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Risolvere i conflitti "alla vecchia maniera boe-

ma": la defenestrazione di Praga


Nel 1618 i reggenti cattolici del regno di Boemia, al-
leati dell’impero, furono defenestrati dai rivali prote-
stanti. Ebbe così inizio la Guerra dei trent’anni
Peter H. Wilson
26 maggio 2020, 04:00
Età moderna
Sacro romano impero

'Defenestrazione di Praga', 1618. Olio di Václav Bro-


žík. XIX secolo. National Gallery of Victoria, Melbour-
ne
Foto: Bridgeman / ACI
Mercoledì 23 maggio 1618, poco prima delle nove del mattino, un nutrito gruppo di uomini ar-
mati e inferociti salì correndo al castello di Hradčany, da cui si dominava la città di Praga. Il
capitano del castello, come precedentemente concordato, lasciò passare il drappello, che imme-
diatamente si diresse alla sala del consiglio. Qui si riunivano i reggenti che amministravano il
regno di Boemia in nome degli Asburgo, la famiglia reale al governo del Paese dal 1526. Quan-
to accadde in seguito ebbe conseguenze drammatiche in Boemia e nel resto d’Europa che in
quel momento nessuno dei presenti avrebbe potuto prevedere. Nel gruppo degli aggres-
sori c’erano alcuni dei più importanti aristocratici boemi, come il conte Enrico Mattia von Thurn,
Leonhard Colonna von Fels e Albrecht Smiřický.
Le agitazioni erano iniziate tre giorni prima, quando alcuni pastori protestanti avevano dichiara-
to davanti alle loro congregazioni che i reggenti pianificavano di mettere fine alla libertà re-
ligiosa e politica del regno. Non era vero, ma era indubbio che negli ultimi tempi le tensioni
tra cattolici e protestanti non avevano cessato di crescere. La situazione politica e religiosa del-
la Boemia era complessa. Il luteranesimo predominava nelle aree di lingua tedesca, in par-
ticolare tra gli immigrati delle città e nelle zone vicine al confine sassone. Vari aristocratici ave-
vano abbracciato il calvinismo, una confessione teoricamente proibita all’interno del Sacro
romano impero, ma che rivendicava le stesse tutele legali di cui godevano i luterani. La mag-
gioranza della popolazione aderiva ad alcune varianti dell’utraquismo, una fede sorta
dall’insurrezione hussita dei primi del XV secolo. Il cattolicesimo era seguito solo da una pic-
cola parte dei nobili e del popolo, ma era anche la religione degli Asburgo, imperatori del
Sacro romano impero e grandi paladini del papato.
I diversi credo religiosi erano trasversali alle quattro classi in cui era suddivisa la società: nobi-
li, cavalieri, cittadini e contadini. Solo le prime tre erano rappresentate nelle assemblee ge-
nerali delle cinque province del regno: Moravia, Slesia, Alta e Bassa Lusazia e la stessa Boe-
mia. Pur costituendo la maggioranza della popolazione, i contadini erano in genere costretti ad
adeguarsi alle inclinazioni religiose e politiche dei proprietari delle terre su cui vivevano.
Nel 1609 l’imperatore Rodolfo II aveva concesso la cosiddetta Lettera di Maestà, un documento
che garantiva un certo regime di tolleranza religiosa. Ma i suoi successori – Mattia d’Asburgo e
suo cugino l’arciduca Ferdinando, re di Boemia dal 1617 – ritenevano che quella lettera nasces-
se dalle pressioni dei nobili luterani, in particolare di Enrico Mattia von Thurn, e attuarono quin-
di una politica ostile al protestantesimo.
Per citare un caso, nel 1617 lo stesso Thurn fu rimosso dalla sua redditizia carica di borgoma-
stro di Karltejn. Sentendosi minacciati, nel marzo del 1618 i leader protestanti radicali organiz-
zarono un’assemblea, in cui però si impose la linea della maggioranza moderata, che decise
di limitarsi a inviare una denuncia alla corte di Vienna. Il governo imperiale rispose il 21 marzo
con una missiva in cui si proibiva rigorosamente ai protestanti di riunirsi. Nonostante il divieto,
Thurn convocò un nuovo incontro lunedì 21 maggio, accusando due dei reggenti – i conti Vilém
Slavata e Jaroslav Bořitaz Martinitz – di essere i reali autori della risposta austriaca. Data
la scarsa partecipazione a questa seconda riunione, Thurn ne organizzò una terza due giorni
dopo, presso la casa di Albrecht Smiřický.
I protestanti vedevano diminuire i loro privilegi di fronte alla minoranza cattolica
In un’atmosfera tesa, un cittadino di Praga irruppe nella sala dichiarando che al governo mu-
nicipale era stato impedito di riunirsi. In preda all’indignazione, i partecipanti decisero di
prendere d’assalto il castello, dove però trovarono solo quattro dei dieci reggenti. Nella sala
delle udienze Pavel Říčanský von Ričan lesse ad alta voce un elenco di accuse e chiese ai
quattro uomini di confessare chi avesse scritto la lettera del 21 marzo. I reggenti indugiarono,
sostenendo che le loro deliberazioni erano segrete e che non erano autorizzati a rivelare
l’identità dell’autore. La situazione si surriscaldò: i seguaci di Thurn afferrarono due di loro e li
misero con le spalle al muro, intimandogli di ammettere la propria responsabilità. Ma questi
respinsero ogni accusa e furono trascinati fuori dalla sala. A quel punto gli aggressori, decisi a
farsi giustizia da sé, rivolsero la loro attenzione a Slavata e Martinitz.
Hradčany, la città che sorse attorno al castello di Pra-
ga, su cui svetta la cattedrale di San Vito. In primo
piano, il ponte Carlo sulla Moldava
Foto: David Noton Photography / Alamy / Aci

