Sei sulla pagina 1di 7

Akutagawa Ryunosuke

La figura più incisiva della letteratura dei quindici anni di era Taisho è stata quella di Akutagawa
Ryunosuke (1892-1927). Si fece una reputazione già nei suoi primi anni di carriera, e riuscì a
mantenere un folto gruppo di lettori affezionati anche a stile e modi notevolmente cambiati col
passare del tempo; le sue storie brevi, specialmente le prime, oggi sono considerate dei classici e
sono spesso ristampate e lette nelle scuole. E' stato anche il primo scrittore giapponese moderno ad
attirare attenzione all'estero, e molti dei suoi lavori più importanti sono stati tradotti; i suoi scritti,
insieme a quelli di Natsume Soseki e Mori Ogai, 'costituiscono gli elementi base dello sfondo
letterario del giapponese moderno'.

Akutagawa nacque a Tokyo, figlio di un lattaio chiamato Niihara Toshizo; molti dei clienti del
padre erano stranieri, il che spiega perchè i Niihara fossero una delle sole tre famiglie giapponesi a
vivere nella concessione di Irifune; probabilmente, il contatto con influenze estere causò il suo
interesse per elementi esotici, ma, poiché lasciò Irifune quando era ancora un bambino, un simile
dato appare improbabile. Sette mesi dopo la sua nascita, sua madre impazzì e rimase in questo stato
fino alla sua morte nel 1902; nelle storie di matrice autobiografica del suo ultimo periodo,
Akutagawa parla spesso della madre e ripete spesso di avere timore della pazzia, quasi scorresse nel
suo DNA e dovesse necessariamente toccargli come una sorta di eredità familiare. Anche se venne
cresciuto da uno zio con grande affetto e in un contesto familiare acculturato – diversamente da
quello da cui proveniva il padre -, Akutagawa sentiva comunque la mancanza di una figura materna,
il peso dell'adozione e della perdita della madre, evidenti da quanto spesso ne parli nelle sue opere.

Da bambino Akutagawa eccelse negli studi, e divenne da subito un avido lettore, prima di classici,
poi di scrittori di metà epoca Meiji, infine di suoi quasi contemporanei; al liceo si interessò anche di
letteratura europea, con autori tra cui Maupassant, Anatole France, Strindberg e Dostoievskj. Nel
1913 fece ingresso nel Dipartimento di Letteratura Inglese dell'Università Imperiale di Tokyo e
subito dopo cominciò a pubblicare nella terza serie dello Shinshicho, un giornale letterario
universitario, cominciando con la sua traduzione del 'Balthasar' di France, non di ottima qualità ma
comunque notevolmente superiore a quanto permettessero le capacità di molti traduttori di
professione suoi contemporanei.

Una infelice storia d'amore che intrattenne tra il 1914 e il 1915 indusse Akutagawa a distrarsi dagli
studi preferendo letture di altro genere, che avrebbero dovuto servirgli a distrarsi dagli avvenimenti
infelici di quel periodo; lui stesso afferma di aver scritto molti racconti di quel tempo, come
'Rashomon' e 'Hana', cercando un'impronta allegra che non ricordasse la tristezza che accusava in
quel periodo – e doveva essere sul serio depresso, se considera 'allegro' un racconto come
'Rashomon' e non usando le sue opere per esprimere ciò che sentiva.

