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ANALISI DEI MODELLI DI GEARBOX

Lavoro di ricerca per il corso di Dinamica dei Rotori

Autore: Matteo Ballini Berlincioni (n.m. 7126467)


Corso di studi: I° anno magistrale- Ing. meccanica – Propulsione Aeronautica
INDICE
1. Introduzione
1.1 Struttura e obbiettivi…………………………………………………………….4
1.2 Applicazioni generali dei Gearbox…………………………………………4
1.3 Tipologie di ruote dentate…………………………………………………….5

2. Stato dell’arte della modellazione


2.1 Modellazione del contatto…………………………………………………...7
2.1.1 Teoria di Hertz……………………………………………………...7
2.1.2 Attrito, lubrificazione, rugosità e teoria di Hertz….....8
2.1.3 Modello massa contro parete…………………………………9
2.1.4 Modello di massa contro massa…………………………….12
2.2 Modelli analitici di studio………………………………………………......13
2.2.1 Modelli analitici 1D ……………………………………………..15
2.2.2 Modelli analitici 2D……………………………………………...17
2.2.3 Modelli analitici 3D………………………………………..........18
2.3 Modello FEM ……………………………………………………………………19
2.3.1 Analisi statica………………………………………………………20
2.3.2 Analisi dinamica…………………………………………………..21
2.3.3 Metodi di riduzione ……………………………………………..21
2.3.4 Metodo di riduzione di Guyan……………………………….22
2.3.5 Metodo di riduzione di Craig-Bampton………………….23
2.4 Modelli multibody……………………………………………………………..23
2.4.1 Rigid Multi body…………………………………………………..24
2.4.2 Flexible Multi body………………………………………………24
2.5 Ottimizzazione …………………………………………………………………25
2.5.1 Ottimizzazione strutturale …………………………………...25
3. Tribologia
3.1 L’usura……………………………………………………………………………...26
3.1.1 Le curve di Wohler……………………………………………….27
3.1.2 Modellazione dell’usura………………………………………..28
3.2 La fatica…………………………………………………………………………….28
3.2.1 Modellazione della fatica……………………………………………30
3.3 Lubrificazione Gearbox………………………………………………………31

4. Stato dell’arte della tecnologia


4.1 Produzione delle ruote dentate ………………………………………….33
4.2 Materiali da costruzione……………………………………………………..36

2
5. Applicazioni
5.1 Automotive……………………………………………………………………….37
5.2 Wind turbine ……………………………………………………………………37
5.3 Aeronautical gearbox ………………………………………………………..38
5.4 Production machine ………………………………………………………….38
6. Bibliografia…………………………………………………………………………………………38

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1.0 INTRODUZIONE
v

1.1 STRUTTURA ED OBBETTIVI


Con il seguente lavoro si vuole eseguire una breve ricerca e presentazione dello stato dell’arte della progettazione,
modellazione e costruzione delle ruote dentate, componente fondamentale dell’energia meccanica in moltissimi
settori. Nell’articolo che segue dunque, partendo da un’introduzione generale ci addentreremo nella modellazione
delle ruote dentate la cui prima cosa da valutare è il contatto tra esse, per poi passare alla modellazione del corpo nel
suo complesso e a come questo si accoppia con gli altri elementi di macchina. Terminata la parte della modellazione
ci dedicheremo invece alla tribologia e alle strategie produttive che caratterizzano il sistema, per concludere con una
descrizione degli svariati campi di applicazione dei gearbox.

1.2 APPLICAZIONI GENERALI DEI GEARBOX


Il gearbox, letteralmente dall’inglese scatola, scatola di ingranaggi, è un sistema di ruote dentate che
tramite il loro ingranamento si occupano di trasferire potenza, coppia e velocità tra due elementi rotanti.
È chiaro quindi che questi, visto la necessità costante in meccanica di trasmettere potenza e moto tra
corpi rotanti, saranno estremamente diffusi e non trovano quindi un singolo determinato campo di
applicazione, ma li investano tutti: dalla produzione di energia fino alle macchine utensili,
dall’applicazione su autoveicoli fino ad avere impieghi anche nella propulsione aeronautica.
È logico però pensare anche che, come i loro campi di applicazioni, anche la loro varietà sarà molto vasta
e pertanto abbiamo diverse tipologie di ingranaggi, che possono esser studiati e progettati con
metodologie differenti, in funzione del loro diverso applicativo.
In generale tra i settori più comuni di applicazione comunque si riscontra:

• Aeronautico: dove viene utilizzata per gestire le RPM dell’elica dei motori turbofan e turboprop.
• Automotive: dove è normalmente usato a livello di trasmissione per gestire la coppia alla ruota
e il numero di giri del motore.
• Oil and Gas: nella gestione degli RMP di macchine operatrici per la movimentazione e
l’estrazione di petrolio e gas.
• Macchine utensili; per la gestione del numero di giri di macchine per asportazioni di truciolo
come torni, trapani, frese etc.
• Produzione di energia: raramente utilizzati nelle turbine Heavy-Duty le quali solitamente
vengono progettate per lavorare ad un numero di giri costante, possono essere utilizzate nelle
turbine machanical drive dove si potrebbe voler cambiare RPM. Sono poi anche ampiamente
utilizzati nel settore delle turbine eoliche per la produzione di energia rinnovabile.
L’utilizzo delle ruote dentate ha permesso dunque, in tutti questi settori, di ottenere notevoli
miglioramenti nelle prestazioni, ma si sono introdotti delle componenti che creano rumore, sono
soggetti a forte usura e hanno un costo molto elevato. Il loro studio è quindi fondamentale in quanto
capire al meglio come possono essere modellate ci consentirebbe di sfruttarle ulteriormente, allungarne
la vita e ridurre inquinamento acustico e costi.
Piuttosto però che classificare i gearbox sul loro campo di applicazione si deve considerare una
classificazione in base al rapporto di riduzione che li caratterizza e al numero di giri a cui si trovano ad
operare in condizioni nominali.
Ovviamente l’applicazione più critica, sia in termini di stress che di sicurezza in caso di danneggiamento
di uno degli ingranaggi è il gearbox in motore aeronautico. In passato per cercare di aumentare le

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prestazioni dei turbofan si è cercato di sviluppare motori caratterizzati sempre di più da una maggiore
temperatura di ingresso turbina e più alti rapporti di compressione al fine di aumentare sia il
rendimento del ciclo termodinamico che quello del By Pass Ratio. Ai fini di aumentare sempre di più il
BPR però, l’uso di motori direct drive dove fan e turbina ruotano alla stessa velocità angolare inibisce la
possibilità di incrementare le dimensioni del fan (e quindi del BPR) perché tale componente si
troverebbe ad avere una velocità periferica troppo elevata che potrebbe comportare problemi di tipo
strutturale e fluidodinamico [1] . Questo ha comportato la necessità quindi di disaccoppiare i due
componenti introducendo tra loro un riduttore.
Per inquadrare quanto sia però vasto il problema e le variabili da considerare per modellare e studiare
questi componenti analizziamo anche il perché questi sono necessario in una turbina eolica. La maggior
parte delle catene cinematiche delle turbine eoliche includono una scatola degli ingranaggi per
aumentare la velocità dall’albero al generatore. Un aumento di velocità è necessario perché i rotori delle
turbine eoliche, e quindi gli alberi principali, girano ad una velocità molto inferiore a quella richiesta
dalla maggior parte dei generatori elettrici. I rotori di piccole dimensioni delle turbine eoliche girano a
velocità dell'ordine di qualche centinaio di giri al minuto, mentre per turbine eoliche più grandi girano
più lentamente. La maggior parte dei generatori convenzionali invece, girano a 1800 giri al minuto (60
Hz nella normativa americana) o 1500 giri al minuto (50 Hz nella normativa europea) [2]. Notare quindi
l’enorme differenza tra i due casi, dove nel primo si cerca di passare da un valore classico di 20.000 RPM
a circa 2500 RPM mentre nel secondo caso vogliamo passare da poche centinai di giri minuti in funzione
del vento a 1500 o 1800 RPM.

1.2 TIPOLOGIE DI RUOTE DENTATE


La gamma di scelta di ruote dentate è molto vasta quindi, come sono vastissime le loro applicazioni.
Chiaramente ogni tipologia di ruota dentata risulterà maggiormente adatta ad un determinato tipo di
sforzo e velocità di lavoro. La prima classificazione macroscopica delle ruote dentate prevede di
classificarle in base alla forma del dente, o meglio su come questo si sviluppa sulla ruota e che forma ha
la stessa , parametro fondamentale che impatta anche molto sulle condizioni di ingranamento e quindi
sul modo in cui le ruote si scambiano le forze. Generalmente si riconoscono tre macrocategorie di ruote
che sono:
Ingranaggi a denti dritti
Gli ingranaggi cilindrici a denti dritti sono i più semplici e consistono in un cilindro o disco con denti il
cui profilo è ottenuto tramite un evolvente di cerchio. Il bordo di ogni dente è sempre diritto e parallelo
all’asse di rotazione il che comporta che le ruote ingranino correttamente soltanto con alberi paralleli e
se non ci sono forze assiali generate dai carichi dei denti. Questi ingranaggi sono utilizzati in genere a
velocità moderate, in quanto tendono a diventare rumorose quando queste aumentano.
Ingranaggi elicoidali
Gli ingranaggi elicoidali rappresentano un miglioramento rispetto a quelli a denti diritti. I bordi dei denti
non sono più paralleli rispetto all’asse; ma sono inclinati un certo angolo modo da aumentare la
superficie di spinta tra i denti, ottenendo un contatto più dolce e ricucendo il rumore generato dagli
ingranaggi semplici. Da qui si deduce il motivo per cui questi ingranaggi vengano utilizzati a velocità e
potenze più elevate. Questi ingranaggi possono inoltre essere accoppiati sia con assi sghembi che
perpendicolari. Lo svantaggio principale riguarda il fatto che con questi si viene e generare anche una
forza lungo l’asse degli alberi che deve essere sostenuta da appositi sistemi. Un altro aspetto negativo è
l’aumento d’attrito tra i denti generato da una maggiore superficie di contatto.
Ingranaggi conici

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Gli ingranaggi conici hanno idealmente la forma di cono circolare con la punta tagliata. Quando due ruote
coniche ingranano, i vertici dei due coni ideali devono coincidere e i due assi di rotazione quindi
intersecarsi in un punto, formando un angolo tra loro. Questi ingranaggi sono quindi usati in tutte quelle
occasioni dove dobbiamo cambiare la direzionalità del moto. Questi ovviamente sono ancora però più
complessi da gestire in quanto generano sistemi di forze sugli alberi. L’ingranaggio conico può però
essere realizzato con molte forme di denti, più o meno complesse, ai fini di controllare le azioni che si
generano e modellare il contatto per ridurre rumore ed usura.
Per ognuna di queste categorie in realtà abbiamo una variabilità molto vasta e dunque la classificazione
appena fatta perde di consistenza. Un’alternativa di classificazione può essere fatta sulla base della
direzionalità della trasmissione evidenziando come si rendono necessarie delle ruote dentate apposite
per ogni diversa applicazione. Questa classificazione alternativa viene riassunta in figura 1.

Figura 1: Ruote dentate più comuni e tipologia di applicazione

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2.0 STATO DELL’ARTE
Per lo studio del comportamento di una ruota dentata dobbiamo considerare diversi aspetti e per tanto
sarebbe più ottimale procedere per step. In questo studio quindi partiremo da come modellare il
contatto tra le ruote dentate attraverso l’applicazione della teoria di Hertz ai fini di modellare le azioni
agenti sulla ruota. Una volta modellate queste, si procede dunque ad uno studio analitico statico di
questa, anche se è stato dimostrato che non è necessario per il raggiungimento del nostro scopo, ovvero
lo studio della dinamica, in quanto rappresenta un offset della risposta. Si può pertanto direttamente
studiare il sistema accoppiando l’analisi statica con quella dinamica [1].
L’analisi dinamica che andremo a fare poi è un’analisi di tipo non lineare in quanto, se si considerasse
anche un solo grado di libertà, il sistema con massa libera, vincolata con una rigidezza e uno smorzatore
sappiamo avere equazione:
𝑚𝑥̈(𝑡) + 𝑐𝑥̈(𝑡) + 𝑘𝑥̈(𝑡) = 𝑓(𝑡)
La massa, che poi sarà una schematizzazione della ruota però non è libera, ma ingrana con altri elementi
e, data la natura non lineare del problema, l’equazione di equilibrio si modifica facendo intervenire una
componente nel termine forzante che sarà dipendente dallo spostamento x della massa, introducendo
una non linearità nel sistema.
𝑚𝑥̈(𝑡) + 𝑐𝑥̈(𝑡) + 𝑘𝑥̈(𝑡) = 𝑓(𝑡) − 𝑓𝑐(𝑥̈, 𝑥̈,𝑡)
Oltre al caso poi monodimensionale dovremo considerare anche l’idea di studiare modelli analitici a più
gradi di libertà e considerare quindi casi 2D o 3D.
Mentre nei modelli analitici sono necessarie delle ipotesi a priori per rappresentare il comportamento
di deformazione globale e locale del dente e rappresentare interazioni tra denti che si ingranano
simultaneamente, i modelli FEM non richiedano ipotesi che inevitabilmente introducano
approssimazioni. D’altra parte, per la loro risoluzione e per garantire ottimi gradi precisione sono
necessarie mesh estremamente raffinate che ad oggi rendono il processo computazionale non
economico in termini di tempo. Esistano però delle metodologie che consentono di andare a velocizzare
il processo e che verranno presentate in seguito.