E procedettero “alla vecchia maniera boema”, in riferimento a un episodio avvenuto a Pra-


ga il 30 luglio 1419: la defenestrazione del sindaco della città, all’inizio della rivolta hussita. Gli
insorti afferrarono Martinitz e lo gettarono fuori da una finestra che si trovava circa 15 metri al
di sopra del fossato del castello. Secondo uno scritto dell’epoca, mentre cadeva Martinitz «in-
vocò ripetutamente i nomi di Gesù e di Maria». Uno dei capi della defenestrazione, Ulrich
Kinsky, si prese gioco di lui dicendo: «Vedremo se la sua Maria verrà ad aiutarlo». Ma quando
si affacciò alla finestra, vide con sorpresa che Martinitz era sopravvissuto alla terribile caduta
ed esclamò: «Per Dio, Maria lo ha aiutato davvero».
Consapevole di essere il prossimo, Slavata chiese un confessore, ma la folla inferocita re-
spinse la richiesta, ridendo ad alta voce: «Vorreste che i vostri maledetti gesuiti venissero
qua... no, non c’è più tempo». Thurn a quel punto indicò il reggente indifeso esclamando:
«Onorevoli signori, è arrivato il suo momento». Gli insorti lo sollevarono e lo gettarono dalla
stessa finestra del compagno. La caduta fu attutita dalla pendenza del terreno ai piedi della
torre – e non da un mucchio di letame, come avrebbe affermato più tardi la propaganda prote-
stante. Ciononostante, Slavata riportò alcune ferite e rotolò verso il fossato con la bocca intri-
sa di sangue.
Una polveriera religiosa
Poi fu la volta del segretario dei reggenti, Filip Fabricius: quando la folla si rese conto che era
ancora in sala, non esitò a defenestrare anche lui. Tutti e tre gli uomini si salvarono anche
grazie agli spessi vestiti di lana che contribuirono ad ammortizzare l’impatto al suolo. Il conte
Martinitz, praticamente illeso, si avvicinò al fossato per soccorrere l’amico Slavata, quindi andò
a sincerarsi delle condizioni di Fabricius. Il segretario, stordito, gli chiese cos’avesse fatto per
provocare quella reazione dei nobili. Martinitz rispose che non era il momento di fare do-
mande e gli ordinò di andare a Vienna, la capitale dell’impero, a riferire l’accaduto. Quindi il
conte aiutò Slavata a uscire dal fossato e lo condusse al vicino palazzo Lobkowicz. Vedendo i
reggenti fuggire, i rivoltosi aprirono il fuoco e li inseguirono fin sulla soglia dell’edificio,
ma la moglie del cancelliere Lobkowicz si rifiutò di farli passare.
Quando la situazione si calmò, Martinitz e Slavata riuscirono a scappare. Sebbene la defene-
strazione si fosse conclusa senza vittime, Thurn aveva raggiunto il suo obiettivo: costringere
l’élite politica e sociale della Boemia a schierarsi al suo fianco. Nel comunicato ufficiale
emesso il 25 maggio, i nobili protestanti dichiararono che il loro unico scopo era difendere i di-
ritti tradizionali della Boemia dalle diaboliche macchinazioni dei gesuiti, e confermarono la
loro lealtà agli Asburgo. Ma nel frattempo Thurn e i suoi complici cercarono aiuti stranieri per
formare un esercito e affrontare le truppe che Vienna avrebbe presto inviato a schiacciare la ri-
volta. Le autorità asburgiche, dal canto loro, non volevano lasciarsi sfuggire di mano la situa-
zione, perché temevano di ritrovarsi coinvolti in una guerra lunga e dispendiosa. Inoltre,
la Boemia era un regno troppo ricco per permettersi di perderlo. Gli insorti andavano fermati
prima che la probabile morte di Mattia aprisse la questione della successione al trono del Sacro
romano impero.
Nel 1619 fu eletto al trono del regno di Boemia Federico V del Palatinato. Con questo gesto i
nobili protestanti compromisero definitivamente ogni possibilità di riconciliazione con l’impero.
L’anno successivo furono sconfitti nella battaglia della Montagna Bianca, cui seguì una dura
repressione. Nel resto d’Europa, intanto, iniziava una guerra che sarebbe durata quasi tre de-
cenni.
Incisione olandese
Foto: Interfoto / Age Fotostock
La Defenestrazione del 1618 trascese i confini della Boemia e del Sacro romano impero. L’auto-
re di questa incisione olandese dell’epoca fornisce la propria versione dei fatti del 23 maggio: le
tre vittime supplicanti vengono gettate dalla finestra del castello [1] e precipitano a terra [2] –
la versione della caduta sullo sterco fu una successiva invenzione protestante per denigrare gli
avversari. Gli osservatori sotto il castello [3] sono un’aggiunta dell’autore. In un momento suc-
cessivo uno dei reggenti si nasconde in un monastero [4].

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