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Macchine a Fluido per l’Industria di Processo

a cura dell’Ing. Giorgio Vilardi, per gli studenti del secondo anno della Laurea
Magistrale in Ingegneria Chimica dell’Università di Roma La Sapienza

A.A. 2018/2019

G. Vilardi Macchine a Fluido per l’Industria di Processo


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Indice
Premessa ....................................................................................................................................................................................... 4
Introduzione ................................................................................................................................................................................ 5
1. Macchine per il trasporto di fluidi incomprimibili .................................................................................................. 6
1.1 Richiami............................................................................................................................................................................. 6
1.2 Classificazione delle pompe ...................................................................................................................................... 8
2. Le pompe .................................................................................................................................................................................. 9
2.1 Elementi costruttivi e principio di funzionamento delle turbopompe .................................................... 9
2.2 Altri elementi di impianto e concetto di NPSH ............................................................................................... 21
2.3 Numeri e curve caratteristiche, diagrammi collinari e tipologie di turbopompe ............................. 30
2.4 Curva del circuito, punto di funzionamento e regolazione ........................................................................ 38
2.5 Trasporto di soluzioni viscose e di solidi sospesi .......................................................................................... 51
2.6 Pompe volumetriche alternative .......................................................................................................................... 57
2.7 Pompe volumetriche rotative ................................................................................................................................ 68
2.8 Cenni sull’installazione, collaudo, avviamento e manutenzione ............................................................. 76
3. Macchine per il trasporto di fluidi comprimibili ................................................................................................... 82
3.1 Alcuni richiami............................................................................................................................................................. 83
3.2 Compressori a flusso continuo .............................................................................................................................. 88
3.2.1 Elementi costruttivi e impiantistica ................................................................................................................ 92
3.2.2 Curve caratteristiche, limiti di funzionamento e regolazione ............................................................. 100
3.2.3 Soffianti ..................................................................................................................................................................... 103
3.3 Compressori volumetrici alternativi................................................................................................................. 106
3.3.1 Funzionamento ...................................................................................................................................................... 106
3.3.2 Elementi costruttivi ............................................................................................................................................. 110
3.3.3 Monitoraggio prestazioni, controllo macchina e regolazione ............................................................. 117
3.4 Compressori volumetrici rotativi ....................................................................................................................... 122
3.5 Cenni sulla installazione, collaudo e manutenzione dei compressori ................................................. 128
4. Eiettori.................................................................................................................................................................................. 131
4.1 Funzionamento.......................................................................................................................................................... 133
4.2 Progettazione di un eiettore................................................................................................................................. 137
4.3 Esempi di applicazione dei sistemi di eiezione industriali e di controllo macchina ..................... 141
5. Turbine ................................................................................................................................................................................. 149
5.1 Stadio semplice a ruota unica De Laval ........................................................................................................... 150
5.2 Stadio Curtis ............................................................................................................................................................... 159

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5.3 Stadio Rateau.............................................................................................................................................................. 163


5.4 Turbine ad azione miste ........................................................................................................................................ 165
5.5 Stadio a reazione....................................................................................................................................................... 166
5.6 Regolazione delle turbine...................................................................................................................................... 168
Riferimenti bibliografici ..................................................................................................................................................... 172

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Premessa

Le nozioni e gli esempi riportati in questa dispensa non sono da considerarsi esaustivi e devono essere
presi in considerazione esclusivamente dopo aver studiato e aver conseguito gli esami di profitto di
Termodinamica per l’Ingegneria Chimica I, Meccanica dei Fluidi I e di Macchine I della laurea triennale
in Ingegneria Chimica. Nei capitoli successivi a questa premessa verranno affrontati i principi di
funzionamento, alcuni elementi costruttivi, le tipologie e i criteri di selezione (esclusi quelli economici,
trattati in corsi dedicati) di macchine fluidodinamiche e statiche, quali pompe volumetriche e a flusso
continuo, compressori volumetrici e a flusso continuo, eiettori monofasici e turbine assiali. Verranno
inoltre riportati alcuni semplici metodi per un primo dimensionamento della macchina specifica, oltre
che diversi esempi di applicazione di interesse per l’Ingegneria di Processo.

Infine saranno discusse alcune pratiche comuni, per l’installazione e la manutenzione delle macchine
trattate nel testo. La bibliografia di riferimento a fine dispensa riporta diversi testi specifici attraverso
cui il lettore può approfondire ulteriormente la materia. Per alcuni argomenti, quali per esempio
installazione e manutenzione macchine, non è stata riportata bibliografia specifica in quanto l’Autore
si è rifatto alla propria esperienza lavorativa sul campo.

La maggior parte delle figure e dei grafici è stata presa dai riferimenti bibliografici riportati in fondo al
testo.

I ringraziamenti vanno agli studenti dell’A.A. 2018/2019 che hanno mostrato un particolare interesse
alla materia e al Prof. Nicola Verdone, Direttore DICMA e Supervisore Scientifico dell’Autore.

Roma, 15 settembre 2019

Ing. Giorgio Vilardi, PhD ING/IND-25, Impianti Chimici

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Introduzione

Le macchine a fluido hanno il fine di trasferire energia da un fluido a un altro o da un organo meccanico
in movimento a un fluido. Possono essere suddivise in statiche e dinamiche, nel primo caso non ci sono
organi in movimento, come per esempio nel caso degli eiettori, nel secondo si hanno invece organi
meccanici in movimento. Le macchine dinamiche vengono a loro volta suddivise in macchine motrici
(il fluido trasferisce energia alla macchina, come nelle turbine) o macchine operatrici (l’organo
meccanico in movimento cede energia al fluido, come nelle pompe e nei compressori). Le macchine di
maggiore interesse per l’industria di processo sono sicuramente le macchine operatrici, ma anche le
turbine a vapore e quelle a gas ricoprono un ruolo di rilievo. Tali macchine vengono poi suddivise in
volumetriche e a flusso continuo. Nelle prime, il fluido processato, o meglio dire trasportato, subisce
delle variazioni termodinamiche a causa della variazione del volume della camera della macchina, a
causa del movimento alternato dell’organo mobile (macchine volumetriche alternative) o rotatorio
(macchine volumetriche rotative). Nelle macchine a flusso continuo, anche dette turbomacchine, il
trasferimento di energia fra l’organo in movimento della macchina (il rotore) con il fluido avviene a
causa della variazione dell’energia cinetica e/o quantità di moto di quest’ultimo nel passaggio
attraverso la camera della macchina. A loro volta, le macchine a flusso continuo vengono classificate
in base alla tipologia di flusso uscente dalla flangia di uscita della macchina, che può essere radiale
(turbomacchine centrifughe, flusso perpendicolare rispetto all’asse di rotazione del rotore), misto o
assiale (turbomacchine assiali, flusso parallelo rispetto all’asse di rotazione del rotore), rispetto alla
direzione del flusso in entrata alla macchina. Ogni macchina viene progettata per processare una
determinata tipologia di fluidi, per esempio le pompe sono progettate per trasportare fluidi
incomprimibili, quali i liquidi, mentre i compressori e i ventilatori possono essere usati solo per il
trasporto di fluidi comprimibili. Un caso particolare è rappresentato invece dagli eiettori, che, a
seconda della tipologia di ugello e del materiale, sono indicati sia per fluidi incomprimibili che
comprimibili (o per una loro miscela).

L’insieme delle macchine a fluido, delle tubazioni, strumentazioni e delle altre apparecchiature ben
note agli ingegneri di processo (che possono essere classificate a loro volta all’interno della famiglia
delle macchine) è detto impianto. In particolare, nella maggior parte degli impianti eserciti o ancora
da progettare, il maggior numero di unità presenti corrisponde sempre a quello delle macchine a
fluido. Per questo motivo per un ingegnere di processo risulta fondamentale la conoscenza dei principi
di funzionamento ma soprattutto dei criteri di dimensionamento e selezione di queste unità di
impianto.

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1. Macchine per il trasporto di fluidi incomprimibili

1.1 Richiami
Le macchine per il trasporto dei liquidi, la cui densità varia in maniera non significativa al variare della
pressione e per questo modellati come incomprimibili, sono chiamate pompe. Le pompe sono
macchine operatrici il cui unico fine è quello di trasportare il fluido da una sezione dell’impianto
all’altra, secondo una certa portata che è funzione della pressione di mandata, della tipologia di
macchina, del numero di giri e delle resistenze incontrate dal fluido lungo il percorso. Prima di
affrontare nel dettaglio la meccanica di funzionamento delle diverse tipologie di pompe è necessario
fare alcuni semplici e brevi richiami su grandezze fondamentali quali: prevalenza, potenza e sul
criterio di similitudine delle macchine, che sarà utile anche per i compressori.

La prevalenza teorica di una pompa è il rapporto fra la variazione di pressione P [Pa] che subisce il
fluido durante il passaggio nella macchina e la sua densità  [kg/m3] moltiplicata per l’accelerazione
di gravità g [m/s2]:
∆𝑃
𝐻= (1)
𝜌𝑔

Da questa semplice equazione è possibile notare immediatamente che per fornire la stessa variazione
di pressione a un liquido e a un aeriforme, è necessario utilizzare potenze diverse, in quanto nel
secondo caso, essendo la densità di un aeriforme notevolmente inferiore rispetto a quella di un liquido
(ordine di grandezza 1 kg/m3 rispetto a 103 kg/m3) dovrei fornire una prevalenza significativamente
più elevata. Da questo già si capisce perché, in generale e a parità di condizioni, le potenze in gioco per
le pompe sono dell’ordine dei 5-500 kW, rispetto ai 50-5000 kW dei compressori, che sono di
conseguenza anche macchine più ingombranti, di maggiore dimensione, di meccanica più fine e di
maggiore costo di acquisto e di installazione (esistono comunque pompe alimentate da turbine a gas
che erogano potenze anche di 10 GW, ma sono casi per applicazioni molto particolari).

La potenza teorica fornita al fluido, PT [W] è definita dalla seguente equazione:

𝑃𝑇 = 𝐻𝜌𝑔𝑉̇ (2)

dove 𝑉̇ [m3/s] è la portata volumetrica di fluido erogata dalla macchina. La potenza realmente
assorbita all’albero del motore accoppiato alla macchina, Pa [W] è invece funzione del rendimento della
pompa P (che varia usualmente nell’intervallo 0.6-0.85):
𝑃𝑇
𝑃𝑎 = (3)
𝜂𝑃

Il rendimento della pompa è dato a sua volta dal prodotto di 3 rendimenti, m, v e i, che sono
rispettivamente il rendimento meccanico (funzione dell’attrito fra la parte rotorica e statorica della
macchina, principalmente albero e cuscinetti), il rendimento volumetrico (funzione dei trafilamenti di
portata utile e quindi delle perdite di fluido nei giochi interni, dovuti anche a causa della presenza di
gas) e rendimento idraulico (funzione delle perdite di carico nella pompa).

In linea teorica è possibile incrementare ognuno di questi rendimenti, ma generalmente quello che più
influenza il prodotto finale è il rendimento idraulico, che risulta massimizzato nel momento in cui

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vengono rispettati i ben noti aforismi idraulici: (a) ingresso del fluido nella zona rotorica senza urti
(quindi velocità di uscita tangente al profilo delle palette, aforismo rispettato sia nel caso di profilo
delle pale rivolto in avanti e in indietro), (b) uscita del fluido dalla zona rotorica alla minima velocità
(aforismo rispettato solo nel caso di profilo delle pale rivolto all’indietro). Questo implica che, a parità
di condizioni, la sola scelta del profilo della palettatura della girante influenza il rendimento della
macchina (e non solo, come si vedrà nel prosieguo).

Alla macchina operatrice deve essere necessariamente accoppiata una fonte di energia che ne
permetta il movimento dell’albero motore. Questa può essere una macchina motrice (turbine
accoppiate con compressori o pompe, ecc.) un motore elettrico (usualmente asincrono trifase) o un
motore a combustione interna. La potenza assorbita, per esempio, dal motore elettrico accoppiato, PAM
[W] sarà data da:
𝑃𝑎
𝑃𝐴𝑀 = (4)
𝜂𝑤

dove il rendimento al denominatore è quello del motore elettrico (nel caso dei trifasi asincroni si arriva
anche a valori pari a 0.95).

Infine, la potenza assorbita dalla rete elettrica (sempre nel caso di motore elettrico) sarà data da:
𝑃𝐴𝑀
𝑃𝐸 = (5)
𝜂𝑜 𝜂𝑡

in cui i due rendimenti a denominatore sono rispettivamente quello organico (che tiene conto
dell’azionamento di organi di controllo e apparecchi accessori) e quello di trasmissione (che tiene
conto dell’elemento di trasmissione fra il motore e la macchina).

La teoria della similitudine permette di selezionare la macchina più adatta nella determinata sezione
di impianto, attraverso semplici calcoli e avendo a disposizione dati sperimentali su macchine da
laboratorio di dimensione usualmente minore rispetto a quella della macchina che si andrà realmente
a impiegare. Già noto dal corso di Macchine I, esistono 4 tipologie di similitudine: (i) geometrica
(rapporto costante fra determinate sezione delle macchine considerate), (ii) cinematica (triangoli delle
velocità, in sezioni omologhe, simili), (iii) dinamica (numero adimensionale di Re uguale in sezioni
omologhe) e (iv) termodinamica (per flussi modellabili come isentropici, uguale numero di Mach
periferico). Nel caso di fluidi incomprimibili sono di interesse solo i primi 3 criteri. Si dimostra che,
macchine simili (che rispettino tutti i criteri) hanno lo stesso rendimento idraulico, volumetrico e
meccanico. Si dimostrano inoltre le seguenti leggi di similarità:

𝑉1̇ 𝑛1 𝐻1 𝑛1 2 𝑃𝑇1 𝜌1 𝑛1 3
= , =( ) , = 𝛼 ( ) (6)
𝑉̇2 𝑛2 𝐻2 𝑛2 𝑃𝑇2 𝜌2 𝑛2

dove n [rpm o rps], è il numero di giri del motore accoppiato alla macchina che viene poi assimilato a
quello della girante della macchina,  è il rapporto geometrico fra le macchine selezionate, e i pedici si
riferiscono a due macchine simili fra loro. Dalle (6) è possibile immediatamente notare che,
sostituendo la prima espressione nella seconda si ottiene che H=f(𝑉̇ 2 ), come si vedrà in dettaglio nel
seguito. Nella realtà i criteri di similitudine non vengono mai del tutto rispettati (a causa dell’effetto
della viscosità del fluido processato, della cavitazione e nel caso di numeri di Mach>0.5) e in particolare
per le pompe e il calcolo del nuovo rendimento totale (della seconda macchina quindi) è possibile

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utilizzare formule approssimate come quella di Moody (da usare comunque con cautela in quanto per
valori molto elevati o molto piccoli di  può dare valori completamente inattendibili):

1 − 𝜂𝑝1 𝐷2 𝑎
=( ) (7)
1 − 𝜂𝑝2 𝐷1

dove D [m] è usualmente la dimensione della bocca di uscita dalla zona rotorica della pompa, mentre
a varia fra 0.1 e 0.5 in funzione del rapporto D2/D1.

1.2 Classificazione delle pompe


Esattamente come per i compressori, anche le pompe possono essere classificate in macchine
volumetriche e a flusso continuo. Le pompe volumetriche alternative forniscono elevate prevalenze
(anche oltre i 1000 m di colonna d’acqua) e portate medio-basse, possono essere utilizzate per liquidi
a bassa e alta viscosità mentre nel caso di solidi sospesi, fanghi e solidi filamentosi è meglio evitarne
l’impiego in quanto i solidi potrebbero bloccare le valvole di aspirazione e mandata o semplicemente
ridurre significativamente il rendimento volumetrico e meccanico della macchina. Gli svantaggi
principali delle pompe alternative sono gli elevati costi di investimento e la portata erogata non
continua (in alcuni processi e/o applicazioni non possono quindi essere impiegate). Le pompe
volumetriche alternative erogano portate medio-alte in modo continuo, e garantiscono prevalenze di
media entità. Possono essere utilizzate per liquidi con densità e viscosità varabile in un ampio
intervallo (da idrocarburi a glicerina) e trattano anche fanghi e solidi sospesi. Come le alternative, sono
in generale più costose delle flusso continuo. Le turbopompe infine sono caratterizzate da elevate
portate e, a seconda del numero di stadi, possono garantire prevalenze medio-alte. Le turbopompe di
ultima generazione trattano efficacemente fanghi e solidi sospesi filamentosi (giranti aperte) ma non
sono comunque adatte a processare liquidi viscosi. In Figura 1 sono riportati i campi di impiego delle
principali pompe per fluidi.

Figura 1. Classificazione pompe in base alla portata e prevalenza.

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2. Le pompe

2.1 Elementi costruttivi e principio di funzionamento delle turbopompe


Una turbopompa, sia essa a flusso radiale (pompe centrifughe), misto o assiale è sempre costituita da
3 elementi fondamentali: distributore, girante e diffusore (Figura 2).

Figura 2. Sezioni di una turbopompa a flusso radiale e alcuni particolari costruttivi.

Il fluido attraversa la bocca di aspirazione e quindi la condotta di aspirazione (il distributore) che,
usualmente nelle macchine operatrici non è palettato (nei compressori invece lo è come si vedrà in
seguito) ed è un semplice convergente. Il distributore è progettato in modo tale da garantire la velocità
di entrata nella voluta di massimo rendimento volumetrico e per ridurre gli attriti e il possibile
distacco della vena fluida, convogliando il flusso verso la girante. Il fluido raggiunge quindi l’occhio

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della girante, la quale ruota usualmente a una velocità che va da 1000 a 3000 rpm generando un campo
di forze centrifugo particolarmente intenso, grazie al quale il fluido viene inviato verso la periferia
della camera (chiocciola o voluta). La girante scambia lavoro meccanico con il fluido, il quale,
attraversando la voluta a sezione crescente, per la conservazione dell’energia meccanica (Bernoulli)
subisce una trasformazione della propria energia cinetica in energia potenziale (aumenta la
pressione). Nell’occhio della girante si ha la zona di massima depressione, generata grazie alla
rotazione di quest’ultima, dove si ha il richiamo di altro fluido che viene poi inviato verso la periferia
per via delle forze centrifughe sviluppate. La girante è costituita da 3-12 pale (numero minore rispetto
ai compressori) posizionate su di un disco, calettata sull’albero (montata a sbalzo con collegamento a
chiavetta nelle piccole turbopompe monostadio, nelle multistadio invece le giranti sono inserite
sull’albero con opportuni distanziatori ad anello e bloccate, alle due estremità, con dei collarini a vite).
La girante usualmente è un pezzo unico di fusione in ghisa o più raramente è costituita da due pezzi di
fusione. Per applicazioni particolari la girante può essere di altro materiale (acciaio inox, ceramico,
ecc.) o può essere comunque ricoperta da uno strato di un altro materiale (polimerico). La girante può
essere aperta o chiusa, a seconda delle applicazioni e può presentare tre diversi profili della palettatura
(Figure 3 e 4).

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Figura 3. Tipologie di giranti.

Figura 4. Profili della palettatura della girante.

Le giranti aperte vengono impiegate nel caso si processino fluidi con solidi sospesi, solidi filamentosi
e fanghi in generale, hanno usualmente un numero di pale basso (3-5) proprio per evitare che i solidi
si possano incastrare fra i profili. A differenza della girante chiusa, si avrà un rendimento volumetrico
inferiore e una rigidezza meccanica altrettanto minore. Si possono usare nel caso non via siano P
troppo elevate e usualmente si producono dei piccoli fori sul disco per ridurre la spinta assiale. Le
giranti aperte infine sono più accessibili per la manutenzione e in generale la loro lavorazione è più
fine rispetto a quella delle giranti chiuse. In tutte le altre applicazioni si preferisce l’utilizzo della
girante chiusa, dotata di contro-disco che garantisce una elevata rigidezza meccanica e quindi una
maggiore resistenza alla spinta assiale a cui è sottoposta la girante durante il funzionamento della
macchina. La girante chiusa riduce notevolmente i trafilamenti di fluido, garantendo maggiori
rendimenti volumetrici. Di contro, la girante chiusa è meno accessibile alle operazioni di pulizia per
cui la manutenzione è più onerosa. Per quanto riguarda il profilo della palettatura, in funzione
dell’angolo di uscita 2, espresso rispetto al senso di rotazione, è possibile individuare il profilo pale

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all’indietro (<90°), pale radiali (90°) e pale in avanti (>90°). A parità di condizioni (velocità periferica
u2) il profilo pale in avanti garantisce una velocità di uscita del fluido più elevata rispetto agli altri due
casi, garantendo quindi una maggiore portata erogata dalla macchina (la dimostrazione analitica è
molto semplice ma non viene qui riportata perché affrontata già nel corso di Macchine I). Se da una
parte però, la portata erogata è maggiore, dall’altra il rendimento idraulico e quindi quello globale sarà
minore per le maggiori perdite di carico. Inoltre, come si vedrà nel seguito, questo profilo di palettatura
causa una instabilità nella curva caratteristica della macchina (H; 𝑉̇ ) e per questi motivi (minore
rendimento globale, instabilità e riduzione della prevalenza a causa delle maggiori perdite di carico)
in quasi tutte le applicazioni industriali si utilizzando giranti con pale all’indietro. Una volta pronto
l’albero con la o le giranti calettate, questo viene sottoposto a operazioni di bilanciamento e inserito
poi nell’involucro della camera della pompa riducendo all’ordine di pochi cm i giochi (massimo 2-3
cm). In particolare nel caso del monostadio, l’anello di tenuta (vedi Figura 2) deve essere progettato
per ridurre al minimo il gioco fra bordo della carcassa e zona di aspirazione della girante, per garantire
ermeticità e ridurre la possibilità che parte del liquido uscente rientri sull’aspirazione (causando una
riduzione del rendimento volumetrico). L’anello di tenuta può essere sia liscio che sagomato (con cui
si garantisce una maggiore ermeticità ma risulta essere più costoso). L’albero è usualmente in acciaio
o in alcuni casi in bronzo, viene cosparso di guaina polimerica nel caso si trattino fluidi aggressivi e
non deve deformarsi nell’intervallo di pressioni (sia dovute al momento torcente sia alle spinte assiali
nel caso di pompa ad asse verticale) operative, per evitare di ridurre i giochi con la parte statorica
andando a compromettere il funzionamento della macchina e riducendo il rendimento meccanico. Il
fluido subisce l’incremento di pressione all’interno della voluta, nel diffusore, che può essere o meno
palettato, a singola o doppia voluta (Figura 5).

Figura 5. Particolare di pompa con voluta singola palettata e doppia voluta senza palettatura.

La palettatura riduce le deviazioni di flusso del fluido processato garantendo maggiori rendimenti
idraulici (riduce gli urti), mentre la doppia voluta viene usualmente utilizzata per elevate portate
erogate dalla macchina, sempre per ridurre gli urti e i moti vorticosi del fluido. La carcassa (chiocciola,
voluta, diffusore, i nomi sono numerosi), quindi la parte statorica, viene usualmente costruita in ghisa
per piccole prevalenze (<100 m) o in acciaio per alte prevalenze ed è costituita da due semicorpi
bullonati. Per garantire maggiori prevalenze, senza aumentare il numero di macchine da porre in serie

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(si veda il seguito), è possibile calettare più giranti sullo stesso albero, scegliendo quindi di operare
con pompe multistadio (massimo 6-8 stadi, Figura 6).

Figura 6. Sezione ed esempio di una pompa multistadio.

La sezione riportata in figura 6 mostra una classica pompa centrifuga multistadio costruita a
diaframmi alternati; i due bulloni all’estremità sono necessari per irrigidire la macchina. La
costruzione con diaframma è quella classica, oggi si tende invece a ridurre il numero di elementi
costruttivi per limitare gli attriti, i giunti, i trafilamenti e in generale punti di minore rigidezza della
struttura meccanica. Discorso a parte meritano gli organi di tenuta, necessari per evitare perdite per
trafilamento di liquido processato lungo l’albero, fino a giungere nella zona di raccolta del liquido
lubrificante, dove, ovviamente, è bene che non arrivi un quantitativo apprezzabile di liquido
trasportato. Gli organi di tenuta maggiormente utilizzati per le pompe di piccola dimensione sono
sicuramente le scatole di tenuta ad anelli di grafite, in quanto non richiedono la registrazione periodica
e non necessitano quindi di una manutenzione continua (come invece le tenute idrauliche, o quelle a
labirinto, vedere Figura 7). Sono mantenute aderenti all’albero con varie molle in serie. Altre tenute
classiche sono invece del tipo a premistoppa, in amianto grafitato o baderne in cotone sevato.

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Figura 7. Tenuta a labirinto e idraulica (a destra).

Per pompe di maggiori dimensione (di meccanica più fine e più costose) invece la tenuta classica è
quella metallica (Figura 8).

Figura 8. Sezione di una classica tenuta metallica.

La superficie piana di un anello rotante (A) in acciaio inox, aderente all’albero della pompa, striscia
sulla superficie di un anello di grafite (Ai) fissato alla cassa del premistoppa e su di essa premuto da
una molla (M) pure rotante con l’albero. Le due superfici piane sono rese perfettamente lisce per
evitare qualsiasi trafilamento di liquido. Un anello di gomma (G) (o di teflon secondo la natura del
liquido pompato) impedisce la fuoriuscita del liquido fra l’albero e l’anello rotante, mentre un secondo
anello (G1) assicura la tenuta fra la scatola del premistoppa e l’anello di grafite. L’attrito fra le superfici
a contatto richiede un cospicuo afflusso di liquido che compia la duplice funzione di lubrificazione e di
raffreddamento; a ciò si provvede immettendo entro la tenuta una parte del liquido pompato
derivandolo dalla tubazione di mandata oppure prelevandolo dall’esterno quando la temperatura di

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quello pompato risulta troppo alta. Il fluido raffreddante deve comunque essere della stessa natura di
quello elaborato, poiché, compiuta la sua funzione nella scatola di tenuta, rientra nell’aspirazione della
pompa.

Altro elemento costruttivo di particolare importanza è quello per la ri-equilibratura delle spinte assiali
sulla girante. In particolare nel caso di grandi turbopompe, dove si possono raggiungere valori di
spinte assiali nella zona di mandata molto elevate (pari circa proprio alla pressione di mandata, mentre
sul lato di aspirazione la spinta è dovuta a una depressione, in quanto la zona è a una P<Patm) è poco
opportuno assorbire la spinta con supporti reggispinta (si avrebbe una riduzione significativa del
rendimento meccanico per le levate forze dispersive di attrito che si svilupperebbero) rispetto invece
a ri-equilibrarle. Nel caso di pompe a elevata portata si usa come soluzione la doppia aspirazione,
andando così a sottoporre entrambe le facce della girante alla stessa spinta, nel caso delle multistadio
invece si calettano metà delle giranti in senso opposto alla seconda metà (vedere Figura 9).

Figura 9. Pompa multistadio con giranti contrapposte.

Infine in tutti gli altri casi si utilizza il disco equilibratore, calettato in modo rigido a tergo della faccia
di mandata, in equilibrio con la pressione atmosferica (vedere sezione di Figura 10), così da generare
una controspinta (S’) dipendente dal diametro del disco, progettato per equilibrare la spinta del lato
di mandata.

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Figura 10. Sezione organo ri-equilibratore della spinta assiale sulla girante.

L’azione di bilanciamento è del tutto automatica, in quanto, a un eccessivo valore della controspinta
corrisponde un lieve aumento del gioco  fra disco e carcassa; parte del liquido fluisce entro l'ambiente
A e diminuisce il valore della pressione agente sulla faccia interna mentre aumenta quella sulla faccia
esterna in modo da ridurre l'entità della controspinta e ripristinare la condizione di equilibrio. Per
quanto riguarda i giunti degli alberi invece, si usano giunti rigidi ed elastici per collegare l’albero della
pompa con l’albero del motore. I rigidi si usano nel caso in cui gli alberi siano già perfettamente
allineati, per cui un disassamento anche molto piccolo potrebbe causare significative sollecitazioni nel
giunto ma anche alle estremità degli alberi. Il giunto elastico compensa difetti di disallineamento sia
assiali che radiali, fra i due alberi, assorbendo gli urti generati durante la rotazione. Maggiore è il
disallineamento, maggiore sarà la frequenza di sostituzione del giunto. Un giunto molto utilizzato è
quello a bussola (Figura 11), grazie al quale è possibile smontare la parte rotorica della pompa senza
dover smontare la tubazione di aspirazione e soprattutto senza dover movimentare il motore
accoppiato.

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Figura 11. Confronto fra giunto classico (in alto nel riquadro) e giunto a bussola.

Altro elemento fondamentale per il funzionamento di una turbopompa è l’apparecchiatura necessaria


alla movimentazione dell’albero. Nella maggior parte delle applicazioni i motori elettrici vengono
preferiti a quelli a combustione interna, mentre nel caso di elevate potenze si può optare per le turbine
a vapore o a gas. I motori elettrici che vengono maggiormente impiegati sono quelli a induzione
(asincroni) a gabbia di scoiattolo (per la forma caratteristica della parte rotorica), per la semplicità
costruttiva, affidabilità, costi di acquisto e manutenzione contenuti. Questi motori sono costituiti da
uno statore e un rotore cilindrici cavi coassiali separati da un traferro di basso spessore (Figura 12).

Figura 12. Sezione motore a induzione.

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Sia la parte rotorica che quella statorica presenta delle cavità dove sono disposti gli avvolgimenti dove
scorre la corrente. L’avvolgimento statorico (induttore) è costituito da 3 fasi disposte con uno
sfalsamento di 120 gradi/coppia di poli, collegate o a stella o a triangolo (ricordiamo che la tensione
stellata è in valore minore di cica 30.5 rispetto a quella della configurazione a triangolo). L’avvolgimento
rotorico invece (indotto) è sempre costituito da 3 fasi con lo stesso numero di coppie di poli di quello
statorico con i terminali connessi da barre cortocircuitate agli estremi da due anelli. Nei motori a
gabbia di scoiattolo l’avvolgimento indotto non necessita di isolamento e anche per questo motivo
risulta meno costoso di quelli a rotore avvolto, ma di contro tende a riscaldarsi maggiormente nel caso
di frequenti avviamenti poiché in questo caso l’avvolgimento rotorico non può essere collegato a
resistenze esterne (che limiterebbero il forte riscaldamento dell’avvolgimento indotto). Nella scelta
del motore è necessario tenere conto principalmente della curva di potenza e del rendimento in
funzione del numero di giri (quindi anche del numero di poli, inversamente proporzionale alla velocità
di rotazione dei campi magnetici statorico e rotorico), della tipologia di avviamento e della possibilità
di accoppiare o meno un inverter, del fattore di potenza cos (dove  è l’angolo di sfasamento campo
rotorico/statorico) delle vibrazioni e del rumore emesso. Altro fattore legato alla scelta del motore
elettrico è il massimo numero di avviamenti consentito, prima di incorrere in eccessivo logorio dei
giunti elastici e degli interruttori di protezione (questo è particolarmente vero nel caso di avviamento
diretto del motore, in cui la corrente di spunto può superare anche di 8 volte il valore di corrente
nominale, senza avere la stessa corrispondenza fra coppia di spunto e coppia nominale). In generale,
per motori a secco con potenze da 1 a 8 kW si possono eseguire massimo 15 avviamenti/ora,
riducendosi a circa 10 avviamento/ora per potenze superiori ai 40 kW. Nel caso di motori immersi
questi valori sono circa 1.5-2 volte superiori per potenze minore dei 40 kW (questi sono valori del
tutto indicativi, è ovviamente necessario consultare il manuale tecnico del motore o contattare il
costruttore per eventuali dati sperimentali o per valori più precisi, la frequenza di avviamento dipende
anche dal numero di poli del motore). Nel caso si trasportino liquidi particolarmente corrosivi, a
elevata volatilità o tossici, si utilizzano particolari pompe a trascinamento magnetico, in cui non si ha
una tenuta dell’albero motore e in cui sono necessari maggiori accorgimenti nella scelta dei materiali
della pompa, che risulta un corpo unico con il motore.