2.1 MODELAZIONE DEL CONTATTO


Proseguendo introduciamo adesso il sistema di modellazione del contatto. Possiamo osservare come, le
ruote dentate, se pur sempre utilizzate, sono state introdotte all’analisi FEM solo dai primi degli anni
50’. Uno dei primi documenti che trattano appunto il tema delle vibrazioni e della modellazione delle
ruote dentate fu l’articolo scritto da Harris [3] il quale dette un notevole impulso alla ricerca in questo
tema. Harris per primo, concluse infatti che per capire al meglio le vibrazioni che caratterizzavano un
ingranaggio, fosse necessario studiare il contatto tra i denti e lo scambio di forze che caratterizza ogni
coppia in presa. In particolar modo, egli introdusse una misura sull’errore di ingranamento e osservò
che tale errore, detto “static error” per alcuni specifici carichi e tramite delle variazioni
microgeometriche dei profili questo fosse nullo, aprendo così la strada allo studio della microgeometria
e all’analisi FEM delle ruote dentate.
Successivamente il concetto di “static error” è stato modificato dallo studio di Munro [4] dove si
introduce invece lo “static trasmission error” che viene definito, per ogni coppia di denti ingranante, per
ogni singola posizione angolare della ruota.

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“the angular displacement of the mating gear from the position it would occupy if
the teeth were rigid and unmodified”
Ovvero: “Lo spostamento angolare che l’ingranaggio accoppiato ha dalla sua posizione ideale nel caso in
cui i denti fossero rigidi e non modificabili”.
Ad oggi questa tipologia di errore nell’ingranamento è considerato la principale causa delle vibrazioni
ed è dovuto, come affermato da Munro, alla deformazione elastica dei denti e alla natura hertziana del
contatto.

2.1.1 La teoria di Hertz

Figura 2: Schema di contatto tra corpi curvi


La modellazione del contatto in prima battura può essere ad ogni modo effettuata anche tramite l’uso
della teoria di Hertz che ci consente di determinare il campo di pressione che si genera nel contatto tra
due corpi curvi. Questa teoria si ricorda però essere valida solo sotto le seguenti ipotesi:

• Il carico è applicato unidimensionalmente su una striscia che si estende indefinitamente lungo


l’asse y (‘line loading’). La larghezza della zona di contatto è definita lungo l’asse x. In questo
modo la pressione è funzione solo di x.
• Il materiale è sollecitato in campo elastico lineare.
• La dimensione dell’area di contatto è piccola se paragonata ai raggi di curvatura dei corpi in
contatto.
• Condizione di plane strain ovvero significa porre: 𝜖𝑦 = 0

Grazie a queste ipotesi le tensioni nella zona di contatto non sono influenzate dalla forma dei corpi e dai
vincoli lontano dall’area di contatto e questo semplifica notevolmente i conti. La teoria può essere
ulteriormente semplificata aggiungendo ulteriori ipotesi:

• Si trascurano le variazioni di modulo elastico in prossimità delle superfici dovute ad eventuali


trattamenti termici. Si suppone che comunque le differenze rispetto alla realtà siano dell’ordine
solo di qualche punto percentuale.
• Si trascurano l’attrito e la lubrificazione. Questi fenomeni renderebbero il problema non
conservativo, ma rimuovendoli dal modello i risultati trovati per una certa posizione relativa tra
le due ruote dipenderebbe solo dalle posizioni precedenti.
• Si trascura la rugosità superficiale: le superfici sono considerate perfettamente lisce.
Spiegata ampliamente nello studio dell’ Ing. Fabrizio Pace [5] dunque, la teoria di Hertz, supponendo di
poter indicare con la funzione:
𝑐 2
ℎ(𝑥̈) = ∙ 𝑥̈
2

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dove “c” è la curvatura relativa tra i due profili di corpi curvi in contatto, la pressione avrà invece
funzione:

2𝑃 𝑥̈ 2
𝑝(𝑥̈) = − √1 − ( )
𝜋𝑎 𝑎

dove P è la forza normale di contatto per unità di lunghezza in direzione y.


La teoria di Hertz chiaramente risulta però troppo semplificativa per modellare una ruota dentata in
modo accurato, non tenendo conto né della rugosità dei corpi, della lubrificazione e altri aspetti relativi
al contatto.

2.1.2 Attrito, lubrificazione e rugosità nella teoria di Hertz


Ad ogni modo la teoria di contatto Hertziana viene ampliamente trattata nelle dispense di Pace [5] dove
possiamo trovare anche indicazioni per cercare di modificare in modo opportuno la teoria hertziana ai
fini di considerare molteplici effetti. In particolar modo in queste dispense viene illustrato il problema
di due superfici in contatto tra loro compresse con una forza P ed aventi un coefficiente di attrito tra
loro pari a 𝜇 = 𝑐𝑜𝑠𝑡.
Per quanto concerne la lubrificazione invece, sempre nel compendio in questione, vengono analizzate
due situazioni di lubrificazione, dove in funzione dello spessore dello strato di lubrificante si
riconoscano due diversi fenomeni:
1) Quando lo strato di lubrificante è molto sottile (dell’ordine dei picchi delle asperità superficiali),
esso serve solamente per evitare l’adesione tra le due superfici e ridurre il coefficiente d’attrito.
In questo caso si parla di lubrificazione limite
2) Quando lo strato di lubrificante è più spesso, esso possiede sufficiente pressione da sopportare
il carico normale senza mettere in contatto le due superfici. In questo caso si parla di
lubrificazione elastoidrodinamica (EHD)
Nello studio in particolare viene analizzato il caso in cui si va a considerare come lubrificante un fluido
newtoniano incomprimibile caratterizzato da una viscosità costante 𝜂.
Il contatto tra solidi poi, è in effetti discontinuo e l’area di contatto reale è una frazione dell’area
nominale, valida per superfici lisce. Le superfici reali presentano infatti delle asperità distribuite
casualmente che per essere studiate, richiedano di conoscere i profili sui quali possiamo andare a fare
valutazioni e statistiche. Nelle dispense di Pace [5] quindi, denominando con R il parametro della
rugosità media e 𝜎 2 la deviazione standard del profilo, si applica il modello di Greenwood-Wiliamson
come spiegato nel libro di Johnson [6].

2.1.3 Modello di massa contro parete


Tornando adesso a parlare della modellazione della mesh e il suo studio, sul punto di contatto, anche gli
studi più recenti sulla vibrazione sono basati su una logica simile agli studi di Harris e Monro per cui si
considerano le ruote come dei corpi rigidi e si procede a modellare il contatto tra i denti con uno o più
sistemi elastici-smorzati definiti lungo la linea di contatto. I principali effetti sulla vibrazione della ruota
dentata sono guidati quindi da fenomeni fisici specifici che devono essere analizzati e considerati dai
modelli ed in particolar modo, come fatto da numerosi studi possiamo considerare tali fenomeni come
divisi in interni ed esterni.
Le eccitazioni esterne ovviamente sono tutte quelle vibrazioni causate da forze ed entità esterne, ma che
vanno ad agire sulla ruota e che come mostrato dagli studi di Dion et al.[7], nel caso di carichi leggeri
possono causare eccitazioni tale da provocare la perdita di contatto dei denti facendo sì che questi non

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ingranino, ma impattino l’uno sull’altro con conseguente nascita di rumore (gear rattle) e
danneggiamento . Per quanto riguarda le eccitazioni interne invece, con queste nella maggior parte degli
studi, si fa riferimento a quelle tipologie di ingranamento dove il contatto non viene perso, ma è
continuo. In questo caso il rumore che si viene formare è “tonale”, tipico degli ingranaggi e non
rappresenta un problema. Si devono invece studiare fenomeni di microadesione delle superfici dei denti
dovuti alle alte pressioni però che portano presto al raggiungimento dell’usura per fatica oltre che ad
introdurre forze non desiderate che deteriorano l’ingranamento. Il fenomeno fisico invece da studiare
con maggiore interesse nel caso di ingranamento costante ai fini di modellare il contatto è la variazione
di rigidezza della mesh che avviene con un frequenza pari a quella del passaggio dei denti.
Ad ogni modo, per studiare il contatto tra denti in modo più rigoroso dobbiamo fare prima un distinguo
su come tale fenomeno viene modellato tenendo conto di ciò che abbiamo appena detto, ovvero della
variabilità della rigidezza del dente. In particolar modo, io posso studiare l’ingranamento assimilandolo
a due problemi distinti:

• Massa contro parete


• Massa contro massa

Figura 3: Rappresentazione del sistema massa -parete.

Analizzando quindi il primo modello, questo viene studiato da Zocca [1] , nella sua tesi di laurea
magistrale, dove viene riportata un’analisi monodimensionale di entrambi i modelli. Nel primo modello,
la massa risulta vincolata da una molla k e uno smorzatore c, questa massa schematizza quindi il dente
considerando un modello elastico-lineare di quest’ultimo. Il valore 𝑘𝑐 rappresenta invece la rigidezza
di contatto o di parete che, come tale, lavorerà solo in compressione, mentre durante la trazione questa
risulterà nulla. La parete in questo caso è assimilabile al dente sul quale la prima massa va ad ingranare
e questa viene studiata con un comportamento elastico puro. La forzante esterna eventuale invece, viene
rappresentata dalla 𝐹⃗ e potrebbe essere presente anche una componente statica che come sappiamo
possiamo anche trascurare in quanto rappresentare solo un off-set della soluzione dinamica del sistema

Figura 4: Risposta nel caso di open contact e full contact


che si troverà. Nello studio quindi, una volta indicato con g il divario tra la parete e la massa, dove se
g>0 allora significa che i due copri sono in contatto altrimenti si ha g<0 che indica un gap, lo studio
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distingue due situazioni estremali. La prima dove la massa è separata completamente dalla parete
(condizione di open contact) e la seconda dove invece il contatto avviene (full contact).
Come abbiamo detto, la rigidezza del modello deve essere variabile ed infatti, nel momento in cui i due
corpi si trovano in contatto la dinamica varia a seguito dell’entrata in gioco della rigidezza 𝑘𝑐 . Tenendo
conto del fatto che in generale, la forza di contatto dipende dall’oscillazione della massa:
𝑓𝑐 (𝑡) = 𝑘𝑐 ∙ 𝑥̈(𝑡)
Possiamo supporre quindi che, all’aumentare della rigidezza del sistema la forza di contatto cresca e
vada ad aumentare di conseguenza anche la frequenza di risonanza (Fig.4).
Lo studio procede poi andando a scrivere le equazioni di equilibrio secondo il metodo di bilanciamento
armonico e ipotizzando una legge di vibrazione della massa che viene assunta:
𝑥̈(𝑡) = 𝑥̈0 ∙ cos 𝜗
Nel caso poi si abbia un gap, questo da origine ad un precarico sul contatto che viene indicato come:
𝑁0 = 𝑘 ∙ 𝑔
dove al variare di g il precarico può essere, positivo, negativo o nullo. A tale precarico si va poi a
sommare l’andamento periodico della forzante 𝐹 (forza di contatto). Possiamo quindi graficare la
risultante della forza di contatto:
𝐹𝑐 = 𝐹 + 𝑁0 = 𝑘𝑐 𝑥̈0 cos 𝜃 + 𝑁0
come:

Figura 5: Esempio di andamento della forza di contatto, si riporta in


verde il caso g<0 mentre si rosso e blu il caso g>0.
Questo schema indica come varia la forza di contatto nel tempo in cui questo effettivamente dura.
Considerando infatti un modello con rigidità variabile, a livello fisico, quello che è stato scritto significa
che in realtà, la forza di contatto è data dal contatto effettivo dei denti, più la forza elastica di contatto
generata dalla vibrazione del dente e il dente su cui va a battere. Questo modello chiaramente però non
è accurato in quanto si assume che il contatto avvenga praticamente in modo unidirezionale, senza
considerare che anche il dente rappresentato dalla parete possa vibrare e che il suo comportamento
debba essere descritto da un sistema elastico-lineare. Nel grafico sopra riportato si è anche voluto
evidenziare la situazione 𝐹𝑐 = 0 che vuol dire che i due corpo sono in una fase di transizione senza
contatto. Ovviamente poi, assumendo come valore minimo di 𝐹𝑐 , il valore del precarico 𝑁0 si osserva

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che se 𝑥̈ > 0 allora la forza sta aumentando per cui i denti stanno ingranando, altrimenti, se 𝑥̈ < 0 i due
corpi si stanno separando e la forza diminuisce.
Si osserva che, nel caso dell’andamento blu si avranno poi corpi sempre in contatto (full contact), questo
vuol dire che l’oscillazione della massa non è abbastanza elevata da far separare per qualche istante i
due corpi. Nel caso graficato in verde sono sempre separati poiché l’oscillazione non è sufficientemente
alta da vincere il precarico negativo e far andare la massa contro la parete (open contact). Nel caso
riportato in rosso, invece, si vede che l’andamento di 𝐹𝑐 attraversa l’asse delle ascisse per cui si avranno
delle transizioni (intermittent contact).
Trascurando il caso di open contact che ovviamente è banale e il caso di full contact che può essere
modellato semplicemente risolvendo il sistema è interessante invece studiare il caso di contatto
intermittente. Questo modello di ingranamento è tipico dei cambi automobilistici e uno studio proprio
di questo fenomeno è stato portato avanti da Dion, Chavallier, Moyne e Sebbah [7] dove si sviluppa
sperimentalmente e numericamente lo studio dinamico dell’insorgenza di impatto nell’ingranamento di
ruote dentate ricercando una relazione tra la velocità di rotazione delle ruote dentate e l’energia e la
natura degli impatti. In questo articolo per la modellazione del contatto intermittente viene fatto
riferimento ad un sistema ad un singolo grado di libertà, non lineare, elastico e dissipativo. I dati ottenuti
da questa ricerca a livello numerico, confermati poi dai dati sperimentali, osservarono come per
particolari velocità, gli impatti ripetuti dei denti su un lato della mesh della ruota risultino critici e siano
fenomeni a cui prestare particolare attenzione.
In questo modo è stato definito un modello di contatto che, al variare del valore x dell’ampiezza di
vibrazione della massa, riporta una forza da inserire nel sistema che viene risolto iterativamente. Così
sarà possibile studiare la dinamica anche nel caso in cui si dovesse avere una perdita parziale del
contatto durante l’oscillazione. Ovviamente questo modello mono dimensionale può essere poi ampliato
a studi più complessi in 2 e 3 dimensioni.

