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DI PIO XII
Sommario
Introduzione 4
L'Autore 5
Pio XII possedeva davvero il dono della profezia? 5
Errando va la pace.(II°) 11
QUELL'ODIO IMPLACABILE È FORIERO DI TEMPESTE E CATASTROFI 11
PREGHIAMO PER LA GERMANIA... PER LA SUA UNITÀ 11
HO LA SENSAZIONE CHE NON ANDRÒ IN SVIZZERA 12
LA QUARTA ROSA È DI COLOR VIOLA 13
I KENNEDY LASCERANNO UN SEGNO 13
POTREBBE ESSERE UN SEGNO. .. 14
Errando va la pace.(III°) 15
QUANDO LO SPIRITO SANTO VERRÀ SU DI VOI 15
FRA QUINDICI ANNI SAREMO AGGREDITI 15
LA LORO PRIMA VITTIMA SARÀ L'AUSTRIA 16
QUANDO I SOMALI SBARCHERANNO IN ITALIA 16
NON SENTITE IL BOATO DELLA VALANGA CHE STA PRECIPITANDO? 17
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Il tempo della ricostruzione (I°) 26
IL MARXISMO SI ESPANDERÀ COME UNA MACCHIA D'OLIO 26
LE DIFFICOLTÀ DELLA NUOVA GENERAZIONE SARANNO MOLTE 26
NON SARÀ UNA GUERRA A CONCLUDERE ORRENDE PAGINE DI STORIA 27
E UNA DECISIONE CHE NON SERVE PIÙ 28
LA GUERRA CIVILE NON CI SARÀ 28
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LE PROFEZIE DI PIO XII
Introduzione
Quando ho iniziato la ricerca per realizzare questo libro, alcuni anni fa, ho chiesto la
collaborazione a diversi personaggi della gerarchia ecclesiastica. Ed è stata una esperienza
deludente perché nessun monsignore, nessun teologo ha preso una posizione chiara. I più
mi hanno detto che «è ancora presto per parlare del «Pastor Angelicus»; altri sono stati più
espliciti, dicendomi che «è un personaggio scomodo».
D'altra parte non poteva essere che così, se si tiene conto che ancora alla fine degli anni
Ottanta un porporato di Santa Romana Chiesa, durante una conferenza, dichiarava che «Pio
XII era un pontefice da dimenticare».
Io sono convinto invece che Pio XII sia un pontefice da ricordare. E dev'essere ricordato
soprattutto oggi, perché il «modernismo della Chiesa» ha finito per creare solamente
confusione e conflitti; e soprattutto perché tra molti giovani sta dilagando il desiderio della
«vecchia, santa tradizione», della vita ascetica, del rigore di una vita cristiana che ha il
coraggio di voltare le spalle ai paradisi consumistici.
Questo libro non vuole comunque entrare nel merito della personalità, dell'opera, della
politica di Pio XII. Vuole solamente far emergere i doni carismatici di questo «Papa
dimenticato».
Nei radiomessaggi, nelle memorie di coloro che furono vicini a Pio XII, nelle indiscrezioni e
nelle testimonianze del Movimento romano «Fede e tradizione», che nel 1959 diffuse un
documento sui vaticini di Papa Pacelli, si possono raccogliere velate, o esplicite
preveggenze, che hanno reso possibile la realizzazione di questo libro.
Non sono comunque il primo a parlare dei carismi di Pio XII. Già nel 1954, la Domenica del
Corriere dedicò a questo pontefice la copertina, dove appariva la figura di Gesù accanto al
letto di Pio XII infermo. Secondo testimonianze attendibili, mai smentite dalla Chiesa, papa
Pacelli ebbe altre visioni, soprattutto a Castelgandolfo, mentre passeggiava «in solitudine e
preghiera» lungo i viali dei giardini.
Se poi analizziamo gli eventi che hanno caratterizzato la vita di questo Pontefice, troveremo
una conferma sui doni carismatici. I maggiori avvenimenti che hanno caratterizzato la sua
vita portano infatti il sigillo magico del numero nove. Eugenio Pacelli nasce il 2 marzo 1876;
la doppia sommatoria di questa data ci da il nove. Viene eletto Pontefice al terzo scrutinio
del 2 marzo 1939. E abbiamo sempre il numero nove, nella doppia sommatoria. Quando
venne eletto Pontefice aveva sessantatre anni (6+3=9). Ed era il 261° successore di Pietro.
La sua vita terrena si concluse dopo nove ore di agonia, il 9 ottobre 1958. E qui la
sommatoria della data ci da un altro numero esoterico: il trentatre. Strano a dirsi, questo
numero emerge in un altro momento significativo della sua vita: il giorno in cui venne
consacrato sacerdote, il 2 aprile 1899.
Basterebbero queste considerazioni per dimostrare che ci troviamo dinanzi a un
personaggio carismatico. Un personaggio «segnato».
Ma c'è dell'altro.
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Il 13 maggio 1917, Benedetto XV, nella cappella Sistina, consacrava vescovo don Eugenio
Pacelli.
E nello stesso giorno compariva a Fatima la Madonna.
Le persone incapaci di vedere al di là dei limitati confini tangibili della vita, parlano di
coincidenze. Ma i pochi capaci ancora di «vedere e di sentire» capiscono che anche questo
è «un segno»: uno dei tanti segni che s'intrecciano attorno alla figura che il monaco
irlandese Malachia, già otto secoli fa, aveva definito «Pastor Angelicus».
L'Autore
1 «Preghiere e profezie del Pastor Angelicus», Fede e Tradizione, Roma 1959.
2 La dottrina esoterica dei numeri passò dai pitagorici ai Padri della Chiesa. Secondo questo
esoterismo, il numero nove viene considerato con particolari vibrazioni esoteriche, poiché
formato da tre triadi.
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Errando va la pace (I°).
Il 29 marzo 1926, monsignor Eugenio Pacelli, Nunzio Apostolico a Berlino, conferiva la mitra
vescovile a padre Michel d'Herbigny, un gesuita francese che sarebbe stato incaricato di
recarsi in Russia per consacrare segretamente diversi sacerdoti e anche alcuni vescovi.
Padre d'Herbigny portò a termine la delicata missione nel giro di sei settimane. E monsignor
Pacelli si congratulò con il presule.
In quell'occasione pronunciò anche parole dal contenuto profetico: «Abbiamo iniziato la
semina», disse, «poi verranno i frutti... la Chiesa sa attendere... è una madre premurosa,
che non abbandona mai i suoi figli, soprattutto nel momento della sofferenza».
E ancora: «La sofferenza è un seme prezioso, che darà grandi frutti... Nel Paese che ha
negato Dio, risorgerà la fede, per vivificare il mondo intero».
Mentre monsignor Pacelli pronunciava questo messaggio profetico, Stalin denunciava la
crociata clericale, guidata dal Papa - Pio XI -, contro l'Unione Sovietica. E, velatamente,
metteva in guardia il Vaticano.
Monsignor Pacelli non si lasciò intimidire da queste minacce. «Continueremo a seminare la
buona semente» disse «perché gli uomini passano, ma la Chiesa rimane...».
E le cose sono andate proprio così: Stalin è finito miseramente nel 1953, ma la Chiesa è
rimasta. E, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, sta risorgendo in tutta la sua grandezza.
Altri veggenti avevano profetizzato questa realtà. Un vaticinio della prima metà del XVII
secolo dice testualmente: «II nuovo fuoco che accenderà i cuori partirà dalla Madre Russia:
qui morirà Gesù e qui risorgerà, trionfante di gloria...».
In occasione della visita in Vaticano dell'ambasciatore tedesco Diego von Bergen, per
rendere omaggio alla salma di Pio XI, lo stato maggiore della Germania nazista fece
giungere in Vaticano la sua voce.
Il rappresentante a Roma del terzo Reich disse testualmente: «La Germania sta gettando le
basi di un mondo nuovo e le rovine del passato dovranno completamente scomparire».
Il «mondo nuovo» era la politica della croce uncinata, mentre il «mondo vecchio» era il
trattato di Versailles.
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Il cardinale Pacelli, riprendendo quelle parole, disse che si trattava di «un sottile inganno»
perché il «mondo nuovo» non era altro che il «mondo vecchio», con tutte le sue violenze,
con tutti i suoi inganni.
E aggiungeva: «È un mondo che ha scritto già all'origine la sua fine».
Sono parole che non si limitano a condannare la violenza in esse c'è la scintilla profetica.
Proviamo a considerare il momento storico. Hitler viene chiamato al potere nel gennaio
1933. Ma solo con la morte di Hindenburg, avvenuta il 2 agosto 1934, il capo nazista
divenne cancelliere del terzo Reich. È in questo momento che il programma nazista si
concretizza, destando molteplici interessi.
Ma il futuro Pio XII «nel germe dell'inizio vede la fine». E la fine coincide stranamente anche
con le date. Hitler diventa cancelliere nel mese di agosto e sempre nel mese di agosto, di
undici anni dopo, si conclude il necrologio della croce uncinata, con l'esplosione atomica di
Hiroshima.
Eisner Kurt, redattore del Vorwarts, dopo aver organizzato una serie di manifestazioni per
fare risorgere in Germania le varie etnie, nel novembre 1918 proclamò la Repubblica
Bavarese. E il popolo lo elesse presidente.
Furono giorni d'indescrivibile entusiasmo. Una cronaca del tempo dice a questo proposito
che «... tutta la Baviera è in festa». E in questa festa di popolo venne in qualche modo
coinvolta anche la Chiesa.
Il Nunzio Pacelli cercava però di frenare gli entusiasmi perché «sentiva» che la Repubblica
Bavarese avrebbe avuto un tempo breve.
«E una pagina di storia che si scriverà con il sangue», disse un giorno, dopo aver letto alcuni
quotidiani.
E il vaticinio si avverò nel giro di un anno, perché la proclamazione della Repubblica
Bavarese finì per provocare aspre reazioni nei nazionalisti.
Si aprì allora una orrenda pagina di sangue, che finì nel 1919 con l'assassinio del presidente
Eisner Kurt. Fu un fanatico militante del partito patriottico bavarese a premere il grilletto,
chiudendo così la breve storia della repubblica.
Il Nunzio Pacelli apprese la ferale notizia da alcuni sacerdoti che si trovavano nei paraggi del
luogo dove venne consumato il crimine. «Purtroppo» disse il Nunzio Pacelli «temevo una
conclusione del genere, perché tutto quello che viene edificato con la violenza finirà, prima o
poi, per essere distrutto dalla violenza. ..». «Non è poi con la divisione del popolo che si
risolvono i problemi; anzi, le divisioni non fanno altro che complicare i problemi».
Altre erano le soluzioni che si dovevano prendere per la rinascita della Germania.
Ma il Nunzio Pacelli era poco ottimista, quasi come se presagisse l'avvento del nazismo, con
le sue tragiche conseguenze.
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QUANDO IL PONTEFICE SARÀ ITINERANTE
«Arriverà un giorno in cui il Pontefice sarà itinerante... raggiungerà
le terre più lontane e più abbandonate...».
Un decreto del Santo Uffizio poneva all'indice, nel 1937, il libro Il razzismo di G. Cogni, dove
si arrivava a conclusioni incredibili: «... Vi sono razze nate per il comando e vi sono razze
nate per servire». E non basta. «La prima razza eletta è quella ariana, poi c'è quella
romana...».
Sono aberrazioni neo-pagane che venivano insegnate in Germania dai vari Rosenberg.