'Rashomon' comparve per la prima volta nel numero del Novembre 1915 di 'Teikoku bungaku'
(Letteratura imperiale), un'altra pubblicazione dell'Università Imperiale di Tokyo; insolitamente, gli
amici di Akutagawa furono i primi a criticare aspramente il suo lavoro, addirittura
raccomandandogli di smettere di dedicarsi alla scrittura, elemento che motivò le numerose e rapide
revisioni, aggiunte e modifiche cui Akutagawa sottopose la sua opera. L'ambientazione del racconto
è la Kyoto del XII secolo, un'epoca in cui i grandi edifici della capitale soccombevano spesso a
incendi e distruzioni e uomini disperati si rivolgevano ad una vita di scorribande ed illegalità pur di
sopravvivere in un'era di disordini e violenza; la storia si apre con un uomo appena avviatosi
all'attività di ladro che, con ancora numerose riserve sul cammino da lui stesso scelto, si introduce
furtivamente nel solaio di un'abitazione. Lì assiste ad un'immagine grottesca: una donna che, per
rivenderli, strappa i capelli dal cadavere di un'altra donna per ricavarne una parrucca; una simile
ignominia cancella ogni suo tentennamento e lo spinge a derubare la donna dei suoi abiti, per
rivenderli a sua volta, trasformato, ora, in un criminale come tutti gli altri. La storia prende efficacia
grazie alla vividezza della descrizione che Akutagawa fa dell'epoca in corso, nonché grazie
all'abbondanza di dettagli che si rifà al Konjaku monogatari, da cui trae ispirazione; ad una più
attenta analisi, in realtà, la storia deve molto poco a simili prestiti, verosimilmente molto più
indebitata nei confronti delle letture europee dell'autore. A posteriori, Akutagawa stesso motiverà
l'ambientazione in un passato così distante di una storia che, per i suoi risvolti psicologici, appare
profondamente moderna: solo ambientazioni così indietro nel tempo si prestavano ad artifici
narrativi vuoi inverosimili, vuoi spesso esagerati, che pur tuttavia fornivano una migliore e più
efficace resa dei temi artistici scelti dallo scrittore. La maggior parte delle opere di Akutagawa sono
ambientate nel passato: le sue epoche preferite erano il XII secolo, quando Kyoto era annichilita da
disastri e disgrazie; il tardo XVI secolo, con l'acme dell'influenza cristiana a Nagasaki; l'inizio
dell'era Meiji, con l'adozione inesausta ed acritica di ogni aspetto della cultura europea. L'autore era
sempre teso alla ricerca della verosimiglianza resa con abbondanza di dettagli ispirati al Kongaku
monogatari; quando ci riusciva, come in 'Rashomon' e altre storie, era capace di ricreare straordinari
scorci di passato, filtrati attraverso la mentalità di un giapponese moderno al corrente degli ultimi
sviluppi letterari e culturali europei. A volte, tuttavia, simili tentativi risultavano in esagerazioni da
lui stesso riconosciute come tali; è il caso di 'Chuto' (Banditi), in cui la continua ripetizione di due
immagini simboliche di un serpente ucciso dal passaggio di un crocchio e di una donna malata, a
ricordare lo stato in cui versava Kyoto in quel periodo, risultano agli occhi dello stesso autore come
il risultato di uno dei suoi peggiori lavori, il cui prezzo era spesso quello di annoiare il lettore e di
gonfiare eccessivamente stile e prodotto finale.

Il suo primo successo di pubblico fu 'Hana' (Naso, 1916), l'interessante storia di un prete con un
naso lungo circa quindici centimetri e dei suoi sforzi per accorciarlo. Riuscito a trovare un metodo
efficace, ma doloroso, per riuscirci, scopre che tutte le persone che lo avevano in simpatia proprio
per il suo difetto fisico ora lo disprezzano e lo ritengono un uomo frivolo e vanesio; il prete sfoga
allora la frustrazione derivante dall'accaduto su chiunque lo circondi, compreso un altro prete che lo
aveva aiutato a liberarsi del naso eccessivamente lungo, e solo un mattino, svegliatosi
improvvisamente con il naso tornato alla sua lunghezza originaria, dimette quell'atteggiamento
ostile a chiunque conoscesse ed incontrasse, nella speranza che tutti torneranno a tenerlo in buona
considerazione e smetteranno di ridere di lui. Anche questo racconto si ispirava al Konjaku
monogatari, e pare sia stato influenzato da 'Il naso' di Gogol (1835), nonostante il prodotto finale
debba molto più all'abilità dell'autore di combinare grottesco ed umoristico senza scadere nello
scontato; lo stesso Natsume Soseki, che all'epoca aveva già una grande fama, era grandemente
ammirato dallo stesso Akutagawa ed aveva radunato attorno a sé un nutrito circolo di discepoli,
alcuni dei quali divennero, col tempo, famosi, scrisse una lettera ricolma d'ammirazione ad
Akutagawa dopo aver letto 'Hana', raccomandandogli di scrivere almeno altre venti o trenta storie
di quel tipo se avesse voluto raggiungere la notorietà. Molti critici affermano che l'attenzione di
Akutagawa per il tema dell'egoismo è dovuta ad un'ispirazione a Soseki, ma, sebbene la loro
vicinanza deve avere influenzato l'insistenza con la quale rimase sull'argomento, è chiaro che aveva
i suoi motivi personali per rimanervi su. Di questo tipo è la storia 'Kumo no ito' (La tela del ragno),
sul bandito Kandata che, nonostante le sue molteplici colpe, il Buddha vuole salvare in virtù del
fatto che un giorno aveva risparmiato la vita di un ragno; allora cala un filo di ragnatela nei recessi
del Lago di Sangue nell'Inferno perchè Kandata possa attaccarvisi ed uscire di lì, ma il filo si spezza
quando il bandito tenta di scacciare altri dannati che vi si erano attaccati per trovare la salvezza, in
una punizione per una simile manifestazione di egoismo (per l'appunto).

