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5. Applicazioni
5.1 Automotive……………………………………………………………………….37
5.2 Wind turbine ……………………………………………………………………37
5.3 Aeronautical gearbox ………………………………………………………..38
5.4 Production machine ………………………………………………………….38
6. Bibliografia…………………………………………………………………………………………38
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1.0 INTRODUZIONE
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• Aeronautico: dove viene utilizzata per gestire le RPM dell’elica dei motori turbofan e turboprop.
• Automotive: dove è normalmente usato a livello di trasmissione per gestire la coppia alla ruota
e il numero di giri del motore.
• Oil and Gas: nella gestione degli RMP di macchine operatrici per la movimentazione e
l’estrazione di petrolio e gas.
• Macchine utensili; per la gestione del numero di giri di macchine per asportazioni di truciolo
come torni, trapani, frese etc.
• Produzione di energia: raramente utilizzati nelle turbine Heavy-Duty le quali solitamente
vengono progettate per lavorare ad un numero di giri costante, possono essere utilizzate nelle
turbine machanical drive dove si potrebbe voler cambiare RPM. Sono poi anche ampiamente
utilizzati nel settore delle turbine eoliche per la produzione di energia rinnovabile.
L’utilizzo delle ruote dentate ha permesso dunque, in tutti questi settori, di ottenere notevoli
miglioramenti nelle prestazioni, ma si sono introdotti delle componenti che creano rumore, sono
soggetti a forte usura e hanno un costo molto elevato. Il loro studio è quindi fondamentale in quanto
capire al meglio come possono essere modellate ci consentirebbe di sfruttarle ulteriormente, allungarne
la vita e ridurre inquinamento acustico e costi.
Piuttosto però che classificare i gearbox sul loro campo di applicazione si deve considerare una
classificazione in base al rapporto di riduzione che li caratterizza e al numero di giri a cui si trovano ad
operare in condizioni nominali.
Ovviamente l’applicazione più critica, sia in termini di stress che di sicurezza in caso di danneggiamento
di uno degli ingranaggi è il gearbox in motore aeronautico. In passato per cercare di aumentare le
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prestazioni dei turbofan si è cercato di sviluppare motori caratterizzati sempre di più da una maggiore
temperatura di ingresso turbina e più alti rapporti di compressione al fine di aumentare sia il
rendimento del ciclo termodinamico che quello del By Pass Ratio. Ai fini di aumentare sempre di più il
BPR però, l’uso di motori direct drive dove fan e turbina ruotano alla stessa velocità angolare inibisce la
possibilità di incrementare le dimensioni del fan (e quindi del BPR) perché tale componente si
troverebbe ad avere una velocità periferica troppo elevata che potrebbe comportare problemi di tipo
strutturale e fluidodinamico [1] . Questo ha comportato la necessità quindi di disaccoppiare i due
componenti introducendo tra loro un riduttore.
Per inquadrare quanto sia però vasto il problema e le variabili da considerare per modellare e studiare
questi componenti analizziamo anche il perché questi sono necessario in una turbina eolica. La maggior
parte delle catene cinematiche delle turbine eoliche includono una scatola degli ingranaggi per
aumentare la velocità dall’albero al generatore. Un aumento di velocità è necessario perché i rotori delle
turbine eoliche, e quindi gli alberi principali, girano ad una velocità molto inferiore a quella richiesta
dalla maggior parte dei generatori elettrici. I rotori di piccole dimensioni delle turbine eoliche girano a
velocità dell'ordine di qualche centinaio di giri al minuto, mentre per turbine eoliche più grandi girano
più lentamente. La maggior parte dei generatori convenzionali invece, girano a 1800 giri al minuto (60
Hz nella normativa americana) o 1500 giri al minuto (50 Hz nella normativa europea) [2]. Notare quindi
l’enorme differenza tra i due casi, dove nel primo si cerca di passare da un valore classico di 20.000 RPM
a circa 2500 RPM mentre nel secondo caso vogliamo passare da poche centinai di giri minuti in funzione
del vento a 1500 o 1800 RPM.
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Gli ingranaggi conici hanno idealmente la forma di cono circolare con la punta tagliata. Quando due ruote
coniche ingranano, i vertici dei due coni ideali devono coincidere e i due assi di rotazione quindi
intersecarsi in un punto, formando un angolo tra loro. Questi ingranaggi sono quindi usati in tutte quelle
occasioni dove dobbiamo cambiare la direzionalità del moto. Questi ovviamente sono ancora però più
complessi da gestire in quanto generano sistemi di forze sugli alberi. L’ingranaggio conico può però
essere realizzato con molte forme di denti, più o meno complesse, ai fini di controllare le azioni che si
generano e modellare il contatto per ridurre rumore ed usura.
Per ognuna di queste categorie in realtà abbiamo una variabilità molto vasta e dunque la classificazione
appena fatta perde di consistenza. Un’alternativa di classificazione può essere fatta sulla base della
direzionalità della trasmissione evidenziando come si rendono necessarie delle ruote dentate apposite
per ogni diversa applicazione. Questa classificazione alternativa viene riassunta in figura 1.
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2.0 STATO DELL’ARTE
Per lo studio del comportamento di una ruota dentata dobbiamo considerare diversi aspetti e per tanto
sarebbe più ottimale procedere per step. In questo studio quindi partiremo da come modellare il
contatto tra le ruote dentate attraverso l’applicazione della teoria di Hertz ai fini di modellare le azioni
agenti sulla ruota. Una volta modellate queste, si procede dunque ad uno studio analitico statico di
questa, anche se è stato dimostrato che non è necessario per il raggiungimento del nostro scopo, ovvero
lo studio della dinamica, in quanto rappresenta un offset della risposta. Si può pertanto direttamente
studiare il sistema accoppiando l’analisi statica con quella dinamica [1].
L’analisi dinamica che andremo a fare poi è un’analisi di tipo non lineare in quanto, se si considerasse
anche un solo grado di libertà, il sistema con massa libera, vincolata con una rigidezza e uno smorzatore
sappiamo avere equazione:
𝑚𝑥̈(𝑡) + 𝑐𝑥̈(𝑡) + 𝑘𝑥̈(𝑡) = 𝑓(𝑡)
La massa, che poi sarà una schematizzazione della ruota però non è libera, ma ingrana con altri elementi
e, data la natura non lineare del problema, l’equazione di equilibrio si modifica facendo intervenire una
componente nel termine forzante che sarà dipendente dallo spostamento x della massa, introducendo
una non linearità nel sistema.
𝑚𝑥̈(𝑡) + 𝑐𝑥̈(𝑡) + 𝑘𝑥̈(𝑡) = 𝑓(𝑡) − 𝑓𝑐(𝑥̈, 𝑥̈,𝑡)
Oltre al caso poi monodimensionale dovremo considerare anche l’idea di studiare modelli analitici a più
gradi di libertà e considerare quindi casi 2D o 3D.