Il cardinale Pacelli caldeggiò l'intervento del Santo Uffizio per condannare simili aberrazioni
e pronunciò, in quel tempo, alcune frasi che andrebbero, soprattutto oggi, meditate: «... Il
razzismo è da condannare, senza alcuna riserva. Non ci sono difatti razze destinate a
comandare e razze destinate a servire... Ma questa aberrazione non si stroncherà
facilmente, perché quando sarà tramontato il mito della superiorità della razza ariana,
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sorgeranno altri miti... La razza bianca si sentirà superiore e questo finirà per creare uno
stato di disagio, di conflitto permanente».
Soprattutto l'Europa si è già avviata su questa strada. E le conseguenze, spesso tragiche, si
stanno già vedendo.
Le cronache di tutti i giorni riportano episodi d'intolleranza razziale, che finiranno per creare,
come aveva previsto il futuro Pio XII, «gravi problemi nei rapporti internazionali».
E non va sottovalutato «il rigurgito delle dottrine di superiorità della razza ariana», che
trovano, soprattutto nell'Europa centrale, un seguito tra i giovani.
Ci troviamo dinanzi a una «impressionante realtà», che il cardinale Pacelli aveva
profetizzato oltre mezzo secolo fa.
«I cattolici hanno una carta del lavoro che proviene direttamente dal Vangelo e dai Padri
della Chiesa, una carta sapiente che ha fatto le sue prove... Leone XIII non ha aspettato
Lenin per presentare al mondo i bisogni e la grandezza dei lavoratori».
È questo un commento della stampa cattolica, nel tempo in cui la Spagna diventava «una
macelleria di preti e di suore», cioè nel 1936.
«Il comunismo», scriveva il cardinale Verdier, «è nato dalla dottrina di Marx. Ecco perché
l'ateismo, il materialismo, la violenza, il ripudio della carità... sono aspetti essenziali della vita
che il comunismo vuole instaurare».
Il cardinale Pacelli, parlando con alcuni collaboratori, senza fare riferimenti alla politica
sociale del tempo, disse che: ««Nel Vangelo troviamo giusti insegnamenti per la redazione
di una carta del lavoro capace di dare al lavoratore quella dignità di cui ha diritto...».
E ancora: «Arriverà un tempo in cui a ognuno sarà data la giusta mercede... Arriverà un
tempo in cui si parlerà di dignità del lavoratore... Ma la dignità del lavoratore potrà essere
concretizzata solamente quando si attingerà all'insegnamento evangelico».
Questo vaticinio non si è ancora avverato, anche se le condizioni di vita dei lavoratori sono
sensibilmente migliorate.
Solo l'insegnamento evangelico riuscirà un giorno a risolvere il secolare conflitto tra il
capitale e il lavoro.
E questo, probabilmente, avverrà quando crollerà la seconda «aberrazione disastrosa», cioè
il capitalismo che, secondo anche le parole di Giovanni Paolo II, «... ha fatto male, quanto il
collettivismo». Solo allora, l'uomo scoprirà una nuova legge per regolare il rapporto di lavoro
e per distribuire giustamente la ricchezza.
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NESSUNO INCENDIERÀ LE CHIESE DEL MONDO
«Quando il tempo delle persecuzioni sarà finito, il suono delle
campane si espanderà più forte di prima».
Iaroslavski, il capo del movimento ateo russo, parlando al Cremlino dichiarò che: «... Noi
vogliamo incendiare in un vasto mare di fuoco tutte le chiese del mondo... Il nostro
movimento è diventato una enorme potenza che estirperà ogni sentimento religioso... La
nostra opera minerà le fondamenta del vecchio mondo. I servi di tutte le confessioni devono
sapere che nessun dio, nessun santo, nessuna preghiera potrà salvare il mondo
occidentale».
Il cardinale Pacelli, in più occasioni manifestò il suo chiaro, schietto pensiero sulla
propaganda ateista. «Il comunismo», dichiarò, «aggredisce la chiesa cattolica perché è la
più pura e la più forte rocca della fede in Dio... Il comunismo pertanto combatte la religione, il
cristianesimo perché lo considera un ostacolo dominante al materialismo, che vuole
conquistare le masse...».
In altre occasioni, con lucidità profetica, disse che: «... Nessuno incendierà le chiese del
mondo perché la fede è indispensabile, quanto l'aria... La Chiesa e la fede resisteranno
all'urto delle dottrine materialiste; e, quando il tempo delle persecuzioni sarà finito, il suono
delle campane si espanderà più forte di prima...».
Il programma di Iaroslavski naufragò nel giro di pochi anni e, come aveva previsto il futuro
Pontefice, «il suono delle campane finì per espandersi più forte di prima».
E un vaticinio che si sta avverando in questi nostri tempi. Vediamo difatti che, dopo il crollo
dell'Unione Sovietica, le chiese riaprono le porte ai fedeli.
E passato mezzo secolo, ma la fede - come aveva profetizzato il cardinale Pacelli - «rimane
sempre indispensabile, quanto l'aria». E questo anche per l'ex Unione Sovietica.
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Errando va la pace.(II°)
Siamo nel 1936. Dal Cremlino, il comitato esecutivo dei Soviet e l'Intemazionale Comunista
lanciano parole di odio contro l'Occidente e, in particolare contro la Chiesa Cattolica.
Il vessillo rosso sventola minaccioso dinanzi al mondo e la stampa clandestina assicura che
«la nuova civiltà avrà uno sviluppo all'ombra della falce e del martello».
Il cardinale Pacelli viene portato a conoscenza «delle turpi barbarie, dei delitti innominabili»
che si compiono ogni giorno sul suolo della martoriata Russia. E, mentre il pontefice Pio XI
«condanna apertamente il bolscevismo», il suo Segretario di Stato commenta le parole del
Pontefice con un velato tono profetico: «... Quell'odio implacabile è foriero di tempeste e di
catastrofi... L'Unione Sovietica sta seminando l'odio, e sarà travolta e annientata dallo stesso
odio che semina... Arriverà un giorno in cui l'impero sovietico si sgretolerà, come una
vecchia pietra. Solo allora la Russia ritornerà a vivere con dignità; solo allora ognuno potrà
professare la sua fede; solo allora la famiglia e la società ritroveranno la loro giusta, naturale
collocazione».
E ancora: «I governi di tutte le nazioni occidentali devono aprire gli occhi e nella triste
visione di un avvenire fosco... devono affrontare la realtà con coraggio».
Il cardinale Pacelli pronunciò questa frase poco tempo prima di partire per gli Stati Uniti
d'America. E venne ripresa anche dalla stampa americana, che accolse il delegato pontificio
con grande entusiasmo e devozione; tributando gli onori che si devono a un «messaggero di
pace».
Il vaticinio è del dicembre 1929. Nel salone centrale della Kroll Oper, durante una serata
d'onore offerta dalla nobiltà cattolica di Berlino, il Nunzio Apostolico Eugenio Pacelli
annunciò che la sua missione in Germania era finita.
Il 9 dicembre si congedò dal presidente Hindenburg. E questi ebbe parole di viva
riconoscenza per l'opera che il vescovo Pacelli aveva svolto in Germania.
Il giorno seguente celebrò l'ultima messa nella sua cappella privata, al termine della quale
s'intrattenne con gli amici e i collaboratori.
«Così è la vita!» esclamò il Nunzio Apostolico. «... È una separazione continua». Poi
aggiunse: «Preghiamo per la Germania, per la sua unità».
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Le persone che erano presenti si guardarono reciprocamente, nella speranza di trovare una
spiegazione a queste parole.
Il giorno seguente, il vescovo Pacelli partiva dalla stazione di Aunhalt alla volta di Roma. E
durante il Concistoro del 16 dicembre veniva nominato cardinale.
In altre occasioni il presule invitò a pregare «per l'unione della Germania», quando la
Germania era «un blocco unico, compatto, potente». Ma in queste parole si celava la
preveggenza sul futuro della Germania, quando, dopo l'ultimo conflitto mondiale, venne
divisa in quattro parti, dalle nazioni vincitrici.
Nell'estate 1945, quasi per «concludere» questo vaticinio, Pio XII disse: «Ora, più che mai, è
giunto il momento di pregare per l'unione della Germania... Per la sua ricostruzione, perché il
suo cuore ritorni a battere in Europa.
E quarantanni dopo, il cuore della Germania ritornò a battere in Europa.
Il 10 febbraio 1939 muore Pio XI, e il cardinale Pacelli assume la funzione di Camerlengo di
Santa Romana Chiesa. Il compito di organizzare tutte le cerimonie inerenti i funerali del
pontefice e l'apertura del Conclave non era certamente leggero.
Se poi si considera anche il clima politico del momento, si può ben immaginare la fatica e la
tensione alla quale veniva sottoposto il cardinale Pacelli.
La stampa fascista e nazista, nell'elencare i papabili, escludeva regolarmente Pacelli. Ciano
aveva manifestato apertamente il desiderio del duce di escludere dalla rosa dei papabili il
nome di Pacelli. E il giornale di Farinacci Regime fascista scriveva che: «... si sta
congiurando per eleggere un papa politico; e questo finirà per provocare uno scisma». Das
Schwarze Korps, il giornale delle S.S., era ancora più pesante: «II cardinale Pacelli»
scriveva, «non può essere eletto».
Al fine di assicurare al cardinale Pacelli un periodo di riposo in Svizzera, dopo le fatiche e le
amarezze di quei giorni, i suoi diretti collaboratori si misero in contatto con un convento
svizzero per preparare al cardinale una adeguata accoglienza. Il cardinale Pacelli, messo al
corrente dell'iniziativa, ringraziò e disse: «Mi piacerebbe andare, ma ho la netta sensazione
che questo mio desiderio non potrà essere realizzato».
Era una premonizione. Pochi giorni dopo il cardinale Pacelli venne eletto Pontefice. E il
desiderio di trascorrere qualche giorno di riposo in Svizzera non fu possibile realizzarlo.
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LA QUARTA ROSA È DI COLOR VIOLA
«... Porterò queste tre rose al pontefice... C'è una quarta rosa che
gli occhi non vedono: ha il colore della settimana santa e
rappresenta il nostro domani».
Prima che il cardinale Pacelli lasciasse Roma per rappresentare la Santa Sede al
Congresso Eucaristico in Francia, Pio XI pregò il suo stretto collaboratore di portargli da
Lisieux tre rose, che avrebbero simboleggiato tregrazie speciali.
Siamo nel luglio 1937. La situazione internazionale è precaria. La Germania nazista ha da
poco inviato nella zona della Renania, confinante con la Francia, forti contingenti militari. In
Italia si stava diffondendo «la febbre dell'impero», mentre in Russia si attuavano le purghe
staliniane.
A Lisieux, il cardinale Pacelli inaugurò l'imponente tempio dedicato a santa Teresa del
Bambino Gesù, poi andò nel monastero a visitare la sorella della Santa. In seguito andò a
Parigi e durante il pontificale a Nòtre Dame pronunciò un discorso dai contenuti profetici. Si
soffermò a considerare «le fosche nubi che apparivano all'orizzonte» e invitò a pregare
affinchè «le forze del male non avessero il predominio».
Prima di lasciare la Francia, secondo il desiderio del Pontefice, i cattolici di Lisieux gli fecero
pervenire tre rose.
Il cardinale Pacelli le osservò. «Sono bellissime», disse. Poi il suo volto si velò di tristezza. E
aggiunse: «C'è una quarta rosa che i vostri occhi non vedono: ha il colore della settimana
santa e simboleggia il domani dell'umanità».