Il comportamento all’avviamento del motore dipende fortemente dal tipo di avviamento selezionato.
Per avviare il motore la coppia di spunto deve superare la coppia resistente e portare la velocità di
rotazione dell’albero motore da zero a quella nominale (funzione del numero di poli, dello scorrimento
e della frequenza di rete, 50 Hz nei paesi Europei). Nel caso di avviamento diretto si applica
direttamente tutta la tensione di rete alla chiusura dell’interruttore che collega la linea elettrica al
motore, che si comporta nei primi secondi come un trasformatore chiuso in cortocircuito in cui
scorrono correnti di spunto dell’ordine di 4-8 volte la corrente nominale (tornando a questo valore
solo quando la velocità rotorica ha raggiunto circa 0.8 volte il suo valore nominale), dando luogo a forti
stress termici e meccanici che a lungo andare possono causare danni irreversibili. In questo caso
l’avviamento è molto rapido (<5 s) ma oltre agli inconvenienti riportati in precedenza nel caso di reti
pubbliche (400 V) per potenze superiori a 5.5 kW non può essere impiegato, poiché potrebbe causare
repentini cali di tensione causando possibili danni alle altre apparecchiature della rete collegate in
parallelo. Si ricorda infine che il 75% dei guasti dei motori elettrici è dovuto proprio a sovracorrenti.
Un ultimo inconveniente dell’avviamento diretto, in motori di questo tipo in cui la frequenza non è
variabile (poiché non muniti di inverter) è l’impossibilità di controllare la velocità di rotazione della
girante. Gli altri metodi di avviamento, sicuramente da prediligere quando possibile, sono quelli a

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tensioni ridotte. In questi metodi però la coppia di spunto (proporzionale alla tensione applicata al
motore al quadrato) si riduce notevolmente, per cui possono essere utilizzati quando la coppia
resistente del carico non risulta troppo elevata. I due metodi più classici sono sicuramente quello che
prevede l’inserzione di resistenze statoriche, che posizionate in serie su ogni fase statorica causano
una caduta di tensione all’avviamento (causando però perdite per effetto Joule), e la commutazione
stella-triangolo (utilizzata nei motori la cui tensione nominale, per ciascun avvolgimento statorico, è
uguale alla tensione concatenata della linea di alimentazione, figura 13).

Figura 13. Avviamento stella-triangolo.

Questo metodo prevede un avviamento con gli avvolgimenti statorici collegati a stella, per questo con
una tensione applicata pari a quella di rete/30.5, garantendo quindi una riduzione di un fattore 3,
rispetto al caso di avviamento diretto, sia della corrente assorbita che della coppia di spunto (essendo,
come già ricordato, proporzionale alla tensione applicata elevata al quadrato), con una commutazione
a triangolo durante la marcia per riportare la tensione al valore di rete. L’inconveniente di entrambi
questi metodi è ovviamente un aumento del tempo di avviamento (circa doppio rispetto
all’avviamento diretto) causato dalla riduzione del valore della coppia di spunto. Ulteriore
inconveniente dell’alimentazione stella-triangolo è il brusco aumento di corrente e di coppia durante
la commutazione a triangolo (punto D’’ a D’ in Figura 14) che comunque non è immediata, per cui ci
sarà un lasso di tempo con assenza di passaggio di corrente.

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Figura 14. Curve di avviamento di rotori cortocircuitati con avviamento stella (Y)-triangolo () (T
indica la coppia di spunto).

Altro metodo a tensioni ridotte è quello che prevede l’impiego di un soft-starter (secondo il principio
di Dimmer viene variata elettronicamente la tensione applicata). Questo metodo riduce il numero
massimo di avviamenti/ora ammissibile ma permette di regolare il tempo e la corrente di avviamento.
Infine, il metodo maggiormente impiegato negli ultimi anni, prevede l’impiego di un inverter con cui si
può regolare sia la frequenza che la tensione in uscita dal convertitore, e quindi assorbite dal motore
(per un confronto di alcuni metodi di avviamento si veda Figura 15).

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Figura 15. Confronto delle correnti di spunto rispetto a quella nominale (IN) dei diversi metodi di
avviamento di un motore a induzione.

2.2 Altri elementi di impianto e concetto di NPSH


In questo paragrafo verranno illustrati alcuni elementi di impianto sempre presenti per il corretto
funzionamento della turbopompa e alcuni accorgimenti necessari per evitare cadute di rendimento e
per limitare possibili danni alla girante.

Un concetto fondamentale che garantisce il corretto funzionamento di una classica turbopompa è


l’innesco. A meno di macchine autoadescanti (di cui si tratterà nel paragrafo successivo) è necessario
che il corpo pompa risulti sempre pieno di liquido per permettere l’avviamento del rotore e quindi il
funzionamento della macchina. Questo perché, se fosse invece pieno di un fluido aeriforme, si avrebbe
un eccessiva richiesta di potenza per raggiungere la prevalenza nominale o di esercizio, dato che la
densità di un aeriforme è significativamente minore di quella di un liquido e dato che risulta essere un
fluido comprimibile (si veda l’equazione 1 paragrafo 1.1). L’aria è uno di quei fluidi che può trovarsi
spesso nella condotta di aspirazione, in quanto può trovarsi sia disciolta nel liquido (in minime
quantità) e può invece entrare nella condotta dalle zone di giunzione della valvola a saracinesca
(Figura 16), praticamente sempre presente a monte della pompa montata sulla condotta di aspirazione
(fra il serbatoio di aspirazione e la macchina). Risulta quindi fondamentale disaerare sia la condotta di
aspirazione che il corpo pompa lato aspirazione prima della fase di avviamento.

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Figura 16. Valvola a saracinesca a corpo piatto (sinistra) e a corpo rotondo (a destra).

L’innesco viene favorito dalla presenza di una valvola di fondo di non ritorno montata sulla bocca di
aspirazione della condotta a monte del corpo pompa, in modo tale che, anche nei casi in cui la pompa
non venisse posizionata sotto battente di liquido, si avrebbe nella maggior parte dei casi del liquido a
valle della bocca di aspirazione. Con la presenza della valvola di fondo (usualmente dotata di
succhieruola per dirigere il flusso e con funzione di filtro, si veda Figura 17) il processo di disaerazione
(particolarmente oneroso in termini di tempo e di frequenza) non dovrà essere più eseguito prima di
ogni avvio, ma solo per la prima messa in marcia dopo il collaudo e nel caso di un fermo macchina
dell’ordine dei giorni/settimane.

Figura 17. Sezione di una valvola di fondo a sede piatta con succhieruola.

Le valvole presenti a monte della pompa da un lato sono necessarie per gli scopi richiamati in
precedenza (la valvola a saracinesca serve per isolare la macchina dal resto dell’impianto durante le
fasi di manutenzione) ma aumentano necessariamente le perdite di carico, causando una riduzione del

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carico netto all’aspirazione, NPSH (Net Positive Suction Head), usualmente riportato in m di colonna
di acqua. In particolare, esistono due grandezze di fondamentale importanza per il corretto
funzionamento di una pompa: NPSHd (disponibile) e NPSHr (richiesto). Il primo, quello disponibile alla
flangia di aspirazione della pompa, cioè la pressione (espressa sempre in m) che insiste
sull’aspirazione della macchina e che può essere al più uguagliata da quella necessaria per il trasporto
del liquido attraverso la zona di aspirazione fino all’inizio della zona di mandata (i.e. quello richiesto),
senza che si scenda sotto la tensione di vapore del liquido, è funzione:

 della velocità di aspirazione del liquido;


 delle perdite di carico, continue e localizzate, dal serbatoio di aspirazione fino alla flangia di
aspirazione;
 della tensione di vapore del liquido alla temperatura di esercizio;
 della pressione di eventuale gas disciolti;
 della pressione del serbatoio di aspirazione;
 della quota serbatoio di aspirazione-pompa (distanza fra pelo libero del liquido nel serbatoio e
occhio della girante lungo la verticale).

L’NPSH disponibile deve risultare maggiore o al più uguale a quello richiesto dalla pompa, e viene
consumato dalla flangia di aspirazione all’occhio della girante (la zona dove si ha il minimo di
pressione, Figura 18):

𝑁𝑃𝑆𝐻𝑑 ≥ 𝑁𝑃𝑆𝐻𝑟 (8)

Figura 18. Consumo NPSH disponibile.

Nel caso in cui la disuguaglianza (8) non fosse rispettata, si avrebbe il flash di parte del liquido aspirato
(in quanto la pressione scenderebbe al di sotto della tensione di vapore del liquido) e il possibile
innesco del fenomeno della cavitazione (con le conseguenze già viste durante il corso di Macchine I).
L’NPSH richiesto è invece funzione delle caratteristiche costruttive della macchina (della geometria

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della macchina) e della portata erogata, in quanto è dato dalla somma dell’altezza cinetica dovuta alla
velocità di mandata del liquido e delle perdite di carico dovute ai giochi interni alla macchina e ai
passaggi in generale del liquido nella macchina (NPSHr=um2/2g + YPM, dove um [m/s] è la velocità di
mandata del liquido e YPM [m] sono le perdite di carico nella macchina). L’NPSH richiesto viene
individuato sperimentalmente dal costruttore e la curva di variazione in funzione della portata erogata
(l’andamento sarà ovviamente crescente con 𝑉̇ , all’infuori di alcuni intervalli di portata per le macchine
assiali) viene consegnato al momento dell’acquisto.

Si consideri ora lo schema generico riportato in Figura 19.

Figura 19. Generico impianto di sollevamento.

Il calcolo dell’NPSH disponibile si può eseguire secondo l’equazione generale (9):

𝑃1 𝑢𝑎2 (𝑃𝑑 + 𝑃𝑔 )
𝑁𝑃𝑆𝐻𝑑 = 𝑧1 + − − ∑𝑌 − (9)
𝜌𝑔 2𝑔 𝑠𝑒𝑟𝑏−𝑎𝑠𝑝 𝜌𝑔

dove z1 [m] è la quota fra il pelo libero di liquido nel serbatoio di aspirazione e l’asse della flangia di
aspirazione (altezza occhio della girante), P1 [Pa] è la pressione nel serbatoio di aspirazione, ua [m/s]
è la velocità del liquido in aspirazione, Yserb-asp [m] sono le perdite di carico localizzate e continue dalla
zona di aspirazione nel serbatoio alla flangia di aspirazione della pompa, Pd [Pa] è la tensione di vapore
del liquido e Pg [Pa] è la pressione di eventuali gas disciolti.

Nel caso generico di figura 19 la turbopompa si trova sotto battente, per cui il termine relativo alla
quota è un termine positivo che incrementa il valore dell’NPSH disponibile. Nel caso di funzionamento
sopra battente invece quest’ultimo termine sarà negativo e ridurrà il valore di NPSH disponibile. Dal
momento che le perdite di carico influiscono notevolmente sul valore dell’NPSH disponibile è bene
fissare valori di velocità di aspirazione non elevati, in generale la ua è sempre minore della um (ordine
di 0.8-1 m/s rispetto a 1-2 m/s della um), dipendono comunque dalle caratteristiche del fluido
trasportato e dal processo a valle.

Gli unici due termini positivi nell’equazione (9) sono il battente e la pressione nel serbatoio, per cui
nel caso in cui si volesse incrementare il valore di NPSH disponibile sarebbe necessario o aumentare
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questi due termini o ridurre i rimanenti. Una riduzione della portata erogata dalla macchina andrebbe
sia a diminuire la velocità di aspirazione sia a ridurre le perdite di carico, andando a incrementare
l’NPSH disponibile e allo stesso tempo ridurre quello richiesto (Figura 20).

Figura 20. Andamento NPSH con la portata erogata dalla macchina (il pedice nec indica necessario,
cioè richiesto).

Come si vedrà in seguito, il punto di funzionamento, cioè l’intersezione fra la curva della macchina e
quella del circuito, deve posizionarsi dove la curva dell’NPSH disponibile è superiore rispetto a quella
dell’NPSH richiesto, per evitare l’incipiente cavitazione. Nella pratica industriale, si accetta fino a un
3% di riduzione della prevalenza dovuto all’incipiente cavitazione, ma è ovviamente opportuno evitare
l’innesco vero e proprio del fenomeno. Oltre ai valori di NPSH per individuare le condizioni di
cavitazione si utilizzano altre grandezze, probabilmente già viste durante il corso di Macchine I, che
sono il coefficiente di Thoma e il numero di aspirazione di Wislicenus (pari a 3 per le pompe).

Nel caso pratico di svuotamento di pozzi da un qualsiasi liquido, è importante saper calcolare, in prima
approssimazione, il valore di altezza massima di aspirazione consentito prima dell’innesco della
cavitazione della pompa. Se si considerano le equazioni (8) e (9), e un caso semplice ma generale, di
svuotamento di un pozzo in equilibrio con l’atmosfera, l’altezza di massima aspirazione della pompa,
cioè la massima quota consentita fra il pelo libero del liquido da aspirare e l’asse della zona di
aspirazione della pompa sarà dato da:

𝑃1 𝑢𝑎2 (𝑃𝑑 + 𝑃𝑔 )
𝑧𝑚𝑎𝑥 = − − ∑𝑌 − − 𝑁𝑃𝑆𝐻𝑟 (10)
𝜌𝑔 2𝑔 𝑠𝑒𝑟𝑏−𝑎𝑠𝑝 𝜌𝑔

in cui P1 sarà proprio la pressione atmosferica. Esistono casi particolarmente onerosi per le pompe,
casi in cui per evitare la cavitazione si può operare solo sulla variazione del battente. Si pensi per
esempio all’aspirazione di liquidi saturi dai kettle o comunque dai ribollitori a fondo colonna. In quel
particolare caso la pressione che insiste sul pelo libero del liquido nell’apparecchiatura è proprio pari
alla sua tensione di vapore, per cui, in un calcolo comunque conservativo dell’NPSH disponibile, l’unico
termine positivo risulterebbe z, dato la P1 si andrebbe a elidere con la Pd.

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26

Un operatore o comunque un tecnico nella sala di controllo può accorgersi della cavitazione
principalmente dai seguenti fenomeni:

 rumore caratteristico dovuto all’implosione delle bolle sulla palettatura della girante e nella
camera;
 aumento delle vibrazioni della macchina;
 riduzione della portata erogata e della prevalenza fornita al fluido (fenomeno del tutto
anomalo, a meno di curva caratteristica instabile, in quanto al diminuire della portata aumenta
la prevalenza fornita dalla pompa);
 riduzione del rendimento della macchina e maggiore consumo energetico.

Per ridurre la possibilità di insorgenza della cavitazione si possono eseguire diverse operazioni:

 pressurizzare il serbatoio di aspirazione;


 aumentare il valore del battente idraulico (nel caso di pompa sotto battente) o comunque
variare la quota della pompa;
 aumentare il diametro della tubazione in aspirazione (per ridurre la velocità, a parità di
portata);
 ridurre la portata erogata;
 posizionare una pompa booster a monte e in serie, della tipologia supercavitante con basso
NPSH richiesto;
 posizionare un eiettore per liquidi, che andrebbe ad aumentare l’NPSH disponibile (inoltre
l’eiettore è autoadescante);
 montare un inducer, cioè una piccola girante assiale, a elica, a monte della girante della pompa,
calettandola sullo stesso albero (Figura 21).

Figura 21. Inducer montato a monte della girante di una turbopompa.

In particolare l’ultima operazione andrebbe a ridurre l’NPSH richiesto fino a un certo valore di portata
erogata, oltre la quale si avrebbe invece un repentino aumento di NPSH r. In generale, l’operazione
ammissibile deve essere quella tecnicamente possibile e meno costosa. Per esempio, in molti casi non
è possibile spostare o smontare la pompa o cambiare le tubazioni, e potrebbe risultare conveniente

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27

pressurizzare a monte. In generale, l’operazione meno costosa risulta sicuramente ridurre la portata
erogata dalla pompa, ma questo può essere fatto solo se il motore (nel caso di motore elettrico) è
dotato di inverter e se il processo a valle lo consente.

Un altro elemento di interesse dal punto di vista impiantistico e che, in parte influenza il valore di NPSH
disponibile, è la tipologia di bocca di aspirazione della tubazione di adduzione a monte della pompa.
In generale, la tubazione di aspirazione deve essere il più corta possibile e in salita verso la pompa, con
assenza di gomiti, per ridurre l’insorgere di sacche d’aria e quindi il trasporto di aria verso la girante.
Nel caso non si possano evitare gomiti è preferibile utilizzare gomiti di ingresso di accelerazione, con
la sezione leggermente decrescente verso la flangia di aspirazione che aiutano a uniformare il flusso
in ingresso. Nel caso di trasporto di sospensioni di solidi e aspirazione laterale (e quindi non sul fondo
serbatoio) è opportuno posizionare la bocca di aspirazione a una distanza di 0.5 volte il diametro (dE
[m]) con l’angolo della zona del fondo della parte opposta all’aspirazione compreso fra 45 e 60° (Figura
22).

Figura 22. Particolare del fondo del serbatoio nel caso di trasporto di solidi sospesi.

Altro parametro fondamentale che riguarda la tubazione di aspirazione è la sommergenza minima


(Smin [m]), cioè la distanza fra la bocca di aspirazione e il pelo libero del liquido nel serbatoio o
comunque nell’apparecchiatura dove si trova il liquido da aspirare. Nel caso in cui questo valore fosse
troppo basso si potrebbe avere la formazione di vortici e gorghi che causerebbero l’aspirazione anche
di gas (in Figura 23 sono riportate alcune indicazioni generiche della distanza minima consigliata fra
tubo di aspirazione e pareti del serbatoio di aspirazione e della sommergenza minima).

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Figura 23. Valori consigliati di Smin e distanza tubazione aspirante-pareti serbatoio.

In generale è possibile calcolare la Smin in funzione della portata e del dE secondo l’equazione (11)
(Figura 24):

𝑑𝐸
𝑆𝑚𝑖𝑛 = 𝑑𝐸 + 2.3𝑢√ (11)
𝑔

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Figura 24. Valori della sommergenza minima calcolati secondo la (11) in base alle indicazioni
dell’Hydraulic Institute (Q rappresenta la portata volumetrica e vs la velocità di deflusso nella
tubazione denominata u nell’equazione 11).

Tutti questi accorgimenti devono essere compatibili con la disuguaglianza (9), in quanto influenzano i
valori di velocità di aspirazione e le perdite di carico e quindi il valore di NPSH disponibile.
Esattamente come l’installazione di setti direttori, per evitare formazione di vortici (Figura 25)
possono da una parte ridurre la probabilità di aspirare anche gas, ma dall’altra incrementano le perdite
di carico di aspirazione, riducendo il valore dell’NPSH disponibile.

Figura 25. Classici setti installati in serbatoi di aspirazione.

Un altro elemento, non sempre presente nell’impianto, è la valvola di non ritorno a monte della
eventuale valvola di regolazione sulla condotta di mandata della pompa. Questa valvola viene spesso
installata, e ha lo scopo di ridurre la spinta assiale, dovuta alla colonna di liquido, sulla girante della
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30

pompa, lato mandata, nel caso di un arresto macchina improvviso (la sua installazione è obbligatoria
nel caso in cui si debba avviare la pompa con contropressione in mandata, avviamento assolutamente
sconsigliato nel caso di turbopompe a flusso misto o assiale, che vanno invece avviate con valvola di
regolazione sulla mandata completamente aperta, poiché queste giranti sono usualmente meno
resistenti di quelli a flusso radiale).

Altri elementi di impianti necessari per il collaudo e quindi per la messa in marcia della macchina sono
gli strumenti di misura. Brevemente, nel caso dei manometri, lo strumento viene posizionato in
accordo alle disposizioni della ISO 9906, secondo cui le distanze di posizionamento, dalle flange della
pompa, sono dei multipli del diametro dei tubi di aspirazione e di mandata (Figura 26).

Figura 26. Disposizione dei manometri secondo la ISO 9906 e la VdS 2092-S.

2.3 Numeri e curve caratteristiche, diagrammi collinari e tipologie di turbopompe


La selezione di una turbopompa è funzione di diversi fattori, fra cui la tipologia di fluido, la tipologia
di processo a valle, le condizioni di esercizio e la tipologia di impianto, oltre che, in primis,
considerazioni economiche. Il primo passo è il calcolo del numero specifico di giri, attraverso cui si
sceglie la tipologia di girante ma più in generale la tipologia di pompa. Il numero specifico di giri, ns
[rpm o rps] è funzione della portata e prevalenza ottimi e del numero di giri rispetto a cui il rendimento
della pompa è ottimo per quei valori di portata e prevalenza:

√𝑉̇𝑜𝑝𝑡
𝑛𝑠 = 𝑛 3/4
(12)
𝐻𝑜𝑝𝑡

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31

Che può essere adimensionalizzato secondo la (13):

√𝑉̇𝑜𝑝𝑡
𝑛𝑠,𝑎𝑑𝑖𝑚 = 𝑛 (13)
(𝑔𝐻)3/4
𝑜𝑝𝑡

In molte applicazioni si preferisce utilizzare il numero di giri caratteristico, in quanto tiene in conto
anche le caratteristiche del fluido processato e del rendimento della pompa:

√𝑃𝑎 𝜌
𝑛𝑐 = 𝑛𝑠 5/4
= 𝑛𝑠 √ (14)
𝐻 75𝜂𝑝

Inserendo i dati necessari nella (12) si ottiene un valore di numero di giri specifico con cui si può
selezionare la tipologia di pompa, secondo le indicazioni riportate in Figura 27.

Figura 27. Tipologia di turbopompa in funzione di ns.

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32

Andando verso valori inferiori a 10 m0.75/s0.5 si va verso le volumetriche rotative mentre per valori
minori di 1-2 m0.75/s0.5 si va verso le volumetriche alternative. Andando verso numero di giri specifico
più elevato si ha un aumento della portata massima erogabile, una riduzione della prevalenza e una
riduzione della dimensione del diametro esterno della girante. Come valori di riferimento di portata e
prevalenza, considerando 3 intervalli di riferimento di ns, si può indicare che per ns=10-25 m0.75/s0.5 la
portata indicativa è 10 m3/h e la prevalenza di 500 m (turbopompa radiale), per ns=70-160 m0.75/s0.5
la portata indicativa è 100 m3/h e la prevalenza di 100 m (turbopompa a flusso misto), per ns=140-
400 m0.75/s0.5 la portata indicativa è 1000 m3/h e la prevalenza di 10 m (turbopompa assiale). Per una
visione completa è possibile riferirsi alla Figura 28.

Figura 28. Rappresentazione grafica del numero di giri specifico.

Il numero specifico di giri viene utilizzato anche nei paesi anglosassoni e negli USA, ma vengono
denominati il type number k’=ns/52.9 e il Ns=ns/51.6. A seconda della tipologia di girante e del profilo
della palettatura la forma delle curve caratteristiche cambia in modo significativo (Figura 29).

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33

Figura 29. Esempi di curve caratteristiche per pompa radiale (a sinistra) con profilo all’indietro,
pompa a flusso misto (al centro) e pompa assiale (a destra).

In generale le curve prevalenza; portata indicano un andamento decrescente, ma cambiano in maniera


rilevante nel caso di macchine a flusso misto o assiale, in cui nascono delle instabilità, che si vedono
anche nelle curve di potenza. Le zone di instabilità sono quelle a prevalenza decrescente con portata
decrescente (se ne parlerà in dettaglio nel prossimo paragrafo), e si hanno per pompe radiali con
profilo della palettatura in avanti (Figura 30) e in generale per pompe e numero di giri specifico
superiore a 100 m0.75/s0.5 (in parte le pompe a flusso misto e le pompe assiali).

Figura 30. Curva caratteristica turbopompa radiale con la palettatura rivolta in avanti (curva
superiore) e all’indietro.

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34

Oltre alla tipologia di girante, le dimensioni del diametro esterno e dello spessore della palettatura b2
[m] influiscono sia sulla portata che sulla prevalenza della macchina (Figura 31).

Figura 31. Sezione di una girante a flusso radiale con profilo della palettatura all’indietro.

Andando a ridurre il diametro esterno e aumentando b2 si può incrementare per esempio la portata
erogata.

Altre tipologie di pompe di interesse industriale sono sicuramente le autoadescanti e le pompe


sommerse, usualmente multistadio ad asse verticale.

Le pompe autoadescanti sono munite di un meccanismo per cui riescono ad aspirare tutta l’aria
presente nella camera e nel circuito di aspirazione, riuscendo a generare la depressione necessaria per
l’innesco e l’avviamento. Per il funzionamento si può osservare la Figura 32.

Figura 32. Funzionamento pompa autoadescante.

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35

Inizialmente (figura a sinistra) il circuito di aspirazione è pieno d’aria e la camera della pompa piena
di liquido. Si avvia la girante (figura al centro) e il liquido inizia a essere trasportato verso la mandata,
ma senza riuscire a raggiungere la condotta a causa della non continuità della vena fluida e questo
causa la generazione di un getto di liquido con la valvola sul fondo aperta. Questo getto verso la girante
trascina l’aria presente nel circuito e ora anche in parte nella camera, verso il circuito di mandata per
la spinta idrostatica (la densità dell’aria o comunque del gas è inferiore di quella del liquido) liberando
di fatto la camera e il circuito dall’aria. Una volta che tutta l’aria viene aspirata e inviata in mandata la
valvola sul fondo si chiude (figura di destra) e la pompa inizia il suo normale funzionamento in marcia
con camera e circuito di aspirazione pieno di solo liquido. Le centrifughe autoadescanti più utilizzate
sono quelle a canale laterale e ad anello liquido (utilizzabili sono per fluidi che non reagiscono con il
liquido di tenuta). Pompe particolarmente importanti per l’ingegneria petrolifera e mineraria sono
quelle sommerse. Queste pompe vengono impiegate per il sollevamento di olio o anche di acqua nei
casi in cui la massima altezza di aspirazione delle normali pompe centrifughe viene superata
(considerando l’equazione (10) e ponendo la pressione pari a quella atmosferica e a meno di perdite
di carico e NPSH richiesto di circa 2 m si arriva a zmax di circa 6-7 m). Queste pompe sono usualmente
delle multistadio a flusso radiale o misto (Figure 33 e 34) multistadio, con la dimensione delle giranti
funzione della dimensione del pozzo e della portata necessaria (si va da 75 mm di diametro del pozzo
con portate di 1-2 m3/h a pozzi di oltre 600 mm di diametro e portate superiori a 2000 m3/h).

Figura 33. Curve caratteristiche a diversa velocità di rotazione di una pompa sommersa bi-stadio per
pozzi da 200 mm.

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36

Figura 34. Pompa sommersa con motore non immergibile (sinistra) e immergibile (centro) ed esempi
di pompe sommerse (destra e in basso).

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37

In Figura 34 è possibile vedere due classiche soluzioni, con motore emerso e motore sommerso. Nel
primo caso è possibile utilizzare classici motori a induzione o a combustione interna, senza difficoltà
di manutenzione ecc. Lo svantaggio è invece la necessità di avere un albero motore lungo quanto la
profondità del pozzo, che risulta essere improponibile nel caso di pozzi con profondità oltre i 40 m, a
causa di fenomeni di instabilità euleriana e altri problemi legati alla tenuta. Per pozzi più profondi è
quindi necessario optare per motori immergibili, più costosi rispetto a quelli non immergibili e di più
difficile manutenzione. In molti casi invece delle flusso continuo possono essere utilizzate le
volumetriche alternative, quali le sucker-rod pump, a stantuffo o ad astine, in grado di fornire portate
di 8 m3/h e utilizzabili anche per pozzi profondi (>40 m).

Una volta selezionata la tipologia di pompa e note le portate e prevalenze consentite dall’intersezione
fra la curva della macchina e quella del circuito è necessario andare nei diagrammi collinari, tracciati
per acqua a 20°C (nel prosieguo si vedranno due metodiche per passare da curve caratteristiche per
acqua a curve per altri liquidi), in cui vengono riportate le diverse curve caratteristiche, per una stessa
macchina dotata di motore con inverter o motore diesel (quindi con n variabile) al variare del numero
di giri della girante (Figura 35) con i punti a isorendimento o diagrammi collinari a n=cost e diametro
della girante crescente (quindi diagrammi collinari di macchine della stessa serie, Figura 36). Questi
diagrammi vengono tracciati grazie ai principi di similitudine.

Figura 35. Esempio di diagramma collinare o curve di isorendimento per una stessa macchina (radiale
con profilo delle pale rivolto in avanti) al variare di n.

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38

Figura 36. Esempio di diagramma collinare o curve di isorendimento per macchine della stessa serie
al variare del diametro della girante.

Alcuni costruttori possono fornire anche diagrammi collinari più completi, in cui ogni curva
caratteristica corrisponde a quella per cui il numero di giri corrisponde a quello in cui si ha rendimento
ottimo in base anche al diametro e allo spessore della palettatura. Per cui ogni curva non solo
corrisponde a un diverso valore del numero di giri ma anche a una diversa girante, facente parte
sempre della stessa serie di macchine (radiali, flusso misto o assiali). Attraverso questi diagrammi è
possibile, una volta tracciata la curva del circuito e fatte le dovute trasformazioni nel caso di fluidi
diversi dall’acqua a 20 °C, individuare i punti di funzionamento (H e portata) per cui il rendimento è
massimo.

2.4 Curva del circuito, punto di funzionamento e regolazione


Per individuare il punto di funzionamento è necessario tracciare, oltre alla curva caratteristica della
macchina (detta anche caratteristica interna), la curva caratteristica del circuito o dell’impianto. La
curva del circuito è data da due contributi, anche dette prevalenza statica e prevalenza dinamica, con
la prima indipendente dalle condizioni fluidodinamiche (indipendente da Re) e funzione della
differenza di quota fra il pelo libero del liquido in aspirazione (da un serbatoio, da un’apparecchiatura
generica, o nel caso di pompa sommersa, dal pelo libero sopra la macchina) e della differenza delle
pressioni nella zona di aspirazione e in quella di mandata; mentre la parte dinamica è funzione delle
altezze cinetiche e delle perdite di carico incontrate lungo tutto la linea, dalla zona di aspirazione a
quella di mandata. Considerando gli esempi di impianto riportati in Figura 37 è possibile tracciare le
curve riportate in Figura 38 secondo le seguenti equazioni:

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39

2
𝑃2 − 𝑃1 𝑢𝑚 − 𝑢𝑎2
𝐻𝑐 = 𝐻𝑔𝑒𝑜 + + + ∑ 𝑌𝑎𝑠𝑝−𝑚𝑎𝑛𝑑 (15)
𝜌𝑔 2𝑔
2
𝑢𝑚 − 𝑢𝑎2
𝐻𝑐 = + ∑ 𝑌𝑎𝑠𝑝−𝑚𝑎𝑛𝑑 (16)
2𝑔

Figura 37. Esempi di impianti di sollevamento e trasporto liquidi.