2.1.4 Modello di massa contro massa

Figura 6: Rappresentazioni del sistema con due masse


Per ovviare al problema citato in conclusione del paragrafo presedente, la modellazione di contatto, più
complessa, ma anche più corretta è quella rappresentata in Fig. 6 dove il comportamento di entrambi i
denti è descritto da un sistema con molla e smorzatore. Sempre nello studio di Zocca [1] viene analizzata
dunque la procedura risolutiva di questo sistema, dove, considerando due masse, entrambe vincolate,
libere di muoversi sotto l’effetto di una forzante esterna armonica, si vuole andare a studiare il
comportamento dinamico e la risposta in frequenza che si genera garantendo la possibilità alle due di
rimanere separate o anche andare in contatto.
Per la risoluzione del problema viene sempre utilizzato il metodo del bilanciamento armonico che però
in questo caso introduce una non linearità nel sistema:
[𝑚]𝒙 + [𝑐] 𝒙 + [𝑘]𝒙 = {𝑓(𝑡)} − {𝑓𝑐 (𝑡, 𝑥̈, 𝑥̈ )}

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in quanto la forza di contatto dipende adesso anche dalla vibrazione del secondo dente. Ovviamente in
questo sistema lo spostamento 𝑥̈ non può più essere quello di una sola delle due masse, ma deve
rappresentare lo spostamento relativo di una rispetto all’altra.
𝑥̈ = 𝑥̈1 − 𝑥̈2
Per quanto riguarda la modellazione del contatto e l’influenza del gap il modello rimane invariato

2.2 MODELLI ANALITICI DI STUDIO


A questo punto, osservata la fenomenologia e le principali peculiarità del contatto possiamo introdurre
i modelli analitici di studio dell’accoppiamento di ruote dentate. Questi possono essere di vari livelli di
complessità in base al dettaglio che si raggiunge nella descrizione e modellazione della struttura che
ospita gli ingranaggi, la quale influisce notevolmente sull’accoppiamento, sulla tipologia di modello di
contatto che si considera, se massa contro parete o massa contro massa ed infine se si considerano più
o meno il numero variabile di coppie di denti in contatto e la flessione del dente che porta a modifiche
della microgeometria del profilo. La complessità del modello riflette in realtà il numero di gradi di libertà
che si considerano nel moto delle ruote dentate e per tanto si possono avere modelli 1D, 2D o 3D.
Nel modello 1D, il modello di base, si considera come unico grado di libertà di ogni ruota dentata la sua
rotazione attorno all’asse che descrive l’albero sul quale viene montata. Il contatto in questo caso viene
descritto da un sistema elastico-smorzato visto prima, tramite una sola variabile spaziale. A livello
matematico, un’analisi di questo tipo ci porta a concludere come vedremo, che in questo studio, il
contatto tra i denti si sviluppa solo lungo una linea detta appunto “linea di contatto” e ciò è dovuto al
non considerare la flessibilità dei denti. Un modello di questo tipo, molto più rapido dal punto di vista
computazionale ovviamente, risulta affidabile, ma non estremamente preciso. Per applicazioni di base
quindi può essere tranquillamente utilizzato, per studi più complessi non risulta utile.
Studi, ad esempio, sulla rumorosità degli ingranaggi, sulla loro usura superficiale e sulla loro resistenza
devono essere condotti in modo più approfondito, andando a considerare, come abbiamo già detto,
anche la deformazione della microgeometria del dente, l’elasticità di entrambi e la variabilità del numero
di denti in contatto. In poche parole, si considera in questa analisi, non solo un grado di libertà
rotazionale del dente, ma si considera anche una libertà traslazionale di questi, per cui si ha in
conclusione un modello 2D che non descrive più una forza di contatto lungo una linea, ma una pressione
di contatto distribuita su di un’area. Anche in questo caso però viene supposto completamente rigido il
sistema di supporto delle ruote stesse. Un modello di questo tipo, ovviamente più dispendioso a livello
computazionale del precedente, consente di ottenere molte più informazioni.
Un confronto interessante tra le due analisi è stato portato avanti da Naldi e Pellicano [8] dove si
descrive le due metodologie come la “line contact distribution” e le “loaded tooth contact analysis”
(LTCA).
La prima consiste nel calcolo della distribuzione lineare di carico, la “line load distribution”, il cui calcolo,
basato su norme ISO fornisce risultati uno dimensionali dell’andamento della distribuzione di carico
lungo la fascia del dente. Il risultato più importante di questa analisi è sicuramente il “Line Load”, ovvero

Figura 7: rappresentazione dei risultati di un modello line load sulla sinistra e di un modello LTCA sulla destra
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il carico lineare, espresso in [N/mm]. Questa distribuzione di carico è calcolata sul diametro primitivo
di funzionamento, e non tiene conto della deformazione del dente sotto carico.
Il secondo metodo per calcolare la distribuzione di carico è quello di realizzare una LTCA, che come già
accennato permette di avere una distribuzione bidimensionale di carico, capace di fornire come risultato
principale di output una pressione, espressa in [N/mm2].
Riassumendo poi a livello grafico i risultati che si possono ottenere con i due studi e le variabili di
ingresso considerate la differenza è eclatante.

Figura 7: Schema rappresentativo di line load sulla sinistra e risultato di uno studio LTCA sulla destra

Figura 8: Schema Concettuale Load Distribution

Figura 9: Schema concettuale LTCA

Pur mantenendo un’analisi di tipo 2D uno studio particolarmente interessante fu poi quello condotto da
Ambarisha e Parker[9] dove, per la modellazione di un riduttore planetario vengono usati:

“In this paper two independent models: one a lumped-parameter mathematical


model and the other a finite element model, with different formulations and
different mesh modeling assumptions are used to analyze the nonlinear dynamics of
planetary gears”
In tale studio si conclude che nel caso si voglia utilizzare un modello analitico di tipo 2D, introducendo
però tra le variabili le vibrazioni dell’albero e la non rigidezza dei supporti delle ruote (cuscini, ralle,
tenute etc.) si possono combinare due analisi, una eseguita sull’albero con ruote modellate come corpi
concentrati e una analisi agli elementi finiti sulla ruota utilizzando un modello 2D. La combinazione di
queste due analisi ci consentirebbe di descrivere la dinamica non lineare dele ruote dentate in questione.

14
Usando però un’analisi a parametri concentrati per determinare lo spostamento relativo delle ruote
dentate è evidente che questo approccio non può considerare la rotazione relativa, ma solo un eventuale
spostamento di queste sul piano ortogonale all’asse di rotazione dell’albero. Ciò è intrinseco nell’uso
dell’analisi a parametri concentrati che riduce la ruota dentata ad un punto materiale (nodo) dell’albero
dotato di massa ed inerzia per il quale però non è possibile fare uno studio delle rotazioni attorno all’asse
perpendicolare a quello di rotazione.

Figura 10: Sistema di riferimento del rotore


Facendo riferimento, dunque, alla Fig.10 in poche parole, possiamo, in uno studio 2D, considerare anche
il movimento del rotore nel piano X-Y aggiungendo allo studio un’analisi a parametri concentrati del
rotore.
Il moto complesso dell’albero però potrebbe portare anche ad una rotazione attorno all’asse y del rotore
e in un ingranaggio introdurre piccoli effetti di disallineamento (misalignements). Studiare quindi
modelli che considerino la traslazione e rotazione relativa delle ruote è fondamentale. Si arriva così ai
modelli 3D. Un esempio di modellazione analitica 3D completa valida per ruote dentate cilindriche ed
elicoidali si può fare riferimento all’articolo di P. Velex e M. Ajmi [10].
I modelli analitici ad ogni modo possono essere sviluppati per moltissime applicazioni, presentando
caratteristiche diverse in funzione del caso di studio. Ad oggi, anche se meno precisi dei modelli FEM
vengono ancora analizzati in quanto dal punto di vista computazionale sono estremamente più
convenienti. Un’analisi approfondita dei modelli analitici e delle loro peculiarità è stata svolta da
A.Palermo [11] nel suo studio “Sviluppo di modelli multipoby avanzati per la dinamica delle ruote
dentate” che riprenderemo più avanti quanto affronteremo l’argomento nello specifico.

2.2.1 Modelli analitici 1D


Come abbiamo già accennato, nei modelli 1D si procede allo studio solo delle vibrazioni rotazionali che
i denti eseguano attorno all’asse di rotazione nel macro-moto rigido del rotore attorno allo stesso. In
questo caso tutti i gradi di libertà traslazionali sono completamente trascurati e per questo tali modelli
sono da considerarsi solo nel caso in cui la vibrazione traslazionale non producano effetti considerevoli
sull’ingranamento. Questi modelli, indicati quindi con il nome di “modelli rotazionali” e talvolta
impropriamente anche con il termine di “modelli torsionali”, prevedano dunque una risoluzione basata,
come detto all’inizio sulla prevalutazione dello “static trasmission error” che, in caso di risoluzione
statica, ci consente di assumere come rigidezza di contatto il valore medio della distribuzione che si
ottiene. Questa procedura, descritta sempre nella tesi di Zocca [1] è confermata anche nell’analisi svolta
da Parker et al. [12].

15
Figura 11: Sistema ad 1 DOF considerato per l’analisi del comportamento dinamico in relazione
allo STE. Come possiamo vedere il centro delle ruote dentate è rappresentato da una cerniera
ideale rigida in quanto si considera solo il grado di libertà rotazionale del sistema.

Figura 12: Andamento della rigidezza di contatto in base allo STE.


Seguendo lo studio di Parker e quello di Zocca, dal valore di rigidezza trovato si può infine definire lo
smorzamento del sistema, ipotizzando un opportuno rateo di smorzamento e da qui procedere alla
risoluzione.
Studi di questo tipo, confrontati con i risultati sperimentale per una singola coppia di ingranaggi
cilindrici hanno evidenziato come questo modello se pur semplificativo sia veritiero e dimostrato come
la perdita di contatto tra denti si abbia al momento in cui la frequenza di vibrazione della mesh
dell’ingranaggio corrisponda alla frequenza di accoppiamento degli ingranaggi stessi, facendo entrate
così il sistema in risonanza.
Modelli di analisi dinamica e statica 1D con variazione di rigidezza nel dente sono comunque realizzabili
e un esempio di questi lo possiamo vedere nello studio di Y.Cai et al. [13] dove oltre a questo viene
introdotto nel modello anche uno studio, non solo della deflessione elastica del dente, ma anche
dell’errore nella microgeometria del componente e degli spostamenti che gli sono dovuti. La parte più
interessante dell’articolo resta comunque il metodo di valutazione della rigidezza, che viene

16
determinata da Cai usando la formula suggerita dalla normativa ISO e una funzione esponenziale di sua
modellazione che consente di approssimare la variabilità di questa nel tempo.
I modelli di analisi 1D quindi, anche se non troppo accurati e non adatti ad applicazioni troppo
specifiche, possono essere usati nella progettazione di base dei profili delle ruote dentate e nelle
modifiche da apportare alla loro geometria per ottenere sistemi di forze desiderate. Sono utilizzati anche
per determinare l’accoppiamento di base con motori, generatori e altri componenti di macchina. Un
esempio di ottimizzazione della microgeometria del profilo è stato realizzato da M. Faggioni [14].

2.2.2 Modelli analitici 2D


I modelli analitici 2D, detti anche comunemente “modelli planari” introducano invece nella
modellazione anche lo studio degli spostamenti radiali che la ruota dentata ha a seguito delle vibrazioni
e degli spostamenti dell’albero sulle quali sono montate. In particolar modo, questi modelli dividano lo
studio delle vibrazioni rotazionali attorno all’asse di rotazione delle ruote dentate e il moto radiale che
le ruote dentate possono avere nel piano ortogonale allo stesso asse di rotazione andando a modellare
il secondo tramite un ulteriore sistema elastico smorzato che descrive il comportamento della base.