Mentre nei modelli analitici sono necessarie delle ipotesi a priori per rappresentare il comportamento
di deformazione globale e locale del dente e rappresentare interazioni tra denti che si ingranano
simultaneamente, i modelli FEM non richiedano ipotesi che inevitabilmente introducano
approssimazioni. D’altra parte, per la loro risoluzione e per garantire ottimi gradi precisione sono
necessarie mesh estremamente raffinate che ad oggi rendono il processo computazionale non
economico in termini di tempo. Esistano però delle metodologie che consentono di andare a velocizzare
il processo e che verranno presentate in seguito.
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“the angular displacement of the mating gear from the position it would occupy if
the teeth were rigid and unmodified”
Ovvero: “Lo spostamento angolare che l’ingranaggio accoppiato ha dalla sua posizione ideale nel caso in
cui i denti fossero rigidi e non modificabili”.
Ad oggi questa tipologia di errore nell’ingranamento è considerato la principale causa delle vibrazioni
ed è dovuto, come affermato da Munro, alla deformazione elastica dei denti e alla natura hertziana del
contatto.
Grazie a queste ipotesi le tensioni nella zona di contatto non sono influenzate dalla forma dei corpi e dai
vincoli lontano dall’area di contatto e questo semplifica notevolmente i conti. La teoria può essere
ulteriormente semplificata aggiungendo ulteriori ipotesi:
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dove “c” è la curvatura relativa tra i due profili di corpi curvi in contatto, la pressione avrà invece
funzione:
2𝑃 𝑥̈ 2
𝑝(𝑥̈) = − √1 − ( )
𝜋𝑎 𝑎
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ingranino, ma impattino l’uno sull’altro con conseguente nascita di rumore (gear rattle) e
danneggiamento . Per quanto riguarda le eccitazioni interne invece, con queste nella maggior parte degli
studi, si fa riferimento a quelle tipologie di ingranamento dove il contatto non viene perso, ma è
continuo. In questo caso il rumore che si viene formare è “tonale”, tipico degli ingranaggi e non
rappresenta un problema. Si devono invece studiare fenomeni di microadesione delle superfici dei denti
dovuti alle alte pressioni però che portano presto al raggiungimento dell’usura per fatica oltre che ad
introdurre forze non desiderate che deteriorano l’ingranamento. Il fenomeno fisico invece da studiare
con maggiore interesse nel caso di ingranamento costante ai fini di modellare il contatto è la variazione
di rigidezza della mesh che avviene con un frequenza pari a quella del passaggio dei denti.
Ad ogni modo, per studiare il contatto tra denti in modo più rigoroso dobbiamo fare prima un distinguo
su come tale fenomeno viene modellato tenendo conto di ciò che abbiamo appena detto, ovvero della
variabilità della rigidezza del dente. In particolar modo, io posso studiare l’ingranamento assimilandolo
a due problemi distinti:
Analizzando quindi il primo modello, questo viene studiato da Zocca [1] , nella sua tesi di laurea
magistrale, dove viene riportata un’analisi monodimensionale di entrambi i modelli. Nel primo modello,
la massa risulta vincolata da una molla k e uno smorzatore c, questa massa schematizza quindi il dente
considerando un modello elastico-lineare di quest’ultimo. Il valore 𝑘𝑐 rappresenta invece la rigidezza
di contatto o di parete che, come tale, lavorerà solo in compressione, mentre durante la trazione questa
risulterà nulla. La parete in questo caso è assimilabile al dente sul quale la prima massa va ad ingranare
e questa viene studiata con un comportamento elastico puro. La forzante esterna eventuale invece, viene
rappresentata dalla 𝐹⃗ e potrebbe essere presente anche una componente statica che come sappiamo
possiamo anche trascurare in quanto rappresentare solo un off-set della soluzione dinamica del sistema
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che se 𝑥̈ > 0 allora la forza sta aumentando per cui i denti stanno ingranando, altrimenti, se 𝑥̈ < 0 i due
corpi si stanno separando e la forza diminuisce.
Si osserva che, nel caso dell’andamento blu si avranno poi corpi sempre in contatto (full contact), questo
vuol dire che l’oscillazione della massa non è abbastanza elevata da far separare per qualche istante i
due corpi. Nel caso graficato in verde sono sempre separati poiché l’oscillazione non è sufficientemente
alta da vincere il precarico negativo e far andare la massa contro la parete (open contact). Nel caso
riportato in rosso, invece, si vede che l’andamento di 𝐹𝑐 attraversa l’asse delle ascisse per cui si avranno
delle transizioni (intermittent contact).
Trascurando il caso di open contact che ovviamente è banale e il caso di full contact che può essere
modellato semplicemente risolvendo il sistema è interessante invece studiare il caso di contatto
intermittente. Questo modello di ingranamento è tipico dei cambi automobilistici e uno studio proprio
di questo fenomeno è stato portato avanti da Dion, Chavallier, Moyne e Sebbah [7] dove si sviluppa
sperimentalmente e numericamente lo studio dinamico dell’insorgenza di impatto nell’ingranamento di
ruote dentate ricercando una relazione tra la velocità di rotazione delle ruote dentate e l’energia e la
natura degli impatti. In questo articolo per la modellazione del contatto intermittente viene fatto
riferimento ad un sistema ad un singolo grado di libertà, non lineare, elastico e dissipativo. I dati ottenuti
da questa ricerca a livello numerico, confermati poi dai dati sperimentali, osservarono come per
particolari velocità, gli impatti ripetuti dei denti su un lato della mesh della ruota risultino critici e siano
fenomeni a cui prestare particolare attenzione.
In questo modo è stato definito un modello di contatto che, al variare del valore x dell’ampiezza di
vibrazione della massa, riporta una forza da inserire nel sistema che viene risolto iterativamente. Così
sarà possibile studiare la dinamica anche nel caso in cui si dovesse avere una perdita parziale del
contatto durante l’oscillazione. Ovviamente questo modello mono dimensionale può essere poi ampliato
a studi più complessi in 2 e 3 dimensioni.
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in quanto la forza di contatto dipende adesso anche dalla vibrazione del secondo dente. Ovviamente in
questo sistema lo spostamento 𝑥̈ non può più essere quello di una sola delle due masse, ma deve
rappresentare lo spostamento relativo di una rispetto all’altra.
𝑥̈ = 𝑥̈1 − 𝑥̈2
Per quanto riguarda la modellazione del contatto e l’influenza del gap il modello rimane invariato
Figura 7: rappresentazione dei risultati di un modello line load sulla sinistra e di un modello LTCA sulla destra
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il carico lineare, espresso in [N/mm]. Questa distribuzione di carico è calcolata sul diametro primitivo
di funzionamento, e non tiene conto della deformazione del dente sotto carico.
Il secondo metodo per calcolare la distribuzione di carico è quello di realizzare una LTCA, che come già
accennato permette di avere una distribuzione bidimensionale di carico, capace di fornire come risultato
principale di output una pressione, espressa in [N/mm2].
Riassumendo poi a livello grafico i risultati che si possono ottenere con i due studi e le variabili di
ingresso considerate la differenza è eclatante.