Akutagawa fu più consistentemente influenzato da Mori Ogai, in una misura tale da far parlare
spesso più di imitazione che di ispirazione; nonostante ciò, pur se entrambi gli scrittori avevano un
profondo interesse per le storie di matrice storica, il loro atteggiamento nei confronti del passato era
sostanzialmente diverso: Ogai vi si rivolgeva con rispetto, senza mai omettere dati veridici e senza
mai venir meno alla coerenza dei dati; Akutagawa, invece, si serviva del passato più come
strumento che facesse da sfondo ad avvenimenti miracolosi, sovrumani o insoliti, in maniera simile
a quei poeti waka che prendevano ambientazioni del passato per conformarle ad una sensibilità
moderna.

Il successo di 'Hana' spinse Akutagawa a scrivere altre storie d'ambientazione storica con risvolti
umoristici, come 'Imogayu' (Brodo di patata dolce, 1916); questa storia ha come protagonista Goi,
un ufficiale di basso grado che, di solito, mangia i resti dei pasti dei suoi superiori. Il suo sogno è
mangiare un'enorme quantità di brodo di patata dolce, che è più delizioso di quanto il nome faccia
credere, e nonostante ciò, un giorno che si trova al cospetto di molteplici porzioni di questa pietanza
grazie alla concessione di un altro ufficiale che gliel'aveva promessa, ne resta deluso, come da una
consuetudine tipica di Akutagawa per cui la realizzazione di un sogno porta più spesso a
disillusione che non a soddisfazione.

Una delle principali debolezze di Akutagawa era la mancanza di originalità. Era spesso paragonato,
anche da critici ammirati dalla sua opera, ad un artista di mosaico, che metteva insieme pezzi di
svariati capolavori tanto da far enumerare, anche nelle storie di meno pagine, un numero incredibile
di fonti e risorse; è difficile credere all'abbondanza di ispirazioni anche in storie molto brevi, ma
pare proprio che il suo fare affidamento più su opere già scritte che sulla sua povera immaginazione
sia fra le cause del suicidio dell'autore. Nonostante ciò, non c'è comunque mai certezza di
imitazione diretta ed esclusiva.

'Gesaku zammai' (Una vita trascorsa su scritti frivoli, 1917) è il resoconto delle sofferenze che un
artista deve patire; la figura centrale è quella dello scrittore Bakin, e la storia è ambientata nel 1831,
principalmente nei bagni pubblici di Edo, traendo ispirazione dagli stessi diari di Takizawa Bakin
pubblicati nel 1911. Tramite la figura del protagonista, che replica e reagisce a critiche ed
apprezzamenti avanzati alla sua produzione, ci è dato constatare le prove che uno scrittore deve
sopportare per continuare a fare ciò che gli porta il pane in tavola, nonché ciò che costituisce la sua
più grande passione.