Figura 13: Sistema ad 2 DOF considerato per l’analisi del comportamento dinamico. Come
possiamo vedere il centro delle ruote dentate è rappresentato da un sistema di molle e
smorzatori, in quanto si vuole considerare anche il movimento radiale delle ruote.
Chiaramente i modelli 2D sono più complessi dal punto di vista computazionale, ma per quanto riguarda
le metodologie risolutive si procede allo stesso modo dei modelli 1D. Anche questi poi, possono poi
essere impiegati per lo studio della dinamica semplice e l’ottimizzazione della microgeometria del
profilo come fatto nello studio di Parker [15]. La loro applicazione fondamentale è quella però di modelli
previsionali della distribuzione della pressione sulla superfice del dente determinando così l’usura e il
danneggiamento. Esempi di questa applicazione li possiamo vedere nell’articolo di Liang et al.[16] dove
viene fatta un’analisi sulla modellazione, rilevamento e diagnosi dei danni dei riduttori basati
utilizzando modelli analitici 2D a parametri concentrati. Nell’articolo di Liang si riporta anche un
interessante stato dell’arte per quanto riguarda la modellazione della rigidezza variabile degli
ingranaggi, la quale può essere valutata con:

• Square waveform method


• Potential energy method
• Finite element method
• Experimantal method

17
2.2.3 Modelli analitici 3D
I modelli 1D e 2D come abbiamo analizzato però, non contemplano minimamente la possibilità che
l’ingranaggio si sposti anche al difuori del piano di rotazione. Nella realtà questo fenomeno invece
avviene ed è causa di diversi problemi si in termini di risposta dinamica, ma anche in termini di usura e
resistenza a fatica, per cui per modellare al meglio i gearbox i modelli devono tenero conto anche di
questi aspetti. Tali movimenti fuori dal piano di rotazione, non sono poi poco frequenti e generalmente
sono caratterizzati anche da termini forzanti consistenti, ci basti pensare infatti alla componente di forza
assiale che si ha nell’ingranamento di ruote dentate coniche o elicoidali che porta alla generazione di un
momento che porta alla naturale torsione fuori dal piano di rotazione. Nel caso di ruote dentate a denti
dritti invece, l’uscita della ruota dal piano di rotazione è dovuto semplicemente al moto del supporto.
Come evidenziato poi nello studio di Palermo [11], nei modelli analitici 3D possiamo fare due tipologie
di analisi, una dove si considera la vibrazione fuori dal piano di rotazione delle ruote dentate che
influenza effettivamente anche la distribuzione della pressione di contatto e una no, dove per cui si
considera solo l’effetto che queste vibrazioni hanno sullo scambio di forze.
Uno studio analitico 3D completo di un GTF (gearbox turbofan) nella sua intera complessità lo possiamo
ritrovare nell’articolo di S.Wang e R. Zhu [17] dove però il loro studio, come già detto prima, non viene
utilizzato per valutare la distribuzione di pressione sul profilo del dente, ma solo per studiarne al meglio
il moto.
Un analisi invece più profonda, effettuata per ruotismi epicicloidali e sistemi planetari, ma comunque
interessante per lo studio della modellazione di sistemi analitici 3D è quella condotta da Yu et al. [18]
dove invece il modello viene utilizzato per determinare la distribuzione della pressione di contatto e
apportare così miglioramenti alla microgeometria del profilo. In particolar modo il moto nel piano di
rotazione della ruota dentata e il suo modello vibrazionale, vengono accoppiati con un modello 3D del
cuscino a cui è collegato l’albero.

Figura 14: Modello del gearbox proposto da Yu.

Altro esempio di modellazione analitica 3D lo possiamo vedere nel capitolo 12 di Zhao et al.[19] dove
vengono analizzati gli effetti dei momenti flettenti che portano le ruote dentate a vibrare, fuori dal piano
di rotazione ideale nelle stesse, nel caso specifico di un riduttore epicicloidale all’interno di una turbina
eolica.

18
In conclusione, uno studio analitico 3D completo delle ruote dentate e più nello specifico di un ruotismo
planetario lo possiamo vedere nell’articolo di Friswell [20] dove oltre che allo studio del ruotismo in se
e per se si possono ritrovare delle dimostrazioni analitiche di conclusioni generali per quanto riguarda
la dinamica delle ruote dentate, ovvero:

• La massa degli ingranaggi, il materiale di cui è fatto e la rigidezza variabile hanno una forte
influenza sulla risposta modale.
• Le vibrazioni torsionali sono le più significative e quelle che dipendono maggiormente dalla
rigidezza variabile delle ruote dentate
• I modi delle vibrazioni laterali sono invece più influenzati dalla geometria e dalla massa delle
ruote dentate.
• I modi delle vibrazioni assiali invece sono meno dipendenti dalla forma e dalla rigidezza della
ruota dentata e dipendono molto di più dalla struttura di supporto degli ingranaggi.

Figura 15: Diagramma di Campbell – linea blu vibrazioni laterali BW – linea nera vibrazioni
torsionali assiali accoppiate – linea rossa, marrone e verde vibrazioni laterali FW, BW, FW.

2.3 MODELLO FEM


Quando viene richiesta una modellazione più approfondita delle ruote dentate ai fini di determinare con
maggiore accuratezza variazioni della geometria del profilo e stress che nascono nel materiale non
possiamo esimerci dall’utilizzo di un modello agli elementi finiti (FEM). Da un punto di vista di ipotesi
necessarie alla risoluzione del modello però, i sistemi FEM sono molto più semplici, rispetto ai modelli
analitici che per riuscire a modellare comportamento meccanico, rigidezza e deformazioni in modo
complementare tra loro richiedano diverse assunzioni a priori. Ovviamente però, la discretizzazione
delle ruote dentate per ottenere buoni risultati deve essere fatta in modo molto fitto e questo comporta
un grande tempo di calcolo visto anche il numero di DOF che vengono analizzati per ogni nodo. Questo
rende i modelli FEM solitamente poco usati quindi in analisi dinamica in quanto la loro risoluzione
richiederebbe tempi lunghissimi. Come vedremo più avanti però, esistano e sono continuamente in
studio metodi di ottimizzazione della mesh che consentirebbero una riduzione del numero di nodi e di
conseguenza una riduzione del tempo di calcolo.

19
Di pari passo con i tentativi di riduzione delle mesh però, si procede anche nella direzione contraria,
ovvero infittendole e complicandole sempre di più in modo tale da poter determinare il comportamento
di queste anche durante fenomeni complessi come nel caso di denti usurati o danneggiati. Un articolo
riguardo ciò è quello scritto da Concli e Gorla [26], dove si spiega come si è cercato di riprodurre l’effetto
dei danneggiamenti con un modello virtuale ai fini di un monitoraggio strutturale nel caso specifico di
cambi automobilistici. In questo studio per cercare di contente ad ogni modo il tempo di attesa si ricorre
ad un approccio “ibrido” che vedremo meglio più avanti.

2.3.1 Analisi statica


Come abbiamo potuto notare anche nei paragrafi relativi allo studio del contatto e ai modelli analitici,
uno degli aspetti più difficili della modellazione delle ruote dentate la rigidezza variabile del contatto
che consentirebbe la stima dell’errore di trasmissione che questo sia statico o dinamico. Nella
modellazione FEM di ruote dentate, oltre alla natura del contatto complesso da modellare e la
deformazione dei denti, una complicazione aggiuntiva, come riportato dallo studio di Palermo[11] è data
dal fatto che le ruote dentate sono caratterizzate da un’interazione:

• Non lineare e soggetta ad un carico


• Difettatata dalla posizione relativa dei denti (misalignements)
• Estremamente sensibile alla curvatura
Ovviamente per catturare questi aspetti è necessaria una mesh che sia sufficientemente definita e questo
come abbiamo già accennato complica molto la risoluzione del sistema. Nel caso di analisi statica però,
dove quindi si impone una speed di macchina (Ω = 𝑐𝑜𝑠𝑡.) la risoluzione avviene ancora in tempi
accettabili.
Un esempio di analisi statica FEM è presentato nello studio di Anderson e Vedmar [21] dove si modella
una ruota dentata elicoidale e il suo ingranamento con un modello agli elementi finiti con 20 nodi per
elemento.

Figura 15: mesh dello studio di Anderson e Vedemar


Lo studio di Anderson e Vedmar però, datato 2002, non considera sistemi di definizione della mesh più
snelli che sono stati sviluppati più tardi e che, per lo stesso caso di studio, viene presentato nell’articolo
di Abousleiman e Velex [22] dove si va a studiare gli ingranaggi sfruttando la teoria della trave e
discretizzando la base della ruota con una serie di elementi concentrati a 2 nodi, dove ogni elemento ha
6 DOF e i denti invece, con una tecnica più complessa che prevede di andare a discretizzare la ruota con
elementi cubici a 20 nodi per elemento. In questo modo i risultati non vengono alterati e la risoluzione
del sistema è molto più snella. Questa metodologia di struttura della mesh, indicata generalmente con il
termine di “mesh ibrida” è molto importante ai fini della riduzione dei tempi di calcolo.

20
Altri approfondimenti interessanti per quanto riguarda lo sviluppo della simulazione FEM statica lo
possiamo poi trovare nell’articolo di Presicce [23] dove è presentato uno studio , condotto mediante
metodi di ingranamento di ruote dentate cilindriche a denti dritti, tenendo in considerazione effetti
prodotti dai grandi spostamenti con anali del modello di contatto tipo LTCA. In particolar modo nello
studio vengono studiati gli effetti sull’allargamento della linea di contatto e la posizione dei picchi di
pressione che si generano durante l’ingranamento e come questi aspetti sono legati al livello di carico
dell’ingranaggio. Nello studio di pone poi particolare attenzione alla modificazione del profilo che
assume un ruolo fondamentale nella progettazione di questo tipo di ruote per applicazioni con alte
prestazioni. A fine dello studio quello che si è osservato è che pressione di contatto e errore di
trasmissione sono molto sensibili alla topografia della spoglia, mentre forza sul dente e stato tensionale
di questo alla base, non ne risentono. Inoltre viene trattato l’effetto di allargamento del grado di
ricoprimento in funzione del carico e l’evoluzione della forma nella funzione del errore si trasmissione.

2.3.2 Analisi dinamica


Chiaramente, se il tempo di calcolo già rappresenta un problema nel caso di analisi statica, possiamo
solo immaginare il tempo necessario alla simulazione dinamica, dove le condizioni cambiano istante per
istante. Chiaramente in questo caso diventa ancora di maggiore importanza la simulazione FEM eseguita
con mesh ibrida che consente di riuscire a ridurre il tempo di calcolo, ma non in modo significativo.
Analisi come quelle di Velex [22] diventano sempre di maggiore rilevanza. Oltre ala creazione di mesh
ibride possiamo vedere anche studiare metodi di riduzione del numero di nodi della mesh.

2.3.3 Metodi di riduzione


Il fatto di dover modellare un intero sistema, composto da numerosi componenti e connessioni, implica
la necessità di procedure più snelle che facilitino la modellazione stessa e l’analisi dinamica. Queste
procedure prendono il nome di “riduzioni”. La riduzione consiste sostanzialmente nell’eliminazione di
nodi ed elementi che risultano superflui per i processi di analisi dinamica. Generalmente nelle gearbox
il numero di nodi necessario, per i motivi visti nel paragrafo sull’analisi statica è molto elevato e i modelli
FEM devono quindi processare il comportamento di centinaia di migliaia di nodi. Questo come possiamo
facilmente immaginare porta ad un aumento del tempo di processo, tempo che potrebbe essere
impiegato meglio in altri modi.
Dal modello FEM dettagliato di ogni componente che forma il sistema, si deve quindi estrarre un modello
FEM ridotto, che è sostanzialmente un sottoinsieme di quello dettagliato, cioè un modello che contiene
soltanto alcuni dei nodi ed elementi presenti nel primo. È indispensabile che la riduzione debba essere
applicata ovviamente a nodi particolari ed essenziali per ottenere un modello dinamico di sistema che
risulti comunque efficace e rappresentativo del comportamento del modello iniziale: l’eliminazione di
nodi ed elementi fondamentali di un determinato componente può compromettere infatti il modello
intero e l’attendibilità dei risultati dell’analisi dinamica, causando la perdita di informazioni relative al
comportamento statico e dinamico del sistema stesso.Uno dei metodi più semplici a livello logico che
saltano subito all’occhio è quello di andare a creare una mesh con densità dei nodi variabile, per cui dove
andiamo ovviamente a mettere più nodi solo nei punti in cui ho maggiore interesse. Questa tecnica
“adattativa” agli elementi finiti viene quindi descritta nell’articolo di Park et. Al [28].

Figura 16: Esempio di mesh adattativa dello studio di Park


21
In alternativa, esistano altri metodi di riduzione del tempo di calcolo e dei nodi di studio di un modello
agli elementi finiti dove andiamo a scegliere alcuni nodi che sono assunti come fondamentali e altri
invece che sono dipendenti da questi. I nodi che vengono conservati nella riduzione sono quelli a cui
vengono riferiti spostamenti, velocità ed accelerazioni: questi nodi si chiamano master, mentre quelli
non presenti nel modello ridotto sono chiamati slave, ossia ”schiavi”, dunque dipendenti dai master;
infatti, il loro spostamento viene calcolato in funzione di questi ultimi.
Anche se di maggiore interesse poi nell’analisi dinamica, negli ultimi sono nate metodologie di riduzione
per quanto riguarda l’analisi statica. Dopo una attenta ricerca in letteratura sono stati osservati due
metodi di riduzione principalmente utilizzati, quello di Guyan per l’analisi statica e quello di Craig-
Bampton per l’analisi dinamica.

