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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI

CATANIA
FACOLTA‟ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA IN PROGETTAZIONE E GESTIONE DEL TURISMO CULTURALE

Luigi Marchi
Tesi di Laurea

Pio XI e “l’uomo della Divina Provvidenza”


contro la Massoneria

Relatore: Chiarissimo Prof. Ermanno Taviani


_____________________________________

Anno Accademico 2013-2014


1
2
INDICE

I Introduzione

I, 1 Pio XI e “l‟uomo della Divina Provvidenza” contro la


Massoneria.

II Vaticano e Massoneria, un odio antico.

II, 1 “Eminenti Apostolatus Specula” è solo l‟inizio.

II, 2 Benedetto XV

II, 3 PioXI

III Simboli, riti e miti per la Terza Italia

III, 1 La nascita della Massoneria in Italia

III, 2 Lo scisma del 1908

III, 3 Il Grande Oriente d‟Italia

III, 4 La Gran Loggia d‟Italia ALAM

IV Benito Mussolini

IV, 1 Mussolini ateo e anticlericale

IV, 2 Mussolini e il Partito Nazionale Fascista

IV, 3 Mussolini statista

3
V Verrà un giorno in cui non ci saranno più mercanti nel tempio
(Zaccaria14,12)

V, 1 La religione della Patria

V, 2 Il Vaticano

V, 3 Mussolini

V, 4 La Massoneria

VI Conclusioni

VII Bibliografia

4
Introduzione

I, 1 Pio XI e “l’uomo della Divina Provvidenza” contro la


Massoneria.

Pio XI e Mussolini, due uomini che giunsero al potere entrambi nel


1922, cambiando insieme il corso del XX secolo. Pio XI dotto, istruito e
devoto, Mussolini autodidatta e “profano”. In realtà essi avevano molto
in comune tra loro, un viscerale anticomunismo e un atavico rancore nei
confronti della massoneria italiana.

Entrambi erano inclini a improvvisi attacchi di rabbia e ferocemente


protettivi delle prerogative legati ai loro ruoli – “abbiamo molti interessi
da proteggere”, così dichiarò Pio XI dopo che Mussolini prese il potere
nel 1922. Infatti Pio XI ha giocato un ruolo fondamentale nel rendere
possibile la dittatura di Mussolini.

In cambio del sostegno del Vaticano, Mussolini restaurò da subito molti


privilegi che la Chiesa aveva perso con i governi liberali, mobilitando
perfino tutto l‟apparato di polizia e dello stato fascista per fare rispettare
la morale cattolica. Grazie alla recente apertura degli archivi vaticani
relativi al pontificato di Pio XI, l‟intera storia del complesso rapporto
del Papa con il suo partner fascista può finalmente essere raccontata.

La lezione metodologica, sul fronte storiografico, di Renzo De Felice è


alla base dell‟indagine che ci accingiamo a svolgere sull‟origine e la
formulazione della dottrina fascista. Scrivere la storia sulla base dei
fatti, e soprattutto sulla base dei documenti che li testimoniano, richiede
un grande sforzo di ricerca e di scelta.

Attingere direttamente dai documenti del periodo preso in esame, gli


anni tra il 1923 e il 1928, e dagli scritti in favore dell‟una o dell‟altra
corrente di pensiero non ha la pretesa di riportare con rigore i fatti come
sono avvenuti, ma solo il gusto di sviluppare la coscienza critica del
lettore che vuole sapere.

Quando nel 1925 fece la sua comparsa il Manifesto degli intellettuali


fascisti redatto da Giovanni Gentile pubblicato sul Popolo d‟Italia, non

5
tardò ad arrivare la replica di Benedetto Croce su Il Mondo con il
Manifesto degli intellettuali antifascisti.

Mentre il primo è un documento ideologico nel quale parte della cultura


italiana giustifica la propria adesione al regime, il secondo si basa
soprattutto sulla rivendicazione dell‟assoluta libertà dell‟arte e della
cultura dalla politica, a qualunque dottrina essa appartenga.

Ed è proprio dalle parole di Benedetto Croce, nel Manifesto degli


intellettuali antifascisti, che vogliamo partire per comprendere e
sviluppare successivamente la definizione di “dottrina fascista” che
Mussolini dà nell‟ Enciclopedia Italiana secondo la quale « il pensiero
fascista è sostanzialmente religioso1».

Il filosofo Benedetto Croce a proposito scrive: «il maltrattamento della


dottrina e della storia è cosa di poco conto, in quella scrittura, a
paragone dell‟abuso che vi si fa della parola «religione»; perché a senso
dei signori intellettuali fascisti, noi ora in Italia saremmo allietati da una
guerra di religione, dalle gesta di un nuovo evangelo e di un nuovo
apostolato contro una vecchia superstizione, che rilutta alla morte, la
quale le sta sopra e alla quale dovrà pur acconciarsi; – e ne recano a
prova l‟odio e il rancore che ardono, ora come non mai, tra italiani e
italiani.

Chiamare contrasto di religione l‟odio e il rancore che si accendono da


un partito che nega ai componenti degli altri partiti il carattere d‟italiani
e li ingiuria stranieri, e in quest‟atto stesso si pone esso agli occhi di
quelli come straniero e oppressore, e introduce così nella vita della
Patria i sentimenti e gli abiti che sono propri di altri conflitti; nobilitare
col nome di religione il sospetto e l‟animosità sparsi dappertutto, che
hanno tolto perfino ai giovani dell‟Università l‟antica e fidente
fratellanza nei comuni e giovanili ideali, e li tengono gli uni contro gli
altri in sembianti ostili: è cosa che suona, a dir vero, come un‟assai
lugubre facezia. In che mai consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova
religione, la nuova fede, non si riesce a intendere dalle parole del

1
Cfr. Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Edizione Istituto Treccani, Roma 1932, vol. XIV, p.847.
6
verboso manifesto; e, d‟altra parte, il fatto pratico, nella sua muta
eloquenza, mostra allo spregiudicato osservatore un incoerente e
bizzarro miscuglio di appelli all‟autorità e di demagogismo, di
professata riverenza alle leggi e di violazione delle leggi, di concetti
ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di atteggiamenti assolutistici e di
tendenze bolsceviche, di miscredenza e di corteggiamento alla Chiesa
cattolica, di aborrimento dalla cultura e di conati sterili verso una
cultura priva delle sue premesse, di sdilinquimenti mistici e di cinismo».

Il Manifesto degli intellettuali fascisti a cui fa da contraltare quanto


sopra affermava:

«Il Fascismo è un movimento recente ed antico dello spirito italiano,


intimamente connesso alla storia della Nazione italiana, ma non privo di
significato e interesse per tutte le altre. Le sue origini prossime
risalgono al 1919, quando intorno a Benito Mussolini si raccolse un
manipolo di uomini reduci dalle trincee e risoluti a combattere
energicamente la politica demo-socialista allora imperante […]

La politica sentì e propugnò come palestra di abnegazione e sacrificio


dell'individuo a un'idea in cui l'individuo possa trovare la sua ragione di
vita, la sua libertà e ogni suo diritto; idea che è Patria, come ideale che
si viene realizzando storicamente senza mai esaurirsi, tradizione storica
determinata e individuata di civiltà ma tradizione che nella coscienza
del cittadino, lungi dal restare morta memoria del passato, si fa
personalità consapevole di un fine da attuare, tradizione perciò e
missione.

Di qui il carattere religioso del Fascismo. Questo carattere religioso e


perciò intransigente, spiega il metodo di lotta seguito dal Fascismo nei
quattro anni dal '19 al '22. I fascisti erano minoranza, nel Paese e in
Parlamento, dove entrarono, piccolo nucleo, con le elezioni del
1921[…]

grazie al fascino che esercita sempre ogni idea religiosa che inviti al
sacrificio, attrasse intorno a sé un numero rapidamente crescente di
giovani e fu il partito dei giovani […]
7
Questo partito ebbe anche il suo inno della giovinezza che venne
cantato dai fascisti con gioia di cuore esultante. E cominciò a essere,
come la "Giovane Italia" mazziniana, la fede di tutti gli Italiani sdegnosi
del passato e bramosi del rinnovamento.

Fede, come ogni fede che urti contro una realtà costituita da infrangere e
fondere nel crogiolo delle nuove energie e riplasmare in conformità del
nuovo ideale ardente e intransigente. Era la fede stessa maturatasi nelle
trincee e nel ripensamento intenso del sacrificio consumatosi nei campi
di battaglia pel solo fine che potesse giustificarlo: la vita e la grandezza
della Patria. Fede energica, violenta, non disposta a nulla rispettare che
opponesse alla vita, alla grandezza della Patria.»

Il Duce attribuiva all‟elemento spirituale un‟importanza particolare


nell‟elaborazione delle dottrine politiche2.

Esse infatti sono capaci di coinvolgere l‟uomo per intero così come un
atto religioso. Mussolini presentandosi agli italiani come il restauratore
degli valori religiosi tradizionali per spianare la sua via al potere si servì
della religione e del cattolicesimo.

Secondo Emilio Gentile la “religione fascista” si delineò attraverso «una


retorica sacralizzante e una liturgia che ripeteva nei linguaggi e nei
modi il rituale cristiano»3.

Ma esiste una dottrina politica del fascismo? Esiste un pensiero politico


fascista?

Il discorso tenuto, alla conferenza di Perugia del 30 agosto del 1925, da


Alfredo Rocco, ex nazionalista, nominato poi ministro della giustizia e
tra i maggiori artefici dell‟organizzazione del regime e della
legislazione fascista, può aiutarci a rispondere a queste domande: «il
fascismo è anzitutto azione e sentimento4»; è sentimento perché
commuove l‟anima popolare grazie al sentimento della stirpe che si è

2
G. Sale , La Chiesa di Mussolini, Rizzoli, Milano 2011, p. 13
3
E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari 2009, p.95
4
Cfr. A. Rocco, Scritti e discorsi Politici, Giuffrè Milano 1938, III, pp. 1093-115, in R. De Felice, Autobiografia del
fascismo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2001, p. 231
8
risvegliato, e perché determina una corrente di volontà nazionale; ed è
azione perché, concretizzandosi in un movimento e in una
organizzazione vasti, riesce a determinare la storia dell‟Italia sua
contemporanea.

La dottrina del fascismo affonda nella autonomia del suo pensiero


l‟originalità del movimento, secondo A. Rocco, e i concetti
fondamentali di tale dottrina riguardano l‟uomo, secondo la definizione
aristotelica, inteso come animale politico che vive in società.

Il fascismo ha una concezione organica e storica della società e dello


Stato: le varie società umane non sono la somma degli individui viventi
che le compongono, ma la serie infinita delle generazioni tutte, passate
presenti e future.

Parlare di concezione organica significa attribuire alla società una vita e


degli scopi che oltrepassano la vita e gli scopi degli individui,
conferendole una sua vita continuativa oltre la vita degli individui stessi,
invertendo il rapporto tra società e individuo.

Questo significa che la società non si annulla più nell‟individuo, il quale


invece viene subordinato ad essa in quanto suo elemento; lo sviluppo e
l‟unità sociale sono legate alla prosperità dell‟individuo, quando sia
proporzionata e armonica, pertanto essa viene garantita.

La società di ispirazione fascista ha come scopo la conservazione,


l‟espansione, e il perfezionamento, di qui la possibilità del sacrificio
totale dell‟individuo alla società e la spiegazione del fatto bellico; la vita
della società sorpassa quella dell‟individuo, perché gli individui
nascono, crescono e muoiono, l‟unità sociale invece resta, attraverso il
tempo, sempre identica a sé stessa.

Nella dottrina politica del fascismo la società è il fine, l‟individuo il


mezzo e sebbene l‟individuo sia tutelato e favorito nel suo benessere,
tuttavia ciò avviene sempre per una convergenza tra l‟interesse del
singolo e quello sociale quindi esistono il diritto dello Stato e il dovere

9
dell‟individuo e delle classi; i diritti dell‟individuo sono un riflesso di
quelli dello Stato.

La dottrina politica del fascismo non trascura di occuparsi dei problemi


della libertà e della giustizia sociale, per cui lo Stato trova vantaggioso
lo sviluppo della personalità umana senza mortificarla o peggio
annullarla, consentendo alle facoltà dell‟individuo di svilupparsi
liberamente, con la conseguenza dello sviluppo sociale.

E quanto è valido per la libertà civile è altrettanto valido per la libertà


economica, riconosciuta come metodo nell‟interesse sociale.

Il fascismo riconosce che nel mondo economico nulla è più efficace


dell‟interesse individuale, che viene favorito in vista dell‟ottenimento
del massimo risultato con il minimo sforzo, e si lascia all‟iniziativa
individuale, tanto nella fase della produzione quanto della distribuzione
della ricchezza, lo svolgimento del fenomeno economico.

In merito alla sovranità dello Stato, invece, il fascismo ritiene doveroso


affidare il Governo, non già a una moltitudine di viventi, quanto a
uomini capaci di sollevarsi al di sopra dei propri interessi, capaci di
realizzare gli interessi della collettività sociale, uomini considerati
spiriti eletti dotati di chiaroveggenza istintiva.

Il movimento di idee del fascismo mira a formare una nuova cultura e


una nuova concezione del vivere civile attraverso socialità, autorità e
gerarchia, e come tutti i grandi movimenti, sostiene Rocco, esso ha
visto l‟azione precedere il pensiero; il Fascismo, scaturito dalla guerra,
mira a restituire all‟Italia una dignità tale da farla ascoltare dal mondo
grazie alla sua cultura e alla sua anima.

Con il fascismo si è tornati allo stato organizzato (principio


dell'organizzazione): la rivoluzione fascista è stata tale nel significato
etimologico del termine, facendo tornare le cose come erano prima
(cambiamento di 360°, quindi ritorno al punto di partenza). La
rivoluzione fascista, secondo Rocco, è stata dunque una rivoluzione

10
conservatrice, avendo dato vita ad un ritorno delle forme autoritarie e
gerarchiche.

Si devono alla scelta di testi come questo, inclusi nella Autobiografia


del fascismo, le accuse di revisionismo mosse a De Felice da tanta parte
del mondo antifascista?

In ogni caso ci piace citare Vittorio Vidotto che scrive su De Felice:

"Spente le polemiche e attenuate (talora anche ritrattate) molte delle


critiche che hanno accompagnato il suo immane lavoro di storico, il
lascito più duraturo di De Felice alla storiografia e alla cultura italiana è
di aver legittimato lo studio del fascismo emancipandolo dagli stereotipi
e dalle secche dell'antifascismo di maniera, consegnandolo a nuove
forme di riflessione e di concettualizzazione5".

Per rispondere ancora ai quesiti che ci siamo precedentemente posti,


ossia se esistano o meno una dottrina politica o un pensiero politico
fascista, può soccorrerci il tentativo di Giovanni Gentile6 di fornire un
programma ideologico e culturale al Fascismo.

In Origini e dottrina del Fascismo7 egli sottolinea la complessità del


movimento, il cui carattere totalitario si manifesta nella dottrina
appunto, che non concerne solo l‟ordinamento e l‟indirizzo politico

5
Vittorio Vidotto, Guida allo studio della storia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2004, p.150
6
Giovanni Gentile, filosofo, storico della filosofia e politico (Castelvetrano, Trapani, 1875-Firenze 1944).
Personalità centrale del dibattito filosofico italiano del Novecento, G. è stato, insieme a B. Croce, l’artefice della
rinascita della filosofia idealistica in Italia. Fu professore nelle univv. di Palermo, Pisa e Roma; direttore (1929-
43) della Scuola normale superiore di Pisa, di cui promosse l’ampliamento; collaboratore con Croce nella
redazione della rivista Critica e nell’opera di rinnovamento della cultura italiana; fondatore (1920) e direttore
del Giornale critico della filosofia italiana; senatore (dal 1922) e membro del Gran consiglio del fascismo (1923-
29); ministro della Pubblica istruzione nel primo governo Mussolini (1922-24). Aderì al fascismo considerandolo
il continuatore della destra storica nell’opera del Risorgimento, ma nella collaborazione intellettuale evitò ogni
intransigenza verso persone di convinzioni opposte. Divenne la più alta personalità culturale del regime, una
posizione che gli consentì anche di far lavorare colleghi di sentimenti antifascisti. Dopo l’incarico alla Pubblica
istruzione abbandonò la politica attiva, dedicandosi, oltre che agli studi, alla promozione e all’organizzazione
d’imprese culturali: concepì e diresse l’Enciclopedia italiana, promosse la nascita dell’Istituto italiano per il
Medio ed Estremo Oriente e dell’Istituto per gli studi germanici. Nel 1943 aderì alla Repubblica sociale italiana.
Fu ucciso a Firenze (1944) da un gruppo di partigiani dei GAP. Voce: Giovanni Gentile in Dizionario di Storia,
Treccani.it. http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-gentile_(Dizionario-di-Storia)/
7
G. Gentile, Origini e dottrina del Fascismo,Libreria del Littorio, Roma, 1925, pp.5-54
11
della nazione, ma investe la volontà, il pensiero e il sentimento della
nazione tutta.

Il fascismo ha mirato innanzitutto a colpire come avversario quella


forma mentale e morale tipica della classe colta italiana, del letterato
cioè, considerando cattivo cittadino quello che non fa politica, non tratta
affari perché consigliato così dalla dottrina tipica dell‟accademico,
dell‟erudito, del dotto; c‟è ostilità non verso la cultura, ma la cattiva
cultura, non sono ammessi gli esteti dell‟intellettualità.

Il fascismo, inoltre puntualizza G. Gentile, è un metodo e non un


sistema chiuso in teorie fissate in proposizioni e teoremi, esso non ha
nessuna pretesa sistematica o filosofica e non ha perciò mai esitato a
cambiare rotta (nel senso che ha annunciato riforme che non ha poi
eseguito) promuovendo come vere solo le risoluzioni del Duce tali che,
dopo essere state formulate, sono state anche poi attuate.

La politica fascista si aggira tutta intorno al concetto dello Stato


nazionale, che è a fondamento di ogni valore e diritto degli individui
che ne fanno parte, senza dimenticare che lo stato fascista, almeno sulla
carta e stando a quanto sostiene Gentile, è uno stato popolare, quindi
democratico per eccellenza: lo stato esiste in quanto e per quanto lo fa
esistere il cittadino; la formazione è formazione della coscienza dei
singoli e della massa, nella cui potenza la sua potenza consiste.

Necessario diventa, quindi, stringere nei quadri del partito e delle


istituzioni create da esso tutto il popolo, a cominciare dagli anni più
teneri; il partito è comunque consapevole del fatto che adeguare alle sue
esigenze le grandi masse è quasi impossibile se non attraverso i secoli,
educando e riformando.

Giuseppe Bottai8, eletto nel 1921 nelle file del Partito Nazionale
Fascista alla Camera dei Deputati, sostiene che «come la conquista del
potere da parte del Fascismo non è un episodio qualsiasi nella vita
nazionale, non può essere un episodio qualsiasi nella vita del partito», è

8
Giuseppe Bottai “Dichiarazioni sul revisionismo” In «Critica Fascista» 15 luglio 1924- in R. De Felice, op. cit.,
pp.191-194
12
convinto che i fascisti hanno il potere non perché hanno fatto la
rivoluzione, ma perché devono fare la rivoluzione. Per questo motivo
l‟ardire di gettarsi in politica deve portare al rinnovamento negli istituti,
nelle leggi, nei codici per creare uno stato forte. E per immettere nello
stato la forza, con la quale è stato preso e viene tenuto, è necessario
giovarsi di forze giovani e capaci, inquadrandone aspirazioni vaghe e
inquiete, evitando lo sperpero di forze in eroismi inutili, incanalando
impeto, volontà, e fede in una nuova concezione dello Stato.

Nessun modo migliore di sintetizzare quanto finora esposto con l‟ultimo


punto di quella che fu la definizione stessa di "dottrina del fascismo"
redatta per metà da Giovanni Gentile e per l'altra metà da Mussolini, e
poi pubblicata nel 1932 come voce della Enciclopedia Italiana:

«Lo Stato fascista è una volontà di potenza e d'imperio. La tradizione


romana è qui un'idea di forza. Nella dottrina del fascismo l'impero non è
soltanto un'espressione territoriale o militare o mercantile, ma spirituale
o morale. Si può pensare a un impero, cioè a una nazione che
direttamente o indirettamente guida altre nazioni, senza bisogno di
conquistare un solo chilometro quadrato di territorio.

Per il fascismo la tendenza all'impero, cioè all'espansione delle nazioni,


è una manifestazione di vitalità; il suo contrario, o il piede di casa, è un
segno di decadenza: popoli che sorgono o risorgono sono imperialisti,
popoli che muoiono sono rinunciatari. Il fascismo è la dottrina più
adeguata a rappresentare le tendenze, gli stati d'animo di un popolo
come l'italiano che risorge dopo molti secoli di abbandono o di servitù
straniera.

Ma l'impero chiede disciplina, coordinazione degli sforzi, dovere e


sacrificio; questo spiega molti aspetti dell'azione pratica del regime e
l'indirizzo di molte forze dello Stato e la severità necessaria contro
coloro che vorrebbero opporsi a questo moto spontaneo e fatale
dell‟Italia nel secolo XX, e opporsi agitando le ideologie superate del
secolo XIX, ripudiate dovunque si siano osati grandi esperimenti di

13
trasformazioni politiche e sociali: non mai come in questo momento i
popoli hanno avuto sete di autorità, di direttive, di ordine.

Se ogni secolo ha una sua dottrina, da mille indizi appare che quella del
secolo attuale è il fascismo. Che sia una dottrina di vita, lo mostra il
fatto che ha suscitato una fede: che la fede abbia conquistato le anime,
lo dimostra il fatto che il fascismo ha avuto i suoi caduti e i suoi martiri.
Il fascismo ha oramai nel mondo l'universalità di tutte le dottrine che,
realizzandosi, rappresentano un momento nella storia dello spirito
9
umano ».

La nostra trattazione, che incentra la sua attenzione sulla volontà dei


principali protagonisti della storia italiana del XX secolo, quali furono,
Fascismo, Massoneria e Vaticano, mira a far risaltare le principali
controversie tra queste tre istituzioni e quale fu il loro principale terreno
di battaglia.

I fascisti trovarono il loro collante nel culto della nazione e della guerra,
da cui ebbe origine la cosiddetta religione fascista, incentrata sulla
sacralizzazione della Patria.

I massoni, non disposti a convertirsi, furono trattati da reprobi che


dovevano essere puniti e messi al bando.

I massoni che parteciparono al movimento unitario democratico


ottocentesco e poi anche alla formazione dello Stato unitario, non
poterono fare a meno di occuparsi anche dopo delle vicende politiche
del paese.

La Massoneria si sentì investita del compito altresì di sviluppare un


processo educativo del cittadino della nascente Italia nel culto della
religione della Patria.

Fascismo e Massoneria che risposero al bisogno di nuova religiosità


all‟indomani della fine del I conflitto mondiale, furono accomunate

9
"La Dottrina del fascismo," di Giovanni Gentile e Benito Mussolini in “Idee fondamentali” in
http://litgloss.buffalo.edu/mussolini/text2.shtml

14
inizialmente dal medesimo intento: la costruzione della religione di
Patria.

In un secondo momento però proposero due opposte visioni della


società e dell‟uomo e finirono inevitabilmente per scontrarsi e non solo
sul terreno della politica.

La messa al bando della Massoneria e le persecuzioni nei confronti delle


obbedienze divennero necessarie per il Fascismo che aspirava ad essere
religione di Stato e contro la religiosità laica della prima e contro, subito
dopo la stipula dei patti lateranensi, la religiosità popolare e
millenaristica della Chiesa.

Anche i cattolici italiani con la Grande guerra del 1915-18 avevano


aderito a pieno titolo allo Stato nazionale, in polemica aperta con la
Gerarchia ecclesiastica a motivo della questione romana.

Il mondo cattolico si era infatti diviso sull‟intervento dell‟Italia nella


guerra a fianco dei Paesi dell‟Intesa.

L‟atteggiamento che la Santa Sede, e in particolare Benedetto XV,


assunse nei confronti della guerra fu di “neutralità” riguardo agli
interessi dei paesi belligeranti.

Il Papa, prima dell‟ ingresso in guerra dell‟Italia, fece di tutto perché


questa mantenesse una posizione neutrale, lascaindo in ogni caso i
cattolici liberi di scegliere sulla delicata materia.

Monsignor Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, insieme al cardinale Pietro


Gasparri, fu uno dei maggiori sostenitori della politica di Benedetto XV
in favore della pace.

Ciò che in questi anni premette più a Benedetto XV e alla Santa Sede fu
comunque di tenere distinti e separati i due ambiti in cui i cattolici
potevano impegnarsi: il campo religioso e quello politico e della
gestione pubblica.

Il successore di Benedetto XV, Pio XI, nei confronti del nuovo governo
fascista, come vederemo, non assolse il fascismo dalle violenze
15
perpetrate per il raggiungimento dei suoi obiettivi, ma cercò di dare
fiducia a Mussolini, nella speranza che riuscisse a frenare la Massoneria
e desse uno sbocco soddisfacente alla questione romana.

Il presente studio ha lo scopo, analizzando a grandi linee e poi in


maniera più puntuale gli anni compresi tra il 1923 e il 1928, di
evidenziare i punti salienti della storia e dei rapporti tra Vaticano,
Massoneria e Fascismo e aspetti della nostra storia patria che non
sempre trovano spazio e approfondimento nelle pagine convenzionali
dei manuali di Storia o altri testi, scritti per lo più in modo da non
danneggiare l‟immagine dell‟una o l‟altra parte, in particolare
l‟immagine della Chiesa.

Lo studio che si svilupperà qui di seguito può trovare nelle parole del
sacerdote Luigi Sturzo una valida sintesi:

«Il fascismo avendo fatto dello Stato una concezione etica totale ha
cercato in tutti i modi di inserirvi la Chiesa, senza però perdere il suo
carattere laico […] . Il Vaticano cercò di dare allo Stato italiano
l‟impronta cattolica per garantire che la religione cattolica fosse
effettivamente e non solo di nome la religione di Stato. Però mentre i
termini concordatari sono a prevalente carattere confessionale, lo spirito
dello Stato fascista rimane inalterato10».

10
L. Sturzo, Chiesa e Stato, studio psicologico politico, II, Bologna1959, pp.174-178
16
II Il Vaticano e la Massoneria, un odio antico

17
II, 1 Eminenti Apostolatus Specula è solo l’inizio.

E‟ il 1738, Papa Clemente XII nella bolla papale “In Eminenti


Apostolatus Specula” scrive, “Ma come la natura del crimine è tale
che allerta e produce un clamore che lo tradisce, per questo motivo, le
società menzionate hanno ispirato nei cuori dei fedeli una tal sfiducia
così forte, che aderire a tali associazioni, da parte di persone prudenti e
oneste, è come mettersi addosso una fama malefica e perversa. Di fatto,
se non stessero attuando male, non avrebbero un odio così grande per
la luce”.