La profezia stava per avverarsi. Due anni dopo, la Germania scatenava il secondo conflitto
mondiale. Era l'inizio di una «lunga settimana di passione».
Nel 1936 il Segretario di Stato Eugenio Pacelli venne inviato a visitare gli Stati Uniti
d'America. Fu il pontefice Pio XI a prendere questa decisione, «scegliendo la persona
giusta».
E così, l'8 ottobre, la radio e la stampa diffusero la notizia che il cardinale Pacelli si era
imbarcato sul transatlantico «Conte di Savoia» diretto negli Stati Uniti. Durante la sua breve
permanenza «nelle terre d'oltre oceano» ebbe tre incontri, sui quali polarizzò l'attenzione la
stampa mondiale.
A Chicago incontrò il cardinale Mundelein, di origine tedesca, con il quale ebbe uno scambio
d'informazioni sulla persecuzione della Chiesa in Germania.
Alcuni giorni dopo, incontrò il presidente Roosevelt, nella residenza di campagna di Hyde
Park. Roosevelt era stato rieletto da pochi giorni alla presidenza degli USA e aveva
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espresso il desiderio di trattare con il rappresentante della Santa Sede soprattutto due
argomenti: il nazismo e il comunismo.
Nel pomeriggio, venne organizzato anche un incontro nella casa del finanziere Joseph
Patrick Kennedy, sostenitore di Roosevelt.
Il presule conversò a lungo con il capofamiglia, con John, con Robert e con il piccolo
Edward. I giornali del luogo dissero che «la famiglia Kennedy ha avuto una benedizione
particolare».
E, rientrando in Italia, il cardinale Pacelli, disse che «la famiglia Kennedy avrebbe
certamente lasciato una traccia nella storia degli Stati Uniti d'America... Ma la gloria, il dolore
e il mistero si sarebbero intrecciati nella stessa corona».
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Errando va la pace.(III°)
Alla fine di maggio 1938 si aprì a Budapest il XXXIV Congresso Eucaristico Internazionale,
presieduto dal cardinale Pacelli.
Il 23 maggio giunse nella capitale ungherese il presule, ricevuto dalle autorità civili e
religiose nella chiesa dell'Incoronazione. E al fine della cerimonia pronunciò un discorso dai
contenuti profetici, citando anche gli Atti degli Apostoli.
Riferendosi ai cattolici ungheresi disse: «... riceverete la potenza quando lo Spirito Santo
verrà su di voi».
E la potenza, l'Ungheria la riceverà nel 1956, quando il 23 ottobre di quell'anno, studenti e
operai diedero il via a una generale rivolta, che si allargò a macchia d'olio, chiedendo a gran
voce il ritiro delle truppe sovietiche. Venne formato un governo di unità nazionale, ma
l'intervento dell'Unione Sovietica spense la fiaccola della libertà.
Le truppe sovietiche soffocarono la voce dei rivoluzionali. E l'Ungheria precipitò nuovamente
nella dittatura.
Al termine del secondo conflitto mondiale «venne riconosciuto de facto all'Unione Sovietica il
diritto d'influenzare l'Europa Orientale». E furono «gli anni delle catacombe».
Ma lo Spirito Santo non abbandonò mai l'Ungheria. E con la caduta dell'Unione Sovietica «le
campane di tutte le chiese di Budapest suonarono a festa».
In una tiepida mattinata primaverile del 1924 il Nunzio Apostolico monsignor Pacelli si
trovava al suo tavolo di lavoro alla nunziatura di Monaco, quando si aprì violentemente la
porta dello studio.
Alcuni uomini dall'aspetto sinistro gli intimarono di lasciare la nunziatura. Uno di questi
estrasse una pistola.
La concitata discussione che ne seguì destò l'attenzione di suor Pascalina Lehnert, che si
trovava in una stanza accanto.
La religiosa accorse in difesa del monsignore. E così fecero anche altre persone addette alla
nunziatura.
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Gli uomini - che poi risultarono attivisti anarco-sindacalisti -, vista la malpartita, decisero di
abbandonare il campo.
Uscirono sbattendo la porta. E monsignor Pacelli, dopo essersi ripreso da quella imprevista
violazione della nunziatura, ringraziò le persone che erano accorse in suo aiuto. Con poche,
ma significative parole, commentò l'accaduto. E poi aggiunse: «Oggi assistiamo impotenti
alle minacce... Fra quindici anni arriveremo all'aggressione... Saranno comunque travolti
dalla loro stessa violenza».
Si tratta di una profezia che si è avverata con una precisione impressionante. È difatti
quindici anni dopo, cioè nel 1939, che la Germania nazista aggredisce la Polonia,
scatenando il secondo conflitto mondiale.
Sarà una tragedia che durerà sei anni. Ma infine «la violenza finirà per travolgere la stessa
violenza», come il futuro Pontefice aveva profetizzato.
Il 18 agosto 1925, Eugenio Pacelli, dopo una proficua attività diplomatica a Monaco di
Baviera, venne nominato Nunzio Apostolico a Berlino. Nel giro di pochi giorni prese
possesso del palazzo della Nunziatura, alla Rauchstrasse, 21. E si mise subito al lavoro.
La marchesa d'Ormesson, che collaborava con la Nunziatura, mentre accompagnava un
giorno il Nunzio Apostolico dal presidente Hindenburg, vide passare lungo la strada Adolf
Hitler, seguito da un gruppo di fanatici. Lo indicò al presule, che fece rallentare la vettura,
per meglio vedere il capo nazista.
Rimase qualche istante in silenzio, poi disse: «Ho avuto una impressione sgradevole.
Quell'uomo mi ha dato angoscia... seminerà violenza e dolore». E aggiunse: «La prima
vittima sarà l'Austria... Ci sarà sangue e ci sarà morte. E l'Austria cesserà di essere Austria».
In queste parole c'è la profezia su Dolfuss e sul destino dell'Austria. Il cancelliere austriaco,
che si oppose tenacemente ai nazisti, tanto da sciogliere, nel settembre 1933, il partito
nazista austriaco, venne ferito nel mese di ottobre; e nel luglio 1934 venne assassinato. È
da notare che il vaticinio del Nunzio Apostolico parlava di «sangue» e poi di «morte», quasi
a voler indicare il ferimento e, in un secondo tempo, l'assassinio.
In seguito, le truppe tedesche entrarono in Austria e, con una legge speciale, venne
proclamata l'annessione dell'Austria al Reich. L'Austria cessò così di esistere, per diventare
Oesterreich Ostmark, Marca d'Oriente.
5 maggio 1936: l'Italia ha il suo impero. Intere famiglie di coloni italiani lasciano le loro terre,
per imbarcarsi e andare a colonizzare le terre d'oltremare.
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C'è tanto entusiasmo, ma ci sono anche tante preoccupazioni. Il Vaticano aveva sollecitato
Roosevelt per evitare un nuovo spargimento di sangue. Ma nessuno intervenne.
Si stava preparando la scacchiera del secondo conflitto mondiale. Ma erano ben pochi a
rendersene conto.
Due mesi prima, Hitler aveva lanciato la Wehrmacht contro la Renania.
Il cardinale Pacelli aveva la visione ben chiara di quanto maturasse. Ce lo conferma anche
un suo articolo apparso in quelle fatidiche giornate, sulle pagine dell' Osservatore Romano,
nel quale si richiamava, tra l'altro, il governo di Parigi alle sue responsabilità.
La Chiesa non prese una posizione ufficiale sull'impero italiano. Diversi vescovi coltivarono
invece iniziative personali per le quali il fascismo espresse il suo compiacimento.
Non era dello stesso parere il cardinale Pacelli, che un giorno, parlando con alcuni stretti
collaboratori disse: «... Le famiglie che si imbarcano per andare a lavorare nelle terre
d'oltremare sono da ammirare... sono persone coraggiose... non si chiedono però quanto
durerà la loro avventura».
In altra occasione disse: «Oggi sono gli italiani che sbarcano in Somalia e in Etiopia...
domani saranno i somali e gli etiopi che sbarcheranno in Italia».
E le cose sono andate così. L'avventura africana è durata pochi anni. Molte famiglie italiane
sono finite nei campi di concentramento inglesi, perdendo ogni proprietà.
Mezzo secolo dopo iniziò l'immigrazione di etiopi e somali che, spinti dalla miseria, cercano
nella terra degli ex invasori un pezzo di pane.
«Urge stringersi intorno a Roma per sostenere il formidabile urto della città di Satana...».
Sono parole pronunciate dal cardinale Pacelli, poco prima di salire al soglio pontificio.
Sono parole che confermano la sua «lucida» visione sul futuro. E sono ancora più
significative, se si considera che vennero pronunciate mentre la Germania continuava a
parlare di «guerra lampo». E il fascismo riempiva le città con i manifesti del «drago rosso», il
comunismo, che bisognava annientare «in nome di Dio».
C'era una infatuazione popolare. C'era «la sicurezza» che la vittoria sarebbe stata «a portata
di mano».
Nessuno si rendeva conto però della valanga che stava per precipitare sull'umanità.
Nessuno si rendeva conto della tragedia alla quale si andava incontro.
Quando il Signore «raccolse» l'anima beata di Pio XI qualcuno riportò una frase del
cardinale Pacelli, ancora una volta dai contenuti profetici: «La misericordia del Signore»,
disse il futuro Pontefice «è stata clemente perché ha voluto evitargli di assistere a una
tragedia, che coinvolgerà il mondo intero».
E la tragedia, purtroppo, finì per travolgere il mondo intero, seminando dolore e morte.
La valanga profetizzata dal cardinale Pacelli stava diventando una tragica, dolorosa realtà.
Una realtà che implicò milioni di morti.
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Ma ben pochi avevano capito il messaggio del nuovo Pontefice, perché in quel tragico
tempo era l'unica persona «illuminata, capace di vedere il domani».
18
Una valanga di dolore (I°)
Nel giorno della Pentecoste del 1943, Pio XII parlò agli operai, affrontando con parole chiare
«il pericolo incombente del comunismo».
Sono parole che si ripeteranno con una certa insistenza anche in altri discorsi, perché il
pericolo comunista andrà aumentando nel tempo e finirà per coinvolgere soprattutto le
persone semplici, le persone che non erano capaci di vedere «altra alternativa al
capitalismo... senza considerare che il comunismo finisce per creare il peggiore dei
capitalismi: il capitalismo di Stato».
«I comunisti», disse il Pontefice nel discorso di Pentecoste del 1943 «... sono falsi pastori
poiché danno a credere che la salvezza deve procedere da una rivoluzione che tramuti la
consistenza sociale... La rivoluzione si vanta di innalzare al potere la classe operaia: vana
parola e mera parvenza di impossibile realtà! Di fatto voi vedete che il popolo lavoratore
rimane legato e stretto alla forza del capitalismo di Stato... No, non è nella rivoluzione la
salvezza vostra!».
Pio XII vedeva, anche per l'Italia, la meta finale del comunismo: il capitalismo di Stato. E
questa netta visione l'aveva soprattutto quando una frangia della Democrazia Cristiana iniziò
a coltivare «vaghe simpatie per una democrazia rossa».
Dieci anni dopo, un giornale della capitale usò per la prima volta il termine
«comunista-cristiano». E la reazione del Pontefice fu immediata.
«Il cristiano non potrà mai essere comunista!» esclamò.
E non poteva essere che così, anche perché nel 1949 i comunisti erano stati scomunicati.