2.3.4 Metodo di riduzione di Guyan


Come affermato nella tesi di Zaffagnini [24] la riduzione di Guyan è una riduzione statica ed esatta: con
questa, infatti, non si perdono le informazioni del sistema completo, pertanto il sistema ridotto
rappresenta a pieno le caratteristiche ed il comportamento di quello iniziale. Il metodo porta alla
scrittura di una matrice di trasformazione che permette di legare gli spostamenti dei nodi master con
quelli slave. Più nello specifico quello che possiamo affermare è che, definito 𝑥̈ il vettore contenente tutti
i gradi di libertà dei nodi master e i gradi di libertà dei nodi slave del sistema originale, tramite una
matrice di trasformazione B è possibile esprimere tale vettore in funzione dei soli gradi di libertà dei
nodi master.
𝑥̈𝑚𝑎𝑠𝑡𝑒𝑟
𝑥̈⃗ = { } = 𝐵[𝑥̈𝑚𝑎𝑠𝑡𝑒𝑟 ]
𝑥̈𝑠𝑙𝑎𝑣𝑒
Quando si passa dal modello completo a quello ridotto, l’energia del sistema si deve conservare;
pertanto, è possibile ricavare le matrici di massa e rigidezza del modello ridotto tramite l’uguaglianza
delle energie cinetica e potenziale:
[𝑀𝑅 ] = 𝐵𝑇 [𝑀]𝐵
{
[𝐾𝑅 ] = 𝐵𝑇 [𝐾]𝐵

con [M] e [K] matrici di massa e rigidezza del modello completo.


Il metodo di Guyan ad ogni modo è considerato un metodo statico in quanto nella riduzione del sistema
e nella sua interpretazione perde i dati relati agli effetti inerziali che porta ad una netta mancanza di
accuratezza in studi di più alto livello. Come affermato poi nella ricerca di Deshpande et al. [25] la
rimozione di alcuni DOF la cui dinamica potrebbe essere causata da tali forze di inerzia introduce un
errore molto elevato che diventa sempre maggiore all’aumentare della frequenza. Moti ad alta
frequenza, quindi, non possono essere approssimati usando la riduzione dinamica e quindi scegliere i
range di applicabilità di questa metodologia non è del tutto banale in quanto la matrice di
trasformazione stessa dipende dalla Ω di rotazione. Chiaramente poi la riduzione di Guyan è un caso
speciale di riduzione dinamica in cui Ω𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒 = 0.

2.3.5 Metodo di riduzione di Craig-Bampton


Il metodo di riduzione dinamica maggiormente utilizzato invece è quello di Craig-Bampton la quale si
può in realtà considerare, come indicato da Zaffagnini [24] un’estensione della riduzione di Guyan.
In questo metodo di riduzione i nodi vengono poi divisi in “nodi interni” e “nodi esterni” o di bordo. Tale
convenzione ci consente di andare a dividere così la matrice di riduzione in due parti fisse, una matrice
di interfaccia e una di supporto per i nodi di bordo. Indicando quindi con A la partizione di tutti i nodi,
R i nodi con comportamento elastico indipendenti e con L i nodi a seguire, possiamo scrivere:

22
{𝑈𝐴 } = {𝑈𝑅 𝑈𝐿 }

Il set di nodi di bordo include poi non solo i relativi DOF di ogni singolo, ma anche i vincoli relativi al
ruolo di interfaccia che questi nodi hanno con altri elementi di macchina.
Il metodo procede poi per andando a trasformare per ogni nodo 𝑈𝐿 le coordinate elastiche dei nodi a
seguire in coordinate modali 𝑄𝐿 , dopo di che il set di soluzioni modali 𝑄𝐿 viene tagliato in un set ridotto
indicato con 𝑞𝑚 contenente solo il contributo dei modi di vibrare più significativi dal punto di vista
energetico. Una volta determinato quindi tale vettore ibrido, il metodo di riduzione di Craig-Bampton
affianca alla matrice di riduzione statica di Guyan una seconda matrice di natura dinamica che porta a
scrivere una relazione tra nodi e matrice di riduzione del tipo:
𝑈𝑅 𝑈𝑅
{ } = {𝐵 𝜙} { } 𝑐𝑜𝑛 𝑚 < 𝐿
𝑈𝐿 𝑞𝑚
con
𝐼 0
{𝐵} = { } 𝑒 {𝜙} = { }
𝜙𝑅 𝜙𝐿
dove 𝜙𝑅 e 𝜙𝐿 sono entrambe note e sono la prima la matrice di rotazione di corpo rigido mentre la
seconda la matrice di spostamento degli L gradi di libertà relativi allo spostamento della base, I è la
matrice identità e 0 è la matrice nulla.
Una trattazione molto più approfondita del metodo di riduzione di Craig-Bampton può essere affrontate
poi nelle dispense di Young [27] e un esempio di applicazione di questo, ma anche del metodo di
riduzione di Guyan, lo possiamo trovare nella tesi Ziparo [29].
La riduzione di Craig-Bampton resta comunque una tecnica del 1968 che nel corso degli anni si è evoluta
e fino ad arrivare alla tecnica Component Mode Synthesis (CMS) dove i nodi sono divisi non più in due,
ma in tre gruppi: quelli di interfaccia fissi, quelli di interfaccia liberi e quelli di interfaccia flessibili. Una
descrizione di questo metodo di riduzione e uno studio su come può essere migliorato lo possiamo
trovare sempre nell’articolo di Deshpande et al.[25].

2.4 MODELLI MUTLIBODY


Una volta assunto che si possa ridurre il numero di nodi per ogni componente è chiaro che questo dovrà
essere studiato nelle sue interazioni con le altre componenti di macchina. I modelli multibody quindi,
una volta descritto ogni singolo componente, si occupano proprio di modellare, per grandi spostamenti
e rotazioni come più componenti interagiscano a livello di sistema. I modelli multibody solitamente si
basano quindi su di una struttura a “building-blocks” dove tramite un set di strumenti quali vincoli,
giunti, elementi di forza etc., tutti standardizzati in ambiente virtuale, vengono utilizzati per collegare i
vari componenti o corpi. Ovviamente nei modelli i copri rappresentano i vari componenti di macchina e
possono essere considerati rigidi e flessibili.
Nel caso di modelli rigidi, l’analisi ovviamente, meno dettagliata, diventa anche estremamente più
semplice e per tanto potrebbe non rendersi necessaria una tecnica di riduzione, cosa che al contrario
nel caso in cui si vada a fare una modellazione multibody ad elementi flessibili è necessaria.

2.4.1 Rigid Multibody


Nei modelli rigid multibody per la modellazione di ingranaggi, tutti i componenti di macchina vengono
assunti per ipotesi rigidi ed indeformabili con la piena elasticità solo nei denti, fulcro del processo di
ingranamento, i quali vengono modellati utilizzando dei sistemi molla-ammortizzatore. Ad oggi è
difficile trovare in letteratura schemi di funzionamento di questi modelli in quanto la sfida è ancora tutta

23
aperta e vista la necessità e i notevoli vantaggi che software di modellazione e risoluzione di tali sistemi
porterebbero introdurre è chiaro che la redditività sarebbe molto elevate a di conseguenza la
competizione è alta con scarsa condivisione di informazioni.
Un esempio di modellazione rigid multibody, confrontata poi con un modello flexible multibody e un
modello 1D puramente torsionale , può essere vista ad ogni modo nello studio di Helsen et al. [30] dove
si conclude e si evidenzia come per uno studio di base possa essere sufficiente uno studio di tipo
torsionale puro, ma che per descrivere il comportamento modale del gearbox è necessario uno studio
di tipo quantomeno rigid multibody a 6 DOF, se non addirittura un modello flexible multibody che ci
consente anche di definire come il riduttore per intero si accoppia al resto della macchina.

2.4.2 Flexible multibody


Nei modelli flexible multibody ovviamente si va a rilassare l’ipotesi di componenti rigidi. In tali modelli,
quindi, viene presa in considerazione la rigidità distribuita per ogni componente di macchina, le sue
frequenze di risonanza e suoi modi di vibrare. Modelli flexible multibody rappresentano l’approccio più
dettagliato in assoluto possibile alla modellazione di gearbox. Una review introduttiva di questa
tipologia di modellazione, utilizzata anche per componenti al oltre le ruote dentate, la possiamo vedere
nell’articolo di Bauchau [31] dove si esegue anche un tentativo di velocizzazione del calcolo di
simulazione dinamica a flexible multibody proponendo un approccio risolutivo dove dominio di calcolo
viene diviso in due parti e analizzato in modo parallelo. L’approccio per il calcolo parallelo di una
modellazione flexible multibody dinamica si basa sull’uso di due strategie distinte per l’applicazione dei
vincoli di interfaccia tra i sottodomini. L’approccio tradizionale è quello di utilizzare i moltiplicatori
Lagrange globali per imporre tutti i vincoli, mentre nell’approccio proposto da Bachau viene utilizzata
una strategia ibrida dove alcuni vincoli vengono applicati utilizzando moltiplicatori di Lagrange locali
mentre gli altri sono imposti da quelli globali.
Un ulteriore approccio interessante alla modellazione flexible multibody e riportato nell’articolo di
Tamarozzi et al. [32] dove si riporta come può essere realizzata una simulazione flexible multibody in
real-time con l’uso di una parametrizzazione modale globale. Ovviamente in questi modelli sono
fondamentali tutte le tecniche di riduzione che abbiamo precedentemente visto e se ne usano molte
altre. Il problema di queste tecniche è la riduzione controllata dei gradi di libertà dei corpi flessibili che
è un’operazione molto complessa e che può portare ad alti tassi di errore. Nel lavoro di Fehr ed Eberhard
[33] viene però proposta una procedura sulla base della conoscenza dell’errore indotto dalla riduzione
del modello che funge da parametro di controllo. Un ulteriore raccolta delle metodologie un’analisi
flexible multibody di ingranaggi la possiamo infine ritrovare anche nel lavoro di Palermo [11] .

Figura 17: Diagrammi di Campbell per la forza normale al dente e angolo di disallineamento delle ruote dentate
ingrananti tratti dai risultati dello studio di Palermo [11]

24
2.5 OTTIMIZZAZIONE
Durante la fase di progettazione di un prodotto, che sia automobilistico o aerospaziale, i progettisti
affrontano una serie di compromessi come la minimizzazione della compliance ad un dato peso
strutturale. Nella progettazione di un componente siamo costantemente alla ricerca della migliore
distribuzione della materia all'interno di un determinato dominio di progettazione. Per risolvere questo
problema possono essere applicati molti algoritmi di ottimizzazione della topologia.
Oggigiorno, molti software commerciali agli elementi finiti hanno un modulo di ottimizzazione per
ottenere il miglior design. Tuttavia, la ricerca è tutt’altro che conclusa in quanto sono ancora numerosi
gli aspetti che devono essere considerati in queste ottimizzazioni.
2.5.1 Ottimizzazione strutturale
L’ottimizzazione strutturale classica di un ingranaggio ad oggi è fondamentale specialmente in ambito
aeronautico. In questo caso particolare i componenti e gli ingranaggi devono essere sempre più leggeri,
ma questo li rende quindi più propensi a vibrare. Le vibrazioni forzate in condizioni di risonanza
riducono la vita a fatica del componente e quindi attribuirne migliori caratteristiche dinamiche e
statiche si scontra con la necessità di un incremento della massa.
Proprio per risolvere questo problema, per migliorare il comportamento statico e a fatica della ruota,
nello studio di Occhipinti [46] si procede ad una minimizzazione dello spostamento statico,
dell’ampiezza delle vibrazioni e di spostarne i picchi di risonanza lontano dalle velocità operative,
agendo sulla geometria del design space. Nello studio, per caratterizzare la risposte all’eccitazione di
ogni configurazione e per confrontarle tra di loro vinee poi definita la funzione Risk-Factor, che da in
out put un parametro correlato alla presenza di picchi di risonanza all’interno degli intervalli operativi
di velocità e allo spostamento statico.
Ovviamente queste procedure di ottimizzazione sono estremamente onerose in termini di tempo e per
questo motivo, studi come quelli di Artareo [47], si concentrano sulla ricerca di metodologie più
ottimizzare le parti. In particolare, la componente più innovativa della presente tesi è costituita dal
tentativo di implementazione della ciclo simmetria nell’ottimizzatore. Tale semplificazione
permetterebbe l’analisi e l’ottimizzazione a partire dal modello di un singolo settore dell’ingranaggio
anziché dall’intera ruota, risparmiando così una notevole quantità di tempo. L’ottimizzazione
strutturale come sappiamo, assume una maggiore in portanza nell’ultimo periodo grazie alla crescita
delle tecniche di additive manufacturing a disposizione che ci consentono di ottenere forme molto
complesse, risparmiando in peso, ma senza rinunciare alla funzionalità della struttura. Uno studio
completo di questo tipo, dove si esegue l’ottimizzazione topologia di una ruota dentata lo possiamo
trovare nello studio di Zhang, [48] dove al termine dello studio la struttura della ruota ottimale risulta
essere quella in Fig. 18.

Figura 18: Esempio di ottimizzazione topologica

25
3 TRIBOLOGIA
Adesso parleremo di tutti i problemi legati all’usura del dente, alla sua resistenza a fatica, come queste
tipologie di danni possono essere predette, modellate ed analizzare tramite modellazione agli elementi
finiti. Analisi di questo tipo ci consentono infatti di ridurre i costi e aumentare la sicurezza. Tratteremo
infine anche quali sono le possibili strategie di lubrificazione, come funzionano e come anche queste
possano essere modellate.