18
Con questo primo documento del Vaticano si proibiva ai Cattolici di
partecipare alle logge, e si suggeriva ai vescovi di svolgere azione
inquisitoria dell‟eresia. Nel 1751, solamente 13 anni dopo, il papa
Benedetto IV emise una nuova bolla detta “Providas romanorum”
contro la Massoneria. Fu proibito ai cattolici di far parte delle logge,
pena la scomunica immediata.

19
Nel 1821 il papa Pio VII emise la bolla “Ecclesiam a Jesu Christo”.

20
Nel 1826 Leone XII emise la bolla “Quo Graviora”.

21
Nel 1829 Pio XIII emise un‟altra bolla contro la Massoneria detta
“Traditi Humiliati”.

22
Nel 1832 Gregorio XVI emise la bolla “Mirari Vos”.

23
Pio IX ne emise adirittura sei: rispettivamente nel 1846, 1849, 1864,
1865, 1869 e 1873.

24
Anche papa Leone XIII emise altre bolle e documenti in
contrapposizione alla Massoneria, in totale ben otto, dal 1882 al 1902.
Ill 20 aprile 1884 emette l‟enciclica più significativa, denominata
“Humanum Genus”.

Sono gli anni della rivoluzione industriale e del marxismo, il Vaticano è


impreparato e bolla la fine del XIX secolo un'era pericolosa per i
cristiani e condanna la massoneria, così come una serie di pratiche
connesse con la massoneria, compreso il naturalismo, la sovranità
popolare che non riconosce Dio e l'idea che lo stato dovrebbe essere
"senza Dio".

Con questa enciclica, Leone XIII condanna il relativismo morale e


filosofico della massoneria e delle sette ostili alla Chiesa, che "con
lungo ostinato proposito" mirano ad impedirne l'influenza, il magistero
e l'autorità, e riaffermano "la piena separazione della Chiesa dallo
Stato". "Leggi di odiosa parzialità si sanciscono contro il clero, cosicché
vedesi stremato ogni dì più e di numero e di mezzi. Vincolati in mille
modi e messi in mano allo Stato gli avanzi dei beni ecclesiastici: i
sodalizi religiosi aboliti, dispersi".

25
II, 2 Benedetto XV

26
È un accorato appello alla pace e alla forza morale del diritto la lettera
del Santo Padre Benedetto XV ai Capi dei popoli belligeranti; nella
famosa Nota alle nazioni, del 1° agosto 1917, egli parla del conflitto
mondiale come di «inutile strage».

“Fino dagli inizi del Nostro Pontificato, fra gli orrori della terribile
bufera che si era abbattuta sull' Europa, tre cose sopra le altre Noi ci
proponemmo: una perfetta imparzialità verso tutti i belligeranti, quale si
conviene a chi è Padre comune e tutti ama con pari affetto i suoi figli;
uno sforzo continuo di fare a tutti il maggior bene che da Noi si potesse,
e ciò senza accettazione di persone, senza distinzione di nazionalità o di
religione, come Ci detta e la legge universale della carità e il supremo
ufficio spirituale a Noi affidato da Cristo; infine la cura assidua,
richiesta del pari dalla Nostra missione pacificatrice, di nulla omettere,
per quanto era in poter Nostro, che giovasse ad affrettare la fine di
questa calamità, inducendo i popoli e i loro Capi a più miti consigli, alle
serene deliberazioni della pace, di una « pace giusta e duratura ».”11

Il I agosto del 1917 Benedetto XV si fece portavoce della stanchezza


della guerra che affliggeva corpi e animi, con questo appello,
avversando un conflitto che aveva diviso il mondo cattolico12.

L‟atteggiamento che la Santa Sede assunse, e in particolare il Papa, fu di


neutralità verso gli interessi degli Stati in guerra e di un aiuto concreto
alle popolazioni colpite dal conflitto13.

Nella lettera si legge: “Sul tramontare del primo anno di guerra Noi,
rivolgendo ad Essi le più vive esortazioni, indicammo anche la via da
seguire per giungere ad una pace stabile e dignitosa per tutti”14;
l‟impegno del pontefice però non fu capito e volutamente ignorato tanto
dai governi delle due parti in lotta quanto da numerosi settori del mondo
cattolico.

11
AAS IX (1917) p.421-423
12
Roberto Vivarelli, Profilo di storia contemporanea, La Nuova Italia, 1999, p.252
13
Giovanni Sale, La Chiesa di Mussolini, Rizzoli,Milano, 2011, p.42
14
AAS IX (1917) p.421-423
27
La stampa liberale accusò il Papa di disfattismo e di demoralizzare le
truppe impegnate al fronte. La risposta di Papa Benedetto XV al popolo
liberale è nel Codex Juris Canonici nei canoni 684 e 2335 promulgato il
27 maggio 1917 riconferma la scomunica ai massoni. Così iniziò il
periodo di maggiore isolamento della storia moderna del papato.

Cosa il pontefice ne pensasse è noto da come si espresse col direttore di


Civiltà Cattolica, padre Enrico Rosa, al quale disse che era necessario
distinguere tra le opinioni del papa e ciò che era essenziale per la
dottrina: “il papa è soprannazionale: non fa voti per il trionfo dell‟Italia;
ma se un cattolico italiano li facesse non andrebbe contro il Papa. Così
Egli non ha mai detto che la guerra di questa o quella nazione sia giusta
o ingiusta.15”

Inoltre da una lettera di padre Rosa al marchese Filippo Crispolti, in cui


è riportata una confidenza del Papa, si evince chiaramente che
Benedetto XV fosse certo dell‟inutilità o del fallimento della sua Nota e
dei suoi interventi sulla pace: a scrivere lo avevano spinto le tante lettere
e suppliche delle madri perché tanto la politica che le previsioni di
fallimento sembravano infatti dissuaderlo dal farlo16.

La politica di Benedetto XV in favore della pace fu sostenuta da


monsignor Eugenio Pacelli e dal cardinale Pietro Gasparri.

Quando inizia il suo regno, il Vaticano ha relazioni diplomatiche


soltanto con 17 Stati, per lo più di scarso peso politico, se si escludono
l‟Austria, la Spagna, la Baviera e la Prussia. Alla morte di Benedetto
XV, nel 1922, saranno saliti a 27 e comprenderanno la Francia, la Gran
Bretagna, la Germania. «Il Vaticano – scrive lo storico John F. Pollard17
– era diventato una nuova forza nel piano internazionale». Grande e
convinto tessitore di una strategia per la pace, definirà la guerra il cui
inizio coincide con quello del suo pontificato, uno «spettacolo
mostruoso» e un «flagello dell‟ira di Dio».

15
ACC, Fondo Rosa, XXVII, p.2 in Giovanni Sale, La Chiesa di Mussolini, Rizzoli, 2011, p.251
16
ACC, Fondo Rosa, XXVI, 7,5 in Giovanni Sale, La Chiesa di Mussolini, Rizzoli, 2011, p.251
17
J. Pollard, Il Papa sconosciuto. Benedetto XV ( 1914-1922)
28
Una posizione contrastata dalle nazioni cattoliche, al punto che
Benedetto XV confida: «Vogliono condannarmi al silenzio. Non
riusciranno mai a sigillare il mio labbro. Guai se il Vicario del Principe
della pace fosse muto nell‟ora della tempesta. La paternità spirituale
universale, di cui sono investito, mi impone un dovere preciso: invitare
alla pace i figli che dalle opposte barricate si trucidano a vicenda».

La condanna della guerra, che per la prima volta si affaccia sulla scena
dell‟umanità come mondiale e capace di portare alla morte milioni di
uomini, non è formulata soltanto in termini morali, ma anche teologici e
biblici, che invitano a considerare gli uomini come «figli di un unico
Padre che è nei cieli», dotati «di una medesima natura» e «parti tutte di
una medesima società umana». E il Papa mette a punto, con il suo
Segretario di Stato Pietro Gasparri, il criterio di «imparzialità».

29
la Santa Sede intende rimanere al di sopra delle parti, fuori dagli
schieramenti, ma ciò non significa che essa sia «neutrale» rispetto a
quanto sta avvenendo18.

Quando la guerra si conclude inizia una nuova era per l‟Europa delle
nazioni. L‟Italia taglia col passato e si avvia al superamento del mito
delle due Italie: la cattolica da un lato e la liberale e borghese dall‟altro.

A Parigi, durante le trattative di Pace, infatti, erano stati avviati dei


colloqui confidenziali tra il presidente del consiglio Vittorio Emanuele
Orlando e monsignor Bonaventura Cerretti, per il Vaticano, per
risolvere l‟annosa questione romana.

Dai colloqui parigini del 1918, infatti, non poteva scaturire alcuna
soluzione che non fosse ritenuta dal sovrano lesiva degli interessi della
corona; qualsiasi altra soluzione diversa da quella della legge delle
Guarentigie del 1871 sarebbe stata considerata contraria al principio di
laicità dello Stato.

Negli ultimi anni del pontificato di Benedetto XV però, grazie ai sempre


più frequenti e cordiali rapporti tra Santa Sede e Governo italiano,
sembrava che si fosse ormai vicini a raggiungere un accordo sulla
riforma della legge delle Guarentigie.

Il barone Carlo Monti19 svolse una preziosa attività di mediazione, come


testimoniano le carte dell‟«Archivio Monti», che ricoprono un vasto
interesse per quelli che furono i rapporti «ufficiosi» tra Santa Sede e
Governo italiano prima della Conciliazione.

18 Andrea Tornielli, Benedetto XV, il Papa della decisione, in


http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/i-ritratti-dei-papi-dellultimo-secolo-
benedetto-xv-100/
19 Il barone Carlo Monti (1851-1924) studia al Collegio nazionale e poi all’Università Statale di Genova insieme
a Giacomo Della Chiesa, futuro papa Benedetto XV. Il Monti viene assunto nel 1882 al Fondo per il Culto,
istituto creato con la legge per la soppressione delle corporazioni religiose e dipendente dal Ministero di Grazia
e Giustizia e Culti dello Stato Italiano. Nel 1908 ne diviene il Direttore Generale. Quando nel 1914 Giacomo
Della Chiesa viene eletto papa con il nome di Benedetto XV, sceglie il suo vecchio compagno di scuola come suo
«tramite confidenziale» per i rapporti con lo Stato Italiano in epoca preconcordataria. Il funzionario dello Stato
si reca un paio di volte al mese a rendere visita al pontefice ed al suo Segretario di Stato (il cardinale Pietro
Gasparri), conversando su tutti i temi di mutuo interesse. Nei sette anni di pontificato il Monti viene ricevuto in
udienza dal papa per ben 175 volte. http://www.archiviosegretovaticano.va/fondo-culto-2/
30
Lo stretto legame che univa il Monti ad Orlando da una parte, ed il suo
ruolo di amico e confidente del papa Benedetto XV dall‟altro, fanno di
lui una fonte più che privilegiata delle opposte sponde del Tevere20.

Su richiesta del Papa, si impegnò ad assicurare l‟esenzione dal servizio


militare per il personale incaricato della custodia e del funzionamento
delle varie strutture in Vaticano. Per tutta la durata del conflitto grazie ai
suoi buoni uffici poterono essere risolte questioni grandi e piccole fra
due poteri che, formalmente, s‟ignoravano. Anche dopo la caduta di
Salandra, proseguì infatti la sua missione mantenendo un rapporto
privilegiato con Orlando, che lo definì «nunzio e ministro nello stesso
tempo»21.

L‟affetto e la simpatia nutrita dal Papa nei suoi confronti da una parte e
l‟entusiasmo e la correttezza e la disponibilità di Monti dall‟altra
favorirono un clima quanto mai proficuo. Sempre più numerosi erano i
prelati interessati a procurarsi per il suo tramite la soluzione di varie
questioni di carattere amministrativo con lo Stato italiano, tanto che in
Vaticano fu soprannominato scherzosamente «il vice-papa»22.

Tra il 1917 e il 1918 riuscì a ottenere l‟aumento della congrua per i


parroci e l‟approvazione da parte del Consiglio di Stato di nuovi criteri
per la liquidazione degli assegni ai vescovi, nonostante il parere
contrario espresso dalla Corte dei Conti.

Non mancarono però momenti di acuta tensione. Fu quanto avvenne,


per esempio, nella seconda metà del 1916, dopo il sequestro e la
confisca di Palazzo Venezia, sede fra l‟altro dell‟ambasciata d‟Austria
presso il Vaticano. Monti tentò di evitare l‟esasperazione dei contrasti,
ma la situazione sembrò precipitare ai primi di ottobre quando Sonnino
di propria iniziativa rese di pubblico dominio la nota vaticana di
protesta e la ferma risposta del governo. Ne derivò un‟accesa campagna
di stampa anticlericale, seguita da una durissima presa di posizione del

20
Cfr. http://www.archiviosegretovaticano.va/fondo-culto-2/
21
Antonio Scottà La conciliazione ufficiosa.Diario del barone Monti incaricato d’affari del governo italiano
presso la Santa Sede (1914-1922),Libreria Editrice Vaticana , vol. II, Roma, 1997, p. 410
22
ibid., vol. II, p. 247
31
ministro Leonida Bissolati, che accusò il papa di parteggiare senza
ritegno per gli Imperi centrali. Il contrasto si risolse dopo estenuanti
trattative, condotte con pazienza e abilità proprio da Monti. Il presidente
del Consiglio Paolo Boselli accettò di tenere un discorso alla Camera in
cui rese un fervido omaggio al contributo decisivo assicurato dai
cattolici e dal clero allo sforzo bellico della nazione.

Anche nel dopoguerra Monti mantenne costante la sua attività di


intermediario. Come ebbe a dire monsignor Tedeschini nel maggio
1920, i rapporti ufficiosi non solo esistevano ma risultavano ben noti
anche agli altri Stati e il barone era «l‟ambasciatore di fatto»23. Il suo
ruolo chiave fu riconosciuto da tutti i presidenti del Consiglio succeduti
a Orlando: Nitti, Giolitti e Ivanoe Bonomi lo confermarono nelle sue
informali quanto importanti funzioni.

Il Governo Mussolini trattò le questioni di politica ecclesiastica secondo


la prassi consolidata sotto i ministeri precedenti, ma con spirito nuovo;
egli, infatti, proponeva riforme secondo le aspettative della gerarchia
ecclesiastica, non lasciando inascoltate per lungo tempo le richieste fatte
dalla Santa Sede all‟autorità civile.

La prassi di cui si erano servite le passate amministrazioni per la


trattazione delle questioni religiose era quella della “doppia intesa”: da
un punto di vista formale era escluso ogni accordo palese tra i due
poteri, dal punto di vista materiale si ricorreva a un “incaricato di
affari”, persona ben accetta da ambo le parti24.

Il regime fascista, in questo, supererà quello che vedeva come limite dei
governi liberali: manovrare e decidere segretamente; esso, impegnato
invece nel dare rilievo a italianità, latinità e Chiesa, ripudia il principio
dell‟agnosticismo dello Stato e di separazione di Chiesa e Stato25.

23
A. Scottà, La conciliazione ufficiosa. Diario del barone C. M. (1914-1922), 2 voll., Città del Vaticano 1997,
p.540
24
F. Margiotta Broglio, Italia e Santa Sede dalla Grande guerra alla conciliazione. Aspetti politici e giuridici, La
Terza, Bari, 1966, pp. 13 e ss.
25
E. Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari, 2009, pp.
120 e ss.
32
I primi contatti tra il nuovo governo e la Santa Sede si ebbero a partire
dalla fine di dicembre del 1922; ma di questo torneremo a parlare in
seguito.

Vorremmo in questa sede insistere su quale fosse la posizione del Papa


Benedetto XV sulla partecipazione dei Cattolici alla vita politica del
Paese durante la guerra.

Si legge in un appunto di padre Enrico Rosa che il Papa non volesse


affatto che i cattolici entrassero nel nuovo ministero del 191626.

Quando Meda decise di entrare, da indipendente, nel Ministero Boselli


nel 1916, l‟Osservatore Romano scrisse che il deputato milanese al
governo rappresentava solo se stesso e i suoi amici politici e non la
santa sede o i cattolici italiani.

La partecipazione dei cattolici era infatti contraria al principio di


neutralità della Santa Sede.

Meda, dal canto suo, era convinto che i cattolici avrebbero pagato caro
il neutralismo alla fine del conflitto mondiale, e che era necessario
quindi dare prova della loro fedeltà in guerra27.

I cattolici italiani, senza la guerra, inoltre non si sarebbero mai


organizzati probabilmente intorno a una proposta politica autonoma,
rimanendo ancorati alle forze conservatrici del paese; uno degli effetti
più importanti della guerra fu così la nascita di uno dei grandi partiti
popolari di massa: il PPI- Partito Popolare Italiano.

La nascita del nuovo partito fu salutata dal mondo cattolico come


significativa e ricca di prospettive per il futuro, solo gli avvenimenti
successivi dimostrarono che il rapporto tra PPI e mondo cattolico
strettamente legato alla gerarchia fu altro che pacifico o semplice. Il
sacerdote siciliano don Luigi Sturzo nel 1919 fondò il Partito Popolare
Italiano (del quale divenne segretario politico fino al 1923) e il 18 gennaio

26
ACC, Fondo Rosa, XXXVII, p.2
27
Cfr. A. Canavero, I Cattolici nella società italiana. Dalla metà dell’800 al Concilio Vaticano II, La Scuola,
Brescia, 1991 , pp. 140-141
33
1919 si compì ciò che a molti è apparso l'evento politico più
significativo dall'unità d'Italia: dall'albergo Santa Chiara di Roma, don
Sturzo lanciò "l'Appello ai Liberi e Forti", carta istitutiva del Partito
Popolare Italiano: «a tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave
ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria,
senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme
propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà ».

Il nuovo partito inglobò le diverse anime del cattolicesimo sociale e


politico dell‟Italia del suo tempo, si presentò con un programma
economico, sociale e riformatore che era quello democratico - cristiano
e fu guardato con sospettosa prudenza sin dal suo nascere dalla
Gerarchia ecclesiastica, la quale comunque non si schierò mai
apertamente col nuovo partito né lo sconfessò mai. D‟altra parte il PPI
non intendeva occuparsi di problematiche religiose.

Tutto ciò non sarebbe stato possibile però senza l‟annullamento del Non
Expedit da parte della Santa Sede, la quale seguendo la sensibilità e la
cultura di Papa Benedetto XV auspicava una separazione tra i due ambiti
quello dell‟azione svolta dai cattolici nel campo religioso e quello
dell‟azione svolta nell‟ambito della politica e della gestione della cosa
pubblica.

Dobbiamo ricordare che Papa Benedetto XV, quando era ancora


monsignor della Chiesa, si mostrò contrario ad un articolo apparso nel
dicembre del 1904 su “Civiltà Cattolica” che era stato scritto in sostegno
degli accordi clerico moderati voluti dal suo predecessore, e per avere
sposato il punto di vista di Murri e degli altri democratici cristiani, fra
cui don Sturzo, fu per questo sospettato di modernismo sociale,
allontanato dalla Segreteria di Stato e inviato a Bologna come
arcivescovo28.

Egli dimorò otto anni in questa diocesi prima di essere nominato


cardinale, pochi mesi prima che morisse Papa Pio X , di cui fu il
successore.

28
ACC, Diario De Santi, 14 dicembre 1904
34
II, 3 PIO XI

35
A seguito della morte di Benedetto XV, il 22 gennaio del 1922 venne
eletto Papa con 42 voti (6 più del quorum richiesto) Ambrogio Damiano
Achille Ratti29, superando i due candidati ritenuti più quotati: Rafael
Merry del Val30 e Pietro Maffi31.

Egli assunse il nome di Pio XI e, con gesto dirompente, impartì la


tradizionale benedizione «Urbi et orbi » dalla loggia esterna di San
Pietro, che era rimasta chiusa da quando nel 1870 il Regno d‟Italia si era
impadronito del Vaticano. I fedeli assiepati nella piazza lo acclamarono
gridando «Viva Pio XI. Viva l‟Italia »; si tratta di un episodio che va
registrato fra quelli che porteranno alla soluzione della « questione
romana ».

Scegliendo come nome Pio XI, il nuovo Papa tranquillizzò l‟ala


conservatrice del conclave, che sosteneva il cardinale Rafael Merry del
Val, e confermando come suo segretario di Stato il cardinale Gasparri,
invece, accontentò i progressisti, che appoggiavano Pietro Maffei32.

Il nuovo Papa nei primi tempi del suo pontificato non si allontanò dalla
linea fissata in materia politica da Benedetto XV; vedeva infatti il PPI
come il partito dei cattolici italiani in grado di fare valere i diritti della

29
Ambrogio Damiano Achille Ratti(Desio 1857 - Città del Vaticano 1939). Dopo aver studiato a Desio, quindi nei
seminari diocesani diMilano e nel Seminario lombardo di Roma, dove fu ordinato prete il 20 dic.1879, si laureò
in teologia, in diritto canonico e in filosofia. Prof. per cinque anni di sacra eloquenza a Milano, tenne un corso
speciale di teologia nel Seminario maggiore; ammesso fra i dottori della Biblioteca Ambrosiana (1888), compì
varî viaggi scientifici (fu anche appassionato ed esperto alpinista), riordinò la biblioteca della Certosa di
Pavia (1898), e tra il1905 e il 1907 la Biblioteca e la Pinacoteca Ambrosiana e il museo Settala. Ebbe l'incarico
dal capitolo del duomo di Milano di recuperare e restaurare le pergamene e i codici danneggiati, opera che
portò a termine nel 1914.
30
Cenni biografici: Ecclesiastico (Londra 1865 - Roma1930); di origine spagnola, studiò al Pontificio collegio
scozzese, poi alla Pontificia accademia dei nobili ecclesiastici; ordinato nel 1888, fu cameriere segreto di Leone
XIII (1892) e svolse attività diplomatica. Arcivescovo titolare di Nicea, fu da Pio X creato cardinale (1903) e
nominato segretario di stato; in questa funzione condusse con estrema fermezza la lotta contro il modernismo
e, pur adoperandosi per un ravvicinamento tra il papato e lo stato italiano, ruppe con la Francia per aver il
presidente Loubet fatto visita al re al Quirinale. Trattosi in disparte dopo l'elezione di Benedetto XV, mantenne
notevole influenza nella politica interna della Chiesa in qualità di segretario del S. Uffizio.
31
Cenni biografici: Prelato italiano (Corteolona 1858 - Pisa 1931). Studioso di astronomia, geodinamica e
meteorologia, direttore dell'osservatorio vaticano (1904), svolse anche ampia attività pastorale, soprattutto
per la riorganizzazione delle facoltà teologiche e dell'Azione Cattolica. Fu vescovo ausiliario dell'arcivescovo
di Ravenna (1902), poi arcivescovo di Pisa (1903) e cardinale (1907). Collare della Ss. Annunziata (1930).
32
Cfr. F. Margiotta Broglio, Pio XI, in Storia del Papi, Istituto Nazionale dell’Enciclopedia Italiana, Roma 2000,
p.620
36
religione e della Chiesa33 sia sul piano politico parlamentare che su
quello sociale.

Però se in un primo momento egli sostenne il PPI e lo raccomandò ai


cattolici, a causa delle continue violenze perpetrate dai fascisti anche
contro le associazioni cattoliche successivamente si rafforzò in lui l‟idea
di separare i due ambiti, quello politico da quello associazionistico.

Ad esempio, mentre inizialmente al cardinale di Milano Eugenio Tosi,


che gli domandava come comportarsi in diocesi nei confronti del Partito
popolare, il Papa rispose che il partito dove essere lasciato libero di
manovrare, mantenendovi rapporti di “buon vicinato”34, poi Papa Ratti
il 2 ottobre 1922, poco prima dell'avvento del fascismo inviò, invece,
un documento a tutti gli ecclesiastici in cui li invitava a non collaborare
con nessun partito politico, neanche con quelli di matrice cattolica. In
particolare negli archivi è stata ritrovata la lettera, in cui si invitava don
Luigi Sturzo a rassegnare le dimissioni dalla carica di segretario
del Partito Popolare Italiano, dimissioni che il sacerdote diede
effettivamente il 10 luglio 1923.

Per capire in che modo la richiesta da parte vaticana di queste


dimissioni potesse compiacere il duce, ricordiamo che nei primi mesi di
governo la maggiore preoccupazione di Mussolini fu quella di
mantenere il potere con la maggioranza parlamentare.

Erano necessarie le elezioni con una diversa legge elettorale: il progetto


di riforma si chiamò legge Acerbo, dal nome del proponente, e
prevedeva il premio di maggioranza; perché fosse approvata la legge era
necessario l‟appoggio dei deputati popolari, i quali solo privati della
guida di Sturzo si arresero35.

Dopo le dimissioni di Sturzo, Mussolini poté affermare che questi era


l'uomo sbagliato dentro un partito di "cattolici che invece desiderano il
bene dello Stato". Il Partito Popolare Italiano entrò in una profonda crisi

33
G. Sale, La Chiesa di Mussolini, i rapporti tra Fascsimo e Religione, Rizzoli, Milano, 2011, p.67
34
Cfr. ACC, Fondo Rosa, 34, 7, 21 in G. Sale, op. cit, p. 68
35
Cfr.Roberto Vivarelli, Profilo di storia contemporanea, La nuova Italia, Milano, 1999 p. 298
37
che ne indebolì le posizioni in parlamento e nel paese. Nel 1926 il
partito fu ufficialmente dichiarato disciolto.

Il Papa aveva sempre nutrito scarsa fiducia nei partiti politici di


qualunque orientamento e riteneva più giusto mantenere rapporti
direttamente con gli Stati sovrani.

Soprattutto in Italia dove l'apparente vicinanza ideologica del Partito


Nazionale Fascista garantiva il rispetto dei valori cari alla Chiesa
cattolica tramite la restaurazione dell'ordine e dell'autorità36.

Quale fu la posizione di Pio XI nei confronti del nuovo governo? Come


giudicò l‟ascesa del Partito fascista nel primo anno del suo pontificato?

Non possediamo molte fonti documentali dirette al riguardo, il suo


pensiero si può cogliere o da conversazioni private, o indirettamente da
quanto apparve attraverso gli articoli sullo Osservatore Romano37 e
sulla Civiltà Cattolica38.