«La scomunica», dichiarò allora un componente della Sacra Congregazione del Sant'Uffizio
«è una diga, per la difesa della Chiesa, della fede...».
Alla luce della storia futura, si potrebbe dire che il crollo del sistema comunista sia iniziato da
questa scomunica.
Fu un provvedimento criticato da molti, ma che pose il cristiano davanti a una chiara, netta
scelta: con Cristo o contro Cristo!
Nel radiomessaggio natalizio del 1943 appare, seppur velata, la speranza di un nuovo
ordine sociale, «in difesa dei diritti della persona».
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La guerra è nella «fase acuta». Ma Pio XII «vede» oltre. E parla già di ricostruzione e di
ricerca di «una giustizia sociale».
Nel gennaio 1944, ritorna sull'argomento, dicendo che: «I tempi saranno lunghi, o meglio...
saranno brevi i tempi di ricostruzione delle case, mentre saranno lunghi i tempi di
ricostruzione di un nuovo ordine sociale... Sidovrà superare il Millennio, prima che si possa
concretizzare una nuova giustizia sociale».
Poi, aggiungeva: «Molte saranno le tensioni sociali, le lotte, gli egoismi, nei quali si troverà
coinvolta l'umanità... Avremo la pace, ma non si vivrà la pace, perché tra le componenti
sociali la lotta sarà aspra: costerà sacrifici, dolori e sangue. E non approderà a nulla».
«Solamente quando verrà riscoperto l'uomo, si potrà impostare una nuova legge di vita».
E poi, nelle parole del Pontefice, c'è un riferimento ai due blocchi che si contendono il
dominio del mondo: «... Si dovranno superare aberranti dottrine economico-sociali, si dovrà
superare la rigida legge del profitto, per scoprire una legge che dia a tutti gli uomini la
possibilità di una vita dignitosa... Non è ammissibile che da una parte manchi il pane e
dall'altra si sciupi il pane; non è ammissibile una diffusa povertà nascosta, dignitosa, unica
amara compagnia di tante, di troppe persone anziane».
Con queste parole, Pio XII tracciava un quadro profetico sulla cruda realtà dei nostri tempi:
una realtà che si vuole nascondere e che verrà superata solamente con un «nuovo ordine
sociale», le cui radici troveranno fertile terreno nell'insegnamento evangelico.
Alla vigilia del secondo conflitto mondiale, Pio XII scriveva: «Preghiamo con animo semplice
e instancabile la soavissima Madre di Dio, che il popolo russo venera e moltissimo ama,
affinchè impetri per i desolati figli, nel più breve spazio di tempo possibile, il magnifico dono
di Dio: la libertà di professare la fede».
E nel 1952 consacrava al Cuore Immacolato di Maria la popolazione della Russia.
Fu allora che disse: «II Cuore Immacolato di Maria salverà la Russia». E ancora: «Passerà
questo tempo e la fede ritornerà a splendere in Russia... Un giorno la sua fulgida luce si
vedrà da Occidente a Oriente».
Questo vaticinio s'incrocia con altre due profezie. Il martire polacco Massimiliano Kolbe,
parlando a un gruppo di amici disse: «Vedrete un giorno la statua dell'Immacolata
Concezione nel centro di Mosca; sarà eretta in alto, sul Cremlino».
E c'è anche il vaticinio del vescovo americano Sheen. «La piazza Rossa», disse il presule
«si chiamerà in un tempo non lontano dal Duemila, piazza Bianca. Il martello e la falce
faranno posto l'uno alla croce di Cristo e l'altra alla mezzaluna sulla quale posano i piedi
della Signora del cielo... E la piazza Rossa sarà dedicata alla Madonna».
Su questa strada sono già stati mossi i primi passi. Ma ci saranno ancora grandi
cambiamenti.
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PIETRO GETTERÀ LE SUE RETI IN POLONIA
«II popolo polacco risorgerà... E sarà qui che Pietro getterà le sue
reti».
In alcune lettere scritte da Pio XII all'episcopato polacco, si scorge «l'ansia del veggente»,
per i grandi «disegni che avrebbero posto la Polonia al centro del mondo».
Quando il 17 settembre 1939, Stalin pugnalò alle spalle i polacchi e poi si spartì, assieme
con la Germania nazista, la Polonia, il Pontefice disse: «I tempi saranno duri, ma il popolo
polacco risorgerà... E sarà qui che Pietro getterà le sue reti».
Il vaticinio si avverò molti anni dopo, quando al soglio di Pietro salì un cardinale polacco:
Karol Wojtila. Ma, prima di arrivare a questo, la Polonia conobbe le privazioni, la sofferenza,
l'umiliazione e le persecuzioni.
Nel 1953 il vescovo Wyszynski venne imprigionato. E nelle carceri finirono molti religiosi,
accusati di cospirare contro il regime.
Ma Pio XII aveva la certezza della «resurrezione» del generoso popolo polacco. Durante
un'udienza, papa Pacelli ricordò l'inno polacco «della speranza». E disse «che la speranza
doveva diventare certezza, perché gli occhi della Chiesa guardavano con amore la terra
polacca».
Alla fine esclamò: «No! La Polonia non è finita. Scriverà ancora mirabili pagine di storia...».
Sono parole profetiche che però, in quel tragico momento, non era facile capire.
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Sono parole dal contenuto profetico perché lasciano intendere che «negli anni futuri si
registreranno cambiamenti climatici nel ciclo delle stagioni».
Questo vaticinio ha dei riscontri in altri messaggi profetici, dove si dice che: «...
Scompariranno le stagioni intermedie e si arriverà al giorno in cui l'inverno sposerà l'estate».
E ancora: «II brusco passaggio dal freddo al caldo, e viceversa, provocherà pestilenze. E
molti ne soffriranno».
Se analizziamo attentamente il clima e il ritmo delle stagioni e se consideriamo le lesioni
provocate dai gas alle fasce di ozono che avvolgono la terra, possiamo ipotizzare di essere
già entrati nel tempo in cui le stagioni intermedie scompariranno «perché assorbite dal
grande freddo e dal grande caldo».
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Una valanga di dolore (II°)
Nella primavera del 1943 monsignor Maglione sottolineava al Pontefice il suo punto di vista
per «dipanare l'intricata matassa politico-militare-istituzionale nella quale l'Italia si era
impigliata».
«Arrivati a questo punto», dichiarava il presule «è necessario che l'Italia esca dal conflitto.
Ed è necessario fare capire a Mussolini che è arrivata l'ora di andarsene».
Ma quali erano le condizioni di pace che gli americani intendevano porre all'Italia?
L'ambasciatore Myron Taylor aveva già dato una risposta a questo interrogativo:
abbattimento del fascismo, formazione di un governo militare, occupazione militare del
Paese.
Teoricamente sembra un piano attuabile: «L'unico piano possibile per evitare le reazioni
tedesche».
Ma Pio XII aveva il dono carismatico «di vedere al di là del presente». «Non illudiamoci»,
disse un giorno «perché un'azione del genere spaccherebbe l'Italia in due, aumentando le
sofferenze e i lutti... L'Italia verrebbe invasa dai tedeschi e gli italiani finirebbero per
combattersi fra di loro».
«Ci sarebbe però la garanzia degli Alleati», precisò monsignor Maglione.
«Non basterebbe», aggiunse il Pontefice.
Gli eventi storici confermarono in seguito «la giusta visione» del Pontefice.
Dopo la destituzione di Mussolini, i tedeschi invasero l'Italia. Venne costituita la Repubblica
Sociale Italiana e, purtroppo, gli italiani finirono per combattersi fra di loro, seminando
sofferenze e lutti.
Come aveva profetizzato il Pontefice.
In Vaticano giunsero precise notizie di un piano escogitato da Hitler «per isolare il Vaticano e
trasferire il Pontefice a Wartburg, nell'Alta Slesia, o nel Liechtenstein». Ma Pio XII non si
preoccupò.
«Io non lascio Roma per nessun motivo», disse «e non è comunque il caso di preoccuparsi,
perché la Germania nazista non farà in tempo a realizzare questo irresponsabile piano».
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La «chiara convinzione» del Pontefice non impedì però alla Segreteria di Stato di preparare
un contropiano, che sarebbe scattato nel momento in cui il Pontefice si sarebbe trovato in
pericolo.
Il progetto venne affidato all'ingegner Enrico Galeazzi.
Nella prima fase, prevedeva un provvisorio rifugio del Pontefice in un palazzo sulla costa di
San Felice Circeo. Qui sarebbe stato imbarcato su una nave spagnola che l'avrebbe portato
nella penisola iberica, affidandolo alla protezione di Francisco Franco.
Pio XII, quando venne a conoscenza di questo progetto, ringraziò per «le premure rivolte
alla sua persona», e poi sorrise: «Non è il caso di progettare operazioni di questo genere»,
disse «perché potranno fantasticare su tutti i piani che vogliono... ma non faranno in tempo a
realizzarli».
E fu proprio così. Hitler, che aveva impartito gli ordini «per liquidare il Vaticano», decise di
soprassedere «per qualche tempo».
Alla Germania nazista, come aveva profetizzato il Pontefice, mancava ormai il tempo
materiale per concretizzare un piano che, in seguito sarà definito da tutti gli storici
«irresponsabile».
Da poche settimane l'Italia era entrata in guerra quando, una notte, alcuni aerei inglesi
sorvolarono Roma, lanciando manifestini.
Il cardinale Maglione protestò subito con Churchill, attraverso il delegato apostolico a
Londra.
C'era il pericolo che anche Roma venisse bombardata. E sembra che gli USA avessero
consigliato il Pontefice di trasferire altrove la Sede Pontificia. L'Osservatore Romano
precisava però che «Pio XII non avrebbe per nessun motivo lasciato Roma».
L'arcivescovo di New York, Spellman, aveva anche prospettato l'opportunità che il Pontefice
si rifugiasse per qualche tempo in Brasile.
Ma tutti i tentativi per convincere il Pontefice a lasciare Roma si manifestarono inutili. Allora,
il cardinale Maglione avviò una serie di iniziative diplomatiche nel tentativo di convincere il
governo italiano ad allontanarsi dalla capitale «per non offrire appiglio al nemico».
All'inizio sembrava possibile l'allontanamento, almeno dei comandi militari. E dell'iniziativa
venne portato a conoscenza il Pontefice che si limitò a una breve considerazione: «Gli
uomini politici italiani non lasceranno Roma... se non nel giorno dell'ira».
In queste parole c'è, forse, la premonizione sulla caduta del fascismo. C'è la premonizione
sull'«ira popolare» che nel luglio 1943 portò spesso a violenze inaudite.
E nel «giorno dell'ira», c'è forse anche la «visione» dell'arresto di Mussolini, della
costituzione della Repubblica Sociale Italiana e del crollo definitivo.
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LO SFRUTTAMENTO DEL BISOGNO E DELLA MISERIA
CONTINUERANNO
«Cesserà la guerra, passerà il dopoguerra, ma lo sfruttamento della
miseria e del bisogno continueranno...».
Più volte il Pontefice, soprattutto negli ultimi anni della guerra, condannò gli sfruttatori del
bisogno e della miseria.
Sentiamo a questo proposito alcuni passi di radiomessaggi e discorsi: «Guardatevene,
romani... Essi (cioè gli sfruttatori, gli operatori del mercato nero) sono macchiati di sangue;
del sangue delle vedove e degli orfani; del sangue dei fanciulli e degli adolescenti, ritardati
nel loro sviluppo per denutrizione e per fame; del sangue di mille e mille sventurati di tutte le
classi del popolo; di cui con il loro ignobile mercato si sono fatti carnefici. Questo sangue,
come quello di Abele, grida al cielo contro i nuovi Caini».
