ha abituato ormai il lettore a una descri
zione obiettiva, addirittura minuziosa, dell'aspetto consueto delle vie di T?kyo,
improvvisamente, senza soluzione di continuit?, il piano dell'immaginario si innesta
sul piano del reale, al di fuori dello spazio e del tempo logico: ci riferiamo all'epi
sodio del carretto afferrato dal narratore protagonista e spinto a precipizio, men
tre il vento del nord si leva impetuoso nella luce incerta del crepuscolo. E anche
per questa tecnica surrealistica Akutagawa si distingue da Shiga Naoya, di cui,
per altro, ? qui evidente la lezione nella minuziosit? descrittiva, oltrech?, natural
mente, nella scelta del tema autobiografico.
Assai significativi sono altres? i misteriosi rapporti che l'autore stabilisce tra
le sensazioni derivate dalla realt? presente e le memorie d'infanzia. Come non
pensare a Proust? Ma certo ? qui da vedere soprattutto una sensibilit? tipica
mente giapponese. La memoria infantile, gi? presente nel citato Sh?nen, qui, in

26 Vedi Kataoka Teppei: Sakka to shite no Akutagawa (Akutagawa come scrittore),


in Akutagawa Ry?nosuke Ann?i, a cura di Nakamura Shin'ichir?, T?kyo, 1955.

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66 Guidotto Colleoni

Nenmatsu no ichinichi, ? direttamente identificata con un'attuale sensazione di


cupa malinconia, acuita misteriosamente da avvenimenti, che, razionalmente, non
la giustificherebbero.

6. Riel?borazioni di esperienze culturali: una ? Carmen ? in grigio e la ri


cerca di s? in un triplice apologo morale. - Un abbozzo descrittivo che
preannuncia -futuri sviluppi.

a) Carmen, 10 aprile 1926.

I racconti di Akutagawa, come dice il critico Nakamura Shin'ichir?21, costi


tuiscono nel loro insieme un mosaico di molteplici forme di espressione, che per
mettono di considerare la vita da punti di vista diversi: Fautore non si stanca
di tentare tutte le vie possibili per arrivare a una tranquillante catarsi estetica
(almeno estetica!) del suo mondo spirituale e, in particolare, fino all'ultimo, non
ha del tutto abbandonato quella forma d'arte a lui tanto cara, che consiste nella
rielaborazione di materiale derivatogli dalla sua esperienza culturale.
Lo spunto di Carmen ? preso dal celebre racconto omonimo di M?rim?e; ma
la rielaborazione akutagawiana appare ancora pi? intimamente tragica e nello
stesso tempo assai pi? scolorita in confronto all'opera dello scrittore francese:
pi? intimamente tragica, perch? la donna, un'attrice russa, dimostra freddissima
indifferenza anche dopoch? l'uomo che l'amava si ? ucciso per lei; pi? scolorita,
perch? la vicenda non ? direttamente rappresentata, ma raccontata e, in parte,
supposta dai due amici, il narratore e il regista T., che conversano del fatto del
giorno con un atteggiamento di distaccata indifferenza, che cela tuttavia un sot
terraneo, appena percettibile turbamento, come accade tante volte in Akatagawa;
pi? scolorita anche perch? mancano del tutto i brillanti colori della Spagna
di M?rim?e.
Questa ? una nuova Carmen borghese, donna fatale stile Novecento. Il gene
rale colore squallido e tetro di quella parte del mosaico akutagawiano costituita
dai racconti degli ultimi anni si ? infiltrato anche in questa tesserina ? veristica ?.
E' come se ormai le passioni umane, pur conservando tutta la loro terribilit?,
apparissero allo scrittore sempre pi? sfocate e soffuse di grigiore.

b) Mitsu no naze (Tre perch?), 15 luglio 1926.

? Perch? Faust incontr? il diavolo? ?


? Perch? Salomone incontr? la regina di Sceba soltanto una volta? ?
? Perch? Robinson allev? una scimmia? ?

In un triplice apologo morale Akutagawa scava liberamente in tre personaggi


letterari per ritrovarvi lo specchio di s?. In questo modo egli pu? arrivare a
contemplare con obiettiva quiete il proprio dramma esistenziale.

27 Vedi Nakamura Shin'ichir?: Akutagawa-bungaku no miryoku (Il fascino dell'arte


akutagawiana), in Akutagawa Ry?nosuke Annai, T?kyo, 1955.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 67

Nel primo ? Perch? ? Faust, l'uomo che, servendo il Signore, vuol dare un
senso alla vita, considera la realt? (adombrata nel simbolo della mela) da pi?
punti di vista, per arrivare ad un'unica soluzione: le cose del mondo, idoleggiate
come oggetti di indagine filosofica o di contemplazione estetica, od anche di
attivit? economica, finiscono con l'essere strumenti di tortura. Questa ? la realt?,
la realt? del dolore rivelata a noi dal demonio interno del dubbio, che emerge
vivissimo dalla nostra coscienza, quando pi? ci tormentiamo per trovare un senso
nella vita, per comprenderla nel doppio senso di conquistarla e di intenderla.
Dal momento della rivelazione demoniaca comincia l'ultimo atto della tragedia
di Faust-Akutagawa. Lo scrittore non dice esplicitamente che cosa accadr? in
quest'ultimo atto. Certo non si arriver? alla soluzione ottimistica di Goethe da
Akutagawa tanto invidiato per il raggiunto equilibrio (vedi Aru ano no issh?).

Nel secondo ? Perch? ? Salomone cerca un ideale di sapienza, simboleggiato


dalla regina di Sceba: l'ideale dell'intelligenza distinta dalla bellezza, si direbbe:
la regina di Sceba non era bella.
Il re desidera la saggezza e tuttavia la teme. Ed ha ragione di temerla: una
misteriosa visione allegorica gli riveler? infatti che il connubio tra lui e la sapienza
non pu? essere che fonte di tormento e di lacrime.
Il re ? poeta e sa che esiste anche la bellezza; ma neanche essa lo consola
pi?; piuttosto lo sapraff?: ?Non rimproverare ai fiori il colore e il profumo.
Ma io sono triste: troppo purpureo ? il croco, troppo odoroso il cinnamomo ?.
Notevole lo stile adorno di immagini sontuose, eccezionale in questi ultimi rac
conti; ma ai colori brillanti del Cantico dei Cantici lo scrittore sa unire un senso
tutto nuovo di acuta, decadente malinconia.

Nel terzo ? Perch? ? ? significato con estrema evidenza e incredibile rapidit?


di rappresentazione il caratteristico sdoppiamento della personalit? akutagawiana.
E proprio nel grottesco atteggiamento della scimmia che volge malinconica
mente gli occhi verso il cielo ? misera e repellente caricatura dell'uomo che cerca
invano Dio, contemplata con freddo distacco da Robinson-Akutagawa ? in tale
atteggiamento, diciamo, si sente, al di sotto dei toni esteriormente sarcastici,
l'infinita tristezza dell'autore. D'altra parte non si intende bene questo terzo con
clusivo ? Perch? ? se non lo si mette in rapporto con la nobile figura di Salomone
e con la sincera piet? religiosa di Faust. Possiamo ben vedere nella conclusione
dell'apologo il programma di vita, che ? anche programma estetico, di Akutagawa:
imparare a ridere di noi, delle nostre dolorose illusioni, nobilissime e pur mise
revoli: ecco l'unica medicina, l'unico mezzo per sopravvivere (vedi in Shun
kan (1921) una conclusione simile a questa).

c) Haru no yoru (Notte di primavera), 12 agosto 1926.

Qui Akutagawa indulge al gusto decadente degli ambienti foschi, in cui vivono
personaggi d'eccezione, malati nel corpo e nello spirito, che sembrano esclusi dal
mondo esterno. Vi si sente l'eco di Poe, del Poe della Rovina della casa Usher,
tanto per fare un esempio notissimo.
Haru no yoru ha importanza come primo tentativo di abbozzare descrizioni
di luoghi, persone e stati d'animo, che avranno pieno sviluppo in Genkaku-saribo.

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68 Guidotto Colleoni

7. Dolci-amare rievocazioni di defunti: Velegia del desiderio d'amore frustrato


dal rapporto esistenziale. - Ancora un abbozzo descrittivo di scenario deca
dente che preannuncia futuri sviluppi. - L'epicedio degli ideali romantici.

a) Tenkibo (Il registro dei morti), 9 settembre 1926.

In questo ?registro? sono scritti i nomi di tre morti: la madre, la sorella


e il padre del narratore-protagonista.
I tre nomi sono vivificati da aloni di memorie e sentimenti diversi, che
tuttavia hanno punti di contatto e tendono a sfumare Tuno nell'altro. Sempre
vigile sull'onda di questi sentimenti ? l'intelligenza di Akutagawa.

1) Fosco, ossessivo, soprattutto all'inizio, il ricordo della madre pazza (il


colore cinereo del suo volto fa pensare alla faccia livida della scimmia del Ro
binson di Mitsu no naze).

2) Pochissimo materiale oggettivo (i ricordi della zia, una fotografia) ? suf


ficiente per elaborare una luminosa e particolarmente affettuosa rievocazione
fantastica della sorella, morta prima che il narratore nascesse. Verso la fine di
questa seconda pagina del ? registro ? il volto della bambina e quello della
madre tendono a fondersi o, meglio, a confondersi per dar luogo a un'unica
?Presenza femminile?, che veglia sulla vita dello scrittore. ?A meno che queste
fantasie non mi derivino dall'abuso del caff? e del tabacco ?: con questo intervento
dell'intelligenza razionale Akutagawa vuole smorzare, quasi castigare i suoi sen
timenti, ancorandoli, come al solito, a ragioni obiettive e concrete.

3) Distaccata piet? troviamo nel ricordo del padre, uomo dotato di robusta
e un po' rozza vitalit?.
Lo scrittore pone in rilievo il contrasto tra i comportamenti diversi dei geni
tori in punto di morte. Il padre manifesta i suoi affetti in maniera vistosa e
alquanto volgare; la madre piange silenziosamente e sembra per un momento
tornata alla ragione.

II narratore si trova ora di fronte alla tomba dei suoi familiari.


Chi di questi tre ? stato felice? Egli si sente ormai vicinissimo a loro, pronto
a raggiungerli; ma questo sentimento non trova espressione diretta e immediata,
bens? viene filtrato nei versi di un antico poeta, che tornano ora alla memoria
del letterato Akutagawa e cos? la meditazione funebre si risolve limpidamente
nelle forme di un'elegia tenera e malinconica, classicamente composta. Stabilita
la barriera della morte, si manifesta, sia pure unilateralmente da parte del nar
ratore, quell'espressione degli affetti che l'esperienza concreta e pratica del rap
porto quotidiano aveva reso impossibile con i vivi (vedi quel che si dice del padre
del protagonista in Daid?ji Shinsuke no hansei). Ed ? significativo che il vagheg
giamento affettuoso sia particolarmente intenso proprio quando i ricordi sono
scarsissimi e indiretti, come avviene per la sorella morta prima che il narratore
nascesse: egli pu? allora costruirsi pi? liberamente il suo illusorio, ma amabile

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 69

fantasma, non contaminato n? sciupato in alcun modo dal diretto rapporto


esistenziale.
In Fuyu vedremo che Akutagawa, da diversi punti di vista, in un quadro
variamente articolato, dimostra in maniera ancora pi? categorica e sconsolata la
pratica impossibilit? di comunicare agli altri la nostra umana simpatia.

b) Y?y?-s? (La Villa della Quiete), 26 ottobre 1926.

Qui Fautore tratteggia rapidamente uno scenario di gusto tipicamente deca


dente: una villa elegante e solitaria. Al tempo stesso si abbandona a fantasie
crepuscolari sulla vita del proprietario sconosciuto, compiacendosi di immagi
narlo come un esteta raffinato, malato di tisi.
In Haru no yoru avevamo gi? veduto un altro tentativo di abbozzare descri
zioni di luoghi, persone e stati d'animo che avranno pieno sviluppo in Genkaku
sanb?. Ma questa volta, in Y?y?-s?, Akutagawa descrive soltanto dall'esterno: si
esercita nella composizione della cornice: il quadro compiuto (Genkaku-sanb?)
? ormai prossimo ad emergere nella piena luce della coscienza.

c) Kare (Lui), 13 novembre 1926.

d) Kare dai-ni (Lui II), 29 novembre 1926.