Nel primo caso sono presenti sia il contributo statico che dinamico, mentre nel secondo caso, molto
particolare (caso limite di interesse puramente didattico, in quanto per l’uguaglianza delle pressioni
nei due serbatoi il livello di liquido raggiungerebbe la stessa quota nei due serbatoi allo stato
stazionario senza la necessità di una macchina) si hanno due serbatoi aperti all’atmosfera con lo stesso
livello di liquido, come mostrato nel diagramma di Figura 38.

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40

Figura 38. Curve caratteristiche del circuito relative agli esempi di Figura 37 (la curva superiore è
relativa al caso dell’impianto di sollevamento, quella inferiore al caso dell’impianto di trasporto, senza
contributo statico).

Il contributo delle perdite di carico è particolarmente importante ed è dato dalla somma delle perdite
di carico localizzate Yd [m], quindi dovute alla presenza di elementi quali valvole, polmoni, gomiti,
variazioni di sezione ecc. (quindi dovute al distacco della vena fluida principalmente), e delle perdite
di carico continue lungo le tubazioni Yc [m], dovute alle perdite energetiche per le forze di attrito fra il
fluido e le pareti interne delle tubazioni:

∑ 𝑌 = ∑ 𝑌𝑐 + ∑ 𝑌𝑑 (17)

Le Yc possono calcolarsi con equazioni derivanti da Darcy:

𝑢2 𝐿
𝑌𝑐 = 𝜆 (18)
2𝑔𝑑 𝑇
64
𝑝𝑒𝑟 𝑅𝑒 < 2320
𝑅𝑒
𝑑
𝑓 (𝑅𝑒, ) 𝑝𝑒𝑟 𝑅𝑒 𝑓𝑖𝑛𝑜 𝑎 100000
𝜆= 𝑘 (19)
0.15
0.0055 + 𝑝𝑒𝑟 𝑅𝑒 > 105
3
√𝑑⁄𝑘
{
𝑢𝑑 𝑇
𝑅𝑒 = (20)
𝜐
4𝐴𝑏𝑎𝑔𝑛𝑎𝑡𝑎
𝑑𝑇 = (21)
𝑃𝑏𝑎𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜

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41

dove è il coefficiente di attrito, ricavabile dall’abaco di Moody (Figura 39) e funzione del numero di
Reynolds Re e del rapporto fra il diametro interno del tubo d [mm o m] e la rugosità k [mm o m], dT
[mm o m] è il diametro idraulico da utilizzare nel caso di tubi a sezione non circolare nel calcolo sia di
Re che di e Yc, L [mm o m] la lunghezza della tubazione e [mm2/s o m2/s] la viscosità cinematica del
fluido.

Figura 39. Abaco di Moody.

Le tubazioni sono riportate nei diversi cataloghi commerciali con in base al diametro nominale che
differisce, in certi casi anche oltre il 10%, dal diametro interno o idraulico, che deve essere invece
utilizzato nei calcoli. Il valore della rugosità dipende dalla tipologia di materiale utilizzato e dall’età del
materiale (Figura 40).

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42

Figura 40. Valori indicativi della rugosità di diverse tubazioni.

Per quanto riguarda infine le perdite localizzate si possono utilizzare diverse formule (Bordà, Weisbak
ecc. dai corsi di Meccanica dei Fluidi I), ma la più generale prevede l’utilizzo del coefficiente specifico
di perdita di carico , dipendente dalla tipologia di pezzo sagomato, dall’apparecchiatura considerata,
dalla valvola e quindi dal suo diametro nominale e pressione nominale (DN e PN):

𝑢2
𝑌𝑑 = 𝜉 (22)
2𝑔

In generale, come si può evincere dai valori riportati in Figura 41, il coefficiente specifico di perdita di
carico, per uno stesso elemento di impianto, aumenta all’aumentare di PN e si riduce all’aumentare di
DN.

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43

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45

Figura 41. Variazione del coefficiente di perdita di carico in funzione della PN e DN e della tipologia di
elemento di impianto attraversato (la u da inserire nei calcoli deve essere quella misura nel punto di
attacco dell’elemento di impianto considerato).

Una volta tracciate le curve della macchina e del circuito è possibile individuare il punto di
funzionamento dalla loro intersezione e decidere come regolare la portata e la prevalenza fornita al
fluido, in base alla tipologia di impianto e alla tipologia di macchina.

Ci sono due modalità con cui è possibile regolare la prevalenza e la portata dell’impianto:

 variando la curva caratteristica del circuito (la parte statica variando la differenza di quota Hgeo,
o le pressioni P1 e P2, la parte dinamica invece utilizzando un by-pass, dei diaframmi, la
resistenza al flusso, le tubazioni o semplicemente con una valvola di strozzamento o di
regolazione);
 variando la curva caratteristica della macchina (variando n se ho motore a c. i. o elettrico con
inverter, ponendo una pompa in serie o in parallelo o a disposizione incrociata, nel caso di
giranti radiali tornendo la girante o limando le pale nella parte convessa, nel caso di giranti
elicoidali con i raddrizzatori di flusso e nel caso di giranti assiali regolando l’angolo della
palettatura dell’elica).

La modalità più utilizzata per regolare portata e prevalenza dell’impianto consiste nel porre sulla
mandata una valvola di regolazione che riduca la sezione di passaggio del fluido attraverso la condotta
di mandata (Figura 42).

Figura 42. Regolazione con valvola di strozzamento.

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46

Con questa regolazione (che consiste nel creare una perdita di carico localizzata), a seconda della
tipologia di macchina, si va a ridurre anche la potenza assorbita, e varieranno anche NPSH
disponibile/richiesto e il rendimento della macchina.

Un’altra regolazione spesso utilizzata è quella che prevede la variazione del numero di giri del motore
(Figura 43).

Figura 43. Regolazione con inverter.

Le altre tipologie di variazione (che prevedono di lavorare sulla girante) sono poco utilizzate ma nel
caso in cui lo studente fosse interessato si possono consultare testi specifici o semplicemente chiedere
al docente.

La regolazione con by-pass invece è meno utilizzata nel caso di turbopompe, mentre spesso utilizzata
per pompe volumetriche (Figura 44).

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47

Figura 44. Regolazione con by-pass.

Altri tre casi sono di interesse, il collegamento in serie, quello in parallelo e quello incrociato. Nel primo
caso le pompe vengono collegate in serie, una dopo l’altra, per incrementare la portata fornita al fluido
(Figura 45).

Figura 45. Collegamento di pompe uguali in serie.

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48

Si possono collegare sia pompe uguali che con caratteristica diversa, ma in generale, se diverse, è bene
posizionare la pompa a maggiore prevalenza dopo quella a minore prevalenza, in quanto, la pressione
che grava sulla seconda pompa sarà quella finale della prima pompa e di ciò va tenuto in conto durante
il dimensionamento della tenuta dell’albero e della resistenza del corpo pompa (per ovviare a ciò si
usano pompe multistadio). Il rendimento totale del sistema in serie si calcola secondo la seguente
equazione:
𝜌 ̇
𝜌𝑤 𝑉 ∑ 𝐻
𝜂𝑡𝑜𝑡 = (23)
0.102 ∑ 𝑃𝑎

dove w [kg/m3] è la densità dell’acqua a 20°C e le sommatorie sono estese alle grandezze (prevalenza
fornita al fluido e potenza assorbita) a tutte le macchine in serie.

Il collegamento in parallelo invece permette di incrementare la portata erogata dal sistema (Figura
46).

Figura 46. Regolazione con macchine in parallelo.

Nel caso di funzionamento in parallelo è particolarmente opportuno utilizzare due pompe uguali o che
abbiamo prevalenza a portata nulla circa uguale. Nel caso ciò non fosse possibile è impossibile per la
pompa con prevalenza minore a portata nulla funzionare prima di raggiungere una certa portata
minima. Infatti, nell’intervallo 0-portata minima la suddetta pompa avrà la valvola di non ritorno
chiusa a causa della maggiore prevalenza dell’altra pompa (Figura 47).

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49

Figura 47. Funzionamento in parallelo con due pompe diverse.

Il calcolo del rendimento totale sarà dato da:


𝜌
𝜌 𝐻 ∑ 𝑉̇
𝜂𝑡𝑜𝑡 = 𝑤 (24)
0.102 ∑ 𝑃𝑎

Un altro caso particolare, in cui è meglio evitare l’accoppiamento in parallelo di pompe è quello di
pompe radiali con profilo della palettatura rivolto in avanti o pompe a flusso assiale (e alcune a flusso
misto), cioè pompe che presentano instabilità nella loro curva caratteristica (Figura 48).

Figura 48. Curva caratteristica di una pompa radiale con profilo delle pale rivolto in avanti (sinistra)
e di una pompa a flusso assiale (destra).

Nella prima figura il punto A è di stabilità, poiché la pendenza della caratteristica del circuito è
superiore di quella della macchina (nella seconda figura sono stabili le condizioni in A e C). Le restanti
zone sono da evitare (esempio punto B figura di sinistra), in quanto, ad aumenti della portata (per
esempio per sovratensioni al motore) si avrebbero aumenti della prevalenza che risulterebbero
maggiori rispetto a quelli richiesti dall’impianto, per cui si avrebbe un allontanamento dalle condizioni
instabili lungo la curva verso un nuovo punto di stabilità verso portate sempre crescenti (fino ad A).
Nel caso opposto, cioè a riduzioni di portata accidentali, si avrebbe uno spostamento delle condizioni

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50

operative da B verso C. Queste condizioni portano a oscillazioni di pressione e portata nel tempo, che
in sistemi in parallelo di protraggono a tutte le pompe del sistema, portando a danni anche irreversibili
all’impianto (si vedrà meglio questo fenomeno nei compressori, cioè lo stallo e il conseguente
pompaggio). Un’altra instabilità si può avere se la prevalenza statica del circuito risulta maggiore
rispetto alla prevalenza della pompa a portata nulla (vedere sempre la figura di sinistra della 48). In
questi casi particolari (che possono accadere con qualsiasi macchina, non solo quelle riportate
nell’esempio) bisogna operare in due modi (se non è possibile evitarli a priori): (i) si aumenta la
velocità di rotazione della macchina fino a che la prevalenza non superi quella statica del circuito e
solo dopo si avvia la pompa, (ii) si riduce in avvio la prevalenza statica del circuito con una derivazione
sulla mandata, riducendo di fatto la P2, chiudendo poi la valvola dopo la riuscita dell’avvio della
macchina.

L’ultimo sistema, a volte impiegato e qui richiamato, è quello incrociato, in cui si montano due serie di
pompe, collegate fra di loro in serie, in parallelo (Figura 49).

Figura 49. Regolazione con pompe incrociate.

In questo caso si ha sia un aumento di portata che di prevalenza e valgono le considerazioni fatte in
precedenza.

Prima di affrontare i prossimi paragrafi è di dovere ricordare che durante il trasporto dei liquidi,
nonostante si possano considerare praticamente incomprimibili, in minima parte il liquido subirà una
compressione, che causerà un incremento di temperatura additivo a quello dovuto alle perdite per
attrito e in generale al passaggio del fluido nell’impianto. L’incremento totale di temperatura sarà dato
da:
𝑔𝐻(1 − 𝜂𝑝 )
Δ𝑇 = Δ𝑇𝑐 + (25)
4184𝑐𝑝 𝜂𝑝

dove cp [kcal/K kg] è il calore specifico del fluido a pressione costante e Tc [K] è l’incremento di
temperatura dovuto alla compressione (gli ordini di grandezza di questo termine sono di 0.25°C per
ogni MPa di incremento di pressione del fluido nel caso di combustibili quali benzine, gasolio e olio
combustibile, mentre si riduce a circa 0.1°C per MPa nel caso di acqua). In generale questi incrementi

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51

sono contenuti, ma in determinate applicazioni (campo biotecnologico-alimentare) possono essere di


interesse.

2.5 Trasporto di soluzioni viscose e di solidi sospesi


Nei casi in cui vengano trasportati liquidi con viscosità, densità e contenuto in Sali o in solidi sospesi
rilevante è necessario seguire diversi accorgimenti, non solo sulla scelta della tipologia di girante e di
potenza di riserva ma anche sul tracciamento delle curve caratteristiche della macchina, che saranno
diverse rispetto a quelle fornite dal costruttore. Nel caso di trasporto fanghi o comunque di soluzioni
con solidi si usano diverse tipologie di giranti a seconda della % di sostanza secca in soluzione: giranti
a canale fino al 3% di sostanza secca, giranti monocanale fino al 5%, giranti a vortice fino al 7%, oltre
il 7% e in presenza di gas disciolti si usano invece le giranti a vortice. In generale, per le giranti
monocanale, la maggiorazione della potenza può essere anche pari a 1/3 di quella totale, quindi si
dovrà considerare che per potenze richieste fino a 7.5 kW in realtà la potenza assorbita sarà superiore
di almeno il 30%, si scende al 20-10% nei casi in cui le potenze richieste siano nell’intervallo 10-100
kW. Esempi di questa tipologia di girante sono riportati a inizio capitolo (Figura 3). Nel caso di
trasporto fanghi o acque concentrate (per esempio acque reflue) è opportuno fissare le velocità di
deflusso al di sopra di 1.2 m/s per tubazioni orizzontali e al di sopra di 2 m/s per quelle verticali, onde
evitare la formazione di ostruzioni. Nel caso di liquidi a diversa viscosità dell’acqua, come si era già
accennato in precedenza, le curve caratteristiche della macchina saranno diverse da quelle fornite dal
costruttore e dovranno quindi essere modificate dall’ingegnere di processo prima di passare alla fase
di collaudo e poi alla messa in marcia. In particolare, è necessario considerare il caso di liquidi
Newtoniani e non Newtoniani. Nel primo caso esistono principalmente due metodiche molto utilizzate
nella pratica industriale, mentre nel secondo caso è necessario rifarsi a dati sperimentali e
all’esperienza degli operatori, in quanto, non essendo possibile determinare il gradiente di velocità del
fluido, localmente, non è possibile generalizzare e fornire un metodo standard per la modifica della
curva caratteristica della macchina (per alcune paste e bifasici liquido + fibre esistono relazioni
sperimentali in letteratura). Per la curva caratteristica del circuito invece è possibile in primis
suddividere la curva di scorrimento, ovviamente non rettilinea, in tanti tratti parabolici, dove
determinare graficamente i parametri del modello reologico dello specifico fluido non Newtoniano e
calcolarsi quindi il numero di Re e il coefficiente di attrito della tubazione per diversi valori della
portata. La metodica risulta comunque complessa poiché iterativa e difficilmente generalizzabile.
Anche in questi casi è opportuno rifarsi all’esperienza degli operatori o a reparti di ingegneria
specializzata.

Per quanto riguarda i liquidi Newtoniani invece è possibile utilizzare la metodica dell’Hydraulic
Institute (HI) o del KSB. Questa metodica si applica a fluidi con viscosità cinematica superiore a 20
mm2/s, quindi almeno venti volte superiore a quella dell’acqua, in quanto al di sotto le variazioni della
curva caratteristica della macchina sono impercettibili. Le due metodiche hanno comunque i loro limiti
di impiego e risulta comunque necessario ricordare che per soluzioni molto viscose (con viscosità
dinamica oltre i 103 cP o comunque oltre i 5 Pas) è consigliabile utilizzare pompe volumetriche e non
a flusso continuo. Il procedimento dell’HI è valido per valori di ns da 15 a 20 m0.75/s0.5 mentre quello
della KSB per intervalli da 6.5 a 45 e per viscosità cinematiche fino a 4000 mm 2/s. La conversione, in
̇ ̇ .
entrambi i casi, è valida per l’intervallo di portata pari a 0.8𝑉̇𝑜𝑝𝑡 ≤ 𝑉 ≤ 1.2𝑉 𝑜𝑝𝑡

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53

Figura 50. Esempio dell’applicazione del metodo KSB dove ns viene denominato nq (esempio indicato
per portata di 200 m3/h, prevalenza di 57.5 m, n=2900 rpm, ns=32.8 m0.75/s0.5 e viscosità cinematica
di 500 mm2/s).

Il metodo prevede l’impiego di alcune tabelle da cui ricavare i valori dei fattori correttivi, per ogni
valore della portata, con cui tracciare la nuova curva caratteristica. Questi fatto sono denominati f o k
a seconda che si usi il metodo di KSB o dell’HI, e avranno come pedice rispettivamente Q, H e  per la
portata, la prevalenza e il rendimento mentre il pedice w è riferito alla grandezza relativa alla curva
caratteristica originale del costruttore (indica quindi acqua). Il metodo quindi prevede che si
moltiplichi il valore, per esempio di prevalenza o di rendimento, della curva fornita dal costruttore,
relativa quindi ad acqua a 20°C, per il corrispettivo fattore correttivo, per ottenere quindi il valore
relativo al nuovo fluido (Figura 50 riporta un esempio dell’utilizzo del metodo KSB). Per applicare il
metodo bisogna considerare poi alcuni valori particolari, i.e. per Q=0.8Qopt (dove Q è la portata
volumetrica, solo in questo caso si userà questo simbolo poiché presente nelle tabelle di KSB e HI)
H=1.03fHHw (e la nuova prevalenza non dovrà mai essere > di Hw) mentre per Q=0 si dovrà porre H=Hw
e rendimento nullo (un esempio grafico è riportato in Figura 51).

Figura 51. Esempio dell’applicazione del metodo KSB o HI per convertire le curve caratteristiche della
macchina da acqua a un liquido più viscoso.

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54

Per ciò che riguarda la curva caratteristica del circuito, semplicemente cambierà il numero di Re per
fluidi più viscosi, sarà minore, per cui il coefficiente di attrito della tubazione sarà maggiore e la
prevalenza dinamica avrà una pendenza più ripida, mentre ovviamente la prevalenza statica rimarrà
uguale al caso di trasporto di acqua o liquidi simili all’acqua.

Un altro caso di cui è opportuno trattare in questo corso è il trasporto di liquidi in presenza di gas non
disciolti (la loro presenza può essere dovuta al particolare processo produttivo o semplicemente
all’inglobamento di gas atmosferico da flange o zone non ermetiche al passaggio del fluido). Non esiste
un metodo per il tracciamento delle nuove curve caratteristiche, ma vi sono diverse indicazioni utili
sia sull’impatto di determinate quantità di gas non disciolti sulle curve, sia sul come limitare possibili
danni all’impianto (Figura 52 riporta alcuni utili esempi riguardo l’influenza di gas atmosferico
trasportato in un liquido trasportato da una pompa centrifuga monocanale).

Figura 52. Influenza di gas non disciolti sulle curve caratteristiche della macchina (girante a 3 canali
aperta, la % indica il quantitativo volumetrico di gas presente, qL, non disciolto).

Il fenomeno di disturbo al flusso dovuto dalla presenza di sacche di questi gas sarà ancora più
accentuato nel caso di bassi giri di rotazione e nel caso di giranti di piccola dimensione. Per limitare
questo fenomeno è possibile montare una cassa d’aria o comunque un polmoncino a membrana
sull’aspirazione per degassare il fluido prima che entri nella macchina, prediligere pompe
autoadescanti, giranti a vortice, o comunque montare un inducer a monte della girante e utilizzare
giranti aperte con basso numero di pale. Nei casi in cui la percentuale superi il 10% è opportuno
utilizzare pompe a canale laterale autoadescanti o ad anello liquido. Le pompe ad anello liquido in
particolare sono dotate di girante a forma di stella, senza contro-disco, che ruota eccentricamente
dentro la camera della pompa (Figura 53).

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55

Figura 53. Esempio pompa centrifuga ad anello di liquido.

La rotazione fa addensare nella zona periferica della camera il liquido da trasportare che forma un
anello di liquido sulla corona esterna schiacciando tutto il gas non disciolto verso la zona centrale, una
volta che il liquido avrà riempito i trafilamenti e lo spazio fra le pale. Questo genera una depressione
al centro con il richiamo di altro liquido e di fatto permette l’innesco della macchina. Il liquido da
trasportare deve essere immiscibile con quello di tenuta, con cui andrà ovviamente in contatto, e
naturalmente a densità minore di quest’ultimo.

Nel caso di trasporto di solidi sospesi invece la curva caratteristica che risentirà maggiormente della
presenza dei corpi solidi sarà quella della prevalenza (si avrà una variazione negativa o positiva pari a
H), soprattutto perché la densità del bifasico trasportato non sarà costante ed è per questo che invece
di tracciare curve H; portata si tracciano curve P; portata. Si userà quindi una densità media
ponderata sulla massa di liquido e di solido, qm [kg/m3] in base a una concentrazione detta di trasporto,
cT (pedice s indica solido e f indica fluido):

𝑉𝑠̇
𝑐𝑇 = (26)
𝑉𝑠̇ + 𝑉𝑓̇

𝜌𝑚 = 𝑐𝑇 𝜌𝑠 + (1 − 𝑐𝑇 )𝜌𝑓 (27)

∆𝑃 = 𝜌𝑚 𝑔(𝐻 − ∆𝐻) (28)


3
𝐻𝑐𝑇 3 11.83 𝜌𝑠
∆𝐻 = √𝑅𝑒𝑠 ( ) ( − 1) (29)
Ψ 𝑛𝑠,𝑎𝑑𝑖𝑚 𝜌𝑓

𝑤𝑠0 (1 − 𝑐𝑇 )5 𝑑𝑐
𝑅𝑒𝑠 = (30)
𝜐

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56

𝑑𝑐 4𝑔(𝜌𝑠 − 𝜌𝑓 )
𝑤𝑠0 = √ (31)
3𝑐𝐷 𝜌𝑓

Dove cD [m/s] è il coefficiente di drag funzione di Reynolds e della sfericità del materiale solido, dc [m]
è il diametro caratteristico del materiale solido e  è il numero adimensionale di pressione (head
coefficient) della pompa (funzione della prevalenza, della velocità di rotazione della girante e del
diametro di uscita del fluido dalla girante, variabile nell’intervallo 0.3-0.7). Usualmente, la presenza di
corpi solidi sospesi causa una riduzione della prevalenza fornita al fluido e un aumento della potenza
assorbita, ma in determinati casi, per esempio casi in cui si trasportino materiali fini, si sono osservati
degli aumenti di prevalenza. Per ridurre le variazioni alle curve caratteristiche a causa della presenza
di solidi è possibile in parte di ridurre il numero di giri di rotazione della girante, ma ciò potrebbe poi
causare una riduzione della sezione di passaggio al fluido a causa del deposito dei solidi e un
conseguente incremento delle perdite di carico con un aumento di ripidità nella prevalenza dinamica
della curva del circuito (Figura 54).

Figura 54. Esempio di influenza sulle curve caratteristiche della presenza di solidi nel flusso.

In Figura 54 è possibile osservare come è necessario non far incrementare troppo la pendenza della
curva del circuito, poiché si potrebbe andare verso il fermo macchina per evitare danni all’impianto
quando la curva del circuito dovesse essere superiore a quella della macchina (non si avrebbe cioè
intersezione fra le due curve). Per questo motivo durante l’esercizio e al variare della presenza dei
solidi sospesi i dovrà regolare l’impianto, evitando ovviamente regolazioni con valvole di
strozzamento (i solidi potrebbero causare un eccessivo logorio della valvola) e prediligendo quasi
esclusivamente l’impiego di motori elettrici dotati di inverter o comunque motori a velocità di
rotazione variabile.

Infine, nel caso di trasporto di soluzioni con solidi a fibra lunga non sarà possibile utilizzare le classiche
giranti a elica, in quanto le fibre potrebbero rimanere legate alla girante, causando riduzioni di

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57

prevalenza e aumenti della potenza assorbita fino al fermo macchina dovuto a sovraccarichi al motore.
In questi casi, in fase di progettazione, è necessario piegare verso l’interno lo spigolo delle pale.

2.6 Pompe volumetriche alternative


Le macchine volumetriche alternative sono dotate di un organo in movimento che, alternativamente,
aumenta e riduce il volume posto a disposizione del fluido di processo. Sono macchine particolarmente
adatte per fluidi molto viscosi e a elevata densità, mentre si preferisce evitarne l’impiego per fluidi con
solidi sospesi abrasivi, in quanto porterebbero a usura repentina le guarnizioni delle valvole di
aspirazione e mandata, ma soprattutto quelle di tenuta fra cilindro e pistone, che sono usualmente la
causa del 90% dei malfunzionamenti di questa tipologia di macchina (proprio perché soggette a
maggiore usura). Esistono comunque pompe a pistone multistadio utilizzate per il trasporto fanghi,
dotate però di valvole particolarmente performanti e durevoli. Queste macchine forniscono al fluido
elevate prevalenze, anche oltre i 1000 m di colonna d’acqua, ma non posso erogare portate superiori
usualmente a 80 m3/h. Le alternative più utilizzate sono quelle a stantuffo (o pistone) a disco (Figura
55), a stantuffo tuffante, a membrana e a cuscinetto d’olio. In generale devono essere adescate oltre i
7-8 m sopra battente.

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58

Figura 55. Pompa a Stantuffo Tuffante e con Pistone a Disco (in basso a singolo e doppio effetto, si
veda il seguito).

Questa tipologia di pompa non fa altro che trasferire il fluido, che come già detto si comporta come un
corpo praticamente incomprimibile, da una zona a minore pressione verso una zona a maggiore
pressione, per cui la variazione di pressione che subisce il fluido è data dalla differenza di pressione in
mandata meno quella in aspirazione (al netto delle perdite di carico). Il movimento del pistone è
alternato e garantito dalla rotazione della manovella che attraverso la biella fa movimentare il pistone
dal punto morto inferiore al punto morto superiore grazie al corsoio, cioè l’elemento che guida il
movimento della biella (elemento C in Figura 56).

Figura 56. Particolare del meccanismo biella-manovella (a indica la manovella e b la biella).

Durante la corsa dal punto morto superiore (a sinistra rispetto al pistone) a quello inferiore la valvola
di mandata resterà chiusa per la depressione in camera, mentre quella di aspirazione si aprirà per
richiamare il fluido. Il contrario accadrà nel verso opposto. Le valvole di aspirazione e mandata sono
per questo motivo valvole automatiche, senza servomeccanismo, ma sono anche gli elementi più
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59

delicati della macchina. In generale, pompe a pistone a disco si usano per fluidi molto viscosi ma
limpidi, senza particelle solide sospese (per evitare la rapida usura degli elementi di tenuta,
principalmente gli anelli di tenuta attorno al pistone), per cui è preferibile usare pompe a stantuffo
tuffante in cui la tenuta con la camera è garantita da elementi esterni al pistone, quindi montati sulla
parte statorica, più semplici da registrare e soprattutto da sostituire. Per questo motivo, per pressioni
di mandata oltre gli 80 bar e per liquidi non limpidi si predilige l’impiego di macchine a pistoni tuffanti.
Proprio perché si raggiungono pressione di mandata così elevate, è necessario montare sulla mandata
delle valvole di sicurezza per evitare danni alla stessa macchina e alle apparecchiature a valle di questa.
A seconda della tipologia di fluido trattato, oltre che un diverso organo in movimento sarà necessario
scegliere in modo opportuno le valvole di aspirazione e mandata. Figura 57 riporta alcuni esempi utili
per la scelta più corretta.

Figura 57. Alcune tipologie di valvole da montare su macchine alternative a pistoni.

Come si evince dalla Figura 57 le valvole da montare in aspirazione e mandata sono entrambe di non
ritorno. Queste macchine sono sicuramente più complesse, più costose e di più difficile manutenzione
rispetto a quelle a flusso continuo, ma per determinate applicazioni, come già ricordato, risultano quasi
fondamentali. Il principale vantaggio è l’elevato rendimento, sia idraulico (dell’ordine di 0.8-0.9,
dipendente in maniera inversamente proporzionale alla P generata), che meccanico (anche 0.9-0.95)
e soprattutto volumetrico (0.95-0.98). Un altro svantaggio risulta essere sicuramente la portata
erogata non continua, ma dipendente dalla legge di apertura e chiusura delle valvole, dalla dinamica
del manovellismo (si preferisce lavorare a basso numero di giri, 30-300 rpm (con velocità del pistone
da 1-2 m/s per medie prevalenze fino a 5 m/s per altissime prevalenze, ma ciò dipende fortemente
dalla tipologia di fluido trattato) il classico intervallo per ridurre le forze inerziali dovute alle masse in
gioco, se la portata necessaria è più elevata bisognerà o aumentare il numero di effetti, o incrementare
il volume della camera o comunque aumentare n, ma ciò comporta un aumento dello spessore del

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cilindro e in generale un aumento di massa della macchina). Per ridurre i possibili problemi dovuti alla
periodicità dell’erogazione della portata è possibile in primis aumentare il numero degli effetti, usare
più pistoni o montare un accumulatore pneumatico sulla mandata (in generale si usa impiegare
accumulatori o anche casse d’aria, sia in aspirazione per ridurre possibili cavitazioni e in mandata per
ridurre le oscillazioni di portata). Per pompe di piccola dimensione si usano degli accumulatori a
membrana, montati direttamente sulla mandata della pompa (Figura 58) che agiscono da
ammortizzare delle pulsazioni dovute alla periodicità della portata.

Figura 58. Particolare dell’accumulatore pneumatico e cassa d’aria.