E ancora: «Lo sfruttamento del bisogno e della miseria è un peccato grave, che la Chiesa
deve combattere... Ma, purtroppo, le radici di questo peccato sono molto profonde...
Cesserà la guerra, passerà il dopoguerra, ma lo sfruttamento continuerà, seppur in forma
diversa».
In altre parole, arriva la pace, arriva il «benessere», arriva la libertà, ma non la giustizia.
Perché gli uomini continueranno a rimanere su fronti opposti, quello degli sfruttati e quello
degli sfruttatori.
E la Chiesa riuscirà a fare ben poco, per portare un aiuto concreto ai più deboli, cioè alle
vittime del bisogno e della miseria.
In queste parole, sembra di scorgere la squallida realtà dell'usura: una piaga emersa in
questi ultimi tempi, con tutta la sua drammaticità. Una piaga che ha portato alla disperazione
molte famiglie e che ha finito anche per seminare la morte.
Caino continua pertanto a uccidere Abele.
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Il tempo della ricostruzione (I°)
Finita la guerra, si accesero grandi entusiasmi. La maggior parte delle persone vennero
contaminate da quella che alcuni chiamarono «la febbre della ricostruzione».
Ma in questo entusiasmo si nascondeva il virus della speculazione e delle tensioni sociali.
In quelle giornate deliranti dell'estate 1945, Pio XII pronunciò una frase bellissima, che
contiene un programma di vita: «È giusto ricostruire le case, ma prima bisogna ricostruire i
cuori».
Non era facile però «ricostruire i cuori» tra due blocchi minacciosi che si contendevano il
dominio del mondo.
Il Santo Padre, mentre tutti esultavano per la fine della guerra, era preoccupato.
Un giorno disse: «Per noi la guerra è finita, ma per tanti popoli continua, anzi sarà ancora
più feroce, perché il comunismo si espanderà come una macchia d'olio».
Pio XII «sentiva» ciò che sarebbe successo nel futuro. E cioè l'espandersi del comunismo in
Jugoslavia, in Cecoslovacchia, in Romania, in Ungheria, in Bulgaria, in Polonia, per poi
coinvolgere anche la Cina.
«Saranno tempi di sofferenze e di sangue», disse il Pontefice, riferendosi all'espansione del
comunismo. Ma aggiunse: «... Anche il comunismo ha un tempo... Prima del crollo
provocherà però molti disastri».
Pio XII «vedeva» il crollo del comunismo, quando il comunismo iniziava a espandersi e
quando gli intellettuali e la «buona società» si schieravano apertamente con «la rossa carta
vincente».
Il Pontefice era l'unico a vedere chiaro, in un momento particolarmente nevralgico della
storia dell'umanità.
«Il pericolo che corre la prossima generazione sarà quello di crescere senza i due supporti
fondamentali: la fede e l'umiltà... Se mancano questi due cardini, la vita sarà difficile; e alle
prime difficoltà, l'uomo si fletterà su se stesso, rinunciando a lottare...».
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Sono parole pronunciate da Pio XII nel 1950. Si tratta di una visione profetica. E la conferma
la troviamo nelle recenti dichiarazioni di un noto educatore che, analizzando «il problema
droga», arriva a questa preoccupante conclusione: «... abbiamo una generazione fragile;
una generazione con poche speranze, perché priva di fede... Una generazione con mille
problemi, coinvolta in una competizione frenetica, devastante, nella quale non ha alcun
posto l'umiltà...».
Parlando a un gruppo di madri cattoliche, nel 1950, il Pontefice ricordava anche: «... che i
giovani vanno educati a vivere una vita interiore; vanno educati alla preghiera e alla
meditazione, perché l'uomo che nei momenti difficili non riesce a rifugiarsi nella preghiera,
vive male e non riesce a donare la pace alle persone che gli sono vicine...».
Anche qui Pio XII aveva «visto» giusto.
La conferma ci viene data anche da Giovanni Paolo II, che rivolgendosi soprattutto ai
giovani, ha ripetutamente dichiarato
che: «... oggi si vive male, perché non si è più capaci di vivere una vita interiore».
Tutto è all'insegna dell'esteriorità. Nel mondo serpeggia una specie di culto blasfemo per le
cose materiali, per i piaceri della carne.
Manca la fede, manca la spiritualità, manca l'umiltà: ecco la tragedia della nuova
generazione.
Una tragedia che Pio XII aveva profetizzato.
Una tragedia che coinvolgerà, purtroppo, un numero sempre maggiore di giovani,
spingendoli spesso sulla strada disperata della droga.
Pio XII, parlando al Sacro Collegio e ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede, il 25
febbraio 1946, disse che: «... Era stata cura particolare del Pontefice, nonostante le
tendenziose pressioni, di non pronunciare alcuna parola di approvazione o, peggio ancora,
d'incoraggiamento, alla guerra contro la Russia, nel 1941».
Sullo stesso argomento ritornò nel 1956, dichiarando che: «Noi, da parte Nostra, come capo
della Chiesa, abbiamo evitato al presente, come in casi precedenti, di chiamare la cristianità
a una crociata».
E ancora: «L'aggressione è sempre da condannare».
Ma vanno ricordate anche «le riflessioni profetiche» del Santo Padre: «La violenza, da
qualsiasi parte provenga, è sempre da condannare... Non saranno le armi che cambieranno
pagine di violenza, di dolore e di sangue... sarà la preghiera che cambierà il mondo».
Il riferimento riguardava l'Unione Sovietica, che non è crollata in seguito a una guerra. Anzi,
la seconda guerra mondiale l'aveva vinta, ma la vittoria non era bastata a consolidare il
regime.
Quello che sarebbe avvenuto, Pio XII l'aveva «già intuito». La sua preoccupazione era difatti
quella d'intensificare le preghiere per il popolo russo e per la Chiesa dei Paesi soggetti
all'Unione Sovietica.
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E le preghiere «matureranno» una realtà che negli anni Cinquanta era inconcepibile.
È da aggiungere che siamo solamente all'inizio della nuova storia della Russia e dei Paesi
che formavano l'Unione Sovietica. Gli aspetti più importanti di questa complessa storia
devono ancora avvenire.
La Chiesa, come usava dire Pio XII, «sa attendere».
Dall'8 al 14 giugno 1946 il Consiglio dei Ministri è in riunione permanente, anche nelle ore
notturne.
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Si teme una guerra civile. Alcuni giornali parlano di brogli elettorali per il referendum sulla
monarchia. E inizia la polemica sulle schede nulle.
Umberto II è titubante. Rimanda la partenza.
In diverse città d'Italia si assiste a scontri sanguinosi, tra monarchici e repubblicani. A Napoli
ci sono sette morti e oltre una cinquantina di feriti.
L'Italia è spaccata in due. Si teme la guerra civile.
A Roma si diffonde la notizia che Umberto II intende dichiarare decaduto il governo De
Gasperi, per conferire l'incarico di un nuovo governo a Badoglio.
E questo finirebbe per portare l'Italia nel caos.
In tanto trambusto, l'unico a mantenere la calma e la serenità è Pio XII. «Non si arriverà alla
guerra civile», disse «... È un momento difficile, ma se abbiamo fiducia nell'aiuto divino, tutto
si risolverà in modo pacifico».
Il 14 giugno si ritornò difatti alla normalità. Umberto II partì per l'esilio. E il governo concluse
la sua seduta permanente, mentre le piazze passarono sotto il controllo della polizia.
Rimasero però le polemiche sulle schede nulle. «Ma anche queste polemiche saranno
destinate a perdersi nel tempo...».
Vediamo difatti che nel 1948, quando venne eletto presidente della Repubblica Luigi
Einaudi, le schede delle elezioni vennero controllate nuovamente, ma non emerse nulla di
significativo che potesse modificare i dati già resi noti.
Il Risorgimento Liberale continuava però a mantenere la sua posizione, sostenendo che i
dati del referendum erano stati manipolati.
Era ormai una voce isolata, che ben pochi ascoltavano. La gente venne presa nel vortice
delle opere di ricostruzione. E il referendum sulla monarchia passò alla storia.
Come aveva previsto Pio XII.
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Il tempo della ricostruzione (II°)
«Il regno di Dio è dentro di voi». Questo versetto (17-21) del Vangelo di Luca lo troviamo in
diversi messaggi di Pio XII.
«Possiamo già avere un paradiso in terra, nei nostri cuori», disse un giorno il Pontefice
«anche se attorno a noi si scatena l'inferno...».
E ancora: «Imparate a vivere in semplicità, non lasciatevi trascinare dalle vaghe illusioni, che
finiranno per distruggere il paradiso del cuore...».
«Un paradiso che non può essere sostituito dal benessere materiale, perché solamente il
cuore riesce a creare una dimensione di vita che fa sentire l'uomo più vicino al cielo... fa
sentire l'uomo in perfetta armonia col creato».
«Il paradiso costruito sul benessere economico può dare una sensazione di gioia... ma è
solamente un'ubriacatura dei sensi che, quando finisce, pone l'uomo dinanzi alla tragica
realtà di una vita, che diventa inferno».
Questo paradiso tiene conto solamente della carne, della temporaneità.
È interessante ricordare a questo proposito il grido di un veggente del XVII secolo, fratel
Giovanni di Pisa: «Nel tempo in cui gli uomini voleranno e voleranno le immagini, guardatevi
dai falsi paradisi... Perché saranno trappole costruite dall'uomo, che finiranno per
imprigionare l'uomo... Saranno paradisi per coloro che hanno la vista corta...».
Quanto durerà ancora il «paradiso del benessere»? È una domanda che gli uomini
dovrebbero iniziare a considerare.
Ma dovrebbero soprattutto considerare la possibilità di ritrovare «il regno di Dio», soffocato
da mille lusinghe e da mille illusioni.
Come aveva profetizzato Pio XII.
Nel 1943 un gruppo di laureati cattolici elaborava a Camaldoli un codice di etica sociale
ispirato al messaggio evangelico che, in un secondo tempo, verrà considerato dai «padri
della Costituzione».
I primi appunti di questo codice etico d'ispirazione evangelica vennero sottoposti al
Pontefice, il quale fece un commento molto significativo: «L'amore per il prossimo e la
giustizia devono essere i cardini di una Costituzione degna di essere ispirata ai principi
cristiani...».
E quando, quattro anni dopo, la Costituzione venne approvata, alcuni giornali attribuirono a
Pio XII un giudizio che provocò alcune polemiche: «Di cristiano ha solamente l'involucro...».
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Sull'onda di questo giudizio, scaturì un vaticinio, sempre attribuito a Pio XII: «È una Carta
Costituzionale che non diventerà longeva... cinquant'anni, un po' meno o un po' più».
Quarantanove anni dopo — la Costituzione è stata approvata il 27 dicembre 1947 — s'inizia
a parlare di un nuova Costituente, perché la Costituzione «non corrisponde più alle esigenze
politiche del nostro tempo».
Sono parole che farebbero rabbrividire l'onorevole Terracini, già presidente dell'Assemblea
Costituente, il quale, in una intervista del 1947 dichiarava che: «La nuova Costituzione è
quanto di meglio possa essere dato a un popolo civile, moderno e democratico... È una
Costituzione che coinvolgerà certamente più generazioni».
Pio XII non era dello stesso parere, perché sentiva che, nella migliore delle ipotesi, la
Costituzione del 1947 avrebbe coinvolto una generazione.