Per questi due racconti strettamente collegati ci sembra opportuna un'unica


trattazione sintetica e comparativa.
? Kare ? e ? Kare dai-ni ?, qui designati con un semplice pronome personale
e un numero d'ordine, sono due personaggi realmente esistiti, di cui conosciamo
anche i nomi: Akutagawa stesso ne parla in alcune opere minori e nel Diario
di viaggio in Cina.
? Kare ? era uno studente, morto in giovanissima et? (vedi lo ? zuihitsu ?
Gakk?-tomodachi); ?Kare dai-ni? era un giornalista irlandese, morto in Cina
(vedi lo ?sh?hin? Shuppan, il Diario di viaggio in Cina e anche Tenkibo): en
trambi amici carissimi dello scrittore, soprattutto il secondo, l'irlandese. I due
racconti sono in verit? un affettuoso epicedio di due creature romantiche, presto
deluse dall'esperienza quotidiana.
Fisicamente debole, consapevole della tomba vicina, inetto alla vita, perch?
troppo ingenuo e perci? spiritualmente disarmato, di sensibilit? delicatissima,
quasi femminea, ? Kare ?; focoso, virile, talvolta quasi violento, pronto ad affron
tare con le armi in pugno il destino che si ? scelto, ?Kare dai-ni?.
Entrambi vagheggiano un'esistenza pugnace, illuminata dall'ideale del rinno
vamento sociale. L'ideale, ? Kare ? si contenta di sognarlo nei libri dei grandi rivo
luzionari socialisti: libri che bruceranno con lui nel forno crematorio29. ? Kare

28 Akutagawa, pur dichiarando apertamente la sua simpatia per gli ideali socialisti,
non credeva nell'efficacia dell'azione degli intellettuali rivoluzionari. Vedi a questo propo
sito l'introduzione a questo lavoro (cap. II).

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70 Guidotto Colleoni

dai-ni ? sente in s? un'energia vitale sovrabbondante e tenta praticamente varie


vie per giungere alla compiutezza di se stesso; ma invano. Abbiamo qui un esem
pio di attivismo romantico-decadente, destinato al fallimento.
Il narratore, a contatto di questi due personaggi, partecipa vivamente al loro
dramma: sente lo slancio eroico, che stimola l'uomo ad andare avanti, finch? le
forze lo sostengano; ma presto s'accorge della vanit? degli ardori romantici.
Interviene la fredda e scientifica ragione positivistica, per cui una natura troppo
appassionata ? senz'altro malata e, come tale, va curata; e, se il paziente muore,
tanto meglio: un infelice di meno. La vita trionfa nei sani sopravvissuti (si veda il
finale di Kare e lo si confronti col finale di Genkaku-sanb?).
Ma gli ideali romantici, anche se finiscono con l'affogare nella stagnante gora
della crudelt? e dell'indifferenza, possono essere, per cos? dire, esteticamente ricon
sacrati: interviene l'artista, il poeta, che intuisce e rappresenta la bellezza spiri
tuale del sognatore di grandezza e di felicit?, deluso e travolto dalla sventura. E
vediamo, in Kare dai-ni, un simbolo di questa triste bellezza nell'episodio del ca
gnolino affogato, inghirlandato di fiori.
Nell'ultimo capitolo di Kare dai-ni il narratore sogna di rivedere l'amico, come
se fosse ancora vivo; ma al risveglio, invece di essere consolato dalla sua visione,
prova un senso di malaugurosa oppressione. Pauroso ? questo compenetrarsi del
sogno con la realt?, di cui abbiamo gi? trovato esempi in Shigo e in Nenmatsu no
ichinichi e che avr? ancora pi? terribili significati in Yume.

Pudore dei sentimenti, intelligenza realistica e ironia, ora lieve e sorridente,


ora morbosamente amara, assicurano anche in Kare e Kare dai-ni quell'equilibrata
temperie di motivi umani, che ormai abbiamo imparato a conoscere come carat
teristica dell'arte akutagawiana.

8. Si compie il quadro preparato dagli abbozzi di Haru no yoru e di Y?y?-s?.

Genkaku-sanb? (Villa Genkaku), gennaio 1927.


Questo racconto, costruito secondo i canoni di un rigoroso naturalismo, ?
unanimemente assai apprezzato da tutti i critici giapponesi. Rispetto ad esso Haru
no yoru e Y?y?-s? possono essere considerati esercizi preparatori.
Genkaku, un vecchio malato di tisi e prossimo alla morte, rinchiuso nella sua
villa elegante e solitaria, circondato da familiari con i quali non esiste possibilit?
di vera comunicazione, escluso dalla vita del mondo esterno, considera con ironica
disperazione le sue torture fisiche e morali. Le memorie della giovinezza, nelle
quali spera consolazione, non fanno che aumentare in lui il sentimento di disprezzo
di s? e degli altri. Cerca uno scampo nel sonno; ma i sogni, che in un primo tempo
lo confortano (presentandosi a lui col volto di un'umile donna che lo aveva amato
con ingenuo candore), finiscono col farsi sempre pi? paurosi. Tenta il suicidio
con fredda determinazione; ma, poco tempo dopo, muore per effetto della sua
malattia.
Non ? chi non veda esserci nel personaggio di Genkaku i sentimenti disperati
dell'uomo Akutagawa. Si direbbe che lo scrittore voglia rendere pi? concretamente
intuibile la sua personale disperazione (sfiducia totale nella vita, resa pi? intol

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 71

lerabile dalla salute cagionevole), calandola in una vicenda obiettivamente e irri


mediabilmente tragica.
Un altro personaggio di grande importanza ? l'infermiera K?no: colei che,
avendo patito dolorosi inganni, giudica anormale la felicit?, disprezza la bont?,
gode delle angosce altrui e cerca, all'occorrenza, di provocarle.
Il mondo esterno, intravisto nel capitolo introduttivo (attraverso la conversa
zione un po' svagata dei due giovani pittori che passano davanti alla villa), torna
alla fine (con significativa simmetria) a contrapporsi alle descrizioni di disfaci
menti fisici e di morbose passi?m. E' la rivincita della luce sulle tenebre? La rivin
cita dei giovani (rappresentati qui, nell'ultimo capitolo, dallo studente universi
tario che legge le Memorie di Wilhelm Liebknecht, celebre fedele discepolo di
Marx), i quali credono nel progresso, nella possibilit? di sanare i mali del mondo
trasformando la societ?? Vinceranno veramente costoro?
In una lettera indirizzata all'amico Aono, a proposito dell'episodio finale di
Genkaku-sanb?, Akutagawa dice: ? Ho voluto far venire a contatto la tragedia di
Villa Genkaku col mondo esterno e ho voluto anche suggerire che nel mondo
esterno esiste un'epoca nuova ?. Ma aggiunge: ? Nel mondo prevale il dolore; po
che sono le gioie?.
Come abbiamo gi? detto nel secondo capitolo dell'introduzione a questo lavoro,
Akutagawa, che ebbe pi? volte occasione di manifestare apertamente la sua sim
patia per il socialismo, non poteva per? credere che gli uomini avessero la capa
cit? di creare il benessere universale, se voleva mantenersi davvero coerente al
suo pessimismo; n? poteva pi? appassionarsi per l'azione pratica rivoluzionaria
egli, che si sentiva escluso dalla vita, spiritualmente moribondo, come il suo per
sonaggio Genkaku.
Sul fondamento di queste considerazioni potremmo concludere che il finale
del racconto ha un significato essenzialmente estetico: un'apertura dello scenario,
una pennellata di luce che rende ancora pi? efficace il quadro tenebroso.

9. Un'opera d'arte perfetta: in forme poetiche limpidissime, con la tecnica


dell' ? antiracconto ?, si esprime tutto un torbido mondo di oscure ango
sce. (Si vedano la traduzione e il commento in appendice).

Shinkir? (I miraggi). Sottotitolo: Zoku Umi no hotori (Seguito di Unti no


hotori), 4 febbraio 1927.

Quest'opera straordinaria (di cui l'autore stesso si dimostra nelle sue lettere
assai soddisfatto), dopo il primo esperimento di Umi no hotori, ? un esempio, que
sta volta perfetto, di vero e proprio ? antiracconto ?, che sembra precorrere certe
forme della narrativa d'oggi, in cui l'intreccio romanzesco tradizionale non esi
ste pi?.
Shinkir? nasce dall'elaborazione artistica di un tesoro di intense esperienze
intime, in cui confluiscono, pi? o meno sotterranee, visioni oniriche e memorie
infantili. Denominatore comune, che pone sullo stesso piano la realt? e il sogno,
? l'incubo costante di una Presenza metafisica paurosa, nascosta nella concretezza
apparentemente innocente delle cose d'ogni giorno.

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72 Guidotto Colleoni

Si pensa naturalmente a Baudelaire, Kafka, Poe, Proust, la Woolf ecc.; e si


cercano i modelli a cui lo scrittore giapponese pu? essersi ispirato: ci pare impos
sibile che una tale opera sia nata come un fiore nel deserto, al di fuori di ogni
influenza letteraria.
Ma dopo aver riconosciuto che Akutagawa, per nativa congenialit? e per
necessit? storiche, ha rivissuto intensamente il tenebroso mondo d'angoscia di
certo Strindberg, la poetica dei simbolisti francesi, la fantasia di Poe e anche
certe tendenze del gusto della pittura surrealistica29, non riusciamo poi a trovare
nessuna prosa narrativa degli scrittori europei a lui contemporanei, che, sia pur
lontanamente, rassomigli a Shinkir?*0.
E tra i Giapponesi? Pensiamo subito a Shiga Naoya, che tanto scrisse di s?,
riferendo stati d'animo provocati dai pi? comuni incontri della vita quotidiana.
Ma il cupo mondo di morboso orrore di Akutagawa ? ben diverso dalla sen
sibilit? fondamentalmente sana e tranquilla di Shiga. Una cosa ? certa: i Giap
ponesi, nella loro pi? che millenaria letteratura, hanno dato sempre prova di un'acu
ta e tutta particolare sensibilit? di fronte agli aspetti della natura: si pensi ai
tanka e pi? ancora agli haiku.
Ci giova ora un paragone tra Shinkir? e l'opera di Kafka, di cui forse, come
abbiamo veduto, Akutagawa conobbe la Metamorfosi.
Sia a Kafka sia ad Akutagawa il mondo che ci ? attorno, sotto apparenze
quiete, in realt? ogni tanto fa intravedere il suo volto minaccioso. Ma c'? una
differenza notevole tra i due scrittori. Il lettore del narratore di Praga ? continua
mente tormentato dall'esigenza di trovare una ? chiave ?, cio? la reale minaccia
obiettiva, che corrisponda all'ossessionante vicenda. E' stato detto che non occorre
stabilire tali precise corrispondenze; tuttavia l'esigenza tormentosa resta. Non
solo nella Metamorfosi, ma anche nel Processo, per es., personaggi e vicende,
pur presentati in termini di assoluta obiettivit?, appaiono del tutto inverosimili
al lettore ingenuo: son ? cose dell'altro mondo, raccontate con uno stile di eccezio
nale efficacia, che ci fa accettare come indispensabile tutta una storia che con
trasta con gli elementi della vita quotidiana, pur essendo costituita solo ed esclusi
vamente di questi ? (A. Spaini, Prefazione alla traduzione italiana del Processo -
ed. Frassinelli).
Di qui appunto, da tale contrasto, nasce l'esigenza di cui dicevamo: se la vi
cenda in se stessa inverosimile ? narrata come realissima, dovr? pur esserci un
significato nascosto, ? portato a pensare il lettore di Kafka.
Il narratore giapponese invece, in Shinkir?, convince pienamente fin dalla
prima lettura: non senti il bisogno di chiarire razionalmente oscure corrispon
denze; non lo senti, perch? nel quadro naturalissimo (assolutamente vero sia
nella vicenda sia nei caratteri dei personaggi) e per nulla contrastante con gli ele
menti della vita quotidiana la natura stessa sembra spirare sacro orrore. E' come
se, per un momento, la malattia nervosa dell'autore si fosse comunicata al lettore.

29 Lo scrittore Mishima Yukio ha paragonato Shinkir? alla pittura di S. Dal?.


30 Si trovano negli Appunti e ricordi di Leopardi alcune notazioni in prosa di stati
d'animo collegati con spettacoli di vita quotidiana, che ci sono sembrate vicinissime
alle forme e ai contenuti di Umi no hotori e di Shinkir?. Vero ? che per Leopardi erano
soltanto appunti e non opere compiute; ma la sorprendente somiglianza di certi aspetti
delle due personalit? poetiche resta e questo torna ad onore del Recanatese, vero profeta
della lirica moderna.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 73

Torbida, morbosa, senz'altro patologica la materia trattata in Shinktro. E tuttavia


quale forza di convinzione e di lucida comunicazione! Qui ? senz'altro da ammi
rare la forza del grande artista, che, contemplando con occhio lucidissimo la so
stanza dolente del suo spirito malato, riesce a creare un'opera d'arte di validit?
universale. L'incomunicabilit? pratica dei sentimenti e lo scetticismo intellettuali
stico sono riassorbiti e superati dalla comunicazione estetica.

Ora diciamo qualcosa sulla struttura dell'opera.