Nel 1922, prima della sua elezione a Papa, in occasione di un'intervista


concessa al giornalista francese Luc Valti (pubblicata integralmente nel
1937 su "L'illustration"), il cardinale Achille Ratti dichiarò a proposito
di Mussolini:

«Quell'uomo, ragazzo mio, fa rapidi progressi, e invaderà tutto con la


forza di un elemento naturale. Mussolini è un uomo formidabile. Mi ha
36
E. Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini, Einaudi, Torino, 2007 pag 28-29
37
Il primo numero de L'Osservatore Romano uscì nell'Urbe il 1° luglio del 1861, a pochi mesi dalla
proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo 1861). Lo scopo della pubblicazione era chiaramente apologetico, in
difesa dello Stato Pontificio, e i suoi intenti polemico-propagandistici. Il giornale riprendeva il nome di un
precedente foglio privato (5 settembre 1849 - 2 settembre 1852), diretto dall'abate Francesco Battelli e
finanziato da un gruppo cattolico legittimista francese. La nascita de L'Osservatore Romano è strettamente
correlata con la sconfitta bellica subita dalle truppe Pontificie a Castelfidardo (8 settembre 1860). Dopo questo
evento, infatti, mentre il potere temporale del Pontefice veniva fortemente ridimensionato in termini di
estensione territoriale e in tutta Europa non sembrava esserci una potenza disposta a difenderlo, un gran
numero di intellettuali cattolici cominciarono a giungere a Roma con il fermo desiderio di mettersi al servizio di
Pio IX.
38
Notizie sulla rivista La Civiltà Cattolica è una rivista della Compagnia di Gesù, tra le più antiche esistenti nel
panorama culturale italiano.Tra le molte riviste cattoliche, la Civiltà Cattolica è l'unica ad essere esaminata in
fase di bozza dalla Segreteria di Stato della Santa Sede e ad averne l'approvazione definitiva. Si considera una
rivista di alta divulgazione. La rivista fu fondata intorno al 1850 da un gruppo di gesuiti di Napoli per iniziativa
di padre Carlo Maria Curci. L'idea che spinse padre Curci alla fondazione della rivista fu quella di difendere «la
civiltà cattolica», minacciata dai nemici della Chiesa, in particolare dai liberalie dai massoni
38
capito bene? Un uomo formidabile! Convertito di recente, poiché viene
dall'estrema sinistra, ha lo zelo dei novizi che lo fa agire con risolutezza.

E poi, recluta gli adepti sui banchi di scuola e in un colpo solo li innalza
fino alla dignità di uomini, e di uomini armati. Li seduce così, li
fanatizza. Regna sulla loro immaginazione. Si rende conto di che cosa
significhi e che forza gli fornisca? Il futuro è suo. Bisognerà però vedere
come tutto questo andrà a finire e che uso farà della sua forza.

Che orientamento avrà, il giorno in cui dovrà scegliere di averne uno?


Resisterà alla tentazione, che insidia tutti i capi, di ergersi a dittatore
assoluto?»39

Un‟altra preziosa testimonianza è offerta dal colloquio tra il Papa e


Padre Agostino Gemelli dal quale si capisce che, sebbene il pontefice
avesse le proprie idee riguardo alle nuove vicende politiche, non si
abbandonò a considerazioni politiche o ideologiche e preferì attendere
di rimandare un giudizio definitivo a quando sarebbe stato evidente
come il nuovo governo avrebbe tutelato gli interessi cattolici in Italia.

Alla domanda di padre Gemelli su quale condotta si doveva tenere nei


confronti del nuovo governo il Papa rispose. “ Lodare, no. Fare
l‟opposizione non conviene, essendo molti gli interessi da tutelare”40.

L‟azione cattolica fece tesoro delle direttive del Papa, sin da dopo la
marcia su Roma, e nei confronti del nuovo governo tenne un
atteggiamento lontano tanto da un‟esplicita accettazione come da un
netto rifiuto41 del movimento fascista; la “Civiltà Cattolica” dal canto
suo legittimò il fascismo agli occhi dei cattolici pur denunciando le
violenze delle squadre fasciste42.

39
Luc Valti, Illustration, 9 gennaio 1937, n.4897, p. 33. Traduzione riportata da Yves Chiron, Pio XI, Il Papa dei
patti Lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2006 p.131
40 Cfr ACC. Fondo Rosa 34,7,3 in Giovanni Sale, op.cit., p.69
41 Cfr M. Casella , L’Azione Cattolica nell’Italia contemporanea, 1919-1969, in G. Sale, op.cit., p.257
42 Cfr G. Sale, op. cit., p.71
39
Pio XI si aspettava che Mussolini avviasse una politica nuova, tesa a
cristianizzare un partito che si riteneva dominato dalla massoneria e che
riuscisse a dare uno sbocco soddisfacente alla “questione romana”43.

Una posizione chiara di Pio XI fu quella assunta in occasione delle


opposizioni aventiniane44, quando si cercò di stabilire un accordo tra
socialisti e popolari; nel maggio del 1924 il nuovo segretario del Partito
popolare De Gasperi dichiarò la non totale incompatibilità fra i due
schieramenti suscitando la reazione del Vaticano, il quale respinse dalle
pagine della Civiltà Cattolica del 16 agosto la prospettiva di un governo
socialista popolare45.

Nella discussione che ne seguì Sturzo prese posizione a favore della


collaborazione ,in un articolo del 6 settembre sul Il Popolo, due giorni
più tardi il pontefice , in un discorso agli studenti universitari cattolici
disse: «[…]Si cita la collaborazione dei cattolici coi socialisti in altri
paesi; ma si confondono[…] a parte la differenza degli ambienti e delle
loro condizioni storiche, politiche e religiose, altro è trovarsi di fronte a
un partito già arrivato al potere e altro è a questo partito aprire la
strada[…]»46.

Di poco posteriore fu la circolare del cardinale Gasparri ai vescovi


d‟Italia nella quale si raccomandava ai sacerdoti di non partecipare alla
lotta politica in un momento di grave tensione.

Dunque non pregiudizialmente ostile a Mussolini, Achille Ratti limitò


fortemente l'azione del Partito popolare favorendone lo scioglimento, e
rinnegò ogni tentativo di Sturzo di ricostituire il partito. Ebbe però ad
affrontare controversie e scontri con il fascismo a causa dei tentativi del

43 G. Sale, Popolari, chierici e camerati, Volume 2 , Editoriale Jaca Book, DEA Store, p.9
44
Con evidente allusione alla storia romana fu chiamata dell’Aventino la secessione dei parlamentari
dell’opposizione al governo fascista che, il 27 giugno 1924, subito dopo il delitto Matteotti, guidati da G.
Amendola decisero di non partecipare più ai lavori del parlamento finché un nuovo governo non avesse
ristabilito le libertà democratiche. La manifestazione di protesta, che ebbe carattere solo morale essendo state
bocciate proposte comuniste di azione diretta e di appello alle masse, non ebbe successo: il re confermò la
fiducia aMussolini e al fascismo e nel novembre 1926 i deputati dell’A. furono dichiarati decaduti dal loro
mandato. http://www.treccani.it/enciclopedia/aventino/
45
Cfr. La parte dei Cattolici nelle presenti lotte dei partiti politici in italia, in Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia
moderna, il Fascismo e le sue guerre, 1922-1939, Feltrinelli, Milano 2002, p. 86
46
G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, il Fascismo e le sue guerre, 1922-1939, cit., pp.86-87
40
regime di egemonizzare l'educazione della gioventù e per le ingerenze
del regime nella vita della Chiesa47.

Emilio Settimelli48, che testimonia il riemergere puntuale


dell‟anticlericalismo fascista, intese discutere col papa riguardo alla
lettera Preti adagio!49 inviata dal pontefice al cardinale Arcivescovo di
Milano.

Lo scrittore così si esprimeva: «[…] Il mondo non è certamente tenero


coi cattolici…in più parti del globo vengono beffati e massacrati […]
ma noi non riusciamo a comprendere come –il Santo Padre- in mezzo a
tanti rovesci morali e materiali del cattolicesimo nel mondo […] si
ostini a vedere i primaverili fuscelli della indipendenza che adornano gli
occhi di questo pizzico di fascisti […] il regime fascista è cattolico in
quanto è avvenuta la conciliazione […] non intese mai, colla
conciliazione, di cambiare la sua dottrina. Patriottismo, lealtà, coraggio,
forza morale e fisica […] è questa la dottrina che propaganda fra i
giovani. Accordandosi il Regime con la Chiesa non intese mai di
trasformare i Balilla in chierici […] Nessuno di noi esige che tutti i
cattolici siano fascisti in seguito al concordato; così i cattolici non
devono pensare che tutti i fascisti debbano essere cattolici […] e allora

47
Cfr.AA. VV., Il fascismo, Mondadori, Milano, 1998
48
Emilio Settimelli (Firenze, 1891 - Lipari, Messina, 1954), scrittore e animatore culturale prima dalle colonne
della rivista «La difesa dell'arte», poi dalle testate da lui stesso fondate, «Il Centauro» (1913) e «La rivista»
(1913). Elabora una teoria di oggettiva valutazione dell'opera d'arte pubblicata da Marinetti nel 1914 come
manifesto dal titolo "Pesi, misure e prezzi del genio artistico", firmato insieme a Bruno Ginanni Corradini.
L'interesse per il teatro lo accomuna a Marinetti e numerose sono le sue «sintesi» teatrali ("Tricolore",
"Kaiseriana", "Il Superuomo"). Nel 1915 firma con Marinetti e Corra il "Manifesto del teatro futurista sintetico"
e sulle pagine de «L'Italia Fututurista», fondata con Corra nel 1916, pubblica e firma i manifesti "La scienza
futurista" e "La cinematografia futurista", (1916). Nello stesso periodo pubblica i volumi "Avventure spirituali"
(1916), "Mascherate futuriste" (1917) e "Inchiesta sulla vita italiana" (1919). Nel 1918, trasferitosi a Roma,
fonda con Carli e Marinetti «Roma futurista», organo del partito politico futurista. Sempre con Carli dirige la
rivista «Dinamo» (1919) e partecipa con le sue tavole parolibere alla Grande esposizione nazionale futurista di
Palazzo Cova a Milano. Aderisce al fascismo e nel 1921 si allontana dal movimento futurista perché in
disaccordo con il fondatore. Nel 1923 dirige, sempre con Carli, «L'Impero», quotidiano gradito a Mussolini. Le
opere di questo periodo rispecchiano le sue scelte politiche: "Benito Mussolini" (1922), "Colpo di stato fascista"
(1922), "Gli animatori - B. Mussolini" (1925). Il dissidio con Marinetti culmina con la scomunica dello scrittore
proposta dal fondatore del movimento al congresso degli scrittori di Bologna nel 1933. Anche con Mussolini
l'intesa finisce a causa della pubblicazione di opuscoli fortemente anticlericali che, insieme ad una lettera di
aspra critica nei confronti dell'operato di alcuni gerarchi fascisti, costano a Settimelli cinque anni di confino
http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-
bin/pagina.pl?TipoPag=prodpersona&Chiave=48132&RicProgetto=personalita
49
Trovare lettera
41
che son mai le postume lamentele pontificali circa la nostra maschia
educazione dei giovani e l‟atletismo femminile?»50.

Prima della presa di posizione di Emilio Settimelli, nella lettera


enciclica “Rappresentanti in terra (31 dicembre 1929)” in merito
all‟educazione cristiana dei giovani il Pontefice aveva affermato:

« […] per la retta amministrazione della cosa pubblica e per la difesa


interna ed esterna della pace, cose tanto necessarie al bene comune e
che richiedono speciali attitudini e speciale preparazione, lo Stato si
riserbi l'istituzione e la direzione di scuole preparatorie ad alcuni suoi
dicasteri e segnatamente alla milizia, purchè abbia cura di non ledere i
diritti della Chiesa e della famiglia in quello che loro spetta. Non è
inutile ripetere qui in particolare questa avvertenza, perchè ai tempi
nostri (in cui va diffondendosi un nazionalismo quanto esagerato e falso
altrettanto nemico di vera pace e prosperità) si sogliono eccedere i giusti
limiti nell'ordinare militarmente l'educazione così detta fisica dei
giovani (e talora anche delle giovanette, contro la natura stessa delle
cose umane), spesso ancora invadendo oltre misura, nel giorno del
Signore, il tempo che deve essere dedicato ai doveri religiosi e al
santuario della vita familiare.

Non vogliamo, del resto, biasimare quello che vi può essere di buono
nello spirito di disciplina e di legittimo ardimento in siffatti metodi, ma
soltanto ogni eccesso, quale per esempio, lo spirito di violenza, che non
è da scambiare con lo spirito di fortezza nè con il nobile sentimento del
valore militare in difesa della patria e dell'ordine pubblico; quale ancora
l'esaltazione dell'atletismo che della vera educazione fisica anche per
l'età classica pagana segnò la degenerazione e la decadenza51. »

Questi estratti ci restituiscono abbastanza bene i termini della polemica


riguardo educazione dei giovani e le diverse posizioni di Vaticano e
PNF.

50
Emilio Sattinelli, La lettera di Pio XI all’Arcivescovo di Milano in Renzo de De Felice pp 294-296
51
Lettera Enciclica, Rappresentanti in terra, in
http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19291231_rappresentanti-in-
terra_it.html
42
III La Massoneria Italiana

43
III, 1 Nascita della Massoneria in Italia

«La storia della rinascita della massoneria in Italia, dopo la lunga


parentesi della Restaurazione, quando le logge (l’unità di base di
un’organizzazione massonica) erano state messe al bando dai governi
restaurati e l’istituzione si era dissolta, ha le stesse scansioni temporali
della nascita dello Stato italiano: nell’ottobre del 1859 viene fondata a
Torino la loggia Ausonia, mentre alla fine del 1861 si svolge la prima
assemblea programmatica delle logge italiane. »52

Leggiamo in Aldo Mola che sette massoni si incontrarono una notte a


Torino “in luogo coperto agli sguardi profani” e che progettarono e
discussero disegni e avanzamenti delle loro opere dedicate “alla Gloria
del Grande Architetto dell’Universo”.53

Apprendiamo, sempre grazie alla ricostruzione storica di A. Mola, che


per la costituzione di una Loggia54 è necessario un minimo di sette
Fratelli muratori che lavorano nella osservanza delle regole della libera
Muratoria.

Il fitto mistero che circonda le origini della Massoneria è conseguenza


del clima di riserbo e cautela che instaurarono i sette Maestri massoni
quando ripresero a costruire il “Tempio di Salomone”.

Riguardo ai fondatori, sembra che tutti i sette Fratelli che l‟8 ottobre
1859 si riunirono nella Rispettabile Loggia “Ausonia” avessero avuto in
gran parte un passato nel settarismo: Filippo Delpino, primo Maestro
Venerabile della Loggia, Sisto Anfossi, Celestino Peroglio, Carlo Flori,
Giuseppe Tolini, Vittorio Mirano, Francesco Cordey; essi volevano sì
iniziare una nuova età della Massoneria italiana, ma desideravano anche
collocarsi in un flusso storico che iniziava con la Grande Rivoluzione,

52
Anna Maria Isastia, http://www.treccani.it/enciclopedia/la-massoneria_(L'Unificazione)/#
53
Aldo Mola, Storia della Massoneria italiana, Tascabili Bompiani, Milano 2013, p.33
54
La loggia è la sede dei lavori massonici rituali.
44
procedere da un passato in cui la Vera Luce e la cospirazione politica si
erano intrecciate.

In questo passato si riconosceva il Fratello Livio Zambeccari, il quale


nella primavera del 1859 propose a Cavour di creare una “Legione
sacra” di volontari che conferissero alla causa Sabauda l‟aspetto della
guerra nazionale, ma lo stesso Cavour di suo pugno rispose che non era
necessario.

Giovanni Gonzi55 dal canto suo, nelle pagine del sito del Grande Oriente
d‟Italia di rito scozzese antico e accettato, sostiene che la Loggia di
Torino godesse dell‟appoggio del Conte di Cavour; egli fu infatti
definito dal primo maestro venerabile Giuseppe Delpino “personaggio
non estraneo ai misteri dell‟ordine”.

Lo statista piemontese, della cui eventuale iniziazione non esistono


prove, favorì l‟adesione inoltre all‟Ausonia di un suo illustre
collaboratore, Costantino Nigra, il quale nel 1861 rinunciò addirittura
alla carica di Gran Maestro del GOI ( Grande Oriente d‟Italia).

Cavour sul protrarsi del suo impegno politico per il compimento


dell‟unificazione nazionale era travagliato, secondo quanto ricostruisce
Aldo Mola, e si può evincere da quanto scriveva al fido Michelangelo
Castelli56 il 21 ottobre del 1859: “Non ho rinunziato alla politica[…]lo
farei se l‟Italia fosse libera[…]non avverranno restaurazioni, il potere
temporale del Papa è distrutto, il principio unitario trionferà dalle Alpi
alla Sicilia”; così riconsiderò non tanto il progetto di una “Legione”,
quanto la necessità di un sodalizio meta politico, che consentisse alle
energie di non disperdersi in partiti e lotte di fazioni mazziniane,
monarchiche sabaudiste e bonapartiste; la Massoneria italiana poteva
tornare molto utile.

55
Cfr. G. Gonzi, Massoneria e Unità d’Italia, in Grande Oriente d’Italia della Massoneria di rito scozzese antico
ed accettato http://www.goirsaa.it/italia/fratelli/
56
Giuseppe Talamo, Cavour, Roma, La Navicella, 1992, pp.197-98
45
Secondo Anna Maria Isastia57 invece non ci sono documenti che
provino che le vicende risorgimentali siano state opera di una inesistente
istituzione massonica regionale o nazionale organizzata, sebbene questa
leggenda abbia goduto di lunga fortuna e sia ancora oggi generalmente
ripetuta.

La modesta rappresentatività del gruppo fondatore della prima loggia


torinese dovrebbe far riflettere sul presunto ruolo giocato dai massoni
negli anni precedenti, scrive la Isastia. Il contrasto tra la «mitologia
massonica» e la realtà – quale emerge da documenti a disposizione di
tutti – è tale dunque che non può non far riflettere sulla forza del mito.

I massoni italiani hanno indubbiamente cercato di contribuire


all‟elaborazione di un‟identità condivisa, per avvicinare la popolazione
allo Stato e contribuire così alla nazionalizzazione degli italiani.

Le logge si riempirono di uomini che avevano combattuto con la penna


o con la spada per l‟indipendenza nazionale, che avevano sofferto
l‟esilio e il carcere, che si avviavano a ricoprire le più alte cariche della
politica e dell‟amministrazione. Erano la nuova classe dirigente di un
paese giovane in via di assestamento. La massoneria italiana è nata e si
è strutturata contemporaneamente allo Stato, con gli stessi uomini e con
un chiaro progetto politico.

Spesso la stessa gente che aveva in passato organizzato sommosse e


sottoscrizioni, collaborato con Mazzini o Cavour, combattuto con
Garibaldi, entrò nell‟agone politico e contemporanemante anche in
loggia.

Molti politici e uomini di cultura, nei primi anni dopo l‟Unità,


transitarono almeno in una loggia: alcuni per restarci, altri
abbandonandola subito delusi, altri ancora creando percorsi articolati
che li hanno visti, in momenti diversi della vita, critici feroci
dell‟istituzione e convinti protagonisti.

57
Cfr. Anna Maria Isastia in http://www.treccani.it/enciclopedia/la-massoneria_(L'Unificazione)/
46
Molti forse videro nell‟istituzione, dotata di una struttura e di una
gerarchia ben organizzata, l‟involucro idoneo a raccogliere e
organizzare una parte dell‟élite dirigente alla ricerca di nuovi valori di
riferimento e di una religiosità non tradizionale. Non bisogna però
cadere nell‟errore di considerare questo sodalizio alla stregua di un
moderno partito politico, perché non lo è mai stato, anche se molti vi
hanno introdotto e variamente rielaborato i tanti fermenti culturali e
sociali dell‟epoca, secondo il pensiero massonico.

I massoni in Italia, nella seconda metà del 1800 e all‟inizio del 1900,
hanno svolto una loro funzione cooperando alla secolarizzazione della
società e alla sua modernizzazione58.

Sempre il Mola ci aiuta a capire come mossero i primi passi i Fratelli


della Loggia Ausonia, che fu chiamata così dal nome poetico dell‟Italia.

Il Fratello Felice Govean59 trasferì a casa propria l‟embrione del


Grande Oriente Italiano, cercando opzioni politiche più vicine ai
disegni del Conte che alle ispirazioni democratiche di alcuni Fratelli.

L‟intento politico, in base al quale i massoni erano chiamati a fare


eleggere nelle amministrazioni provinciali e comunali del 1859/1860
persone devote ai principi di indipendenza e libertà, mirava a innalzare
una spessa barriera contro i clericali, ai quali comunque aveva già fatto
lo sgambetto Cavour nel 1857 annullando l‟elezione dei canonici.

Considerato che in Italia si conosceva allora come unica tradizione


popolare e comune la Chiesa cattolica, che restituiva in ogni forma di
conflittualità politica di base regionale la diversificazione della
penisola, le Logge divennero l‟unica vera scuola di unità nazionale60.

58
François Thual, Géopolitique de la franc-maçonnerie, Paris, 1994 in Anna Maria Isastia, Massoneria e
Fascismo, La repressione degli anni Venti, Libreria Chiari Firenze Libri srl, Firenze 2001, p.17
59
Felice Govean è stato un giornalista e massone italiano, gran maestro del Grande Oriente d'Italia nel 1861 in
qualità di reggente. Si distinse per la sua politica cavouriana e nella lotta contro i privilegi clericali (per questo
fu anche condannato al carcere). Felice Govean appartenne alla massoneria, militando nella
loggia Ausonia di Torino fin dal 1859. Dal 1862, fece parte anche della loggia Osiride. In casa sua, sede anche
della loggia, in via Stampatori 18, il 20 dicembre 1859 i componenti dell'Ausonia deliberarono di costituire il
Grande Oriente Italiano, del quale Govean fu anche reggente facente funzione di gran maestro dal dicembre
del 1861 al luglio 1863.
A Torino si trova un monumento in suo onore nell'omonima piazza, in corrispondenza della confluenza di via
Madama Cristina e via Belfiore.
60
A. Mola, Storia della Massoneria italiana, op.cit., p.61
47
Gli uomini, che si dedicavano alla politica, potevano trovare all‟interno
delle Logge la via per la perfezione individuale della Libera Muratoria;
i “combattenti civili” che si scagliavano contro tutte le religioni
positive trovavano “nutrimento religioso” nella Massoneria.

Questo carattere era impresso a Logge come l‟Ausonia dai maestri che
iniziavano i lavori con le loro nuove squadre.

Pare che già dalla primavera del 1860 esponenti dell‟area democratica
confluirono tra le colonne dei nuovi Templi e non pochi promotori
dell‟impresa dei Mille.

Le polemiche tra Garibaldi e i cavouriani caratterizzarono la fine del


1859 e il 1860; la preoccupazione che i moti rivoluzionari allarmassero
la diplomazia europea, e quest‟ultima togliesse al Piemonte quel poco
che pareva già sicuro, spinse a fondare e coordinare officine
liberomuratorie nel più assoluto riserbo.
Fu il 20 dicembre del 1860 che la prima Assemblea Costituente del
Grande Oriente Italiano dette la misura dei progressi dell‟Arte reale tra
i patrioti.
Un anno più tardi , otto mesi dopo la proclamazione del Regno di Italia,
vide la luce il Grande Oriente Italiano.
Nel 1862 la prima Costituente Massonica italiana raccolse 19
delegazioni in rappresentanza di 26 logge e si rivendicò al Grande
Oriente di Torino la sovranità sull‟intero territorio nazionale.
Il titolo di primo massone d‟Italia fu conferito a Giuseppe Garibaldi, il
quale insignito di medaglia d‟oro veniva riconosciuto come l‟artefice
dell‟unità d‟Italia, ma non gli veniva riconosciuto il ruolo di Grande
Architetto dell‟unità massonica.
Il maglietto di Gran Maestro secondo Govean e Buscalioni doveva
spettare all‟erede spirituale di Cavour, a Costantino Nigra, il quale
come già detto però rinunciò alla carica.
I delegati di 42 Logge si riunirono il 6 agosto del 1863 a Firenze e
deliberarono di assegnare il Supremo Maglietto a Filippo Cordova.
La sua opera fu fattiva e costituì un modello di attivismo della
dirigenza postunitaria.
Nel 1864 i massoni si incontrarono ancora a Firenze e elessero Gran
Maestro il primo massone di Italia Giuseppe Garibaldi, anticipando,
secondo Mola, l‟unificazione amministrativa e giuridica dell‟Italia; la
“Famiglia italiana” dei libero muratori doveva “fare gli italiani”, dopo
che l‟Italia era stata fatta.
Accanto e in contrapposizione al sodalizio torinese del Grande Oriente,
a Palermo nel 1860 nacque un Supremo consiglio del Grande Oriente

48
d‟Italia di rito scozzese antico e accettato, ad opera di democratici
vicini al movimento garibaldino, tra cui Pasquale Calvi e Zaccaria
Dominici, che rivendicò la sua autonomia e una pretesa maggiore
anzianità rispetto agli altri nuclei.

I massoni siciliani rappresentarono l‟altra anima della rivoluzione


italiana, quella democratica e repubblicana, e sostennero un
collegamento diretto con le logge sorte durante la rivoluzione del 1848.

In realtà a Palermo, nel maggio del 1860, i massoni erano non più di 40
e solo dopo l‟ingresso in città di Garibaldi si riattivò la
loggia Rigeneratori del 1848 che assunse il nome I Rigeneratori
al 12 gennaio 1848 e Garibaldini al 1860. In questa loggia venne
iniziato il 13 novembre 1860 Francesco Crispi, che per alcuni anni fu
molto attivo nella massoneria palermitana con il preciso incarico di
fondare nuove logge, regolarizzare quelle esistenti da attrarre
nell‟orbita siciliana e, se possibile, sottrarre logge al gruppo torinese.
Nella primavera del 1862 Garibaldi venne nominato Gran Maestro del
gruppo palermitano.

A Napoli, nell‟agosto 1861, Domenico Angherà, un ex sacerdote,


massone dal 1848 e poi esule a Malta, fondò la loggia Sebezia e dette
vita al Grande Oriente napoletano e poi, nel 1863, al Supremo
consiglio.

Ognuna di queste strutture contò su poco più di 20 logge,


prevalentemente dislocate intorno al centro propulsore61.

Centrale nella massoneria di questi anni, così come nel panorama


politico italiano, apparve la figura di Garibaldi, iniziato nel 1844 in una
«loggia selvaggia» di Montevideo, Asilo de la Vertud, e poi passato
nella loggia regolare Les Amis de la Patrie.