«Ci sono dei limiti che la scienza non può valicare... Alcune premesse lasciano scorgere
inquietanti ricerche scientifiche... Si cercherà di sostituire Dio con le equazioni
matematiche».
Pio XII sapeva vedere lontano, difatti in queste parole profetiche, pronunciate all'inizio degli
anni Cinquanta, si riflettono le ricerche scientifiche, soprattutto nel campo della biologia e
della fisica, dei nostri giorni.
Oggi, con la Theory of Everything, «la teoria del tutto», si ha la presunzione di svelare il
mistero dell'universo, per arrivare a sostituire Dio con una formula matematica.
In altre parole, non più «Dio Redentore», ma «Massimo Matematico».
Questa ricerca scientifica, priva di etica, la troviamo anche in altri vaticini.
Un messaggio della fine Ottocento, attribuito a una suora di clausura, dice che: «Alla fine del
Millennio, l'uomo si sentirà potente, al punto tale da violare i grandi misteri dell'Eterno... Ma
l'uomo che si sentirà potente sarà più fragile di sempre perché questo sarà il tempo in cui le
forze della natura si scateneranno per riportare il Creato alla sua bellezza originale... Perché
alla fine del Millennio... la terra sarà avvelenata e l'uomo si dibatterà in una ragnatela di
difficoltà e di dolori.
Alla fine, risorgerà l'umiltà. E l'uomo, nella disperazione dei cieli fumosi, ritornerà a rivolgersi
a Dio... Perché i disastri provocati dall'uomo potranno essere sanati solamente con un
intervento divino...».
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LA DISOCCUPAZIONE ESPLODERÀ ALLA FINE DEL
MILLENNIO
II suo nome sarà cancellato dalla storia
«II grave problema della disoccupazione ricomparirà in tutta la sua drammaticità, alla fine del
Millennio...».
In tutti i discorsi elettorali del dopoguerra, il complicato, grave problema della
disoccupazione veniva posto al primo piano.
I sindacati parlavano di «mina vagante», i politici parlavano di «problema centrale». Ma gli
indici della disoccupazione, soprattutto giovanile, continuavano a crescere, soprattutto al
sud, dove si considerava che almeno la metà dei giovani si trovasse senza un lavoro.
Le cose migliorarono sensibilmente al nord, con l'opera di ricostruzione. E si iniziò a parlare
di benessere.
Alcuni politici, con una visione limitata della realtà italiana, iniziarono allora a parlare della
disoccupazione come di «un problema che ci si sta lasciando alle spalle... un problema
superato».
Ma Pio XII non era dello stesso parere. Il Pontefice «era capace di vedere molto lontano», e
dichiarava: «La disoccupazione è un problema tutt'altro che risolto... anzi riemergerà
drammaticamente alla fine del Millennio, quando le macchine sempre più sofisticate
sostituiranno l'uomo e il benessere sarà all'ultima frontiera...».
Questa preveggenza si sta avverando ai nostri giorni. I dati statistici presentano difatti
percentuali di disoccupati in continuo aumento.
Un terzo dei giovani è senza lavoro. Mentre il lavoro nero è una piaga che sta dilagando.
In alcune località del Meridione, si supera abbondantemente la percentuale del 50 per cento
dei disoccupati.
II benessere, come aveva profetizzato il Santo Padre, non ha sconfitto la disoccupazione,
che riemerge «in tutta la sua drammaticità».
Nel 1950 la stampa di sinistra lanciò una proposta: nei nuovi quartieri delle grandi città, una
piazza o una via andava dedicata a Stalin, padre dei lavoratori, unica speranza e difesa
contro lo sfruttamento capitalistico.
Pio XII fece un solo commento, dal contenuto profetico: «... il dittatore russo, fra mezzo
secolo, sarà cancellato dalla storia... perché il popolo russo ricorderà la dittatura di Stalin
come tempo dominato dal terrore e dall'ingiustizia».
Si tratta di una profezia che si sta avverando ai nostri giorni. Con la fine dell'Unione
Sovietica, i busti e le statue del dittatore sovietico sono stati abbattuti.
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Nella terra dei vincitori si rinnovarono gli episodi che avvennero nel 1943 in Italia, alla caduta
del fascismo.
La demolizione di un personaggio così scomodo continuò poi con la politica di Eltsin, il
quale, a distanza di cinquantaquattro anni dall'epopea di Stalingrado, ricordò al popolo russo
che la città, dove si svolse la leggendaria battaglia, aveva «cambiato veste». E il suo nome
era Volgograd.
Il messaggio lanciato negli anni Cinquanta dalla stampa italiana di sinistra non raccolse
grandi entusiasmi. E mezzo secolo dopo, come aveva profetizzato Pio XII, nei pochi casi in
cui la via o la piazza era stata dedicata a Stalin, si provvide a cambiare frettolosamente la
toponomastica.
Quello che sembrava una gloria, si trasformò in una vergogna.
La revisione storica è appena iniziata. Sarà necessario voltare definitivamente pagina, per
cancellare dalla storia «personaggi ed eventi che vanno dimenticati, per misericordia...».
«La politica del grande consumismo finirà per disorientare l'uomo, che si aggrapperà ancora
di più ai beni materiali e ai piaceri della vita, trascurando i contenuti profondi della vita
stessa... Assistiamo all'attuazione di un progetto inquietante, perché si tende a condizionare
l'uomo a un tipo di vita superficiale, rivolta esclusivamente all'esterno».
Sono parole pronunciate dal Pontefice nel 1952. Parole che meritano una riflessione.
E la stessa cosa si può dire per altre «considerazioni», questa volta dal contenuto profetico,
che risalgono allo stesso periodo: «Si vuole orientare l'uomo a vivere un'esistenza
materialistica... dove contano solamente i beni materiali. Su questa strada, la vita finirà per
diventare un'angoscia senza fine».
Nelle «visioni» del Santo Padre c'è però, probabilmente, «qualcosa» che invita alla
speranza. E questo traspare in alcune «considerazioni».
«Un giorno l'uomo conoscerà la civiltà dello spirito. E imparerà a vivere in una dimensione
diversa... Sarà in quel tempo che nuovi valori saranno considerati... Sarà in quel tempo che
s'impareranno ad apprezzare le cose che non si vedono, perché sono eterne».
Ma prima di approdare «alla spiaggia dello spirito» dovranno certamente passare alcune
generazioni.
Questo si può capire, leggendo altri messaggi profetici. Nelle lettere profetiche della Monaca
di Dresda si dice, a questo proposito, che: «... Giungerà un tempo in cui lo spirito guiderà il
mondo... E grandi saranno gli uomini, se sapranno vivere di umiltà e di fede».
Per arrivare alla civiltà dello spirito sarà necessario però distruggere la civiltà della materia:
la civiltà che ha prodotto l'angoscia collettiva.
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Il tempo della ricostruzione (III°)
«Dovremo attraversare il deserto della bestemmia, per arrivare all'oasi della preghiera, della
pace... Non sarà un viaggio facile, perché le tentazioni saranno molte; ma quando l'uomo
capirà che nessun bene materiale può sostituire la pace interiore, la serenità, la semplicità di
una vita cristiana, ritornerà sulla strada dei padri...».
Sono parole pronunciate dal Pontefice all'inizio del 1948, quando il «deserto del
consumismo» non si conosceva ancora, ma «i seminatori di questo veleno» erano pronti per
scendere in campo.
Pio XII aveva una visione nitida di quelli che sarebbero stati i frutti del consumismo. E
«vedeva» anche il crollo della morale, i conflitti, le agitazioni e la diffusa angoscia che
avrebbe portato «l'abbondanza dei beni materiali».
Oggi sembra di scorgere, seppur in lontananza, l'oasi di una nuova civiltà: la civiltà della
preghiera, profetizzata da Pio XII. La nuova generazione riscoprirà la bellezza, «la
preziosità», della vita semplice.
Anche la Chiesa sta scoprendo questo vaticinio di Pio XII. E, seppur con notevole ritardo,
inizia a prendere le debite distanze dal consumismo. Sentiamo difatti levarsi da diversi pulpiti
aperte condanne «al delirio di consumare per il piacere di consumare».
Ne è un esempio il vescovo di Cefalù (Palermo) che condannò apertamente la pubblicità,
definendola «l'oppio dei poveri». E questo perché finisce per condizionare le persone, per
suggestionarle, per costringerle ad acquistare molte cose, di cui spesso non hanno bisogno.
È un'azione «demoniaca», perché finisce per costringere soprattutto le persone più povere,
più ingenue, a fare dei sacrifici, per aumentare i profitti degli speculatori.
Sarà necessario però ancora del tempo, prima che la civiltà della preghiera possa trionfare
sulla civiltà della bestemmia.
«La radio, ma soprattutto la televisione... i giornali, sono mezzi meravigliosi, che vanno però
usati con saggezza... I tempi futuri vedranno certamente l'abuso di questi mezzi e, di
conseguenza, sarà necessario fare il digiuno quaresimale anche per l'informazione...».
Sono riflessioni profetiche di Pio XII, che risalgono al tempo in cui la sofferenza l'aveva
ulteriormente staccato dalle cose terrene, ponendolo «in una dimensione carismatica».
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Nello stesso periodo, cioè nel 1957, il Pontefice, parlando a un gruppo di aclisti disse anche
che: «L'uomo non ha bisogno solamente di pane, di lavoro e di giustizia, ma anche di
silenzio, di riflessione, di meditazione, di preghiera... E il silenzio, in un tempo non lontano,
diverrà più prezioso del pane, perché il pluralismo informativo supererà i limiti di ogni logica
previsione, creando confusione, disordine e tensioni sociali».
E ancora: «La televisione diventerà un bene prezioso, ma si correrà il pericolo di rendere
l'uomo teledipendente... sarà il rapporto umano a farne le spese, perché l'uomo finirà per
impostare un tipo di dialogo con il televisore. E questo porterà l'uomo all'isolamento, alla
solitudine, all'angoscia, al disagio sociale...».
Sono preveggenze che recentemente Giovanni Paolo II ha fatto saggiamente riemergere,
invitando per la quaresima anche al digiuno televisivo, per la buona salute intellettuale e
spirituale di tutti. «I mezzi d'informazione», ha dichiarato ancora Giovanni Paolo II «sono
d'indiscussa utilità, ma non debbono farla da padroni».
Non devono, in altre parole, condizionare la vita, compromettendo i veri rapporti umani.
Sono parole giuste. Ma questa preoccupante realtà era già stata profetizzata da un
Pontefice ispirato, quarant'anni prima.
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LE IMPOSTE DIVENTERANNO ECCESSIVE
«È ingiustizia gravare sulle famiglie con imposte eccessive,
costringendole a sacrifici spesso pesanti...».
«La macchina dello Stato finirà per gonfiarsi al punto tale da assorbire gran parte dei
redditi... Le imposte diventeranno eccessive, costringendo molti nuclei familiari a sacrifici...
Questa sarà un'ingiustizia, anche perché alle imposte non corrisponderanno adeguati
servizi».
Sono parole pronunciate dal Pontefice nel 1956, durante un incontro con un gruppo di politici
e amministratori pubblici del Lazio.
La preoccupazione per l'ingiustizia fiscale che si sta delineando all'orizzonte è già presente
in alcune encicliche di Leone XIII. Soprattutto nella Rerum Novarum emerge questa
preoccupazione: «... la proprietà privata non venga oppressa da imposte eccessive.