3.1 L’USURA
Si definisce usura la perdita di materiale che avviene progressivamente ed irreversibilmente sulla
superficie di due corpi in contatto soggetti a moto relativo. Esistono varie tipologie del fenomeno che
sono contraddistinte per le particolari condizioni in cui si verificano, ma tutte determinano lo stresso
risultato: il danneggiamento progressivo dei corpi che ne sono interessati. In funzione dei meccanismi
che ne sono alla base si può parlare di:
• Usura adesiva quando il fenomeno è prodotto dalla rottura delle microsaldature che si producono
localmente tra le asperità che le superfici di due corpi in contatto presentano per effetto delle
lavorazioni a cui sono stati sottoposti.
• Usura abrasiva se si origina dall’azione di taglio di rugosità acuminate o di particelle di materiale duro
che strisciano su una superficie più tenera.
• Usura corrosiva quando la perdita di materiale è dovuta all’azione dello strisciamento che determina
la rottura e la successiva rimozione del sottile strato di ossido che si forma localmente per effetto delle
elevate temperature proprie della zona di contatto.
Nel caso di ruote dentate si parla principalmente di usura adesiva e nello specifico questa la si può
classificare in altri due casi e distinguere tra scorig se si verifica passaggio di materiale metallico da una
superficie all’altra che può accumularsi fino ad arrivare al grippaggio e lo scuffing se invece il fenomeno
si presenta come rigatura delle parti interessate.
Oltre a queste tipologie, esiste anche un’ulteriore forma particolare di danneggiamento che
impropriamente viene chiamata usura, il fenomeno di usura superficiale o pitting che è prodotto
unicamente dalle forze agenti in modo ciclico sul profilo del dente che portano ad un danneggiamento
per fatica la superfice del dente anche se il contatto viene sempre mediato da uno strato di fluido.
Quando la sollecitazione è applicata ciclicamente, si possono produrre delle rotture per fatica
superficiale che propagando determinano il distacco di scaglie dalle aree di contatto. Spesso questa
tipologia di usura si manifesta dopo un grande numero di cicli di carico, anche quando la loro intensità
è inferiore alla capacità di resistenza statica del materiale.
Come riportato poi nella tesi di Adami [34], la previsione di questi fenomeni è ovviamente fondamentale
e può essere eseguita con diversi approcci, nessuno dei quali al momento però risulta efficace al 100%.

3.1.1 Le curve di Wohler


Come riportato da Adami, un primo approccio alla valutazione e previsione del danneggiamento, per cui
non di modellazione dell’usura vera e propria, ma più una modellazione generale, può essere condotta
tramite le così dette curve di Wohler. Queste curve, valide sia per i fenomeni di fatica generici che per
quelli superficiali, sono curve sperimentali che non fanno altro che stabilire una relazione empirica tra
il numero di carico per avere danneggiamento e il livello di sollecitazione necessario per ottenerlo in
scala bilogaritmica. Nell’articolo di Beghini et al. [35] si riporta un esempio di questi banchi prova per la
determinazione delle curve adatto in particolar modo a testare ruote dentate per applicazioni
aeronautiche. Nell’articolo si legge infatti che è stato creato presso il dipartimento di ingegneria
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meccanica dell’Università di Pisa un centro ricerche sulle trasmissioni meccaniche (Crtm) dotato di
alcuni banchi prova di elevate prestazioni, di cui uno per prove su ingranaggi cilindrici. Tale banco
sviluppare una potenza meccanica trasmessa dagli ingranaggi in condizione di prova fino a 950 kW ad
una velocità di rotazione massima pari a 9000 rpm. Come già detto con queste curve di non si analizza
solo però l’insorgenza del pitting, ma si possono studiare ovviamente e condurre prove sperimentali per
ogni tipologia di usura e rottura a fatica (che oltre a quella superficiale può avvenire anche alla base del
dente e che vedremo in tal caso prende il nome di bending). Nell’articolo si procede poi anche ad un
confronto tra le previsioni che possono essere realizzate con le curve sperimentali e le previsioni che
possono essere fatte con un modello di calcolo.
Nell’articolo di procede quindi a proporre una procedura di modellazione FEM dei processi di
danneggiamento del dente, concludendo però che: “’affidabilità della previsione “a priori” del
comportamento a fatica di un componente meccanico in esercizio non è ancora tale da poter prescindere
dall’effettuazione di prove in piena scala, almeno in tutti quei casi in cui sia richiesta un’elevata
affidabilità”. L’articolo ad ogni modo è piuttosto datato essendo risalente al 2006 e notevoli passi in
avanti sono stati fatti anche in questo campo di ricerca.

3.1.1 Modellazione dell’usura


Primi approcci alla modellazione FEM del fenomeno dell’usura nelle ruote dentate cilindriche sono stati
condotti come riportato da Adami[34], da Flodin e Andersson [36] che nel loro articolo decidano di
indagare per primi a livello di elementi finiti il fenomeno dell’usura e come questo possa interferire con
la dinamica degli ingranaggi. Lo studio di Flodin e Andersson [36] in realtà altro che un’implementazione
di un modello matematico basato sull’equazione di Archard la quale relazione lo spessore di materiale
usurato nel contatto tra corpi e alla pressione di contatto con la seguente relazione:
𝑠
ℎ𝑝 = ∫ 𝑘𝑝 𝑑𝑠
0

dove k è una costante dipendente da aspetti come il materiale, il trattamento superficiale etc.
Nello studio di Andersson in realtà quello che viene fatto semplicemente quindi è andare a determinare
la pressione di contatto tra i denti tramite un modello FEM e successivamente, andare a valutare se
verifica l’usura ed eventualmente la quantità di materiale asportato in modo tale da determinare come
si modifica la geometria del profilo e rivalutare al ciclo dopo anche il nuovo profilo di pressione di
contatto Chiaramente quindi l’esattezza di questo metodo dipende molto dall’esattezza della formula di
Archard e della precisione del modello FEM. Rimanendo la ricerca di Andersson, una ricerca del 1997
chiaramente sono stati fatti passi in avanti in entrambi gli aspetti, sia nello studio fisico dell’usura che
nella modellazione FEM e tale metodo di conseguenza è molto più affidabile. Per avere cognizione di
come sia cambiata anche la modellazione dell’usura si riporta anche gli articoli di Tabrizi et al.[37] e Liu
et al.[38] di più recente stesura e dove si studia nel dettaglio l’equazione di Archard per la modellazione
dei fenomeni di usura sia nelle ruote dentate che nei contatti tra corpi curvi in rotazione generici.
Pochi anni dopo, gli stessi autori, Flodin e Anderson proposero una modifica al loro studio valida anche
per ruote dentate elicoidali dove si proponeva di analizzare quest’ultime come tante ruote dentate
cilindriche, di spessore sottile e dove ognuna era ruotata rispetto alla precedente di un angolo fisso.

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Figura 19: Modello di ruota cilindrica proposto da Flodin e Anderson
Ovviamente, entrambi i modelli proposti basano però il loro sviluppo su di un’analisi FEM con un singolo
grado di libertà, per cui sullo studio di modelli prettamente torsionali. Chiaramente lo sviluppo della
modellazione dell’usura va di pari passo con lo sviluppo della modellazione FEM e per tanto prima di
avere analisi precise o modelli di previsione validi si è dovuto attendere il 2004 con l’articolo di Bajpai
et al.[39] dove si riporta i risultati di una prima modellazione dell’usura basata sempre sull’equazione
di Archard, ma combinata con un modello di analisi FEM completo. Questo tipo di analisi consente di
andare a realizzare quindi un’ottimizzazione strutturale delle ruote dentate.
Questi modelli, se pur corretti comunque e validi nella maggior parte dei casi sono comunque primitivi
in quanto non tengono conto di molti aspetti che incidano sull’usura del dente, come la temperatura a
cui avviene il contatto, oppure valutano solo in modo approssimato le caratteristiche del materiale. Per
questo motivo studi recenti si stanno orientando non tanto più sulla modellazione del fenomeno stesso,
ma quanto su come modellare il comportamento del materiale durante l’ingranamento. Un esempio di
questi studi è quello portato avanti da Zhou et al. [40] dove si mostra un nuovo metodo di previsione
della temperatura di contatto ai fini di migliorare la previsione del fenomeno di scuffing. Nello studio
invece di Chen et al. [41] si va comparare i risultati di una simulazione FEM con una serie di prove
sperimentali condotte per una coppia di ruote dentate carbonitrurate in acciaio 18CrNiMo7-6
ingrananti sotto getto d’olio lubrificante ai fini di determinare un modello di scuffing e il comportamento
di tale materiale sottoposto ad in indurimento superficiale. La necessità di considerare la temperatura
di contatto e la presenza o meno di fluidi lubrificanti nella modellazione di ruote dentate è resa evidente
da prove sperimentali e ci obbliga quindi a considerare studi di ottimizzazione e modellazione termo-
fluido-strutturale come quelli appena citati.

3.2 LA FATICA
Come sappiamo per esperienza pratica, la rottura di un componente può avvenire anche a seguito
dell’applicazione ripetuta o ciclica di un carico inferiore al carico di rottura. Tale fenomeno è detto fatica,
e i carichi a cui sono sottoposti i materiali vengono detti affaticanti. Tale fenomeno, studiato a partire
dal XIX secolo risulta, per la natura dell’esercizio delle ruote dentate, estremamente rilevante in tale
ambito di studio.
Come abbiamo detto uno dei primi studiosi del fenomeno della fatica, i cui metodi di valutazione del
danneggiamento sono usati ancora oggi, fu Wohler che tra il 1852 e il 1870, analizzando gli assili
ferroviari, dedusse che la loro rottura, nonostante fossero progettati per resistere a carichi statici molto
più alti, avveniva per un’applicazione ciclica di una sollecitazione di flessione rotante. Ricostruendo lo
stato di sollecitazione in laboratorio Wohler, dunque, altro non fece che determinare una curva
sperimentale che abbiamo già discusso la quale relazionava in scala bilogaritmica o logaritmica il carico
necessario al danneggiamento e il numero di giri per ottenere il danno.

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Figura 20: Esempio di curva di Wohler

La rottura per fatica, tipica dei materiali duttili, nel caso specifico dei materiali metallici è legata a
fenomeni di micro-deformazioni plastiche cicliche locali indotte dal ciclo di sollecitazioni. Esse sono
dovute al fatto che, per effetto di vari tipi di microintagli o discontinuità, il valore dello sforzo può
superare localmente il carico di snervamento.
In particolare, il danneggiamento per fatica procede attraverso i seguenti stadi:

• Innesco della frattura: Detta anche fase di nucleazione, abbiamo una prima apertura della cricca
a causa del superamento locale del carico di snervamento.
• Propagazione della cricca: Fase all’interno della quale, ciclo per ciclo si ha la propagazione della
cricca. Questa fase è anche la fase che impiega la maggior parte del processo di rottura.
• Rottura catastrofica: La sezione resistente rimasta a seguito della apertura della cricca non è più
sufficiente e si ha la rottura definitiva del componente.
In molti casi la rottura, o comunque la nucleazione prende inizio da una discontinuità (cricca) nel
materiale, anche di piccolissime dimensioni, che, propaga fino alla rottura. Ovviamente modellare
questo fenomeno diventa però molto complesso in quanto dovremmo essere in grado di prevedere
quando, dove e come si genare la cricca, oltre che a come questa si propaga.

3.2.1 Modellazione della fatica


La modellazione della fatica diventa quindi, come abbiamo già detto, un fenomeno estremamente
complesso, che può essere fatto però in funzione dell’applicazione con vari livelli di complessità.
Una delle prime forme di analisi come abbiamo visto può essere dato dalla curva di Wohler, ma vista la
diversa distribuzione del carico, solitamente, una stima di primo livello è meglio se affrontata con il
metodo di Lewis. Tale metodo, per applicazioni di basso livello può essere più che sufficiente e viene
normato e raccolto nella normativa ISO 6336-1.

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Per applicazioni di più alto livello però, queste normative non sono più valide e pertanto negli ultimi
anni la ricerca nella modellazione di tale fenomeno è cresciuta, sia perché ad oggi abbiamo gli strumenti
e le potenze di calcolo necessarie, sia perché la crescente richiesta di leggerezza ed affidabilità delle
trasmissioni di potenza rende indispensabile la definizione di criteri di dimensionamento e verifica dei
componenti più accurati rispetto a quelli oggi utilizzati.
Un esempio di modellazione della fatica per le ruote dentate di un cambio automobilistico lo possiamo
trovare nello studio di Guagliano e Vergani [42] dove viene elaborato un procedimento di calcolo per la
previsione a fatica delle ruote dentate carbonitrurate. Tale procedimento distingue la fase di
nucleazione da quella di propagazione e consente la valutazione quantitativa di entrambe: in questo
modo è possibile ottenere un dimensionamento a fatica accurato e proporre eventuali affinamenti
finalizzati all’alleggerimento del riduttore. Prove sperimentali condotte sulle ruote dentate hanno
fornito poi le prime valutazioni riguardo all’efficacia del metodo proposto.