Non abbiamo però notizie di una qualche attività massonica di


Garibaldi in Italia prima del giugno del 1860, quando, sbarcato in

61
Cfr. Anna Maria Isastia in Enciclopedia Treccani online alla voce Massoneria
http://www.treccani.it/enciclopedia/la-massoneria_(L'Unificazione)/
49
Sicilia con i Mille, venne elevato dal grado iniziale di apprendista
(segno evidente di un lungo disinteresse per i lavori massonici) al grado
di maestro massone, ma senza nessuna cerimonia formale perché
nell‟isola non ci sarebbero state ancora logge funzionanti.

Nel marzo del 1862 alcuni alti dignitari «scozzesi», tra cui Crispi,
Saverio Friscia, Rosario Bagnasco, conferirono al generale tutti i gradi
massonici dal 4° al 33° e lo nominarono presidente del Supremo
consiglio del Grande Oriente d‟Italia, sedente in Palermo.

Pochi mesi dopo Garibaldi – di nuovo in Sicilia per tentare la


spedizione che avrebbe dovuto liberare Roma, ma che invece portò allo
scontro con l‟esercito regio sull‟Aspromonte – fece iniziare tutti gli
uomini del suo stato maggiore (Giacinto Bruzzesi, Giuseppe Missori,
Francesco Nullo, Pietro Ripari, Giovanni Chiassi, Giovanni Basso,
Enrico Guastalla, Giuseppe Nuvolari, Giuseppe Guerzoni, Francesco
Bideschini, Pietro Porza, Gustavo Frigyesi), esentandoli da ogni
formalità rituale.

Contemporaneamente inviò una circolare ai maestri venerabili per


sollecitare un concreto sostegno alla spedizione.

Queste iniziative mostrano chiaramente che Garibaldi volle appoggiarsi


alla massoneria palermitana per realizzare il suo progetto militare che si
concluse però con la sconfitta e l‟arresto.

Questo episodio del 1862 è il solo che vede nell‟Ottocento un gruppo


massonico italiano chiamato a partecipare in blocco a un‟impresa
rivoluzionaria.

La nuova azione che Garibaldi organizzò nell‟autunno del 1867 per


liberare Roma e il Lazio, mise in agitazione tutti i massoni italiani,
impegnati a raccogliere fondi e ad attivare reti e strutture organizzative,
pur tra mille timori e perplessità.

Sono parecchi anche i massoni che accorsero al seguito di Garibaldi e


combatterono con lui a Monterotondo e a Mentana.

50
L‟indignazione per il suo arresto fu corale e l‟idea che il primo
massone d‟Italia fosse rinchiuso nella fortezza del Varignano suscitò
appelli e proteste.

Della vicenda massonica di Garibaldi vanno sottolineati alcuni aspetti:


nei primi dieci anni di vita della massoneria in Italia, intorno alla sua
figura si giocano le sole possibilità di unire le sparse membra di gruppi
in conflitto tra loro e, non diversamente da quanto avviene in
contemporanea nel mondo politico e associativo, Garibaldi mostra
un‟evidente volontà di svolgere un ruolo di raccordo tra le parti,
accettando investiture dagli uni e dagli altri. Va aggiunto che Garibaldi
51
manifesta una notevole sensibilità iniziatica, ma – come del resto altri
grandi rivoluzionari – non esita a finalizzare la sua militanza al
raggiungimento di mete dichiaratamente politiche.

Nel decennio 1860-1870 si assiste dapprima a una crescita tumultuosa


di tutte le diverse Comunioni italiane (Torino, Palermo, Napoli,
Milano), ognuna delle quali intercetta un segmento dell‟opinione
nazionale, poi, a fronte di un aumento costante del Grande Oriente
d‟Italia che arriva a contare 150 logge alla fine del decennio, si
manifesta la crisi del Supremo Consiglio di Palermo che, dalle 126
officine del momento di maggiore sviluppo, scende a sole 23 logge
sicuramente attive.

Sono però poche le logge che hanno una vita lunga e regolare.

Facendo un passo indietro, per seguire una successione storica degli


avvenimenti, troviamo l‟Assemblea costituente che si tenne a Firenze
nel 1864 e che segnò la fine della supremazia del gruppo torinese.
Insieme alla capitale, anche l‟asse della politica massonica si sposò dal
Piemonte in Toscana, dove venne trasferita nel 1866 la sede ufficiale
del Grande Oriente d‟Italia.

Nel 1864 un gruppo di logge dissidenti dal Goi, inoltre, si riunì intorno
alla loggia Insubria, dando vita anche al Rito simbolico di Milano. Alla
base del distacco ci furono un programma progressista in campo sociale
e la volontà di allargare le possibilità di accesso alla massoneria,
riducendo le tasse annuali di frequenza e semplificando al massimo la
complessa ritualità massonica, con la conservazione dei soli gradi
simbolici di apprendista, compagno e maestro. Il gruppo, che faceva
capo a Franchi e raccoglieva adesioni in una ventina di logge del
Centro-Nord, gettò le fondamenta della Serenissima Gran Loggia di
Rito Simbolico.

Fra gli aderenti troviamo avvocati, docenti universitari, banchieri. Il


Rito simbolico di Milano rimase separato dal Grande Oriente d‟Italia
dal 1864 al 1868, quando, per impulso dell‟avvocato trentino Simone
Larcher, lo scisma ebbe termine e il gruppo rientrò nel Goi.
52
Nel 1867 Lodovico Frapolli, il gran maestro che subentrò a De Luca,
sottopose a un pesante ritocco la comunione appesantita da troppe
logge inattive e da troppi associati entrati a seguito di un «proselitismo
senza discernimento».

Il gran maestro Frapolli emanò nel 1867 nuovi statuti che


riorganizzarono il Goi, lasciando all‟assemblea generale dei
rappresentanti di tutte le logge italiane la facoltà di determinare le linee
programmatiche della comunione, di eleggere il consiglio dell‟ordine, il
gran maestro e i due aggiunti.

Frapolli condannò insistentemente ogni tipo di commistione con la


politica, ma nel contempo fondò a Firenze nel luglio del 1867 la
loggia Universo che raccolse rappresentanti di primo piano della
Sinistra democratica e di cui lui, sebbene gran maestro, si proclamò
«venerabile».

Sembra evidente che Frapolli desiderò riunire nella nuova loggia


fiorentina un nucleo significativo di democratici e progressisti cui si
affidava il compito, al di là delle legittime rivalità politiche, di
costituire il pensatoio del Goi fungendo da punto di snodo, da cerniera,
tra l‟istituzione massonica e il fronte della democrazia italiana.

Eclatante fu però la conclusione della carriera massonica di Frapolli


che, nel settembre del 1870, si dimise dalla gran maestranza per
accorrere in Francia e combattere con Garibaldi contro l‟esercito
invasore tedesco in aiuto della neonata repubblica, suscitando forti
reazioni e violente critiche.

La guerra franco-prussiana, successivamente, lasciò finalmente libero


il governo italiano di entrare a Roma, capitale acclamata fin dal 1861,
ma inaccessibile perché protetta da Napoleone III. Negli anni Sessanta
la città pontificia fu al centro dell‟attenzione di quanti speravano di
suscitare nei romani stessi una spinta rivoluzionaria, resa improbabile
anche dall‟alto numero di esuli e carcerati politici che aveva svuotato la
città. Una fitta rete di rapporti legò al piccolo nucleo del comitato
d‟azione romano alti dirigenti massonici, ma con scarsi risultati.

Nell‟estate del 1870 la pressione massonica sul governo per il


trasferimento della capitale a Roma si fece significativa e la fonte per
seguirla era la «Rivista della Massoneria Italiana» diretta dal deputato
53
democratico Macchi, il cui primo numero portava la data del 30 luglio
1870. Già nel 1867, fondando la loggia Universo, Frapolli aveva
impegnato gli affiliati a trasferire la loggia a Roma appena la città fosse
diventata italiana.

Quello che appariva un miraggio, in pochi giorni diventò possibilità


concreta e i massoni italiani si impegnarono a premere sul governo
facendo firmare petizioni e soprattutto attivando sinergie comuni,
dimentichi per una volta delle reciproche diffidenze e pregiudiziali:
lombardi e siciliani, piemontesi e toscani si mossero all‟unisono
agitando l‟opinione pubblica, mentre migliaia di fuochi vennero accesi
il 5 settembre sulle montagne dell‟Appennino per significare i
sentimenti della popolazione.

Con l‟ingresso delle truppe italiane a Roma il 20 settembre 1870 si


chiuse idealmente la prima fase della storia del Goi, una vicenda
segnata dall‟aspirazione a completare il processo di unificazione
nazionale e nel contempo caratterizzata da progetti di tipo
palingenetico.

L'appartenenza alla massoneria, in senso organico e attraverso una


iniziazione rituale "regolare", di Giuseppe Mazzini non è mai stata
provata invece62; alla mentalità massonica inspirata dalle dottrine del
positivismo, egli contrapponeva il suo pensiero religioso, che ebbe a
definire come "deismo puro”63.

Va comunque rilevato che la posizione centrale assunta nel suo


pensiero da concezioni relative al perfezionamento e al progresso così
individuale come collettivo, attinte da fonti diverse, lo poneva in

62
J.A. Ferrer Benimeli, L'unificazione italiana nell'opera dei massoni spagnoli, in A.A. Mola (a cura), La
liberazione dell'Italia nell'opera della Massoneria, Foggia, Bastogi, 1990, pp. 35-59. Cfr. p.55, nota 36.
63
G. Mazzini, Edizione nazionale degli Scritti editi e inediti, , V, Epistolario I, p. 214
54
contatto, grazie all'assiduo scambio di riflessioni, con i suoi seguaci
massoni.64.

Ricostruendo a grandi linee la storia degli esordi proseguiamo


ricordando che venne poi eletto gran maestro Adriano Lemmi il 17
gennaio del 1885, il quale si impegnò particolarmente nel chiamare a
raccolta figure rappresentative del mondo politico e culturale, tra cui
Giovanni Bovio, Giosuè Carducci, Agostino Bertani, Giuseppe
Zanardelli; nel 1895 divenne gran Maestro Ernesto Nathan, poi sindaco
di Roma.

Adriano Lemmi, alla fine dell'Ottocento riteneva che la scomparsa del


potere temporale dei papi fosse il "più memorabile avvenimento della
storia del mondo".

Riguardo alle vicende risorgimentali le quali abbiamo visto sono andate


di pari passo a quelle della rinascita massonica dell‟‟800 in Italia,
furono i pesanti attacchi politici condotti contro i massoni – che
64
Documento di eccezionale interesse in riferimento all'argomento di cui trattasi è la lettera scritta da Londra
nel luglio 1868 a Giuseppe Moriondo a Torino (Scritti editi e inediti, Edizione nazionale, LXXXVI, Epistolario LIV,
p. 139 sgg.). http://www.grandeoriente.it/studi/storia-della-massoneria-in-italia/linfluenza-di-mazzini-nella-
massoneria-italiana.aspx#sthash.cHICBZHz.dpuf
55
subiscono una netta impennata all‟inizio del 1913 in vista delle prime
elezioni a suffragio universale maschile – a cambiare la posizione del
Grande Oriente sulla reale ed effettiva responsabilità dell‟ordine nella
storia unitaria; divenne indispensabile trovare una fonte di
legittimazione del suo esistere e del suo operare e si ritenne utile
trovarla proprio nel Risorgimento italiano.

Nel 1914 esplose la polemica tra lo storico dichiaratamente


antimassone Alessandro Luzio e lo studioso massone Ulisse Bacci,
l‟uno impegnato a negare qualunque apporto massonico alla storia
d‟Italia, il secondo ben deciso a riaffermare la centralità dell‟azione dei
massoni, facendo largo uso di fonti come «L‟Osservatore Romano»,
secondo il quale «ispiratrice, autrice della unità statale d‟Italia fu la
massoneria» (14 marzo 1914) e «La Civiltà Cattolica» che scriveva:

«dall‟Alpi al Lilibeo tenevano il loro sotterraneo esercizio le versipelli


frazioni delle sètte coi nomignoli di Guelfia, Adelfia, Sublimi maestri
perfetti, la Stella, la Spilla nera, Cacciatori americani, Figli di Marate,
Figli dell‟onore, Fratelli seguaci, Protettori repubblicani, i Decisi, i
Federati, i Riformati, i Patrioti etc.; i quali tutti in massima parte erano
altrettante parvenze di una carboneria unica, la quale alla sua volta non
era se non lo sdoppiamento o la metamorfosi della stessa massoneria
(quaderno 1555, 1915)».

Nello stesso anno Gaetano Salvemini scrisse a Luzio per ribadire che
«la leggenda che il Risorgimento italiano sia stato opera della
Massoneria è stata creata dai clericali, i quali, incapaci di rendersi conto
di questo fenomeno inaudito, lo attribuirono al... diavolo. [...] Della
leggenda si prevalsero, poi, ma assai in ritardo, i massoni» (Luzio 1925,
2° vol., p. 239). Sulla sua linea anche Benedetto Croce e Adolfo
Omodeo65.

Il 21 aprile 1901 il Grande Oriente inaugurò la sua nuova sede


di Palazzo Giustiniani, mentre iniziava un fermento scissionistico che
portò nel 1908 alla fuoriuscita del Supremo Consiglio del Rito

65
Cfr. Anna Maria Isastia in http://www.treccani.it/enciclopedia/la-massoneria_(L'Unificazione)/
56
Scozzese Antico e Accettato, e poi nel 21 marzo 1910, alla fondazione
di una Gran Loggia che ebbe come gran maestro Saverio Fera, sotto la
denominazione di Serenissima Gran Loggia d'Italia, che dall'indirizzo
della sua sede divenne nota anche come Gran Loggia di Piazza del
Gesù.

Il motivo principale della scissione fu la mozione Bissolati, o meglio le


indicazioni di voto date dall'allora Gran Maestro e non accettate da
parte dei parlamentari massoni.
57
III, 2 Lo scisma massonico del 1908
Le origini della divisione del 1908 risalgono al novembre 1899, quando
un‟assemblea costituente del Goi deliberò che i Massoni insigniti di pubblici
incarichi avevano l‟obbligo di seguire le direttive dell‟Istituzione.
La scissione scaturì dalla convergenza di almeno tre ordini di fatti: una crisi,
nata all‟interno delle forze politiche e parlamentari e di lì rimbalzata nelle
logge; la riorganizzazione internazionale della Massoneria nel momento in cui
la Comunione Italiana ambiva a proporsi quale interprete di equilibri e di
processi mondiali (l‟albeggiante “INTERNAZIONALE DEMOCRATICA E
LAICA “), che ne garantissero il peso ed il prestigio all‟interno del paese e
soprattutto al cospetto dello Stato; l‟insorgenza di una spinta nuova e più forte
al recupero della tradizione iniziatica nel lavoro di Loggia.

Nel 1908 vi era una sola Massoneria Italiana; l‟Italia, affermatasi tale al
termine del sospirato e compiuto processo risorgimentale cui molti fratelli
fattivamente contribuirono, retta prevalentemente da massoni, aveva sanate
molte delle sue piaghe e tendeva alla unificazione della coscienza nazionale.

Il problema dell‟istruzione pubblica era uno dei più importanti e le tendenze


che chiaramente si delinearono furono due: una che propendeva per la scuola
laica, l‟altra per l‟insegnamento religioso. Quest‟ultimo era un vero
avviamento teso a vivificare una religione o meglio una Chiesa, che lo Stato
avrebbe dovuto riconoscere e con essa condividere i poteri.

La Libera Muratoria era allora però profondamente malata e la sua unità,


raggiunta con sofferenza, era ogni giorno in forse. Questo stato di cose durava
ormai da anni e forse si sarebbe ancora protratto se un problema di grande
importanza ideologica, appunto come quello dell‟insegnamento religioso, non
avesse fatto precipitare la situazione.

L‟ordinamento italiano era farraginoso sull‟argomento e per anni si era


discusso se nelle scuole primarie si dovesse insegnare la religione, come

59
prevedeva la “Legge Casati66” del 1859, o i doveri dell‟uomo e del
cittadino indicati dalla “Legge Coppino67” del 1877.
Nel silenzio della legge e sulla base di una sentenza del Consiglio di Stato del
17 maggio del 1878, in aperta contraddizione però con lo spirito della legge
Coppino,
“i cittadini non possono essere obbligati a frequentare l‟insegnamento
religioso[…]ma i Comuni non possono non ordinare tale insegnamento
perché nella legge del 1859[ …]l‟insegnamento religioso è nel programma”.

Così si espresse anche il nuovo regolamento dell‟istruzione elementare del 16


febbraio del 1888 e poi quello del 9 ottobre del 1895.

Nel 1907 la questione dell‟insegnamento tornò ad agitare il Parlamento;


l‟allora Ministro dei lavori pubblici Emanuele Gianturco si dimise per
rimettere ai Comuni, come motivò Giolitti, la decisione se istituire o meno
l‟insegnamento religioso.

Il dibattito non si preannunciava facile però, perché mentre da una parte


Giolitti non voleva inasprire i rapporti con la sinistra, dall‟altra non voleva
creare difficoltà con i clerico-moderati di cui aveva altresì bisogno per varare
leggi.
Il Grande Oriente con l‟interdizione dell‟insegnamento del catechismo nelle
scuole elementari si inseriva in una tradizione che era stata tracciata da un

66
Emma Ansovini: La legge Casati – così viene comunemente chiamato, dal nome dell’allora ministro dell’Istruzione
pubblica Gabrio Casati, il Regio decreto legislativo n° 3725 – fu varata il 13 novembre 1859 nel Regno di Sardegna.
Recepita integralmente nel 1861 dal neo-nato Stato italiano, rimase in vigore fino alla riforma Gentile del 1923, ma era
destinata a connotare ben più a lungo la scuola italiana. Con i suoi 380 articoli, la legge conferiva un assetto organico
all’intero sistema scolastico definendone cicli, curricula, materie di insegnamento, programmi, personale, apparato
amministrativo. La scuola elementare era divisa in due cicli biennali, di cui il primo obbligatorio e gratuito.
La legge Casati del 13 novembre 1859 all’art. 325 stabiliva che l’esame sopra l’istruzione religiosa fosse affidato al
parroco e dovesse essere dato “nel tempo e nei luoghi che verranno stabiliti di comune accordo tra il Municipio e il
parroco”.
67 Prese la denominazione da Michele Coppino, ministro del governo Depretris, essa portava a cinque le classi
della scuola elementare, che rendeva gratuita. Ma soprattutto elevava l'obbligo scolastico a tre anni e introduceva le
sanzioni per chi lo disattendeva (le sanzioni non erano previste nella precedente Legge Casati).
I cattolici criticarono ampiamente questa legge, dato che essa aveva un taglio laico, dovuto all'influenza positivista e
alla decisione di abolire i direttori spirituali. I maestri, legittimati con la legge Casati, non poterono più insegnare
il catechismo e la storia sacra. Perciò molti figli di cattolici intransigenti vennero mandati nelle scuole private, le quali
erano in parte gestite dalla chiesa cattolica
60
decennio e sulla quale lavorava in senso antivaticanesco una commissione
speciale costituita da Barzilai, Paternò, Nathan, Berenini, Cassuto.

In questo clima, di ribadita ostilità all‟insegnamento del cattolicesimo,


caposaldo del programma massonico, si inserì il progetto di un nuovo
regolamento di riforma dell‟insegnamento nelle scuole elementari, redatto da
Luigi Rava68, massone69 e ministro della Pubblica Istruzione.
Il ministro in linea con quello che era il pensiero di Giolitti, per allentare la
pressione degli anticlericali militanti e offrire una piattaforma alle larghe
intese, dichiarò che i Comuni rendessero obbligatorio l‟insegnamento
religioso qualora fosse stato richiesto.
Rava incontrò l‟ostilità sia dei radicali che dei clericali e il solo favore dei
socialisti. La mozione Bissolati70, secondo la quale:
“ la Camera invita il Governo ad assicurare il carattere laico della scuola
elementare, vietando che in essa venga impartito, sotto qualsiasi forma,
l„insegnamento religioso”,
venne presentata il 21 febbraio del 1907 e discussa a Montecitorio un anno
dopo; considerata “dal carattere ateo e materialista” subì un fallimento con
347 voti contro 60 e diede inizio a immediate ripercussioni all‟interno del
Grande Oriente, di cui vacillavano le basi della presunta egemonia sulle
istituzioni e la società italiana71.

L‟ordine scontava le ripercussioni delle lotte politico elettorali che scuotevano


e laceravano il paese.
La mozione Bissolati, a favore della quale si era schierato il Grande Oriente,
col suo fallimento mise a nudo la reale consistenza e il lealismo della
Comunione Massonica e la sconfitta parlamentare fu l‟anticamera della
scissione dell‟Ordine72.

68
Simone Luchini, Massoneria e Fascismo, Tesi di laurea, Università degli Studi di Siena, a.a 1997/98
69
Cfr . A. Mola, Storia della Massoneria Italiana, op. cit., p.319
70
Secondo Aldo Mola l’iscrizione di Bissolati alla Libera Muratoria è dubbia. Cfr. La Storia della Massoneria Italiana,
op. cit., p. 489; essa invece è data per certa da G. Padulo, Contributo alla storia della Massoneria da Giolitti a
Mussolini, in Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, VIII, 1983/4, Bologna, Il Mulino 1988, pp. 219-347
71
Cfr. A. Mola, Storia della Massoneria Italiana, op. cit., pp. 316-21
72
Cfr. A. Mola, Storia della Massoneria Italiana, op. cit., pp. 322-324
61
Le Costituzioni Generali del Grande Oriente d‟Italia, che all‟art. 23 recitavano
che i Fratelli non dovevano dimenticare “la propria qualità massonica in tutte
le questioni d‟indole pubblica ed il programma della Massoneria” se investiti
di pubblici uffici, furono integrate da un ulteriore articolo secondo il quale “la
Comunione Italiana non discostandosi nei principi e nel fine da quanto
l‟Ordine mondiale professa e si propone, propugna il principio democratico,
nell‟ordine politico e sociale”.

Ne seguiva un irrigidimento nei confronti dei Fratelli refrattari o dimentichi


degli obiettivi programmatici dell‟ordine, e la via dell‟intransigenza per il
Grande Oriente sembrava risolutiva; si deliberò di mettere a processo anche il
Fratello ministro Luigi Rava e con lui Camera, Bianchi ed altri che chiesero la
solidarietà di Saverio Fera, Luogotenente del Sovrano Gran Commendatore
del Rito Scozzese Antico ed accettato.
Quest‟ultimo si rifiutò di avallare la condanna e ostacolò la convocazione del
Supremo Consiglio73, manovrò una sezione di partito e rivendicò l‟estraneità
dell‟Ordine alla vita politica e sospese i suoi oppositori. Il 24 giugno del 1908
iniziava lo scisma della Famiglia dei Liberi Muratori.

Il pastore evangelico Saverio Fera74 con 21 fratelli dette vita a una nuova
obbedienza, riconosciuta internazionalmente, che prese il nome di
Serenissima Loggia d‟Italia, detta di Piazza del Gesù.

La mozione Bissolati mise in discussione, aldilà dei conflitti d‟opinioni in


materia di insegnamento religioso, l‟assetto globale del potere e fece riflettere
sulla natura del blocco che doveva gestirlo.
Stava per arrivare però un avversario ancora più temibile, secondo quanto
sostiene Mola, per la massoneria: il nazionalismo. Di opposta visione Fabio
Venzi invece, secondo il quale tanto alle origini del Fascismo 75 quanto della

73
Cfr. A. Mola, Storia della Massoneria Italiana, op. cit., pp. p.330
74
Cfr. G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, op.cit., nota 47, p.127. Pastore evangelico, favorevole ad una linea
massonica spiritualista. Gli successe Palermi, personaggio intrigante e ciarlatanesco, che alla vigilia della marcia su
Roma incontrò Mussolini e gli conferì la sciarpa e il brevetto da 33, supremo grado massonico.
75
A. Mola, Storia della Massoneria Italiana, op.cit., p.485
62
Massoneria italiani è individuabile una sorgente comune riconoscibile nel
“nazionalismo umanitario risorgimentale”.

Questa sorgente comune inizialmente fece convergere programmi e progetti


futuri dei due movimenti e trovò concorde ai loro programmi anche la media
borghesia, strato sociale che sarebbe diventato la forza propulsiva di entrambi.
Il Fascismo e la Massoneria avevano in comune quella parte della borghesia,
che potrebbe essere definita patriottica, largamente intrisa di anticlericalismo
e portata all‟interventismo.

Borghesia laica e anticlericale spesso massonica, secondo la definizione dello


storico Emilio Gentile.76
Successivamente, l‟indottrinamento della media borghesia da parte del
Fascismo non ammise nessuna forma di antagonismo e la Massoneria venne
messa al bando e perseguitata con le modalità di una guerra tra religioni, civili
e laiche, inconciliabili tra loro.

76
Emilio Gentile, Storia del partito fascista , 1919-1922. Movimento e milizia, Laterza, Roma-Bari, 1989, p.70
63
III, 3 Il Grande Oriente d’Italia.

64
L‟esistenza, a seguito della scissione, di due comunità massoniche distinte in
territorio italiano le vide spesso in conflitto e antagoniste. Anche il loro
rapporto nei confronti del movimento fascista prima e del Pnf poi ci fa capire
meglio come la Massoneria prima sembrò collusa col Fascismo e poi ne subì
invece le violenze.
L‟anticlericalismo massone, che non era ateismo, contrapposto alla politica
mussoliniana determinò anche l‟atteggiamento della Chiesa, la quale finì con
l‟essere interlocutrice del regime per alcuni aspetti.
Una trattazione completa vuole che analizziamo l‟atteggiamento che i due
ordini il G.O.I e la G.L. tennero nei confronti del Fascismo.

Il Grande Oriente d‟Italia, almeno agli albori, era molto più in sintonia col
movimento fascista che con la Sinistra rivoluzionaria e ne giustificava
l‟azione, ispirato dal principio di salvaguardia dell‟assetto istituzionale e dei
valori patriottici.

Quando i vertici della Massoneria si riunirono a Palazzo Giustiniani per


l‟installazione del Gran Maestro Torrigiani, che succedeva a Ernesto Nathan,
la simpatia manifestata dai presenti nei confronti del movimento fascista fu
evidentissima.

Torrigiani che fu eletto gran maestro del G.O.I. il 23 giugno 1919, lega il suo
nome ad uno dei periodi più difficili della storia della Massoneria italiana;
inizialmente i rapporti tra il Grande Oriente d'Italia di Torrigiani ed il regime
fascista furono tutt'altro che conflittuali. Tuttavia con il passare degli anni il
regime mutò atteggiamento.