La classica curva relativa alla velocità istantanea del pistone, proporzionale alla portata, da periodica
discontinua (curva in rosso) può diventare periodica continua (curva in blu). La camera
dell’accumulatore contiene del gas, separato attraverso una membrana per evitare contaminazioni al
fluido di processo, che si comprime nel momento in cui il liquido viene erogato alla massima portata,
per poi espandersi durante la fase di aspirazione, quindi di portata nulla, generando una pressione e

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positiva e quindi una spinta al fluido che verrà quindi comunque erogato in mandata, nonostante il
pistone si trovi a percorrere la propria corsa in senso contrario (cioè verso il punto morto inferiore,
essendo ora in fase di aspirazione). Questo riduce possibili problemi a vale dovuti a una portata
erogata in maniera discontinua, anche se per avere delle oscillazioni ancora minore è necessario
impiegare macchine a più effetti oltre agli accumulatori pneumatici. Per impianti e macchine di
maggiore dimensione si montano invece delle casse d’aria, il cui principio di funzionamento è
esattamente lo stesso, cambia la rigidezza e la dimensione dell’apparecchiatura. Il volume della cassa
è funzione del volume fluttuante, V [m3], del gas nella cassa (e quindi anche nel pre-polmone),
considerando la compressione e successiva espansione del gas come una trasformazione isoterma è
possibile scrivere:

∆𝑉 = 𝐾𝐶𝐼 (32)

dove K è una costante dipendente dal numero degli effetti (è pari a 0.55 nel caso di singolo effetto e si
riduce a 0.21 per doppio effetto) e CI [m3] è la cilindrata, cioè il volume spazzato dal pistone durante la
propria corsa, quindi nel caso di sezione circolare pari a 0.25a2c, con a [m] e c [m] pari all’alesaggio
(diametro interno del cilindro entro cui si muove il pistone) e alla corsa del pistone. La dimensione
della cassa (calcolo approssimato) sarà pari a:

𝑉𝑐𝑎𝑠𝑠𝑎 = 1.5 ÷ 2𝑉𝑚𝑎𝑥 (33)


∆𝑉
𝑉𝑚𝑎𝑥 = (34)
𝑖𝑚𝑖𝑛
𝑃𝑚𝑎𝑥 − 𝑃𝑚𝑖𝑛
𝑖= (35)
𝑃𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎

dove i, indice di irregolarità, è funzione della differenza di pressione in cassa e della pressione media
e in generale si prende il valore inferiore dell’intervallo calcolato. Nel caso in cui si ponga la cassa in
aspirazione i deve stare nell’intervallo 0.08-0.2, mentre in mandata 0.01-0.1. Si incrementa poi il
volume così calcolato di un fattore di sicurezza pari a 1.5-2 volte. La velocità di corsa del pistone
influenza non solo la portata erogata ma proprio la vita utile delle guarnizioni, valvole e in generale
della macchina. In Figura 59 si riportano alcune linee guida sulla scelta della velocità di corsa del
pistone per diversi fluidi.

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Figura 59. Valori della velocità di corsa del pistone per diversi fluidi.

Nel caso di manovellismo ideale (lunghezza della biella infinta) è possibile esprimere la velocità
istantanea, vi [m/s] della corsa del pistone come (per i simboli vedere Figura 55, mentre c è la corsa
del pistone e  [rad/s] la velocità di rotazione della manovella):

𝑣𝑖 = 𝜔𝑟𝑠𝑖𝑛(𝜔𝑡) = 0.5𝜔𝑐𝑠𝑖𝑛𝛼 (36)

Per cui sarà appunto periodica, se invece si va ad aumentare il numero degli effetti quel che si ottiene
è una riduzione delle oscillazioni di velocità istantanea, con una riduzione della velocità massima
rispetto a quella media, secondo una serie del tipo vmax/vmedia=/n° effetti (Figura 60).

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Figura 60. Legge della velocità a diverso numero di effetti, 1, 2 e 3 (una macchina a doppio e triplo
effetto è riportata nella figura in basso).

In questo modo anche durante la fase di aspirazione vi sarà erogazione di portata, all’aumentare del
numero degli effetti l’oscillazione di velocità e quindi di portata sarà sempre minore, fino a scomparire
nel caso di accoppiamento con accumulatore pneumatico o cassa d’aria. La portata erogata dalla
macchina sarà data da:

𝑉̇ = 𝑛𝑧𝐶𝐼 𝜂𝑣 (37)

con z numero degli effetti. Il numero degli effetti può comunque arrivare al massimo a 9, così come
difficilmente si superano i 5-7 pistoni. Un altro parametro fondamentale, che influenza la velocità della
pompa e quindi la portata erogata è il rapporto fra corsa e alesaggio del pistone, usualmente
nell’intervallo 0.8-3, ma in alcuni casi estendibile fino a 0.8-5. Fissato questo rapporto e la dimensione
del pistone si ricava la corsa del pistone. Risulta sempre opportuno montare una cassa o un
accumulatore anche in aspirazione, in quanto durante le oscillazioni di velocità si possono generare
forti depressioni che potrebbero portare la pressione in aspirazione al di sotto della tensione di vapore
del liquido causando l’innesco della cavitazione. Inoltre le oscillazioni che si propagano dalla macchina
verso valle potrebbero portare al fenomeno di risonanza con una immediata riduzione del rendimento
della macchina e possibili danni all’impianto. Le curve caratteristiche delle macchina alternative sono
molto diverse da quelle delle turbopompe, proprio perché in questo caso la prevalenza non è,
teoricamente, influenzata dalla portata erogata (Figura 61).

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Figura 61. Curva caratteristica tipica di macchine alternative, al variare del numero di giri (nel caso
ideale la curva sarebbe una retta ortogonale all’asse delle ascisse).

Un commento molto importante alla curva caratteristica di queste pompe riguarda la incapacità di
queste pompe di auto-regolarsi, in particolare la macchina continuerà a funzionare
indipendentemente dalla pressione a valle, che oltre un certo valore porterà alla diretta rottura della
camera della pompa alternativa. Per questo motivo, è obbligatorio montare valvole di sicurezza fra la
macchina e il primo punto di isolamento del circuito idraulico, proprio per garantire la possibilità di
ridurre la pressione in questi casi di incremento repentino e continuo della pressione di mandata (per
malfunzionamento di macchine a valle ecc.) Il controllo delle pompe alternative avviene mediante by-
pass (Figura 62) o montando motori con inverter, per variare la velocità di corsa del pistone.

Figura 62. By-pass per controllare la portata erogata da una pompa alternativa.

In generale con queste macchine si accoppiano motori elettrici a doppia velocità, una per fluidi limpidi
poco densi e poco viscosi e l’altra per fanghi o paste viscose. Sono inoltre dotate di invertitore di flusso
per far diventare la mandata aspirazione e viceversa, utile soprattutto nel caso di fluidi con particelle
solide. Per evitare poi che il pistone schiacci eventuali particelle solide è necessario aumentare la corsa
del pistone e ridurre la velocità, così da garantire sufficiente spazio al fine corsa del pistone (ciò

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65

aumenterà dimensione della macchina e quindi i costi di investimento). Un’altra parte di più fine
progettazione, oltre la zona del pistone e camera, è rappresentata ovviamente dalle valvola e dalla loro
scatola, da progettare in modo da ridurre al minimo perdite idrauliche, riducendo Re e distacchi della
vena fluida. Esistono anche alcune indicazioni per la velocità di fuoriuscita del fluido dalle valvole, per
ridurre possibili danni alla loro meccanica (Figura 63).

Figura 63. Valori tipici della valve spill velocity.

Altri elementi costruttivi e relativi alla meccanica di funzionamento di queste macchine verranno
trattati nel capitolo relativo ai compressori alternativi, macchine molto simili alle pompe alternative
per quanto riguarda meccanica di funzionamento ed elementi costruttivi. Si vuole solo richiamare il
dimensionamento di massima delle valvole di aspirazione e mandata, di interesse anche dell’ingegnere
di processo in quanto dipendente dalla portata e quindi dal processo.

In maniera conservativa si assume che la portata di passaggio attraverso la valvola sia pari a 4 volte
quella teorica, per cui l’area di passaggio del fluido Av [m2], da cui si ricava il diametro della valvola,
sarà pari a:

4𝑉̇
𝐴𝑣 = (38)
𝑣𝑛𝑣

dove nv è il numero di valvole e v [m/s] la velocità assunta dal fluido.

Prima di passare alle pompe a membrana, di largo utilizzo in diversi settori dell’industria di processo
(biotecnologico-alimentare e come pompe da vuoto), è utile riportare alcune informazioni sui
materiali delle parti principali di queste pompe. In generale, queste pompe vengono costruite in
acciaio, ghisa o bronzo, nel caso di trasporto fluidi corrosivi come anche l’acqua di mare. Il cilindro è
usualmente in ghisa per medio-basse prevalenze (<500 m) o in acciaio nel caso delle alte prevalenze.
Gli anelli di tenuta degli stantuffi a disco sono usualmente in cuoio o in ghisa e in casi particolari in
polimero, in numero di 2/3 anelli, mentre nel caso di stantuffi tuffante (detto anche a fodero) vengono
costruiti sempre in acciaio e non hanno anelli o fasce di tenuta. L’asta dello stantuffo è sempre in
acciaio o bronzo, mentre le valvole di aspirazione e mandata automatiche sono praticamente sempre
in bronzo (per piccole pompe possono essere di ghisa). Per evitare trafilamento attraverso il foro di
passaggio della biella, quindi dell’asta del pistone, si usano premistoppa con guarnizioni flessibili come
le tenute a baderne (cioè con intrecci di fili o di teflon) ricavati nella parte finale del cilindro. Sempre
per ridurre i trafilamenti e garantire la tenuta dell’asta e ridurre anche possibili deformazioni, si usano
anelli di canapa sevata nella cavità anulare che circonda l’asta, che vengono compressi dal collare
mobile dell’asta, avvitando in modo serrato (ma non troppo per evitare forti riscaldamenti dell’asta) i

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66

bulloni che lo collegano al pistone. Per le pompe più costose, per elevate prevalenze, si utilizzano
premistoppa metallici.

Le pompe alternative a membrana (o a diaframma) sono molto versatili, molto utilizzate in campo
farmaceutico, nell’industria tessile, per il trasporto anche di polveri, nel campo biotecnologico
alimentare e nel trattamento reflui, oltre che come pompe da vuoto. La prima particolarità di queste
pompe è che possono usarsi in quelle applicazioni in cui è necessario che vi siano perdite nulle
(soluzioni colloidali di metalli nobili per l’industria dei catalizzatori, farmaceutica, alimentare ecc.) in
quanto non sono presenti elementi di tenuta o giunti. Sono macchine usualmente usate come pompe
dosatrici, con portate massime di 50-60 m3/h nel caso delle pompe più grandi per applicazioni
particolari a doppio effetto (Figura 64) e prevalenze dell’ordine dei 50 bar (500 m). Il principio di
funzionamento è basato sulla flessibilità della membrana, la forza motrice può essere di tipo
meccanica, idraulica o ancora esistono le pompe a diaframma ad aria compressa (azionamento
pneumatico, alternativamente introducendo e rilasciando aria compressa in una camera opposta a
quella di pompaggio). La pressione di mandata massima dipende ovviamente dalla resistenza massima
del diaframma.

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67

Figura 64. Principio di funzionamento di pompe a diaframma e alcune foto di pompe a diaframma
quella da vuoto è l’ultima bianca).

Le prime due sono le più utilizzate, quelle ad aria compressa vengono usualmente impiegate per il
trasporto delle polveri e fanghi con particelle abrasive (Figura 65).

Figura 65. Pompa a diaframma ad aria compressa.

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Alcuni particolari di queste pompe sono riportati in Figura 66.

Figura 66. Particolari costruttivi di pompe a diaframma ad azionamento pneumatico.

Le membrane possono essere di diversi materiali, alluminio, acciaio, PVDF/ECTFE e altre polimeriche,
sono adatte anche a movimentare materiali esplosivi sotto ATEX, sono autoadescanti a secco,
funzionano anche a secco, permettono una regolazione molto fine sia della portata erogata che della
prevalenza e in generale sono semplici da smontare e manutentare.

Come pompe da vuoto sono molto impiegate in diverse applicazioni, in quanto permettono di ottenere
fino a 0.5 mbar, ma in generale il range è 999 mbar-10 mbar assoluti. Non essendoci scorrimento fra
organi, quindi zero attriti e zero perdite senza impiego di oli lubrificanti, risultano essere un’ottima
macchina per il vuoto.

2.7 Pompe volumetriche rotative


Le pompe volumetriche rotative sono macchine adatte a qualsiasi fluido, in quanto includono una vasta
gamma di rotori e di statori, costruiti in materiali ceramici, metallici o polimerici. Si va da portate di
pochi metri cubi ora fino a centinaia di metri cubi ora con prevalenze anche di 100 bar. Sono
sicuramente più costose delle macchine a flusso continuo ma offrono numerosi vantaggi. Il principio
di funzionamento è molto semplice, in quanto durante la rotazione del/degli organi in movimento si
varia il volume della camera dove passa il fluido, generando inizialmente una depressione e
successivamente si espelle il fluido, a una pressione superiore a quella di aspirazione. Figura 67 mostra
alcune tipologie di pompe rotative.

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Figura 67. Pompe volumetriche rotative: a ingranaggi (a), a lobi (b), a palette deformabili (c), a
capsulismi (d), a vite (e) e a rotore ellittico (f).

Le pompe rotative non presentano valvole (all’infuori di quelle di sicurezza), la tenuta fra carcassa e
albero è garantita da un semplice premistoppa, per cui anche la manutenzione (all’infuori di quella di
alcune tipologie di rotori) è poco onerosa; sono inoltre pompe autoadescanti in certi casi anche oltre i
9 m sopra battente). La prevalenza è funzione dei giochi costruttivi fra rotore e statore, che a loro volta
dipendono dalla viscosità e tipologia di fluido processato e dalle tolleranze meccaniche. Nel caso di
fluidi poco viscosi si riducono tali giochi per aumentare il rendimento volumetrico (che in generale
varia da 0.8 fino a 0.95 per fluidi più viscosi).

Le pompe a ingranaggi sono fra le rotative più utilizzate nell’industria petrolchimica e in generale in
quella di processo. Il principio di funzionamento è molto semplice: il fluido viene richiamato dalla
depressione generata a seguito della rotazione dell’ingranaggio motore (il secondo, quello condotto, si
muove di conseguenza) e percorre circonferenzialmente lo spazio vuoto fra i denti degli ingranaggi
per essere poi spinto in mandata, lungo la periferia grazie alla continua rotazione e variazione dei
volumi vuoti in camera (Figura 68).

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70

Figura 68. Pompa a ingranaggi (gear pump) interni ed esterni (sotto).

Per non ridurre troppo il rendimento volumetrico è necessario ridurre i giochi rotore/statore, per cui
queste pompe vengono per lo più impiegate per trasportare liquidi viscosi, densi ma limpidi e
lubrificanti. Sono quindi molto adatte per il trasporto degli idrocarburi, oli, soluzioni acide o basiche
limpide, resine e colle, bitumi e in generale liquidi dell’industria alimentare (cioccolato fuso, grassi
vegetali e animali, ecc.). Le pompe a ingranaggi esterni consistono in un ingranaggio motore interno a
quello condotto esterno e un setto a mezza luna che separi i due rotori. In questo caso i giochi possono
essere più elevati a parità di rendimento volumetrico. Queste pompe sono molto adatte a movimentare
fluidi con elevate concentrazioni di gas disciolti e hanno un’ottima capacità autoadescante. Le pompe
a ingranaggi esterni arrivano a erogare anche 300 metri cubi ora di portata, con pressioni di mandata
fino a 35 bar considerando fluidi fino a oltre 200 Pas di viscosità dinamica. Quelle a ingranaggi interni
erogano invece portate massime pari a 240-250 metri cubi ora e minori pressioni di mandata (15-16
bar) a parità di viscosità in confronto con quelle a ingranaggi esterni. La curva caratteristica di questa
tipologia di pompe e delle altre rotative, è molto simile a quella delle alternative (Figura 69).

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71

Figura 69. Confronto curva caratteristica macchina rotativa e centrifuga.

La portata erogata è funzione del rendimento volumetrico, del volume efficace della camera e del
numero di giri del rotore. Teoricamente quindi anche queste pompe erogano portate indipendenti
dalla prevalenza, ma in realtà questa decresce parzialmente all’aumentare della prevalenza.

Le pompe a lobi (pompe Roots con lobi arcuati) costituiscono una modifica delle pompe a ingranaggi,
il rotore è costituito da una coppia di elementi che ruotano muniti di 2 o più lobi (per ridurre
l’oscillazione della portata erogata, Figura 70) posti in rotazione da un sistema di ingranaggi esterno
alla camera.

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72

Figura 70. Pompe a lobi (in basso a destra particolare di un rotore trituratore).

Queste pompe vengono utilizzate molto nell’industria biotecnologica e alimentare in quanto sono a
zero leakage con impossibilità da parte del fluido trasportato di depositarsi negli interstizi della
camera, usualmente in acciaio inox, con i rotori a volte coperti da nylon o neoprene per ridurre i giochi
e aumentare le prevalenze fornite. Quelle a rotore trituratore vengono utilizzate principalmente in
impianti per la produzione di bio-gas a monte del digestore anaerobico. Senza variare la geometria,
variando quindi solo le potenze in gioco, si passa dalle pompe Roots ai compressori rotativi Roots.
Queste pompe erogano portate fino a circa 200 metri cubi ora e pressioni di mandata di 15-16 bar.

Le pompe a pale scorrevoli e palette deformabili (Figura 70 a sinistra e al centro, rispettivamente).

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73

Figura 71. Pompe a pale scorrevoli e deformabili.

Il rotore risulta eccentrico rispetto allo statore e durante la rotazione delle palette variano i volumi dei
vani fra parte rotorica e statorica. Nel caso pale deformabili il materiale è polimerico deformabile. Le
seconde sono utilizzate per fluidi meno viscosi o aggressivi, rispetto al caso di pale scorrevoli rigide.
Come per le altre pompe rotative vi è usualmente un solo elemento di tenuta rotante. Queste pompe
vengono spesso usate per il trasporto di combustibili liquidi leggeri (gasolio e kerosene). Queste
pompe erogano portate massime di circa 200 metri cubi ora con pressioni di mandata dell’ordine dei
7-8 bar.

Le pompe a vite elicoidale (screw pump) sono molto utilizzate nell’industria petrolchimica e nel settore
navale e nautico. Sono le uniche pompe rotative in cui la direzione del flusso è assiale rispetto al rotore.
Questo implica che possono essere utilizzate in quei casi particolari in cui è necessario evitare urti
eccessivi al fluido, soprattutto nel caso di trasporto di soluzioni viscose con particelle sospese di una
dimensione precisa (sono infatti utilizzate per il calcestruzzo (Figura 72 per alcuni esempi a singola o
multipla vite).

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74

Figura 72. Pompe a vite.

Grazie alla minore massa ma soprattutto inerzia, a parità di dimensione, di questi elementi rotorici
rispetto a quelli già trattati in precedenza, si possono raggiungere velocità di rotazione molto più
elevate, con conseguenti portate massime erogabili anche dell’ordine dei 1800 metri cubi ora, con
pressioni di mandata fino a 350 bar. Sono pompe che emettono minore rumore, vibrazioni e
garantiscono una portata erogata costante nel tempo, di semplice manutenzione e progettazione. I
principali svantaggi sono l’elevato costo di acquisto, la necessità di incrementare molto la lunghezza
nel caso di alte prevalenze e la presenza di 4 elementi di tenuta nel caso di vite multipla. La portata
teorica è calcolata come per le altre pompe volumetriche, ma a causa della presenza di volumi morti è
ovviamente diversa rispetto a quella reale, che dipende invece anche da questi termini volumetrici
(vedere Figura 73 per i termini dell’equazione):

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𝑉̇ = 𝑛𝑘1 𝑝𝑖𝑡𝑐ℎ𝐷2 − 𝑆 (39)

Figura 73. Particolare del passo della vite motrice e del relativo diametro.

Dove S [m3/s] è lo slip, cioè la portata persa nei volumi morti (dipendente da D2) e k1 è una costante
empirica. In generale le monovite si usano per ridurre al minimo l’agitazione e l’aerazione dei fluidi di
processo e nel caso di trasporto di fluidi tixotropici. Nel caso di vite eccentrica la formula cambia come
segue:

𝑉̇ = 𝑛8𝑝𝑖𝑡𝑐ℎ𝐷𝑒 − 𝑆 (40)

con e [m] il valore dell’eccentricità.

La regolazione delle pompe rotative avviene attraverso by-pass o con motori dotati di inverter. Non si
regolano strozzando la mandata per evitare danni all’asse rotante.

Altre pompe rotative, di importanza per l’industria chimica ma usualmente denominate pompe
speciali sono quelle peristaltiche, il cui principio di funzionamento è basato sullo schiacciamento
mediante la parte rotorica (rulli compressori) di un tubo flessibile avvolto nella parte statorica (Figura
74).

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76

Figura 74. Pompe peristaltiche.

Lo schiacciamento lungo tutta la lunghezza del tubo provoca la formazione di zone depresse e zone
compresse, richiamando continuamente fluido verso la mandata. Queste macchine sono molto costose,
impiegate come pompe dosatrici e per il trasporto del sangue, principi attivi e materiali termosensibili,
possono funzionare a secco, sono autoadescanti e in generale il fluido di processo non entra mai in
contatto con la camera o elementi rotorici e statorici. Si può usare anche per fluidi viscosi e per fluidi
con corpi sospesi. La manutenzione riguarda principalmente la tubazione. Queste pompe sono le più
costose fra le rotative (pompe di questo tipo da 60 metri cubi ora, quindi di medie dimensioni, possono
costare oltre i 30000 euro, rispetto alle flusso continuo di uguale capacità, ma rispetto a questa portata
di piccola dimensione, che costano intorno ai 3-4000 euro).

2.8 Cenni sull’installazione, collaudo, avviamento e manutenzione


Qualsiasi macchina prima di poter essere messa in commercio viene collaudata dal costruttore
secondo la normativa vigente nel Paese di Origine. In generale il collaudo prevede dei test per vedere
le performance nel punto di massimo rendimento della curva, dei test relativi alla tenuta (sottovuoto
e a pressione), al numero di avviamenti ecc. Nel caso di grandi macchine, che per esempio vengono
montate direttamente in sito, il collaudo viene fatto in loco. Se la macchina deve sostare oltre 6 mesi
in un magazzino prima dell’utilizzo, è necessario utilizzare degli inibitori di corrosione sulle parti
metalliche presenti. Si considerino per esempio pompe centrifughe di piccola e media dimensione
(motori non oltre i 10 kW). Ogni pompa (ogni macchina in generale) è dotata della propria targhetta
identificativa (Figura 75).

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77

Figura 75. Esempio di targhetta identificativa di turbopompa radiale non autoadescante (ditta
Grundfos).

La designazione del modello (punto 1) cambia a seconda che la pompa sia stata progettata secondo la
EN733 o la ISO2858, ma in generale la prima sigla indica se è o meno autoadescante (NB non
autoadescante), i primi numeri indicano diametro nominale della bocca di aspirazione/mandata e
della girante (tutto in mm), le lettere successive invece indicano la presenza o meno di motore, se
sovradimensionato, se con approvazione ATEX, con basamento o blocchi di supporto, la tipologia
dell’attacco per le tubazioni, le pressioni di esercizio per flangia, i materiali del corpo pompa e della
girante, gli O-ring e quindi le parti in gomma e la tipologia di tenuta.

Prima di installare, collaudare e avviare la pompa è necessario poi informarsi riguardo l’altitudine di
installazione, le temperature e l’umidità dell’aria. In generale, all’aumentare della quota sul livello del
mare sarà opportuno far funzionare il motore a una potenza inferiore rispetto alla massima nominale,
in quanto essendo l’aria a minore densità anche la sua capacità di raffreddare il motore sarà minore
(già per piccoli motori, si pensi a 1-1.2 kW, se si installa una pompa a 2000 m s. l. m. con una
temperatura dell’aria vicina al motore di circa 60 °C la potenza massima dovrà essere di circa il 90%
rispetto alla massima nominale). In generale, ogni macchina avrà il proprio manuale di installazione,
per cui in questa sede è possibile dare solo alcune indicazioni di carattere generale.

Se si considera una elettropompa, a seconda delle dimensioni, questa dovrà essere o meno ancorata a
un basamento, a sua volta posizionato e ancorato a una fondazione in calcestruzzo (si veda esempio di
Figura 76).

Figura 76. Esempio di basamento per gruppo elettropompa (pompetravaini s.p.a.).

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78

Nel caso in cui motore e pompa non vengano montati sullo stesso basamento e non siano già un corpo
unico è necessario montare prima la pompa, controllare con le livelle l’orizzontalità (in caso di pompa
ad asse orizzontale) delle bocche/flange e dell’albero e poi si monta il motore allineando l’albero
motore con quello della pompa (il giunto così come il coprigiunto dovranno essere verificati, il primo
principalmente in base alla potenza nominale del motore e al massimo numero di giri). In entrambi i
casi, il basamento può essere o meno riempito di cemento a seconda della tipologia di motore
(usualmente per motori oltre i 45 kW a 2 poli si riempie con cemento).

Una volta montato il gruppo elettropompa si passa al montaggio delle tubazioni, che è opportuno che
siano sempre sostenute da telai esterni al basamento in quanto non devono scaricare sulla macchina
forze o momenti per evitare sovraccarichi alle flange o semplicemente ai bulloni di serraggio. Ogni
flangia deve poi avere la propria guarnizione, da inserire prima del serraggio dei bulloni (o comunque
del fissaggio). Risulta sempre opportuno montare valvole di intercettazione sia in mandata che in
aspirazione, per evitare nel caso di manutenzione, di dover svuotare l’impianto. La tubazione di
aspirazione dovrà avere pendenza ascendente nel caso di funzionamento sopra battente e discendente
nel caso opposto, questo per ridurre la possibilità di formazione di sacche d’aria che potrebbero
disinnescare la pompa. La valvola di intercettazione sulla aspirazione (da non usare mai come valvola
di regolazione) si monta usualmente a una distanza pari a 10 DN della tubazione dalla flangia di
aspirazione della macchina. Come già detto in precedenza è opportuno utilizzare poi valvola di fondo
di non ritorno e un altro non ritorno sulla mandata. Nella zona di mandata dovrà quindi esserci, in
serie, valvola di ritegno, valvola di intercettazione, manometro e valvola di sfiato (per consentire il
riempimento delle tubazioni e avviare la macchina). Mentre sull’aspirazione si monta di solito un
manovuotometro. Per motori fino a 90 kW poi il sistema di smorzamento delle vibrazioni e del rumore
non è usualmente obbligatorio anche se consigliato (vedere Direttiva Macchine per aggiornamenti).
Altro elemento che usualmente si monta sia sulla mandata che sull’aspirazione sono i giunti a
espansione (a una distanza di 1-1.5 DN dalle flange), sia per motivi di vibrazioni e rumore sia
soprattutto per assorbire eventuali dilatazioni e contrazioni dovute alla variazione di temperatura del
fluido di processo o a eventuali colpi d’ariete. Un altro elemento importante da montare in mandata,
prima della valvola di regolazione è una valvola di minima portata, che garantisca un ritorno nel
circuito di aspirazione di una portata superiore a quella minima per evitare carichi parziali quasi nulli
al motore, che andrebbe incontro a un riscaldamento eccessivo (il carico parziale si ha quando il
motore eroga potenza ma senza che la macchina trasporti quella portata di fluido per cui la potenza
viene erogata). Oltre a tale valvola si può mettere un by-pass fra mandata (prima della valvola di
regolazione e dopo il non ritorno, e l’aspirazione. Dopo la pulizia delle tubazioni e la posa in opera si
passa alle prove di tenuta, da fare secondo normativa sia in pressione che sottovuoto. Prima
dell’avviamento sarà necessario occuparsi dei collegamenti elettrici (nel caso di elettropompe). Di
solito di questo se ne occupa l’elettricista, ma un occhio da parte dell’ingegnere di impianto è sempre
necessario. Prima di collegare il motore alla rete è necessario controllare che la girante della pompa e
quindi anche il rotore ferromagnetico ruotino liberamente. Nel caso di motori oltre i 4 kW poi si
preferisce sempre andare di avviamento stella-triangolo o con soft-starter e mai di avviamento diretto
(ciò è diventato obbligatorio in EU). La tensione e la frequenza di alimentazione è sempre indicata sulla
targhetta. I motori a induzione trifasi vanno sempre collegati a dei motoprotettori e controllare sempre
la messa a terra. Nel caso di funzionamento con inverter, considerando grandi motori da oltre 10 kW,
i avrà sempre corrente nei cuscinetti, per cui uno dei cuscinetti del motore (da 2 a 6 poli usualmente)

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79

deve risultare invece isolato elettricamente. Prima di procedere con l’avviamento si controlla
l’allineamento pompa motore, si controlla la rotazione libera e soprattutto si riempiono pompa e
tubazioni del liquido da trasportare, avendo avuto cura di sfiatare le tubazioni e il corpo pompa (che
dovrà essere innescata). Una volta decisa la tipologia di avviamento si procede con valvola di mandata
chiusa (caso pompe con basso numero di giri specifico) o con valvola di mandata parzialmente chiusa
(pompe assiali o a flusso misto). Nel caso di autoadescanti la valvola di mandata deve essere invece
completamente aperta (per evitare sprechi energetici, in quanto teoricamente quella di mandata
potrebbe essere chiusa). La valvola di aspirazione dovrà ovviamente essere sempre aperta. Dopo
l’avvio si controlla la pressione differenziale e la portata, oltre che l’assorbimento del motore, le
vibrazioni, il rumore, la temperatura dei supporti (sotto gli 80-85°C) e soprattutto la tenuta (se a
Baderna deve aversi gocciolamento continuo o del liquido esterno o dello stesso liquido di processo,
la cui temperatura non deve superare i 60-65°C, se invece metallica non deve aversi alcun
gocciolamento). Infine va controllato il sistema oleodinamico, quindi la lubrificazione, se presente,
dell’albero motore, e in particolare dei supporti (cuscinetti a sfere lubrificati con grasso od olio).

Per quanto riguarda l’eventuale arresto della pompa centrifuga, nel caso in cui non vi siano dispositivi
contro il colpo d’ariete (volano, casse d’ria ecc.) è necessario chiudere progressivamente la valvola
sulla mandata e procedere poi allo spegnimento del motore. La manutenzione ordinaria consiste, oltre
che nel controllo del motore e di tutti i dati dinamici per la sostituzione delle guarnizioni e delle valvole
(le parti che si usurano sempre più rapidamente), ovviamente nell’eventuale cambio dell’olio di
raffreddamento/lubrificazione (usualmente a regime ogni 1500/2000 ore ma dipende dalla tipologia
di olio e dalla macchina oltre che dai dati di esercizio).

Si riportano infine alcuni dati sul troubleshooting per pompe centrifughe (Figura 77).

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81

Figura 77. Troubleshooting pompe centrifughe (pompetravaini s.p.a.).

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82

3. Macchine per il trasporto di fluidi comprimibili

Le macchine per il trasporto di fluidi comprimibili sono generalmente più costose, di almeno 1 ordine
di grandezza, rispetto a quelle per liquidi, in quanto la meccanica risulta essere più fine, gli spessori
maggiori e le macchine più complesse a causa delle maggiori potenze e pressioni in gioco, proprio a
causa della comprimibilità dei fluidi processati. Anche in questo caso le macchine si dividono in
volumetriche (alternative e rotative) e a flusso continuo (flusso radiale e assiale principalmente). I
campi di applicazione sono riportati in Figura 78.

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83

Figura 78. Campi di applicazione di diverse tipologie di compressori.

3.1 Alcuni richiami


Prima di affrontare nello specifico i principi di funzionamento dei compressori, elementi costruttivi,
curve caratteristiche ecc. risulta necessario fare dei brevi richiami sulle semplificazioni adottate nella
termodinamica applicata alle macchine, essendo lo studente di ingegneria chimica abituato a trattare
sistemi molto complessi e relativi modelli termodinamici più raffinati nei corsi dedicati alla
Termodinamica.