Figura 7: Schema rappresentativo di line load sulla sinistra e risultato di uno studio LTCA sulla destra
Pur mantenendo un’analisi di tipo 2D uno studio particolarmente interessante fu poi quello condotto da
Ambarisha e Parker[9] dove, per la modellazione di un riduttore planetario vengono usati:
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Usando però un’analisi a parametri concentrati per determinare lo spostamento relativo delle ruote
dentate è evidente che questo approccio non può considerare la rotazione relativa, ma solo un eventuale
spostamento di queste sul piano ortogonale all’asse di rotazione dell’albero. Ciò è intrinseco nell’uso
dell’analisi a parametri concentrati che riduce la ruota dentata ad un punto materiale (nodo) dell’albero
dotato di massa ed inerzia per il quale però non è possibile fare uno studio delle rotazioni attorno all’asse
perpendicolare a quello di rotazione.
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Figura 11: Sistema ad 1 DOF considerato per l’analisi del comportamento dinamico in relazione
allo STE. Come possiamo vedere il centro delle ruote dentate è rappresentato da una cerniera
ideale rigida in quanto si considera solo il grado di libertà rotazionale del sistema.
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determinata da Cai usando la formula suggerita dalla normativa ISO e una funzione esponenziale di sua
modellazione che consente di approssimare la variabilità di questa nel tempo.
I modelli di analisi 1D quindi, anche se non troppo accurati e non adatti ad applicazioni troppo
specifiche, possono essere usati nella progettazione di base dei profili delle ruote dentate e nelle
modifiche da apportare alla loro geometria per ottenere sistemi di forze desiderate. Sono utilizzati anche
per determinare l’accoppiamento di base con motori, generatori e altri componenti di macchina. Un
esempio di ottimizzazione della microgeometria del profilo è stato realizzato da M. Faggioni [14].
Figura 13: Sistema ad 2 DOF considerato per l’analisi del comportamento dinamico. Come
possiamo vedere il centro delle ruote dentate è rappresentato da un sistema di molle e
smorzatori, in quanto si vuole considerare anche il movimento radiale delle ruote.
Chiaramente i modelli 2D sono più complessi dal punto di vista computazionale, ma per quanto riguarda
le metodologie risolutive si procede allo stesso modo dei modelli 1D. Anche questi poi, possono poi
essere impiegati per lo studio della dinamica semplice e l’ottimizzazione della microgeometria del
profilo come fatto nello studio di Parker [15]. La loro applicazione fondamentale è quella però di modelli
previsionali della distribuzione della pressione sulla superfice del dente determinando così l’usura e il
danneggiamento. Esempi di questa applicazione li possiamo vedere nell’articolo di Liang et al.[16] dove
viene fatta un’analisi sulla modellazione, rilevamento e diagnosi dei danni dei riduttori basati
utilizzando modelli analitici 2D a parametri concentrati. Nell’articolo di Liang si riporta anche un
interessante stato dell’arte per quanto riguarda la modellazione della rigidezza variabile degli
ingranaggi, la quale può essere valutata con:
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2.2.3 Modelli analitici 3D
I modelli 1D e 2D come abbiamo analizzato però, non contemplano minimamente la possibilità che
l’ingranaggio si sposti anche al difuori del piano di rotazione. Nella realtà questo fenomeno invece
avviene ed è causa di diversi problemi si in termini di risposta dinamica, ma anche in termini di usura e
resistenza a fatica, per cui per modellare al meglio i gearbox i modelli devono tenero conto anche di
questi aspetti. Tali movimenti fuori dal piano di rotazione, non sono poi poco frequenti e generalmente
sono caratterizzati anche da termini forzanti consistenti, ci basti pensare infatti alla componente di forza
assiale che si ha nell’ingranamento di ruote dentate coniche o elicoidali che porta alla generazione di un
momento che porta alla naturale torsione fuori dal piano di rotazione. Nel caso di ruote dentate a denti
dritti invece, l’uscita della ruota dal piano di rotazione è dovuto semplicemente al moto del supporto.
Come evidenziato poi nello studio di Palermo [11], nei modelli analitici 3D possiamo fare due tipologie
di analisi, una dove si considera la vibrazione fuori dal piano di rotazione delle ruote dentate che
influenza effettivamente anche la distribuzione della pressione di contatto e una no, dove per cui si
considera solo l’effetto che queste vibrazioni hanno sullo scambio di forze.
Uno studio analitico 3D completo di un GTF (gearbox turbofan) nella sua intera complessità lo possiamo
ritrovare nell’articolo di S.Wang e R. Zhu [17] dove però il loro studio, come già detto prima, non viene
utilizzato per valutare la distribuzione di pressione sul profilo del dente, ma solo per studiarne al meglio
il moto.
Un analisi invece più profonda, effettuata per ruotismi epicicloidali e sistemi planetari, ma comunque
interessante per lo studio della modellazione di sistemi analitici 3D è quella condotta da Yu et al. [18]
dove invece il modello viene utilizzato per determinare la distribuzione della pressione di contatto e
apportare così miglioramenti alla microgeometria del profilo. In particolar modo il moto nel piano di
rotazione della ruota dentata e il suo modello vibrazionale, vengono accoppiati con un modello 3D del
cuscino a cui è collegato l’albero.
Altro esempio di modellazione analitica 3D lo possiamo vedere nel capitolo 12 di Zhao et al.[19] dove
vengono analizzati gli effetti dei momenti flettenti che portano le ruote dentate a vibrare, fuori dal piano
di rotazione ideale nelle stesse, nel caso specifico di un riduttore epicicloidale all’interno di una turbina
eolica.
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In conclusione, uno studio analitico 3D completo delle ruote dentate e più nello specifico di un ruotismo
planetario lo possiamo vedere nell’articolo di Friswell [20] dove oltre che allo studio del ruotismo in se
e per se si possono ritrovare delle dimostrazioni analitiche di conclusioni generali per quanto riguarda
la dinamica delle ruote dentate, ovvero:
• La massa degli ingranaggi, il materiale di cui è fatto e la rigidezza variabile hanno una forte
influenza sulla risposta modale.
• Le vibrazioni torsionali sono le più significative e quelle che dipendono maggiormente dalla
rigidezza variabile delle ruote dentate
• I modi delle vibrazioni laterali sono invece più influenzati dalla geometria e dalla massa delle
ruote dentate.
• I modi delle vibrazioni assiali invece sono meno dipendenti dalla forma e dalla rigidezza della
ruota dentata e dipendono molto di più dalla struttura di supporto degli ingranaggi.
Figura 15: Diagramma di Campbell – linea blu vibrazioni laterali BW – linea nera vibrazioni
torsionali assiali accoppiate – linea rossa, marrone e verde vibrazioni laterali FW, BW, FW.
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Di pari passo con i tentativi di riduzione delle mesh però, si procede anche nella direzione contraria,
ovvero infittendole e complicandole sempre di più in modo tale da poter determinare il comportamento
di queste anche durante fenomeni complessi come nel caso di denti usurati o danneggiati. Un articolo
riguardo ciò è quello scritto da Concli e Gorla [26], dove si spiega come si è cercato di riprodurre l’effetto
dei danneggiamenti con un modello virtuale ai fini di un monitoraggio strutturale nel caso specifico di
cambi automobilistici. In questo studio per cercare di contente ad ogni modo il tempo di attesa si ricorre
ad un approccio “ibrido” che vedremo meglio più avanti.