Il sottotitolo ? Zoku Umi no notori, cio? Seguito di ? Vicino al mare ?. Infatti
anche in Shinktro lo spunto da cui si sviluppa tutta la vicenda sono due passeg
giate in riva al mare: una di giorno e una di sera. Il narratore va queste volte,
per vedere i miraggi, fenomeno fisico che si verifica spesso sulla spiaggia di
Kugenuma, accompagnato la prima volta dagli amici O. e K. e la seconda volta
da sua moglie e da 0.
Ma Akutagawa, narratore e protagonista, non sembra interessarsi molto dei
miraggi marini (la striscia azzurra sospesa, l'immagine rovesciata del corvo), che
sono in fondo realt? oggettive, scientificamente controllabili, che cadono sotto i
sensi di tutti. Egli ? invece affascinato e impaurito da ci? che si nasconde, per lui,
sotto le apparenze delle cose concrete e stabili, comunemente giudicate insigni
ficanti (i solchi sulla sabbia, la coppia ? tempi moderni ?, la tavoletta funeraria,
il cane, il passante frettoloso, il cancello semiaperto ecc.).
In Shinktro c'? un assai severo rigore strutturale. Il lavorio dell'artista nella
disposizione delle parti ? visibilissimo (checch? ne dicano i critici giapponesi),
ma non disturba il godimento estetico, anzi lo accresce. L'incupirsi dei toni ?
progressivo: nella seconda parte si accelerano i tempi: il senso di malaugurio
aumenta... Per un momento l'oscura tensione sembra allentarsi; ma il periodo
finale riporta tutto in un clima d'angoscia.

10. Disperata nostalgia di amore e di fede religiosa nelle forme di una favola
satirica.

Kappa, 11 febbraio 1927.


Swift, France, Morris, Butler ecc.: molti possono essere stati i modelli lette
rari tenuti presenti dall'autore nella composizione di questa caricatura satirica
della societ? moderna; ma soprattutto sono evidenti le somiglianze con i Viaggi
di Gulliver di Swift.
Il paziente n. 23 di un ospedale psichiatrico racconta le sue avventure nel
Paese dei ? Kappa ?. Questi strani animali fantastici hanno in fondo gli stessi nostri
difetti: stupidi, gelosi, presuntuosi, corrotti, crudeli; soltanto sono in genere assai
pi? sinceri di noi uomini: non temono di chiamare col loro nome anche i vizi
pi? vergognosi, che noi cerchiamo di nascondere sotto il manto ipocrita della
giustizia e della virt?.
La satira colpisce tutte le umane istituzioni e attivit?: il lavoro, la guerra, la
politica, l'arte (questa in modo particolarmente feroce!), l'illusione che i caratteri
della personalit? siano costanti (come non pensare a Pirandello?), l'amore, la
religione. Tuttavia proprio dell'amore e, soprattutto, della fede religiosa in un

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74 Guidotto Colieoni

Essere trascendente si sente in Kappa acutissima la nostalgia, anche se contenuta


dal pudore dei sentimenti, cos? caratteristico di Akutagawa. Alla fine del cap. VI
? Mag ?, il Kappa filosofo (che evidentemente impersona le idee e i sentimenti
dell'autore), dopo avere illustrato, con rassegnata chiaroveggenza, tutta la falsit?
e la ridicola bestialit? del rapporto fra i due sessi, riconosce poi di desiderare
anche lui, il filosofo, che una Kappa femmina, sia pur brutta e stupida, gli corra
dietro.
E, alla fine del cap. XIII, dopo aver contemplato a lungo il cadavere del poeta
? Tock ? suicida, il filosofo Mag dice ancora rispondendo a una domanda dell'amico
narratore: ? ? Tuttavia, se noi Kappa vogliamo dare un senso alla nostra vita,
dobbiamo... ? Mag sembrava piuttosto imbarazzato; quindi prosegu? a bassa
voce: ? mi sembra che dobbiamo credere nella forza di qualcosa di superiore
ai Kappa ? ?.
Questo ? veramente un grido, subito soffocato, che viene dalla sostanza pi?
verace dell'anima dello scrittore.
Ma quale religione ci pu? salvare? Non certo la contraddittoria Religione della
Vita, che trova nei nostri tempi tanti fedeli, i quali si ostinano a credere che ci
sia un senso (la via della vittoria del Bene) nell'esistenza attiva mondana, e vene
rano anche alcuni ? santi ?, cio? i grandi artisti e filosofi che, dopo aver sofferto
intensamente, credettero a un certo momento di aver superato il male: per es.
Strindberg (il ribelle che si credette salvato dalla filosofia mistica di Swedenborg),
Nietzsche (che cerc? la salvezza per il Superuomo, ma, invece di salvare se stesso,
divenne pazzo), Tolstoj (che tent? di credere in Cristo, cosa praticamente impos
sibile), Kunikida Doppo (lo scrittore umanitario che conobbe la sofferenza dei
poveri), Wagner (il rivoluzionario amico dei re, che da vecchio diceva le sue
preghiere prima dei pasti: ma era piuttosto adoratore della vita che cristiano),
Gauguin (il pittore che rinunci? alla vita civilizzata per vivere a Tahiti con una
donna assai pi? giovane di lui).
Qu?sti celebri personaggi, dunque, credettero in un ideale e cos? si salvarono
o, piuttosto, si illusero di salvarsi, sembra dire l'autore con un amaro sogghigno.
E' vano confidare nell'Albero della Vita, che, se ci affascina con i frutti del
Bene, ci avvelena per?, irrimediabilmente, con i frutti del Male.

La fede nella Trascendenza potrebbe dare un senso alla vita, ha detto Mag,
il Kappa filosofo. E noi sappiamo quanto Akutagawa amasse il Cristo, quanto si
sentisse fortemente attratto da Lui, che ? pose nuovo combustibile (idee nuove)
su vecchie fiamme? (le antiche passioni) (vedi di Akutagawa il saggio Seiko no
Hito) 2L differenza di noi, miseri mortali, che ci ostiniamo a riversare vecchio com
bustibile su nuove fiamme (Kappa, cap. XI)31.
Ma Akutagawa non poteva credere (vedi Haguruma). ? Cristo forse ? morto ?
(vedi Kappa, ultimo capitolo). Desiderio di amore e desiderio di fede religiosa
sono in Kappa le due note pi? intensamente umane e poetiche, anche se compresse
e appena percettibili sotto il gioco un po' arido dello scetticismo ironico e para
dossale. E proprio questi sentimenti di un'umanit? tanto pi? pudicamente conte
nuta, quanto pi? intensamente sofferta, distinguono il dolente e perplesso pessi

31 II cap. XI riporta alcuni pensieri del filosofo Mag che si fingono raccolti in un
libro intitolato Ano no kotoba (? Parole di un idiota ?). Evidentemente Akutagawa pen
sava all'opera sua, Aru ah? no issh? (Vita di un idiota), che sarebbe uscita postuma.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 75

mismo di Kappa da quello gelido e, a volte, disumano dei Viaggi di Gulliver di


Swift.

Akutagawa non pensa ormai che l'uomo si possa in alcun modo liberare dal
male, neanche col suicidio; ? per? ch'esser beato / nega ai mortali e nega ai morti
il fato ?, dice Leopardi nel ? coro ?, con cui s'apre il Dialogo di Federico Ruysch
e delle sue Mummie.
Ma, mentre i morti di Leopardi continuano a ? vivere ? in un mondo fantastico,
immersi in un'ombra crepuscolare, senza tormenti n? gioie, i morti di Akutagawa
invece (vedi Kappa, cap. XV e anche Shigo) hanno le medesime tormentose pas
sioni dei vivi e ricordano benissimo le cose della terra e se ne sentono attratti.
Neanche la morte ci concede la sicurezza dall' ? antico dolore ?. Il pessimismo dello
scrittore giapponese ? quindi pi? desolato di quello di Leopardi. Una vita quieta,
se non felice, sarebbe possibile soltanto nella situazione irreale, dunque realmente
impossibile, del vecchio Kappa del cap. XVI.
Dice il critico Kataoka Teppei82 : ? In Kappa Akutagawa fa la somma finale
delle sofferenze accumulate. In Kappa si trovano mescolati realismo, scetticismo
e romanticismo. Nessuna conclusione, nessuna speranza per l'uomo, il quale non
sa fare altro che scrivere una favola. Questo ? il segno della disperazione pratica.
Kappa non ? un'opera scritta da uno che ha fiducia in una sua personale vittoria.
Calare nella forma artistica della favola il proprio pensiero non ? opera di chi ha
fiducia di vincere nella realt??.
E' opportuno qui ricordarsi di quel che Akutagawa affermava dell'impossi
bilit? per l'artista di agire efficacemente nella realt? (vedi sopra il nostro studio
su Genkaku-sanb? e soprattutto il cap. II dell'introduzione, l? dove accenniamo
alle idee politiche dello scrittore).
Concludiamo riportando, tradotta, la poesia di Tock, il Kappa poeta e suicida,
che si legge nell'ultimo capitolo:
?Tra i bamb? e le palme fiorite da tempo dorme il Buddha; presso il fico
inaridito sul margine della strada anche Cristo sembra morto.
Ma noi abbiamo bisogno di riposo, pur rimanendo davanti agli scenari del
teatro.
(E il rovescio dei fondali ? rattoppato con innumerevoli rattoppi di tela di
pinta?)... ?.

11. Vinterpretazione allegorica della storia dell'umanit? in cerca di Dio. -


Visione allegorica della vanificazione di tutti gli ideali.

a) Y?waku (Le tentazioni). Sottotitolo: Aru Shinario (Uno scenario), 7 mar


zo 1927.

Sappiamo con quanta intensit? Akutagawa abbia sentito il problema religioso.


In Kami-gami no warai-goe (1922) egli aveva dimostrato il potere dello spirito
giapponese di assorbire e trasmutare i valori essenziali delle altrui civilt?, anche

32 Vedi Kataoka Teppei - Sakka to shite no Akutagawa (Akutagawa come scrittore,


op. cit.). Qui riassumiamo e colleghiamo i punti pi? significativi del saggio.

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76 Guidotto Colleoni

i valori religiosi che si dicono assolutamente eterni e invariabili: gli dei giappo
nesi assorbono e fagocitano, per cos? dire, anche il Dio cristiano, fino a renderlo
proprio e quasi irriconoscibile. Chi alla fine vincer?? Dio o gli dei? Noi soltanto
con le nostre azioni potremo dare una risposta.
In Kappa, abbiamo gi? veduto, si riconosce l'esigenza di una fede nel Trascen
dente che dia un senso alla vita... ?ma Cristo sembra morto?. Qui, in Y?waku,
l'autore concepisce l'ambizioso disegno di interpretare la storia di tutti gli uomini
(almeno dal tempo di Cristo in poi) in una grandiosa vicenda allegorica, in cui
senti tutta la problematica religiosa di un moderno Faust decadente.
E' assai difficile, per non dire impossibile, interpretare il significato preciso
di tutte le singole allegorie. E' certo comunque il senso generale: Akutagawa ha
qui voluto rappresentare la realt? estremamente complicata del mondo, conside
randola dal punto di vista dell'ideale religioso ripetutamente sconfitto e avvilito
dalla prassi quotidiana. E questa realt? tragica della storia dell'uomo diviene
ancora pi? dolorosa, quando lo scrittore ce ne fa sentire anche i lati ridicoli e
spregevoli (simboleggiati, ad esempio, dalle due scimmie ? vedi anche i gi? stu
diati Mit su no naze e Tenkibo).
Verso la fine, quando San Sebastiano33, il protagonista della simbolica vi
cenda, lasciato solo dal capitano di mare (una specie di nuovo Mefistofele,
spietato rivelatore delle umane miserie), riprende in mano la croce e la stringe
con tutte le sue forze, l'ideale religioso sembrerebbe risorgere; ma subito alla
figura di San Sebastiano si contrappone l'interno borghese dell'ultima scena, che
ci fa sentire la noia e la vanit? delle nostre quotidiane abitudini, che spengono
ogni nobile aspirazione. E il padrone di casa dell'interno borghese, che ha lo stesso
volto del capitano di mare, sembra voler significare che il senso della noia e
della vanit? ? pi? intensamente sofferto da chi ha pi? chiaramente compreso l'in
sensato gioco della vita.

b) Asakusa-koen (Il parco pubblico di Asakusa). Sottotitolo: Aru shinario


(Uno scenario), 14 marzo 1927.

Lo scenario di base, questa volta, ? una strada affollata di Asakusa, il quar


tiere dei divertimenti di Tokyo, nel quale un ragazzo si perde e, dopo parecchi
incontri con misteriosi personaggi, mentre cerca disperatamente suo padre viene
soccorso finalmente da un poliziotto; quindi la vicenda sembrerebbe ricominciare:
l'ultima scena ? sostanzialmente identica all'inizio.
I simboli sono qui ancora pi? oscuri di quelli di Y?waku. Una linea fonda
mentale di interpretazione pu? per? stabilirsi con sufficiente sicurezza. La scim
mia vestita con eleganza (vera caricatura dell'uomo ? cfr. Y?waku e Mitsu no
naze); la testa parlante del manichino nel negozio di ottica (come non pensare a
certi quadri di De Chirico?), che esorta il ragazzo a comprare un paio di occhiali
per ritrovare il padre (il ragazzo rifiuta); il giglio tigrino, fiore finto che vanta
senza successo la propria bellezza; la scritta che appare nel negozio del tabaccaio:
? Il tabacco ? la porta del Paradiso ?; le parole sulla porta del ? castello ?: ? Chi

33 E' il famoso martire giapponese S. Sebastiano Kimura (1566-1622).

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 77

varca questa soglia diviene un eroe?34; il mazzo di fiori gettato dalla ballerina,
il quale diventa un mazzo di spine nelle mani del ragazzo; il gatto col turbante
che invita a comprare una maglia, inutile per chi non pu? acquistare neanche
l'indispensabile: tutti questi ?personaggi? stanno senza dubbio a rappresentare
altrettante tentazioni, che ci promettono invano la felicit? o almeno la soluzione
dei nostri pi? gravi affanni. Ma chi ha smarrito il proprio ?padre?, cio? la sicu
rezza, la fiducia nella vita, non crede ai tentatori, cio? alle illusioni, sia meschine
(gli effimeri piaceri), sia sublimi (i sogni di grandezza).
Assistiamo qui, ancora una volta, alla vanificazione di tutti gli ideali: anche
di quelli artistici (i nomi degli uomini famosi si rivelano poi essere nomi comuni).
Per un momento il volto di un Consolatore sembra mostrare infinita compassione
(il volto paterno che appare sospeso nell'aria con un'espressione di amore e di
tristezza e subito svanisce, scena 46); ma anche questa ? un'illusione che, come
nebbia, si dissolve, e la ricerca angosciosa ricomincia (vedi l'ultima scena, che ?,
come abbiamo gi? detto, una ripetizione dell'inizio).