Siccome il diritto della proprietà privata deriva non da una legge umana, ma da quella
naturale, lo Stato non può annientarlo, ma solamente temperarne l'uso e armonizzarlo col
bene comune. È ingiustizia e inumanità esigere dai privati più del dovere sotto pretesto
d'imposte».
Sono parole scritte nel 1891, ma sono valide ancor oggi. Pio XII le riprese in più occasioni,
pur essendo nel 1956 le imposte «ancora accettabili». Ma il Pontefice sapeva vedere oltre il
suo tempo.
E capiva che si sarebbe arrivati «all'ingiustizia e all'inumanità fiscale».
Considerando il messaggio di Leone XIII, bisogna dire che non è cambiato nulla: ieri c'era la
tassa sul macinato, che doveva essere pagata anche da chi non coltivava il grano; oggi c'è
la tassa sui rifiuti, che dev'essere pagata anche da chi non produce i rifiuti.
Pio XII sentiva che «la nuova struttura burocratica e politica avrebbe finito per dissanguare i
cittadini».
E, forse, aveva anche sentito il disagio, il malumore del popolo... che avrebbe potuto
sconfinare in «rivolte fiscali».
Ciò che sta avvenendo ai nostri giorni.
Negli anni Cinquanta, giungevano dagli Stati Uniti d'America notizie scientifiche che la
stampa italiana giudicava «incredibili», «sconvolgenti», «eccezionali».
Si trattava dei primi passi verso la manipolazione genetica. Molti concordavano nel dire che
«si aprivano per la scienza orizzonti esaltanti».
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Si partiva dalla manipolazione genetica vegetale, per poi arrivare a quella animale. E la
conclusione scientifica era entusiasmante, perché «si potevano ottenere nuove piante,
attraverso le quali si sarebbe riusciti a sfamare il mondo intero».
Ma Pio XII era scettico: «Le manipolazioni genetiche», dichiarò in più occasioni il Pontefice
«turberanno l'ordine naturale e certamente non sfameranno il mondo...».
Ma gli scienziati americani non ascoltavano certamente le parole del Pontefice. La loro unica
preoccupazione era quella di proseguire nella ricerca dell'ingegneria genetica, attraverso la
quale ottennero il primo ibrido, trasferendo un gene da una pianta di fagiolo a una di
girasole.
Molti gridarono «alla vittoria». E battezzarono l'ibrido con il nome di sunbean, (dalla fusione
delle parole bean e sunflower), che in Italia venne tradotto «giragiolo».
La conquista scientifica venne accolta, soprattutto a Washington, con grande entusiasmo.
Gli scienziati dichiararono che «si era solamente all'inizio delle manipolazioni genetiche e
che si sarebbero ottenuti nuovi prodotti alimentari, fortificando le piante che sarebbero state
in grado di fruttificare anche due volte all'anno».
Si era insomma arrivati a una vera e propria rivoluzione, nel campo dell'agricoltura.
Pio XII non condivideva gli entusiasmi. La sua capacità di vedere «nel profondo» lo
convinceva che la manipolazione genetica era contro l'ordine naturale.
E aveva ragione!
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Il tempo della ricostruzione (IV°)
Alla fine degli anni Quaranta, iniziarono a delinearsi delle «incomprensioni» tra la
Democrazia Cristiana e la Chiesa.
Mentre De Gasperi, nei suoi discorsi, continuava a ribadire che la Democrazia Cristiana non
costituiva una emanazione dell'autorità ecclesiastica, Pio XII sosteneva che la Chiesa aveva
il diritto-dovere d'intervenire «per garantire il giusto equilibrio tra dovere e obbligo, da una
parte, tra diritto e libertà dall'altra».
Con la morte di De Gasperi, avvenuta nel 1954, le preoccupazioni di Pio XII aumentarono.
«Finisce un tempo...», esclamò un giorno Pio XII «e non vediamo un futuro roseo...
soprattutto la classe politica di domani avrà molti problemi. Porterà il Paese alla rovina... E
farà una fine ingloriosa, lasciando ampi margini per il ritorno di una dittatura...».
Sono parole profetiche che si riferiscono al nostro tempo.
La Democrazia Cristiana, a quarant'anni dalla morte di De Gasperi, si è «sciolta come neve
al sole».
Il Partito Socialista è finito proprio miseramente. E parecchi parlamentari sono passati dal
banco di Montecitorio al banco degli accusati. L'Italia, con i suoi debiti che superano il
milione di miliardi, è sull'orlo della bancarotta.
Questo quadro estremamente preoccupante, così profeticamente descritto da Pio XII, lascia
ampi margini per il ritorno di una dittatura.
E sarà la dittatura «di chi sciupa il pane... che finirà per razionare il pane a chi ne ha sempre
avuto poco».
Ma anche questo è necessario che avvenga, per preparare le coscienze al grande
rinnovamento.
«Il filo dei rapporti diplomatici tra i Paesi industrializzati diventerà sempre più sottile e
spesso darà l'impressione di spezzarsi da un momento all'altro... Sarà un delicato gioco di
equilibri... Ma il carico, fra una cinquantina di anni, sarà così elevato da rendere il filo quasi
inesistente».
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Sono parole pronunciate da Pio XII nel 1956. Il contenuto profetico è chiaro. E riguarda un
tempo vicino al Duemila.
In altra occasione, il Pontefice dichiarò che: «II mondo, per i prossimi anni, ha bisogno
soprattutto di grandi diplomatici, perché le tensioni tra le grandi potenze arriveranno a livelli
preoccupanti... e solamente l'abilità dei diplomatici potrà scongiurare catene di conflitti e di
sangue...».
E ancora: «Quando inizierà a delinearsi la nuova realtà politica e sociale nei Paesi dell'Est,
la diplomazia dovrà essere in grado di avviare un nuovo dialogo... E non sarà facile, perché
saranno da superare preconcetti da ambo le parti...».
Pio XII «vede» già il post-comunismo. E si preoccupa per «l'inserimento» dei Paesi che per
molto tempo sono rimasti soggetti all'Unione Sovietica.
E una preoccupazione costante, quasi come se «i tempi difficili» non siano quelli del crollo
dell'Unione Sovietica, ma del periodo successivo, quando «si tratterrà di riprendere pietra su
pietra, per edificare un nuovo edificio».
Ma questa volta l'edificio sarà costruito su misura umana.
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LA MINACCIA DELLE ACQUE DIVENTERA’ SEMPRE PIU’
PREOCCUPANTE
«La catastrofe del Polesine dovrebbe rappresentare un campanello
d'allarme … invece la minaccia delle acque diventerà sempre più
preoccupante».
Nel novembre 1951 il Po ruppe gli argini allagando oltre centomila ettari di terreno. Molte
furono le vittime, mentre i danni vennero valutati intorno a ventisette miliardi, che per quel
tempo era una cifra da capogiro.
Pio XII volle che la Chiesa si applicasse in ogni modo per aiutare le persone che erano
rimaste senza casa, senza mezzi. E soprattutto per la ricostruzione.
In quelle giornate di dolore, Pio XII invitò più volte a pregare, «... affinchè il flagello delle
acque non ritorni a minacciare l'uomo».
Sempre in quel periodo, Pio XII dichiarò che: «La catastrofe del Polesine dovrebbe essere
un insegnamento... dovrebbe rappresentare un campanello d'allarme... invece la minaccia
delle acque diventerà sempre più preoccupante».
Sono parole dal contenuto profetico, che vennero ricordate dodici anni dopo, quando nel
1963, si registrò la tragedia del Vajont.
Un paese intero - Longarone - venne cancellato dalle acque. Duemilacinquecento furono i
morti. E anche questa volta la Chiesa si mise al servizio delle persone maggiormente colpite
dalla tragedia.
La minaccia delle acque, in seguito anche all'irresponsabile abbandono delle campagne e al
disboscamento, continuò negli anni futuri. Alcuni ecologisti sostengono, a questo proposito,
che il vero «flagello delle acque» deve ancora venire.
E, forse, si tratta di quel «flagello» per il quale Pio XII aveva invitato a pregare già nel 1951.
C'è una profezia del XVII secolo che prevede «La grande moschea, nel cuore del
cattolicesimo». «... L'ombra dell'Islam», dice il messaggio «segnerà le gradinate di San
Pietro... nel tempo in cui sarà prossimo un grande evento».
Anche Pio XII aveva previsto la costruzione del «grande tempio islamico, nella culla del
cattolicesimo». E, se analizziamo alcune sue parole, riportate dai biografi del Pontefice,
dobbiamo dire che si può scorgere un vaticinio «sul rinnovarsi delle guerre di religione».
Perché sarà soprattutto «l'islamismo che cercherà d'invadere l'Europa, per genuflettere la
civiltà cristiana».
La prima parte di questi vaticini si è già avverata.
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Mercoledì 21 giugno 1995 è stata difatti inaugurata la grande moschea di Roma. E, com'era
profetizzato, si tratta di «un grande tempio». Vennero impiegati difatti quasi vent'anni per
costruirla.
E oggi, con la sua possibilità di contenere oltre duemila persone, è considerata la più grande
moschea d'Europa.
Va messo poi in risalto il fatto che non si tratta della prima moschea in Italia, perché ne
esistono già una cinquantina, con oltre duecento posti di aggregazione.
È il primo passo verso la conquista islamica dell'Europa?
I messaggi profetici sembrano rispondere positivamente. Anche se una parte del mondo
cattolico è convinta della pacifica convivenza tra cristianesimo e islamismo.
L'infiltrazione islamica sarà, forse, facilitata da questa spaccatura tra coloro che considerano
possibile la convivenza tra cristiani e islamici e coloro che la rigettano completamente.
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Il tempo della ricostruzione (V°)
«Quando cadranno gli idoli di Mosca, inizieranno a scricchiolare anche gli idoli di Pechino...
All'esaltazione subentrerà l'anarchia e milioni di cinesi cercheranno rifugio in tutto il mondo,
aggravando spesso la situazione già precaria di altri Paesi...».
«Il primo, grave pericolo del terzo Millennio sarà la Cina... E sarà coinvolta anche l'Europa,
anche l'Italia...».
«Quando si presenterà il problema cinese, non ci sarà più al mondo una potenza in grado di
fronteggiarlo; e non ci sarà un Paese in grado di costituire una catena di solidarietà... Sarà
un quadro estremamente preoccupante».
«Un numero sempre maggiore di asiatici, soprattutto di cinesi, premerà alle frontiere dei
Paesi industrializzati, soprattutto europei, mettendo in crisi economie che un tempo erano
fiorenti».
«Le grandi emigrazioni della fine del Millennio turberanno il mondo. La maggior parte dei
Paesi non sarà preparata ad ospitare un numero sempre maggiore di persone... La civiltà
orientale conviverà con la civiltà occidentale».
«Sarà la fine di un tempo, sarà la fine degli isolamenti tradizionali della civiltà occidentale...».
Sono frasi che Pio XII ha pronunciato tra il 1946 e il 1952. Sono visioni profetiche, sulla Cina
e sull'emigrazione dei popoli poveri verso i Paesi industrializzati.
Questa preveggenza si sta già avverando, seppur in modo lento.
Quando crollerà anche il regime cinese - come profetizzato dal Pontefice - emergerà il
problema, in tutta la sua drammaticità.
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E ancora: «Si arriverà a trasformare l'uomo in un numero... ma questo non significa salvarlo
dal caos. È la semplicità della vita che va difesa. E, salvando la semplicità, si combatterà
anche la corruzione... perché una burocrazia complicata, pesante, farraginosa, finirà per
creare larghi spazi alla corruzione».
