Brasile Amazzonia
s otto costante attacco
D
i chi è l’Amazzonia brasi-
liana? «A volte ci sentia-
mo minacciati nella no-
stra sovranità in quell’a-
rea. Ma il Brasile preserva molto be-
ne il suo territorio» ha affermato Jair
Bolsonaro davanti ai giornalisti e a
Joe Biden, prima dell’incontro bila-
terale privato tra i due presidenti, in
occasione del Vertice delle Americhe
(Los Angeles, 6-10 giugno). Dal can-
to suo, poco prima Biden aveva so-
stenuto che preservare l’Amazzonia
è una «responsabilità internaziona-
le»: se tutto il mondo beneficia della
foresta, deve anche contribuire a fi-
nanziare la sua tutela, poiché il Bra-
sile fa «sacrifici reali» per protegger-
la. Nel concreto, gli USA si sono as-
sunti l’onere di destinare 12 milioni
di dollari a Brasile, Colombia e Perù,
quale aiuto iniziale per contrastare
la deforestazione.
Ancora secondo le affermazioni
di Bolsonaro, l’85% dell’Amazzonia
è al sicuro e la legislazione ambienta-
le brasiliana è «sufficientemente rigi-
da». Ma i dati provenienti da altre
fonti, anche pubbliche, sono di
tutt’altro segno. Deter, il sistema di
allerta di deforestazione dell’Istituto
nazionale delle ricerche spaziali (IN-
PE), ha rilevato il peggiore dato
dall’avvio del monitoraggio (2016)
nell’aprile scorso, quando più di
1.000 kmq di foresta erano andati
perduti, quasi il doppio rispetto all’a-
prile dell’anno precedente. Tra gen-
Il Regno -
Il doppio gioco di Bolsonaro,
la nomina di un cardinale amazzonico
naio e aprile 2022, i messaggi d’aller-
ta di deforestazione hanno raggiunto
un’estensione di quasi 2.000 kmq.
Secondo la stima fatta lo scorso feb-
braio dalla piattaforma PrevisIA, tra
agosto 2021 e luglio 2022 l’area a ri-
schio di deforestazione supererà i
15.000 kmq.
Il Brasile non solo ha tradito gli
obiettivi assunti in occasione della
Conferenza delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici COP 26, in
cui si era impegnato a sconfiggere la
deforestazione illegale entro il 2030,
ma per di più tollera, in questo ultimo
anno di mandato presidenziale di
Bolsonaro, una vera e propria corsa
alla sottrazione di terre alla selva.
Il fiume porta la morte
L’Amazzonia brasiliana appartie-
ne, quindi, a uno stato che, attraverso
le parole dei suoi vertici, appare spes-
so infastidito dall’idea di non poterne
disporre senza vincoli. Eppure do-
vrebbe essere chiaro ormai a tutti che
si tratta di un bene dell’intero genere
umano, come ricorda papa France-
sco nella Laudato si’, là dove sostiene
che «tutto nel mondo è intimamente
connesso» (n. 16; EV 31/596). Ma
l’Amazzonia è in primo luogo patri-
monio dei popoli originari della sel-
va, in base a precise e apposite leggi
del Brasile. Ai popoli indigeni spetta
dunque per primi il possesso perma-
nente della propria terra, l’esclusivo
usufrutto della stessa e la conserva-
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zione di stili di vita tradizionali. La
realtà degli ultimi decenni descrive,
viceversa, una situazione radical-
mente opposta.
«Perché i fiumi sono sporchi?
Sempre più appaiono cadaveri di ga-
rimpeiros (gli estrattori d’oro) che gal-
leggiano nel fiume! Quando i pesci
mangiano la carne di questi morti,
noi finiamo per mangiare quei pesci
grassi di carne umana, e non lo accet-
to!». Queste frasi fanno parte dell’in-
cipit del rapporto di 120 pagine Yano-
mami sotto attacco: estrattivismo ille-
gale nella Terra indigena yanomami
(TIY) e proposte per combatterlo, divul-
gato l’11 aprile dalla Hutukara Asso-
ciazione Yanomami. C’è un appello
ad alzare lo sguardo: «La nostra terra
è completamente morta! Chiedo an-
cora a tutti i leader di venire in nostro
soccorso! Proprio come la Foresta è
devastata, lo siamo anche noi!».