Un'altra importante serie di racconti storici è ambientata nella Nagasaki del XVI secolo, durante il
periodo di maggiore influenza del Cristianesimo in Giappone; 'Morte di un martire' è scritto in uno
stile molto vicino a quello dell'Heike monogatari, recentemente ristampato dalla stampa della
missione gesuita, che Akutagawa cercò di fondere con quello ingenuo delle leggende di santi. Il
giovane Lorenzo, misteriosamente approdato in Giappone senza un passato, viene accolto nella
chiesa di Santa Lucia a Nagasaki e comincia col condurre un'integerrima vita di santità e integrità
morale; un giorno una donna lo accusa di aver giaciuto con lei e di averla messa incinta, motivo per
il quale viene scacciato dalla chiesa e condannato a vivere in un rifugio cadente nei dintorni, deriso
ed offeso da tutti. Più in là, durante un incendio alla sua casa, la donna dimentica di portare in salvo
il bambino, e solo Lorenzo, mettendo a rischio la sua stessa esistenza, riesce a recuperarlo dalla casa
in fiamme pur condannandosi a morte; solo prima che esali il suo ultimo respiro si scopre la sua
vera identità: quella di una donna, che dunque non avrebbe potuto mettere incinta la donna
bugiarda, e che finisce i suoi giorni con un sorriso in volto, certa di andare incontro alla salvezza in
virtù del suo sacrificio. Akutagawa trattava con grande rispetto l'etica cristiana, che teneva in
maggiore considerazione rispetto a semplici codici o etichette; invidiava le genti del Medioevo per
la loro capacità di spiegare eventi inspiegabili con la fede, e trovava interessante ogni credo che
trascendesse la sfera dell'ordinaria umana virtù. In 'Hankechi' (Il fazzoletto da taschino, 1916) un
uomo resta profondamente affascinato dall'esempio di forza e resistenza fornito da una donna che,
pur dimostrando una facciata di tranquillità nel raccontare della morte del figlio, si aggrappa di
nascosto e convulsamente ad un fazzoletto da taschino, come trattenendosi dallo sciogliersi in
lacrime; ammirato da una simile dimostrazione, l'uomo non vede l'ora di raccontare l'accaduto alla
moglie, americana, che comprende ed ama il Giappone, ma viene disilluso da un passaggio del libro
di Strindberg che stava leggendo, in cui l'autore afferma che un'attrice che si aggrappa al suo
fazzoletto mentre recita è un'artista affettata e di basso livello. La critica di Akutagawa era
chiaramente diretta a quei professori le cui convinzioni e i cui ideali sono di così facile corruzione.

Il terzo filone di racconti storici di Akutagawa è ambientato nel Giappone dell'era Meiji, tinto della
nostalgia per un'epoca ormai passata – pur se da poco -; durante gli anni '70 e '80 del XIX secolo, la
moda e il costume del tempo volevano una manifesta tensione agli stilemi europei, nel vestiario e
nell'arredamento e nella letteratura e nei modi di fare. Le storie di Akutagawa di questo periodo
vedono invece i protagonisti tesi ad indossare kimono, vivere in case alla giapponese con al
massimo una sola stanza arredata in stile occidentale, e con pochi contatti sociali con persone di
provenienza europea; l'estrema adulazione dell'Europa in epoca Meiji aveva raggiunto una misura
che ad Akutagawa lasciava una profonda indifferenza.

In 'Butokai' (Il ballo, 1919) Akiko, che ha appena compiuto 17 anni nel 1886, è pronta a recarsi ad
un ballo in stile occidentale abbigliata alla maniera occidentale; lì incontra un giovane francese, con
cui danza ed assiste allo spettacolo di fuochi d'artificio, che il giovane stesso afferma essere uguali
alla vita umana – il cui senso può essere racchiuso anche in un solo bellissimo istante -; a posteriori,
Akiko, ora Mrs. H., viene a sapere che il giovane francese incontrato quella notte al Rokumeikan
altri non era che Loti, un famoso scrittore: nonostante ciò, Mrs. H. continua a chiamarlo come le si
presentò allora, Julien Viaud, dimostrando scarso interesse per il fatto storico per cui Viaud e Loti
sono la stessa persona; il giovane francese era rimasto nella sua mente talmente a lungo da non
riuscire ad essere identificato con il famoso scrittore Loti, e a ciò si rimanda l'atteggiamento di
Akutagawa nei confronti dell'accuratezza storica, cui spesso e volentieri preferiva la verità poetica.
Anche la metafora dei fuochi d'artificio era una delle principali convinzioni dell'autore: la usò
specialmente nelle sue opere più tarde, dove affermava spesso che un'intera esistenza può essere
contenuta anche in un unico momento perfetto.