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Altri approfondimenti interessanti per quanto riguarda lo sviluppo della simulazione FEM statica lo
possiamo poi trovare nell’articolo di Presicce [23] dove è presentato uno studio , condotto mediante
metodi di ingranamento di ruote dentate cilindriche a denti dritti, tenendo in considerazione effetti
prodotti dai grandi spostamenti con anali del modello di contatto tipo LTCA. In particolar modo nello
studio vengono studiati gli effetti sull’allargamento della linea di contatto e la posizione dei picchi di
pressione che si generano durante l’ingranamento e come questi aspetti sono legati al livello di carico
dell’ingranaggio. Nello studio di pone poi particolare attenzione alla modificazione del profilo che
assume un ruolo fondamentale nella progettazione di questo tipo di ruote per applicazioni con alte
prestazioni. A fine dello studio quello che si è osservato è che pressione di contatto e errore di
trasmissione sono molto sensibili alla topografia della spoglia, mentre forza sul dente e stato tensionale
di questo alla base, non ne risentono. Inoltre viene trattato l’effetto di allargamento del grado di
ricoprimento in funzione del carico e l’evoluzione della forma nella funzione del errore si trasmissione.
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{𝑈𝐴 } = {𝑈𝑅 𝑈𝐿 }
Il set di nodi di bordo include poi non solo i relativi DOF di ogni singolo, ma anche i vincoli relativi al
ruolo di interfaccia che questi nodi hanno con altri elementi di macchina.
Il metodo procede poi per andando a trasformare per ogni nodo 𝑈𝐿 le coordinate elastiche dei nodi a
seguire in coordinate modali 𝑄𝐿 , dopo di che il set di soluzioni modali 𝑄𝐿 viene tagliato in un set ridotto
indicato con 𝑞𝑚 contenente solo il contributo dei modi di vibrare più significativi dal punto di vista
energetico. Una volta determinato quindi tale vettore ibrido, il metodo di riduzione di Craig-Bampton
affianca alla matrice di riduzione statica di Guyan una seconda matrice di natura dinamica che porta a
scrivere una relazione tra nodi e matrice di riduzione del tipo:
𝑈𝑅 𝑈𝑅
{ } = {𝐵 𝜙} { } 𝑐𝑜𝑛 𝑚 < 𝐿
𝑈𝐿 𝑞𝑚
con
𝐼 0
{𝐵} = { } 𝑒 {𝜙} = { }
𝜙𝑅 𝜙𝐿
dove 𝜙𝑅 e 𝜙𝐿 sono entrambe note e sono la prima la matrice di rotazione di corpo rigido mentre la
seconda la matrice di spostamento degli L gradi di libertà relativi allo spostamento della base, I è la
matrice identità e 0 è la matrice nulla.
Una trattazione molto più approfondita del metodo di riduzione di Craig-Bampton può essere affrontate
poi nelle dispense di Young [27] e un esempio di applicazione di questo, ma anche del metodo di
riduzione di Guyan, lo possiamo trovare nella tesi Ziparo [29].
La riduzione di Craig-Bampton resta comunque una tecnica del 1968 che nel corso degli anni si è evoluta
e fino ad arrivare alla tecnica Component Mode Synthesis (CMS) dove i nodi sono divisi non più in due,
ma in tre gruppi: quelli di interfaccia fissi, quelli di interfaccia liberi e quelli di interfaccia flessibili. Una
descrizione di questo metodo di riduzione e uno studio su come può essere migliorato lo possiamo
trovare sempre nell’articolo di Deshpande et al.[25].
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aperta e vista la necessità e i notevoli vantaggi che software di modellazione e risoluzione di tali sistemi
porterebbero introdurre è chiaro che la redditività sarebbe molto elevate a di conseguenza la
competizione è alta con scarsa condivisione di informazioni.
Un esempio di modellazione rigid multibody, confrontata poi con un modello flexible multibody e un
modello 1D puramente torsionale , può essere vista ad ogni modo nello studio di Helsen et al. [30] dove
si conclude e si evidenzia come per uno studio di base possa essere sufficiente uno studio di tipo
torsionale puro, ma che per descrivere il comportamento modale del gearbox è necessario uno studio
di tipo quantomeno rigid multibody a 6 DOF, se non addirittura un modello flexible multibody che ci
consente anche di definire come il riduttore per intero si accoppia al resto della macchina.
Figura 17: Diagrammi di Campbell per la forza normale al dente e angolo di disallineamento delle ruote dentate
ingrananti tratti dai risultati dello studio di Palermo [11]
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2.5 OTTIMIZZAZIONE
Durante la fase di progettazione di un prodotto, che sia automobilistico o aerospaziale, i progettisti
affrontano una serie di compromessi come la minimizzazione della compliance ad un dato peso
strutturale. Nella progettazione di un componente siamo costantemente alla ricerca della migliore
distribuzione della materia all'interno di un determinato dominio di progettazione. Per risolvere questo
problema possono essere applicati molti algoritmi di ottimizzazione della topologia.
Oggigiorno, molti software commerciali agli elementi finiti hanno un modulo di ottimizzazione per
ottenere il miglior design. Tuttavia, la ricerca è tutt’altro che conclusa in quanto sono ancora numerosi
gli aspetti che devono essere considerati in queste ottimizzazioni.
2.5.1 Ottimizzazione strutturale
L’ottimizzazione strutturale classica di un ingranaggio ad oggi è fondamentale specialmente in ambito
aeronautico. In questo caso particolare i componenti e gli ingranaggi devono essere sempre più leggeri,
ma questo li rende quindi più propensi a vibrare. Le vibrazioni forzate in condizioni di risonanza
riducono la vita a fatica del componente e quindi attribuirne migliori caratteristiche dinamiche e
statiche si scontra con la necessità di un incremento della massa.
Proprio per risolvere questo problema, per migliorare il comportamento statico e a fatica della ruota,
nello studio di Occhipinti [46] si procede ad una minimizzazione dello spostamento statico,
dell’ampiezza delle vibrazioni e di spostarne i picchi di risonanza lontano dalle velocità operative,
agendo sulla geometria del design space. Nello studio, per caratterizzare la risposte all’eccitazione di
ogni configurazione e per confrontarle tra di loro vinee poi definita la funzione Risk-Factor, che da in
out put un parametro correlato alla presenza di picchi di risonanza all’interno degli intervalli operativi
di velocità e allo spostamento statico.
Ovviamente queste procedure di ottimizzazione sono estremamente onerose in termini di tempo e per
questo motivo, studi come quelli di Artareo [47], si concentrano sulla ricerca di metodologie più
ottimizzare le parti. In particolare, la componente più innovativa della presente tesi è costituita dal
tentativo di implementazione della ciclo simmetria nell’ottimizzatore. Tale semplificazione
permetterebbe l’analisi e l’ottimizzazione a partire dal modello di un singolo settore dell’ingranaggio
anziché dall’intera ruota, risparmiando così una notevole quantità di tempo. L’ottimizzazione
strutturale come sappiamo, assume una maggiore in portanza nell’ultimo periodo grazie alla crescita
delle tecniche di additive manufacturing a disposizione che ci consentono di ottenere forme molto
complesse, risparmiando in peso, ma senza rinunciare alla funzionalità della struttura. Uno studio
completo di questo tipo, dove si esegue l’ottimizzazione topologia di una ruota dentata lo possiamo
trovare nello studio di Zhang, [48] dove al termine dello studio la struttura della ruota ottimale risulta
essere quella in Fig. 18.