Il rapporto è ricco di immagini di
devastazione, di mappe territoriali e
di dati che descrivono nel dettaglio il
degrado ambientale, ma anche gli
esiti sociali dell’attività d’estrazione
illegale: «Uno degli effetti diretti più
drammatici osservati con il continuo
avanzamento dell’estrattivismo nella
TIY è l’aumento (in frequenza e gra-
do) delle minacce alla sicurezza delle
diverse comunità e dei leader che si
oppongono pubblicamente a esso».
Le comunità perdono il controllo del
proprio spazio vitale. L’insicurezza
dissuade le persone dal muoversi libe-
ramente nella regione, sia a causa di
intimidazioni e minacce esplicite da
parte dei garimpeiros, ben armati, sia
in ragione della semplice presenza
ostile di non indigeni. Le restrizioni
all’utilizzo del proprio territorio tra-
dizionale impediscono il pieno svolgi-
mento delle attività produttive locali,
quali caccia, pesca e agricoltura.
L’attività estrattiva è associata a una
maggiore diffusione di malattie da
contagio, specialmente la malaria. La
contaminazione da mercurio porta
danni irreversibili alla salute, tra cui
una maggiore incidenza di danni
neurologici nei neonati. Il mancato
accesso all’acqua potabile, per l’in-
quinamento dei fiumi, porta non solo
gravi malattie, ma addirittura morte.
Il documento contiene anche segna-
lazioni di violenze sessuali e stupri su-
biti da adolescenti e donne indigene.
Il problema delle estrazioni illega-
li non è una novità nella TIY, tuttavia
il fenomeno è cresciuto in maniera
impressionante negli ultimi 5 anni. I
dati di MapBiomas Brasil indicano
che la curva di distruzione è in netta
ascesa: «dal 2016 al 2020 l’estrattivi-
smo nella TIY è cresciuto non meno
del 3.350%». L’espansione del feno-
meno ha varie cause, tra cui certa-
mente l’aumento del prezzo dell’oro,
la mancanza di trasparenza nella fi-
liera dell’attestazione di provenienza
di tale metallo, lo sviluppo tecnologi-
co e la crisi economica.
Soprattutto, però, va messa in evi-
denza la fragilità delle politiche am-
bientali e di protezione dei diritti dei
popoli indigeni, nonché «la politica
dell’attuale governo che incoraggia e
sostiene l’attività, nonostante la sua
natura illegale, producendo così l’a-
spettativa di una regolarizzazione
della prassi».
Il francescano
Steiner cardinale
Alla divulgazione del rapporto, lo
stesso 11 aprile, la Commissione epi-
scopale speciale per la lotta alla tratta
di esseri umani (CEPEETH) della
Conferenza nazionale dei vescovi del
Brasile ha espresso con veemenza in
una nota «la propria indignazione e il
proprio ripudio di fronte alla violenza
Il Regno -
subita dal popolo yanomami, in parti-
colare l’invasione del loro territorio
da parte del fenomeno dell’estrattivi-
smo, la violenza sessuale contro don-
ne e bambini e la totale negligenza
del governo».
La nota non mostra incertezze
nell’individuare il principale respon-
sabile di tale situazione, «risultato
dell’inefficacia dello stato brasiliano,
in particolare del governo federale,
che in maniera esplicita ha sviluppato
azioni volte a espellere i popoli e le
comunità dalle proprie terre tradizio-
nali, concedendo titoli di proprietà a
quanti s’impossessano di terreni de-
maniali, soprattutto dove si trovano
popolazioni indigene, afro-america-
ne (quilombolas), comunità tradizio-
nali e aree protette».