Figura 21: Mesh utilizzata nello studio di Guagliano e Vergani


Come possiamo notare dalla Fig.21 nello studio di [42] la mesh risulta particolarmente ridefinita alla
base del dente, punto di maggiore interesse nel caso di danneggiamento a fatica. Nello studio poi si
considera solo il caso di carico uniformemente distribuito lungo il fianco del dente, per cui è sufficiente
la costruzione di modelli bidimensionali per avere stime realistiche sia dello stato di sforzo e
deformazione nel dente integro sia del valore del fattore di intensificazione degli sforzi (FIS) in presenza
di cricche; infatti sotto tali condizioni di carico la cricca di fatica dà luogo ad un fronte rettilineo ed il
calcolo del FIS può essere effettuato con analisi 2D che prevedano uno stato di deformazione piana. Per
l’introduzione nel modello delle tensioni residue dovute al trattamento superficiale si è fatto ricorso
invece ad una analisi termoelastica in cui si impone ai nodi una differenza di temperatura tale da indurre
nel dente le tensioni residue indotte dalla carbonitrurazione. La previsione della zona di origine della
cricca viene invece fatta sulla base della formula di Coffin-Manson.
Un articolo estremamente simile al precedente è quello scritto da Kramberger et al. [43] dove però a
differenza di [42] , per la previsione dell’origine della cricca, si ricorre ad una valutazione FEM
antecedente alla previsione della vita a fatica che posiziona così l’origine della rottura nel punto di
massima sollecitazione una volta valutata la distribuzione dello sforzo. Lo sforzo di trazione che si
genera sulla base del dente caricato viene quindi valutato e attraverso considerazioni sulla geometria
della ruota e sul lato di dente impiegato. Nello studio si conclude anche che la posizione della cricca di
innesco di sposta verso l’area della radice del dente con la diminuzione dello spessore del boro.
Entrambi gli articoli precedenti pur fornendo approcci interessanti sono però datati e limitati a studi
2D. Le potenze di calcolo cresciute però, hanno permesso negli ultimi anni fi effettuare studi 3D sul

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fenomeno della fatica sul fianco del dente come dimostra l’articolo di Patel e Shukla [44] dove però si
studia e si modella solo la fase di espansione della cricca.
Un approccio diverso da quelli fino ad ora illustrati invece può essere quello descritto nello studio di
Cular et al.[45] dove si propone un modello computazionale per prevedere sia la posizione che il numero
richiesto di cicli per la fatica da flessione nel caso di ingranaggi cilindrici temprati in superfice. In questo
metodo la zona della radice del dente viene divisa in strati (livelli) e le proprietà di resistenza a fatica
del dente sono assegnate ad ogni strato in base ad una funzione relativa alla durezza. Tale metodo viene
poi valutato in efficienza con un confronto con dati sperimentali.

3.3 LA LUBRIFICAZIONE
Ovviamente, ai fini di evitare l’usura dei denti, allungare la vita delle componenti e garantire il corretto
ingranamento delle ruote è necessario procedere alla lubrificazione. La lubrificazione può essere
eseguita con diverse metodologie, ognuna delle quali è adatta però ad una specifica velocità di rotazione.
Si distinguano dunque in 3 tipologie di lubrificazione principale, così come descritte nelle dispense:

• A grasso fluido
• A bagno d’olio
• A getto
Un’ alternativa a questa classificazione però è quella per cui la strategia di lubrificazione si identifica
sulla base degli sforzi che questa sorregge. In una trasmissione ad ingranaggi, la lubrificazione è
importante per gli ingranaggi stessi e i cuscinetti di supporto dei vari alberi; i regimi di lubrificazione ai
quali possono lavorare questi elementi sono classificati in tre categorie:

• lubrificazione idrodinamica,
• elastoidrodinamica
• limite.
Ingranaggi e cuscinetti lavorano in uno di questi tre regimi o in una loro combinazione.
La lubrificazione idrodinamica si ha quando esiste una pellicola di gas o di liquido che separa
completamente le superfici in movimento relativo, impedendo il contatto diretto tra i due elementi.
Questo è il regime di lubrificazione più desiderabile, poiché l’attrito è basso e l’usura è estremamente
ridotta o, al limite, nulla. Negli ingranaggi, tale condizione si può verificare dove lo strisciamento dei
denti in presa e la forma del meato permette la formazione di uno strato di olio che separi
completamente i denti.
Nella lubrificazione elastoidrodinamica invece abbiamo un’estensione della teoria idrodinamica.
Considerando sia la deformazione elastica del meato per effetto delle altissime pressioni in gioco, sia la
dipendenza della viscosità del lubrificante dalla pressione si arriva così alla teoria della lubrificazione
elastoidrodinamica, teoria che illustra come sia possibile la formazione di una pellicola d’olio completa,
seppur sottile, tra le superfici in movimento.
Si parla invece di lubrificazione limite quando non si instaura un regime di lubrificazione idrodinamica
o elastoidrodinamica e si verifica, dunque, il contatto tra i due membri. Si parla di lubrificazione limite
quando non si instaura un regime di lubrificazione idrodinamica o elastoidrodinamica e si verifica,
dunque, il contatto tra i due membri.
La lubrificazione idrodinamica, elastoidrodinamica o limite può avvenire in modo non ideale, ma misto.
Ad esempio, durante l’ingranamento di un dente, si presentano solitamente tutti e tre i regimi di
lubrificazione, consecutivamente o simultaneamente.

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Per approfondire questi aspetti comunque possiamo fare riferimento alla tesi di Maldotti [49] dove si
analizzano delle trasmissioni ad ingranaggi e delle ruote dentate in generale, nell’ottica della
minimizzazione delle perdite di energia e si fa un’analisi teorica della lubrificazione.
Per cercare di migliorare la lubrificazione possiamo adottare diverse strategie, la maggior parte delle
quali descritte nell’articolo di Gorla e Concli [50] i quali indicano come strategie principali:
l’ottimizzazione del materiale, la scelta adeguata del lubrificante e la ottimizzazione geometrica.
Nell’articolo [50] si propone quindi un uso integrato del CFD nelle simulazioni di funzionamento di ruote
dentate applicando tale metodo per lo studio di fenomeni su scale dimensionali diverse, che vanno dallo
studio delle perdite per sbattimento (interazione diretta componenti – olio) alle perdite di potenza per
pompaggio (dovute alla variazione del volume nel vano tra i denti). I risultati sono stati confrontati con
dati sperimentali mostrando una differenza contenuta e mai superiore al 5%.
Ovviamente ogni sistema di lubrificazione deve essere trattato in modo singolare per cui l’analisi CFD
di una lubrificazione ad iniezione, ad esempio, non potrà essere la solita di una analisi con lubrificazione
a bagno d’olio. Nell’articolo di Zhou et al. [51] possiamo però vedere un esempio di applicazione di tale
metodo, dove si studia una coppia di ruote dentate elicoidali ad alta velocità che ingranano lubrificate
sotto un getto di iniezione d’olio. I risultati di tale studio, verificati poi da prove sperimentali, mostrano
che per la geometria considerata i risultati migliori si hanno nel caso di un angolo di inclinazione del
getto di 7.5° e una velocità di 45 m/s.
Ovviamente, il lubrificante non è importante solo da un punto di vista di funzionamento e allungamento
della vita delle componenti, ma anche da un punto di vista energetico in quanto la sua presenza,
garantendo un contatto migliore, migliora la resa energetica. Se questo però viene inserito in eccesso, le
interazioni delle altre parti della ruota con il fluido, il quale ha una sua viscosità potrebbero portare, al
contrario, a perdite energetiche. Recentemente, l’applicazione della fluidodinamica numerica ha aperto
nuove strade, rendendo disponibili nuovi approcci per lo studio della lubrificazione degli ingranaggi e
delle perdite, sebbene le soluzioni proposte agli esordi abbiano mostrato limiti dovuti ai tempi di calcolo
e alla gestione dei modelli. Un analisi di quelle che vengono quindi definite come “perdite indipendenti
dal carico” la possiamo trovare in un altro studio di Concli e Gorla [52] dove viene sviluppato un software
apposito per il loro calcolo. Il software sviluppato legge da un file di input i dati della geometria della
ruota. A seguire l’algoritmo di generazione della griglia genera la mesh per l’istante temporale 𝑖-esimo.
A questo punto entra in gioco il solutore fluidodinamico che risolve le equazioni di conservazione e fa
progredire la simulazione fintanto che la qualità della mesh rispetta i parametri qualitativi imposti. A
questo punto i risultati vengono salvati e rimappati sulla nuova mesh che viene creata in automatico. Il
calcolo progredisce in questo modo fino al raggiungimento del tempo di fine simulazione 𝑇𝐸𝑁𝐷 .

Figura 21: Flow chart della procedura di Concli e Gorla


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4 STATO DELL’ ARTE DELLA TECNOLOGIA
Come abbiamo visto negli studi sulla modellazione, non è importante solo la matematica dietro un
modello, ma anche la caratterizzazione fisica del materiale e del processo con le quale andiamo a
costruire le ruote dentate. Per cercare di ottenere risultati validi dal modello dobbiamo prima di tutto
però studiare le caratteristiche di ogni singolo materiale e processo produttivo. Vediamo adesso quindi
quali sono i principali materiali e processo produttivi.

4.1 PRODUZIONE DELLE RUOTE DENTATE


Le prime ruote dentate sono state realizzate storicamente in ghisa tramite un processo di fusione, unico
processo che anni e anni fa garantiva una complessità di forma tale da poter produrre un oggetto del
genere. Il materiale particolarmente poco adattato alla produzione di ruote dentate però e le
imprecisioni che si avevano nel profilo della dentatura hanno portato questo processo ad essere
utilizzato sempre di meno fino a che non è rimasto in voga solo per materiali plastici e compositi, anche
se in questo caso è più corretto parlare di stampaggio piuttosto che fusione. Ad ogni modo, per queste
due classi di materiali, il processo risulta essere estremamente efficiente e per tanto abbiamo molti studi
per quanto riguarda la caratterizzazione delle fusioni di queste due classi di materiali.
Una caratterizzazione di un processo di fusione innovativo per materiale composito a matrice metallica,
ad esempio, è quello portato avanti nell’articolo di Pawar e Utpat [53] dove si cerca di modellare al
meglio il processo ai fini di raggiungere una distribuzione più omogenea del rinforzo all’interno della
matrice, variabile che influisce in modo diretto sulla qualità del composito. In particolar modo in questo
studio si affronta la caratterizzazione del processo per un materiale composito in lega di alluminio con
aggiunga di carburo di silicio analizzando 4 diverse concentrazioni di quest’ultimo, 2.5% , 5%, 7,5% e
10%.
Il processo di fusione, con notevoli accortezze viene quindi ancora impiegato, studiato e migliorato
soprattutto in quei materiali dove la fusione è facilmente realizzabile. Nello articolo di Yang et al.[54]
ad esempio viene presentato un nuovo metodo di esecuzione della fusione del materiale QAl9-4
Alluminio Bronzo per la creazione delle ruote dentate. In questo processo ai fini di controllare il
gradiente termico durante il processo ed ottenere quindi una struttura omogenea il più possibile,
evitando ritiri termici, caratteristiche del grano differente, determinando una maggior duttilità e
tenacità del materiale si cerca procede all’esecuzione della fusione in stampo riscaldato tramite
induzione.

Figura 21: Schema e immagini di un utensile creatore


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Nel caso si passi all’impiego di materiali a più alta resistenza o sui quali si vuole andare ad eseguire dei
trattamenti termici superficiali come vedremo meglio poi, un'altra strategia produttiva particolarmente
utilizzata è la rullatura su macchine dentatrici, processo di asportazione di truciolo adatto alla
produzione di ruote dentate in grande numero. Il processo nasce dall’idea stessa con la quale si disegna
il profilo ad evolvente di cerchio delle ruote dentate. Una descrizione approfondita di questo processo
di produzione e di come si disegni il profilo ad evolvente di una ruota dentata la possiamo trovare nelle
dispense del Prof. Guiggiani [55].
In alternativa al processo di rullatura, un altro dei processi classici di asportazione di truciolo che ci
consente di avere un’alta produzione di ruote dentate è il processo di generazione delle ruote dentate
con utensile creatore descritto nello studio di Guerrini [56] dove si fa un breve stato dell’arte della
tecnologia produttiva per asportazioni di truciolo. Questo processo, che utilizza la stessa cinematica del
processo di rettifica per generazione con mola a vite, garantisce la più alta produttività tra i vari processi
di taglio consentendo di realizzare la dentatura sia su ingranaggi a denti dritti che ingranaggi elicoidali
semplicemente modificando l’inclinazione relativa degli assi di ingranaggio e creatore.
La soluzione di generazione con utensile creatore ad ogni modo, se pur più precisa della fusione per
materiali come l’acciaio, essendo un processo di asportazione di truciolo, modifica la struttura
superficiale della ruota causando errori anche di forma sulla microgeometria del profilo. Questi errori
per applicazioni di uso comune sono accettabili e non causano problemi, ma per applicazioni di gamma
maggiore o per cercare di ridurre l’effetto di alcuni fenomeni come lo scuffing o il pitting questo processo
non è adatto.

Figura 22: Errori di forma sul profilo ed elica dovuti al taglio con utensile creatore
Un’analisi molto più approfondita di questi processi classici in ogni caso la possiamo trovare nel libro di
Gupta et al.[57] dove si descrivano tutti i processi produttivi classici di ruote dentate, i materiali e i
trattamenti superficiali che possono essere usati. Nel libro, come nello studio di Guerrini [56] l’ultimo
processo di asportazione di truciolo che consente la realizzazione di ingranaggi di alta gamma è la
brocciatura, la quale viene anche questa descritta in modo molto approfondito sia in [56] che [57].
In particolar modo poi, nella tesi di dottorato di Guerrini, si propone un modello di verifica della
fattibilità di un processo industriale di rettifica a secco di ingranaggi attraverso la modellazione e
l’ottimizzazione del processo. Per cui si propone e viene fatta uno stato dell’arte della modellazione FEM
di tutti i processi produttivi, in particolar modo del processo di produzione per dentatura con utensile
creatore al quale segue un processo di rettifica della geometria della ruota.