Nel 1923 fu stabilita l'incompatibilità dell‟appartenenza contemporanea


al Partito Nazionale Fascista ed alla Massoneria; nel 1925 il regime attuò con
maggiore decisione il proprio attacco contro la massoneria italiana e vennero
più volte distrutte varie sedi del Grande Oriente d'Italia e occupato palazzo
Giustiniani.

65
È giusto far notare a questo punto che chi tenta a tutti i costi di accusare la
massoneria di essere stata la levatrice del fascismo non capisce, o non vuole
capire, che le Obbedienze furono un mosaico di tendenze e di singole
individualità che non agivano in modo uniforme e soprattutto che portavano
all'interno dell'Istituzione le proprie ascendenze e convinzioni ideologiche. Da
una linea cauta e attendista, tenuta tra il 1919 e il 1921, si passò pertanto a un
atteggiamento più critico nel momento in cui cominciarono a dilagare le
violenze fasciste.

Quando si stava perfezionando l'iter della legge che, seppur non nominandola
mai, poneva la massoneria fuori della legalità e il provvedimento divenne a
tutti gli effetti legge dello Stato, Torrigiani decretò lo scioglimento di tutte le
logge del Regno e di tutti «gli aggregati massonici di qualunque natura», a
eccezione di quelli operanti all'estero, riservando al Grande Oriente il compito
di continuare la vita dell'Ordine
La dittatura fascista aveva fatto convergere sistematicamente il terrorismo
squadrista con l'azione parlamentare allo scopo di mettere fuori gioco la
massoneria. Dunque il percorso che permise al Fascismo di mettere al bando
la massoneria iniziò formalmente il 23 febbraio del 1923, con l‟approvazione
all‟unanimità da parte del Gran Consiglio di un ordine del giorno che invitava
tutti i fascisti che erano massoni a scegliere tra l‟appartenenza al PNF o alla
massoneria.

Di contro, pochi giorni dopo, Torrigiani emise una risoluzione sommessa per
la quale il governo dell‟ordine massonico dichiarava che i fratelli fascisti
erano lasciati interamente liberi di rompere ogni rapporto con la Massoneria
per rimanere nel fascio.

Un anno dopo circa, il 29 gennaio del 1924, il Gran Consiglio del Fascismo
votava un ordine del giorno in cui si vietava l‟esercizio della funzione
legislativa a chiunque fosse legato ad associazioni segrete.
In seguito, il delitto Matteotti nel giugno del 1924 e la distruzione di molte
logge da parte dei fascisti avrebbero dovuto suonare come un campanello

66
d‟allarme per la massoneria la quale invece rispondeva ancora tiepidamente
alle aggressioni.

Mentre Torrigiani durante un convegno dell‟Ordine a Milano il 13 dicembre


1924 diceva semplicemente che le ideologie che erano salite al potere col
fascismo erano in conflitto inconciliabile con le concezioni massoniche,
invece pochi giorni dopo, alla Camera il 3 gennaio del 1925, annunciando la
nascita dello stato totalitario, Mussolini presentava il disegno di legge che
disciplinava associazioni, enti, istituti.
Una relazione precedeva il disegno di legge, nella quale apertamente veniva
spiegato che la lotta politica in Italia non poteva svolgersi con piena sincerità
e genuinità finché “sarà possibile alle sette segrete di insinuarsi in ciascun
partito sotto mentite spoglie”.
Il disegno di legge divenne legge il 26 novembre del 1925 e regolarizzò
l‟attività delle Associazioni, Enti ed Istituti, obbligandoli a comunicare alle
autorità di pubblica sicurezza l‟atto costitutivo, lo statuto e i regolamenti
interni, l‟elenco nominativo delle cariche e dei soci, come recitava già
l‟articolo 1 della stessa.

Torrigiani il 22 novembre, due giorni dopo l‟approvazione del senato e


quattro prima della pubblicazione della legge nella Gazzetta Ufficiale, decretò
quindi lo scioglimento di tutte le logge, pur uniformandosi a tutte le
disposizioni della legge sulle associazioni:

<<il Gran Maestro della massoneria italiana, avv. Domizio Torrigiani, avendo
il Parlamento approvato la Legge suelle Associazioni, ha adottati, in virtù dei
poteri straordinari a Lui deferiti dall‟Assemblea generale del 6 settembre u. s.
le seguenti disposizioni: Art. 1 – Tutte le Logge Massoniche, tutti gli
Aggregati Massonici di qualunque natura all‟obbedienza del Grande Oriente
d‟Italia sono disciolti e cessano di esistere. Art. 2 – Il Grande Oriente d‟Italia
rimane a continuare la vita dell‟Oriente Massonico. Esso si uniformerà alle
disposizioni tutte della Legge sulle Associazioni. Art. 3 – Saranno costituite

67
Logge che si uniformeranno anch‟esse a tutte le disposizioni della Legge
sopraindicata>>.77

Il Grande Oriente reagì in siffatta maniera perché provato ormai da anni di


persecuzioni squadriste; la Rivista Massonica, ripetutamente sequestrata,
aveva smesso di uscire tra il novembre del ‟24 e l‟aprile del „ 25. A far
precipitare la situazione avevano contribuito anche gli attentati a Mussolini da
parte di Miss Gibson, il 7 aprile, e di Tito Zaniboni, il 4 novembre causando
l‟occupazione di tutte le logge massoniche.

La moderazione di Torrigiani apparve perdente a molti fratelli, come


testimoniano i verbali delle sedute dell‟organismo che riuniva i fratelli del
30°, l‟Aeropago di Roma78.
I vertici del Rito Scozzese erano pronti ad uno scontro aperto col regime e
non accettavano la prudenza del Grande Oriente. Il consiglio dell‟Ordine
eletto nel 1920 veniva rimproverato di essere stato filofascista e di avere
cambiato posizione solo sotto la spinta di pochi membri dello stesso, la
riconferma di Torrigiani però non era mai stata messa in discussione.
Torrigiani quando nel 1919 aveva accettato la carica di Gran Maestro si era
illuso di poter rilanciare la Massoneria, in realtà si era trovato ad affrontare la
tempesta.
Ciò fu ribadito dallo stesso all‟apertura dei lavori dell‟Assemblea costituente
massonica del 6 settembre del 1925, ultima riunione dei fratelli nella
splendida sala affrescata con le gesta di Salomone nel Tempio Massimo del
Goi di Palazzo Giustiniani.

Il Goi, dalle informazioni che si ricavano da questa assemblea, non usciva


indebolito dalle vicende degli ultimi due anni; il numero degli affiliati era
altissimo.

77
Riportato da R. Esposito, La Massoneria e l’Italia dal 1800 ai nostri giorni, Roma, Ed. Paoline, 1979, pp. 387-88
78
A. M. Isastia, Massoneria e Fascismo, La repressione degli anni venti, Libreria Chiari Firenze Libri, Firenze, 2003, p.71
68
Furono la forza e la compattezza di Palazzo Giustiniani a spingere Mussolini
a lasciare liberi gli squadristi di scatenarsi contro i massoni.
Dal 25 settembre al 4 ottobre le camicie nere compirono una vera e propria
strage: i massoni andavano colpiti nella persona, nei beni, negli interessi.

Le autorità si misero da parte fino al 4 ottobre quando fecero cessare i


massacri, ma nello stesso tempo il segretario generale del partito fascista
annunciò che la lotta non era finita e sarebbe continuata finchè non fossero
stati eliminati tutti i nemici della causa nazionale.

Gli episodi più gravi si verificarono a Firenze, la stessa villa di Torrigiani a


San Baronto fu invasa e data alle fiamme, quindi per evitare altre vittime il
Gran Maestro decise di sciogliere tutte le logge di Firenze e della Toscana.
In seguito le violenze si allargarono ad altre province italiane e seguirono
saccheggi e soprusi contro i massoni di Trieste, Forlì, Reggio Emilia, Parma,
Brescia.
La legge sulla massoneria, dunque, passò al Senato con 182 voti su 192
presenti in aula in un clima di intimidazioni ed eccitazione popolare fatta di
sentimenti ostili alla massoneria.
Preso atto della situazione la segreteria del Grande Oriente d‟Italia dovette
ufficializzare la sospensione a tempo indeterminato dei lavori massonici e lo
scioglimento delle logge.79

Mentre il GOI riteneva di poter sopravvivere alla nuova legge, invece più
consapevole appariva Torrigiani che, dopo aver istituito un Comitato
Ordinatore per garantire la continuità dell‟Ordine, aspettava di essere
sostituito appena possibile.
Fu coinvolto nel processo dell‟attentato Zaniboni, da cui fu prosciolto per
mancanza di prove, e fu arrestato il 23 aprile del 1927 con l‟accusa di contatti
con oppositori all‟estero ed inviato al confino. Morì a soli 56 anni nel 193280.

79
Si chiariva però nel comunicato inviato ai giornali che: “Il Grande Oriente d’Italia rimane a continuare la vita
dell’Ordine Massonico. Esso si uniformerà alle disposizioni tutte della Legge sulle Associazioni” ; cfr. Il Grande Oriente
d’Italia si uniforma alla Legge sulle Associazioni, Rivista Massonica, aprile 1926, p.28
80
Cfr. Anna Maria Isastia, Massoneria e Fascismo, La repressione degli anni Venti, Libreria Chiari, Firenze Libri S.r.l.,
Firenze 2003; pp 72-81;
69
III, 4 La Gran Loggia d’Italia ALAM

70
Le origini della Gran Loggia d'Italia come abbiamo già detto traggono le
mosse dallo scisma dal Grande Oriente d'Italia (24 giugno 1908) di massoni
appartenenti al Rito scozzese antico e accettato, guidati dall'allora Sovrano
gran commendatore Saverio Fera. Le ragioni dello scisma sono state
essenzialmente di natura politica: il GOI, dopo l'elezione a Gran maestro
di Ettore Ferrari, perseguiva un orientamento di carattere
radicale ed anticlericale mentre i fuoriusciti di Piazza del Gesù avevano un
approccio più conciliante con la Chiesa cattolica e, in genere,
più conservatore.

Il casus belli fu una proposta di censura, avanzata da Ettore Ferrari nel corso
della gran loggia annuale del GOI, all'indirizzo di quei parlamentari, aderenti
alla massoneria, che si erano rifiutati di votare alla Camera dei deputati la
mozione del socialista riformista Leonida Bissolati volta ad abolire
l'insegnamento della religione nella scuola elementare.

Il Sovrano Gran Commendatore in pectore del Rito scozzese, Saverio Fera,


forte oppositore della politicizzazione forzata perseguita da Ferrari all'interno
dell'obbedienza, pose il veto formale contro la proposta di censura. La frattura
che ne seguì all'interno dell'obbedienza fu insanabile, e il 26 giugno 1908, a
seguito dell'elezione illegale di Achille Ballori, membro del Supremo
consiglio vicino a Ferrari, a capo del Rito scozzese, Saverio Fera dichiarò
risolte le costituzioni del 1906 e sciolto il Grande Oriente d'Italia. Il 13 luglio
il Gran maestro del GOI, Ettore Ferrari, espulse Fera e tutti i massoni del
Supremo consiglio a lui vicini.
Saverio Fera costituì la Serenissima Gran Loggia d'Italia. Nel 1912 la Gran
Loggia d'Italia ottenne, inoltre, il riconoscimento internazionale della
Conferenza mondiale dei supremi consigli di Rito scozzese antico ed
accettato, che ne accrebbe il prestigio e la credibilità in Italia.

Il 29 dicembre 1915 morì Severio Fera, fondatore della Gran Loggia, al quale
successe Leonardo Ricciardini, affiancato da Raoul Palermi alla guida del
Supremo consiglio.

71
La maestranza di Ricciardini fu funestata sia dagli eventi della Prima guerra
mondiale e dalla crisi che ne conseguì, sia dal rientro di numerose logge della
nuova obbedienza all'interno del GOI. Nel 1918 la Gran Loggia d'Italia
contava sessanta logge e 5.000 fratelli. Nello stesso anno, fu eletto Gran
maestro William Burguess che però rassegnò le dimissioni il 23
marzo 1919 spianando di fatto la strada all'elezione di Raoul Palermi come
guida della Gran Loggia. Sotto la maestranza di Palermi l'obbedienza di
Piazza del Gesù conobbe una nuova crescita che la portò a contare 14.000
iscritti nel 1921.

Il 19 maggio 1922 la Gran Loggia d'Italia fu invitata a Losanna alla


Conferenza mondiale dei supremi consigli di rito scozzese, a scapito del
Grande Oriente d'Italia. Questo nuovo riconoscimento si tradusse in un vero e
proprio trionfo per il Palermi il quale, galvanizzato dal successo ottenuto a
Losanna, rimarcò il suo filo-fascismo plaudendo alla Marcia su Roma e
inviando un telegramma ufficiale con il quale augurava il successo al
neonato Governo Mussolini81.
Scrive Aldo Mola che scandalosa era, a giudizio del GOI, la linea intrapresa
dalle logge ferane, illuse che il loro civettare con i fascisti le ponesse in una
posizione privilegiata82.

Palermi, che continuava a tranquillizzare le Comunioni estere, soprattutto


statunitensi, con dichiarazioni diffuse ampiamente secondo le quali le
condizioni riservate dal fascismo alla massoneria italiana erano normali,
inaugurò una Loggia a Parma alla presenza di autorità, ufficiali dell‟esercito e
della Milizia volontaria di sicurezza nazionale in divisa, e vale la pena
ricordare che agli ufficiali dell‟esercito puntava anche Palazzo Giustiniani.

Dalla fine del 1922 era stata diramata, infatti, la disposizione di affiliare
ufficiali dell‟esercito, con grado superiore a maggiore e i quadri di pubblica
sicurezza a livello di commissari.

81 Cfr. La Gran Loggia d'Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori in http://www.granloggia.it/page/la-gran-loggia-
ditalia-degli-antichi-liberi-accettati-muratori
82
A. Mola, Storia della Massoneria, op.cit., p. 519
72
Sono in molti a ritenere che l‟atteggiamento di Palermi nei confronti di
Mussolini fosse improntato al più vergognoso servilismo; solo Cesare Rossi
pare riabilitarlo quando parla del suo operato e pone in luce positiva il
Palermi, soprattutto quando insignì Mussolini della Carica di Gran Maestro
della sua massoneria83.

Palermi, approvò la deliberazione di incompatibilità, convinto che non


riguardasse il suo ordine; si legge nella circolare del 14 febbraio del 1923 ,
emanata il relazione al pronunciamento del Gran Consiglio84:
“[…]Ritenuto che tale addebito riguarda la Massoneria di Palalzzo
Giustiniani[…]; ricordando che il Supremo Consiglio di Piazza del Gesù,
dopo avere fervidamente sostenuto la Marcia del fascismo, ha ripetutamente
espressa la sua esplicita adesione al governo[…]approvando tutti gli atti[…],
ricordando i giuramenti di fedeltà piena ed intera dell‟Ordine all‟on.
Mussolini ed al governo fascista; […] riafferma che i fascisti facenti parte del
nostro Ordine obbediscano devotamente alla gerarchia fascista[…]fedeli e
disciplinati al Supremo Duce Benito Mussolini e al suo governo”.

Nalla lettera del 14 gennaio del 1925 indirizzata ai Presidenti delle Officine
di tutte le Comunione Palermi scriveva:
“ Il disegno di legge sulle associazioni presentato dal ministero alla camera è
stato accolto da una parte della stampa con un commento monocorde: la
legge colpisce la Massoneria la quale dovrà necessariamente scomparire
dall‟Italia[…]avvertiamo subito che i prospettati provvedimenti non ci
disanimano affatto[…]realizzerebbero un‟antica aspirazione del nostro
ordine che da anni invoca la legalizzazione della sua situazione, non essendo
una società segreta[…]il Presidente On. Mussolini il 7 novembre 1923,
ricevendo il nostro Governo dell‟Ordine…ebbe a far comunicare
ufficialmente all‟Agenzia Stefani che egli esprimeva le sue simpatie per il
nostro ordine nazionale del quale riconosceva le benemerenze verso la
Patria”85.

83
Cfr. Cesare Rossi, Mussolini com’era, Radioscopia dell’ex dittatore, Roma, Ruffolo, 1947, p.184
84
Cfr. Circolare del 14 febbraio 1923 in Salvatore Spadaro, Massoneria Scozzese Italiana. Documenti storici, Foggia,
Bastogi, 1983, pp.66-67
85
Cfr. Documento in appendice in A. Mola, Storia della Massoneria, op.cit. , p. 949
73
Palermi era inoltre convinto che Mussolini lo stesse aiutando a liberarsi di
massoni irregolari che sedevano a Palazzo Giustiniani.
La massoneria di tipo anglosassone, che a dire di Palermi era apprezzata da
Mussolini, in Italia esisteva ed era quella di Piazza del Gesù.
La nuova legge promulgata dal Regime avrebbe colpito solo i giustinianei e
avrebbe dato il riconoscimento giuridico al suo ordine86.
Eppure nonostante tutta questa ostentata tranquillità qualche problema
all‟interno dell‟ordine lo aveva anche Palermi.

Il numero dei Fratelli stava diminuendo passando dai 30.000 del 1923 ai soli
8.000 del 1925.

Nonostante ciò Piazza del Gesù continuava a ricordare le sue credenziali


fasciste: la Dichiarazione di principi87, la libertà di religione concessa ai
fratelli, la mancanza di segreti dell‟ordine, la subordinazione ufficialmente
professata nei confronti dello Stato e del regime, la mancanza di obblighi e
legami internazionali, l‟assoluta italianità dell‟Associazione88.

L‟atteggiamento di Palermi si spiega molto bene alla luce della volontà di far
trionfare il suo ordine a spese dell‟antagonista.
Ma c‟è una seconda chiave di lettura, cioè l‟incapacità dei massoni di rendersi
conto della specificità del nuovo movimento politico diverso da tutti i partiti
che operavano in Italia; da qui nacque l‟atteggiamento di simpatia, di
accettazione o almeno di benevola attesa nei confronti del Regime.

Mentre il GOI in seguito alla definizione della vera natura del fascismo
assumerà una posizione di decisa e irreversibile opposizione, Palermi, per sua
stessa convinzione, simpatizzerà col regime condividendone la posizione
politica.
Palermi fece propaganda in favore del fascismo, negli Stati uniti, dal 2 ottobre
al 25 novembre del 1925. Fonti provenienti dalla massoneria americana ci
informano che nel 1926 Palermi fu epurato dall‟Ordine, dopo che aveva
86
A. M. Isastia, Massoneria e Fascismo,…, op. cit., pp. 72-73
87
Cfr. Documento in appendice in A. Mola, Storia della Massoneria, op.cit. , p.950
88
A. M. Isastia, Massoneria e Fascismo,…, op. cit., p.74
74
rinnegato la massoneria in nome del Fascismo; ebbe un impiego nelle
Ferrovie dello Stato e lo conservò fino alla caduta del regime, anche se in
realtà sarebbe stato al servizio della polizia.
Nel 1927 non potendo più spremere dollari negli Stati Uniti attraverso i suoi
contatti con i Fratelli il Gran Maestro della massoneria di piazza del Gesù fu
messo in disparte da Mussolini.

75
IV Mussolini

76
IV, 1 L’anticlericalismo del primo Mussolini

L‟anticlericalismo militante e aggressivo di Benito Mussolini, dovuto


all‟educazione impartitagli dal padre Alessandro e dalla precoce militanza
nella sinistra Romagnola, si manifestò sin dalla sua giovinezza89.

Negli scritti del padre, attivista del socialismo romagnolo, si potevano trovare
invettive contro i clericali e contro una religione bugiarda i cui oscurantismo e
menzogna avrebbero presto lasciato il passo a verità e ragione90.

Il giovane Mussolini però vide all‟interno della sua casa contrapporsi


l‟anticlericalismo del padre e il mite e dolce insegnamento della madre Rosa
Maltoni, donna devota e praticante.

In Romagna non era difficile in quegli anni, come in tutta l‟Italia del XIX
secolo, riscontrare simili assetti familiari perché sopravviveva un sentimento
di rivolta sociale accompagnato da un forte anticlericalismo in territori che
però erano appartenuti allo stato territorio pontificio.

Arnaldo ed Edvige, fratelli di Mussolini furono di temperamento diverso,


posati e riflessivi, tanto che lo stesso Arnaldo esercitò in materia religiosa sul
futuro Duce un ascendente molto forte indirizzandolo verso una politica di
pacificazione.

Ebbe ripercussioni pesanti sulla formazione del giovane Mussolini


l‟esperienza legata al collegio dei salesiani di Faenza: uno dei periodi più
umilianti della sua vita a causa delle discriminazioni dovute all‟estrazione
sociale e al censo.

Egli confessò molti anni più tardi : “potrei forse dimenticare le formiche nel
pane della terza classe. Ma che noi bambini fossimo divisi in classi, mi brucia
ancora nell‟anima.91”

Dopo due anni fu espulso dal collegio e il padre decise di mandarlo in un


istituto laico, il collegio Giosuè Carducci, a Forlimpopoli conseguendovi nel

89
Cfr. A. Campi, Mussolini, il Mulino, Bologna 2001, pp.35 ss.
90
Cfr. La setta nera, in “Rivendicazione”, 25 maggio 1889 in G. Sale, La Chiesa di Mussolini, Rizzoli, Milano 2011, p. 17
91
E. Ludwig, Colloqui con Mussolini, Mondadori, Milano 2004, p.137
77
1901 la “licenza d‟onore” che gli consentiva di esercitare la professione di
insegnante.

La sua attività di giornalista e di insegnante, in seguito, gli diedero la


possibilità di sfogare l‟ardente anticlericalismo: quand'era insegnante
elementare (1908) ad Oneglia, in Liguria, Mussolini, ateo professo, non
faceva mistero del suo anticlericalismo e sulle pagine del giornale
socialista La Lima aveva la consuetudine di attaccare apertamente le gerarchie
ecclesiastiche affermando, tra l'altro, che i preti «non sono che dei gendarmi
neri al servizio del capitalismo».

A coronamento di tutto ciò ricordiamo che lo pseudonimo con cui firmava i


suoi articoli era "Vero Eretico". Anche quando passò al settimanale di
Trento L'Avvenire del Lavoratore, il suo anticlericalismo non cambiò di tono.

L‟atteggiamento verso la Chiesa da parte del dittatore italiano lo portò a


scrivere numerosi articoli contro la religione e contro il Vaticano e il
programma iniziale del partito fascista prevedeva l‟espropriazione dei beni
appartenenti alla Chiesa e lo sradicamento del potere religioso nella società.

Nelle testate giornalistiche in cui scrisse ( La Lima, L‟Avvenire del


Lavoratore) e di cui fu direttore ( Avanti! , Il Popolo d‟Italia ) tuonò contro il
Papa, i preti e il Vaticano, sostenendo che l‟unico modo per risolvere la
questione romana era fare sloggiare il Pontefice e i cardinali dal Vaticano92.

Il 26 marzo 1904 Benito Mussolini tenne una conferenza a Losanna


sull‟esistenza di Dio davanti a 500 persone, in contraddittorio col pastore
evangelista Alfredo Taglialatela (un pastore evangelista di Roma). Fu proprio
in quel dibattito che egli prese un orologio, dando a Dio dieci minuti di tempo
perché lo fulminasse.

Di seguito venne stampato a ricordo della serata e in poche centinaia di copie


un opuscolo dal titolo “L‟Uomo e la Divinità”. Nel testo del discorso,
documento ormai quasi introvabile, Mussolini aveva sottolineato:

92
Giovanni Sale, La Chiesa di Mussolini, op. cit., p. 21
78
«Quando noi affermiamo che “Dio non esiste” intendiamo, con questa
proposizione di negare l‟esistenza del dio personale della teologia; del dio
adorato – sotto vari aspetti e con modi diversi – dai devoti di tutto il mondo;
del dio che dal nulla ha creato l‟universo, dal caos, la materia, del dio degli
assurdi e delle ripugnanze alla Ragione umana. […] Noi pensiamo che
l‟Universo, lungi dall‟essere opera del dio teologico e clericale – non è che la
manifestazione della materia, unica, eterna, indistruttibile, che non ha avuto
mai principio, che non avrà mai fine93»

Scrisse anche un romanzo scandalistico “L‟amante del cardinale”, ispirato alle


vicende amorose del vescovo e principe di Trento, Carlo Emanuele
Medruzzo, di cui molto avevano parlato le cronache del XVII secolo.

Benito Mussolini, nell‟aprile del 1910 riuscì a far approvare al congresso


della federazione socialista forlivese un ordine del giorno nel quale si definiva
«incompatibile la pratica della fede cattolica colla coerenza socialista» e si
faceva «obbligo preciso ai socialisti di evitare il matrimonio religioso, il
battesimo dei figli e tutte le altre cerimonie cultuali», decretando «la
espulsione dal partito dei soci che seguono pratiche religiose o le tollerino nei
figli». Nel medesimo anno il Congresso nazionale della gioventù socialista
deliberava l‟espulsione di «tutti quei giovani che si alternano a pratiche
religiose e che sono in aperto contrasto con le idealità finali del socialismo94».

Questa avversione al mondo ecclesiastico fu poi trapiantata nel movimento


dei fasci di combattimento che Mussolini fondò a Milano nel marzo del 1919.

Nel programma dei Fasci, come si può leggere nel “Popolo d‟Italia” del 6
giugno del 1919, si enuncia chiaramente l‟ “obbligo dello Stato di dare e
mantenere alla scuola carattere precipuamente e saldamente formativo di
coscienze nazionali e carattere imparzialmente, ma rigidamente laico”95.

93
Cfr. Nicholas Farrell-Giancarlo Mazzucca, Benito l’italiano. Il compagno ateo Mussolini raccontato in un’urticante
biografia, in Tempi http://www.tempi.it/benito-italiano-il-compagno-ateo-mussolini-raccontato-in-una-urticante-
biografia#.UpTh5NJg_Ic
94
Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/breve-storia-dell-anticlericalismo_(Cristiani-d'Italia)/
95
Cfr. Programma dei fasci di combattimento nel “Popolo d’Italia” del 6 giugno del 1919 in Renzo De Felice,
Autobiografia del Fascismo, Antologia di testi fascisti 1919-1945, Giulio Einaudi Editore, 2001, Torino, pp. 17-18
79
Sulle pagine del Popolo d'Italia, Mussolini diede sfogo a tutto il suo
anticlericalismo. Il 1° gennaio 1920, arrivò a scrivere: «Due religioni si
contendono oggi il dominio degli spiriti e del mondo: la nera e la rossa. Da
due Vaticani partono, oggi, l'encicliche: da quello di Roma e da quello di
Mosca. Noi siamo gli eretici di queste due religioni. Noi soli, immuni da
contagio. L'esito di questa battaglia è, per noi, d'ordine secondario. Per noi il
combattimento ha il premio in sé, anche se non sia coronato dalla vittoria96».