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3 TRIBOLOGIA
Adesso parleremo di tutti i problemi legati all’usura del dente, alla sua resistenza a fatica, come queste
tipologie di danni possono essere predette, modellate ed analizzare tramite modellazione agli elementi
finiti. Analisi di questo tipo ci consentono infatti di ridurre i costi e aumentare la sicurezza. Tratteremo
infine anche quali sono le possibili strategie di lubrificazione, come funzionano e come anche queste
possano essere modellate.
3.1 L’USURA
Si definisce usura la perdita di materiale che avviene progressivamente ed irreversibilmente sulla
superficie di due corpi in contatto soggetti a moto relativo. Esistono varie tipologie del fenomeno che
sono contraddistinte per le particolari condizioni in cui si verificano, ma tutte determinano lo stresso
risultato: il danneggiamento progressivo dei corpi che ne sono interessati. In funzione dei meccanismi
che ne sono alla base si può parlare di:
• Usura adesiva quando il fenomeno è prodotto dalla rottura delle microsaldature che si producono
localmente tra le asperità che le superfici di due corpi in contatto presentano per effetto delle
lavorazioni a cui sono stati sottoposti.
• Usura abrasiva se si origina dall’azione di taglio di rugosità acuminate o di particelle di materiale duro
che strisciano su una superficie più tenera.
• Usura corrosiva quando la perdita di materiale è dovuta all’azione dello strisciamento che determina
la rottura e la successiva rimozione del sottile strato di ossido che si forma localmente per effetto delle
elevate temperature proprie della zona di contatto.
Nel caso di ruote dentate si parla principalmente di usura adesiva e nello specifico questa la si può
classificare in altri due casi e distinguere tra scorig se si verifica passaggio di materiale metallico da una
superficie all’altra che può accumularsi fino ad arrivare al grippaggio e lo scuffing se invece il fenomeno
si presenta come rigatura delle parti interessate.
Oltre a queste tipologie, esiste anche un’ulteriore forma particolare di danneggiamento che
impropriamente viene chiamata usura, il fenomeno di usura superficiale o pitting che è prodotto
unicamente dalle forze agenti in modo ciclico sul profilo del dente che portano ad un danneggiamento
per fatica la superfice del dente anche se il contatto viene sempre mediato da uno strato di fluido.
Quando la sollecitazione è applicata ciclicamente, si possono produrre delle rotture per fatica
superficiale che propagando determinano il distacco di scaglie dalle aree di contatto. Spesso questa
tipologia di usura si manifesta dopo un grande numero di cicli di carico, anche quando la loro intensità
è inferiore alla capacità di resistenza statica del materiale.
Come riportato poi nella tesi di Adami [34], la previsione di questi fenomeni è ovviamente fondamentale
e può essere eseguita con diversi approcci, nessuno dei quali al momento però risulta efficace al 100%.
dove k è una costante dipendente da aspetti come il materiale, il trattamento superficiale etc.
Nello studio di Andersson in realtà quello che viene fatto semplicemente quindi è andare a determinare
la pressione di contatto tra i denti tramite un modello FEM e successivamente, andare a valutare se
verifica l’usura ed eventualmente la quantità di materiale asportato in modo tale da determinare come
si modifica la geometria del profilo e rivalutare al ciclo dopo anche il nuovo profilo di pressione di
contatto Chiaramente quindi l’esattezza di questo metodo dipende molto dall’esattezza della formula di
Archard e della precisione del modello FEM. Rimanendo la ricerca di Andersson, una ricerca del 1997
chiaramente sono stati fatti passi in avanti in entrambi gli aspetti, sia nello studio fisico dell’usura che
nella modellazione FEM e tale metodo di conseguenza è molto più affidabile. Per avere cognizione di
come sia cambiata anche la modellazione dell’usura si riporta anche gli articoli di Tabrizi et al.[37] e Liu
et al.[38] di più recente stesura e dove si studia nel dettaglio l’equazione di Archard per la modellazione
dei fenomeni di usura sia nelle ruote dentate che nei contatti tra corpi curvi in rotazione generici.
Pochi anni dopo, gli stessi autori, Flodin e Anderson proposero una modifica al loro studio valida anche
per ruote dentate elicoidali dove si proponeva di analizzare quest’ultime come tante ruote dentate
cilindriche, di spessore sottile e dove ognuna era ruotata rispetto alla precedente di un angolo fisso.
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Figura 19: Modello di ruota cilindrica proposto da Flodin e Anderson
Ovviamente, entrambi i modelli proposti basano però il loro sviluppo su di un’analisi FEM con un singolo
grado di libertà, per cui sullo studio di modelli prettamente torsionali. Chiaramente lo sviluppo della
modellazione dell’usura va di pari passo con lo sviluppo della modellazione FEM e per tanto prima di
avere analisi precise o modelli di previsione validi si è dovuto attendere il 2004 con l’articolo di Bajpai
et al.[39] dove si riporta i risultati di una prima modellazione dell’usura basata sempre sull’equazione
di Archard, ma combinata con un modello di analisi FEM completo. Questo tipo di analisi consente di
andare a realizzare quindi un’ottimizzazione strutturale delle ruote dentate.
Questi modelli, se pur corretti comunque e validi nella maggior parte dei casi sono comunque primitivi
in quanto non tengono conto di molti aspetti che incidano sull’usura del dente, come la temperatura a
cui avviene il contatto, oppure valutano solo in modo approssimato le caratteristiche del materiale. Per
questo motivo studi recenti si stanno orientando non tanto più sulla modellazione del fenomeno stesso,
ma quanto su come modellare il comportamento del materiale durante l’ingranamento. Un esempio di
questi studi è quello portato avanti da Zhou et al. [40] dove si mostra un nuovo metodo di previsione
della temperatura di contatto ai fini di migliorare la previsione del fenomeno di scuffing. Nello studio
invece di Chen et al. [41] si va comparare i risultati di una simulazione FEM con una serie di prove
sperimentali condotte per una coppia di ruote dentate carbonitrurate in acciaio 18CrNiMo7-6
ingrananti sotto getto d’olio lubrificante ai fini di determinare un modello di scuffing e il comportamento
di tale materiale sottoposto ad in indurimento superficiale. La necessità di considerare la temperatura
di contatto e la presenza o meno di fluidi lubrificanti nella modellazione di ruote dentate è resa evidente
da prove sperimentali e ci obbliga quindi a considerare studi di ottimizzazione e modellazione termo-
fluido-strutturale come quelli appena citati.