Sia in Yuwaku che in Asakusa-k?en Akutagawa si serve di una forma d'espres


sione nuova: le allegorie sembrano quadri metafisici usciti dalla fantasia di un
pittore surrealista e sono distribuite secondo una tecnica cinematografica. Queste
due opere debbono avere perci? il loro posto anche nella storia della cinemato
grafia surrealistica.

12. Un racconto in cui la realt? tragica della malattia nervosa viene proposta
in nuova forma obiettiva. - Un estremo ritorno al racconto storico, in cui
si esprime ancora una volta lo scetticismo gnoseologico akutagawiano.

a) Taneko no yuutsu (La malinconia di Taneko), 28 marzo 1927.

Nei patemi d'animo di Taneko, borghesuccia ingenua e morbosamente sensi


bile, sono in realt? proiettate le angosce dell'autore, anche se la persona di lui
(compresi i gusti, il carattere ecc.) appare totalmente estranea al racconto. E
anche per questo Taneko no yuutsu si distingue da Shinkir?, la cui struttura ?
interamente costituita da esperienze autobiografiche35.
Akutagawa si rende conto che ? compito difficilissimo per un artista rappre
sentare in maniera persuasiva uno stato d'animo patologico. Perci? egli cerca
di proporci la realt? tragica della malattia nervosa in forme il pi? possibile obiet

34 Qui ? notevole la suggestione di una reminiscenza della Divina Commedia


(Inf., III, w. 1-9), riconoscibile per? solo nel testo originale giapponese. Non occorre
dire che il significato delle parole scritte sulla porta dell'inferno dantesco ? esattamente
l'opposto di quello delle parole scritte sulla porta del castello akutagawiano.
35 Sono invero evidenti alcune somiglianze tra le due opere: ad esempio l'alternarsi
dei toni cupi e leggeri e certe volute simmetrie strutturali, che fanno pi? vivamente
intuire il senso del magico pauroso negli incontri della vita quotidiana. Ma Taneko no
yuutsu ? considerato un racconto fallito, mentre Shinkir? ? un capolavoro in senso
assoluto.

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78 Guidotto Colleoni

tive e di universale validit?. Non importa che le ragioni con cui il malato vorrebbe
giustificare le sue ansiet? siano ridicole e assurde: la malattia non ? per questo
meno reale. E' l'angoscia che assume mille volti diversi, secondo la personalit?
di ciascuno di noi, ma tutti ugualmente terribili.

b) Kochiya, 7 maggio 1927.

Personaggi realmente esistiti (inizio del secolo XVII) agiscono in una vicenda
inventata, che ? un incentivo a meditare sulle molteplici e spesso indefinibili
ragioni del nostro agire.
E' un onore o un insulto per un guerriero ucciso in battaglia il fatto che al
suo nemico sia portata la sua testa tagliata? E' un onore, checch? ne pensi il corti
giano Masazumi, se lo spirito di Naoyuki, il valoroso guerriero caduto sul campo,
parlando per bocca dell'umile serva Kochiya, pretende che Ieyasu apra il cesto in
cui si trova la sua testa. Ma poi si viene a sapere che Kochiya era stata l'amante
di Naoyuki. La donna ha dunque parlato di sua volont? ingannando i padroni.
Ma li ha ingannati veramente? ? Io non mi faccio ingannare ?, dice Ieyasu, uno
dei personaggi principali del racconto, il quale ha imparato, dopo tante espe
rienze, che ? tutte le cose umane hanno un duplice aspetto ?, e ha conosciuto ? le
misteriose sfingi che sono nel fondo delle tenebre che avvolgono la nostra vita?.
Ognun vede che l'autore stesso col suo malinconico scetticismo si ? trasferito
nella persona di questo tollerante e pensoso Ieyasu.

Kochiya non sembra un'opera dell'ultimo Akutagawa: vi ritroviamo infatti


la narrazione del fatto straordinario situato sullo sfondo storico del Giappone me
dievale, come occasione di meditazione sull'enigma degli umani sentimenti; vi
ritroviamo altres? il gusto dell'orribile e del tenebroso: un estremo ritorno, dun
que, ai temi e allo stile di Rash?mon (1915), di Kesa to Morit? (1919), di Yabu no
naka (1921).

13. Un raggio di calda e sofferta umanit? brilla, per un momento, nel mondo
sempre pi? gelido e tetro delVincomunicabilit? e delVindifferenza. - Un'oasi
di malinconica quiete. - La necessit? del dolore e della morte e il desiderio
di annientarsi.

a) Fuyu (Inverno), 4 giugno 1927.

Il tema dell'incomunicabilit? degli affetti, che ci costringe ad essere fredda


mente indifferenti, viene qui trattato in un quadro unitario. Vi si possono, per?,
distinguere tre episodi, in cui il pessimismo dello scrittore si esprime in immagini
sempre pi? tetre. Il tenue raggio di sole, che per un momento brilla timidamente
nel primo episodio, svanisce subito nel secondo e non ? pi? che un incerto ricordo
nel terzo. Fa da sfondo costante il cielo invernale, simbolo assai significativo
del clima spirituale di tutto il racconto.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 79

Nel primo episodio, di pi? vasto respiro, il narratore va a far visita, come
rappresentante di tutti i parenti, al cugino36 imprigionato, reo di aver falsificato
documenti. Il narratore, innervosito da un'attesa inverosimilmente lunga (dalle 10
alle 18!) nella sala d'aspetto, gelida e squallida, del carcere, vieppi? immalinco
nito dall'atteggiamento di rassegnata indifferenza dei familiari degli altri detenuti
e degli impiegati scortesi e antipatici (e tuttavia vagamente patetici nell'esercizio
del loro non amabile mestiere), pu? finalmente parlare col cugino; ma la con
versazione dei due congiunti ? fredda e formalistica: essi evitano soprattutto
il sentimentalismo, che sarebbe stato falso e inopportuno. Attira l'attenzione del
narratore una giovane, che piange accanto a lui; ma soprattutto lo colpiscono le
parole di un vecchio rivolte ad un altro detenuto, forse suo figlio: ? Quando sono
solo, lontano da te, mi vengono in mente tante cose da dirti; ma, appena ti vedo,
le dimentico tutte?. Parole veramente significative, che sono la chiave per inten
dere rettamente tutto il racconto. L'autore rivela qui ancora una volta (ma in
forma nuova) il suo umano desiderio di amore, vivo sotto la corazza di ghiaccio
dello scetticismo pessimistico.
A lui la sua stessa indole naturale, schiva e ritrosa, e le circostanze disgra
ziate della vita hanno precluso la comunicazione degli affetti; eppure non sfuggono
alla sua sensibilit? ? i tenui raggi di sole tiepido che vengono talvolta a brillare
nel mondo gelido ? (vedi S amusa, gi? cit.).
Il narratore ? ora uscito dal carcere; ma le parole del vecchio continuano
ancora per qualche tempo ad echeggiare nel suo cuore, e rendono pi? intensi e
perci? stesso pi? dolorosi i suoi sentimenti di umana compassione verso gli
uomini. ? Sentivo di non essermi comportato bene con mio cugino; ma nello
stesso tempo sentivo la nostra comune responsabilit?... Mi ripetevo le fioche parole
del vecchio, che mi sembravano ancora pi? umane del pianto della giovane ?. Sem
bra dire Akutagawa: di tutti e di nessuno ? la colpa del gelo ? invernale ? che ci
paralizza nello spirito e impedisce che prenda forma il nostro desiderio di espan
sione sentimentale.

Nel secondo episodio il narratore ?, nello stesso giorno, in casa del cugino
e parla dell'imminente processo col fratello e con la moglie del detenuto.
Il tono della conversazione ? sempre pi? freddo e distaccato. Il narratore,
un po' distratto, nota, per?, con una certa invidia la sicurezza pugnace del fratello
del detenuto, pronto a darsi da fare, per tirar fuori s? e gli altri dall'incresciosa
situazione. Ma noi vediamo subito che l'energico spirito di iniziativa di costui,
anche se sul piano dei vantaggi, per cos? dire, materiali (assoluzione dall'accusa
di falso) potr? sortire effetti positivi, non per questo riesce a stabilire rapporti
di umana simpatia: Akutagawa lo invidia, il suo parente, ma non lo comprende
e non ne ? compreso: l'incomunicabilit? dei sentimenti resta.

Il terzo episodio, brevissimo, si svolge, dopo qualche anno, ancora in casa


del cugino, che si ? ucciso.
Tutti sono quieti e rassegnati. Una sensazione di malaugurio pesa sull'animo
del narratore che ricorda ? gli avvenimenti di un giorno di amarezze ?; ma neanche

36 Nella realt? il cognato.

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80 Guidotto Colleoni

ora egli riesce ad esprimere i suoi sentimenti e il racconto si chiude con due
battute di conversazione scambiate con la vedova del suicida: conversazione fredda
e indifferente che sembra nascondere o, meglio, sottindere un'immedicabile stan
chezza morale.
Pu? giovare ora un confronto tra Tenkibo e Fuyu. Se in Tenkibo Akutagawa
risolveva in un'elegia tenera e malinconica i suoi sentimenti, realizzando, sia pure
unilateralmente, una piena espansione di umani affetti, il finale di Fuyu, invece,
fa apparire ancora pi? squallida e tetra la solitudine spirituale a cui la vita ci
condanna.

b) Tegami (Una lettera), 7 giugno 1927.

La ?lettera? si finge scritta da una stazione termale (unica rassomiglianza,


e soltanto esteriore, con Onsen-dayori) adatta alla cura delle malattie nervose, e
descrive la vita riposante, anche se un po' monotona, di alcuni villeggianti.
L'autore qui cerca di evitare l'autobiografismo immediato, presentando il
narratore protagonista sensibilissimo, s?, agli appelli segreti della natura, ma, nel
complesso, pi? sano e pi? tranquillo di quanto doveva essere in quel tempo
l'uomo Akutagawa, che, tormentato da mali d'ogni genere, aveva ormai sta
bilito di morire.
Quietamente malinconico con tendenza a un finale rasserenamento pu? essere
definito nel complesso il tono di Tegami, anche se vi ? presente, come al solito,
la coscienza del male del vivere: della follia che interrompe lo slancio vitale
(la pazza che suona l'armonio e il pazzo con i tatuaggi) e della crudelt? della
natura che a tutti e a tutto impone di dare e di ricevere la morte (gli episodi
della morte rapidissima del bruco sul tetto di zinco, della vespa trascinata semi
viva dalle formiche, del granchio che trascina il compagno ferito, per aiutarlo,
o, pi? probabilmente, per mangiarlo37, e anche l'oscuro accenno alla fosca tra
gedia familiare della donna sospettata responsabile della morte del figliastro,
oscuro accenno messo in suggestivo, simbolisticamente implicito rapporto con
l'episodio del granchio).
A causa di tali spettacoli naturali e incontri umani o anche soltanto contem
poraneamente ad essi si generano nei personaggi turbamenti vari e non sempre
facilmente definibili, che sono da loro avvertiti pi? o meno profondamente;
ma si pu? dire che il protagonista, da solo, riassuma tutte le emozioni degli altri
in s?, su un piano pi? alto di malinconica pensosa coscienza dell'enigma doloroso
della vita, coscienza da lui nobilmente risolta in un sentimento di dichiarata piet?
per tutti gli uomini: sentimento che si esprime pienamente sullo sfondo di un
paesaggio in cui campeggia la cima d'una montagna illuminata dal sole occiduo.
Alla fine della ?lettera? troviamo la compiuta catarsi: la delicata e calma
bellezza dell'immagine del paesaggio autunnale proiettata sulla parete della sua
stanza d? al protagonista il senso della perfetta tranquillit?.
Tre dunque sono i momenti del processo psicologico liberatore: torbida e
malinconica esperienza della vita propria e degli altri; sentimento di piet? per

37 Nella struttura di questi episodi qualcuno potrebbe riconoscere un pi? evidente


accostarsi alle forme di Shiga Naoya.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 81

tutti gli uomini; tranquilla e rasserenata catarsi finale. Le cupe angosce degli
altri racconti sembrerebbero in qualche modo superate. Ma, in realt?, la soluzione
finale della vicenda di Tegami ? da considerarsi come un'oasi di relativa pace
sulla fatale via che condusse Akutagawa alla morte.

c) Mit su no mado (Tre finestre), 10 giugno 1927.