I gas considerati nel capitolo verranno modellati come gas ideali, utilizzando al più il fattore di
compressibilità per tenere conto di limitate variazioni rispetto al comportamento ideale (temperatura
ridotta maggiore di 1.3 e pressione ridotta minore di 0.2). Un gas viene considerato incomprimibile
nel caso in cui nella sezione di interesse il numero di Mach, Ma, (dato dal rapporto fra la velocità del
fluido e la velocità del suono nel fluido) sia minore di 0.25, con il fattore di comprimibilità pari a
1+0.25Ma2 (derivante da uno sviluppo in serie, si veda il corso di Macchine I) che dovrà quindi risultare
minore di 1.0156.

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84

Le trasformazioni considerate nel capitolo sono tutte politropiche generali della forma:

𝑃𝑉 𝑚 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 (41)

con m esponente della politropica, pari a =cp/cv nel caso di una trasformazione isentropica, m=1 nel
caso di una trasformazione isoterma, m=0 nel caso della isobara e m=±∞ nel caso della isocora. Nel
caso semplificato la velocità del suono in un fluido comprimibile è data da:

𝛾𝑅𝑇
𝑐=√ (42)
𝑀𝑚

dove R [J/mol K] è la costante universale dei gas, Mm [g/mol] è la massa molare del gas e T [K] è la
temperatura del fluido. Nel caso di gas monoatomici il valore del rapporto fra i calori specifici del gas
è pari circa a 1.66, per ridursi a 1.4 nel caso di biatomici e 1.33 nei triatomici. In generale, per la
maggior parte dei gas il valore medio risulta essere nell’intervallo 1.3-1.6. Da questi valori e
considerando la definizione del numero di Mach e della velocità del suono in un fluido, nel caso ideale,
è possibile calcolarsi l’intervallo del rapporto di compressione critico attraverso una macchina, una
valvola ecc. per la maggioranza dei gas:
1
𝑃2 2 𝜑
| 𝑐𝑟𝑖𝑡 = ( ) = 0.5 ÷ 0.6 (43)
𝑃1 𝛾+1

𝛾−1
𝜑= (44)
𝛾

Per cui nelle sezioni critiche, dove il numero di Mach è pari a 1, si ha una pressione di valle pari a circa
il 50% di quella di monte. Gli effetti dovuti al raggiungimento di condizioni critiche, quindi soniche,
possono essere devastanti nei compressori, sono invece fondamentali negli eiettori a gas, come si
vedrà nel seguito.

Gli ultimi richiami riguardano il concetto di lavoro e di rendimento isotermo, adiabatico ideale
(isentropico), adiabatico reale e politropico (si usa una politropica reversibile nella pratica
industriale). Si definisce rapporto di compressione Rc, il rapporto fra la pressione del gas in mandata e
la pressione del gas in aspirazione. Si considerino due compressori, uno volumetrico e uno a flusso
continuo. Nel primo, è possibile affermare, in presenza di inter-refrigerazione, che la compressione sia
una trasformazione isoterma (bassa velocità di corsa del pistone o dell’organo in movimento), per cui
il lavoro di compressione isotermo [J/kg] e la potenza assorbita saranno (Figura 79):

𝑧𝑅𝑇 𝑚̇𝑎𝑠𝑝 𝐿𝑖𝑑


𝑐
𝐿𝑖𝑑
𝑐 = 𝑙𝑛(𝑅𝑐 ) 𝑃𝑎 = (45)
𝑀𝑚 𝜂𝑖𝑠𝑜𝑡

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Figura 79. Lavoro isotermo.

dove la portata in massa [kg/s] è alle condizioni di aspirazione (la densità del fluido sarà diversa a
causa della sua compressibilità e della variazione di temperatura nelle varie sezioni della macchina) e
z è la compressibilità del fluido. Nel caso di compressore a flusso continuo si suppone invece che la
compressione sia adiabatica ideale (o isentropica, Figura 80):
𝑧𝑅𝑇1 𝜑
𝐿𝑠 = 𝑐𝑝 (𝑇2𝑖𝑑 − 𝑇1 ) = (𝑅 − 1) (46)
𝜑𝑀𝑚 𝑐

Figura 80. Lavoro isoentropico.

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86

dove i pedici 2 e 1 indicano la sezione di mandata e aspirazione. Questo lavoro è anche detto prevalenza
isoentropica. Se si considerano questi casi ideali, è possibile incorrere in errori anche rilevanti durante
i calcoli per il dimensionamento della macchina. Per questo motivo è necessario fare altri due passi in
avanti: il primo porta alla definizione di una politropica irreversibile (impiegata in pratica per
rappresentare le compressioni e le espansioni nelle macchine) e la adiabatica reale irreversibile. Nella
realtà, il fluido si troverà a una temperatura superiore rispetto a quella individuata dalla isoentropica,
proprio perché durante il processo vi sarà un aumento di entropia del fluido. Viene quindi scambiato
altro calore in modo irreversibile. Per semplificare, si utilizza una politropica reversibile, assumendo
che il calore venga scambiato in modo reversibile, per cui nella (46) invece di  comparirà m,
esponente della politropica reversibile e si passerà da a ’. Il lavoro speso in più (1-2-2s, leggibile su
tutti i piani termodinamici di Figura 81), è detto lavoro di contro-recupero, dovuto al fatto che durante
la compressione si ha un ulteriore di aumento di temperatura (non presente nel caso ideale
isoentropico), che quindi aumenta con il crescere di Rc, dato che dipende dalla variazione di volume
specifico.

Figura 81. Lavoro politropico reversibile (denominato anche come prevalenza politropica, Hp [J/kg]).
𝑧𝑅𝑇1 𝜑′
𝐿𝑟 = 𝐻𝑝 = (𝑅 − 1) (47)
𝜑′𝑀𝑚 𝑐

Nel caso dell’espansione questo è detto lavoro di recupero che, al contrario, è favorevole al processo
di espansione. La trasformazione politropica reversibile però non tiene conto delle perdite dovute alle
irreversibilità, che invece tiene conto la trasformazione adiabatica reale. In generale, per quel che si è

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detto, il rendimento politropico sarà sempre maggiore del rendimento adiabatico reale. Si dimostra
che:
𝜑 𝜑
𝑅𝑐 − 1 𝑅𝑐 − 1
𝜂𝑎𝑑 = 𝜑 = 𝜑′ (48)
𝜂𝑝𝑜𝑙 𝑅𝑐 − 1
𝑅𝑐 −1

dove il rendimento politropico è proprio dato dal rapporto fra  e’ (Figura 82).

Figura 82. Andamento del rendimento adiabatico con il rapporto di compressione e il rendimento
politropico.

Ovviamente quando il rapporto di compressione tende a 1 il rendimento adiabatico e quello


politropico sono uguali, esattamente come nel caso ideale il rendimento adiabatico, politropico e
isentropico sono uguali e =’.

Per quanto riguarda i criteri di similitudine, oltre quelli già visti per le pompe, bisogna aggiungere
quello termodinamico, valido nel momento in cui il numero di Mach in sezioni omologhe di due diverse
macchine sia uguale. Per classificare i compressori in funzione della tipologia di girante si usa il
numero caratteristico di giri, espresso come:

𝑛 √𝑉𝜋̇
𝜎𝑐 = (49)
30 (2∆ℎ𝑖𝑑 )0.75

∆ℎ𝑖𝑑 = 𝑐𝑝,𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 (𝑇2𝑖𝑑 − 𝑇1 ) (50)

Un commento importante, prima di proseguire e di entrare nel vivo del capitolo, deve essere fatto in
merito all’impiego del diagramma di Mollier (piano h-S, vedi Figura 82 bis). Il piano h-S può essere
intelligentemente impiegato per leggere direttamente l’entalpia, quindi il lavoro di compressione per
ogni trasformazione che avviene in macchina.

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88

Figura 82 bis. Piano di Mollier.

Noto il lavoro di compressione totale, è sufficiente moltiplicarlo per la portata di gas in massa, alle
condizioni di aspirazione, e tenere conto poi dei diversi rendimenti (della macchina, quindi quello
politropico che meglio rappresenta il processo e risulta comunque un ottimo compromesso in quanto
permette di fare i calcoli in modo rapido e con una piccola deviazione dalla realtà, e quello meccanico
e volumetrico) per ottenere la potenza assorbita:
𝑚̇𝑎𝑠𝑝 𝐿𝑟
𝑃𝑎 = (51)
𝜂𝑝𝑜𝑙 𝜂𝑣 𝜂𝑚

In generale, si prende direttamente un rendimento politropico nell’intervallo 0.7-0.75 (in generale per
i rapporti di compressione spesso utilizzati può variare nel range 0.7-0.85) per tenere conto anche del
volumetrico e del meccanico, anche se in generale sono molto alti (superiori a 0.95).

3.2 Compressori a flusso continuo


Come già visto per le turbopompe, queste macchine vengono distinte in radiali, a flusso misto e assiali,
anche se quelle a flusso misto vengono utilizzate meno rispetto ai compressori centrifughi e assiali.
Figura 83 mostra alcuni campi di applicazione di queste macchine.

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Figura 83. Campo di applicazione dei turbocompressori.

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90

Esattamente come per le turbopompe, all’aumentare del numero di giri caratteristico si va verso
macchine assiale, che sono in grado di erogare portate anche molto elevate (oltre i 100000 m3/h) ma
in generale hanno rapporti di compressione per singolo stadio più bassi rispetto ai radiali. Il rapporto
di compressione monostadio di un turbocompressore può variare nell’intervallo 1.2-2.5, si cerca di
non superare questo valore per evitare fenomeni di blocco sonico dovuto al raggiungimento delle
condizioni soniche in determinate sezioni della macchina. Il rendimento ottimo di queste macchine si
ha per bassi rapporti di compressione (come era intuibile considerando la discussione fatta nel
paragrafo 3.1) e in particolare per i radiali si ha usualmente nell’intervallo 1.15-1.5 negli assiali
nell’intervallo 1.05-1.15. Le macchine radiali trattano portate volumetriche dai 500 ai 200000 metri
cubi ora con pressioni massime in mandata dell’ordine dei 150-160 bar, mentre le macchine assiali
vengono utilizzate per portate molto elevate ma minori pressioni (dai 40000 al 1000000 di metri cubi
ora con pressioni di mandata non superiori ai 15 bar solitamente). Esattamente come per le
turbopompe, le parti principali di un turbocompressore sono il distributore, la girante e il diffusore (in
Figura 84 si riportano le trasformazioni subite dal fluido nell’attraversamento di queste tre zone).

Figura 84. Trasformazioni del fluido nelle tre zone di un turbocompressore (0=ingresso,
1=distributore, 2=girante e 3=diffusore).

Nel distributore il fluido subisce una espansione (0-1’ per la isoentropica, 0-1 per la politropica
reversibile) per poi passare nella zona della girante dove subisce una compressione (1-2’ e 1-2) con
relativo aumento di temperatura e infine il recupero di ulteriore pressione nel diffusore (2-3’ e 2-3).

All’interno della macchina o in diversi casi in degli scambiatori esterni, avviene la inter-refrigerazione
del fluido, non sempre presente ma dipendente dal rapporto di compressione totale, tipologia di fluido
e specifiche del processo a valle. A differenza delle macchine alternative, dove è possibile operare
raffreddamenti continui, nei compressori a flusso continuo si preferisce (a causa delle elevate velocità

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del fluido e delle basse superfici disponibili) suddividere in più stadi la compressione totale e quindi
fare anche più stadi di inter-refrigerazione. Si consideri Figura 85, il caso di un centrifugo bi-stadio
inter-refrigerato.

Figura 85. Compressione bi-stadio con inter-refrigerazione.

Il fluido viene compresso nel primo stadio, inviato poi allo scambiatore di calore esterno e compresso
nuovamente nel secondo stadio (si vedrà in seguito che nello schema mancano alcune
apparecchiature, come i knockout drums e gli accumulatori di condensa, presenti a seconda della
tipologia di fluido processato). Le trasformazioni sono considerate per semplicità ideali. Grazie alla
inter-refrigerazione si può osservare il risparmio di lavoro (area tratteggiata 2-3-4-5 in Figura 85 b).
Se si aumenta il numero di inter-refrigerazioni questo risparmio aumenta fino a che, con zi (numero di
inter-refrigerazioni) tendente all’infinito, il lavoro di compressione tende a quello isotermo, ma ciò
causerebbe un aumento dell’impianto (costi di investimento iniziale e operativi). Ciò implica che, una
volta noto il rapporto di compressione totale, in basi a considerazioni economiche e di processo si
fisserà il numero di inter-refrigerazioni e quindi di stadi. I vantaggi della inter-refrigerazione sono
principalmente 4: (i) si evita una temperatura troppo elevata (questo poi dipenderà dal tipo di
processo a valle) con conseguente aumento della densità del fluido e quindi, a parità di portata in
massa, una riduzione della portata volumetrica con un conseguente risparmio sugli stadi successivi
alla refrigerazione che risulteranno di minore dimensione (si veda figura 85 in basso), grazie a cui si

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evita anche l’impiego di materiali pregiati e più costosi di quelli usualmente impiegati; (ii) si riduce il
lavoro di compressione totale e (iii) come conseguenza la potenza assorbita e la dimensione della
macchina; (iv) si può ridurre il rapporto di compressione totale effettivo (sempre maggiore di quello
teorico per perdite di carico e a causa dell’aumento di temperatura e quindi aumento del volume
specifico 1/) andando quindi a ridurre il lavoro di contro-recupero e aumentando il rendimento della
compressione. Come si evince dal grafico, è necessario scegliere opportunamente il momento in cui
interrompere la compressione, dato che la scelta di una pressione intermedia troppo vicina alla
pressione iniziale o a quella finale ridurrebbe di molto i vantaggi della inter-refrigerazione. Per una
corretta scelta è sufficiente porre uguale a zero la derivata del lavoro di compressione rispetto alla
pressione, ottenendo quindi il rapporto di compressione inter-stadio ottimo:
1
𝑇𝑖 2𝜑 𝑧𝑖+1
𝑅𝑐,𝑖 =( ) √𝑅𝑐 (52)
𝑇1

considerando zi inter-refrigerazioni e trasformazioni isoentropiche. Per cui nel caso in cui si riportasse
la temperatura inter-stadio Ti al valore della T1 iniziale si avrebbe la nota formula semplificata:
𝑧𝑖 +1
𝑅𝑐,𝑖 = √𝑅𝑐 (53)

Per cui una volta individuato il numero di stadi (zi+1) si ottiene il numero di inter-refrigerazioni. Il
lavoro di compressione politropico totale, nel caso di stadi uguali, sarà dato quindi da:
𝑧𝑅𝑇1 𝜑′
𝐿𝑝 = (𝑧𝑖 + 1) (𝑅 − 1) (54)
𝜑′𝑀𝑚 𝑐,𝑖

Come buona regola indicativa, nel caso di compressori alternativi la inter-refrigerazione è funzione
non solo delle specifiche di processo che ho a valle ma anche delle caratteristiche dell’olio di
lubrificazione, che usualmente si degrada dai 150°C in poi. Nel caso dei centrifughi invece si usa la
inter-refrigerazione nel caso in cui il gas in mandata raggiunga i 200-220°C, ma se a valle del
compressore ho bisogno di un gas a questa temperatura bisognerà valutare la resistenza agli sbalzi
termici della macchina, il costo di eventuale manutenzione con invece il costo di un successivo
riscaldamento del gas post compressione (nella maggioranza dei casi si evita la refrigerazione
dell’ultimo stadio per evitare l’installazione e l’esercizio di uno scambiatore di calore in più).

3.2.1 Elementi costruttivi e impiantistica


I turbocompressori sono macchine molto versatili utilizzate in praticamente qualsiasi settore
dell’ingegneria di processo. Dal punto di vista costruttivo queste macchine sono analoghe alle
turbopompe (Figura 86).

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93

Figura 86. Spaccato di alcuni turbocompressori.

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La carcassa (casing) dei turbocompressori ad asse orizzontale è usualmente composta da due pezzi
che vengono serrati con dei bulloni lungo il piano orizzontale a metà altezza (Figura 87).

Figura 87. Particolare della carcassa.

Questo permette una manutenzione più semplice della macchina, poiché più semplice da smontare (è
sufficiente sollevare con un braccio meccanico la semi-metà superiore) per accedere alla parte rotorica
e alle valvole e guarnizioni interne. Nel caso di quelli ad asse verticale invece è un corpo cilindrico
unico con parte di testa e di fondo rimovibili per la manutenzione. Il posizionamento delle degli ugelli
di scarico delle giranti è funzione della tipologia di fluido e delle pressioni, portate operative e della
posizione delle linee di processo di valle. Inoltre è possibile montare sull’albero sia giranti radiali che
assiali, a seconda delle condizioni di esercizio richieste (Figura 87 a destra). Il distributore dei
compressori assiali è praticamente sempre palettato, per dare una pre-rotazione al fluido positiva
(concorde con il verso di rotazione della girante), per aumentare il rendimento volumetrico e ridurre
le onde d’urto, o negativa per aumentare il rapporto di compressione massimo (anche in molti
compressori radiali si inserisce la palettatura). Inoltre, molte macchine hanno prima della girante dei
vani movibili per guidare l’ingresso del fluido riducendo le perdite e la probabilità di distacco della
vena fluida (Figura 88).

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Figura 88. A destra si può vedere il particolare delle palette guida a monte della girante.

L’architettura della parte rotorica, soprattutto nei multistadio e degli ugelli di scarico può essere anche
molto complessa, la fluidodinamica del gas compresso influenza infatti notevolmente sia il rendimento
di compressione sia il rapporto massimo di compressione. A monte della girante, che può essere chiusa
o aperta, è posizionato usualmente un inducer nel caso di pale con profilo particolarmente rivolto
all’indietro (Figura 89).

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Figura 89. Giranti di compressori radiali e assiali (ultima a destra è a flusso misto).

Le giranti aperte a elevato rapporto di compressione sono principalmente per compressori a uso
aeronautico, muniti sempre di diffusore palettato. L’angolo di scarico delle giranti è abbastanza elevato
rispetto a quello delle turbopompe (si passa dai 15-30° e 90° per le pompe ai 50-90° per i compressori
con profilo delle pale rivolto all’indietro e profilo radiale) a causa delle elevate forze centrifughe, con
un grado di reazione (rapporto fra il h del fluido attraverso la girante e il h del fluido totale in
macchina) che vanno da 0.5 a 0.7 per pale radiali e per pale all’indietro. La parte rotorica è composta
da diversi elementi costruttivi (Figura 90).

Figura 90. Elementi costruttivi della parte rotorica di un turbocompressore.


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97

Si possono osservare l’albero (shaft), le giranti (impellers), tamburo di bilanciamento (balancing


drum), non sempre presente e necessario per bilanciare la spinta assiale dovuta alle giranti),
distanziatori delle giranti (impeller spacer, che servono anche come protezione dell’albero, Figura 91),
cuscinetto (bearing), manicotto dell’albero (shaft sleeve), il disco di spinta (thrust disk) e il mozzo di
accoppiamento (coupling hub) che è il semigiunto per l’albero motore. Il manicotto serve per
proteggere l’albero soprattutto nelle zone di tenuta.

Figura 91. Particolare dei distanziatori delle giranti.

A seconda della tipologia di tenuta il manicotto può essere di acciaio inox (tenuta a labirinto) o di
monel (lega Ni-Cu) se la tenuta è a film di olio (Figura 92).

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Figura 92. Particolare di alcune tenute (a labirinto a sinistra, al centro ad alveare e in basso a film
d’olio) e grafico per la scelta approssimata del numero di stadi.

La tenuta a film d’olio non ha parti rotanti o in contatto, per cui è di semplice manutenzione, l’olio viene
introdotto fra gli anelli di tenuta a una pressione superiore di poche centinaia di mbar rispetto alla
pressione del fluido di processo. Il numero delle giranti dipende non solo dalle grandezze operative
ma anche dalla tipologia di gas processato (vedere figura 92 in basso a destra). In particolare, gas più
pesanti necessiteranno di un numero minore di giranti, quindi di stadi.

A valle della parte rotorica è presente un diffusore, spesso palettato, con le funzioni già discusse per le
turbopompe.

Altri elementi di impianto molto importanti sono i separatori liquido/gas (separatori di condensa con
scaricatore di condensa accoppiato) detti knockout drums, necessari per evitare che gocce di liquido
possano entrare nel compressore, che possono causare danni anche molto rilevanti alla palettatura
considerando le pressioni in gioco, soprattutto nei compressori radiali. Si veda per esempio i
separatori di condensa classici delle reti per aria compressa (Figura 93).

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Figura 93. Separatore di condensa per reti ad aria compressa.

Questi separatori sono del tipo inerziale, il setto assiale che separa ingresso e uscita è costituito da
tanti cerchi concentrici con un’apertura verso la parte bassa per far scendere le gocce di liquido. Il gas
quindi impatta sul setto e per la forza centrifuga a cui sarà soggetta il fluido vi sarà la separazione
liquido/gas con successiva raccolta del liquido nello scaricatore di condensa. Queste apparecchiature
vengono sempre molto sovradimensionate, in quanto variazioni di temperatura nella rete possono
variare di molto la percentuale di liquido nel fluido. Sul fondo del separatore è presente uno scaricatore
di condensa, in cui un galleggiante apre il foro di scarico quando la condensa raggiunge un determinato
livello (Figura 94).

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100

Figura 94. Scaricatore di condensa.

Si monta spesso un tubo equilibratore per evitare che la condensa non scenda più lungo il circuito
causa di possibili sacche d’aria.

I separatori vengono posti a monte del compressore e fra i vari stadi nel caso di inter-refrigerazione
con scambiatori esterni. I separatori possono essere dotati anche di filtri per eliminare polveri sospese.

3.2.2 Curve caratteristiche, limiti di funzionamento e regolazione


Si considerino ora un compressore radiale e uno assiale multistadio (Figura 95).

Figura 95. Sezioni di un compressore radiale (sinistra) e assiale (destra).

Il radiale è a 6 stadi con una inter-refrigerazione (a seconda del processo è possibile utilizzare un solo
scambiatore, aria/gas o acqua/gas in base alle temperature e disponibilità in impianto) e l’ingresso è
costituito dalla bocca a destra. Si hanno quindi due stadi a destra e dopo refrigerazione ulteriori 4 stadi
a sinistra. Nel passaggio attraverso i diffusori il gas recupera pressione (si riduce l’energia cinetica e
aumenta quella potenziale) fino a essere scaricato nella zona 3 (nel centro in basso).

L’assiale è a 10 stadi, con pale mobili sulla parte rotorica a cui si affacciano le pale statoriche fisse. Il
gas in aspirazione viene convogliato attraverso il primo distributore palettato verso la parte rotorica.

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101

Attraversando le varie palette rotoriche e statoriche il gas subisce un aumento di energia potenziale e
riduzione di quella cinetica, con relativo aumento di temperatura a causa della compressione. La
densità del gas quindi aumenta da sinistra verso destra per cui anche la sezione della macchina potrà
ridursi dato che si ridurrà il volume specifico e quindi minore spazio sarà necessario per il trasporto
del gas compresso. In particolare, il diametro del corpo rimane lo stesso ma si riduce l’altezza delle
palette per ridurre la sezione di passaggio. Questi compressori hanno maggiore rendimento proprio
perché per evitare il distacco della vena fluida si preferisce lavorare con rapporti di compressione
inter-stadio bassi (inferiori a 1.2). Hanno quindi anche uno sviluppo longitudinale significativamente
superiore rispetto a quello dei radiali. Le curve caratteristiche di queste macchine sono riportate in
Figura 96, dove si possono individuare due limiti operativi ben precisi.

Figura 96. Curve caratteristiche di turbocompressori radiali e assiali (a sinistra e destra,


rispettivamente).

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102

L’andamento delle curve caratteristiche dei compressori (in ordinata usualmente si riporta o la
prevalenza politropica o il rapporto di compressione o ancora la pressione di mandata, mentre
sull’asse delle ascisse o il rapporto fra portata in massa erogata e portata in massa alle condizioni di
aspirazione o la portata volumetrica) è analogo a quello delle turbopompe, anche se le curve sono
molto più ripide, soprattutto nel caso degli assiali e presentano un intervallo di portate limitato che
delimita la zona di stabilità di funzionamento della macchina. Per i turbocompressori infatti esistono
due limiti, inferiore e superiore, dovuti a due fenomeni largamente affrontati durante il corso di
Macchine I: lo stallo con relativo pompaggio (surge) e il blocco sonico (choking). Lo stallo (instabilità
locale) si ha per basse portate, in quanto vi è maggiore probabilità che vi sia il distacco della vena fluida
dalle palette, a cui segue una propagazione di onde di stallo che alimentano il fenomeno e la sua
propagazione anche verso le palette successive. Infatti è possibile che non tutta la girante vada in stallo
ma che solo una schiera di palette non abbia più contatto con il gas. In questi casi si ha un calo del
rendimento di compressione e i vibrometri montati sulla macchina leggeranno onde pulsanti continue
a elevata frequenza. Nel caso in cui invece vada in stallo l’intera girante allora si avrà il fenomeno del
pompaggio (instabilità globale), quindi, come già visto nel caso delle turbopompe, la pressione di
monte risulterà minore rispetto a quella a valle della mandata, causando un richiamo di fluido verso
l’aspirazione fino a che la pressione di monte non ritorni superiore rispetto a quella di valle,
innescando appunto il fenomeno del pompaggio che è di per sua natura ciclico. Il problema del
pompaggio è legato principalmente alle forti vibrazioni e al possibile fenomeno di risonanza. Lo stallo
in generale è più probabile nei turbocompressori assiali, dato che le componenti radiali della velocità
del fluido sono minori e si hanno meno deviazioni di flusso. Infatti, soprattutto all’avviamento, negli
ultimi stadi del compressore si avranno componenti della velocità assiali elevate, nei primi stadi (dove
ho maggiore probabilità di stallo) queste componenti saranno minori a causa del maggiore volume
specifico del gas e, accoppiate alle già basse componenti radiali, riducono di molto la velocità locale del
fluido. Per ovviare a ciò si montano valvole di spillamento per aumentare la portata locale nei primi
stadi, spillando dagli stadi intermedi, si usano statori a incidenza variabile o ancora si montano una
soffiante in serie a monte del compressore per inviare gas a elevata velocità solo in fase di avviamento.

L’altro fenomeno, che causa instabilità di funzionamento alle alte portate, è il blocco sonico, e si può
avere in quelle sezioni in cui il numero di Mach superi 1. Questo causa la impossibilità di controllare la
portata erogata, una riduzione della prevalenza politropica e del rendimento della macchina. Un'altra
causa di blocco sonico può essere anche una densità eccessivamente ridotta in aspirazione, che
potrebbe cambiare repentinamente dopo la sezione di aspirazione a causa della compressione e
dell’aumento di temperatura, causando un eccessivo incremento di velocità del fluido fino a eguagliare
e superare la velocità del suono.

Per i motivi di cui sopra, la regolazione che sembrerebbe più adatta per i turbocompressori sarebbe
quella del numero di giri del compressore. Questa regolazione però è sicuramente una delle più costose
e soprattutto il rischio di pompaggio non è limitato in quanto durante la regolazione sarebbe
necessario mantenere sempre lo stesso rapporto di compressione inter-stadio, per evitare variazioni
del volume specifico del gas e variazioni della portata massima prima dello stallo (che non è semplice
da fare). Un’altra regolazione che varia la caratteristica della macchina è quella che prevede la
variazione dell’angolo di calettamento delle pale del diffusore (di non semplice realizzazione nel caso
degli assiali, in quanto andrebbero modificate anche le rotoriche per ottenere la stessa regolazione che

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103

si otterrebbe nel caso dei radiali). Con questo metodo si riesce maggiormente a ridurre la potenza
assorbita in regolazione verso portate minore, senza aumentare il rischio di stallo. Altre regolazioni
prevedono la laminazione della portata in aspirazione, in mandata (praticamente mai impiegata) e un
by-pass sulla mandata verso l’aspirazione. La prima si usa per ridurre la portata erogata, ma di contro
il compressore compierà un maggiore lavoro di compressione con un relativo rapporto di
compressione totale maggiore (la potenza assorbita infatti si ridurrà solo parzialmente per la
riduzione della portata erogata). La seconda si usa sempre per ridurre la portata erogata ma ciò
causerà un ancora maggiore aumento del rapporto di compressione totale. Entrambi prevedono una
riduzione del rendimento poiché il punto di lavoro si sposterà dalla posizione originale (supposta di
massimo rendimento). L’ultima regolazione invece permette di regolare la portata senza variare il
rendimento del compressore ma causando una perdita energetica a causa del by-pass, per cui il
rendimento globale del sistema comunque diminuirà, ma non vi sarà variazione del punto di lavoro.
Per quanto riguarda i sistemi di controllo anti-pompaggio, nel corso si vedranno due esempi tratti dal
testo di Sistemi di controllo degli Impianti Chimici.

3.2.3 Soffianti
Le soffianti sono delle macchine a flusso continuo puramente radiali, in cui il rapporto di compressione
arriva massimo a 1.2, sono inoltre macchine monostadio (al più bi-stadio), poco costose rispetto ai
normali compressori centrifughi, che vengono orientate in funzione delle minori perdite di carico a
valle (Figura 97).

Figura 97. Foto di soffiante ed esempio di orientamento della macchina.

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104

Per le soffianti, essendo il salto di pressione molto contenuto, è possibile considerare i gas processati
come incomprimibili, per cui il lavoro di compressione, o prevalenza della soffiante, può essere
direttamente calcolato come:

𝑃2 − 𝑃1 𝑢2 2 − 𝑢1 2
𝐿𝑐 = + + ∆𝑈 (55)
𝜌 2

dove U [J/kg] sono le perdite di energia interna per attrito, mentre il primo termine è detto
prevalenza statica e il secondo prevalenza dinamica. Le curve caratteristiche delle soffianti sono molto
simili a quelle dei centrifughi, ma difficilmente la macchina può andare in stallo o in blocco sonico,
questo perché il classico intervallo di portate erogabili da queste macchine è molto limitato, pari
usualmente a 1-18 m3/h. Un esempio di curve caratteristiche di soffianti sono riportate in Figura 98.

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105

Figura 98. Curve caratteristiche delle soffianti (Pd è la prevalenza dinamica mentre c2 è la velocità del
fluido in mandata, nella seconda foto in basso Hd è la prevalenza dinamica in unità di pressione).