Nel momento in cui Mussolini aspirò a governare un paese fortemente


radicato nelle tradizioni cattoliche cambiò registro e tale nuovo corso risultò
con evidenza anche nelle “Linee programmatiche del partito fascista”
pubblicate sul Popolo d‟Italia il 9 ottobre 1921. Il nuovo statuto abbandonò
l‟acceso anticlericalismo e affermò la piena libertà della Chiesa Cattolica
nell‟esercizio del ministero spirituale e la volontà di risolvere la questione
romana.

Una volta salito al governo il futuro duce quindi cominciò a cercare


l‟appoggio dei cattolici per rafforzare la sua posizione politica all‟estero e
all‟interno del paese. Iniziò così la tattica del “bastone e della carota”, ossia
mentre da un lato per compiacere il Vaticano emanò una serie di
provvedimenti in favore della Chiesa (introduzione dell‟ora di religione nelle
scuole, affissione dei crocifissi, interventi dello stato tesi a risanare il Banco
di Roma, ecc.), dall‟altro si ebbero aggressioni e minacce contro associazioni
cattoliche e preti accusati di essere in combutta con i popolari come Giovanni
Minzoni. Durante la votazione della legge Acerbo i fascisti fecero
deliberatamente circolare la voce che Mussolini avrebbe occupato tutte le
parrocchie di Roma se i popolari avessero votato a sfavore della legge e
sfruttarono l‟ambigua posizione di Luigi Sturzo per spingere la Chiesa a far
dare le sue dimissioni97.

96
Cfr. http://www.storiain.net/arret/num125/artic1.asp
97
G. Zagheni, La Croce e il fasci. I cattolici italiani e la dittatura, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006 pp. 41-47
80
IV, 2 Mussolini e il Partito Nazionale Fascista

81
Benito Mussolini il 23 marzo del 1919, nella sala riunioni Circolo
dell'alleanza industriale, in piazza San Sepolcro a Milano, fondò ufficialmente
i Fasci italiani di combattimento; il movimento era erede diretto del Fascio
d'azione rivoluzionaria del 1914.

Il Manifesto dei Fasci italiani di combattimento, fu ufficialmente pubblicato


su Il Popolo d'Italia il 6 giugno del 1919. Numerose erano le proposte di
riforma politica e sociale, per far fronte a due pericoli: quello misoneista di
destra e quello distruttivo di sinistra.

Il Facsismo rappresentava la "terza via" tra i due opposti poli e si sviluppava


nell'ambito delle teorie moderniste sull'"Uomo nuovo".

I Fasci98 riunirono cittadini italiani accomunati dallo scopo di fermare


l'attività bolscevica. La maggior parte dei partecipanti della prima ora furono
reduci interventisti della prima guerra mondiale. Molti di loro avevano
precedentemente militato in formazioni di sinistra
(socialisti,repubblicani, sindacalisti rivoluzionari).

All'assemblea di fondazione i sansepolcristi erano poco più di un centinaio e


per tutto il 1919 il movimento conobbe un'espansione limitata. Solo nell'anno
successivo cominciò a mostrare un vero peso politico, collocandosi
decisamente a destra in senso conservatore e antisocialista. Nel 1922 il
movimento si sciolse con la nascita del Partito nazionale fascista.

Il PNF fu fondato a Roma il 7 novembre 1921 come evoluzione in partito del


movimento dei Fasci Italiani di Combattimento .

Dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, Mussolini, che era stato eletto
parlamentare l'anno precedente insieme ad altri esponenti fascisti, fu
incaricato dal re Vittorio Emanuele III di formare un nuovo governo sostenuto

98
Cfr. la Voce Partito Nazionale Fascista in http://www.treccani.it/enciclopedia/partito-nazionale-fascista_(Dizionario-
di-Storia)/#: Inizialmente a carattere rivoluzionario e con vocazione antipartitica, il movimento fascista aveva da
tempo cominciato a mutare pelle con l’immissione di elementi che guardavano a esso come a uno strumento
utilizzabile in chiave antisocialista e antipopolare. Da fenomeno prevalentemente «urbano» il fascismo era diventato
un fenomeno «rurale» e si era rapidamente espanso sull’intero territorio nazionale, caratterizzandosi, attraverso lo
«squadrismo», come una forza che raccoglieva ormai anche settori della piccola e media borghesia intellettuale e
impiegatizia e che era divenuta funzionale agli interessi sia degli agrari e degli industriali zuccherieri preoccupati di
ristabilire l’ordine nelle campagne sia dei nuovi proprietari, già affittuari e mezzadri, che avevano acquistato terre
svendute per paura.
82
da una maggioranza composta anche dal Partito Popolare Italiano e da altri
gruppi di estrazione liberale. Il 15 dicembre 1922 fu costituito il Gran
Consiglio del Fascismo, organo supremo del Partito Nazionale Fascista, che
tenne la sua prima seduta il 12 gennaio 1923.

Il Gran Consiglio trasse origine da una riunione di capi fascisti, convocata da


Mussolini, nella quale fu decisa la trasformazione delle forze squadristiche in
milizia volontaria per la sicurezza nazionale e di adottare il principio
maggioritario per la futura legge elettorale99.

Mussolini decise di rendere permanente questo organo collegiale e sul Popolo


d‟Italia dell‟11 gennaio del 1923 fu annunciato che si sarebbe riunito la sera
di ogni 12 del mese e che ne facevano parte i ministri fascisti e i sottosegretari
alla presidenza e all‟interno, i membri della direzione del PNF, il direttore
generale della pubblica sicurezza, il commissario straordinario alle ferrovie, il
segretario della federazione delle corporazioni sindacali fasciste, il dirigente
del movimento cooperativo, i commissari politici del fascismo, il capo di stato
maggiore della milizia, il direttore dell‟ufficio stampa della presidenza del
consiglio.

Il Gran Consiglio servì a Mussolini per dominare saldamente il partito


mediante il controllo delle tendenze contrastanti che esistevano in questo e per
elaborare una linea politica unitaria e nei rapporti coi partiti e nella
preparazione dell‟attività legislativa che portò all‟organizzazione del regime.

La trasformazione del movimento dei Fasci in un vero e proprio partito, il


PNF, comportò la creazione di una struttura organizzativa definita in uno
Statuto-Regolamento generale.

Il documento disegnava un modello di partito, per un verso simile a quelli


operanti in Parlamento e per altro verso con una impronta militare evidente
negli articoli che definivano le modalità di costituzione dei fasci (le sezioni
locali del PNF) dotati di un proprio «gagliardetto di combattimento» e di
«squadre di combattimento» e raggruppati in Federazioni provinciali.

99
Giorgio Candeloro, Storia dell’ Italia Moderna, Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 22-23
83
In seguito lo statuto del PNF sarebbe stato rivisto più volte, nel 1926, nel
1929, nel 1932, nel 1938. Primo segretario generale del PNF fu eletto M.
Bianchi , che rimase in carica per un anno fino al momento in cui entrò a far
parte del governo Mussolini costituito dopo la marcia su Roma. Gli
successero prima N. Sansanelli (nov. 1922-ott. 1923) e F. Giunta (ott. 1923-
apr. 1924) poi un quadrumvirato composto da R. Forges Davanzati, C. Rossi,
A. Melchiori, G. Marinelli (apr. 1924-febbr. 1925).

Dopo il delitto Matteotti e la svolta autoritaria annunciata con il discorso del 3


genn. 1925, Mussolini decise di mettere ordine nel partito, dove si erano
manifestate forze centrifughe e dissidenze, e chiamò a reggerne la segreteria
R. Farinacci (febbr. 1925-marzo 1926).

Questi, convinto che al partito dovesse spettare un ruolo prioritario nella vita
del Paese anche nei confronti delle istituzioni, riportò in esso disciplina e
compattezza potenziandone le strutture. L‟idea che Farinacci aveva del partito
era opposta a quella di Mussolini che riservava allo Stato una funzione di
supremazia sul partito. Per questa ragione, una volta riconquistato il controllo
del partito grazie al suo potenziamento, Mussolini provvide alla sostituzione
di Farinacci con A. Turati (marzo 1926-ott. 1930) e fece approvare un nuovo
statuto del partito (ott. 1926) che, tra l‟altro, ne limitava l‟autonomia e aboliva
ogni forma di elezzionismo.

La segreteria di Turati fu caratterizzata, anche attraverso l‟epurazione dei suoi


quadri, dalla trasformazione del PNF in un corpo sempre più burocratico e
sempre più inquadrato nel regime. Pur cercando di eliminare il dualismo
partito-Stato a favore di quest‟ultimo, Turati si batté per la valorizzazione del
partito concepito come fucina di elementi destinati a costituire il nucleo di una
nuova classe dirigente di uno Stato sempre più presente nella vita del Paese.
Sotto la sua guida fu ampliata, nel quadro del più generale progetto di
fascistizzazione della società italiana, la sfera delle iniziative e delle
attribuzioni del partito in molti campi100.

100
Cfr. la voce PNF in http://www.treccani.it/enciclopedia/partito-nazionale-fascista_(Dizionario-di-Storia)/#
84
IV, 3 Mussolini statista

85
Il decennio 1919-1929 fu caratterizzato nei primi quattro anni dalla crisi
sociale e politica del dopoguerra, poi da un processo di assestamento e di
relativa stabilizzazione dei rapporti internazionali e da una forte ripresa
economica nei principali paesi capitalistici101.

La storia dell‟Italia degli anni venti, se analizzata in concomitanza della


stabilizzazione internazionale della seconda metà di questi anni, favorì il
consolidamento del governo e poi del regime fascista.

Le imprese imperialistiche così come i colpi avventuristici, che avrebbero


potuto travolgere il fascismo in un disastro militare, erano inattuabili.
L‟incertezza della situazione generale permise però al governo di Mussolini di
barcamenarsi nella politica estera tra la revisione dei trattati e la difesa di
interessi italiani, che dai trattati stessi erano tutelati.

Successivamente, negli anni trenta, la politica fascista assunse un carattere


imperialistico per effetto della nuova situazione internazionale ed economica.

Ciò che consentì negli anni Venti il consolidamento del Fascismo fu il fatto
che nei maggiori paesi capitalistici prevalsero le forze conservatrici e ai partiti
di destra dell‟Europa occidentale il fascismo apparve come una garanzia di
conservazione sociale di fronte al comunismo.

Quando il 16 novembre del 1922 Mussolini presentò il suo governo, seguì la


consuetudine secondo la quale i governi sorti da crisi extraparlamentari
usavano esporre alle camere il proprio programma e ottenere da queste il voto
di fiducia; egli presentò il colpo di Stato della fine di ottobre come l‟inizio
della rivoluzione fascista, che grazie alla sua prudenza e alla sua volontà di
autolimitazione aveva garantito la sopravvivenza delle istituzioni
parlamentari, cosa che in realtà era garantita dal compromesso tra forze
liberali e conservatrici, di cui il re era stato il tramite non firmando il decreto
sullo stato d‟assedio.

Mussolini presentò alla camera inoltre un disegno di legge che attribuiva al


governo “pieni poteri” fino al 31 dicembre 1923 “per riordinare il sistema
tributario, allo scopo, di semplificarlo, di adeguarlo alle necessità del bilancio

101
G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, op.cit, p.13
86
e di meglio distribuire il carico delle imposte”; fu di Salandra la proposta di
eliminare “pieni poteri” per adottare invece la formula “il governo del re ha la
facoltà di emanare disposizioni aventi vigore di legge”, per rendere la legge
formalmente simile alle leggi-delega di cui esistevano molti precedenti102.

D‟altro canto il re Vittorio Emanuele III non dichiarò lo stato d‟assedio


evitando lo scontro diretto tra esercito e camicie nere, perché avrebbe gettato
il paese nel caos e nella violenza. Un ulteriore motivo di questa decisione
dovette essere il timore che i fascisti chiedessero l‟abdicazione del re a favore
del duca Amedeo d‟Aosta, simpatizzante del partito fascista.

Per questi motivi non firmò il decreto di stato d‟assedio e con riluttanza
accettò un gabinetto formato da Mussolini103.

Mussolini, che si era presentato come l‟uomo nuovo, colui il quale rimetteva
in marcia la vecchia macchina dello stato e riprogettava il futuro valorizzando
le istituzioni esistenti, si avvalse di un governo formato da tre fascisti, due
cattolici (PPI), un liberale, un indipendente (Giovanni Gentile), un
nazionalista (Luigi Federzoni), due esponenti delle forze armate e altri.

Mussolini mirava a mutare il carattere del partito fascista facendo rientrare


nella legalità le frange estreme e rivoluzionarie, isolando i ras locali104.

Gli effetti del nuovo governo si fecero sentire, senza dubbio, e nel campo
economico e in quello sociale; l‟ordine pubblico fu ristabilito, sebbene con
mezzi tutt‟altro che costituzionalmente legali.

Mussolini sapeva bene che il popolo italiano aveva bisogno di tranquillità e di


sicurezze, aveva davanti agli occhi il fallimento di una classe politica.

Negli anni del suo consolidamento e del crescente consenso popolare il


regime fascista diede all‟Italia una legislazione ampia e articolata in materia
di previdenza, assistenza e tutela del cittadino.

102
G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, op.cit, pp. 20-21
103
Cfr. G. Sale, La Chiesa di Mussolini, op.cit., p.59
104
Cfr. Voce “Ras” in http://www.treccani.it/vocabolario/ras/ :
Il Ras era una piccola autorità locale, che esercitava il suo ufficio con atteggiamenti dispotici e tronfia consapevolezza
di sé; anche riferito, talvolta, ai capi della delinquenza organizzata o della malavita, in quanto esercitino localmente il
loro potere. In passato, fu soprattutto espressione polemica usata per indicare i gerarchi e capi locali del fascismo.
87
La legislazione sociale del fascismo nacque dal desiderio di Mussolini di
migliorare le condizioni di vita delle classi più umili. L‟ideologia fascista era
un‟ideologia totalitaria nel senso che concepiva lo Stato come soggetto che
interviene in tutti gli aspetti della vita dei consociati, regolandoli verso uno
scopo comune. In tal senso è ovvio che lo Stato prenda sotto la sua tutela i
cittadini dalla nascita alla morte, organizzandone anche il tempo libero.

Mussolini promulgò una legislazione a tutela della famiglia e della maternità,


promosse iniziative di assistenza e beneficenza ed una legislazione più
propriamente previdenziale. Tutta l‟attività del Governo Mussolini fu un
susseguirsi costante di decreti e leggi di chiare finalità sociali all‟avanguardia
non solo in Italia ma, addirittura, nel mondo.

Tra le prime leggi promulgate ci fu quella a tutela del lavoro delle donne e dei
fanciulli (R.D. 653 – 26/4/1923): le donne subivano orari massacranti, in
condizioni igieniche disastrose, e spesso venivano licenziate se erano in
gravidanza, a discrezione totale dei padroni.

I fanciulli erano avviati in età precoce al lavoro, otto-dieci anni, nelle miniere,
filande, concerie, con orari durissimi e venivano privati della possibilità di
studiare.

Questa legge elevava a quattordici anni l‟età minima per l‟avviamento al


lavoro dei giovani, stabiliva un orario massimo di lavoro fissato in otto ore
giornaliere e veniva stabilito il ruolo dell‟apprendistato.

Per le donne invece si stabiliva il tipo di lavoro a cui potevano essere addette,
la non licenziabilità in caso di gravidanza, il periodo di attesa della maternità
e il miglioramento delle condizioni dell‟ambiente di lavoro.

Ricordiamo anche la legge a tutela dell‟assistenza ospedaliera per i poveri


(R.D. 2841, 30/12/23), con la quale veniva trasformato in diritto alle cure
gratuite la discrezionalità caritatevole delle associazioni benefiche, che fino
allora aveva condizionato la vita e la morte delle persone che non
disponevano di mezzi propri per accedere alle cure ospedaliere.

Il cittadino è considerato soggetto di diritto e di diritti in quanto tale, in quanto


membro della Nazione e non per censo, categoria, fede o clientela.
88
Ci furono poi ancora le leggi riguardanti l‟assicurazione di invalidità e la
vecchiaia, i parchi nazionali, le esenzioni tributarie per le famiglie numerose.

Tra i primi provvedimenti che il governo Mussolini prese ci fu quello della


regolamentazione della legge sulla stampa, che fu ovviamente pensata e
attuata secondo l‟orientamento censorio del nuovo regime.

I decreti del luglio del 1923105 e del luglio 1924106 furono integrati con una
nuova legge sulla stampa, emanata il 31 dicembre del 1925. Fu istituita la
figura del direttore responsabile, che doveva avere il riconoscimento del
procuratore generale presso la corte d‟appello nella cui giurisdizione era
stampato il giornale o il periodico; la pubblicazione poteva avere luogo solo
dopo questo riconoscimento.

La legge stabiliva inoltre che la professione giornalistica fosse consentita solo


a coloro i quali si erano iscritti all‟albo professionale, che fu istituito e
regolato da un decreto del febbraio 1928.

Nel 1927 però già la vecchia federazione della stampa si era fusa col
sindacato fascista dei giornalisti dando luogo alla federazione fascista della
stampa italiana, alla quale furono costretti a iscriversi tutti i giornalisti.107

Tra gli altri provvedimenti Mussolini, per garantirsi una propria maggioranza
parlamentare, fece approvare il 23 luglio 1923 una riforma elettorale (la
cosiddetta „legge Acerbo‟) che assegnava due terzi dei seggi alla lista di
maggioranza relativa, col 25% dei voti. Le elezioni, che si tennero il 6 aprile
1924 in un clima di intimidazioni e di violenze da parte fascista, assicurarono
a Mussolini una larghissima maggioranza. Ma l‟assassinio del deputato
socialista Giacomo Matteotti, compiuto il 10 giugno da sicari squadristi su
mandato di stretti collaboratori del duce, suscitò una profonda emozione in
tutto il paese e inferse un duro colpo al prestigio di Mussolini; egli tuttavia
separò la sua responsabilità da quella dei mandanti.

105
Il R.D. n.3288 del 15.07.1923
106
Il R.D. n.1081 dell’08.07.1924 dava facoltà a ciascun prefetto di diffidare in casi specifici e con decreto motivato il gerente di un
giornale o di una pubblicazione periodica
107
G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, op.cit, p.133
89
La rivolta morale causata nel paese dal delitto Matteotti approdò a quella che
è conosciuta come la secessione dell‟Aventino, con chiaro riferimento alla
storia romana.

Il 27 giugno l‟assemblea dei gruppi di opposizione riunita a Montecitorio


ribadì che era impossibile partecipare ai lavori della Camera, a causa della
violenze e delle minacce dei fascisti, finchè non fossero state ripristinate le
libertà democratiche.

La secessione s‟inserì inizialmente in una situazione di crisi del fascismo; ma


l‟indignazione che l‟aveva determinata non ebbe sbocco politico a causa
dell‟incertezza dei capi, che non vollero riportare la lotta in Parlamento, come
aveva chiesto implicitamente il re, il quale, nel corso della crisi, rifiutò di
prendere in considerazione qualsiasi iniziativa extraparlamentare. Per
Mussolini fu quindi possibile passare alla controffensiva: il suo discorso del 3
gennaio del 1925 segnò l‟inizio della vera e propria dittatura fascista. Nel
novembre del 1926 i deputati dell‟Aventino furono dichiarati decaduti dal
mandato parlamentare108.

La secessione dell‟Aventino ebbe un grande valore morale, perché le


opposizioni iniziarono un processo al fascismo e a Mussolini, ma fu un errore
politico, perché con quella decisione le opposizioni assunsero una posizione
di attesa che finì per facilitare la riscossa di Mussolini e la sua azione
repressiva dopo il 3 gennaio del 1925109.

Per accrescere il suo prestigio e la sua autorità, Mussolini volle conquistarsi


direttamente il consenso delle masse e in pochi mesi visitò gran parte
dell‟Italia, tenendo discorsi alle folle che accorrevano numerose, attratte dalla
novità del primo presidente del Consiglio che girava per il paese e soprattutto
affascinate dal nascente mito del giovane, dinamico e vigoroso capo del
governo, figlio del popolo assunto al vertice del potere.

Il potere personale di Mussolini fu accresciuto dalla diffusione del suo mito di


superuomo dotato di eccezionali qualità fisiche e intellettuali, un mito che egli

108
Cfr. Secessione dell’Aventino in:
http://www.treccani.it/enciclopedia/secessione-dell-aventino_(Dizionario-di-Storia)/
109
G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, op.cit, p.78
90
per primo promosse esibendo la sua persona fisica in diversi ruoli: duce,
statista, condottiero, pensatore, educatore, mecenate delle arti, della cultura e
della scienza, bonificatore di paludi, fondatore e ricostruttore di città, atleta,
sportivo, aviatore, nuotatore, pilota e buon padre di famiglia. Il mito era
potenziato da un‟efficiente macchina propagandista, che per mezzo della
stampa, della radio e del cinema, esaltava i successi, veri o presunti, della
politica mussoliniana in Italia e all‟estero, e soprattutto eccitava nelle masse
una fede nel duce sconfinante nell‟idolatria.

Ad alimentare il mito di Mussolini in Italia contribuì l‟ammirazione che la sua


figura riscuoteva all‟estero, soprattutto da parte dei governi conservatori e
dell‟opinione pubblica anticomunista, che gli attribuivano il merito di aver
salvato l‟Italia dal bolscevismo, e di essere uno statista responsabile, che in
politica estera, pur ostentando una ideologia bellicosa, ricercava la
collaborazione con le grandi potenze democratiche.

In campo economico, dopo aver assecondato nei primi anni una politica
liberista, dal 1926 in poi Mussolini adottò una politica protezionista,
soprattutto nel settore dell‟agricoltura („battaglia del grano‟) al fine di
garantire al paese l‟autosufficienza alimentare. Nel 1927 promulgò
la Carta del Lavoro per definire gli orientamenti economici e sociali del
regime, la subordinazione dei sindacati allo Stato, la collaborazione fra le
classi attraverso le corporazioni, l‟istituzione di una magistratura del lavoro,
la preminenza della produzione sul consumo al fine di accrescere la potenza
della nazione110.

Dal 1925 al 1945, la biografia di Mussolini coincide con la storia d‟Italia. Per
venti anni, qualsiasi settore dello Stato e della società italiana − dalla politica
interna alla politica estera, dall‟economia alla cultura, dall‟organizzazione
militare al tempo libero, dall‟urbanistica all‟ambiente, dalla religione al
costume, dalla vita collettiva alla vita privata – fù trasformato, condizionato e
influenzato dalla sua volontà.

L‟incontrastata dittatura mussoliniana, saldamente fondata su un capillare


apparato poliziesco, sul PNF e sulla MVSN, derivava anche dalla funzione di

110
Cfr. la voce “Benito Mussolini” in http://www.treccani.it/enciclopedia/benito-mussolini_(Dizionario-Biografico)/
91
mediatore e di arbitro che svolgeva, nella duplice veste di capo del governo e
capo del partito fascista, fra le diverse istituzioni dello Stato e del regime e fra
le varie componenti economiche, sociali e culturali della società italiana,
riservandosi comunque la decisione finale e risolutiva nelle scelte
fondamentali della politica interna ed estera. Tutto ciò lo costringeva a
occuparsi quotidianamente di innumerevoli questioni, con una meticolosità
burocratica, accresciuta da un‟ossessiva volontà di controllare e dominare
tutto personalmente.

Per un‟idea più chiara delle intenzioni del Duce e della sua linea direttiva
interessante è apprendere dalle sue stesse parole quello che fin qui si è cercato
di descrivere attraverso una ricostruzione storica quanto più obiettiva
possibile.

Egli su “Il Popolo d‟Italia” del 1° luglio del 1926 scriveva:

“Ho ancora una battaglia da vincere : è la battaglia per la restaurazione


economica dell‟Italia. Nelle altre battaglie che il regime fascista ha dovuto
combattere, la vittoria è già stata conseguita. Abbiamo vinto la battaglia
contro la faziosa opposizione parlamentare, siamo riusciti a riunire tutte le
forze produttive della nazione in uno Stato corporativo, abbiamo trionfato nel
campo della finanza nazionale convertendo il deficit annuo in un sopravanzo
di quasi due miliardi di lire. Ora dedico tutta la mia attenzione alla
restaurazione della bilancia commerciale e alla stabilizzazione del cambio
sulla lira. Bisogna innanzi tutto vedere chiaro il proprio scopo, e dopo andarvi
incontro direttamente. Io studio le cifre del nostro commercio nazionale e
vedo chiaramente che importiamo troppo, con deleteri effetti sull‟economia
del paese. Dopo aver consultato gli esperti, io preparai una prima lista dei
rimedi da applicare, e sono appunto questi i rimedi annunziati testé alla
nazione. Essi potranno procurare danni e fastidi a qualche individuo o a
qualche categoria della popolazione, ma è meglio che qualche minoranza
soffra anziché tutta intera la nazione. In una tempesta, se il capitano della
nave decide di fare buttare a mare le merci dei passeggeri per alleggerire lo
scafo, i proprietari non protestano perché sanno che il sacrificio a loro inflitto
serve per il bene di tutti, e, per conseguenza, anche per il loro personale
vantaggio. Io sono sicuro che le nuove restrizioni imposte testé alla vita
92
economica dell‟Italia saranno accettate non solo senza opposizione, ma con
entusiasmo. Io so che, se avessi invitato gli italiani a lavorare dieci ore
anziché nove, avrebbero acconsentito. Essi si rendono conto che dietro tale
innovazione non vi è il capriccio del Governo, ma la necessità nazionale. Essi
sanno, del resto, che io sono il primo a dare l‟esempio, lavorando quattordici
o diciotto ore. Fu il capo della Federazione italiana del lavoro che assicurò il
Governo che gli operai italiani erano pronti a lavorare un‟ora di più al giorno
senza paga straordinaria. D‟altra parte soltanto in quelle industrie che sono
più soggette alla concorrenza straniera, come per esempio l‟industria tessile,
sarà necessaria un‟ora di più di lavoro alla quota ordinaria di salario. Nelle
industrie più prosperose, invece, io vigilerò perché la paga per l‟ora di più di
lavoro sia fissata per mezzo di negoziati tra gli organizzatori rappresentanti i
datori di lavoro e gli operai. Ciò non darà luogo a difficoltà, perché tutte
queste organizzazioni, da una parte e dall‟altra, sono composte di fascisti e
sanno bene che il Governo fascista le tratterà con la massima imparzialità, in
modo da impedire qualsiasi sfruttamento degli uni da parte degli altri, e
viceversa.
Io sono risoluto a sviluppare la prosperità economica dell‟Italia fino al
maggiore punto possibile. Il tracollo del franco ha inevitabilmente avuto le
sue ripercussioni sul cambio della lira. Inoltre dobbiamo importare molte
materie prime. Ma io intendo ridurre al minimo le importazioni. I
provvedimenti presi e quelli che ho in preparazione non potrebbero essere
adottati sotto un regime di socialismo, oppure con vane e sterili discussioni
parlamentari. Tali provvedimenti possono solo scaturire dalla salda e saggia, è
vero, autorità dello Stato, che comprende in sé la forza così dei datori di
lavoro come degli operai e adopera entrambi per il per il bene della collettività
nazionale.