? Tre finestre ?: tre modi di considerare da pi? punti di vista l'enigmatica


Necessit? del dolore e della morte.
Sovente (come appare nel primo e nel secondo episodio di questo trittico)
siamo noi i ministri, pi? o meno coscienti, di tale Necessit?, i carnefici di noi
stessi e degli altri. Il tema ? presente anche in Tegami, ma trattato in maniera
del tutto differente. Inoltre in Mitsu no mado si aggiunge quel che nel precedente
racconto non si trova e cio? il desiderio di uscir di vita al pi? presto per ottenere
la liberazione definitiva. La liberazione? Ma non ci era stato detto ? in Kappa ?
che la pace ? negata anche ai morti?

In Mitsu no mado la coscienza della vita tiranna di dolore, che rende vano
qualsiasi sentimento di piet?, si fa sempre pi? chiara e profonda dal primo
all'ultimo episodio. Lo scrittore si trasferisce successivamente e gradualmente in
tre coscienze: i guardiamarina A. e K. e la nave XX: nell'ultima, in quella della
nave XX, animata e sensibile, l'identificazione ideale dell'autore col personag
gio ? compiuta.

Nel primo episodio ? protagonista il guardiamarina A.38, la cui vitalit? di


giovane animale sano e forte ? e perci? stesso crudele ? fa prevalere in lui,
a danno degli altri, la volont? di dominio prepotente e tende a soffocare quella
sensibilit? per l'altrui dolore, derivatagli da una chiara comprensione della forza
di certe umane passioni. Queste qualit? di superiore intelligenza e di sensibilit?
(sia pur inconfessata perfino alla propria coscienza) distinguono in qualche
modo A. dai suoi rozzi e superficiali commilitoni. Ma egli in verit? si vergogna
della sua appena percettibile umana piet? e alla fine il sentimento che pi?
chiaramente si afferma in lui ? proprio un moto di simpatia per l'altro guardia
marina del tutto freddo e indifferente.

Nel secondo episodio il guardiamarina K. ? invece un dichiarato ? sentimen


tale ?, in cui rivivono in modo assai evidente certi caratteri della personalit?
dell'uomo Akutagawa. Il giovane K., aspirante scrittore naturalista, lettore appas
sionato di Maupassant39, medita con piena, affettuosa partecipazione sulla morte
di tre uomini diversi. Il primo, che muore durante una battaglia navale, ? un
umile bandista, in cui per? si indovina un uomo pensoso dei grandi problemi
dell'anima: leggeva la Bibbia. Il secondo ? un marinaio caduto in mare, mentre

38 Akutagawa usa spesso siglare i nomi dei suoi personaggi quasi essi fossero (e
spesso sono) persone reali da mantenere nell'incognito. Si veda un uso analogo in Kafka.
39 Notevole la scelta di Maupassant, lo scrittore morto pazzo. Vedi la nota seguente.

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82 Guidotto Colleoni

tentava di togliere il coperchio a un cannone: giovane dotato di istintivo, quasi


ferino sentimento di sprezzo del pericolo, sentimento che non contrasta con
l'istinto di conservazione che gli fa fare disperati sforzi per sopravvivere, quando
sta per annegare: anzi audacia temeraria e istinto di conservazione sono comple
mentari nelle nature istintive e irriflessive, vicine alla pura animalit?. Il terzo
? un sottufficiale, che ha un senso vivissimo della propria dignit?, e, giudicando
vergognoso sopravvivere a una punizione infamante, si uccide.
Il bandista lettore della Bibbia e il marinaio sprezzante del pericolo sono
morti: K. sente nella morte del primo (pi? riflessivo per natura, all'apparenza
spiritualmente pi? elevato e perci? forse pi? pronto a morire senza rimpianti)
vi sente, diciamo, la quiete raggiunta, la fine della battaglia della vita; gli ?
invece intollerabile il ricordo del secondo, che alla vita non voleva rinunciare e
fino all'ultimo chiedeva invano aiuto.
Diverso e pi? complesso ? il caso del sottufficiale suicida. K. prova simpatia
sia per lui, il punito, a cui avrebbe voluto dire una parola di conforto, sia per
l'ufficiale punitore, che non ha compreso e probabilmente non comprender? mai
l'indole fiera e sdegnosa del suo subordinato (che del resto anche K., razional
mente, disapprova) ed ? ora tormentato da terribili rimorsi. Ma a che vale la
pietosa simpatia di K. per i due uomini che la vita ha costretto a nuocersi tra
di loro? Il giovane non ? riuscito a dir nulla in favore del primo e non riesce
ora a consolare il secondo: pu? solo forzarlo a bere per dimenticare. Il senti
mentale, il pessimista K. sar? col tempo stimato uno dei migliori ufficiali del
l'arma a cui appartiene; rinuncer? quasi del tutto all'ambizione letteraria; ma
il ricordo dei tre morti gli rester? nella mente come specchio della vita di tutti.
Nel terzo episodio troviamo il dialogo muto delle navi da guerra XX e >
animate e capaci di comunicare tra loro misteriosamente.
XX, che era stata fino ad ora soltanto scenario materiale, teatro delle umane
vicende rappresentate nei due precedenti episodi, si rivela improvvisamente
dotata di intelligenza e di sensibilit?. Essa ? lo scrittore stesso che porta su di s?
il dolore del mondo: il suo proprio e quello di tutti gli altri (tra cui ? l'amico
Uno K?ji, improvvisamente impazzito, simboleggiato, come pare, dalla nave ?
che esplode e affonda)40.
XX - Akutagawa attende immobile il compiersi del proprio destino, contem
plando inquieta il disfacimento lento e progressivo della propria persona psico
fisica, invidiando la sorte di chi ha gi? finito di vivere e non deve pi? conoscere
n? gioie n? dolori.
Pu? sembrare strano che lo scrittore ricorra all'allegoria proprio in questo
terzo episodio, dove l'identificazione tra il personaggio e l'uomo Akutagawa ?
ormai compiuta: forse questo ? un modo di superare il crudo autobiografismo,
di dare significazione universale e bellezza poetica ad una esperienza personale.

Considerando ora sinteticamente le strutture del trittico, notiamo le solite


simmetrie tra le parti, qui assai complesse e variamente articolate.

40 Ancora un artista colpito dalla follia. E' significativo che vengano ricordati in
questo racconto (ultimo tra quelli pubblicati vivente l'autore) due scrittori segnati dal
terribile male: Maupassant e Uno K?ji. Akutagawa di certo vedeva in loro, vittime del
? Demone della fine del secolo ?, qualcosa del suo destino. Vedi anche Aru ano no issh?.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 83

Alcune immagini ricorrenti di cose inanimate (le foglie del sedano, la falce
di luna), misteriosamente armonizzate con i sentimenti umani, sembrano scandire
il ritmo dell'avvicendarsi degli stati d'animo.

14. Viaggio nell'Inferno terrestre.

Haguruma (Le ruote dentate), 1927 (postumo).


L'uomo malato nello spirito e nel corpo, fermamente deciso a morire, ?
ormai prossimo a cedere le armi di fronte ai paurosi, invisibili mostri, che egli
sente in agguato, pronti a ghermirlo, nascosti dietro le apparenze della vita
quotidiana (vedi Shinkir?); ma l'artista li sa tuttavia ancora dominare, rappre
sentandoli con estrema lucidezza.
L'opera, cos?, oltre che per la sua validit? estetica, assume notevolissima im
portanza, assieme con Aru aho no issh?, come documento principe degli ultimi
tempi della vita dello scrittore.
Naturalmente, anche qui come altrove, gli elementi del materiale autobio
grafico vengono diligentemente trascelti, perdono la crudezza dei sentimenti grezzi,
si trasfigurano poeticamente e divengono leit-motive saldamente collegati in signi
ficative magiche corrispondenze: sono cos? asserviti allo scopo principale del
l'artista, che ? la rappresentazione del dramma personale di un uomo che si
sente, nello stesso tempo, accomunato al destino di tanti altri uomini, non solo
poeti e pensatori che hanno conosciuto con chiara coscienza il male del vivere,
ma anche anime semplici e ingenue, fiduciose nelle proprie forze, che non si
rendono conto dell'inferno in cui vivono, finch? la Forza oscura che domina
la nostra esistenza non le colpisce con aperta crudelt? (per es.: il parente suicida,
cognato del narratore in Haguruma e nella realt?, cugino in Fuyu).

Nei sei capitoli di Haguruma il narratore protagonista descrive il suo viaggio


da Kugenuma a Tokyo, la sua permanenza nella capitale per alcuni giorni e,
infine, dopo il ritorno a Kugenuma, la sua vita in famiglia.
Egli coglie negli aspetti e nelle voci delle persone e delle cose che incontra
presagi di follia e di morte. Molti di questi incontri si ripetono parecchie volte:
alcuni in forme aventi caratteri di assoluta obiettivit? (per es.: l'uomo col cap
potto impermeabile, gli incendi di Tokyo), altri come avvenimenti bizzarramente
e suggestivamente associati da una fantasia malata ? il ? bianco e il nero ?, la
? luce rossa ?, il suono ? m?r ? collegato con la parola inglese ? mole ? (talpa)
e la parola francese ? la mort ? (la morte) ?. Vi sono poi le vere e proprie alluci
nazioni, del tutto soggettive, e come tali riconosciute dalla lucida intelligenza
dello scrittore, delle quali la pi? ossessiva, che d? il titolo a tutto il racconto, ?
il sistema di ruote dentate che periodicamente appare nel campo visivo dell'oc
chio destro del protagonista.

Si ha cos? l'impressione che il destino, come per compiere un'oscura ven


detta (ma di quale colpa?), abbia gi? tutto predisposto affinch? Akutagawa si
convinca che non c'? pi? per lui via di scampo: il cerchio si chiude con pro
gressiva velocit? (nelle ultime pagine i ?motivi? dell'ossessione si succedono

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84 Guidotto Colleoni

alternandosi con tale frequenza, che quasi sembrano sovrapporsi: un po' come
in uno ? stretto ? finale di una fuga).
Non mancano tuttavia nell'opera brevi schiarite, momenti in cui la natura
sembra promettere pace e vita (i pezzi di carta per le vie di Tokyo, simili a petali
di rose, i colori bene armonizzati nella sala del caff?)41. Ma subito, ogni volta,
gli incubi riprendono sempre pi? angosciosi fino alla terribile conclusione: ? Non
ho pi? forza di scrivere. Vivere in preda a questi stati d'animo ? una sofferenza
indicibile. Non c'? nessuno che voglia venire, silenzioso, a strozzarmi mentre
dormo??. Non resta che la morte: tutte le promesse di pace in questa vita si
sono rivelate illusorie ed effimere.
L'evasione in un mondo felice, romanticamente immaginato in lontane citt?
leggendariamente trasfigurate (Madrid, Rio, Samarcanda), ? subito giudicata
un sogno fanciullesco dalla ragione ironica dello scrittore scettico e disincantato.
E il mito di Icaro viene a significare poeticamente la tragedia dell'uomo che
vuole levarsi a volo con le sue forze verso il cielo dell'ideale ed ? destinato,
misera e ridicola creatura di fango, ad affogare nelle bassure della terra42.
La consolazione della Fede religiosa non ? neppure possibile, d'altra parte,
per chi crede soltanto nelle Tenebre. Nel cap. V dice il vecchio asceta al narra
tore: ?- ?Non vorresti divenire un credente?? ?Se lo potessi!...? ?Non ? una
cosa difficile. Basta credere in Dio, nel Suo Figlio Cristo e nei miracoli compiuti
da Cristo ?. ? Posso credere nel Diavolo ?. ? Dunque perch? non credi in Dio? Se
credi nell'Ombra, dovresti credere anche nella Luce ?. ? Ma v'? anche l'Oscurit?
senza Luce ?. ? Che cosa ? l'Oscurit? senza la Luce? ? Non potevo fare altro che
tacere. Anch'egli, come me, camminava nelle Tenebre. Ma credeva che oltre le
Tenebre ci fosse la Luce. Questo solo era il punto in cui la logica sua e la mia
differivano. E proprio questo era il fossato che io non potevo oltrepassare.?

Akutagawa pu? ancora tuttavia ritrovare, in certi momenti, il senso della


pienezza vitale nella creazione estetica ? che lo fa gioire selvaggiamente ? (cap. IV).
Ma poco prima, nel cap. II, non aveva egli sentito la illusoriet? di tutte le atti
vit? mondane (compresa l'arte), che, ? come uno smalto lucido ricoprono l'orrore
reale della vita umana ?43? Certo ? che ben presto anche quest'ultima ragione
di esistere, l'arte, verr? a mancare allo scrittore. Quando egli si sentir? incapace
di scrivere (vedi sopra la conclusione di Haguruma e vedi, soprattutto, la conclu
sione di Aru aho no issho), sar? veramente per lui la fine di tutto. Il timore del
disfacimento della sua personalit? psico-fisica, pi? ancora delle concezioni pessi
mistiche, fu la causa finale della morte dello scrittore.