Come qualsiasi altra macchina anche le soffianti devono rispettare un preciso livello massimo di
pressione sonora, quindi di rumorosità (per i particolari si vedano il testo di sicurezza sul lavoro D.Lgs.
81/08 e soprattutto la Direttiva Macchine la CE 42/2006). Le soffianti sono costituite da un corpo
centrale, spesso in acciaio o alluminio, a seconda della tipologia di impiego, da due testate (aspirazione

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106

e mandata) con tenute usualmente a labirinto sul passaggio albero, una o al massimo 2 giranti calettate
ed equilibrate sia dinamicamente che staticamente, cuscinetti a sfera e a rulli posizionati usualmente
in supporti in ghisa o bronzo con tenute ad anelli e semplici cinghie e pulegge come elementi di
trasmissione. Spesso sono posizionate in cabine fonoassorbenti con abbattimento della pressione
sonora di circa 10-20 dB a seconda della cabina. Le soffianti vengono utilizzate in diversi campi
industriali, come nel trasporto pneumatico, lame d’aria, raffreddamento, essiccazione, trasporto
biogas, gas, bruciatori a gas e nafta, test per i motori a scoppio, ossigenazione acque, trattamento reflui,
aspirazione polveri, saldature a gas sotto pressione, sistemi di spruzzatura ecc. Usualmente, la
temperatura massima di ingresso dei gas può essere di 70-80°C, inferiore rispetto a quella dei
compressori centrifughi, ma comunque fortemente dipendente dalla tipologia di materiali selezionati
in fase di costruzione macchina.

3.3 Compressori volumetrici alternativi


Come già visto per le pompe, i compressori alternativi sono indicati a elaborare portate di gas non
elevate (inferiori ai 40000 m3/h, molto minori rispetto al caso dei turbocompressori assiali, che
erogano portate anche pari a 1000000 m3/h), ed elevati rapporti di compressione totali (da 6 a 10 per
i piccoli non fissi, mentre nel caso dei fissi questi compressori possono arrivare a 6 stadi con Rc totale
superiore anche a 300 con pressioni di mandata anche dell’ordine dei 3000 bar e oltre,). I rapporti di
compressione inter-stadio per queste macchine risulta essere, in linea generale, inferiore rispetto a
quello dei turbocompressori radiali, a causa della massima temperatura di scarico del gas, usualmente
nell’intervallo 150-170°C per evitare non solo di danneggiare la meccanica della macchina, più fine e
delicata dei flusso continuo, ma principalmente per evitare che l’olio lubrificante non si rovini. Per
quanto riguarda la velocità di corsa del pistone, nel caso dei compressori piccoli e mobili si arriva a 7-
8 m/s con n fino a 1000 rpm, mentre nel caso dei grandi compressori fissi la velocità è di massimo 3-
4 m/s con n fino a 250 rpm.

3.3.1 Funzionamento
Il principio di funzionamento è analogo a quello delle pompe alternative ma vi sono delle differenze
sostanziali:

 essendo il fluido trattato comprimibile, non sarà possibile montare valvole automatiche
classiche, in quanto il fluido dovrà rimanere un certo lasso di tempo in camera per comprimersi
e raggiungere la pressione di mandata da progetto, quindi le valvole, anche se automatiche,
dovranno rimanere entrambe (aspirazione e mandata) chiuse per quel periodo di tempo
richiesto. Le valvole utilizzate sono di ritegno a molla con un precarico necessario per evitare
possibili trafilamenti a causa delle tolleranze meccaniche (di questo ovviamente se ne risente
meno nel caso di liquidi) causando una riduzione della portata volumetrica realmente
elaborata e un aumento della potenza assorbita (dato che bisognerà aumentare il rapporto di
compressione effettivo rispetto a quello richiesto per superare proprio il precarico);
 a causa del forte riscaldamento che subisce il fluido durante la compressione sarà necessario
provvedere a un sistema di raffreddamento o con sistema interno continuo o discontinuo
esterno;
 le tenute in questo caso risultano più costose proprio perché la viscosità dei gas è di diversi
ordini di grandezza inferiore a quella dei liquidi;

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107

 lo spazio morto in camera (dal 5 al 25% del volume della camera), di cui si era brevemente
parlato in precedenza, influenza notevolmente il rendimento della macchina;
 la macchina risulta di maggiore ingombro, con un numero di pistoni e di effetti superiore al
caso delle pompe alternative, con livelli di rumorosità superiori.

In Figura 99 si riporta un classico diagramma pressione-volume spazzato dal pistone in camera e la


caratteristica di un compressore a pistoni.

Figura 99. Trasformazioni ideali subite dal gas in una macchina alternativa.

Si considerino le due trasformazioni 1-2-3-4-5 e la stessa ma con i numeri apostrofati, a un rapporto


di compressione superiore. Il pistone va dal punto morto inferiore (PMI) a quello superiore (PMS)
comprimendo il gas, attraverso il manovellismo che trasforma il moto rotatorio della manovella,
montata sull’albero motore, in moto traslatorio della biella. Il gas viene aspirato fino a 2 (isobara
reversibile) e il pistone va dal PMS al PMI con valvola di aspirazione aperta e mandata chiusa.
Successivamente viene compresso fino alla pressione 3 (2-3 viene modellata come una compressione
politropica reversibile) con entrambe le valvole chiuse. A seguire l’espulsione del gas con valvola di
mandata aperta e di aspirazione chiusa (isobara 3-4), con il pistone che torna al PMS. Si può
immediatamente notare che rimane un volume a disposizione del gas, chiamato spazio morto
(clearance, CL [m3]), in cui rimane una parte del gas. La cilindrata, CI, sarà quindi data dalla somma del
volume effettivo di corsa del pistone Vc [m3] (che sarebbe la cilindrata effettiva), e del volume morto.
Nel caso delle pompe alternative, dato che il liquido è un fluido incomprimibile, il volume morto non

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108

viene considerato e si pone direttamente Vc=CI. Nella fase successiva di aspirazione fino a 2, si avrà
simultaneamente l’espansione del gas che precedentemente era ubicato nello spazio morto, secondo
un’altra politropica reversibile 4-5. Questo causerà un’espansione del volume morto da CL a CLe
(expanded clearance, volume morto espanso); come conseguenza, la cilindrata effettiva andrà a ridursi
al valore di Va=CI-CLe. Se si osserva lo stesso processo a un rapporto di compressione superiore, si nota
subito come lo spazio morto in questo caso sia superiore. Oltre che dal rapporto di compressione, lo
spazio morto è funzione del numero di valvole (loro architettura e disposizione) e soprattutto dalle
tolleranze meccaniche. All’aumentare dello spazio morto la portata aspirata si riduce e di conseguenza
diminuisce il rapporto massimo di compressione dello stadio. Per comprendere meglio la significativa
influenza del volume morto sulle prestazioni della macchina è possibile utilizzare la seguente
espressione per il calcolo del rapporto di compressione attraverso l’impiego dei volumi morti. Si
consideri per esempio come indice della politropica di espansione del gas nel volume morto m=1.3 e
due diverse condizioni (due diverse macchine): spazio morto pari al 5% della cilindrata e spazio morto
espanso pari al 20%, un secondo caso con le stesse grandezze pari a 10 e 25%, rispettivamente (si
dimostra che):

𝐶𝐿𝑒 𝑚
𝑅𝑐 = ( ) (56)
𝐶𝐿
Si ottiene nel primo caso un valore di circa 6.1, mentre con un incremento di solo il 5% il rapporto di
compressione si riduce a circa 3.3.

Nel caso ideale, la portata erogata alle condizioni di aspirazione può calcolarsi come:

𝑚̇𝑎𝑠𝑝 = 𝜌𝑎𝑠𝑝 𝑛𝑧𝑒 𝑉𝑎 (57)

dove ze è il numero degli effetti. Nella realtà il comportamento del gas in camera è diverso e il valore
così calcolato della portata erogata può essere anche molto diverso da quello reale (15-25%). Bisogna
infatti tenere conto delle perdite volumetriche attraverso i segmenti di tenuta attorno al pistone
(proporzionali al rapporto di compressione) o semplicemente della non perfetta funzionalità ed
efficienza dei sistemi di tenuta, delle perdite di carico attraverso le valvole per cui si avrà una pressione
di mandata inferiore rispetto a quella in camera post-compressione e una pressione di aspirazione
inferiore rispetto a quella a monte (quindi densità diverse e una riduzione della portata realmente
erogata a causa di un incremento obbligato del rapporto di compressione per arrivare a quello di
progetto), delle pulsazioni e oscillazioni in macchina oltre che degli effetti termici che causano una
riduzione della densità del gas e della portata erogata (gli scambi di calore con le pareti della camera
di compressione causeranno altre perdite energetiche). Per questo motivo il diagramma riportato in
Figura 99 è molto diverso da quello reale (si veda una rappresentazione semplificata in Figura 100).

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109

Figura 100. Diagramma P-V reale.

Per tenere conto del contributo dei diversi fattori sopra richiamati, si utilizzano il rendimento
volumetrico e il coefficiente di riempimento  (Figura 101):

𝑚̇𝑎𝑠𝑝 = 𝜂𝑣 𝜌𝑎𝑠𝑝 𝑛𝑧𝑒 𝜆𝑉𝑐 (57)

Figura 101. Alcuni valori di per diversi valori di CL e di Rc per compressori a pistone mono-stadio.

Il coefficiente di riempimento, oltre che dal volume morto e dal rapporto di compressione, è funzione
delle diverse perdite volumetriche e per trafilamenti oltre che delle perdite di calore del gas, tenuto in
conto attraverso il coefficiente termometrico definito come:
𝑇𝑖𝑐,𝑎𝑑
𝜇𝑡 = (58)
𝑇𝑖𝑐

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110

1
𝑃𝑎𝑠𝑝− 𝑃𝑎𝑠𝑝,𝑚 𝐶𝐿 𝑅𝑐𝑚
𝜆 = 𝜇𝑡 𝜂𝑣 (1 − ) [1 − ( − 1)] (59)
𝑃𝑎𝑠𝑝 𝐶𝐼 𝜇𝑡

Dove Tic e Tic,ad [K] sono rispettivamente la temperatura del gas in camera un attimo prima della
compressione reale e secondo una prima aspirazione adiabatica, Pasp,m [Pa] è la pressione del gas in
aspirazione ma dopo aver attraversato la valvola e m è il coefficiente della politropica con cui si
modella l’espansione del gas rimasto nello spazio morto. Il coefficiente di riempimento nella pratica
industriale viene misurato sperimentalmente, ma con la (59) è possibile fare un calcolo approssimato.
Infine, il calcolo del lavoro di compressione può essere fatto attraverso le formule riportate in
precedenza (eq. (47)) o attraverso un semplice calcolo nota la pressione media nella camera del
compressore e la corsa completa del pistone. In realtà il calcolo corretto deve tenere conto sia del
lavoro di compressione che di quello di espansione del gas nello spazio morto, da sottrarre al primo.
Di conseguenza, utilizzando il rendimento meccanico si può calcolare la potenza assorbita come noto
(il rendimento meccanico di queste macchine è molto alto, almeno 0.9).

Un ultimo commento prima di trattare gli elementi costruttivi di queste macchine va fatto sul rapporto
di compressione limite inter-stadio. Questo calcolo è solo un’indicazione approssimata, che non tiene
conto delle considerazioni da fare sempre sulla massima temperatura di fine compressione del gas in
macchina:

1 + 𝐶𝐿 𝑚
𝑅𝑐,𝑙𝑖𝑚 = ( ) (60)
𝐶𝐿
Da questa equazione possono quindi ottenersi valori anche molto alti (m è l’indice della politropica
con cui si modella la compressione), per cui una volta calcolato si deve immediatamente stimare la
temperatura del gas a fine compressione e controllare che sia minore di 170-150°C.

3.3.2 Elementi costruttivi


La Figura 102 riporta alcuni spaccati di compressori alternativi a pistoni (quelli a membrana non
verranno trattati in quanto simili alle analoghe pompe ma di minore impiego industriale rispetto a
quelli a pistone, trattano comunque portate fino a circa 180 metri cubi ora e arrivano a pressioni di
mandata fino a 2000 bar).

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111

Figura 102. Compressori volumetrici alternativi a pistone.

Si nota subito la perfetta analogia con le pompe alternative. I compressori più utilizzati sono
sicuramente quelli a pistone opposti, con bilanciamento automatico grazie proprio alla disposizione
degli stantuffi, seguono poi i mono-stadio ad asse orizzontale e verticale. In Figura 103 si riportano
alcuni elementi costruttivi di cui si tratterà nel prosieguo.

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112

Figura 103. Elementi costruttivi di base di un compressore alternativo a pistoni.

I piedi di supporto alla testa del cilindro sono bullonati alla fondazione dove viene posta la macchina
(ricordiamo che fino a 6 pistoni la macchina risulta con sia le forze che i momenti perfettamente
bilanciati) e sono sempre presenti per macchine di grandi dimensioni. Il bilanciamento interno si
ottiene attraverso la corretta disposizione degli elementi meccanici del manovellismo, in particolare
le manovelle vengono posizionati secondo lo stesso angolo rispetto all’albero di trasmissione se in
numero pari, diverso sarà invece se il numero dei pistoni è dispari. La corretta disposizione non solo
serve per bilanciare le forze e ridurre al minimo il momento torcente a cui poi potrebbero essere
sottoposti gli organi di trasmissione, ma permette di aumentare il rendimento meccanico della
macchina e soprattutto di ridurre il consumo di olio lubrificante. Inoltre una disposizione non
bilanciata andrebbe a incrementare le vibrazioni e la rumorosità della macchina, con le possibili
conseguenze di cui si è già parlato. Nel caso di numero dispari di pistoni e di numero superiore a 6 si
inseriscono dei contrappesi per il bilanciamento (Figura 104).

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113

Figura 104. Esempio di albero di trasmissione manovella-biella (crankshaft) a 3 e 2 pistoni.

L’albero è munito di bronzine (cuscinetti a strisciamento) e di diversi contrappesi. Il passaggio dell’olio


lubrificante avviene attraverso dei fori longitudinali e il suo flusso deve essere garantito dalle bronzine
ai perni di rotazione. La biella è costituita da un minor numero di elementi costruttivi essendo
usualmente un 2 pezzi (Figura 105).

Figura 105. Esempio di biella.

Spesso si posiziona una piccola termocoppia sulla testa della biella per il monitoraggio e il controllo
della temperatura nella carcassa (frame) dove è allocato il manovellismo. Subito dopo la biella segue
la testa a croce (crosshead), a cui è collegata mediante un semplice spinotto (Figura 106). La biella
movimenta il pistone attraverso lo stelo, braccio meccanico collegato alla testa a croce.

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Figura 106. Testa a croce, elementi costruttivi.

La testa a croce funge da pattino reggispinta per contrastare le spinte laterali della biella ed evitare
disallineamenti. Il pistone si muove all’interno del cilindro, progettato in funzione della massima
pressione che può raggiungere il gas nella camera (sovradimensionato secondo un determinato
coefficiente di sicurezza, usualmente almeno pari a 1.2) della portata e temperatura, tenendo in
considerazione anche la tipologia di gas da comprimere. I cilindri più impiegati sono quelli per
macchine a doppio effetto o a doppio pistone (Figura 107), e possono aversi soluzioni anche senza
lubrificazione del pistone, in quei casi in cui olio e gas trattato non devono entrare in contatto (in questi
casi è necessario ridurre la velocità di corsa del pistone sotto i 4 m/s e i gas trattati devono essere non
sporcanti).

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Figura 107. Esempi di cilindri.

A seconda della qualità dei materiali, degli elementi di tenuta e serraggio si va da cilindri per pressioni
fino a 100 bar (prima foto in Figura 107) a 500 bar (seconda foto) e a macchine con doppio pistone su
doppio stelo comandato dalla stessa biella (terza foto).

Soprattutto per queste macchine il sistema di raffreddamento, continuo o discontinuo esterno è


fondamentale. Il sistema di raffreddamento è usualmente interno, in quanto è presente una camicia
nel cilindro stesso in cui scorre il fluido di raffreddamento (Figura 103 elemento 10). Il secondo
sistema di raffreddamento (del manovellismo) è invece garantito dall’olio lubrificante in cui si tuffa la
manovella durante la sua rotazione, nella vasca di raccolta posta all’interno della carcassa dove è
posizionato il manovellismo. Oltre ai già citati motivi, il raffreddamento è necessario per evitare
eccessive dilatazioni termiche di elementi più delicati quali segmento di tenuta del pistone, per
aumentare la vita utile delle valvole, per evitare la riduzione della viscosità dell’olio e la sua
degradazione e per ridurre la possibilità di formazione di depositi, soprattutto nel gas di gas organici
(fouling da particolato carbonioso, particolarmente dannoso). Il sistema di raffreddamento però non
deve ridurre eccessivamente la temperatura del gas, in generale si mantiene sempre una temperatura
di camicia di almeno 5-6 °C superiore rispetto a quella del gas entrante, si potrebbe infatti causare la
condensazione di parte dei condensabili presenti nella miscela da comprimere, causando numerosi
danni alla meccanica (l’efficacia dell’olio minerale si ridurrebbe e gli attriti aumenterebbero riducendo
il rendimento meccanico) e alle valvole (oltre a problemi di corrosione). Il problema della
condensazione è principalmente dovuto al fatto che i liquidi sono incomprimibili, per cui le elevate
pressioni raggiunte nel cilindro potrebbero causare sforzi rilevanti sul cilindro e soprattutto sulle
valvole, causandone a volte la rottura.

Per quanto riguarda i pistoni, sono usualmente collegati allo stelo fino a pressioni di massimo 150 bar,
mentre per applicazioni dove si supera questa pressione in camera sono forgiati come unico pezzo con
lo stelo (Figura 108).

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116

Figura 108. Esempio di pistoni ed elementi costruttivi.

I segmenti di tenuta possono più di 3 e si usano anche fascie di tenuta, a seconda della tipologia di
fluido da comprimere. In generale sono in Teflon o per alte pressioni (sopra le 300 bar) sono in bronzo.
Causano perdite di pressione e una riduzione del rendimento di compressione ma sono fondamentali
per ridurre i trafilamento di gas verso la carcassa dove potrebbe inquinare l’olio lubrificante e ridurre
il rendimento della macchina. Per eliminare quel gas che comunque in parte supererà le perdite di
carico dovute ai segmenti di tenuta, si costruiscono dei giunti particolari in cui trasla lo stelo (giunti

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117

fra testa cilindro e carcassa quindi), con un sistema di vent per espellere l’olio lubrificante ma anche il
gas trafilato ed evitare che raggiunga l’interno della carcassa (Figura 109).

Figura 109. Sistema di vent nei giunti per lo stelo.

3.3.3 Monitoraggio prestazioni, controllo macchina e regolazione


I compressori alternativi a pistoni vengono sono macchine particolarmente costose (si può arrivare a
pagarli anche oltre i 2 milioni di euro l’uno nel caso del settore Oil and Gas) e performanti, usate in
tutte le applicazioni che prevedono il trasporto di gas a elevata pressione per lunghi tratti. Per questo
motivo, l’attenzione posta nel monitoraggio di determinate grandezze è ancora maggiore, proprio per
evitare possibili fermo macchina per manutenzione straordinaria. Per individuare prontamente
eventuali malfunzionamenti della macchina si monitorano principalmente: temperatura interna alla
camera delle valvole, eventuali perdite nei giunti, forma del diagramma P-V (pressione del cilindro
rispetto al volume spazzato) e ampiezza delle vibrazioni. Si è visto statisticamente che il
malfunzionamento delle valvole causa oltre il 36% dei malfunzionamenti dell’intera macchina, e per
questo motivo sono sicuramente gli elementi che vengono maggiormente manutentati. La temperatura
della camera delle valvole dsi mantiene costante entro un determinato intervallo nel normale
funzionamento della macchina, per questo un incremento, anche non troppo elevato (già il 6% rispetto
alla T media è indice di allarme) se costante nel tempo indica immediatamente un malfunzionamento
(la temperatura si può misurare in tempo reale, con costanti di tempo di risposta dello strumento
molto contenute, per questo risulta una misura sempre utilizzata per questi scopi, Figura 110).

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118

Figura 110. Classico grafico della T della camera delle valvole nel tempo.

Per quanto riguarda il diagramma P-V del cilindro, è possibile individuare subito dei danni alle valvole
di mandata dall’aumento della dimensione della gobba superiore del diagramma o danni alle valvole
di aspirazione nel caso di aumento della dimensione della gobba inferiore del diagramma (Figura 111).

Figura 111. Classico grafico P-V del cilindro.

Questa misura è sicuramente fondamentale per il monitoraggio della macchina dato che indica
direttamente la pressione del gas nella camera.

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119

La variazione dell’ampiezza classica delle onde vibrazionali, sia della zona della carcassa sia di quella
del cilindro, indicano usualmente dei malfunzionamenti. Le cause più frequenti di queste anomalie
sono un aumento degli attriti fra pistone e cilindro a causa della presenza di detriti o a causa di
disallineamenti, un guasto a un elemento di trasmissione o di tenuta o ancora danni alle bronzine nella
zona del manovellismo. Oggi, per il monitoraggio delle vibrazioni si utilizzano direttamente degli
accelerometri, molto sensibili e affidabili (prima di queste apparecchiature si montavano dei
vibrometri magnetici dotati di allarme che partiva nel momento in cui la vibrazione superava un
determinato valore di soglia, che però poteva provenire anche da altre fonti di rumore/vibrazione, per
cui risultavano dei sistemi meno affidabili di quelli odierni) e che non richiedono di essere posizionati
a contatto con la macchina (Figura 112 mostra un classico diagramma delle onde vibrazionali di un
compressore a pistoni).

Figura 112. Andamento dell’ampiezza delle vibrazioni misurate con un accelerometro posto nelle
vicinanze di un compressore a pistoni.

La regolazione di queste macchine può avvenire mediante variazione del numero di giri di rotazione,
laminando all’aspirazione, variando la corsa utile del pistone, riflusso della portata dalla mandata
all’aspirazione (bypass) o variando lo spazio morto (quest’ultima regolazione è meno usata, prevede
l’aggiunta di uno spazio messo in comunicazione con la camera attraverso una valvola per aumentare
lo spazio morto e ridurre quindi la portata erogata dalla macchina, dato che diminuisce  (Figura 113)).

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120

Figura 113. Regolazione per aggiunta di spazio morto (le lettere con l’apostrofo indicano la condizione
post-regolazione).

La regolazione con by-pass è sicuramente una delle più utilizzate, anche se sarà necessario prevedere
un parziale raffreddamento della portata deviata per evitare che aumenti troppo la temperatura del
gas in aspirazione. Con questa regolazione il lavoro di compressione non varia ma risulta comunque
una regolazione energivora, come già discusso in precedenza. La laminazione in aspirazione è un’altra
regolazione molto utilizzata, poiché prevede l’impiego di una semplice valvola di sttrozzamento in
aspirazione (Figura 114).

Figura 114. Regolazione con laminazione all’aspirazione (le lettere con l’apostrofo indicano la
condizione post-regolazione).

Questa regolazione è per tentativi, in quanto non è possibile determinare univocamente la perdita di
carico per l’ottenimento di una certa portata, per cui va fatta una regolazione continua fino

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121

all’ottenimento delle condizioni desiderate. La potenza assorbita può diminuire come aumentare, a
seconda infatti della tipologia di gas, dello spazio morto e del rapporto di compressione raggiunto si
avrà la possibilità di individuare un valore di Rc prima del quale si ha un aumento della potenza
assorbita, e oltre il quale invece si avrebbe una riduzione.

L’ultima regolazione, spesso utilizzata ma possibile solo con valvole manovrabili e non automatiche,
prevede l’anticipo o il posticipo di chiusura delle valvole di aspirazione. L’anticipo prevede di chiudere
le valvole prima che il pistone raggiunga il PMI (Figura 115).

Figura 115. Regolazione mediante anticipo di chiusura (il volume di gas inviato in mandata sarà da B’
ad A e non più da B ad A, per cui la portata erogata sarà minore).

Il posticipo di chiusura prevede di lasciare aperte le valvole anche dopo il raggiungimento del pistone
al PMI. Parte della portata di gas aspirata quindi rifluisce all’aspirazione fino alla chiusura delle valvole
(Figura 116), ottenendo sempre una riduzione della portata erogata.

Figura 116. Regolazione mediante posticipo di chiusura (il volume di gas inviato in mandata sarà da
B’ ad A e non più da B ad A, per cui la portata erogata sarà minore).

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122

3.4 Compressori volumetrici rotativi


I compressori volumetrici rotativi sono macchine molto versatili, adatte a diversi gas e a diverse
condizioni operative. In generale i più utilizzati sono i compressori a lobi (Roots), quelli a palette, a viti
e ad anello liquido. Grazie alla rotazione della/e camera/e per la variazione del volume dello statore il
sistema di distribuzione risulta inutile in qualsiasi macchina volumetrica rotativa (si parla infatti di
capacità autodistributiva della macchina, proprio perché le luci di aspirazione e mandata si aprono per
determinate posizioni angolari della parte rotorica). I compressori Roots presentano la parte rotorica
costituita da due profili controrotanti in ghisa o in una lega metallica di minore densità (dipende dalla
particolare applicazione). Le parti finali dei rotori sono entrambe lubrificate con olio motore, anche se
una sola è solitamente quella motrice. Ogni rotore è dotato di 2 o più lobi (anche se usualmente sono
massimo 3) caratterizzati da uno sviluppo solitamente elicoidale (Figura 117).

Figura 117. Esempi di compressori a ingranaggi Roots e principio di funzionamento.

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123

La compressione avviene grazie al gas di riflusso in camera in quanto questa risulta avere un volume
costante e per questo motivo i rapporti massimi di compressione sono dell’ordine di 1.75 nel caso di
monostadio e di 2.5 nel caso di bi-stadio. Vengono utilizzati anche per il vuoto. La pressione massima
accettabile in camera è di circa 25 bar, dipendente poi dal materiale di costruzione, ma non supera mai
i 30 bar. Le portate erogate vanno da 30 a 80000 metri cubi ora a seconda del modello e vengono
spesso utilizzati per l’aerazione di tunnel, fogne, come compressori da vuoto per il recupero di gas e in
campo petrolchimico. Il vantaggio di questi compressori è che l’unica parte lubrificata, la parte
posteriore, non entra mai in contatto con il gas processato, per cui possono anche essere utilizzati in
campo alimentare e farmaceutico. La non lubrificazione però richiede delle tolleranze e dei giochi fra
gli ingranaggi che causano una riduzione del rendimento volumetrico per le perdite per trafilamento
(i giochi meccanici non possono ridursi oltre un certo valore altrimenti i rotori si incastrerebbero
bloccando la macchina). Il rendimento meccanico di queste macchine è molto elevato (0.96-0.98) in
quanto non vi è strisciamento fra parte rotorica e statorica, i rotori non sono mai a contatto così come
i due alberi, di cui uno solo è motore che trascina l’altro mediante una puleggia e ruote dentate, le
uniche parti lubrificate. Il rendimento volumetrico è invece dell’ordine di 0.85-0.94. La portata erogata
dalla macchina può calcolarsi in funzione del numero dei lobi fra tutti i rotori il come (V è il volume
della camera in metri cubi, quindi la cilindrata, il fattore di riempimento volumetrico è circa pari a
0.97-0.98 considerando la quasi totale assenza di volume morto):

𝑚̇ = 𝑖𝑙 𝑛𝑉𝜌𝑎𝑠𝑝 𝜆𝑣 (61)

Figura 118 riporta l’andamento delle trasformazioni del gas sul piano P-V.

Figura 118. Ciclo di lavoro per un compressore Roots.

Si nota immediatamente come in questo caso non esistano volumi morti e che tutto il volume della
camera venga impiegato dal gas per la compressione. Il lavoro di compressione sarà dato direttamente
dal prodotto fra la variazione di pressione subita per il volume della camera mentre la potenza
assorbita sarà data dal prodotto fra il lavoro di compressione, il numero dei lobi, la velocità di
rotazione diviso per il rendimento meccanico. La compressione può considerarsi isentropica con
buona approssimazione, per cui anche l’incremento di temperatura può essere calcolato come:
𝛾−1
𝑇2 = 𝑇1 [1 + (𝑅𝑐 − 1)] (62)
𝜂𝑣 𝛾

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124

Per aumentare il rapporto di compressione massimo si possono utilizzare due compressori in serie,
con il secondo caratterizzato sempre da un valore minore della cilindrata, calcolabile, nel caso di inter-
refrigerazione uniforme e mantenendo costante la velocità di rotazione e rendimento volumetrico,
direttamente come:
𝑉𝐼
= 𝑅𝑐 (63)
𝑉𝐼𝐼

Questo perché la portata volumetrica del gas si riduce a causa della prima compressione subita nel
primo stadio.

La regolazione di queste macchine viene operata principalmente variando n (quando possibile), con
un bypass o, in determinati casi, laminando la portata in aspirazione. Quest’ultima regolazione viene
fatta solo se è valida la seguente espressione:
1
𝜌𝑎𝑠𝑝 > 𝑚𝑚−1 (64)

Questo perché in caso contrario il lavoro speso per la laminazione sarebbe maggiore di quello
risparmiato per la compressione di un a minore portata di gas. Ovviamente in impianto, nel caso in cui
non si potesse operare attraverso le prime due vie e non fosse rispettata la (64) la regolazione
verrebbe comunque fatta laminando l’aspirazione.

I compressori a palette sono delle macchine che permettono di raggiungere rapporti di compressione
per stadio anche pari a 5-6, le portate erogabili sono massimo dell’ordine dei 100 metri cubi ora e sono
macchine molto impiegate in diversi settori industriali, con pressioni di mandata fino a 7-8 bar. Sono
di facile accesso, di semplice manutenzione e hanno poche parti in movimento, con elevati rendimenti
sia meccanici che volumetrici (Figura 119).

Figura 119. Esempi di compressori a palette e particolari costruttivi.

Il rotore (1) è montato eccentricamente in uno statore incamiciato (7), dove passa il fluido di
refrigerazione. Il principio di funzionamento è stato già illustrato nel caso delle pompe a palette mobili
e rigide. Grazie alle tenute quasi perfette, questi compressori sono molto adatti per la produzione del

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125

vuoto. Spesso non viene utilizzato alcun lubrificante e per questo le palette sono costruite in materiale
anti-fouling, per esempio grafite. Nel caso di utilizzo di lubrificante, il rendimento volumetrico diventa
pari a 1 (risulta comunque essere molto elevato anche nel caso di funzionamento a secco, ordine 0.95-
098, lo stesso vale per il rendimento meccanico). Anche in questo caso la compressione può
considerarsi con ottima approssimazione isentropica (la Figura 120 riporta il ciclo di lavoro di un
compressore a palette).

Figura 120. Ciclo di lavoro di un compressore a palette.

La portata erogata può calcolarsi come (iv è il numero di vani o palette):

𝑚̇ = 𝑖𝑣 𝑛𝑉𝜌𝑎𝑠𝑝 (65)

poiché il rendimento volumetrico e il coefficiente di riempimento sono praticamente unitari. Dal


grafico in Figura 120 si può notare come in questo caso la compressione sia graduale, dovuta alla
variazione dei volumi attraversati dal gas, che per questo viene compresso (la cilindrata passa da V a
0 durante il funzionamento). Il ciclo di lavoro prevede il raggiungimento da parte del gas di una
pressione intermedia, pi. A seconda poi che la pressione a valle della mandata sia uguale, minore o
maggiore di questa pressione intermedia il ciclo segue rispettivamente il percorso C’-D’, C’-C-D o C’-
C’’-D’’. Nel primo caso si avrà un riflusso del gas in camera per riequilibrare le pressioni. Il lavoro
dell’intero ciclo può essere calcolato come:

𝑚 𝑉𝑚𝑎𝑥 𝑚−1 𝑉𝑚𝑖𝑛 𝑉𝑚𝑎𝑥 𝑚


𝐿𝑐 = 𝑉𝑃1 { [( ) − 1] + [𝑅 − ( ) ]} (66)
𝑚 − 1 𝑉𝑚𝑖𝑛 𝑉𝑚𝑎𝑥 𝑐 𝑉𝑚𝑖𝑛

dove i volumi max e min sono riferiti al gas in camera. La potenza assorbita sarà quindi data dal
prodotto fra il lavoro al ciclo, il numero dei vani, n diviso per il rendimento meccanico.