In Italia abbiamo compiuto quello che i bolscevichi russi tentano invano di


fare. I bolscevichi distrussero il capitale, e invece noi ce ne serviamo, come di
tutte le altre risorse nazionali, per il bene comune”.

93
V Le guerre di culto

94
V, 1 Guerre di Culto

La disgregazione e la perdita dell‟identità nazionale, seguite alla fine del


primo conflitto mondiale, avevano prodotto in Italia una società delusa e
disorientata.

La Massoneria e il Fascismo si presentarono come culti laici agli italiani, culti


“civili” che dovevano fungere da alternativa alle religioni tradizionali.

Benedetto Croce, già nel 1908, intuendo che il problema della modernità
poteva essere di natura religiosa, scriveva: “Tutto il mondo contemporaneo è
di nuovo alla ricerca di una religione, spinto dal bisogno di orientamento circa
la realtà e la vita, dal bisogno di un concetto della vita e della realtà111”.

La reazione dell‟Italia al bisogno di riplasmare la propria identità fu


eterogenea e all‟inizio degli anni Venti diverse furono le soluzioni, dalla
scienza positiva, alle forme laiche del Cattolicesimo, alle virtù civiche della
romanità, con una tendenza comune di fondo che era quella di creare un culto
della Patria che potesse essere in linea con i valori di libertà del nuovo
regime112.

Sia la Massoneria che il Fascismo risposero a questo bisogno di religiosità


nuova, con la costruzione di una “religione della patria”, proponendo due
opposte visioni della società e dell‟uomo, cosa che li portò inevitabilmente a
scontrarsi e non solo sul terreno politico113.

Le concezioni antitetiche sulla vita e sull‟individuo approdarono


all‟elaborazione della figura di un “uomo nuovo” massonico antagonista di
quella proposta dal regime.

Quella tra Massoneria e Fascismo, nelle loro vesti di religioni laiche, fu


secondo Venzi una “Guerra di Religione”.

La creazione dei “miti della nuova civiltà” con riti e simboli di una nuova
religione politica e laica, la cui principale esigenza era educare l‟individuo,
era un progetto sia dell‟Organizzazione massonica che del Regime.

111
B. Croce, Per una rinascita dell’idealismo, in Cultura e vita morale, Laterza, Roma-Bari, 1955, p.36
112
E. Gentile, Il culto del littorio, Laterza, Roma-Bari, 1993, p.15
113
F. Venzi, Massoneria e Fascismo,Castelvecchi, 2008, p.9
95
L‟attenzione rivolta al ceto medio, che doveva accogliere progetti e valori
delle due parti, creò i presupposti per lo scontro.

In una circolare del 1923 del Gran Maestro Torrigiani veniva ribadita la
missione della Massoneria, ossia la riorganizzazione dei ceti medi; ma anche
per il movimento Fascista i referenti erano proprio i ceti medi emergenti, a cui
si rivolgeva per il suo progetto totalitario.

La Massoneria, nella quale il perseguimento di finalità etiche avviene sulla


base di rituali e simboli tipici di una società iniziatica, all‟origine significa
“costruzione” quindi edificazione, trasformazione dell‟individualità profana in
un altro sé con un percorso iniziatico che porta al perfezionamento e
all‟emancipazione dell‟individuo.

La volontà di potenza fascista era volta invece, come sappiamo, a plasmare la


massa e all‟annichilimento dell‟individuo. Mussolini amava paragonare la
politica all‟arte e definiva il politico un artista che plasma la materia umana.
La realizzazione del progetto di “uomo nuovo” portò i Fascisti a un diverso
approccio ai rituali e alla simbologia, alla trasformazione del culto del littorio
in liturgia dello Stato. Il culto fu istituzionalizzato con rigide norme che ne
definivano le modalità di svolgimento, con il conseguente divieto di
spontaneità nella organizzazione di feste, riti e manifestazioni di massa. Se i
rituali non venivano organizzati alla perfezione potevano compromettere la
serietà del simbolismo liturgico e mettere a rischio la funzione pedagogica che
il regime gli assegnava114.

Furono l‟importanza e il ruolo assegnati all‟individuo nella società che


ponevano Massoneria e Fascismo su posizioni opposte diametralmente; la
prima poneva le proprie fondamenta sui principi di “libertà”, “uguaglianza” e
“fratellanza”, il secondo era ossessionato dall‟idea di plasmare la massa e
sacrificare l‟individuo allo Stato e alla volontà di potenza di minoranze
elette115.

Inizialmente i rapporti tra il movimento Fascista e la Massoneria furono


tutt‟altro che conflittuali, ma quando si passò al regime Fascista, con la

114
Cfr. F. Venzi, Massoneria e Fascismo, op.cit., p.50
115
Cfr. F. Venzi, Massoneria e Fascismo, op.cit., p.70
96
militarizzazione della politica, alla mobilitazione delle masse, al culto del
Duce, alla concezione di Stato totalitario, all‟educazione dell‟italiano nuovo e
si crearono nuovi miti e riti e simboli la Massoneria, che si faceva anch‟essa
propugnatrice di esigenze educative nei riguardi dell‟individuo con valori,
simboli e rituali propri, divenne una temibile antagonista da distruggere.

Fu così che l‟offensiva squadrista nei confronti delle logge massoniche si fece
sempre più frequente e distruttiva perché, come aveva ben spiegato Albert
Mathiez, in una religione laica al periodo di formazione segue sempre uno
stato di eccitazione in cui i credenti, soprattutto i neofiti, sono animati da una
rabbia distruttiva contro i simboli degli altri culti116.

Gli assalti alle logge massoniche, la distruzione dei simboli e di tutto ciò che
riguardava i rituali durante le spedizioni punitive fasciste erano concepiti
come un vero e proprio rito di iniziazione. La distruzione dei Templi
Massonici iniziò alla fine del dicembre del 1923 e proseguì fino all‟ottobre
del 1925117, con la messa al bando della Massoneria attraverso l‟approvazione
della legge sulle associazioni segrete.

116
E. Gentile, Il Culto del littorio, Laterza, 1994, p.42

117
Cfr. Fulvio Conti “3-4 ottobre 1925 La Notte di San Bartolomeo” in http://www.storiadifirenze.org/?p=2753 «Da ,
oggi non deve essere data tregua alla massoneria ed ai massoni. La devastazione delle logge si è risolta in una ridicola sciocchezza.
Bisogna colpire i massoni nelle loro persone, nei loro beni, nei loro interessi. […] La parola d’ordine è questa: lotta ad oltranza, senza
riguardo, con ogni mezzo». Questo proclama del direttorio del fascio di Firenze venne pubblicato il 26 settembre 1925 su «Battaglie
fasciste», che nel numero successivo, apparso il 3 ottobre, rincarava la dose: «La massoneria deve essere distrutta ed i massoni non
hanno diritto di cittadinanza in Italia. […] Tutti i mezzi sono buoni; dal manganello alla revolverata, dalla rottura dei vetri al fuoco
purificatore». Dalle parole si passò subito ai fatti. Fin dalla sera del 26 settembre cominciarono le aggressioni e i pestaggi contro i
massoni, o comunque contro individui sospettati di esserlo. Le violenze s’intensificarono nei giorni successivi fino a toccare il culmine
nella notte fra il 3 e il 4 ottobre, quando le squadracce scatenarono una terribile rappresaglia per vendicare la morte di un o dei loro,
Giovanni Luporini, rimasto ucciso, probabilmente da «fuoco amico», mentre capeggiava una spedizione contro il massone Napoleone
Bandinelli. Nell’azione perse la vita Giovanni Becciolini, anch’egli massone, che era accorso in difesa di Bandinelli, suo vicino di casa. I
fascisti lo finirono a bastonate e a colpi di revolver.

97
VI, 2 Vaticano 1922-1929

98
Il 17 marzo 1861 il primo Parlamento unitario proclamò il Regno d'Italia. Il
nuovo regno non comprendeva Roma ed il Lazio, che costituivano lo Stato
Pontificio. Nello stesso giorno Camillo Cavour tenne un famoso discorso
alla Camera dei deputati e concluse il suo intervento dichiarando che Roma “è
la necessaria capitale d'Italia, che senza che Roma sia riunita all'Italia come
sua capitale, l'Italia non potrebbe avere un assetto definitivo”.

Roma era tuttavia protetta dalla Francia di Napoleone III che era, al
contempo, il principale alleato e protettore del giovane Regno d'Italia. Il 15
settembre 1864 la Francia e l'Italia stipularono una convenzione con la quale
l'Italia si impegnava a non attaccare i territori del Santo Padre; in cambio la
Francia ritirava le proprie truppe dai medesimi territori. In mancanza del
consenso francese, le uniche azioni volte alla conquista dell'Urbe furono
condotte da Garibaldi.

La "questione romana", comunque, non si limitava al solo problema


dell'annessione territoriale di Roma, ma chiamava in causa il complesso tema
delle relazioni tra Chiesa cattolica e Regno d'Italia, già gravemente
compromesse dalla permanente opposizione al Risorgimento, manifestata
da Pio IX a partire dal 1849.

L'insistenza papale nell'affermare l'autonomia e l'indipendenza dello Stato


della Chiesa ebbe come conseguenze:

un forte incremento in Italia dell'anticlericalismo, la proibizione per i cattolici


di partecipare alla vita politica nazionale con la bolla papale del Non expedit,
conseguente laicizzazione della politica di governo; spaccatura di fatto del
Paese ("storico steccato") che portò la Chiesa a valutare negativamente tutto
quanto avvenisse nel campo non confessionale.

D'altra parte, lo Stato perseguì una politica particolarmente restrittiva che


incideva soprattutto sui beni ecclesiastici. In particolare, con l'emanazione
delle cosiddette leggi eversive (legge n. 3036 del 7 luglio 1866 e legge n.
3848 del 19 agosto 1867), fu negato il riconoscimento e disposta la
soppressione di diversi enti ecclesiastici che, a parere dello Stato, erano
ritenuti non necessari al soddisfacimento dei bisogni religiosi della

99
popolazione, con la conseguente devoluzione al demanio del relativo
patrimonio.

Nel 1870, alcune settimane dopo la caduta di Napoleone III (battaglia di


Sedan del 1º settembre), l'esercito italiano si fece più ardito e, guidato dal
generale Raffaele Cadorna, entrò in Roma, non più difesa dalle truppe
francesi (Breccia di Porta Pia del 20 settembre), annettendo il millenario Stato
della Chiesa al Regno d'Italia. Il 3 febbraio 1871 Roma fu proclamata
capitale del Regno d'Italia, il 13 maggio 1871 fu approvata la Legge delle
Guarentigie, la quale - come dice il suo nome - stabiliva precise garanzie per
il Papa e la Santa Sede.

Il Ministro di Grazia, Giustizia e Culti del Governo Lanza, Matteo Raeli,


all'indomani della Breccia di Porta Pia e l'insediamento del Governo Italiano
a Roma, ebbe l'incarico di redigere una legge per disciplinare i rapporti tra
il Regno d'Italia e la Santa Sede, che prese nome di legge delle Guarentigie e
che venne approvata dal Parlamento il 13 maggio 1871.

La legge constava di venti articoli e si divideva in due parti.

La prima riguardava le prerogative del Pontefice a cui veniva garantita


l'inviolabilità della persona, gli onori sovrani, il diritto di avere al proprio
servizio guardie armate a difesa dei palazzi, Vaticano, Laterano, Cancelleria e
villa di Castel Gandolfo. Tali immobili erano sottoposti a regime di
extraterritorialità che li esentava dalle leggi italiane e assicurava libertà di
comunicazioni postali e telegrafiche ed il diritto di rappresentanza
diplomatica. Infine si garantiva, all'articolo 4 della legge, un introito annuo di
3.225.000 lire (pari a circa 14,5 milioni di euro del 2012) per il mantenimento
del Pontefice, del Sacro Collegio e dei palazzi apostolici.

La seconda parte regolava i rapporti fra Stato e Chiesa Cattolica, garantendo


ad entrambi la massima pacifica indipendenza. Inoltre al clero veniva
riconosciuta illimitata libertà di riunione e i vescovi erano esentati dal
giuramento al Re.

La legge venne considerata dal Papato come atto unilaterale dello Stato e
come tale fu respinta dalla Chiesa, incontrando tra l'altro l'opposizione tanto

100
dei clericali quanto dei giurisdizionalisti. Questi ultimi riuscirono però a
strappare qualche successo, giacché nella legge i beni riconosciuti in
godimento al Pontefice rimanevano comunque parte dei beni indisponibili
dello Stato italiano. In secondo luogo, la presente legge conservò
il placet governativo sulle nomine dei vescovi e dei parroci e in genere di tutti
gli uffici ecclesiastici, eccetto quelli delle diocesi di Roma e delle sedi
suburbicarie.

Pio IX, che si era chiuso nei palazzi vaticani dichiarandosi prigioniero politico
in seguito alla presa di Roma, aborriva categoricamente la legge approvata dal
parlamento definendola "mostruoso prodotto della giurisprudenza
rivoluzionaria".

Il pontefice, in risposta a quelli che definiva "futili privilegi e immunità che


volgarmente sono detti guarentigie", giunse perfino a sollecitare un intervento
dell'allora cancelliere luterano tedesco Otto von Bismarck.

All'intransigenza di Pio IX lo Stato rispose con altrettanta intransigenza,


sollecitato dalla sinistra ispirata ai principi dell'anticlericalismo, la quale
ottenne che fossero soppresse tutte le facoltà di teologia dalle università
italiane e i seminari sottoposti a controllo laico.

Il 15 maggio 1871 fu emessa l'enciclica "Ubi nos" con la quale veniva ribadito
che il potere spirituale non poteva essere considerato disgiuntamente da
quello temporale.

I rapporti tra la Chiesa e lo Stato liberale andarono peggiorando quando,


nel 1874, la Curia romana giunse a vietare esplicitamente ai cattolici, con la
formula del "non expedit" ("non conviene"), la partecipazione alla vita
politica. Soltanto nell'età giolittiana tale divieto sarebbe stato eliminato
progressivamente, fino al completo rientro dei cattolici "come elettori e come
eletti" nella vita politica italiana con il Patto Gentiloni del 1913

Immediatamente dopo la fine della Prima guerra mondiale vi furono i primi


contatti fra Santa Sede e Regno d'Italia per porre fine all'annosa controversia
con una presa di contatto fra monsignor Bonaventura Ceretti e il primo

101
ministro Vittorio Emanuele Orlando. Alla morte di Benedetto XV per la
prima volta in tutta Italia le bandiere furono poste a mezz'asta.

Una decisa apertura nei confronti della Chiesa avvenne all'indomani


della Marcia su Roma con l'introduzione della religione cattolica nelle scuole,
con funzione di ancella della filosofia (1923) e l'autorizzazione ad appendere
il crocifisso nelle aule.

Nel gennaio del 1923 si aprirono delle trattative segrete con un incontro
tra Benito Mussolini e il cardinal Segretario di Stato Pietro Gasparri.

L‟atteggiamento della Santa Sede nei confronti del governo fascista fu di


fiducia, nella speranza che riuscisse a dare uno sbocco soddisfacente alla
questione romana, quindi pur non assolvendo il fascismo per le passate
violenze, assecondò Mussolini, e negò al Partito Popolare Italiano la “delega”
di rappresentare in sede politica gli interessi cattolici.

Pio XI ebbe assicurazioni che il governo fascista non avrebbe toccato la


religione, che anzi l‟avrebbe sostenuta.

La segreteria di Stato vaticana, quando chiese quali fossero gli intendimenti


fascisti verso la chiesa, fu rassicurata da una risposta che ne garantiva
l‟assoluto rispetto; il cardinale Gasparri segretario di Stato poteva a buona
ragione, interrogato da un giornalista francese sulla politica nazionale,
rispondere che il movimento era diventato una necessità.

La Santa Sede preferì non lasciarsi andare in valutazioni di tipo politico o


ideologico, ma preferì restare vigile e attendere.

Ricordiamo che sulla “Civiltà Cattolica” inizialmente il Vaticano aveva


assunto una posizione molto critica indicando il Fascismo più come fenomeno
che come partito, mutabile e multiforme. Dopo la marcia su Roma, però la
rivista dei Gesuiti “ammorbidì” il suo orientamento e pur denunciando le
violenze fasciste si impegnò nel legittimare il fascismo anche agli occhi del
mondo cattolico col fine di “correggere, moralizzare e cristianizzare” il
fenomeno118.

118
G. sale, La Chiesa di Mussolini, op.cit., p.71
102
Durante la prima metà del 1923 si susseguirono diverse vicende che
determinarono l‟atteggiamento della Gerarchia Cattolica nei confronti del
Regime, primo fra tutti l‟incontro che avvenne tra il segretario di Stato
Gasparri e Mussolini a Palazzo Guglielmi, dimora del Conte Santucci, il 29 o
30 gennaio.

Le testimonianze che si possono prendere in considerazione su quell‟incontro


sono quella dello stesso Santucci e quella di Acerbo che accompagnò
Mussolini.

Acerbo riferì nelle sue memorie che Mussolini uscì pensieroso dall‟incontro,
essendosi reso conto che l‟altra parte stava valutando la reale stabilità del
governo.

Su i temi trattati ci informa meglio Santucci, e grazie a lui sappiamo che


Mussolini e Gasparri parlarono della questione romana e del modo di rendere
benevoli i rapporti tra Santa Sede e Governo italiano.

La Santa Sede riguardo al primo punto non si sentiva per il momento di


avviare trattative con un governo che era salito al potere per vie semi legali e
che non offriva sufficienti assicurazioni sul piano politico e dottrinale,
riguardo al secondo punto invece era chiaro che entrambe le parti erano
interessate a rendere più riguardosi e benevoli i rapporti tra governo italiano e
Santa Sede.

In un certo senso la costruzione del regime fu completata dalle trattative che


portarono alla Conciliazione, cioè ai Patti Lateranensi dell‟11 febbraio del
1929.

L‟azione di Mussolini mirava a guadagnare al regime stesso il consenso delle


masse, ma mentre da una parte poneva fine alla questione romana, dall‟altra
invece intaccava fortemente in alcuni settori il carattere laico che lo Stato
aveva ereditato dal Risorgimento.

Già nei primi 15 anni del 1900 la questione romana aveva perso gran parte
della sua gravità, basti ricordare la linea politica seguita da Pio X, il quale
permise ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche, cosa che consentì nel

103
1913 di frenare l‟avanzata elettorale dei socialisti e attenuare i contrasti tra
governo italiano e Santa Sede.

Sebbene la legge delle Guarentigie non fosse mai stata accettata da parte
papale, le norme stabilite per regolare la situazione del Papa e le relazioni
Stato e Chiesa furono applicate in un quantità di questioni pratiche di carattere
corrente e quotidiano.

In seguito, man mano, che si allentavano le tensioni fra le due parti furono
stabiliti rapporti riservati e confidenziali tra i due poteri per mezzo di persone
di fiducia delle due parti.

I rapporti si intensificarono durante il pontificato di Benedetto XV: frequenti


furono i contatti tra il Presidente del consiglio Orlando e il cardinale Gasparri,
tra Nitti e ancora Gasparri.

Quest‟ultimo inviò per mano di Monsignor Cerretti ad Orlando un progetto di


accordo che prevedeva la creazione di uno stato indipendente comprendente il
Vaticano e qualche zona circostante, accennando in modo generico a un
Concordato che avrebbe dovuto regolare, anche successivamente, i rapporti
tra lo Stato e la Chiesa in Italia.

Cerretti, inoltre, proponeva di risolvere il problema di una garanzia


internazionale mediante l‟ingresso del Papa nella Società delle Nazioni, la
quale garantiva per statuto il territorio degli stati membri.

I contatti tra Cerretti e Orlando che si conclusero il I giugno 1919 non ebbero
più seguito e sicuramente non solo perché il 19 giugno cadde il ministero di
Orlando, ma anche perché il re si mostrò allora decisamente ostile all‟idea di
Conciliazione col Vaticano.

Vennero meno le condizioni per un accordo che , se stipulato in quel


momento in uno stato laico, sarebbe stato meno impegnativo di quello
stipulato solo 10 anni più tardi.

Il progetto del 1919 non prevedeva la stipulazione simultanea del Trattato


sulla questione romana e il Concordato, e il primo non era subordinato al
secondo.

104
Il tentativo del „19 dimostrò però che ormai il Vaticano era convinto della
necessità di giungere a una soluzione della questione romana.

L‟ostilità di Vittorio Emanuele III però e la difficile situazione sociale e


politica in cui versava l‟Italia impedirono a Nitti, che tuttavia ebbe frequenti e
amichevoli contatti con Gasparri, di riprendere il progetto della Conciliazione.

Pio XI fu un convinto conciliatorista, e per la prima volta, dopo il 1870,


benedisse la folla dalla loggia di San Pietro.

Don Luigi Sturzo, che rimase intransigente nei confronti del fascismo, venne
così invitato dalla Curia papale a non continuare con gli attacchi al regime e,
alla fine, si dimise dal Partito andando in volontario esilio.

In questo periodo furono molti i popolari che aderirono al fascismo e vennero


così riprese le trattative con la Chiesa.

Il cardinale Gasparri, tramite il senatore Santucci, incontrò il ministro


guardasigilli fascista Alfredo Rocco, ma il papa Pio XI fece cadere il progetto
proposto da Santucci.

Santucci infatti, certo non di sua spontanea iniziativa ma probabilmente per


consiglio del suo amico Gasparri e non all‟insaputa del Papa, preparò un
progetto di riforma della legge delle guarentigie, che sottopose all‟esame del
ministro Rocco.

Questo progetto proponeva varie modifiche favorevoli alla Santa Sede e lo


stesso Ministro Rocco, nel colloquio con Santucci avvenuto il 21 maggio
1925, indicava una soluzione bilaterale delle questioni pendenti che
salvaguardasse da una parte la posizione della santa sede di fronte all‟estero,
dall‟altra l‟indipendenza, la dignità e la sovranità del governo italiano.

Il progetto Santucci fu consegnato a Gasparri e da questo a Pio XI , il quale lo


giudicò interessante ma di difficile attuazione.

Pio XI era convinto che ormai il governo italiano dovesse aprirsi alle trattative
col Vaticano se voleva modificare la legislazione ecclesiastica vigente e le
trattative dovevano riguardare anche la soluzione della questione romana.

105
Nella lettera del 18 febbraio del 1926, pubblicata il 23 febbraio sull‟
Osservatore Romano, Pio XI ribadì che non poteva essere concessa ad altri la
capacità di legiferare su materie e persone sottostanti alla sacra potestà di Dio
se non previ legittimi accordi e convenienti trattative.

Non si trattava più di accogliere provvedimenti intesi a restituire alla scuola di


un popolo cattolico l‟insegnamento religioso o al clero o alle chiese una parte
del maltolto, ma di avviare appunto trattative utili a superare la questione
romana.

Non è noto se la posizione papale fu precedentemente preannunciata a


Mussolini, certamente però un accordo di massima tra Mussolini e Vaticano
deve essere intervenuto sulla possibilità di iniziare le trattative per la
risoluzione della questione romana.

La stampa fascista evitò di commentare la lettera papale, però poco tempo


dopo Rocco dichiarò che la lettera aveva mutato i termini del problema e che
il governo intendeva tenerne conto.

106
IV, 3 Mussolini 1922-1929

107
La Conciliazione fra Stato e Chiesa fu tra i più importanti successi politici di
Mussolini119, egli riducendo al minimo la possibilità di manovra del mondo
cattolico, come il partito popolare, ostile al regime fascista, riuscì ad attrarre
dalla sua parte una porzione considerevole di italiani che, pur non facendo
parte della Azione Cattolica, era influenzata dalla Gerarchia ecclesiastica.

Da giovane, come si è detto, Mussolini era stato ferocemente anticlericale e


perfino ateo, e non solo non aveva nascosto questi suoi sentimenti, ma anzi li
aveva ostentati, non senza manifestazioni clamorose e volgari. Ma una volta
al governo, girò di 180 gradi.

L‟appoggio della Chiesa gli era prezioso per solidificare il suo potere, ed egli
non esitò sia a manifestare opinioni personali lontanissime da quelle giovanili,
sia a fare vistose concessioni politiche al Vaticano, ripagato con la
sconfessione del Partito Popolare e l‟esilio comminato a Sturzo, sia con la
benedizione dei gagliardetti e dei labari fascisti da parte di vescovi e
sacerdoti, specialmente in occasione della guerra d‟Etiopia e dell‟intervento in
Spagna. Alla Santa Sede piaceva l‟estensione e il rafforzamento
dell‟insegnamento religioso nelle scuole, la politica demografica per
l‟aumento della natalità, la modifica dei codici per colpire l‟aborto e
l‟adulterio (più duramente della moglie che del marito), per fare della
bestemmia un reato penale, per combattere l‟alcolismo.

Mussolini, nuovo capo del governo, intendeva servirsi del cattolicesimo per
foraggiare la sua idea nazionale di Stato Fascista, per fare in modo che la
religione tradizionale con la sua influenza massiccia sul popolo incoraggiasse
gli entusiasmi verso il suo governo.

Nel discorso alla Camera Mussolini ribadì la collaborazione attiva con la


Santa Sede, fondata sull‟abbandono delle pretese temporalistiche di
quest‟ultima a favore di laute ricompense e agevolazioni materiali per scuole,
chiese, ospedali da parte del governo.

119
Cfr. R. De Felice, Mussolini il Fascista, I La conquista del potere. 1921-1925, Einaudi, Torino, 1966, p.382
108
L‟aumento dei fedeli del cattolicesimo nel mondo, che guardavano a Roma,
era un ottimo viatico alla crescita dell‟interesse nei confronti del Vaticano e
del Fascismo, che mirava a consensi e popolarità.

Per questo il fascismo assunse il ruolo di difensore degli interessi religiosi


nazionali.

Parte della Gerarchia ecclesiastica, a dire il vero abbastanza numerosa vedeva


nel fascismo l‟unica forza politica capace di riportare l‟ordine nel paese e
soprattutto di tenere a bada da una parte le forze eversive di socialisti e
comunisti e dall‟altra i nemici dichiarati rappresentati dai massoni.