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Figura 23: Flow chart del processo dell’algoritmo che consente la modellazione del processo di produzione delle ruote
dentate.
Tra le tecnologie più innovative, valide sia per materiali plastici che metallici abbiamo invece l’additive
manufacturing sotto ogni sua forma anche se in realtà le strategie di produzione più utilizzate sono la
selective laser sintering (SLS) per i materiali plastici e la direct metal laser sintering (DMLS) per i
materiali metallici. Questi processi consentono di ottenere le forme più disparate nella creazione delle
ruote dentate e di ottenerle anche caratterizzate da un’elevata precisione. Una valutazione della
precisione di questi due sistemi di produzione la possiamo trovare nell’articolo di Pisula et al.[58] dove
vengono realizzate a caratterizzate a livello di forma delle ruote dentate prodotte con metodologia
DMLS in GP1 (high-chromium stainless steel) stampate con macchina EOS M270 machine. Una analisi
FEM poi, eseguita nello studio di Apparo [59] ci mostra come si modellano anche componenti prodotti
con tale tecnologia e come le loro resistenze siano comparabili a componenti prodotti con processi
tradizionali. Uno studio sulla resistenza dello stesso tipo di [59], ma eseguito per via sperimentale però
su materiali plastici e che confronta due ruote, una ottenuta tramite SLS e l’altra tramite iniezione di
Nylon conferma che per la ruota SLS si ha una durata e una resistenza e fatica maggiore di quella
prodotta con metodologia classica [60].
Infine, tra i processi più lenti, ma anche tra i più precisi in assoluto per la produzione di ruote dentate,
si riporta anche la tecnica EDM descritta sempre nel libro di Gupta[57].
Oltre ai processi di produzione di forma, nelle ruote dentate risultato molto importanti anche i processi
di finitura e trattamento superficiale che troviamo descritti per i materiali metallici nello studio di
Pisana [61]. Tra i più comuni si elencano: tempra, rinvenimento, bonifica, ricottura e normalizzazione
se non che l’aggiunta di elementi di lega per aumentare la durezza superficiale tramite processi come la
corbonitrurazione o la cementazione. I trattamenti termici devono essere eseguiti con molta precisione
ed attenzione però, oltre che ad avvenire in ambienti protetti e privi di potenziali agenti contaminanti,
al fine di non peggiorare le caratteristiche di un materiale. Una loro modellazione consentirebbe quindi
di avere però un maggior controllo garantendo precisioni maggiori nella produzione di ingranaggi. A tal
proposito, per osservare una modellazione matematica di uno di questi processi si rimanda allo studio
di Bastreghi [62] dove si sviluppa un modello per la previsione delle deformazioni nelle ruote dentate
in seguito al trattamento di tempra e cementazione.

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4.2 MATERIALI DA COSTRUZIONE
Visto gli aspetti di tribologia e le principali strategie produttive è chiaro che i materiali per la costruzione
di ruote dentate devono essere caratterizzati da:

• elevata resistenza a fatica, ad usura e all’urto


• buona lavorabilità, per asportazione di truciolo nel caso degli acciai e per fusione o processi
alternativi nel caso di materiali compositi o metallici generici
I materiali usati per la costruzione di ruote dentate ad ogni modo, in funzione della loro applicazione
possono appartenere a una di queste tre famiglie:

• metallici
• polimerici
• compositi
Partendo dalla presentazione degli acciai, per la costruzione di ruote dentate si utilizzano
principalmente acciai per tempra superficiale, acciai da cementazione ed acciai da nitrurazione.
In particolar modo, per quanto riguarda gli acciai da cementazione e nitrurazione, una caratterizzazione
sperimentale e un loro confronto lo possiamo vedere nello studio di Boniardi [63] il quale conclude ad
ogni modo che i due trattamenti ottengono risultati molto simili, specialmente per quanto riguarda la
vita a fatica.
Vista la necessità di avere sempre componenti più leggeri però, ai fini di ridurre consumi o aumentare
l’efficienza in moltissimi campi, le ruote dentate sono state prodotte anche in leghe leggere. Come sarà
noto però, le principali leghe leggere impiegate in ambito meccanico presentano, oltre ad una ridotta
resistenza all’usura superficiale, una scarsa resistenza a fatica e a fatica da contatto. Queste di per se non
le rende dunque adatte alla produzione di ruote dentate, almeno che non vengano quanto meno trattate
superficialmente. Sono state studiate quindi ruote dentate in leghe leggere che venivano ricoperte con
un film di materiale sottile duro. In particolare, una tecnica di deposizione del film chiamata Physical
Vapor Deposition, come indicato da Cavalleri [64] sembra risultare particolarmente efficace per
indurire la superfice di tali leghe leggere e aumentarne la resistenza a fatica. In tale studio quindi, con
l’ausilio di codici di calcolo ad elementi finiti, sono stati sviluppati modelli teorico-numerici per
prevedere la nucleazione e la propagazione a fatica di difetti nel materiale. Sono state condotte, inoltre,
prove a flessione rotante su provini e sono stati progettati e realizzati dispositivi per condurre test di
fatica da contatto su componenti in piena scala. In particolare, sono state studiate, sia dal punto di vista
teorico-numerico sia per via sperimentale, le ruote dentate del cambio impiegato sul modello di
motocicletta Ducati 1098R , partecipante al mondiale di Super-Bike del 2011.
Esplorando materiali alternativi ai metallici, una delle soluzioni più interessanti è data dall’uso dei
materiali compositi, il cui sfruttamento potrebbe concedere quella leggerezza tanto ricercata e al
contempo la resistenza necessaria. A tal proposito si consiglia l’articolo di Pawar e Uptat [65] dove si
caratterizzano, studiano e progettano ruote dentate in materiale composito con matrice di alluminio e
fibre in carburo di silicio concludendo che questi possono essere una valida alternativa all’acciaio.
Uno studio infine particolarmente interessante, che si pone obbiettivo quello di integrare le
caratteristiche dei materiali metallici e di quelli compositi è quello condotto da Pisana [61] che propone
l’analisi di una nuova categoria di ingranaggi con parti in metallo e in materiale composito dalla cui
opportuna unione si ottengono i miglioramenti in termini di riduzione di peso, facilità di costruzione,
aumento della resistenza strutturale. L’unione composito-metallo risulta particolarmente utile in quei
settori dove elevati numeri di giri, temperature di utilizzo variabili e alta affidabilità mettono a dura
prova le soluzioni convenzionali, come può essere appunto l’ambiente aeronautico.

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Come ultima classe di materiali che dobbiamo analizzare, prendiamo in considerazione adesso le
plastiche. I materiali plastici, estremamente leggeri e facili da lavorare sono impiegati in moltissime
applicazioni leggere della meccanica per la costruzione di ruote dentate. La loro deformabilità però,
durante l’ingranamento ne aumenta il rapporto di contatto sotto carico, comportando così un’usura
molto più rapida. Essendo anche il comportamento delle plastiche molto complesso da modellare,
l’utilizzo del FEM per valutare le deflessioni, il comportamento a fatica e la possibile usura è molto
dispendioso e complesso rispetto all’uso delle normative empiriche come la ISO 6336. Nell’articolo di
Hasl et al.[66] ad ogni modo, si propone una procedura di valutazione del rapporto di contatto effettivo
tramite FEM di ruote dentate ingrananti in materiale plastico ai fini di usare questo dato per il calcolo
della tensione nominale alla radice del dente sulla base di linee guida analitiche esistenti e determinare
in ultima analisi la resistenza a fatica.

5 APPLICAZIONI
Come organi adibiti alla trasmissione di potenza, le ruote dentate trovano applicazione in praticamente
ogni campo dell’ingegneria meccanica, richiedendo caratteristiche diverse, ma con alcune necessità di
base intrinseche, come la resistenza a fatica, ad usura e a fatica superficiale. Le applicazioni più comuni
ad ogni modo si hanno nel settore automotive, wind turbine per la trasmissione di potenza, aereospace,
oil and gas e nella gestione della velocità di lavoro delle macchine da lavoro.
Vediamo adesso le applicazioni nello specifico.

5.1 AUTOMOTIVE
Nel settore automotive gli ingranaggi sono da sempre utilizzati per la trasmissione di potenza e per la
gestione del numero di giri del motore. La spinta che il settore registra verso l’uso del motore elettrico
dovuta a sua volta alle sempre più stringenti norme antinquinamento richiede una valutazione attenta
dell’efficienza di questi sistemi meccanici. Ovviamente i parametri che concorrano a determinare tale
grado di efficienza complessiva e non solo meccanica sono diversi, dalla temperatura al rumore e ogni
ambito nella modellazione dei gearbox viene trattato nello specifico da diverse ricerche. Nello studio di
Uerlich et al. [67] possiamo vedere ad esempio un’ analisi completa di un cambio automotive, delle sue
interazioni con gli altri elementi di un autoveicolo. In particolar modo il metodo presentato consente di
eseguire una prima stima del bilancio e dello scambio termico tra i vari elementi del riduttore su una
base di una prima configurazione di studio di essa. Altro articolo interessante, incentrato invece in
questo caso sulla ricerca dei danni di un riduttore comparando le vibrazioni e i rumori emessi da un
riduttore in buone e in cattive condizioni, è quello scritto da Barbieri et al. [68].

5.2 WIND TURBINE


Sempre nell’ottica di ridurre il nostro impatto ambientale, un altro settore che richiama investimenti
sostanziosi è la ricerca nel campo delle energie rinnovabili di cui una buona fetta è rappresentata
dall’eolico, ed è proprio nelle turbine eoliche che i gearbox trovano un altro campo di applicazione come
si sistemi di controllo del numero di giri dell’alternatore e organi di trasmissione di potenza. Per cercare
di inquadrare dunque le principali problematiche che affliggano ad oggi le trasmissioni di potenza e
nello specifico i gearbox di tali trasmissioni, si riporta dunque l’analisi dello stato dell’arte pubblicata su
Wind Energy Science V.7 [69] dove il sistema che converte l’energia cinetica della turbina in energia
elettrica viene analizzato in diversi stadi della sua vita, dalla progettazione fino allo smaltimento. In
particolar modo, in tale articolo si fa riferimento alla principale sfida dello sviluppo di questi sistemi di
trasmissione che sono quella di determinare la loro risposta dinamica in turbine di grandi dimensioni e
galleggianti, di controllare la produzione e di gestire i carichi derivati da effetti aerodinamici.

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5.3 AERONAUTICAL GEAROBOX
Un altro settore in cui i gearbox trovano campi di applicazione estremamente spinti in termini di
performance ed affidabilità è il settore aeronautico, come organi di regolazione del numero di giri delle
eliche sia nei motori turboprop di aeri ed elicotteri, che nei motori turbofan con elica intubata.
Ovviamente, visto l’evento catastrofico che deriverebbe da una rottura di uno di questi ingranaggi, la
maggior parte della ricerca in tale ambito si concentra non tanto sull’aumento dell’efficienza (anche se
studi di questo tipo non mancano, si veda ad esempio il seguente articolo [71]: “Thermal Performance
Evaluation in Gas Turbine Aero Engines Accessory Gearbox”), nonostante questa rimanga un parametro
fondamentale, ma si basa piuttosto sulla affidabilità di questi organi meccanici e ciò focalizza la ricerca
sullo studio di materiali alternativi, metodi di previsione e individuazione del danno e sistemi di
determinazione delle pressioni di contatto e degli sforzi interni che questi generano.

5.4 PRODUCTION MACHINE


Anche se tra i meno intuitivi, anche il settore delle macchine per la produzione industriale richiede un
uso intensivo dei gearbox e di conseguenza anche un’apposita progettazione che consenta di risolvere i
problemi specifici che si vengono a generare quando una ruota dentata viene adoperata in certi ambiti.
Alle macchine industriali, e di conseguenza anche ai loro gearbox è richiesto di riuscire a gestire un
range di velocità di lavoro ampio, che consenta anche una variazione della potenza di lavorazione in
corso, il tutto con una buona precisione di trasmissione. Esempi comuni di macchine dove il gearbox
deve consentire variazioni di questo tipo sono i torni, i trapani e le frese, dove si richiede di poter
registrare il rapporto di trasmissione per ottenere diverse speed di macchina. Oltre a tutto ciò, in queste
macchina si richiede che le componenti in questione siano anche affidabili, durature in termini di usura
e fatica , che non richiedano manutenzione e che sopportino carichi estremamente variabili. Pur
lavorando quindi a velocità neanche lontanamente paragonabili a quelle di applicazioni come quella
aeronautica, gli sforzi che sono chiamati a gestire queste tipologie di ruote dentante sono molto
complessi sia da modellare che da sopportare. Si riporta qui di seguito quindi, una ricerca condotta da
Ouberehil [70] dove viene eseguito lo studio completo di un gearbox per un tornio industriale esistente,
una sua ottimizzazione ed eventuali soluzioni alternative, eseguendo analisi FEM per ogni soluzione,
studiandone le strategie produttive, le criticità e comparandoli tra loro.

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