Unita alla rivendicazione degli ya-
nomami e fedele «al suo impegno mi-
stico-profetico a fianco del grido dei
poveri e della terra», la CEPEETH
«esprime solidarietà e impegno nel
difendere la vita delle comunità yano-
mami e delle foreste, soprattutto delle
aree di riserva indigena; ripudia e de-
nuncia con indignazione ogni forma
di sfruttamento e violenza, in partico-
lare quella sessuale contro donne,
adolescenti e bambini».
La situazione d’intimidazione
che vivono i popoli indigeni è espe-
rienza condivisa dagli attivisti che
s’adoperano in loro favore. Lo testi-
monia la scomparsa, il 5 giugno, del
giornalista britannico Dom Phillips,
collaboratore de The Guardian, e
dell’indigenista Bruno Araújo Perei-
ra, di cui si sono perse le tracce nella
valle del Rio Javarí, tra le più inestri-
cabili del pianeta, al confine con Pe-
rù e Colombia, là dove gli indigeni
non hanno quasi rapporti col mondo
esterno.
Dom, 57 anni, fa reportage dal
Brasile da 15 e ora sta lavorando a un
volume sugli indigeni. Bruno, 41 an-
ni, è un profondo conoscitore dell’a-
rea, allontanato nel 2019 dalla FU-
NAI (Fundação nacional do índio), di
cui era stato funzionario, forse per il
suo eccessivo zelo nella difesa della
causa indigena. Costanti erano le mi-
nacce che riceveva da garimpeiros,
tagliatori di legname, cacciatori e pe-
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scatori di frodo. Che si faccia chiarez-
za sull’accaduto da parte delle autori-
tà pare difficile, se, dopo tre anni, re-
sta ancora impunita la morte dell’in-
digenista Maxciel Pereira dos Santos,
trentaquattrenne lavoratore della
FUNAI che combatteva le attività
criminali nella stessa area.
In questo contesto assume parti-
colare significato l’annuncio della
creazione a cardinale nel concistoro
del prossimo 27 agosto dell’arcivesco-
vo di Manaus, mons. Leonardo Ul-
rich Steiner, francescano, cugino pri-
mo da parte di madre del card. Paulo
Evaristo Arns, che lo ordinò sacerdo-
te nel 1978.
Immediato successore di mons. Pe-
dro Casaldáliga alla prelatura di São
Félix do Araguaia (Mato Grosso), ne-
gli anni recenti mons. Steiner non ha
temuto di mostrare la sua netta oppo-
sizione al governo in tema di gestione
della pandemia di COVID-19, quan-
do l’Amazzonia venne travolta da
molte migliaia di decessi, e di difesa
dello stato di diritto, della giustizia so-
cio-ambientale, per la tutela della «ca-
sa comune» e dei popoli che la abita-
no, costantemente minacciati (cf. Re-
gno-att. 16,2020,460; 4,2021,114).
Si tratta del primo pastore di una
sede amazzonica creato cardinale da
papa Francesco. Infatti, malgrado i
molti incarichi amazzonici a lui con-
feriti, il peruviano gesuita card. Pedro
Ricardo Barreto Jimeno, creato car-
dinale da Bergoglio il 28 giugno
2014, resta pastore di Huancayo, ar-
cidiocesi andina della sierra centrale
del Perù, affidatagli da Giovanni Pao-
lo II nel 2004.
Grande esperto dei problemi che
affliggono le comunità indigene gra-
zie ad attività pastorali precedenti al-
la nomina episcopale, rappresentante
dei vescovi della selva nella Confe-
renza episcopale peruviana dal 2003,
presidente delegato dell’Assemblea
speciale del Sinodo dei vescovi per
l’Amazzonia (settembre 2019), Bar-
reto è presidente della Rete ecclesiale
panamazzonica (REPAM) dal 2020 e
della Conferenza ecclesiale dell’A-
mazzonia dallo scorso marzo.
 
Gabriella Zucchi