L’ultima tipologia di compressori affrontata riguarda i compressori a viti. Queste macchine sono
analoghe alle pompe a vite per funzionamento e meccanica, vengono utilizzate in moltissime
applicazioni industriali, così come nel campo sanitario e farmaceutico. Possono essere sia lubrificati

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126

che non, a seconda dell’applicazione (nel primo caso ovviamente il rapporto massimo di compressione
sarà minore. Si arriva fino a 40 bar di pressioni di mandata, con portate da 300 a 60000 metri cubi ora.
Nel caso di funzionamento per vuoto, si arriva a pressioni assolute di 0.09 bar. Queste macchine hanno
rapporti di compressione dell’ordine di 3-4, usualmente 2-3 e dipende dalla lunghezza dei rotori.
Infatti la regolazione del rapporto di compressione avviene proprio mediante una regolazione a
cassetto, cioè si usa una valvola a scorrimento per regolare l’apertura dello scarico, regolando di fatto
la lunghezza del rotore incontrata dal gas. La parte rotorica è composta da un rotore maschio e uno
femmina, trasportato da quello maschio (Figura 121).

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127

Figura 121. Esempi di compressori a vite e principio di funzionamento.

Nel caso di macchine lubrificate l’olio entra in contatto con il gas, e assume la funzione anche di liquido
di raffreddamento, per cui nel caso di multistadio non sarà necessario usare inter-refrigerazione. L’olio
garantisce anche, come nel caso del compressore a palette, l’incremento della tenuta e un aumento del
rendimento volumetrico, funzione comunque del rapporto di compressione (Figura 122).

Figura 122. Curve di rendimento in funzione del rapporto di compressione e curve caratteristiche
della macchina con diagramma collinare.

Nel caso di macchina lubrificata la compressione si avvicina quasi a quella isoterma.

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128

La potenza persa durante il funzionamento è funzione di due fattori di perdita empirici Nid e Cf (Figura
123) e della geometria della macchina secondo la seguente equazione (L e D [m] sono rispettivamente
lunghezza e diametro dei rotori):
𝐿
𝑃𝑝 = 𝑛𝑉𝑁𝑖𝑑 𝐶𝑓 𝑃1 𝑚 (67)
𝐷

Figura 123. Fattori empirici in funzione dell’angolo della vite (wrap angle) e del numero di Mach.

Per cui la potenza assorbita sarà data da:


𝑚−1
𝑚−1 𝑚
𝑃𝑝 + 𝑛𝑉𝑃1 ( − 1]
𝑚 ) [𝑅𝑐
(68)
𝜂𝑚

E la portata erogata sarà invece data sempre dal prodotto del rendimento volumetrico per n, V e la
densità del gas in aspirazione.

3.5 Cenni sulla installazione, collaudo e manutenzione dei compressori


L’installazione di grandi compressori viene eseguita usualmente da un gruppo di almeno 4-5 operativi
esperti, in quanto trattasi di macchine particolarmente costose (a seconda della potenza installata si
va dai 50000 ai 2-3 milioni di euro per gruppo macchina-motore o macchina-turbina). Le parti che

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129

richiedono maggiormente manutenzione, nel caso dei centrifughi, sono sicuramente la turbina,
l’inducer, la palettatura sia del distributore che del diffusore e in generale gli organi di tenuta e le parti
soggette a maggiore usura e lubrificazione. Nel caso degli alternativi le parti che richiedono una
maggiore cura sono le valvole e gli organi in movimento, nel caso dei volumetrici sicuramente l’organo
in movimento e, dove presenti, le guarnizioni e altri elementi di tenuta.

A titolo di esempio si riportano alcuni accorgimenti e buone pratiche da seguire per l’installazione di
un compressore alternativo a pistoni. In particolare, queste macchine vengono consegnate usualmente
piene di azoto gassoso, questo per evitare che assorba umidità (vale per qualsiasi compressore) per
cui fino al momento dell’installazione è bene evitarne l’apertura. Il gruppo macchina-motore, a
seconda della dimensione, ingombro su pianta, spazio disponibile in sito e livello di vibrazioni
massimo consentito può essere installato direttamente su un blocco di cemento e fissato con viti di
ancoraggio o se munito di base metallica lo si può montare o su un blocco di cemento o su uno
smorzatore di vibrazioni. La struttura in cemento è del tutto analoga a quella già vista per le pompe,
ma in questo caso vengono sempre montati dei pannelli di sughero compresso per l’assorbimento delle
vibrazioni. Una volta montato il gruppo macchina-motore e livellato, è possibile collegare le linee di
aspirazione e mandata, sempre evitando che vi siano carichi o momenti sul compressore. Le linee
devono essere munite di valvole di intercettazione e vengono fissate con fermi in entrambe le direzioni
per evitare la propagazione delle vibrazioni dalla macchina alle tubazioni. A valle dell’installazione la
macchina sarà a secco, e così deve rimanere fino a che non viene eseguito il test di tenuta (usualmente
vengono eseguiti in fase di collaudo, ma in sito, soprattutto nel caso di grandi macchine, è opportuno
eseguire altri test di tenuta). Il test viene fatto sia in pressione che in depressione, sempre usando
azoto secco e mai aria. Il test deve avere una durata di almeno 24 ed eventuali perdite ammissibili nelle
prime 6 ore sono dell’ordine del 2%. Durante le prove vanno monitorate pressione interna,
temperatura ambiente, interna ed esterna alla macchina. Prima di procedere alla carica dell’olio è
necessario svuotare la macchina dall’azoto secco, usando pompe da vuoto e lavorando intorno ai 5-8
mbar. Per capire se è presente umidità nel sistema è sufficiente monitorare la pressione interna a valle
della rottura del vuoto (se aumenta vuol dire che è ancora presente umidità residua). La prima carica
di olio è di fondamentale importanza, in quanto nelle prime 100 ore di funzionamento il monitoraggio
della macchina è più serrato. L’olio non si carica mai dalla linea di aspirazione, ma si riempie
direttamente il carter mediante il rubinetto di carico/scarico o se presente si riempie prima il
separatore e poi il carter. Le valvole di intercettazione sulle linee ed eventuale linea di ritorno olio
devono essere chiuse durante l’operazione di carico. Prima dell’avvio macchina è necessario pre-
lubrificare (vicino il separatore è presente una valvola di lubrificazione preliminare da manovrare in
questi casi). Il sistema oleodinamico deve mantenersi a una certa temperatura e pressione
differenziale con la macchina, per cui è necessario monitorare entrambe durante il funzionamento, per
evitare degradazione dell’olio e danni alla macchina. L’olio di ottima qualità in generale può essere
cambiato ogni 5000 ore di funzionamento (anche se spesso si usano oli minerali di media qualità da
cambiare ogni 2000 ore, ma anche questo dipende da caso a caso). Esiste poi una temperatura minima
per l’olio (solitamente intorno ai 50°C) che deve essere raggiunta prima dell’avvio iniziale della
macchina. Prima comunque di passare all’avvio macchina è necessario controllare la direzione di
rotazione dell’albero motore, procedere quindi all’accoppiamento con il motore elettrico o con la
turbina e procedere all’aumento di temperatura dell’olio. L’avvio di queste macchine viene usualmente
fatto con valvola di mandata aperta e aspirazione chiusa o aperta a seconda della tipologia di fluido
trattato e della sua temperatura di evaporazione (usualmente si avvia con valvola chiusa). Il primo

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130

avvio è il più delicato, si controlla la temperatura dell’olio e il livello nel carter, poi si avvia il motore
(tra avviamento e arresto si aspettano almeno 2 min tra due avviamenti almeno 10 min, e in generale
queste macchine possono essere quindi avviate massimo 6 volte per ora, ma dipende ovviamente dai
dati forniti dal costruttore quindi dalla tipologia e potenza del motore), e si apre lentamente la valvola
di intercettazione in aspirazione controllando la pressione in aspirazione che non deve superare il
valore massimo consentito. Si verificano quindi corrente nominale, temperatura di scarico gas, si
regolano le valvole dei manometri e si apre la valvola di intercettazione sulla linea di ritorno dell’olio
dal separatore (se presente). Dopo le prime 50 ore di funzionamento è bene controllare e riavvitare i
bulloni del giunto dell’albero, controllare la tensione delle cinghie e i bulloni di fondazione. Il riavvio
macchina dopo 1 mese di fermo necessita sempre di pre-lubrificazione (consigliabile comunque
operarla anche dopo un fermo di 20 giorni). La manutenzione ordinaria della macchina richiede delle
ispezioni più o meno frequenti a seconda dei punti di monitoraggio visivo e prestazionale. Oltre quindi
al controllo sulle temperature e pressioni della macchina e dell’olio è sempre necessario controllare le
condizioni delle cinghie di trasmissione, delle valvole, il colore dell’olio, il livello dell’olio nel carter, la
massima perdita di olio dalle tenute (a seconda della tipologia di tenuta), l’ampiezza delle vibrazioni e
soprattutto il rumore. Nel caso in cui il livello dell’olio nel carter presente nella carcassa del
compressore scenda al di sotto del limite (25% del volume totale) è possibile rabboccarlo anche con
compressore in esercizio (il livello massimo invece non deve superare il 75% del volume totale del
carter). Altre parti fondamentale da manutentare sono i filtri gas e filtri olio (il primo da sostituire è
quello di mandata dell’olio, usualmente va sostituito dopo le prime 100 ore di funzionamento e dopo
in funzione delle condizioni di sporcamento trovate). I controlli fatti dopo le prime 50 ore di
funzionamento vanno fatti anche dopo le successive 50 ore, ma in questo caso va anche sostituito filtro
olio, olio e controllata la tenuta dell’albero motore.

Queste indicazioni generali possono essere in parte prese in considerazione anche nel caso di
installazione e manutenzione dei compressori centrifughi. Problema particolarmente rilevante per
queste macchine nel caso di processamento di idrocarburi è invece il fouling. Lo sporcamento
principalmente colpisce le palette della girante e solo in piccola parte del distributore.
Sperimentalmente si è visto che le reazioni di polimerizzazione degli idrocarburi con successivo
deposito è favorito per temperature superiori ai 90°C, nel caso di palette ruvide (pistoni con testa
ruvida, anche se il fouling è un problema minore per gli alternativi, ma è bene tenerne conto), alte
pressioni interne e presenza di idrocarburi a doppio e triplo legame. Le conseguenze dello
sporcamento sono molteplici: (i) sbilanciamento della parte rotorica, con conseguente aumento delle
vibrazioni, rumore e possibile fermo macchina per pulizia, (ii) riduzione dei giochi fra parte rotorica e
statorica e quindi aumento dell’abrasione di entrambe le parti; (iii) riduzione dell’efficienza di
compressione, a causa dell’attrito dovuto al deposito, a causa della riduzione dell’area di passaggio del
flusso di fluido e per le variazioni di pressione che ne conseguono. Per limitare questi problemi oggi
esistono delle resine a film da depositare sulle palette o comunque si usano coating attivi che
inibiscono le reazioni di polimerizzazione (questi rivestimenti attivi contengono anche inibitori di
corrosione, quali cromati e complessi metallo-organici).

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4. Eiettori

Un eiettore è una macchina fluidodinamica operatrice statica, utilizzata in numerose applicazioni


industriali e ambientali, essendo particolarmente versatili, poco costosi, poco pesanti, poco
ingombranti, caratterizzate da bassissime vibrazioni e rumore emesso, molto affidabili e di semplice
installazione e manutenzione. Lo svantaggio principale degli eiettori è il bassissimo rendimento, pari
al massimo al 32-35%, ma in generale dell’ordine dei 25-28% a causa principalmente del regime
fortemente turbolento che si instaura al loro interno, a causa degli attriti fra le diverse sezioni della
macchina. Inoltre il rendimento si riduce molto rapidamente con l’allontanarsi delle condizioni
operative da quelle di progetto. Gli eiettori vengono chiamati anche iniettori nel caso in cui lo scopo
dell’applicazione fosse immettere un fluido in un ambiente, mantengono il loro classico nome invece
se lo scopo è quello di estrarre un fluido. Gli eiettori vengono anche chiamati jet pump. Possono essere
utilizzati per fluidi incomprimibili e in questo caso si parlerà di eductors o liquid jet pump, muniti di
ugelli puramente convergenti, o per fluidi comprimibili, gas jet pump, muniti di ugelli supersonici
convergente-divergente. Gli eiettori possono essere utilizzati anche per miscele bifasiche o trifasiche
nel caso di trasporto di fluidi con particolato sospeso. Il principio di funzionamento dell’eiettore è
basato sul trasferimento di parte dell’energia cinetica del fluido primario o motore al fluido secondario
o aspirato mediante miscelazione dei due fluidi in determinate condizioni. Nel caso degli eductors il
trasporto del fluido secondario e quindi l’incremento finale di pressione è dovuto semplicemente
all’effetto Venturi, in quanto al passaggio del fluido motore dal convergente alla camera di
miscelazione si genera una depressione che richiama il fluido secondario (aumenta la velocità del
fluido primario e si riduce la pressione locale in uscita all’ugello). Nel caso degli eiettori per aeriformi
invece il trasporto del fluido secondario è dovuto a diversi fenomeni che vedremo nel dettaglio in
seguito. Figura 124 riporta due sezioni di un eiettore per liquidi e uno per gas e alcune foto di eiettori.

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Figura 124. Immagini di diversi eiettori.

Le applicazioni degli eductors sono numerose, vengono utilizzati per il sollevamento di liquidi da pozzi,
a monte di pompe centrifughe per ridurre l’insorgenza di cavitazione (essendo inoltre autoadescanti
riducono i tempi di avvio macchina), come aeratori nelle vasche biologiche, ecc.

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133

4.1 Funzionamento
Gli eiettori sono costituiti in generale da quattro parti fondamentali: (i) ugello, (ii) camera di
miscelazione, (iii) sezione di gola (ad area costante) e (iv) diffusore (dove il flusso deve essere
subsonico per il recupero di energia potenziale e quindi l’incremento di pressione dovuto alla
riduzione della velocità della miscela). La progettazione dell’ugello è un’operazione particolarmente
delicata, in quanto il corretto funzionamento dell’eiettore dipende per oltre il 50% da come lo si
progetta. In questo testo si tratteranno esclusivamente gli eiettori per aeriformi, in quanto di maggiore
interesse per gli ingegneri chimici (gli eiettori vengono utilizzati per creare il vuoto in testa colonna,
negli evaporatori, cristallizzatori ecc.). L’ugello degli eiettori viene costruito in bronzo, in monel,
acciaio, grafite o in haveg61 (una resina a base di furfurolo-formale) mentre il corpo macchina
usualmente in acciaio o bronzo, a seconda della tipologia di fluidi da trattare. Nel caso di macchine
monofase (gas-gas o vapore-gas) il massimo rapporto di compressione è di 3.5-4 (rapporto fra la
pressione in uscita della miscela fluido primario/secondario e la pressione iniziale del fluido
secondario), mentre nel caso dei bifasici (liquido-gas o liquido-vapore) non si supera 1.5. I parametri
chiave del funzionamento sono il rapporto di espansione Re (rapporto fra la pressione del fluido
motore Pd [Pa] e del fluido secondario Ps [Pa]), il rapporto di compressione Rc (rapporto fra la PF [Pa]
della miscela in uscita e la Ps) l’entrainment ratio ER (rapporto fra la portata di fluido secondario e di
fluido motore, da cui dipende il punto di lavoro della macchina dato che influenza notevolmente il
rendimento totale, vedere Figura 125), le temperature e masse molari dei fluidi, il numero di Mach
nella sezione di gola dell’ugello convergente-divergente, il rapporto fra le densità del fluido
secondario/primario e le sezioni dell’ugello e della macchina. Dall’elevato numero di variabili che
influenzano il funzionamento di queste macchine si comprende la complessità della modellazione e
della loro progettazione.

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134

Figura 125. Influenza di ER sul rendimento degli eiettori e curve caratteristiche tipiche degli eiettori
monofasici per aeriformi.

Per comprendere il funzionamento degli eiettori con ugello supersonico convergente-divergente è


necessario fare alcuni richiami sul regime di flusso negli ugelli. Si consideri il caso di gas ideali e
trasformazioni isentropiche. Si prenda in esame lo schema riportato in Figura 126. Fino a che il numero
di Mach si attesta al di sotto o pari all’unità (casi (i), (ii) e (iii)), quindi fino a che il regime di flusso
rimane in condizioni subsoniche, nella sezione divergente il flusso recupera pressione (nella sezione
di passaggio da convergente a divergente si arriva a un minimo di pressione per Ma=1, con la pressione
che diventa pari a quella critica, cioè di flusso sonico P*). Oltre le condizioni soniche invece, quindi
riducendo ancora la back pressure Pb [Pa] al di sotto della pressione critica, nel divergente non si ha
più un recupero di pressione bensì una riduzione repentina (caso (iv)). Elemento di notevole
importanza è poi la conseguenza di una ulteriore riduzione della Pb (caso (v)) che non causa alcuna
variazione del profilo della pressione statica a monte (incontrollabilità delle condizioni di monte in
condizioni supersoniche, vedere blocco sonico nei compressori).

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Figura 126. Schematizzazione di un ugello convergente-divergente e diagramma della pressione


statica.

Il raggiungimento di condizioni supersoniche nel divergente permette di aumentare notevolmente la


velocità del flusso e di ridurre notevolmente la pressione in uscita. Usualmente il flusso in uscita dal
divergente raggiunge Mach 3-4. Questo avviene secondo la semplice legge area di passaggio del
flusso/velocità del flusso:
𝑑𝐴 𝑑𝑢
=− (1 − 𝑀𝑎2 ) (69)
𝐴 𝑢

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136

Secondo cui si evince come in condizioni subsoniche un aumento di sezione causi una riduzione di
velocità e quindi un aumento di pressione, mentre nel caso di condizioni supersoniche avvenga
esattamente il contrario. Questa proprietà viene sfruttata negli eiettori per aeriformi per migliorare il
rendimento della macchina e raggiungere più rapidamente la depressione in uscita dall’ugello
necessaria per richiamare il fluido secondario. Nel caso di trasformazioni ideali e di =cp/cv=1.4 si
possono calcolare i seguenti rapporti critici (Ma=1, si veda inoltre Figura 127 con Ae/A* rapporto fra
area di uscita del divergente e area della sezione di passaggio convergente-divergente detta sezione di
gola):
𝛾
𝑃∗ 2 𝛾−1
=( ) = 0.528 (70)
𝑃 𝛾+1
𝑇∗ 2
= = 0.833 (71)
𝑇 𝛾+1
1
𝜌∗ 2 𝛾−1
=( ) = 0.634 (72)
𝜌 𝛾+1

La portata in uscita dall’ugello può calcolarsi invece con la seguente equazione:

𝛾+1
𝐴∗ 𝑃 √𝛾𝑀𝑚 2 𝛾−1
𝑚̇ = ( ) (73)
𝑇 𝑅 𝛾+1

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137

Figura 127. Andamento dei rapporti di densità, pressione, area e temperatura in funzione del numero
di Mach.

Nel caso specifico questo implica che se la pressione di valle è minore di 0.528 volte quella di monte il
flusso va in regime supersonico, e lo stesso vale per le altre proprietà. Nell’eiettore il gas primario entra
nell’ugello, dove subisce una compressione secondo una politropica 1-2 (si veda Figura 127 in basso
dove le trasformazioni subite dai fluidi sono rappresentate sul piano di Mollier) e si miscela quindi
nella camera di miscelazione con un fluido secondario comprimendosi (trasformazione 3-3’) creando
una miscela che successivamente subisce una compressione politropica 4-5 dopo la sezione di gola
dell’eiettore (nel diffusore), dove il flusso da supersonico passa a subsonico prima di entrare nel
diffusore con una generazione di un’onda di shock (la cui posizione dipende dalla pressione a valle del
diffusore).

4.2 Progettazione di un eiettore


Ora che il funzionamento di un ugello convergente-divergente risulta più chiaro è possibile trattare il
dimensionamento di un eiettore con un modello semplificato. Si consideri lo schema riportato in
Figura 128. La macchina è stata suddivisa in 6 sezioni fondamentali, sezione di gola dell’ugello 1,
sezione di uscita del divergente dell’ugello 2, sezione finale della camera di miscelazione e iniziale della
gola dell’eiettore 3, sezione di propagazione dell’onda di shock 4, sezione iniziale del diffusore 5 e
sezione di uscita del diffusore 6. La posizione di inizio propagazione dell’onda di shock nella gola
dipende dalla pressione di valle che dovrà essere necessariamente superiore rispetto al rapporto
critico di pressione della particolare miscela (nel caso di aria dovrà quindi essere superiore almeno al
53% circa della pressione di monte). Nel caso in cui si dovesse avere una pressione di valle troppo
elevata rispetto al rapporto critico si potrebbe avere l’onda di shock prima della gola e ciò causerebbe
una riduzione di ER e quindi del rendimento della macchina. Nel caso contrario invece non si avrebbe
la generazione dell’onda di shock e quindi il flusso rimarrebbe in regime supersonico anche nel
diffusore, in cui la pressione continuerebbe a ridursi a causa dell’aumento di velocità causando
possibili danni alle apparecchiature di valle (solitamente condensatori o altri eiettori nel caso di multi-
eiettori) e al diffusore stesso (erosione ecc.).

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138

Figura 128. Sezione longitudinale dell’eiettore e profile di velocità e pressione.

Le ipotesi del modello qui utilizzato sono:

 pressione della miscela di gas costante in camera di miscelazione;


 gas ideali e trasformazioni isentropiche;
 flusso adiabatico, monodimensionale e condizioni di stato stazionario;
 fluido primario e secondario con massa molare e rapporto dei calori specifici simile e
considerato uguale nel caso di loro miscela (per non appesantire la nomenclatura delle
equazioni di progetto);
 perdite per attrito tenute in conto attraverso i rendimenti dell’ugello n, del diffusore d e della
camera di miscelazione mix.

Si considerino quindi le seguenti equazioni di progetto (pedice d indica le grandezze relative al fluido
primario, pedice s relative al fluido secondario mentre l’assenza del pedice alfabetico indica le
grandezze relative alla miscela, gli ulteriori pedici numerici si riferiscono alle sezioni in cui si calcolano
le grandezze, come riportato in Figura 128, FF [kg/s] è la portata del fluido miscelato in uscita dal
diffusore):

𝐹𝐹 = 𝐹𝑑 + 𝐹𝑠 (74)

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139

𝛾−1
2𝜂𝑛 𝑃𝑑 𝛾
𝑀𝑎𝑑2 =√ [( ) − 1] (75)
𝛾 − 1 𝑃2

𝛾−1
2 𝑃𝑠 𝛾
𝑀𝑎𝑠2 =√ [( ) − 1] (76)
𝛾 − 1 𝑃2

𝑀𝑎𝑗𝑖 (𝛾 + 1)
𝑀𝑎𝑗𝑖 ∗ = √ (77)
𝑀𝑎𝑗𝑖 (𝛾 − 1) + 2

∗ 𝑇
𝑀𝑎𝑠2 ∗ + 𝑀𝑎𝑠2 𝐸𝑅√ 𝑠⁄𝑇
𝑑
𝑀𝑎4 ∗ = (78)
√(1 + 𝐸𝑅)(1 + 𝐸𝑅 𝑇𝑠⁄𝑇 )
𝑑

2 2
𝛾 − 1 + 𝑀𝑎4
𝑀𝑎5 = √ (79)
2𝛾 2
𝛾 − 1 𝑀𝑎4 − 1

1 + 𝛾𝑀𝑎42
𝑃2 = 𝑃3 = 𝑃4 → 𝑃5 = 𝑃4 ( ) (80)
1 + 𝛾𝑀𝑎52

𝜂𝑑 (𝛾 − 1) 𝛾
𝑃6 = 𝑃5 [ 𝑀𝑎52 + 1] 𝛾−1 (81)
2

𝛾+1
𝐹𝑑 𝑅𝑇𝑑 𝛾 + 1 𝛾−1
𝐴1 = √ [( ) ] (82)
𝑃𝑑 𝛾𝑀𝑚 𝜂𝑛 2

𝛾+1
2 𝛾−1 2 𝛾−1
√[𝛾 + 1 (1 + 2 𝑀𝑎𝑑2 )]
𝐴2 = 𝐴1 2 (83)
𝑀𝑎𝑑2
−1
𝛾−1
1/𝛾
𝑃
1/2 ( 2 )
𝑃2 𝛾
√[1 − ( ) ]
𝑃6 1 𝑃6 𝑃6
𝐴3 = 𝐴1 [ ] 1 (84)
𝑃𝑑 (1 + 𝐸𝑅)(1 + 𝐸𝑅 𝑇𝑠⁄ ) 2 𝛾−1 2
𝑇𝑑 (𝛾 + 1) √1 −
𝛾+1
{ }
Dove nell’equazione (77) j indica o d o s a seconda rispetto a quale fluido si sta calcolando il Mach
critico e i indica la sezione. Con queste equazioni è possibile progettare l’eiettore fino alla sezione di
gola. In particolare l’iter da seguire è il seguente:

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140

 definire ER, FF, P6, Ps, Pd, Ts e i rendimenti (valori tipici sono 0.7, 0.65 e 0.8 per l’ugello, il
diffusore e la camera di miscelazione);
 si calcola quindi Fs e Fd dalla (74) e dal valore di ER (definito in funzione della curva del
rendimento e della pressione di uscita, ma da ricercare usualmente nel range 0.1-1.5 ma
dipendente dai fattori già definiti, si può arrivare anche a valori oltre 8-10);
 si procede quindi utilizzando un valore di primo tentativo di P2 e si risolvono le equazioni da
(75) a (81) iterativamente fino a convergenza su P6 (usualmente si pone |𝑃6 − 𝑃6𝑐𝑎𝑙𝑐𝑜𝑙𝑜 | ≤ 0.05);
 si usano infine le equazioni (82)-(84) per il calcolo delle aree.

Un calcolo aggiuntivo, qui proposto dall’Autore, può essere impiegato per la stima dell’area di uscita
del diffusore (le varie lunghezze saranno infine funzione di ER, e si ricavano una volta definiti gli angoli
di apertura e chiusura delle sezioni). Per questo calcolo si procede individuando in primis le densità
iniziali dei due fluidi e le temperature e densità nella sezione 2 un istante prima della miscelazione:
𝑃𝑑 𝑀𝑚 𝑃𝑠 𝑀𝑚
𝜌𝑑 = , 𝜌𝑠 = (85)
𝑅𝑇𝑑 𝑅𝑇𝑠
𝑇𝑑 𝑇𝑠
𝑇𝑑2 = , 𝑇𝑠2 = (86)
2 𝛾−1 2 𝛾−1
1 + 𝑀𝑎𝑑2 1 + 𝑀𝑎𝑠2
2𝜂𝑛 2𝜂𝑚𝑖𝑥
𝜌𝑑 𝜌𝑠
𝜌𝑑2 = 1 , 𝜌𝑠2 = 1 (87)
2 (𝛾 − 1) 2 (𝛾 − 1)
𝛾−1 𝛾−1
(1 + 𝑀𝑎𝑑2 2𝜂𝑛 ) (1 + 𝑀𝑎𝑠2 2𝜂𝑚𝑖𝑥 )

Si calcolano quindi a cascata le densità e temperature della miscela dalla sezione 3 alla 5:
1
𝜌𝑑2 (𝛾 − 1) 𝛾−1
𝜌4 (1 + 𝑀𝑎42
𝐸𝑅 + 𝜌 𝑠2 𝜌3 2 )
𝜌3 = → 𝜌4 = 1 → 𝜌5 = (88)
1 1
1 + 𝐸𝑅 2 (𝛾 − 1) 𝛾−1
2 (𝛾 − 1)
𝛾−1
(1 + 𝑀𝑎4 2 ) (1 + 𝑀𝑎5 2 )

𝑇𝑑2 (𝛾 − 1)
+ 𝑇𝑠2 𝑇 𝑇4 1 + [𝑀𝑎42 2 ]
𝑇3 = 𝐸𝑅
3
→ 𝑇4 = → 𝑇5 = (89)
1 (𝛾 − 1) (𝛾 − 1)
1 + 𝐸𝑅 1 + 𝑀𝑎42 2 1 + 𝑀𝑎52 2

Si passa quindi al calcolo della velocità del fluido nella sezione 4 (da cui si propaga l’onda di shock e
dove avviene il passaggio al regime subsonico) dal calcolo della velocità del suono c [m/s] sempre nella
stessa sezione:

𝑅𝑇4 𝛾
𝑐4 = √ → 𝑢4 = 𝑐4 𝑀𝑎4 (90)
𝑀𝑚

Dalla legge di conservazione dell’energia nel caso ideale si ricava quindi la velocità della miscela nella
sezione 5:

𝑢5 = √𝑢42 − 𝑐𝑝 (𝑇5 − 𝑇4 ) (91)

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141

Dalla legge dell’isentropica si ricavano la temperatura e la densità della miscela nella sezione 6 e si
calcolano le entalpie specifiche nelle sezioni 5 e 6:
𝛾−1 1
𝑃6 𝛾 𝑃6 𝛾
𝑇6 = 𝑇5 ( ) , 𝜌6 = 𝜌5 ( ) , ℎ5 = 𝑐𝑝 𝑇5 , ℎ6 = 𝑐𝑝 𝑇6 (92)
𝑃5 𝑃5

Infine si ricavano la velocità della miscela nella sezione 6 e l’area della sezione 6 utilizzando
l’equazione di continuità e la conservazione dell’energia dalla sezione 5 alla 6 (con A5=A3 trovata in
precedenza):

𝜌6 𝐴6 𝑢6 = 𝜌5 𝐴5 𝑢5 (93)

ℎ6 + 𝑢62 = ℎ5 + 𝑢52 (94)

4.3 Esempi di applicazione dei sistemi di eiezione industriali e di controllo macchina


A seconda della particolare applicazione è necessario impiegare più di un eiettore in serie con o senza
inter-condensazione. La scelta dell’eiettore dipende dal grado di vuoto che si vuole ottenere e dalla
portata di vapore motore che si può utilizzare, cercando di ridurre al minimo le variazioni di Fd in fase
di esercizio per non allontanarsi troppo dal punto di massimo rendimento di progetto. Considerando
quindi vapore di media pressione come fluido motore, si sceglie il particolare sistema di eiezione in
base al vuoto e alle curve di capacità della macchina fornite dal costruttore, da cui poi si ricava il
numero di eiettori necessari e la portata di fluido motore da utilizzare (Figura 129).