La reputazione di Akutagawa continuò a crescere anche negli anni '20 del XX secolo, nonostante, a
questo punto, nessuna delle sue opere riuscisse ad eguagliare alcuna delle precedenti; nonostante
lavorasse instancabilmente per soddisfare le aspettative del pubblico, anche a causa di una grave
malattia nel Marzo del 1921 si prese una vacanza dal lavoro e andò in Cina, dove rimase per quattro
mesi; al suo ritorno consegnò le storie che comparvero simultaneamente in quattro numeri
dell'inserto del nuovo anno del 1922, che comprendevano 'Yabu no naka' (In un solco): anche qui
trae ispirazione dal Konjaku monogatari, ma introduce una sua originalità nel trattare il soggetto
attraverso la testimonianza che personaggi diversi, ognuno dei quali – un samurai, sua moglie e un
bandito – ne hanno avuto direttamente. E' stato suggerito che la tecnica del narrare una singola
storia da diversi punti di vista sia stata ispirata da 'L'anello e il libro' di Robert Browning; è
indubbio che, tuttavia, l'effetto finale lo faccia il contributo di Akutagawa: la parte più interessante è
quella in cui un samurai morto, che parla per bocca di un medium, rivela di essere stato ingannato e
costretto a guardare sua moglie violentata dal bandito, quindi di essersi suicidato con la spada
lasciata cadere dalla donna, incapace di sopportare l'umiliazione. L'opera è stata trasposta nel film
'Rashomon' di Akira Kurosawa nel 1950, pellicola artisticamente superiore al libro sia perché
introduce la storia con un narratore principale, un taglialegna che ha assistito in disparte agli eventi,
sia perché, nonostante sembri che dica la verità, anche il taglialegna mente; il film, prodotto in
Giappone in un periodo in cui i crimini di guerra erano ancora impressi e freschi nella memoria
della gente, suggerisce la difficoltà del ricostruire eventi dal resoconto di testimoni.
La salute di Akutagawa continuò a peggiorare; nel 1922 soffriva di esaurimenti nervosi, crampi allo
stomaco, catarro intestinale, avvelenamento da antipirina e tachicardia; continuò, nonostante ciò, a
scrivere, e le storie databili a questo periodo sono sensibilmente diverse dalla sua produzione
precedente ('Torokko' (The hand car) parla di un ragazzo che, caricato su un carro da ferrovia,
inizialmente è entusiasta della corsa, ma alla fine viene abbandonato dai due ferrovieri in mezzo al
nulla ed è costretto a tornare a casa da solo, in lacrime).

Akutagawa era interessato agli scritti di Naoya Shiga; non si conoscevano bene (si saranno
incontrati a malapena sette volte in tutto), Shiga stesso confessò di aver letto poco di Akutagawa e
di non gradire alcune sue tecniche stilistiche, ma da Torokko in poi Akutagawa inaugurò una serie
di racconti autobiografici fortemente influenzati dalla 'novella dell'Io' in cui Shiga eccelleva; in
queste storie, l'autore chiamava sé stesso col nome di Yasukichi, e molte delle sue esperienze
richiamavano il periodo di insegnamento di Inglese al collegio di Ingegneria Navale di Yokosuka
dal 1916 al 1919. 'Yasukichi no techo kara' (Dagli appunti di Yasukichi, 1923) è un'opera tipica del
filone: praticamente priva di trama e poco interessante, è probabilmente da attribuire alla cattiva
salute di Akutagawa,e valse a quest'ultimo il riconoscere di non poter competere con Shiga e la
raffinatezza del suo realismo; non aveva la sua fiducia in sé e la sua integrità morale, e, nonostante
ciò, continuò ad ispirarsi a lui, nell'evocazione apparentemente immotivata di esperienze personali
testimoniate in maniera tale da lasciare un'impressione pregnante e duratura. Il breve 'Mikan'
(Mandarini, 1919) parla di come l'autore sia rimasto irritato dal fare di una ragazzina di appena
tredici anni, dalla sua insistenza e dal suo viaggiare in seconda classe con un biglietto di terza; solo
quando quest'ultima si affaccia dal finestrino, nonostante il fumo nero di un guasto appestasse l'aria,
per lanciare dei mandarini ai tre fratellini che la salutavano per la sua partenza, improvvisamente
Yasukichi non avverte più addosso le noie e la pesantezza di una vita normalmente considerata
priva di significato.

Nei confronti del genere della 'novella dell'Io' Akutagawa aveva un atteggiamento ambiguo: da una
parte non discuteva la possibilità di un esponente del genere di scoprirsi un capolavoro, ma, allo
stesso tempo, non riteneva necessario, per un capolavoro, appartenere a questo tipo di scrittura;
probabilmente, cercava egli stesso di conferire spessore alle sue storie autobiografiche, che non
trattò comunque mai come Kume Masao e le sue 'novelle dell'Io'. Nel 1927 ebbe una disputa con
Jun'ichiro Tanizaki sull'importanza della trama in un racconto: difendendo la possibilità, per uno
scritto, di reggersi in piedi anche senza una trama, riconducendolo ad un genere di prosa poetica
ugualmente da tenere in considerazione, voleva forse conferire intensità poetica ai suoi lavori
autobiografici.