3.2 LA FATICA
Come sappiamo per esperienza pratica, la rottura di un componente può avvenire anche a seguito
dell’applicazione ripetuta o ciclica di un carico inferiore al carico di rottura. Tale fenomeno è detto fatica,
e i carichi a cui sono sottoposti i materiali vengono detti affaticanti. Tale fenomeno, studiato a partire
dal XIX secolo risulta, per la natura dell’esercizio delle ruote dentate, estremamente rilevante in tale
ambito di studio.
Come abbiamo detto uno dei primi studiosi del fenomeno della fatica, i cui metodi di valutazione del
danneggiamento sono usati ancora oggi, fu Wohler che tra il 1852 e il 1870, analizzando gli assili
ferroviari, dedusse che la loro rottura, nonostante fossero progettati per resistere a carichi statici molto
più alti, avveniva per un’applicazione ciclica di una sollecitazione di flessione rotante. Ricostruendo lo
stato di sollecitazione in laboratorio Wohler, dunque, altro non fece che determinare una curva
sperimentale che abbiamo già discusso la quale relazionava in scala bilogaritmica o logaritmica il carico
necessario al danneggiamento e il numero di giri per ottenere il danno.
28
Figura 20: Esempio di curva di Wohler
La rottura per fatica, tipica dei materiali duttili, nel caso specifico dei materiali metallici è legata a
fenomeni di micro-deformazioni plastiche cicliche locali indotte dal ciclo di sollecitazioni. Esse sono
dovute al fatto che, per effetto di vari tipi di microintagli o discontinuità, il valore dello sforzo può
superare localmente il carico di snervamento.
In particolare, il danneggiamento per fatica procede attraverso i seguenti stadi:
• Innesco della frattura: Detta anche fase di nucleazione, abbiamo una prima apertura della cricca
a causa del superamento locale del carico di snervamento.
• Propagazione della cricca: Fase all’interno della quale, ciclo per ciclo si ha la propagazione della
cricca. Questa fase è anche la fase che impiega la maggior parte del processo di rottura.
• Rottura catastrofica: La sezione resistente rimasta a seguito della apertura della cricca non è più
sufficiente e si ha la rottura definitiva del componente.
In molti casi la rottura, o comunque la nucleazione prende inizio da una discontinuità (cricca) nel
materiale, anche di piccolissime dimensioni, che, propaga fino alla rottura. Ovviamente modellare
questo fenomeno diventa però molto complesso in quanto dovremmo essere in grado di prevedere
quando, dove e come si genare la cricca, oltre che a come questa si propaga.
29
Per applicazioni di più alto livello però, queste normative non sono più valide e pertanto negli ultimi
anni la ricerca nella modellazione di tale fenomeno è cresciuta, sia perché ad oggi abbiamo gli strumenti
e le potenze di calcolo necessarie, sia perché la crescente richiesta di leggerezza ed affidabilità delle
trasmissioni di potenza rende indispensabile la definizione di criteri di dimensionamento e verifica dei
componenti più accurati rispetto a quelli oggi utilizzati.
Un esempio di modellazione della fatica per le ruote dentate di un cambio automobilistico lo possiamo
trovare nello studio di Guagliano e Vergani [42] dove viene elaborato un procedimento di calcolo per la
previsione a fatica delle ruote dentate carbonitrurate. Tale procedimento distingue la fase di
nucleazione da quella di propagazione e consente la valutazione quantitativa di entrambe: in questo
modo è possibile ottenere un dimensionamento a fatica accurato e proporre eventuali affinamenti
finalizzati all’alleggerimento del riduttore. Prove sperimentali condotte sulle ruote dentate hanno
fornito poi le prime valutazioni riguardo all’efficacia del metodo proposto.
30
fenomeno della fatica sul fianco del dente come dimostra l’articolo di Patel e Shukla [44] dove però si
studia e si modella solo la fase di espansione della cricca.
Un approccio diverso da quelli fino ad ora illustrati invece può essere quello descritto nello studio di
Cular et al.[45] dove si propone un modello computazionale per prevedere sia la posizione che il numero
richiesto di cicli per la fatica da flessione nel caso di ingranaggi cilindrici temprati in superfice. In questo
metodo la zona della radice del dente viene divisa in strati (livelli) e le proprietà di resistenza a fatica
del dente sono assegnate ad ogni strato in base ad una funzione relativa alla durezza. Tale metodo viene
poi valutato in efficienza con un confronto con dati sperimentali.
3.3 LA LUBRIFICAZIONE
Ovviamente, ai fini di evitare l’usura dei denti, allungare la vita delle componenti e garantire il corretto
ingranamento delle ruote è necessario procedere alla lubrificazione. La lubrificazione può essere
eseguita con diverse metodologie, ognuna delle quali è adatta però ad una specifica velocità di rotazione.
Si distinguano dunque in 3 tipologie di lubrificazione principale, così come descritte nelle dispense:
• A grasso fluido
• A bagno d’olio
• A getto
Un’ alternativa a questa classificazione però è quella per cui la strategia di lubrificazione si identifica
sulla base degli sforzi che questa sorregge. In una trasmissione ad ingranaggi, la lubrificazione è
importante per gli ingranaggi stessi e i cuscinetti di supporto dei vari alberi; i regimi di lubrificazione ai
quali possono lavorare questi elementi sono classificati in tre categorie:
• lubrificazione idrodinamica,
• elastoidrodinamica
• limite.
Ingranaggi e cuscinetti lavorano in uno di questi tre regimi o in una loro combinazione.
La lubrificazione idrodinamica si ha quando esiste una pellicola di gas o di liquido che separa
completamente le superfici in movimento relativo, impedendo il contatto diretto tra i due elementi.
Questo è il regime di lubrificazione più desiderabile, poiché l’attrito è basso e l’usura è estremamente
ridotta o, al limite, nulla. Negli ingranaggi, tale condizione si può verificare dove lo strisciamento dei
denti in presa e la forma del meato permette la formazione di uno strato di olio che separi
completamente i denti.
Nella lubrificazione elastoidrodinamica invece abbiamo un’estensione della teoria idrodinamica.
Considerando sia la deformazione elastica del meato per effetto delle altissime pressioni in gioco, sia la
dipendenza della viscosità del lubrificante dalla pressione si arriva così alla teoria della lubrificazione
elastoidrodinamica, teoria che illustra come sia possibile la formazione di una pellicola d’olio completa,
seppur sottile, tra le superfici in movimento.
Si parla invece di lubrificazione limite quando non si instaura un regime di lubrificazione idrodinamica
o elastoidrodinamica e si verifica, dunque, il contatto tra i due membri. Si parla di lubrificazione limite
quando non si instaura un regime di lubrificazione idrodinamica o elastoidrodinamica e si verifica,
dunque, il contatto tra i due membri.
La lubrificazione idrodinamica, elastoidrodinamica o limite può avvenire in modo non ideale, ma misto.
Ad esempio, durante l’ingranamento di un dente, si presentano solitamente tutti e tre i regimi di
lubrificazione, consecutivamente o simultaneamente.
31
Per approfondire questi aspetti comunque possiamo fare riferimento alla tesi di Maldotti [49] dove si
analizzano delle trasmissioni ad ingranaggi e delle ruote dentate in generale, nell’ottica della
minimizzazione delle perdite di energia e si fa un’analisi teorica della lubrificazione.