? Non ho pi? coscienza morale n? artistica: ho soltanto nervi sensibili ?, dice


egli in un suo saggio o lettera degli ultimi anni (vedi anche Anch?-mond?, cap. II).

41 Notevole qui la sensibilit? per la bellezza ? artificiale ? delle immagini offerte


dalla vita cittadina. Vedi Daid?ji Shinsuke no hansei e Aru ano no issh?.
42 Non c'? grandezza nella miseria dell'uomo: carattere decadentistico non romantico.
43 Abbiamo avuto gi? occasione di notare che i pessimisti (i quali troppo chiedono
dalla vita perch? troppo l'amano) non possono essere perfettamente coerenti nelle loro
sconsolate concezioni filosofiche. Ragione e sentimento sono in essi perennemente in
contrasto.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 85

Qui noti la capacit? di autocritica dell'artista, umile e onesto, che, mentre con
tinua a sentire il dolore di tutte le creature, non pretende di dettare norme di
vita, n? pratica n? teoretica; troppo umile e troppo onesto d'altra parte: l'aveva,
s?, una coscienza morale e artistica, egli che fino all'ultimo, tra mille torture fisi
che e morali, sent? il dovere di continuare a creare opere d'arte, superando,
come s'? visto, il suo stesso pessimismo che lo avrebbe dovuto, logicamente,
paralizzare nell'inazione.

In Haguruma hanno grande importanza i riferimenti letterari: Dante, Do


stojevskij, France, M?rim?e, Sait? Mokichi, Shiga Naoya, Strindberg, soprattutto,
sono i nomi che pi? spesso vi si incontrano. Shiga Naoya ? colui che, pur col
pito pi? volte dolorosamente dalla vita, sa trovare alla fine l'equilibrio morale:
egli vince dove il narratore di Haguruma ? stato sconfitto: ? Sentivo intensa
mente la lotta spirituale del protagonista del romanzo44. Paragonandomi con lui
capivo quanto ero stato stolto; e ho perfino pianto ? (cap. III). Quanto a Strind
berg abbiamo gi? detto nell'introduzione (I) che Akutagawa sentiva in lui un
vero e proprio fratello spirituale e abbiamo anche definito la tematica comune
dei due scrittori.

15. La presenza demoniaca si rivela. Akutagawa rinnega gli orgogliosi miti


del Romanticismo eroico e rivolge a se stesso una generosa, ma illusoria
esortazione per sopravvivere in un intravisto umile mondo di pace.

Anch?-mond? (Dialogo nelle tenebre), 1927 (postumo).


E' un colloquio dello scrittore con la propria anima tormentata da sentimenti
contraddittori, presentato in forma drammatica come un dialogo tra due perso
naggi concreti e individuati: lui stesso e una Voce misteriosa che emerge dalle
tenebre. La Presenza demoniaca di Shinkir? e di Haguruma, finora nascosta negli
aspetti quotidiani delle cose, si ? finalmente rivelata: sembra identificarsi con
lo Spirito maligno (crisi dei valori morali e gnoseologici), che ha devastato l'anima
di tanti artisti dello scorcio dell'Ottocento.
Akutagawa pone ora sotto giudizio, ad una ad una, le sue azioni e i suoi
sentimenti e si fa di volta in volta accusare e scusare: si avvilisce e tenta di
confortarsi. Ma soprattutto afferma con particolare intensit? la potenza redentrice
del dolore45. Egli ? pienamente consapevole della sua infelicit? (di cui per altro
solo in parte si riconosce responsabile, perch? ?il caso, le circostanze e l'eredi
tariet? ? della madre pazza in questo caso ? sono altres? le cause del nostro
comportamento). Nello stesso tempo, come in Haguruma, si sente uomo del suo
tempo, fratello nel dolore di tanti altri amaramente delusi dalla vita: pochi sono
infatti gli ? eletti ?, cio? gli stolti e i cattivi per cui la vita non ? dolorosa46.

44 II romanzo ? Anya-k?ro di Shiga.


45 A questo proposito sarebbe istruttivo stabilire un confronto con B?n?diction di
Baudelaire (Fleurs du mal, Spleen et Id?al, 1).
46 Qui si potrebbe vedere un residuo sentimento aristocratico del dolore che contrasta,
almeno in parte, col proposito della compassione universale. Chi sono, ad esempio, i
? cattivi ??

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86 Guidotto Colleoni

Ma, mentre riconosce la funzione catartica del dolore, egli non insuperbisce,
non si giudica un eroe. Perch? dovrebbe inorgoglirsene? Anche i criminali pi?
abietti sono inchiodati alla loro croce. E qui vediamo la decadenza del mito
romantico dell'eroe del dolore che lancia la sua superba sfida alla vita meschina.
Non pi? la magnanimit? dell'?io? superstite in mezzo alla rovina degli ideali,
ma piuttosto la coscienza dello squallore tenebroso, opprimente, di una vita
senza grandezza.
Akutagawa evita cos? di assumere pose statuarie: rifiuta il mito del su
peruomo47: egli non cerca ormai che la pace per la sua povera anima tormentata,
simile al regno diviso in se stesso di cui parlava Ges?: la pace garantita da una
vita semplice, riscaldata dagli affetti familiari ed economicamente sicura, lon
tana da qualsiasi ambizione intellettuale e anche dalla creazione letteraria che
risveglia i mostri dell'angoscia nascosti nel mondo del subcosciente.
Ancora una volta ? da ammirare l'esemplare, onesta sincerit? dell'uomo che
non esita a mettere in evidenza i suoi sentimenti anche se contraddittori: del
l'artista ammiratore della grandezza dolorosa di Baudelaire e di Rimbaud, che
ora si ? tuttavia umiliato a riconoscere i valori della vita borghese.
Alla fine del dialogo la Voce misteriosa tace: Akutagawa ? solo; ma la con
fessione sincera e gli atti di umilt? gli hanno dato per un momento nuove forze.
Egli si propone di far nascere in s? l'uomo nuovo, capace di affondare salda
mente le radici nella terra, per vivere una vita moralmente sana per la salvezza
sua e dei suoi figli.
Attraverso il sentimento del proprio dolore e la compassione per gli altri,
superando l'orgoglioso satanico compiacimento, romantico-decadente, della pro
pria infelicit?, egli intravede la salvezza in un possibile equilibrio spirituale. Ma
ben sappiamo che fu l'illusione di un momento: il Demone del male sarebbe ben
presto tornato all'assalto.

16. La ricaduta in un pi? terribile inferno. - L'ultimo testamento spirituale.

a) Y urne (I sogni), 1927 (postumo).

La generosa esortazione rivolta a se stesso dallo scrittore alla fine di Anch?


mond? ? soltanto un momento isolato, un vano anelito di pace. La Disperazione
torna subito a dominare sovrana.

Non sono nuovi i temi di Y urne rispetto ai precedenti racconti: la natura


che spira orrore; l'intima connessione tra sogno e realt?; la suggestiva rievoca
zione di memorie infantili; il senso d'estraneit? rispetto agli altri uomini; l'arte

47 Questo rifiuto segna in maniera esplicita il compiuto superamento del mondo spiri
tuale di Daid?ji Shinsuke no hansei. Ma puoi vedere anche in Haguruma qualche evidente
indizio della nuova disposizione d/animo dello scrittore.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 87

concepita come fonte di consolazione, ultimo rifugio di uno sconfitto della vita48,
sono motivi di ispirazione che si trovano anche in Haguruma, Shinkir?, Shigo,
Nenmatsu no ichinichi.
In Nenmatsu no ichinichi abbiamo veduto, in particolare, come il piano del
l'immaginario si innestasse su quello del reale, improvvisamente, senza soluzione
di continuit?, al di fuori dello spazio e del tempo logico. Qui, in Yume, si arriva
a una compenetrazione del reale con l'immaginario intima e totale, pi? persua
siva e meno artificiosa. Il protagonista di questo racconto (un pittore) ormai sa
che tutto ci? che gli avverr? pu? averlo gi? veduto in sogno. Tutto ci? che accade
? dunque gi? prestabilito, ? portato a concludere il lettore: gi? vive in un mondo
per cos? dire metafisico, che, a tratti, emerge chiaramente nella luce della co
scienza e ci convince dell'inanit? di tutti i tentativi di sfuggire a un destino di
angoscia e di morte. La realt?, gi? cos? orribile per se stessa, questa realt? in
cui tutto sembra essere estraneo al pittore protagonista (gli amici incapaci di
confortarlo, tanto che egli sembra solo al mondo; la modella indifferente e apa
tica; il bue legato al palo; il tappeto sul pavimento dello studio ecc.) si fa ancora
pi? terrorizzante, se viene concepita come il manifestarsi concreto e ordinato nel
tempo di ? situazioni ? gi? in qualche modo preesistenti.
Unica ragione di vita, in cui crede ancora il pittore ? l'arte: con tutte le
sue residue energie egli si dedica al suo quadro, che, per?, non arriva a compi
mento. L'ultimo sforzo dell'artista che tenta di sopravvivere nel mondo della crea
zione estetica ? ormai prossimo a vanificarsi definitivamente.

b) Aru ah? no issh? (Vita di un idiota), 1927 (postumo)49.

L'opera comprende 51 brevi capitoli, ciascuno distinto da un titolo che richia


ma l'attenzione su un'idea o un'immagine fondamentale, ed ? preceduta da una
lettera introduttiva indirizzata all'amico Kume Masao.
L'autore protagonista, che designa se stesso col semplice pronome ? egli ?,
nel primo capitolo ha vent'anni: possiamo dunque dire che la trattazione auto
biografica ? ripresa approssimativamente l? dove si interrompeva in Daidoji
Shinsuke no hansei. Ma le due opere sono assai diverse e quanto all'atteggia
mento spirituale profondo dell'autore e quanto alle forme esteriori.
Questa ? Vita di un idiota ? ? l'ultimo testamento spirituale di un morituro50,
che ha veduto crollare anche le rovine su cui, in un certo senso, aveva grandeg
giato l'eroe romantico-decadente di Daidoji Shinsuke no hansei. ? Egli ? non
vuole minimamente giustificarsi: ben sapendo che due sole alternative gli offre
il destino, pazzia o suicidio, giunto ormai alla fine della vita, vuol mettere umil
mente a nudo la sua anima. Si sente un miserabile infelice: incapace di vivere
eroicamente la vita dei grandi, non ha saputo neanche onorevolmente compor
tarsi nella pratica civile e familiare quotidiana: cattivo marito, cattivo figlio,

48 Non ci aspettavamo questo ? ritorno ? dopo i propositi di Anch?-mond?; ma tant'?:


l'artista non pu? vivere che come artista.
49 Lo spunto dell'opera pu? far pensare alle Memorie di un pazzo di Gogol, le quali
per? sono differentissime, quanto al contenuto, da Aru ah? no issh?.
50 Akutagawa aveva ormai da tempo stabilito il suicidio.

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88 Guidotto Colleoni

cattivo padre. ? Ridi dunque della mia stoltezza ?, dice alla fine della lettera
introduttiva51.
E la materia stessa da trattare non gli si dispone pi? negli ampi e simmetrici
? quadri spirituali ? di Daid?ji Shinsuke no hansei: i 51 capitoletti di Aru ah?
no issh? sono come fulgurazioni istantanee, rapidissime immagini, illuminazioni
tese a una concisione sintetica, che dovrebbero simboleggiare l'evoluzione della
personalit? sentimentale, culturale e specificatamente artistica di un uomo estre
mamente complesso e contraddittorio.
Singolare, difficile e anche pericoloso tale metodo d'espressione!
L'ordine della trattazione ? approssimativamente cronologico; ma in verit?
i fatti non vi si succedono in una sequenza meccanica ed inespressiva: lo scrittore
vuole rappresentare la misteriosa logica interna delle cose della vita. Ancora una
volta ? l'artista che si confessa: colui che interpreta la realt? trasfigurandola
magicamente.

Per una comprensiva e compiuta interpretazione a noi giova tentare una


classificazione di tutto il contenuto dell'opera, riordinato e distinto secondo gli
argomenti: cio? vita privata e familiare, formazione culturale, sentimenti intimi
derivati da molteplici esperienze.
Il fantasma ossessivo della madre pazza, i difficili rapporti affettivi con le
persone che ci dovrebbero essere pi? care sono i presupposti che l'autore stesso
considera tra le cause fondamentali della propria infelicit?: ? egli ? si sente inca
pace di amare di normale affetto sua moglie, i suoi stessi figli: ? Perch? costui
? venuto in questo doloroso mondo? Perch? il destino gli ha imposto un padre
come me? ? Cos? ? egli ? pensa vedendo il figlio primogenito neonato.
Tutto ? descritto e raccontato con fredda obiettivit?; ma, tra le righe, si
legge la piet?. E qui lo scrittore si riscatta anche moralmente: egli si ? fatto
torto disprezzandosi: il padre, il marito, incapace di affetti comuni, istintivi,
diciamo pure normali, si risolleva e si rif? uomo, nobilmente uomo, provando
il sentimento tutto spirituale e disinteressato della compassione per altre crea
ture umane.
Si illuse talora Akutagawa di trovare conforto nell'amore di donne fuori
della famiglia: in Aru ah? no issh? pi? volte appare una figura femminile avvolta
in una fantastica luce lunare. L'atmosfera di mistero e di sogno eleva anche qui
la realt? obiettiva e triviale della vicenda privata a simbolo universale dell'umana
ricerca della Bellezza ideale nell'amore: ricerca che si rivela poi vana e morti
ficante: da essa nascono fatalmente il disgusto e il disprezzo.