Shiga fu indubbiamente l'acerrimo rivale di Akutagawa, insieme al circolo dei letterati proletari che
stavano acquisendo importanza in ambito culturale giapponese, comparsi per la prima volta con la
rivista 'Tane maku hito' (Il seminatore) nel 1921; in un saggio del 1923, con cui Akutagawa realizzò
il suo sentirsi obbligato ad esprimere un parere su questo nuovo movimento, con parole di
compromesso espresse una certa rivalutazione dei contenuti politici della letteratura, nonostante
affermasse che un critico tenga in maggior conto un'opera con qualità poetiche che dai contenuti
impegnati (visione che lui stesso confessa di adottare); in fondo, emerge evidentemente quanto
Akutagawa non avesse in stima il movimento della letteratura proletaria; in 'Kappa', del 1927,
l'autore criticava il capitalismo, lodava la morale, in altre occasioni espresse interesse per il
Marxismo, ma, cosciente del suo isolamento dagli altri scrittori, non partecipò mai ad un'azione
comune e concreta, troppo nichilista per sperare in un miglioramento delle condizioni di vita come
risultato di una rivoluzione.

Gli ultimi due lavori pubblicati da Akutagawa quando era ancora in vita, 'Ikkai no tsuchi' (Zolla di
terra, 1923) e 'Genkaku sambo' (La villa di Genkaku, 1927) marcano evidenti differenze rispetto
alla sua produzione precedente. Nel primo,Otami resta vedova del marito con un figlio a carico, e
Osumi, la sua matrigna, si ritrova obbligata a prendersene cura ed impossibilitata, così, a godersi la
vecchiaia; Otami non ha intenzione di risposarsi, e preferisce invece occuparsi della terra di modo
da poterla dare in eredità al figlio. Osumi inizialmente apprezza l'impegno della donna, ma
comincia col disprezzarla quando si rende conto che, per questo, ora è responsabile sia della casa
che del figlio di Otami; cerca di metterli più volte uno contro l'altra, e solo dopo la sua morte per
malattia sente un profondo senso di colpa per come l'ha trattata. L'improvviso interesse di
Akutagawa per le vite della gente comune può essere motivato solo dai suoi contatti con la
letteratura proletaria.

'La villa di Genkaku' è il massimo grado di vicinanza che Akutagawa abbia raggiunto con il
Naturalismo; ispirato dall'infermiera che si occupò del genero quando ricoverato in ospedale,
nonostante sia lunga una sola pagina gli prese circa due settimane per essere completata, sia per il
suo stato di salute, sia perché, nel mentre, si ritrovò occupato non solo a recuperare il corpo del
genero che si era suicidato buttandosi sotto un treno, ma anche a prendersi cura della vedova e dei
figli rimasti orfani di padre, sia perché aveva intenzione di scrivere un'opera importante e degna di
questo nome. Lui stesso era al corrente della natura profondamente 'cupa' di questo racconto, che è,
in effetti, estremamente lugubre, nonostante tutti i personaggi, tranne quello dell'infermiera, siano
buoni; gli eventi ruotano attorno alla morte del pittore Genkaku , e sono resi tramite l'attenta analisi,
fatta dall'autore, dei singoli personaggi. Quello che emerge di più è la concubina di Genkaku,
Oyoshi, che gli ha dato un figlio e che è maltrattata sia dall'infermiera, sia dal nipote del pittore; la
storia si conclude con un piccolo episodio che vede protagonista Jukichi, figliastro di Genkaku e
studente universitario, che fa da depositario della concezione della 'nuova generazione' dell'autore;
il fatto che vi si riferisca citando Liebknecht, e non, per esempio, Tolstoj, suggerisce un'influenza
del movimento della letteratura proletaria.

L'unica storia non autobiografica rimanente è 'Kappa': con la personificazione dell'umanità


mediante queste creature ibride tipiche del folklore giapponese, Akutagawa crea una satira di
diversi personaggi topici – capitalisti, studenti, artisti -, risultando in un lavoro di critica sociale
sostanzialmente deprimente.