Queste parole, viste alla luce della realtà dei nostri giorni, lasciano scorgere un chiaro
contenuto profetico. L'uomo è stato trasformato in un numero: il codice fiscale che
accompagna dalla culla alla bara. Ma questa operazione non ha risolto i problemi
burocratici, che sono sempre più complicati, sempre più difficoltosi, tanto da creare nel
cittadino un'avversione verso la pubblica amministrazione.
In questo ginepraio di leggi, di decreti, di norme, di circolari, ha trovato compiacenti spazi la
corruzione.
A tutti i livelli.
La «giustizia sociale» è un filo invisibile che attraversa quasi tutti i messaggi di Pio XII. E su
alcuni punti di questi messaggi sembra di cogliere una preoccupazione «... per le difficoltà
che emergeranno nella realizzazione di un efficiente Stato sociale, in grado di aiutare
concretamente le persone meno fortunate, gli invalidi, i vecchi, gli orfani».
«È necessaria una grande sensibilità», disse un giorno il Pontefice «per realizzare idonee
strutture sociali... Ed è necessaria una giusta valutazione dei bisogni reali, considerando
soprattutto la tendenza a burocratizzare in senso negativo, anche gli spazi sui quali avrebbe
dovuto operare la carità...».
Forse, in queste parole, si cela il vaticinio sull'allontanamento delle religiose dagli ospedali,
dalle case di riposo per le persone anziane e dagli asili infantili.
«Gli spazi dove avrebbe dovuto operare in primo luogo la carità», sono stati - come aveva
previsto il Pontefice - occupati dalle strutture burocratiche che spesso sfruttano le miserie
della povera gente. E così si è arrivati alla crisi dello Stato sociale.
Ed è una crisi che sta maturando nei nostri giorni e finisce per coinvolgere tutta l'Europa,
compresa la Germania, dove la stessa DGB ha finito per proporre un programma di
austerità, per il sociale.
E le vere vittime sono, ancora una volta, i più diseredati. Coloro che non hanno più
nemmeno la forza di chiedere. Perché i politici che hanno portato allo sfascio lo Stato
sociale riusciranno sempre a rifarsi una nuova verginità.
Tutto questo, Pio XII l'aveva profetizzato. Ma aveva profetizzato anche «il ritorno della carità,
nei luoghi di sofferenza...». I tempi non sono ancora arrivati. Ma un giorno, quando le
strutture burocratiche saranno allo sfacelo vedremo ritornare le religiose negli ospedali e
negli ospizi.
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SATANA COLPIRÀ NEL CUORE LA SOCIETÀ
«Nel tempo in cui s'inventeranno nuovi sostegni per la famiglia,
sarà il tempo in cui la famiglia entrerà in crisi...».
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Il tempo della ricostruzione (VI°)
Nel 1953 Pio XII riuscì a formare quello che venne chiamato «il mappamondo vivente».
Riuscì cioè a superare la tradizione secondo la quale la maggioranza dei cardinali doveva
essere italiana.
Il Pontefice nominò difatti diversi cardinali stranieri. E così i piatti della bilancia cambiarono
posizione: alcuni decenni prima si contavano settanta cardinali italiani e solamente sedici
stranieri. Con le ultime nomine di Pio XII si era invece arrivati a quarantaquattro cardinali
stranieri e ventisette italiani.
Fra i nuovi cardinali italiani c'era anche il Nunzio di Francia, monsignor Roncalli, che
succederà a Pio XII.
E vennero anche nominati cardinali due presuli che non ebbero la possibilità di presenziare
alle cerimonie: l'arcivescovo di Varsavia, monsignor Wyszynski, e l'arcivescovo di Zagabria,
monsignor Stepinac.
«Ho aperto le porte al mondo», disse allora Pio XII «perché la Chiesa è universale... la
tradizione del Papa italiano non potrà certamente esaurirsi in breve tempo; saranno
necessari ancora due o tre Papi. E poi il Vicario di Cristo verrà da lontano...».
Il vaticinio si è già avverato. Dopo la scomparsa di Pio XII, sono stati eletti tre Pontefici:
Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I. E il quarto successore arrivò dalla «martoriata
Polonia» e assunse il nome di Giovanni Paolo II.
Al termine del Concistoro del 1953, un vaticanista scrisse che «il Pontefice si era intrattenuto
soprattutto con il neocardinale Roncalli». Ma non era stato possibile conoscere l'oggetto del
«prolungato dialogo con Sua Santità».
Forse Pio XII aveva intuito che il cardinale Roncalli, appena nominato, sarebbe stato il suo
successore.
«Quando il Millennio sarà alla fine, l'uomo onesto diventerà sempre più raro, perché la
corruzione finirà per abbracciare il mondo intero...».
Nei messaggi di Pio XII, come in questo caso, si scorge la preoccupazione maggiore per i
tempi che riguardano «la prossima generazione», cioè per un tempo che va collocato
appunto tra la fine e l'inizio del Millennio.
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«Anche l'Italia», disse un giorno il Pontefice «sarà presa nel vortice della corruzione... La
democrazia finirà per diventare un paravento... per nascondere malefatte di ogni genere.
Uomini disonesti, guidati da Satana, saliranno nei posti più alti della politica. Inganneranno il
popolo e rovineranno l'economia...».
E ancora: «Arriverà un tempo in cui non esisterà Paese senza scandali; senza una storia
vergognosa... Il decadimento politico
porterà inevitabilmente al decadimento morale... Arriverà un tempo in cui la corruzione sarà
legge di vita».
Questa preoccupante, tragica premonizione, la troviamo anche in altri messaggi profetici. Si
potrebbe parlare di un mosaico che si sta componendo. E ormai mancano poche tesserine
per avere il quadro completo.
Nei vaticini del Monaco Olivetano si dice a questo proposito che: «... Il Millennio finirà nella
corruzione e nell'odio, ladri e impostori occuperanno i posti di comando... E gli ordini
saranno impartiti da Satana; perché questo sarà il tempo di Satana».
In altri vaticini del XVII secolo si dice ancora che: «Quando morirà il Millennio, moriranno
l'onestà e la giustizia... E sarà necessaria almeno una generazione prima che le piante
velenose possano essere completamente sradicate».
Nel radiomessaggio natalizio del 1952, Pio XII esternava le sue preoccupazioni per la
spersonalizzazione dell'uomo moderno «che la società riduce a puro oggetto; vittima di una
meccanizzazione delle coscienze».
Su questa strada, proseguiva il messaggio, «... non troveranno posto che l'ingiustizia e il
disagio, con tutte le immaginabili sciagure provocate dalla fame e dalla disoccupazione».
Questo grave problema era motivo di costante preoccupazione, da parte del Pontefice. Un
giorno, parlando con un gruppo di collaboratori dichiarò: «... i pericoli della
spersonalizzazione dell'uomo moderno sono ancora allo stato embrionale... ma cresceranno
inevitabilmente nel tempo. E, quando l'uomo sarà spersonalizzato, sarà considerato come
un oggetto... E sarà acquistato e usato, come si usa un oggetto».
E ancora: «La società dei consumi non accetta l'uomo con una sua idea... l'uomo capace di
difendere le sue convinzioni; perché l'uomo dev'essere solamente uno strumento di lavoro,
di produzione, di profitto...».
In alcuni discorsi, pronunciati dal Pontefice nel 1954 e 1955, emerge ancora questa sua
preoccupazione per «l'uomo spersonalizzato», per «l'uomo oggetto».
«Il costo che l'uomo dovrà pagare per un illusorio benessere materiale è troppo alto, perché
dovrà spesso sacrificare la sua personalità e la sua dignità... Il consumismo farà dell'uomo
un oggetto. Ma le conseguenze non si vedranno a breve distanza di tempo... Sarà
necessario almeno mezzo secolo prima che l'uomo si renda conto dell'inganno... O meglio,
che alcuni uomini si rendano conto dell'inganno, perché la massa, formata
dall'uomo-oggetto, non si renderà conto di questa tragica realtà».
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E c'è una frase ancora più significativa, pronunciata dal pontefice in occasione del
radiomessaggio natalizio del 1955: «La politica consumistica è un mezzo per ridurre in
schiavitù l'uomo».
Nel 1956, dopo il soggiorno estivo a Castelgandolfo, Pio XII parlò a un gruppo di seminaristi
francesi.
«I tempi», disse il Pontefice «tendono ad allontanare l'uomo dalla spiritualità, per renderlo
schiavo delle cose terrene... Il vostro compito sarà pertanto quello di riavvicinare l'uomo alle
cose eterne, alle cose che non si vedono, ma che esistono, ed esisteranno in eterno...
Bisogna allargare gli orizzonti dell'uomo... Bisogna far capire all'uomo che non è solo,
perché legioni di angeli sono sulla terra. E verrà giorno in cui gli uomini parleranno con gli
angeli...».
Era il tempo in cui il Pontefice aveva avuto «visioni celesti». E, probabilmente, si sentiva
avvolto in un'atmosfera soprannaturale.
«Gli angeli», disse un giorno «sono così vicini a noi che, nei momenti di pace profonda,
riusciamo a sentire la loro presenza...».
Il Pontefice viveva in una dimensione mistica, che solamente i grandi spiriti riescono a
«sentire».
Molti vaticini parlano delle «presenze angeliche sulla terra», soprattutto nel tempo in cui «la
terra sarà aperta per essere lavata e purificata».
In un vaticinio del XVI secolo, ritrovato in una chiesa della Lorena dopo la rivoluzione
francese, si dice che «alla fine del Millennio, legioni di angeli scenderanno sulla terra, per
contrastare la strada ai demoni...».
E gli uomini «sentiranno» la battaglia tra le forze del bene e le forze del male. «Sentiranno»,
ma non «vedranno» la battaglia finale.
Saranno gli angeli a vincere. E, da quel momento in poi, l'uomo imparerà a parlare con gli
angeli.
Perché le distanze tra il cielo e la terra saranno accorciate.
Anche nel Vangelo di Matteo si profetizza l'evento dei «falsi profeti». «Guardatevi... perché
verranno a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci».
C'è quindi l'inganno, perché gli uomini «saranno presi con false parole di amore e di
giustizia, per poi essere condannati a vivere nell'odio e nell'ingiustizia».
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Pio XII, analizzando i tempi in cui sta vivendo l'umanità, «vede» i falsi profeti nei politici
corrotti o negli scienziati che stravolgono le leggi naturali.
C'è in proposito una frase significativa, pronunciata da Pio XII nel 1952: «Si sta avvicinando
il tempo dei falsi profeti... inganneranno facilmente i puri di cuore, perché si presenteranno
nella veste di uomini di grandi capacità e di grande cuore, invece saranno politici corrotti e
scienziati senza scrupoli...».
Nel giorno dei falsi profeti siamo già entrati.
L'operazione «mani pulite» ne è una conferma eloquente. Ma è solamente l'inizio, perché
arriverà un momento in cui tutti coloro che si avvicinano alla politica saranno dei ««falsi
profeti», in quanto il loro scopo non sarà quello di servire la società, ma di utilizzare la
società, per scopi più o meno leciti.
Ai politici corrotti e corruttori si aggiungono gli scienziati che mirano unicamente a strabiliare
il mondo con le loro ricerche.
E qui troviamo al primo posto i ricercatori nel campo della genetica, con gli uteri in affitto e le
inseminazioni ibride.
E le ricerche sono appena iniziate.
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