Alcuni dei capitoli pi? significativi di Aru ah? no issh? sono dedicati alla
formazione culturale dello scrittore. Nel primo capitolo, intitolato ? Epoca ?, ve
diamo ?lui? come un giovane ventenne che cerca libri nuovi in una libreria:
in piedi su una scala legge i frontespizi: Maupassant, Baudelaire, Strindberg,
Tolstoj, Nietzsche, Verlaine, i fratelli Goncourt, Dostojevskij, Hauptmann, Flau

51 Tale atteggiamento spirituale ? manifesto anche in Haguruma e sopratttutto in


Anch?-mond?.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 89

bert52: dall'alto della scala (evidente il simbolo!) come gli appaiono piccoli e
meschini i commessi e i clienti che s'aggirano tra gli scaffali; pensa: ? La vita
umana vai meno di un verso di Baudelaire?.
Questa frase ha dato da fare a molti critici. Parecchi significati sono stati
proposti, del resto non inconciliabili tra loro. Invero qui lo scrittore vuol dire
che a vent'anni si sentiva gi? conscio della vanit? della vita pratica, ma poteva
ancora rifugiarsi nel culto dell'arte (l'ultimo rifugio): Baudelaire ha sentito come
lui: ? la voce altissima della poesia, che parla per tutti i ?maledetti? signoreg
giati dal ?Demone maligno della fine del secolo?, disperati e tuttavia strenua
mente attaccati all'ideale della creazione artistica. Un verso di Baudelaire, cio?
la perfetta poesia, pu? dare un significato alla vita.
La meditazione, diremmo meglio l'illuminazione, del I capitolo ? stata giusta
mente messa in rapporto con ci? che si legge nell'VIII. Qui il protagonista, in
una giornata di pioggia, camminando per la citt?, vede sprizzare un lampo vio
letto dai fili elettrici sospesi sulle vie dove passa il tram. ? Non vi era per 'lui'
nulla di desiderabile nella vita umana; soltanto quella meravigliosa e terribile
fiamma violetta sospesa nel vuoto 'egli' voleva afferrare, anche a costo di dare
in cambio la vita?. La fiamma elettrica pu? ben essere il verso di Baudelaire:
? la fulgurazione istantanea, conquista momentanea ed eterna dello spirito: ?
l'uomo che si sente, sia pur confusamente, assunto a dignit? divina, perch? ha
sfiorato il mistero dell'infinitamente ed eternamente bello, superando le meschi
nit? della vita terrena.
Questa volta il messaggio che arriva dal mondo circostante non ? d'angoscia
n? di morte, ma di vittoria e di vita. Tale ? il significato pi? vero e profondo
dell'episodio della fiamma violetta e si pu? conciliare benissimo con l'opinione
di coloro che ci vedono soltanto il gusto degli spettacoli artificiali, il fascino
della citt?. In verit? ? propria di molti poeti moderni la capacit? di ? illuminarsi ?
(nel senso pi? profondo e nuovo del termine) stimolati piuttosto dal mondo
artefatto dall'uomo che da quello naturale. E basti ancora l'esempio di Baude
laire.
L'illuminazione del cap. Vili di Arti ano no issh? ? anche simbolo di quel
desiderio pi? volte ricorrente in Akutagawa di evasione dai ceppi della famiglia
e della societ? verso un favoloso mondo di eroi (Aru ano no issh? capp. XI, XX
e XXXV; vedi anche Haguruma). Senonch?, quando si vorr? determinare di quale
eroismo si tratti, ecco la delusione: nulla di ci? che si pu? tangibilmente posse
dere ha appagato ? lui ?, l'escluso dalla vita pratica.
Figura ideale d'eroe ? Lenin, ? colui che pi? d'ogni altro ha custodito i dieci
comandamenti e pi? d'ogni altro li ha infranti; colui che pi? d'ogni altro ha
amato le moltitudini e pi? d'ogni altro le ha disprezzate; colui che pi? d'ogni
altro s'? infiammato per un ideale e pi? d'ogni altro ha avuto chiara coscienza
della realt?? (Aru ah? no issh? cap. XXXIII). Akutagawa vede l'eroe della rivo
luzione russa ascendere un'alta montagna; lo contempla da lontano ?dalla fine
stra della casa di Voltaire?: lo scetticismo ironico accende la fantasia del

82 Nel corso dell'opera compaiono anche altri nomi di scrittori, tra cui particolar
mente significativi S?seki, il venerato ? maestro ?, e Goethe, invidiato modello di rag
giunto equilibrio morale.

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90 Guidotto Colleoni

poeta, d? le ali al suo estro poetico; ma sono ali di Icaro che lo faranno preci
pitare nel mare del Nulla (cap. XIX). Per ?lui?, per il poeta che sempre pi?
intensamente sentir?, soprattutto verso la fine della vita, la nostalgia per una
fede religiosa (cap. L), ? stato un gioco assai pericoloso abbracciare ? il cuscino
profumato di rose ? dello scetticismo; ? egli ? non s'era accorto, all'inizio, che
un mostro (il ? centauro ? del cap. XVI) si nascondeva ? nel cuscino ?. Qui lo
scrittore ci vuole evidentemente dire che la sua sconsolata filosofia gli si ?
trasfigurata in vaghe immagini poetiche che per? lo hanno vieppi? indotto, quasi
con amabile dolcezza, a disperare di tutto, perfino, paradossalmente, del mito
dell'arte consolatrice.
Negli ultimi capitoli Akutagawa ha ormai ceduto le armi al ? Demone della
fine del secolo ?, oscuro tormentatore di tante vittime illustri. Col barlume di
coscienza che gli resta ? egli ? ha ancora la forza di notare gli ultimi progressi
della sua malattia psichica e fisica: ? il crepuscolo della vita su cui, tra poco,
scenderanno definitivamente le tenebre.

APPENDICE

Traduzione commentata di un'opera esemplare dell9ultimo Akutagaiva

I MIRAGGI (Shinkiro)

I.

Un giorno d'autunno, verso mezzod?, uscii di casa per andare a vedere i


miraggi, insieme con K., studente universitario, venuto a farmi visita da Tokyo.
Credo che tutti sappiano che sulla spiaggia di Kugenuma appaiono i miraggi.
Anche la nostra cameriera aveva veduto una barca riflessa sottosopra: ?Sem
brava proprio la fotografia pubblicata sul giornale dell'altro giorno ! ?, ripeteva
dimostrando vivo interesse per il fenomeno53.
Svoltammo dalla parte dell'albergo ?Azumaya? e cogliemmo l'occasione per
invitare anche O. a venire con noi. O. con indosso, come al solito, una camicia
rossa, pompava con grande foga l'acqua dal pozzo che si vedeva di l? dello stec
cato: forse stava preparandosi da mangiare.
Mi feci vedere da lui alzando il mio bastone di frassino.
? Entra di l?... Ah, ci sei anche tu? ?
O. doveva aver pensato che io e K. fossimo venuti per restare in casa sua.

53 Sin dall'inizio notiamo in questo ? racconto ? l'espressione linguistica semplice e


limpida e il ritmo lievemente ansimante della narrazione, caratteri stilistici che abbiamo
cercato di riprodurre, per quanto possibile, nella nostra traduzione.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 91

? Siamo passati di qui con l'intenzione di andare a vedere i miraggi. Vieni


anche tu con noi? ?
? I miraggi?! ? disse O. ridendo: ? Da un po' di tempo a questa parte
sono divenuti di moda, i miraggi! ?
Cinque minuti pi? tardi, insieme con O., gi? camminavamo per una strada
coperta da sabbia profonda. A sinistra della strada una pianura, anch'essa sab
biosa, era attraversata obliquamente da due solchi, neri, lasciati dalle ruote di
un carro da buoi. Io sentivo in questi profondi solchi come una forza oppres
siva e mi sembrava di vederci la cicatrice lasciata dall'opera di un genio possente.
? Ancora non mi sono rimesso in salute: al solo vedere quelle tracce, gi?
sento uno strano abbattimento. ?
0. corrug? le sopracciglia e non rispose nulla alle mie parole.
Ma sembrava avere inteso perfettamente il mio stato d'animo54.
Intanto eravamo passati tra i pini, tra i bassi pini sparsi qua e l?55, e cammi
navamo lungo la riva del fiume Hikiji.
Oltre la vasta spiaggia il mare, azzurro intenso, si stendeva luminoso e tran
quillo. Ma gli alberi e le case di Enoshima erano immalinconiti dalla foschia.
? Tempi moderni, eh? ? disse K. improvvisamente; e sorrideva.
Tempi moderni? E scoprii subito che cosa fossero i ? tempi moderni ? di
K. Erano un uomo e una donna che contemplavano il mare, con le spalle rivolte
ad una siepe fatta di bamb? erbacei intrecciati* che serviva a fermare la sabbia.
Veramente, all'uomo che indossava un cappotto leggiero e portava un cap
pello morbido non si addiceva l'appellativo di ? tempi moderni ?.
Invece l'abbigliamento della donna con i capelli tagliati corti, l'ombrellino
e le scarpe con i tacchi bassi era davvero secondo la nuova moda.
? Sembrano felici... ?
? E tu sembri invidiarli! ? disse O. a K. con un'aria di lieve canzonatura56.
Il luogo in cui apparivano i miraggi distava da quei due poco pi? di cento
metri.
Ci stendemmo tutti e tre bocconi, e contemplavamo, oltre il fiume, la spiaggia
sabbiosa, su cui si levava l'aria calda tremolante. Sulla spiaggia ondeggiava una
striscia azzurra della larghezza circa di un nastro: sembrava che il colore del
mare si riflettesse nell'aria calda. Ma all'infuori di questo non si vedeva altro;
neppure l'immagine riflessa delle barche che erano presso la riva.

54 In Shorten (1924) e precisamente nel cap. II intitolato ?Il segreto della strada?,
Yasukichi (personaggio che rappresenta l'autore stesso) ricorda di essere stato singolar
mente colpito, nella sua infanzia, dalla vista di due solchi su una strada sabbiosa, che
poi gli era stato rivelato essere le tracce lasciate dalle ruote di un carro.
Il senso dell'infinito e del magico, per la prima volta confusamente percepito dal
bambino quattrenne, per cui le cose pi? comuni sono misteri, viene qui, in Shinkir?, a
rinnovarsi nella coscienza dell'adulto e si complica di un oscuro significato pauroso.
55 Si noti la costruzione del periodo, della quale Akutagawa sovente si serve per
ottenere particolari effetti: il sostantivo (in questo caso ? i pini ?), dapprima espresso
semplicemente senza attributi, viene subito ripreso con una specificazione (in questo caso
? i bassi pini ?).
96 La coppia ? tempi moderni ? rappresenta il mondo di coloro che hanno fiducia
nell'avvenire, mondo da cui Akutagawa si sente escluso (vedi Kare e Kare dai-ni e
Genkaku-sanb?).