La sequenza di opere autobiografiche si apre con 'Shinsuke no hansei' (I primi anni di Daidoji
Shinsuke, 1924); è molto vicina alla vita di Akutagawa, e presenta diversi sottotitoli, come 'Latte di
mucca', 'Povertà' eccetera che legano particolari sezioni a particolari aneddoti o parti della vita
dell'autore (il fatto che non avesse mai bevuto il latte della madre, il dover sopportare la povertà più
di altri in quanto, essendo di classe media, era anche costretto a salvare le apparenze, la misura in
cui i libri gli insegnarono più di ogni scuola o persona, gli amici che aveva, tutti accuratamente
selezionati tra persone di particolari qualità).

'Tenkibo' (Registri di morte, 1926) è scritto in prima persona; si apre con la cupa descrizione della
madre pazza, continua parlando della sorella mai nata Ohatsu, e finisce col parlare del padre, col
quale sente di avere avuto un unico momento di vicinanza proprio quando l'uomo era in punto di
morte. L'opera si chiude con Akutagawa che, di fronte alla tomba di famiglia, si sente come preso
unicamente dal far scorrere il tempo quanto serve perché si unisca ai suoi cari defunti.

Le altre sue opere sono tutte posteriori al suo suicidio: parlava spesso dell'argomento, e in diversi
scritti, come 'Shinkiro' (Il miraggio) e 'Mitsu no mado' (Le tre finestre) ripercorre spesso il tema. Il
suo capolavoro è forse 'Ingranaggi'; in quest'opera realtà e immaginazione si fondono in una fusione
allucinata, quasi schizofrenica, in cui le sue esperienze di vita si intrecciano alle particolari
suggestioni derivategli da particolari incontri fatti casualmente per strada, o da certi colori, o dalla
stessa apparizione di ingranaggi semitrasparenti fluttuanti a mezz'aria, sempre più numerosi fino a
che arrivano ad occupare completamente il suo campo visivo; conversazioni realmente accadute si
alternano a visioni terrificanti, e il prodotto finale è un orrendo incubo, impossibile da riassumere,
pieno di terrore che si compensa nel lamento di chiusura: 'Mi manca la forza per scrivere ancora.
Vivere con certe sensazioni è un tormento indescrivibile. Nessuno ha la bontà di strangolarmi nel
sonno?'; alla forza dell'opera contribuiscono, oltre il soggetto, anche lo stile, la scelta dei dettagli e
l'opposizione di realtà e fantasia.

'Aru aho no issho' (La vita di un certo stupido, 1927) è diviso in 51 sezioni, gran parte delle quali
parlano di cadaveri, ricordi infelici dell'infanzia, la paura dell'autore per la società, morte; ricorda
libri letti e donne amate.

Verso la fine della sua esistenza, Akutagawa restò profondamente affascinato dal Cristianesimo, dal
senso di cristianità, ma, più di ogni altra cosa, dalla figura del martire, così com'era attratto dalle
figure dei fanatici in generale; scrisse due saggi sulla cristianità, 'Saiho no hito' (L'uomo
d'Occidente) e il seguito 'Zoku saiho no hito': amava il Cristianesimo per le sue qualità artistiche,
specie nel Cattolicesimo, quindi più per un senso di fascino esotico che per una qualche affinità
spirituale.

'Aru kyuyu e okuru shuki' (Memorie spedite ad un vecchio amico) è una sorta di testamento di
Akutagawa: in esso, l'autore esplora diversi metodi e luoghi per suicidarsi, scegliendo alla fine
l'overdose di sonniferi e preferendola all'impiccagione, la meno dolorosa, solo per una questione
estetica; accenna al progetto di suicidarsi insieme ad una donna che gliene aveva fatta specifica
richiesta, e alla quale disse di no sia per rispetto verso la moglie, sia perché organizzare un doppio
suicidio era più impegnativo; non fu l'unica nota suicida di Akutagawa: nel 1927 ne aveva lasciata
una all'amico pittore Oana Ryuichi, nella quale attribuiva la causa della sua infelicità ad una
relazione che aveva avuto con una donna sposata quando aveva 29 anni.

La morte di Akutagawa, a suo tempo, scioccò molti, sebbene non colse quasi nessuno impreparato;
fu la morte di un uomo che non aveva più il desiderio, espresso in gioventù, di diventare un dio, ma
che lo è diventato comunque, ispirando generazioni di giovani scrittori e dando il nome ad un
prestigioso premio letterario, istituito dall'amico Kikuchi Kan.

Potrebbero piacerti anche