Per cercare di migliorare la lubrificazione possiamo adottare diverse strategie, la maggior parte delle
quali descritte nell’articolo di Gorla e Concli [50] i quali indicano come strategie principali:
l’ottimizzazione del materiale, la scelta adeguata del lubrificante e la ottimizzazione geometrica.
Nell’articolo [50] si propone quindi un uso integrato del CFD nelle simulazioni di funzionamento di ruote
dentate applicando tale metodo per lo studio di fenomeni su scale dimensionali diverse, che vanno dallo
studio delle perdite per sbattimento (interazione diretta componenti – olio) alle perdite di potenza per
pompaggio (dovute alla variazione del volume nel vano tra i denti). I risultati sono stati confrontati con
dati sperimentali mostrando una differenza contenuta e mai superiore al 5%.
Ovviamente ogni sistema di lubrificazione deve essere trattato in modo singolare per cui l’analisi CFD
di una lubrificazione ad iniezione, ad esempio, non potrà essere la solita di una analisi con lubrificazione
a bagno d’olio. Nell’articolo di Zhou et al. [51] possiamo però vedere un esempio di applicazione di tale
metodo, dove si studia una coppia di ruote dentate elicoidali ad alta velocità che ingranano lubrificate
sotto un getto di iniezione d’olio. I risultati di tale studio, verificati poi da prove sperimentali, mostrano
che per la geometria considerata i risultati migliori si hanno nel caso di un angolo di inclinazione del
getto di 7.5° e una velocità di 45 m/s.
Ovviamente, il lubrificante non è importante solo da un punto di vista di funzionamento e allungamento
della vita delle componenti, ma anche da un punto di vista energetico in quanto la sua presenza,
garantendo un contatto migliore, migliora la resa energetica. Se questo però viene inserito in eccesso, le
interazioni delle altre parti della ruota con il fluido, il quale ha una sua viscosità potrebbero portare, al
contrario, a perdite energetiche. Recentemente, l’applicazione della fluidodinamica numerica ha aperto
nuove strade, rendendo disponibili nuovi approcci per lo studio della lubrificazione degli ingranaggi e
delle perdite, sebbene le soluzioni proposte agli esordi abbiano mostrato limiti dovuti ai tempi di calcolo
e alla gestione dei modelli. Un analisi di quelle che vengono quindi definite come “perdite indipendenti
dal carico” la possiamo trovare in un altro studio di Concli e Gorla [52] dove viene sviluppato un software
apposito per il loro calcolo. Il software sviluppato legge da un file di input i dati della geometria della
ruota. A seguire l’algoritmo di generazione della griglia genera la mesh per l’istante temporale 𝑖-esimo.
A questo punto entra in gioco il solutore fluidodinamico che risolve le equazioni di conservazione e fa
progredire la simulazione fintanto che la qualità della mesh rispetta i parametri qualitativi imposti. A
questo punto i risultati vengono salvati e rimappati sulla nuova mesh che viene creata in automatico. Il
calcolo progredisce in questo modo fino al raggiungimento del tempo di fine simulazione 𝑇𝐸𝑁𝐷 .
Figura 22: Errori di forma sul profilo ed elica dovuti al taglio con utensile creatore
Un’analisi molto più approfondita di questi processi classici in ogni caso la possiamo trovare nel libro di
Gupta et al.[57] dove si descrivano tutti i processi produttivi classici di ruote dentate, i materiali e i
trattamenti superficiali che possono essere usati. Nel libro, come nello studio di Guerrini [56] l’ultimo
processo di asportazione di truciolo che consente la realizzazione di ingranaggi di alta gamma è la
brocciatura, la quale viene anche questa descritta in modo molto approfondito sia in [56] che [57].
In particolar modo poi, nella tesi di dottorato di Guerrini, si propone un modello di verifica della
fattibilità di un processo industriale di rettifica a secco di ingranaggi attraverso la modellazione e
l’ottimizzazione del processo. Per cui si propone e viene fatta uno stato dell’arte della modellazione FEM
di tutti i processi produttivi, in particolar modo del processo di produzione per dentatura con utensile
creatore al quale segue un processo di rettifica della geometria della ruota.
34
Figura 23: Flow chart del processo dell’algoritmo che consente la modellazione del processo di produzione delle ruote
dentate.
Tra le tecnologie più innovative, valide sia per materiali plastici che metallici abbiamo invece l’additive
manufacturing sotto ogni sua forma anche se in realtà le strategie di produzione più utilizzate sono la
selective laser sintering (SLS) per i materiali plastici e la direct metal laser sintering (DMLS) per i
materiali metallici. Questi processi consentono di ottenere le forme più disparate nella creazione delle
ruote dentate e di ottenerle anche caratterizzate da un’elevata precisione. Una valutazione della
precisione di questi due sistemi di produzione la possiamo trovare nell’articolo di Pisula et al.[58] dove
vengono realizzate a caratterizzate a livello di forma delle ruote dentate prodotte con metodologia
DMLS in GP1 (high-chromium stainless steel) stampate con macchina EOS M270 machine. Una analisi
FEM poi, eseguita nello studio di Apparo [59] ci mostra come si modellano anche componenti prodotti
con tale tecnologia e come le loro resistenze siano comparabili a componenti prodotti con processi
tradizionali. Uno studio sulla resistenza dello stesso tipo di [59], ma eseguito per via sperimentale però
su materiali plastici e che confronta due ruote, una ottenuta tramite SLS e l’altra tramite iniezione di
Nylon conferma che per la ruota SLS si ha una durata e una resistenza e fatica maggiore di quella
prodotta con metodologia classica [60].
Infine, tra i processi più lenti, ma anche tra i più precisi in assoluto per la produzione di ruote dentate,
si riporta anche la tecnica EDM descritta sempre nel libro di Gupta[57].
Oltre ai processi di produzione di forma, nelle ruote dentate risultato molto importanti anche i processi
di finitura e trattamento superficiale che troviamo descritti per i materiali metallici nello studio di
Pisana [61]. Tra i più comuni si elencano: tempra, rinvenimento, bonifica, ricottura e normalizzazione
se non che l’aggiunta di elementi di lega per aumentare la durezza superficiale tramite processi come la
corbonitrurazione o la cementazione. I trattamenti termici devono essere eseguiti con molta precisione
ed attenzione però, oltre che ad avvenire in ambienti protetti e privi di potenziali agenti contaminanti,
al fine di non peggiorare le caratteristiche di un materiale. Una loro modellazione consentirebbe quindi
di avere però un maggior controllo garantendo precisioni maggiori nella produzione di ingranaggi. A tal
proposito, per osservare una modellazione matematica di uno di questi processi si rimanda allo studio
di Bastreghi [62] dove si sviluppa un modello per la previsione delle deformazioni nelle ruote dentate
in seguito al trattamento di tempra e cementazione.
35
4.2 MATERIALI DA COSTRUZIONE
Visto gli aspetti di tribologia e le principali strategie produttive è chiaro che i materiali per la costruzione
di ruote dentate devono essere caratterizzati da:
• metallici
• polimerici
• compositi
Partendo dalla presentazione degli acciai, per la costruzione di ruote dentate si utilizzano
principalmente acciai per tempra superficiale, acciai da cementazione ed acciai da nitrurazione.