Molti vescovi e cardinali parteciparono a cerimonie pubbliche accanto ai


rappresentanti dello Stato o gerarchi fascisti a testimoniare la politica di
avvicinamento al governo, con la rinuncia ai pretesi diritti sul potere
temporale.

Il governo ottenne, tra le altre cose, nel marzo del 1923 che il consiglio
comunale di Roma e il suo sindaco si dimettessero così che al suo posto
venisse nominato il regio rappresentante Filippo Cremonesi, fedele al
fascismo, e non inviso alla Santa sede, che avrebbe potuto curare i rapporti col
Vaticano secondo le indicazioni del regime e accoglierne le richieste
soprattutto quelle riguardanti la preparazione del giubileo del 1925.

Sebbene possa sembrare che la Santa Sede avesse cambiato il proprio


atteggiamento nei confronti del governo fascista sposandone gli ideali e le
finalità, considerate anche le posizioni favorevoli di alcuni prelati o alcuni
vescovi, tuttavia Pio XI mantenne massimo riserbo120 e un atteggiamento
benevolo attendista, così come fecero anche larga parte del mondo cattolico e
della stampa papalina121.

Con il salvataggio della Banca di Roma Mussolini ottenne la benevolenza


della Santa Sede e dei settori della finanza cattolica, la possibilità di sottrarre
possibili fondi da destinarsi al finanziamento di opere legate al PPI, il

120
F. Malgeri, Chiesa, cattolici e democrazia. Da Sturzo a De Gasperi, San Paolo, Cinisello Balsamo, p.58
121
M. Casella, L’Azione Cattolica nell’Italia contemporanea, 1919-1969, Ave, Roma, 1992, p.190
109
controllo del maggiore quotidiano cattolico, Il Corriere d‟Italia, e della
maggioranza delle potenti banche cattoliche del Nord.

Il destino del Banco di Roma era sicuramente di notevole importanza per il


cardinale Gasparri che, nell‟incontro intercorso con Mussolini, fu largamente
rassicurato.

Prima dell‟incontro tra Gasparri e Mussolini, come già detto in casa Santucci,
i rapporti tra Santa Sede e governo italiano erano stati intrattenuti per il
Vaticano da Padre Genocchi e da monsignor Pizzardo; da febbraio il ruolo
informale di incaricato di affari spettò a padre Tacchi Venturi.

Il gesuita Tacchi Venturi con ogni probabilità fu scelto concordemente da


Mussolini e Gasparri come intermediario soprattutto per le sue doti di
affidabilità e prudenza.

Il primo suo intervento fu la richiesta il 9 febbraio del 1923 di riconoscere la


pertinenza dell‟autorità ecclesiastica sulla definizione della idoneità degli
insegnanti di religione122.

Domenico Barone123 nel 1926 ricevette da Alfredo Rocco, ministro di Grazia


e Giustizia, l'incarico ufficioso di condurre trattative riservate con l'avvocato
concistoriale Francesco Pacelli (fratello maggiore di Eugenio, futuro papa Pio
XII) designato dal cardinale Pietro Gasparri, Segretario di Stato
Vaticano di papa Pio XI, sulla possibilità di giungere a un accordo che
ponesse fine alla questione romana.

Il primo incontro tra Barone e Pacelli avvenne il 6 agosto dello stesso anno.

Le riunioni si tennero, alternativamente, nelle abitazioni private dei due


delegati, qualcuna avvenne nell'ufficio di Barone al Palazzo di Giustizia.

Il 4 ottobre del 1926, il capo del governo Benito Mussolini confermò per
iscritto a Barone l'incarico, sempre in forma "strettamente confidenziale", con
una lettera124.

122
G. Sale, La Chiesa di Mussolini, op.cit., p.89-90
123
Domenico Barone (Napoli, 29 gennaio 1879 – Roma, 4 gennaio 1929) è stato un magistrato italiano. Il suo nome è
ricordato per il ruolo di negoziatore per la parte italiana, negli anni 1926-1928, dei Patti Lateranensi.
124
G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, op. cit., pag. 241
110
Nel corso delle trattative il consigliere di Stato tenne costantemente informato
il capo del governo con periodiche relazioni.

Le trattative furono a volte sospese, in attesa di trovare un accordo, quando si


manifestarono divergenze in questioni rilevanti per una o ambedue le parti. Il
principale ostacolo fu quello riguardante la formazione dei giovani e le
rispettive organizzazioni a ciò designate: l'Opera nazionale balilla (ONB) in
campo fascista in competizione con l'Associazione scouts cattolici
italiani (ASCI) e il settore giovanile dell'Azione Cattolica. Altre questioni di
rilievo furono quelle sugli effetti civili del matrimonio celebrato con rito
cattolico e l'entità delle riparazioni (Convenzione finanziaria) che dovevano
sostituire la dotazione annua prevista dalla legge delle Guarentigie.

La morte prematura di Barone, nei primi giorni del 1929, impedì al


funzionario di vedere la conclusione del suo lungo impegno. Le trattative,
ormai in fase finale, furono condotte personalmente da Benito Mussolini,
assistito dal ministro Rocco. I trattati furono firmati dal cardinale Gasparri e
Mussolini l'11 febbraio 1929 nella sala dei Papi nel palazzo del Laterano, a
poco più di un mese dalla sua scomparsa.

Per quanto riguarda invece i rapporti di Mussolini con la massoneria furono


tutt‟altro che pacifici e le ostilità personali del Duce precedettero di anni
l‟avvento del Fascismo come si può evincere chiaramente leggendo gli Atti
del Congresso Nazionale del Partito socialista del 1914, in cui Mussolini
propugna l‟inconciliabilità tra socialismo e massoneria , con la stessa
veemenza con cui anni dopo affermerà l‟inconciliabilità tra Fascismo e
Massoneria.

Nel suo discorso Mussolini sottolineò che l‟umanitarismo della Massoneria,


cui probabilmente tendeva, non poteva infiltrarsi nel socialismo.

Nel socialismo, secondo quanto detto da Marx, il proletariato rappresenta tutta


l‟umanità e il suo trionfo abolisce le classi, dunque così il suo umanitarismo
non era da confondersi con quello elastico, vacuo, illogico della
Massoneria125.

125
Cfr. Atti del XIV Congresso del Partito Socialista Italiano, Ancona, 27 aprile 1914, in Fabio Venzi, Massoneria e
Fascismo, Roma 2008, Castelvecchi editore
111
L‟articolo126 pubblicato sulla rivista “Critica fascista” è molto utile per
comprendere la polemica antimassonica del Regime.

Il Gran Consiglio Fascista dichiarò apertamente l‟incompatibilità tra Pnf e


Massoneria e per capire questa risoluzione è necessario indagare intenti e
cause che l‟hanno prodotta.

È noto che inizialmente molti Massoni si inserirono nelle file del regime, ma
la posizione della dottrina massonica per il Fascismo risultava ormai
sorpassata: era stata benefica e proficua durante il risorgimento, ma
internazionalista e negatrice del nazionalismo successivamente.

Nell‟immediato dopoguerra la vicinanza tra Massoneria e Partito Socialista


generò una propaganda disfattista nei confronti dell‟assolutismo, anche di
quello spirituale, in un‟accesa polemica anticattolica e antipapale.

Il Fascismo per ragioni che abbiamo visto e che ricordiamo essere morali,
politiche e storiche considerava riprovevole questa posizione dal momento
che il perfezionamento morale che la Massoneria intendeva perseguire era
compreso nella dottrina religiosa.

Il regime ribadiva che dalla caduta dell‟impero romano d‟Occidente solo il


papato era riuscito con la forza spirituale a continuare la supremazia mondiale
di Roma. Da un punto di vista politico quindi non sarebbe stato conveniente
per l‟Italia un atteggiamento ostile nei confronti del Vaticano, essendo grandi
i benefici che potevano derivare dall‟essere Roma capitale spirituale di
centinaia di milioni di fedeli.

La risoluzione della questione romana in aperto contrasto con la Massoneria


quindi risultò essere per il Fascismo un ottimo viatico per la supremazia.

126
Cfr. Critica Fascista, anno II, n.1, 1 gennaio 1924 in Fabio Venzi, Massoneria e Fascismo, Roma 2008, Castelvecchi
editore

112
V, 4 Massoneria 1922-1929

113
Il rapporto tra Massoneria e Fascismo non può essere ricondotto ai rapporti
intercorsi tra Mussolini e Torrigiani o Palermi, né a quelli tra il duce e
l‟Ordine.

Quando il 23 marzo del 1919 Cesare Goldmann127 aprì la sede del Circolo
Commerciale di Milano , in piazza san Sepolcro fu ufficialmente fondato il
Fascio di Combattimento di Milano, il cosiddetto "Fascio primigenio". Al
termine della prima riunione fu formata la Giunta del Fascio di
Combattimento milanese composta da: Benito Mussolini, Ferruccio
Vecchi, Enzo Ferrari, Michele Bianchi, Mario Giampaoli, Ferruccio Ferradini,
e Carlo Meraviglia.

La riunione del 23 marzo, inizialmente destinata a svolgersi al Teatro Dal


Verme, vista la minor partecipazione di quanto ci si aspettasse, si tenne nella
sala riunioni del Circolo dell'Alleanza Industriale in piazza San
Sepolcro a Milano messa a disposizione dal presidente dell'Alleanza
Industriale, l‟interventista Cesare Goldmann128.

La documentata appartenenza di massoni ai fasci non consente affatto di


dedurne che il movimento mussoliniano potesse contare sull‟appoggio dei
massoni o della massoneria in quanto tale129.

Non sarebbe rilevante, dice Aldo Mola, quantificare il rapporto tra “affiliati
fascisti” e Famiglia dei Massoni, ben più rilevante sarebbe rispondere
all‟interrogativo se il livello di coinvolgimento dell‟intera comunione fosse
deducibile dalla adesione solo di alcuni Fratelli, talora in sonno e mai andati
oltre i primi gradi della scala iniziatica.

Più interessante è individuare le assonanze ideologiche che affioravano


epidermicamente tra la vulgata politica delle Logge e i programmi agitati da
molti esponenti in vista del movimento fascista130.

127
Cesare Goldmann, finanziere ed uomo politico ebreo, maestro venerabile della loggia torinese “Pietro Micca”, aprì
il 23 marzo 1919 la sede del Circolo Commerciale di Milano in Piazza S. Sepolcro per la cerimonia di fondazione dei
“fasci di combattimento”, sotto gli auspici della diretta presenza dei massoni. Essendo la Massoneria un’istituzione al
di sopra dei partiti, nelle sue file aderivano anche fascisti. Dal Convegno tenutosi a Firenze: 1805-2005. DUECENTO
ANNI PER L’ITALIA. CONVEGNO DI STUDI LA MASSONERIA NEL XX SECOLO. DALLA GRANDE GUERRA ALLA REPUBBLICA
(http://www.bicentenario-goi.it/Relatori_Firenze.pdf)
128
Vittorio Gnocchini, L’Italia dei liberi muratori, Mimesis, Milano, 2005, pag. 148
129
A. Mola, Storia della Massoneria italiana, cit,, p. 485, nota n°1
114
Riconoscibile una comune esperienza interventistica e una certa convergenza
su obiettivi di intransigenza anticlericale, come in tema di legislazione
scolastica, l‟obbligo dello Stato di mantenere alla scuola un carattere
formativo di coscienze nazionali e rigidamente laico.

Le dichiarazioni programmatiche del fascismo insistevano sulla natura


antidogmatica e antidemagogica del movimento, esaltavano la borghesia del
lavoro, grazie alla quale si poteva promuovere lo sviluppo del progresso e il
trionfo delle fortune nazionali, denigravano le degenerazioni delle lotte
operaie, cose tutte queste che rientravano nella tradizione della “democrazia
sociale” cresciuta nelle Logge.

Ciò che preme a questo punto della nostra trattazione è soffermarci sulla
vexata quaestio della genesi liberomuratoria di Piazza San Sepolcro.

Gerardo Padulo131ora afferma ora nega l‟esistenza di un piano massonico


dietro la nascita e l‟ascesa del fascismo, certo è che vi furono massoni nel
movimento fascista, e poi nel partito, ma aldilà di una certa rappresentatività
dei singoli fratelli, la massoneria in quanto tale non ebbe emissari132.

Possiamo ancora mettere in luce il comune modus operandi nella lotta politica
tra Massoneria e Fascismo come: l‟appello di piazza, il ricorso a una
mobilitazione spregiudicata e declamatoria che si riassumeva nei toni
polemici di slogans, simboli, motti e motivi di rapida diffusione e facile presa.

Aldo Mola inoltre conferma la presenza tra le file dei fascisti di “abili
divulgatori di antichi costrutti libero muratori133”, e trova analogie tra
“l‟autoritarismo superstizioso” del Grande Oriente e il “razzismo e ducismo”
delle file mussoliniane.

Nel Grande Oriente come nelle gerarchie fasciste si affermava la tendenza a


rimettere le questioni fondamentali a decisioni di vertice, eludendo il dibattito
quando questo minacciasse di condurre a contrasti troppo aperti, a frenare
l‟azione o a renderla inefficace.
130
Emilio Gentile, Storia del partito fascista, 1919-1922. Movimento e Milizia, Bari, Laterza 1989
131
Cfr. Gerardo Padulo, Contributo alla storia della Massoneria da Giolitti a Mussolini, in Annali dell’Istituto italiano
per gli studi storici, VII, 1983-84, Bologna, Il Mulino, 1988, 247-251
132
Aldo Mola, Storia della Massoneria Italiana, op. cit., p.492
133
Aldo Mola, Storia della Massoneria Italiana, op. cit., p.493
115
Il Grande Oriente lasciò spazio aperto alle ambiguità per quel che riguarda le
iniziative polico elettorali del tempo e questo favorì senz‟altro la funzione
coagulante sincretistica del fascismo; esso non impedì ad alcune Logge di
sostenere candidati fascisti.

Palazzo Giustiniani134non concesse al fascismo una delega a occhi chiusi


però, sebbene potesse approvare la recrudescenza del conflitto contro la parte
più violenta delle forze socialiste, avrebbe tuttavia dovuto frenare il fascismo
in caso di violenza che tracimasse e non fosse volta alla difesa.

Il Grande Oriente dette prova però di scarsa perspicacia nella valutazione


della realtà, soprattutto se stiamo alle valutazioni di Ubaldo Triaca135, secondo
il quale la Massoneria offrì ripetutamente sostegno al PNF e a Mussolini nella
via della conquista del potere , ma non fu all‟altezza della fama di cui godeva
e non riuscì a controllare uomini e cose.

Torrigiani ribadì la necessità di non assumere un atteggiamento ostile al


fascismo, nonostante che nel Mezzogiorno sembrasse onorare le Camorre e
nel nord invece accostasse le consorterie, e propugnava l‟apertura delle logge
alle iscrizioni dei fascisti e la moltiplicazione delle iscrizioni dei Massoni al
PNF.

Torrigiani il 22 ottobre del 1922 fece diramare una circolare nella quale il
Fascismo veniva giustificato come “rivolta necessaria” e approvato come
liberazione dalla confusione in cui versava il paese: fermo restante il dovere
dei Liberomuratori di vivere o morire per la gloriosa tradizione ed eroica della
libertà singola o comunitaria contro un‟eventuale oligarchia o dittatura136.

Palazzo Giustiniani anche se conservava l‟idea di essere al di fuori e al di


sopra dei partiti , si rendeva però conto che qualcosa non aveva funzionato
nella “massonizzazione del governo”.

Avrebbe dovuto far riflettere però la richiesta dello stesso Palazzo Giustiniani
di revocare l‟incarico a Parigi dell‟antifascista Ubaldo Triaca.

134
Dal 1901 al 1985 è stato la sede dell'organizzazione massonica del Grande Oriente d'Italia
135
Venerabile della Gran Loggia Italia di Parigi, obbedienza della Gran Loggia di Francia
136
Aldo Mola, Storia della Massoneria Italiana, op. cit., p.504
116
Prima della famosa legge di incompatibilità del 1923 dunque sia Palazzo
Giustiniani che Piazza del Gesù, con Torrigiani da una parte e Palermi
dall‟altra, come riferisce Michele Terzaghi137, erano convinti di poter
interloquire alla pari con Mussolini e il fascismo, salvo poi vedere la
distruzione della massoneria e la confisca di Palazzo Giustiniani e il confino
di Domizio Torrigiani e la diffidenza nei confronti di Roul Palermi e
l‟opportunismo nei confronti della sua massoneria da parte del Duce.

Il primo segretissimo incontro del Duce con Gasparri fu un‟ulteriore prova


dell‟inconciliabilità tra un governo, il suo, a forte impronta nazionalfascista e
un‟associazione che voleva col suo aperto anticlericalismo soprastare tutti i
partiti e soprattutto garantire il carattere laico dello stato libero dalle ingerenze
dello stato pontificio.

Mussolini voleva la trattativa con la Santa sede e stringeva il campo a quanti


ancora non avevano scelto tra fascismo e massoneria138.

Mussolini si presentava come il garante degli interessi della Chiesa e nella IV


riunione del Gran Consiglio del Fascismo, il 15 febbraio 1923, sancì
l‟incompatibilità tra iscrizione al PNF e appartenenza alle Logge.

La fusione coi nazionalisti e l‟incompatibilità con la Massoneria indicavano la


preclusione di Mussolini nei confronti di avventure fuori dal contesto
istituzionale; non veniva annunciata una discriminazione persecutoria nei
riguardi dei Massoni, di molti dei quali Mussolini avrebbe continuato a
servirsi ( Farinacci, Starace, Capello), ma di un invito ai Fratelli fascisti di
dimettersi dalle Logge allo scopo di evidenziare la diversità tra ordine e
fascista e ordine liberomuratorio e la sostanziale novità che il fascismo voleva
rappresentare nella storia italiana139.

Né Palazzo Giustiniani né Piazza del Gesù deliberarono misure di ritorsione


in risposta alla dichiarazione del Gran Consiglio; in particolare Piazza del
Gesù finse di ritenere che il decreto riguardasse solo gli affiliati
dell‟antagonista parte atea, sovversiva e irreligiosa di Palazzo Giustiniani.
137
Michele Terzaghi, Fascismo e Massoneria, Arnaldo Foldi Editore, Lavis 2010, pp.22-23, 41-42, 71-72
138
Aldo Mola, Storia della Massoneria Italiana, op. cit., pp.510-11
139
L’ordine liberomuratorio era una istituzione che arrivava da lontano in Italia ed era nata prima di ciascun partito
presente in Parlamento. Cfr A. Mola, op. cit, p.515
117
Torrigiani aveva accettato di confrontarsi con Mussolini sull‟unico piano da
lui imposto: garantire la sopravvivenza dell‟ordine.

L‟assoluto lealismo nei confronti del governo doveva garantire l‟esistenza


dell‟Istituzione senza impegnarla in uno scontro aperto e disperato, la
strategia di Torrigiani era però volta a mettere a nudo l‟intrinseca illegalità dei
metodi del Governo stesso.

Torrigiani a suffragio della sua posizione era disposto a barattare il


disimpegno fascista nei confronti dei massoni con l‟impegno a disinteressarsi
dei Fratelli antifascisti e di quelli che avrebbero scelto la via dell‟esilio sotto
l‟incalzare delle ostilità del PNF.

Torrigiani voleva indebolire il suo avversario e prepararsi a una possibile


successione al governo del paese quando il governo Mussolini fosse entrato in
crisi.

Le logge ferane invece, si sa, civettavano coi fascisti, cercavano di ingraziarsi


il regime e tranquillizzavano le comunioni estere sulla situazione interna della
Massoneria italiana.

Gli anni tra il 1923 e il 1926 videro la Massoneria impigliata in un groviglio


di combinazioni politiche, elaborazioni ideologiche e tattiche elettorali che
aveva contribuito a generare essa stessa negli anni precedenti all‟ascesa al
potere di Mussolini e che ora risultava più intricata per la restrizione dello
spazio politico e parlamentare imposto dal regime.

Alla vigilia delle elezioni politiche del 1924 sia le file di sinistra che il listone
fascista accoglievano singoli massoni, da parte sua però Palazzo Giustianiani
non intendeva fiancheggiare il regime, per la sola ragione che sarebbe venuto
a trovarsi altrimenti in aperta contraddizione contribuendo al successo degli
stessi uomini che devastavano e saccheggiavano le Logge di tutta Italia.

I massoni quindi divisi all‟interno, isolati dalla sinistra, ambiguamente


disposti a dare credito a Mussolini e i suoi, si ritrovarono a dover contare solo
su se stessi.

118
Inoltre Torrigiani protestò nel settembre del 1924 contro le devastazioni
fasciste delle Officine; lamentò l‟oltraggio al patriottismo di città come
Milano, Bologna, Venezia, Forlì, Bari, Taranto.

Torrigiani respinse le accuse che la Massoneria anteponesse gli interessi


stranieri a quelli patrii , rivendicando a pregio dell‟Ordine come fondamento
della vita politica le idee di libertà, sovranità popolare, autonomia dello stato
contro le ingerenze della gerarchia ecclesiastica, della giustizia per tutti, tutte
cose che il facsismo rifiutava.

L‟appello di Torrigiani sembrò al regime una sfida più che una richiesta di
comprensione.

Le violenze fasciste contro le venerabili logge perdurarono; il 1° gennaio del


1925 fu perquisita a Bologna l‟abitazione di Eugenio Jacca, alto dignitario
dell‟ordine.

Il pericolo, rappresentato dal fascismo, era tuttavia considerato transeunte e ci


furono nel 1924 molti risvegli e ritorni ai travagli massonici: Palazzo
Giustiniani si sentiva forte.

Andando ad analizzare i rapporti della Massoneria con la Santa Sede in questo


periodo, le disposizioni del Pontefice in occasione dell‟anno santo per
facilitare il ritorno dei massoni nel seno della chiesa suscitavano sospetti.

Penitenzieri e confessori avevano la facoltà di accogliere a braccia aperte


massoni confessi e penitenti che dovevano però consegnare al Santo Offizio
tutto il materiale, libri, manoscritti, simboli riguardanti la setta o al massimo
distruggerli, pena la mancata revoca della scomunica.

La chiesa di Roma nei confronti del grande Oriente e della Massoneria tutta
quindi non attenuava la rigida chiusura di sempre.

Il 22 novembre del 1925 due giorni dopo l‟approvazione da parte del senato
della legge sulle associazioni e quattro prima della pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale, Domizio Torrigiani scioglieva da ogni vincolo nei
confronti dell‟obbedienza gli affiliati, in questo modo non era stata l‟autorità a
disciogliere l‟ordine.

119
Il regime privò comunque di cittadinanza gli esuli, confiscò i beni, iscrisse sul
registro di frontiera i sospetti, istituì servizi spionistici; la persecuzione
sembrò ristagnare per un paio d‟anni, dal 1927 al 1928, perché faceva comodo
al regime, impegnato nella laboriosa stipula dei Patti Lateranensi.

Pare che Mussolini e Padre Tacchi Venturi poco più tardi però dovettereo
amaramente ammettere che di non Massoni forse in Palazzo Venezia erano
rimasti solo loro due, e che un silenzioso ma impressionante ritorno di Fratelli
dormineti in posizioni eminenti si stava realizzando140.

140
A. Mola, Storia della Massoneria Italiana, op. cit., p.604
120
Conclusioni

Abbiamo più volte, nel corso di questa trattazione, usato l‟espessione “guerra
di religione” per riferirci ai conflittuali rapporti tra Fascismo e Massoneria, e
di quest‟ultima anche con la Chiesa.

È doveroso a questo punto ricordare che benchè la Libera Muratoria non sia
una religione, è innegabile il suo rapporto con il sacro. Mircea Eliade sul
concetto di sacro e profano, nel suo Trattato di storia delle religioni, propone
un prototipo di homo religiosus che si contraddistingue per la dimensione del
sacro che lo ispira e lo guida nella comprensione dell‟Universo. Il libero
muratore è un homo religiosus che, mediante il rituale massonico, fa
esperienza della manifestazione del sacro che si contrappone al profano.

La scelta dell‟uomo di vivere la vita secondo principi etici lo porta a dover


scegliere tra sacro e profano: la dimensione del sacro è indispensabile e
fondamentale per ogni percorso iniziatico.

Roger Calleis nel suo L‟Uomo Sacro chiarisce il concetto che tra sacro e
religioso vi sia una certa contrapposizione, poiché mentre il primo ha valenza
nei legami sociali, il secondo invece è connesso a pratiche culturali e dogmi
delle religioni rivelate e si viene così a creare una certa dissociazione tra
sacralità e religiosità.

La Chiesa, secondo l‟opinione di Fabio Venzi, avrebbe dovuto allora cercare


di comprendere meglio i molteplici aspetti, le peculiarità che si trovavano
all‟interno del vastissimo e multiforme fenomeno della Libera Muratoria.

L‟avversione della Chiesa fu invece tanta e tale che risulta documentabile già
a partire dal 1738, quando emise conto la Massoneria la bolla di scomunica
In eminenti apostolatus specula di Papa Clemente XII.

A causa della chiara vocazione anticattolica e anticlericale dei Fratelli liberi


muratori e del carattere democratico - sociale dell‟ordine, contrario ad ogni
assolutismo spirituale-politico e negazionista verso dogmi assoluti, il rapporto
tra Massoneria e Chiesa rimase tormentato nei secoli.

121
La Comunione italiana propugnò il principio democratico dell‟ordine politico
sociale, attirandosi così l‟offensiva fascista che non vedeva di buon occhio la
sua internazionalità e la negazione del nazionalismo.

La I guerra mondiale doveva portare alla vittoria della democrazia sopra gli
assolutismi, consentendo ai Massoni italiani, dice Venzi, di accelerare la loro
azione anticattolica e antipapale, ma il risultato più manifesto fu la
proibizione in seguito, persino della libertà di stampa e di pensiero, nonché
della libera associazione di fatto.

Mussolini, ateo e anticlericale in principio, respinse in seguito questo spirito


anticattolico tipico della massoneria, dal momento che la religione, fonte di
insegnamento etico, avrebbe rappresentato il modo migliore per formare e
plasmare buoni cittadini, secondo i principi del giusto, del bello e dell‟onesto
e lo avrebbe portato infine ad affermare la sua assoluta supremazia.

Le storia insegnava che la forza papale, dopo la caduta dell‟Impero Romano


d‟Occidente, era l‟unica che poteva continuare la supremazia mondiale di
Roma.

Il Fascismo ereditò la mentalità antimassonica di Benito Mussolini e lo spirito


del nazionalismo che culminarono nell‟incompatibilità tra la qualità di fascista
e quella di massone.

La massoneria in Italia ebbe per tutti i motivi fin qui esposti, due nemici tra
loro alleati per reciproci interessi: Il Fascismo e la Chiesa.

122
Bibliografia

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