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92 Guidotto Colleoni

? Quello sarebbe dunque un miraggio... ? disse K. che pareva deluso;


aveva il mento cosparso di sabbia.
In quel momento un corvo, venuto chiss? da dove, sorvol? la spiaggia alla
distanza di due o trecento metri, sfiorando la striscia azzurra ondulante.
Poi si allontan?, volteggiando verso il basso. Contemporaneamente l'imma
gine del corvo, per un istante, si era riflessa rovesciata sopra la zona d'aria calda.
? Bene: ci possiamo contentare. Anzi, oggi abbiamo avuto un magnifico
spettacolo. ?
Mentre O. cos? diceva, ci alzammo dalla sabbia.
Ed ecco venire verso di noi la coppia ? tempi moderni ?, che ci eravamo
lasciati dietro le spalle. Io rimasi un po' sorpreso, e mi volsi a guardare dietro
di noi. Ma quelli, circa cento metri pi? in l?, stavano come prima davanti alla
siepe di bamb?, parlando tra di loro, per quel che si poteva giudicare. Noi ca
pimmo quel che era accaduto e cominciammo a ridere: specialmente O.
? Direi piuttosto questo un vero miraggio! ?
La coppia ? tempi moderni ? davanti a noi, naturalmente, erano altre persone,
non quei due di prima; ma la donna, con i capelli tagliati corti, e l'uomo, che
portava un cappello floscio, nell'aspetto erano quasi identici a quelli.
? A me ha fatto una certa brutta impressione. ?
? Io mi sono domandato come potessero essere venuti fin qui da un mo
mento all'altro57. ?
Cos? parlando oltrepassavamo ora una bassa collina di sabbia, senza pi?
costeggiare il fiume Hikiji. Anche sulla collina, accanto alla siepe di bamb?
erbacei, ingiallivano bassi pini. 0., mentre passavamo di l?, improvvisamente si
chin? e raccolse qualcosa sulla sabbia. Era una tavoletta di legno con un'iscri
zione in caratteri latini, circondati da un'inquadratura nera che sembrava pece.
? Che ? questo?! Sr. H. Tsuji... Unua... Aprilo.... Jaro... 1906 . ?
? Che vorr? dire?... dua... Come si legge qui?... Majesta?... 1926. ?
? Questa deve essere stata attaccata a un cadavere sepolto in mare ? sup
pose O.
? Ma..., quando seppelliscono un cadavere in mare, non lo avvolgono soltanto
in tela da vela o qualcosa di simile? ?
? Proprio per questo vi attaccano una tavoletta con un'iscrizione... Guarda:
qui sono stati piantati dei chiodi. Volevano rappresentare una croce. ?
Camminavamo ora tra i pini e le siepi di bamb? che delimitavano ville pri
vate. Quanto alla tavoletta di legno, doveva essere pi? o meno come aveva pensato
O. Io sentivo di nuovo una presenza sinistra, che non avrei dovuto sentire in
quella luce solare59.
? Abbiamo raccolto una cosa che ? di malaugurio. ?
? Perch?? Io me ne voglio fare un portafortuna... Per?... dal 1906 al 1926...
Dunque ? morto a vent'anni. Vent'anni... ?

57 Fatti che, sentiti misteriosi, si rivelano perfettamente naturali alla ragione.


58 Esperanto, in caratteri latini nel testo.
59 Qui sono messi in esplicito contrasto l'angoscia intima del narratore e il mondo
esterno obiettivamente, apparentemente, sereno.
Dobbiamo per? dire che la vista della tavoletta funeraria ha offerto al narratore
obiettiva materia di meditazione malinconica.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 93

? Sar? stato un uomo? O una donna? ?


? Mah... Chiss?, forse era un sangue misto. ?
Mentre rispondevo cos? a K., mi figuravo il giovane di sangue misto, morto
sulla nave. Secondo la mia immaginazione la madre doveva essere giapponese.
? Un miraggio? ? disse 0. improvvisamente come tra s?, guardando avanti.
Forse erano parole dette senza alcuna ragione. Ma io avevo sentito un leggiero
brivido.
? Vogliamo andare a prendere un tazza di t?? ?
Indugiavamo esitanti in un angolo della via principale, fiancheggiata da molte
case. Molte case?... Eppure sulla via coperta di sabbia asciutta quasi non si
vedevano passanti60.
? Tu, K., che vuoi fare? ?
? Per me..., come volete voi. ?
In quel jnomento veniva verso di noi un cane tutto bianco, con la coda
malinconicamente bassa61.

II.62

Dopoch? K. fu tornato a T?kyo, ebbi di nuovo occasione di passare il ponte


dello Hikiji, insieme con O. e mia moglie. Questa volta erano circa le sette
pomeridiane: avevamo appena finito di cenare.
Quella sera non si vedevano neppure le stelle63. Camminavamo sulla spiaggia
deserta senza molto parlare. Presso la foce del fiume si moveva un fuoco bril
lante: doveva essere un segnale per i battelli andati al largo per pescare.
Il rumore delle onde era ininterrotto. A mano a mano che ci si avvicinava
alla riva, diveniva pi? forte Fodor? del mare. Ma pi? che dal mare il sentore
sembrava emanare dalle alghe e dai pezzi di legno impregnati di salsedine portati
dalle onde e accumulati l? dove passavamo noi. Io, chiss? perch?, sentivo Fodore
sulla pelle oltre che col naso.
Restammo per qualche tempo sulla riva, a contemplare le creste delle onde,
che rilucevano debolmente. Il mare era dappertutto buio.
Mi ricordavo che circa dieci anni prima avevo abitato presso una spiaggia
marina della regione di Kazusa. Mi ricordavo anche di un amico che era stato
l? con me... Egli, oltre a lavorare per i suoi studi, mi aveva letto le bozze del mio
racconto intitolato Imo-gayu...

60 Senso del misterioso in fatti normali. Desolazione quieta tutta risolta in immagini.
61 Accostamento di avvenimenti che sembrano sconnessi dal punto di vista della
logica quotidiana obiettiva, ma sono invece intimamente collegati nel significare un com
plesso mondo spirituale, oscuro per l'intelligenza razionale, ma vivo e reale nel sub
conscio, esprimibile solo dalla poesia.
62 In questo secondo capitolo sono evidenti le simmetrie strutturali col primo; ma
non vi trovi pi? (se non nel ricordo delle persone) veri e propri miraggi (quelli scientifi
camente definiti come tali). Si infittiscono invece le suggestioni magiche che emanano
dagli aspetti comuni della natura.
63 Si noti l'intensificarsi dei toni cupi rispetto al primo capitolo.

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94 Guidotto Colleoni

Intanto O. s'era accoccolato sulla sabbia battuta dalle onde e aveva acceso
un fiammifero.
? Che stai facendo? ?
? Nulla di particolare... Per?, quante cose si vedono, se appena si fa un po'
di luce! ?
O. aveva girato il capo per guardarci da sotto in su e parlava rivolto un po'
a me e un po' a mia moglie. Effettivamente la luce del fiammifero illuminav
conchiglie d'ogni specie sparse tra le alghe. O., appena la fiammella si spense,
accese un altro fiammifero e cominci? a camminare lentamente lungo la riva
? Ah, m'ha fatto paura! Mi pareva il piede di un annegato. ?
Era una scarpa da bagno mezzo sepolta nella sabbia64.
In quel punto giacevano anche grandi spugne confuse tra le alghe.
Ma appena si spense il secondo fiammifero, tutto all'intorno si fece pi? bui
di prima.
?- Per? di giorno la caccia ? stata pi? fruttuosa. ?
? La caccia? Ah, quella tavoletta? Quelle non sono cose che si trovano tutti
i giorni. ?
Decidemmo di tornare indietro, lasciandoci alle spalle il rumore ininterrotto
delle onde. I nostri piedi calpestavano talvolta anche le alghe, oltre la sabbia.
? Anche qui ci dovrebbero essere molte cose, d'ogni specie. ?
? Vogliamo accendere un altro fiammifero? ?
? Meglio di no! Oh, si sente un suono di campanelli! ?
Tesi l'orecchio. In verit? mi domandavo se si trattasse di un'allucinazione:
ne avevo avute parecchie negli ultimi tempi. Ma ora realmente un campanello
sonava da qualche parte. Mentre stavo per domandare di nuovo ad O. se anche
lui lo udiva, mia moglie, che veniva due o tre passi dietro di noi, ci disse riden
do: ? Sono i campanelli dei miei zoccoli che suonano. ?
Ma sapevo bene, anche senza volgermi, che mia moglie portava sandali di
paglia.
? Questa sera sono diventata una bambina e mi sono messa gli zoccoli
con i campanelli. ?
? Suonano nella manica della signora... Ah, ? il giocattolo di Y.chan65! E'
il giocattolo di celluloide con i sonagli ? disse O., ridendo anche lui.
Intanto mia moglie continuava a venirci dietro e camminavamo cos?, noi tre
in fila. La nostra conversazione si fece pi? animata, prendendo lo spunto dallo
scherzo di mia moglie.
Io raccontai ad O. il sogno della notte passata. Avevo sognato di parlare
con il conducente di un autocarro davanti a un edificio di nuova costruzione.
Durante il sogno ero certo di avere gi? incontrato quella persona. Ma, anche
dopo essermi svegliato, non riuscivo a ricordarmi dove era avvenuto l'incontro.
? Poi, improvvisamente, mi sono ricordato: era una giornalista, venuta ad
intervistarmi, incontrata una sola volta tre o quattro anni fa. ?
? Dunque era una donna che conduceva l'autocarro? ?
? No, naturalmente era un uomo. Solo il viso era di quella giornalista. Una

64 Si noti la simmetria con la tavoletta funeraria del I capitolo; ma qui l'atmosfera


? assai pi? fosca.
65 ? Y.chan ? ? Yasushi, il figlio dell'autore.

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Akutagawa Ry?nosuke nei suoi ultimi racconti 95

cosa vista sia pure una sola volta rimane in qualche punto del cervello e...,
chiss? come... ?
? Eh s?. Quelli che hanno un viso particolare, tale da rimanere impresso
nella memoria... ?
? Ma non mi piaceva affatto il viso di quella persona. E proprio per questo,
anzi, ripensandoci, provo un'impressione sgradevole, sinistra. Comunque si direbbe
che al disotto della soglia della coscienza esistano molte cose...66. ?
? Insomma, ? come quando si accende un fiammifero e appaiono cose d'ogni
genere. ?
Mentre cos? parlavamo, m'accorsi per caso che i nostri visi si vedevano chia
ramente. Eppure continuava a non esserci nemmeno la luce delle stelle. Provavo
di nuovo un senso di sinistra oppressione e guardavo spesso il cielo. Mia moglie
sembr? accorgersene e rispose al mio dubbio, bench? io nulla avessi detto:
? E' il riflesso della sabbia, non pensi? ?67 disse accostando le maniche del
suo kimono l'una all'altra e volgendosi a guardare la vasta spiaggia.
? Deve essere questa la ragione. ?
? La sabbia fa strani scherzi. Qualche volta infatti produce anche i miraggi...
Lei, signora, ancora non ne ha veduti? ?
? S?; pochi giorni fa... ho veduto come una cosa azzurra, niente altro. ?
? Il miraggio non ? altro che questo; l'abbiamo veduto anche noi oggi. ?
Passammo il ponte dello Hikiji: camminavamo lungo il rialzo di terra su cui
era costruito l'albergo ?Azumaya?. Le cime di tutti i pini stormivano alla brezza
che si era levata. Ed ecco venire verso di noi con passo svelto un uomo di bassa
statura. Improvvisamente mi ricordai di un'allucinazione veduta durante l'estate
scorsa. Una sera come questa un pezzo di carta attaccato a un ramo di un pioppo
mi era sembrato un elmetto. Ma quell'uomo non era un'allucinazione. Anzi, quando
gli fummo vicini, si vide lo sparato della camicia.
? Che strana spilla da cravatta! ? dissi a bassa voce; ma mi accorsi subito
che quella che avevo creduto una spilla, era la punta accesa di una sigaretta.
Mia moglie fu la prima a ridere, ma nascose la sua risatina coprendosi la bocca
con una manica. E quell'uomo ci pass? vicino senza guardarci e prosegu? rapi
damente.
? Allora, buonanotte. ?
? Buonanotte. ?
Ci separammo da O. con questo semplice scambio di saluti e proseguimmo
nella brezza che stormiva tra i pini. E nello stormire della brezza si distingueva
appena la voce dei grilli68.

66 Si ? visto quanto spesso ricorrano i sogni nei racconti di Akutagawa. Si pu?


riconoscere anche qui un'evoluzione. Dalle visioni oniriche di mondi del tutto irreali,
in se stessi paurosi, di Orni no hot ori e di Shigo si perviene, gradualmente (vedi Nen
matsu no ichinichi, Kare dai-ni e Genkaku-sanb?), al sogno di Shinkir?, in cui persone e
luoghi sognati sono del tutto normali e comuni e non dovrebbero avere in s? nulla di
pauroso, eppure provocano nel narratore un senso di incubo: ormai in qualsiasi mani
festazione di vita, anche in quelle apparentemente pi? insignificanti, egli avverte la pre
senza dell'oscura minaccia.
67 Di tutte le suggestioni magiche che sembrano emanare dalle cose l'autore vuole
stabilire anche le cause positive, razionali. Anche per questo il quadro, ad un tempo sur
reale e naturalismo, ? quanto mai equilibrato e persuasivo.
68 Apertura idilliaca del paesaggio di gusto tipicamente giapponese.

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96 Guidotto Colleoni

? Quando si celebrano le nozze d'oro del nonno? ?


Il ? nonno ? era mio padre adottivo.
? Non so di preciso... E' arrivato il burro da T?kyo? ?
? Il burro ancora no. Sono arrivate soltanto le salsicce. ?
Eravamo ormai giunti davanti al cancello, davanti al cancello semiaperto69.

69 L'accommiatarsi dall'amico con un semplice e naturale scambio di saluti, l'apertura


idilliaca del paesaggio, il breve dialogo tra i coniugi avevano allentato l'oscura tensione
e rasserenato alquanto l'atmosfera; ma il periodo finale (? Eravamo giunti ? ecc.) riporta
tutto in un clima d'angoscia: la Presenza misteriosa incombe, sembra ormai pronta a
ghermire.
Vedi anche la nota55 in questa Appendice.

Sentiamo il dovere di esprimere qui la nostra riconoscenza al carissimo


amico Iwakura Tomotada, senza il cui affettuoso incoraggiamento questo lavoro
non avrebbe forse mai visto la luce.

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