In particolar modo, per quanto riguarda gli acciai da cementazione e nitrurazione, una caratterizzazione
sperimentale e un loro confronto lo possiamo vedere nello studio di Boniardi [63] il quale conclude ad
ogni modo che i due trattamenti ottengono risultati molto simili, specialmente per quanto riguarda la
vita a fatica.
Vista la necessità di avere sempre componenti più leggeri però, ai fini di ridurre consumi o aumentare
l’efficienza in moltissimi campi, le ruote dentate sono state prodotte anche in leghe leggere. Come sarà
noto però, le principali leghe leggere impiegate in ambito meccanico presentano, oltre ad una ridotta
resistenza all’usura superficiale, una scarsa resistenza a fatica e a fatica da contatto. Queste di per se non
le rende dunque adatte alla produzione di ruote dentate, almeno che non vengano quanto meno trattate
superficialmente. Sono state studiate quindi ruote dentate in leghe leggere che venivano ricoperte con
un film di materiale sottile duro. In particolare, una tecnica di deposizione del film chiamata Physical
Vapor Deposition, come indicato da Cavalleri [64] sembra risultare particolarmente efficace per
indurire la superfice di tali leghe leggere e aumentarne la resistenza a fatica. In tale studio quindi, con
l’ausilio di codici di calcolo ad elementi finiti, sono stati sviluppati modelli teorico-numerici per
prevedere la nucleazione e la propagazione a fatica di difetti nel materiale. Sono state condotte, inoltre,
prove a flessione rotante su provini e sono stati progettati e realizzati dispositivi per condurre test di
fatica da contatto su componenti in piena scala. In particolare, sono state studiate, sia dal punto di vista
teorico-numerico sia per via sperimentale, le ruote dentate del cambio impiegato sul modello di
motocicletta Ducati 1098R , partecipante al mondiale di Super-Bike del 2011.
Esplorando materiali alternativi ai metallici, una delle soluzioni più interessanti è data dall’uso dei
materiali compositi, il cui sfruttamento potrebbe concedere quella leggerezza tanto ricercata e al
contempo la resistenza necessaria. A tal proposito si consiglia l’articolo di Pawar e Uptat [65] dove si
caratterizzano, studiano e progettano ruote dentate in materiale composito con matrice di alluminio e
fibre in carburo di silicio concludendo che questi possono essere una valida alternativa all’acciaio.
Uno studio infine particolarmente interessante, che si pone obbiettivo quello di integrare le
caratteristiche dei materiali metallici e di quelli compositi è quello condotto da Pisana [61] che propone
l’analisi di una nuova categoria di ingranaggi con parti in metallo e in materiale composito dalla cui
opportuna unione si ottengono i miglioramenti in termini di riduzione di peso, facilità di costruzione,
aumento della resistenza strutturale. L’unione composito-metallo risulta particolarmente utile in quei
settori dove elevati numeri di giri, temperature di utilizzo variabili e alta affidabilità mettono a dura
prova le soluzioni convenzionali, come può essere appunto l’ambiente aeronautico.
36
Come ultima classe di materiali che dobbiamo analizzare, prendiamo in considerazione adesso le
plastiche. I materiali plastici, estremamente leggeri e facili da lavorare sono impiegati in moltissime
applicazioni leggere della meccanica per la costruzione di ruote dentate. La loro deformabilità però,
durante l’ingranamento ne aumenta il rapporto di contatto sotto carico, comportando così un’usura
molto più rapida. Essendo anche il comportamento delle plastiche molto complesso da modellare,
l’utilizzo del FEM per valutare le deflessioni, il comportamento a fatica e la possibile usura è molto
dispendioso e complesso rispetto all’uso delle normative empiriche come la ISO 6336. Nell’articolo di
Hasl et al.[66] ad ogni modo, si propone una procedura di valutazione del rapporto di contatto effettivo
tramite FEM di ruote dentate ingrananti in materiale plastico ai fini di usare questo dato per il calcolo
della tensione nominale alla radice del dente sulla base di linee guida analitiche esistenti e determinare
in ultima analisi la resistenza a fatica.
5 APPLICAZIONI
Come organi adibiti alla trasmissione di potenza, le ruote dentate trovano applicazione in praticamente
ogni campo dell’ingegneria meccanica, richiedendo caratteristiche diverse, ma con alcune necessità di
base intrinseche, come la resistenza a fatica, ad usura e a fatica superficiale. Le applicazioni più comuni
ad ogni modo si hanno nel settore automotive, wind turbine per la trasmissione di potenza, aereospace,
oil and gas e nella gestione della velocità di lavoro delle macchine da lavoro.
Vediamo adesso le applicazioni nello specifico.
5.1 AUTOMOTIVE
Nel settore automotive gli ingranaggi sono da sempre utilizzati per la trasmissione di potenza e per la
gestione del numero di giri del motore. La spinta che il settore registra verso l’uso del motore elettrico
dovuta a sua volta alle sempre più stringenti norme antinquinamento richiede una valutazione attenta
dell’efficienza di questi sistemi meccanici. Ovviamente i parametri che concorrano a determinare tale
grado di efficienza complessiva e non solo meccanica sono diversi, dalla temperatura al rumore e ogni
ambito nella modellazione dei gearbox viene trattato nello specifico da diverse ricerche. Nello studio di
Uerlich et al. [67] possiamo vedere ad esempio un’ analisi completa di un cambio automotive, delle sue
interazioni con gli altri elementi di un autoveicolo. In particolar modo il metodo presentato consente di
eseguire una prima stima del bilancio e dello scambio termico tra i vari elementi del riduttore su una
base di una prima configurazione di studio di essa. Altro articolo interessante, incentrato invece in
questo caso sulla ricerca dei danni di un riduttore comparando le vibrazioni e i rumori emessi da un
riduttore in buone e in cattive condizioni, è quello scritto da Barbieri et al. [68].
37
5.3 AERONAUTICAL GEAROBOX
Un altro settore in cui i gearbox trovano campi di applicazione estremamente spinti in termini di
performance ed affidabilità è il settore aeronautico, come organi di regolazione del numero di giri delle
eliche sia nei motori turboprop di aeri ed elicotteri, che nei motori turbofan con elica intubata.
Ovviamente, visto l’evento catastrofico che deriverebbe da una rottura di uno di questi ingranaggi, la
maggior parte della ricerca in tale ambito si concentra non tanto sull’aumento dell’efficienza (anche se
studi di questo tipo non mancano, si veda ad esempio il seguente articolo [71]: “Thermal Performance
Evaluation in Gas Turbine Aero Engines Accessory Gearbox”), nonostante questa rimanga un parametro
fondamentale, ma si basa piuttosto sulla affidabilità di questi organi meccanici e ciò focalizza la ricerca
sullo studio di materiali alternativi, metodi di previsione e individuazione del danno e sistemi di
determinazione delle pressioni di contatto e degli sforzi interni che questi generano.
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