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142

Figura 129. Alcune curve di capacità (portata volumetrica totale trattata dalla macchina) di eiettori e
curve per la scelta del numero di macchine da collegare in serie (il vuoto è riportato come mm di Hg
assoluti).

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143

In generale per il calcolo del consumo di fluido motore si usano le curve di performance dei singoli
eiettori che riportano sull’asse delle ascisse la portata equivalente di vapor d’acqua. Si calcola quindi
in funzione dei fattori correttivi sulla temperatura e sulla massa molare del fluido secondario la portata
di vapore equivalente a 21°C e si individua la pressione massima di aspirazione (che si poteva
individuare anche da curve come quelle riportate in 129). Nota la portata di vapore equivalente (pari
a Fs diviso per i due fattori correttivi), in funzione di Rc e Re si ricava infine il consumo specifico di
vapore b [kg vapore motore/kg gas trattato espresso come vapore d’acqua equivalente] con i grafici
del consumo (Figura 130), che va moltiplicato per la portata di vapore equivalente per ottenere il
consumo effettivo di fluido motore.

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144

Figura 130. Curva di performance di un eiettore, fattori correttivi e curva del consumo specifico di
vapore.

Con un singolo eiettore è possibile arrivare al massimo a circa 50-60 mm Hg abs (quindi già per la
maggior parte delle unità di distillazione del greggio sotto vuoto sarebbe necessario utilizzare 2
eiettori dato che funzionano a 30 mm Hg abs), mentre per gradi di vuoto maggiori è necessario
utilizzare più iniettori in serie con o senza inter-condensazione. In generale il vapore motore deve
avere un massimo di umidità pari a 0.5% per evitare la formazione di troppa condensa nella gola
dell’ugello e successiva ri-evaporazione in camera di miscelazione dove si ha il minimo di pressione
con conseguente aumento della capacità oltre il valore di progetto, riduzione del rendimento della
macchina e possibili danni a valle. Inoltre le goccioline di condensa che viaggiano a velocità
supersonica si comportano come dei veri e propri proiettili nell’ugello, causandone il danneggiamento
per erosione. L’aumento della pressione del fluido motore può aumentare il grado di vuoto ottenibile
dall’eiettore ma non può incrementarne la capacità oltre un certo valore di progetto. Usualmente si
utilizza vapore di media pressione come fluido motore. La presenza di umidità nel fluido motore può
essere tollerata fino a un massimo del 2%, ma ciò causerà comunque la necessità di aumentare la
massima pressione di progetto di funzionamento della macchina (bisognerà cioè sovradimensionare
l’eiettore). Figura 131 riporta alcune dimensioni tipiche di eiettori singolo stadio.

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145

Figura 131. Dimensioni di un eiettore singolo stadio per vuoto fino a 60 mm Hg abs.

Nel caso di trasporto di fluidi corrosivi fino a 130°C si utilizzano solitamente eiettori in Haveg con
ugelli in grafite. La scelta dell’impiego di inter-condensazione nel caso di eiettori multistadio è
funzione della tipologia e qualità di fluido motore disponibile e della tipologia di gas da trasportare.
Nel caso in cui nell’ambiente da cui estrarre i gas per fare il vuoto fossero presenti percentuali
significative di incondensabili (oltre il 5%) e nel caso di cattiva qualità del fluido motore (umidità oltre
il 3%) l’inter-condensazione dovrebbe essere obbligatoria per eliminare parte della condensa e
ventare gli incondensabili. In generale l’inter-condensazione ha i seguenti vantaggi (Figura 132):

 si va a ridurre la Fs al secondo eiettore, andando di conseguenza a ridurne anche la Fd con un


risparmio sul secondo eiettore che sarà più piccolo e sul consumo di fluido motore;
 si riduce la temperatura dei gas in entrata al secondo eiettore, causando quindi un aumento
della densità del gas e una riduzione del volume specifico con vantaggi sempre sulla capacità
del secondo eiettore che potrà essere di minore dimensione;
 si ottiene una maggiore affidabilità e flessibilità del sistema da vuoto.

Di contro lo svantaggio principale è dovuto ai maggiori costi di acquisto e installazione, alla maggiore
manutenzione e alla necessità di un fluido di raffreddamento. Nel caso di sistema da vuoto per esempio
per CVDU (Crude Vacuum Distillation Unit) si usano sistemi bi-stadio di eiezione con inter-
condensazione. I condensatori usualmente si preferiscono a contatto diretto ad acqua, ma non sempre
è possibile a causa della necessità poi di trattare le acque di miscela per trasferimento di fase di parte
del fluido secondario. Per questo motivo si utilizzano dei classici shell and tube, ma con un numero e
una disposizione dei diaframmi nel mantello diversa da quella usualmente studiata nei corsi di
Impianti. In questo caso infatti, per evitare eccessive perdite di carico all’interno dell’apparecchiatura
e limitare quindi il consumo di fluido motore nel secondo eiettore, si utilizza un numero minimo di
diaframmi (il fluido refrigerante passa lato tubi, il gas trattato lato mantello, dove condensa
sull’esterno dei tubi alla pressione di richiamo del secondo eiettore a cui si sommano le perdite di
carico). Per evitare poi pompe di estrazione, se possibile in base allo spazio in impianto, si cerca di
posizionare il sistema da vuoto ad almeno 11 m (34 piedi) di altezza così da sfruttare un semplice
scaricatore barometrico dotato sempre di vent (Figura 132a).

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146

Figura 132a. Caso di eiettori bi-stadio con o senza inter-condensazione.

Nel sistema bi-stadio inter-condensato il primo eiettore è il più grande e viene detto di alta pressione
HP, mentre il successivo di bassa pressione LP. La portata che entra nel condensatore è sempre
maggiore di quella trattata dal secondo eiettore, poiché parte dei condensabili verrà appunto
allontanata dalla miscela. Questo implica che una riduzione della capacità del condensatore causerà
una riduzione del rilevante repentino dell’eiettore di valle. I problemi al condensatore sono per lo più
dovuti a possibili corrosione e sporcamento. Il fouling in particolare sui tubi degli scambiatori può
formare un film solido di idrocarburi condensati andando non solo a ridurre le performance
dell’apparecchiatura (si ridurrà il coefficiente di scambio globale) ma aumentando anche le perdite di
carico lato mantello, causando un aumento della pressione interna con conseguente maggiore richiesta
di fluido motore all’eiettore di valle. Per quanto riguarda le condizioni del fluido motore, molto
importanti sono sia la temperatura che la portata/pressione. In generale, a una riduzione della portata
di fluido motore segue una riduzione della Fs e di Rc con aumento del volume specifico del fluido motore
e riduzione dell’efficienza della macchina. Analoghe conseguenze sono causate da un aumento della
temperatura del fluido motore. Nel caso in cui non si potesse evitare uno di questi eventi sarebbe
necessario aumentare la sezione dell’ugello o cambiarlo. In particolare, gravi danni possono essere
causati da un aumento della pressione del fluido motore oltre il 20% rispetto alle condizioni di
progetto, poiché si potrebbe avere flusso supersonico anche nel diffusore, con conseguente ingente
riduzione della Fs e aumento di pressione in testa colonna. Se non si può evitare ciò, è necessario
ridurre la sezione di gola dell’eiettore o cambiarlo (vanno aumentate le perdite di carico per generare
l’onda di shock nella sezione di gola). I danni della presenza di condensa nel fluido motore sono già

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147

stati trattati, per accorgersi dell’eventuale presenza di umidità nel fluido motore è sufficiente
monitorarne la temperatura, che sarà minore rispetto a quella di vapore secco. Si evitano danni dovuti
alla presenza di condensa ponendo a monte dell’eiettore un demister. Altro fattore da monitorare è la
presenza di incondensabili nel gas trascinato. Questi potrebbero causare infatti un elevato aumento
del carico all’eiettore di downstream (il secondario).

Infine, il controllo dell’eiettore viene usualmente eseguito attraverso l’impiego di un gas di processo,
di ricircolo o secondario immesso sulla linea di aspirazione, variando quindi la Fs (come già visto nel
corso di Sistemi di Controllo degli Impianti Chimici). Come già detto in precedenza si tende a evitare
di variare la portata del fluido motore per evitare di allontanarsi velocemente dall’ottimo di
rendimento e per evitare un possibile blocco sonico del diffusore (Figura 132b).

Figura 132b. Esempio di controllo del vuoto in testa a una colonna di distillazione, manipolando la
portata di un gas inerte immesso in aspirazione a un eiettore (per il controllo della portata di vapore
motore si usa usualmente un FT-FC piuttosto che un PT-PC come riportato in figura).

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148

Questi gas sulla linea di aspirazione si preferisce che siano condensabili alla pressione di
funzionamento dell’inter-condensatore, così da ridurre il carico all’eiettore di downstream. Si lascia
infine al lettore interessato un link a una guida sul troubleshooting e la manutenzione degli eiettori
(http://uniquesystems.com/wp-content/uploads/2014/07/bulletin_pvs-80025121-
esm_ejector_maintenance.pdf) e una tabella riassuntiva in Figura 133.

Figura 133. Ejector troubleshooting.

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149

5. Turbine

Le turbine sono macchine motrici a flusso continuo, assiali o radiali o più comunemente a flusso misto,
in cui il fluido che attraversa la macchina cede la propria energia alle pale del rotore, mettendolo in
movimento. Dal movimento del rotore è possibile poi ricavare lavoro utile collegando all’albero
motore, direttamente o per mezzo di riduttore di giri, un utilizzatore. Lo stadio di una turbina è
costituito da una parte statorica, il distributore palettato (ugello) all’interno, in cui avviene la completa
o parziale espansione del fluido (con conseguente riduzione di temperatura), a seconda che lo stadio
sia ad azione o reazione, e da una parte rotorica, costituita da una girante con una corona di palette,
che il fluido attraversa (senza espandersi o continuando invece a cedere il proprio contenuto entalpico
in base alla tipologia di stadio) mettendola in movimento e trasferendo la propria energia cinetica alla
girante che è collegata a un utilizzatore per la produzione di lavoro utile (la Figura 134 riporta una
semplice schematizzazione). La potenza delle turbine può andare da 1 kW a oltre 1 GW (treni di
espansione, si veda il video https://www.youtube.com/watch?v=SPg7hOxFItI).

Figura 134. Schematizzazione dello stadio di una turbina ad azione.

Le turbine possono classificarsi in base alla tipologia di flusso del fluido, assiali, miste o radiali
(centrifughe e centripete). Le turbine che verranno trattate nella dispensa sono solo quelle assiali in
quanto di interesse dell’ingegneria chimica (le radiali sono di maggiore interesse dell’ingegneria
idraulica e meccanica) e in quanto sono quelle utilizzate per l’espansione del vapore. Le turbine a
vapore possono ulteriormente essere classificate in base alla disposizione dei corpi e alberi motore
(tandem compound e cross compound) o in base alle condizioni di ammissione e scarico del fluido (a
condensazione, a contropressione, a risurriscaldamento e a estrazione). Quelle a contropressione sono
sicuramente le più interessanti per l’industria di processo, poiché si installano negli impianti dove sono
necessarie elevate quantità di vapore (raffinerie e cartiere per esempio). La classificazione più classica
risulta comunque essere quella delle turbine a condensazione e senza condensazione. Nelle macchine
del primo tipo, il vapore viene condensato al di sotto della pressione atmosferica in modo da ricavarne

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150

la massima quantità di energia (massimizzando il salto entalpico). Nelle turbine senza condensazione,
il vapore esce dalla turbina a una pressione superiore di quella atmosferica e viene poi utilizzato per
il riscaldamento o per altri processi prima di essere condensato e inviato alla caldaia. Le turbine senza
condensazione sono un mezzo economico per generare energia (cogenerazione) quando sono già
necessarie notevoli quantità di vapore di processo. Nelle turbine a condensazione invece sono
necessarie notevoli quantità di acqua di raffreddamento per portare via il calore rilasciato durante la
condensazione. Mentre le turbine senza condensazione scaricano il vapore a pressione atmosferica o
superiore, le turbine a condensazione possono scaricare fino a 0.06 bar. Ciò consente una maggiore
espansione del vapore, con conseguente maggiore produttività e maggiore efficienza. Tutti gli impianti
delle centrali termoelettriche utilizzano turbine a condensazione.

In generale, il fluido subisce una accelerazione nel distributore, dove diminuisce la pressione e la
temperatura, mentre decelera attraversando la/le corona/e di palette della parte rotorica. Negli
impianti a vapore vengono utilizzate turbine miste multistadio ed è possibile individuare una zona ad
alta pressione (AP) e una a media e bassa pressione (MP e BP). Come accennato in precedenza, lo stadio
di una turbina può essere ad azione (l’espansione del fluido e la riduzione del contenuto entalpico si
ha solo nel distributore) o a reazione (l’espansione del fluido avviene parte nello statore e parte nel
rotore).

5.1 Stadio semplice a ruota unica De Laval


La turbina De Laval è la più semplice, costituita da un solo stadio ad azione, utilizzata (ora sempre più
raramente) per movimentare pompe o compressori di media potenza (<350 kW). Nel singolo stadio,
come detto in precedenza, il salto entalpico del fluido si riduce completamente nel distributore
palettato; il fluido raggiunge così velocità di trascinamento u [m/s], molto elevate (oltre i 300 m/s) con
numero di giri dell’ordine dei 6000-30000 rpm (Figura 135).

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151

Figura 135. Turbina semplice di De Laval.

Lo stadio è costituito da una girante munita di una sola corona di palette simmetriche (1=2) fissate
radialmente alla periferia della corona. Le palette fra loro formano condotti a sezione uguale (condotti

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152

mobili). In corrispondenza delle pale, lateralmente alla girante, il vapore viene immesso attraverso i
distributori palettati, che sono di fatto degli ugelli convergenti divergenti, i cui assi formano un angolo
 con la direzione di moto della girante (Figura 136).

Figura 136. Triangoli di velocità per lo stadio De Laval (c [m/s] rappresenta la velocità assoluta del
fluido, w [m/s] quella relativa=c-u.

Il fluido entra a c0 e p0 nel/negli ugelli distributori, espandendosi senza eseguire lavoro esterno ma
raffreddandosi riducendo il proprio contenuto entalpico e acquistando la velocità assoluta c1 e quindi
l’energia cinetica c12/2g [J/N]. Il fluido quindi entra nei condotti mobili, con la velocità w1, cambiando
direzione durante il moto (la u cambia di direzione ma non di modulo, la velocità periferica coincide
infatti con la velocità della girante) e subendo una decelerazione. Nel caso ideale la w rimarrebbe

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153

costante, ma a causa di attriti e perdite passa da w1 a w2, così come la c1 passa a c2, anch’essa minore
della precedente. Il lavoro utile sarà di fatto dato dal salto h=(c12-c22)/2 [J/kg] (Figura 137).

Figura 137. Profili di pressione e velocità in uno stadio semplice De Laval e rappresentazione sul piano
di Mollier del consumo di salto entalpico (caso ideale).

Il fluido accelera nel distributore subendo un’espansione adiabatica (non isentropica), rimanendo poi
la pressione costante nel passaggio in girante. Questo implica che negli stadi ad azione il fluido

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154

trasferisce la propria energia cinetica alla girante isobaricamente, senza quindi subire alcuna spinta
assiale (per questo motivo nei treni di espansione vedremo come i multistadio ad azione vengono
impiegati nei corpi di AP). Il salto entalpico isoentropico è riportato in Figura 137, ma nella realtà la
trasformazione può essere assimilata più propriamente a una espansione adiabatica (Figura 138).

Figura 138. Rappresentazione sul piano di Mollier del consumo di salto entalpico (caso adiabatico).

Rispetto al caso isentropico si ha una ulteriore perdita energetica (il fluido subirà quindi un parziale
incremento di temperatura) dovuto alle perdite per attrito nel distributore (portata in conto con il
fattore  (pari usualmente a 0.96), passando da 1is a 1) e nella girante, a causa della quale da w1 si passa
a w2 (portata in conto con il fattore  (pari usualmente a 0.92), per cui w2=·w1, passando da 1 a 2 sul
piano di Mollier, spostandosi ancora su una isoterma superiore). L’ulteriore perdita si ha allo scarico,
in quanto l’energia c22/2 viene dispersa allo scarico della girante (vedremo che con il multistadio sarà
possibile recuperare parte di questa energia). Da questa semplice analisi possiamo quindi scrivere:

𝑐1 = √𝑐0 + 2∆ℎ (95)

∆ℎ = 𝜑 2 ∆ℎ𝑖𝑠 (96)

Semplificando (c0 trascurabile rispetto a c1):

𝑐1 = 𝜑√2(ℎ0 − ℎ1𝑖𝑠 ) (97)

Le perdite possono invece essere calcolate come:


2
𝑐1𝑖𝑠 − 𝑐12
∆ℎ𝑝𝑑 = = ∆ℎ𝑖𝑠 (1 − 𝜑 2 ) 𝑝𝑒𝑟𝑑𝑖𝑡𝑎 𝑛𝑒𝑙 𝑑𝑖𝑠𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑡𝑜𝑟𝑒 (98)
2

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155

𝑤12 − 𝑤22 𝑤12


∆ℎ𝑝𝑔 = = (1 − 𝜓 2 ) 𝑝𝑒𝑟𝑑𝑖𝑡𝑎 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑔𝑖𝑟𝑎𝑛𝑡𝑒 (99)
2 2
La perdita ulteriore è quella dovuta allo scarico (trasformazione da 2 a 20) seguita poi dalle perdite per
effetto ventilante (presenti nel caso di parzializzazione del flusso, vedere il prosieguo) e per attrito sui
dischi (usualmente presenti solo nel caso multistadio, dovute all’attrito incontrato nelle zone della
girante non palettate). Le ultime due perdite causano un’ultima trasformazione al fluido (da 20 a 3). La
variazione di temperatura del fluido quindi in realtà si ha anche nei condotti mobili, che non potranno
essere a sezione costante, bensì dovranno essere a sezione crescente verso l’uscita in quanto l’aumento
di temperatura causerà una riduzione di densità del fluido e incremento volumetrico. Nel caso di
turbine semplici De Laval l’incremento di temperatura è minimo, per cui la sezione dei condotti mobili
è costante, sia per palette simmetriche che non simmetriche (per le quali sarà necessario aumentare
l’altezza della pala verso l’uscita, figura 139).

Figura 138. Profilo delle pale, caso palette simmetriche e non.

L’altezza delle pale però non può essere variata a piacere, sia per ragioni costruttive (sarà necessario
lasciare dei giochi fra rotore e statore, inoltre per motivi di resistenza statica e dinamica, nel caso di
stadio a reazione, non si possono avere altezze di paletta, Lp [m]<0.01 m e in generale vige la regola
pratica Lp>0.01-0.02Dg, dove Dg [m] è il diametro della girante.

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156

Il rendimento dello stadio (rendimento di palettatura o dello stadio) è infine dato dal rapporto fra il
lavoro utile Lu [J/kg] (calcolabile secondo il teorema di Eulero) e il salto isentropico (si considera il
caso h2=h3, cioè perdite per effetto ventilante e per attrito sui dischi trascurabili):

𝐿𝑢 ℎ0 − ℎ2 𝑢(𝑐1 𝑐𝑜𝑠𝛼1 − 𝑐2 𝑐𝑜𝑠𝛼2 )2𝜑 2 𝑢 𝑢


𝜂𝑠 = = = 2 = 2𝜑 2 (𝑐𝑜𝑠𝛼1 − ) (1 + 𝜓) (100)
∆ℎ𝑖𝑠 ℎ0 − ℎ1𝑖𝑠 𝑐1 𝑐1 𝑐1

Per cui riducendo l’angolo di imbocco 1 andrà ad aumentare il rendimento. Nel caso ideale (fattori
correttivi unitari) si avrà:
𝑢 𝑢
𝜂𝑠 = 4 (𝑐𝑜𝑠𝛼1 − ) (101)
𝑐1 𝑐1

Per cui il rendimento massimo si ha per u/c1=cos 1/2, il che significa che, essendo l’angolo di imbocco
usualmente pari a 15°-25°, si massimizza il rendimento per u≈0.5c1 (più precisamente 0.45-0.48c1,
figura 140), da cui smax= cos2 1.

Figura 140. Andamento del rendimento dello stadio semplice De Laval caso ideale e reale.

Nella pratica, per massimizzare il rendimento è necessario ridurre c2 poiché la perdita maggiore si ha
allo scarico, per cui quando non è possibile avere uno scarico puramente assiale, si va ad aumentare
l’angolo di palettatura in uscita (2). I fattori che maggiormente influenzano le perdite sono il rapporto
di espansione monostadio, P0/P1 e la differenza fra gli angoli di palettatura  =1-2 (Figura 141).

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Figura 141. Andamento dei fattori correttivi con il rapporto di espansione e la differenza degli angoli
di palettatura (deflessione).

La turbina di De Laval presenta usualmente velocità di girante particolarmente elevate (oltre 600 m/s)
che vengono però ridotte prontamente per evitare perdite di rendimento importanti, lavorando
usualmente a u=150-350 m/s. Si consideri infatti un esempio pratico: vapore saturo secco viene fatto
espandere in uno stadio De Laval, da 22 bar a 0.2 bar (Figura 142). Dal piano di Mollier si calcola il
salto isoentalpico h1-h2=727 kJ/kg, per semplicità si considera il caso ideale, da cui si ricava una c1 di
circa 1205 m/s, e per il massimo rendimento una u≈600 m/s.

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Figura 142. Espansione del fluido considerata nell’esempio.

Questo comporterebbe non solo forti perdite per attrito e per fughe (portato in conto come il lettore
sa bene con il rendimento volumetrico), ma la necessità di accoppiare l’albero motore a un riduttore
di giri prima di collegarlo all’utilizzatore, causando un ulteriore riduzione di rendimento globale.
Inoltre velocità così elevate implicano l’utilizzo di spessori elevati per i materiali da costruzione e di
attacchi delle palette al disco della girante molto resistenti, aumentando così il costo e la massa della
macchina. Considerando allora una velocità periferica massima di 350 m/s e un diametro di girante
pari a 1 m, si calcola un numero di giri massimo di n=60u/(Dg)≈30000 rpm. Queste turbine hanno
angoli di palettatura intorno ai 30° ed elevati consumi specifici di vapore, 10-20 kg vap/kWh, con bassi
rendimenti di palettatura (circa 60%).

La portata di scarico della turbina può calcolarsi in funzione della componente assiale della velocità
assoluta (vedere Figura 135 in basso) cA1 [m/s] secondo la:

𝑚̇ = 𝜋𝐷𝑔 𝑐𝐴1 𝜌1 Ξ (102)

dove  è il coefficiente di ingombro proporzionale alle perdite in palettatura. La potenza teorica


all’asse sarà quindi:

𝑃𝑇 = 𝑚̇Δℎ𝑖𝑠 (103)

che andrà moltiplicata poi per i rendimenti volumetrici e meccanici, sostituendo quindi il salto
entalpico isoentropico con quello adiabatico, per avere la potenza reale della macchina.

Dall’equazione (103) è possibile notare che per incrementare la potenza sarebbe necessario
aumentare il salto entalpico, quindi aumentare u (essendo proporzionale a u2). Ma per fare ciò sarebbe
necessario aumentare il Dg (u=·Dg·n), i.e. ridurre la Lp, andando quindi a incorrere nei problemi
richiamati in precedenza (le palette non possono infatti essere troppo corte). Per evitare quindi
problemi dovuti a palette troppo corte, solo nel caso di stadi ad azione, è possibile utilizzare la pratica

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della parzializzazione, con cui attraverso delle valvole si manipola la portata di vapore immesso dagli
ugelli distributori, lasciando zone della girante senza vapore. Questo permette di fatto di aumentare il
salto entalpico elaborabile (aumenta u) e di manipolare altresì la portata. La parzializzazione può
essere utilizzata solo per stadi ad azione, in quanto nella zona rotorica non esistono gradienti di
pressione che vanificherebbero tale pratica poiché permetterebbero la movimentazione del vapore
anche nelle zone parzializzate. Di contro la parzializzazione introduce perdite entalpiche per effetto
ventilante, che sono proporzionali al grado di parzializzazione e a u3. Per questo motivo esistono limiti
pratici e di efficienza alla pratica della parzializzazione (l’effetto ventilante è dovuto alla formazione di
zone di vapore stagnante nelle parti parzializzate della girante, per cui vapore che ha già in precedenza
ceduto la propria energia cinetica alla girante tende a riattraversare i condotti mobili senza di fatto
generare lavoro utile).

5.2 Stadio Curtis


La ruota Curtis nasce dall’esigenza di aumentare il rendimento della ruota di De Laval. Questo stadio è
identico a quello di De Laval, all’infuori della girante, che sarà munita di più condotti mobili (più corone
di palette, fino a un massimo di 3-4) e un numero di palette fisse (deviatori o raddrizzatori, necessari
per reindirizzare il flusso da una corona di pale all’altra) pari al numero di corone-1 (Figura 143).

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Figura 143. Schematizzazione ruota Curtis a due salti di velocità.

Come mostrato in Figura 143, fra una corona e l’altra la pressione rimane costante, infatti la turbina è
sempre ad azione, mentre si riduce la velocità assoluta e quella relativa, rimanendo costante la u. Per
questo motivo la turbina viene chiamata anche a salti di velocità (Figura 144).

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Figura 144. Triangoli di velocità ruota Curtis a due stadi.

Accoppiando più corone di palette è possibile recuperare parte del salto entalpico di scarico.
Nonostante il flusso sia isobaro fra le corone di pale, a causa delle perdite per attrito si avrà un aumento
di temperatura e conseguente aumento di volume specifico, per cui verso lo scarico i condotti mobili
dovranno avere sezione crescente, si avranno cioè angoli di scarico, angoli di palettatura in uscita e Lp
crescenti dall’immissione allo scarico. Si dimostra che se z è il numero di salti, la velocità periferica
sarà z volte minore rispetto a quella della ruota De Laval. Il lavoro utile ideale per unità di massa sarà
calcolabile come:

𝐿𝑢,𝑖𝑑 = 2𝑧𝑢(𝑐1 𝑐𝑜𝑠𝛼1 − 𝑧𝑢) (104)

Da cui:
𝑢 𝑢
𝜂𝑠,𝑖𝑑 = 4𝑧 (𝑐𝑜𝑠𝛼1 − 𝑧 ) (105)
𝑐1 𝑐1

Il massimo del rendimento si avrebbe quindi per u/c1=cos1/(2z) con s,max=cos21 (Figura 145).

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Figura 145. Curve del rendimento ideali al variare di z.

Quindi aumentando z nel caso ideale il sistema perderebbe di flessibilità poiché la curva del
rendimento diviene meno piatta ma aumenterebbero c1 e il salto entalpico elaborabile.

Nel caso reale invece aumentare z causa un aumento repentino delle perdite per attrito e per questo
usualmente si ha uno zmax pari a 3 (Figura 146).

Figura 146. Curve del rendimento reali al variare di z.

Nel caso reale bisognerà portare in conto le perdite nel distributore e nei condotti mobili e fissi con i
vari coefficienti di perdita già visti in precedenza (si riporta il caso bistadio):

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𝐿𝑢 = 𝑢𝑐1 𝑐𝑜𝑠𝛼1 [(1 + 𝜓1 ) + (1 + 𝜓2 )𝜓1 𝜑2 ] − 𝑢2 [(1 + 𝜓1 ) + (1 + 𝜓2 )(1 + 𝜓1 𝜑2 + 𝜑2 )] (106)


𝑢 2 𝑢
𝜂𝑠 = 2 𝜑1 {𝑐𝑜𝑠𝛼1 [(1 + 𝜓1 ) + (1 + 𝜓2 )𝜓1 𝜑2 ] − [(1 + 𝜓1 ) + (1 + 𝜓2 )(1 + 𝜓1 𝜑2 + 𝜑2 )]} (107)
𝑐1 𝑐1

Il lavoro non viene ripartito ugualmente fra i vari stadi, ma gli ultimi stadi elaborano parti sempre
minori dell’energia cinetica del fluido (nel caso teorico di z=4 per esempio, il primo e il secondo stadio
trasferiscono i 7/16 e i 5 /16 del lavoro totale, mentre gli ultimi due solo i 3/16 e 1/16).

Lo stadio Curtis si usa usualmente nelle zone di AP, è caratterizzato da angoli di immissione di 15°-
25°, potenze fino a 1 MW, velocità periferiche di 100-200 m/s con diametri di girante massimo fino a
1 m e numero di giri nominale da 1000 a 8000 rpm, mentre i consumi specifici di vapore sono uguali
a quelli della ruota De Laval (10-20 kg vap/kWh).

5.3 Stadio Rateau


Nello stadio Rateau è possibile recuperare teoricamente il 100% dell’entalpia di scarico. Questa
turbina viene chiamata anche ad azione a salti di pressione, in quanto stadi semplici ad azione sono
intervallati da diaframmi con ugelli distributori convergenti (Figura 147).

Figura 147. Schematizzazione turbina multistadio Rateau.

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Dato che è possibile recuperare gran parte del salto entalpico di scarico è possibile avere un
miglioramento sul rendimento di ogni stadio (circa 5%) senza necessariamente avere entrata e uscita
assiale del fluido. I diaframma saranno muniti sull’asse di tenute a labirinto per evitare perdite per
fuga di vapore. Le giranti sono calettate sullo stesso albero e dato che il fluido si muove a u minori del
caso di turbina Curtis ogni stadio elaborerà un salto entalpico minore, per cui il numero di stadi in
questo caso sarà molto maggiore del precedente (si arriva anche a 20-25 stadi). Le minori u d’altro
canto permettono di avere rendimenti maggiori per via delle minori perdite per attrito. Ogni
distributore viene progettato per avere un rapporto di espansione interstadio circa pari a quello
critico, in modo tale da evitare inconvenienti dovuti a eventuale instaurazione di flusso supersonico. Il
funzionamento della macchina è bene illustrato in Figura 148.

Figura 148. Profili di velocità assoluta e di pressione in una turbina Rateau e salti entalpici.

Dal momento che di stadio in stadio il fluido subisce una espansione e accelerazione negli ugelli si avrà
una riduzione di densità e aumento di volume specifico, per cui sarà necessario aumentare via via la
sezione dei condotti mobili. Per non dover aumentare troppo Lp si montano le palette svergolate, che
hanno un particolare profilo con l’angolo b2 crescente dalla radice all’apice della paletta (Figura 149).

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Figura 149. Esempio di paletta svergolata.

A causa delle P interstadio non è possibile parzializzare il flusso nel caso di stadi Rateau.

Infine, rispetto allo stadio semplice De Laval, si avrà:


𝐷𝑒 𝐿𝑎𝑣𝑎𝑙
𝑐1,𝐷𝑒 𝐿𝑎𝑣𝑎𝑙 𝑅𝑎𝑡𝑒𝑎𝑢
𝑢𝑚𝑎𝑥 2𝐿𝑢
𝑐1 = , 𝑢𝑚𝑎𝑥 = , 𝜂𝑠 = (108)
√𝑧 √𝑧 Δℎ

Il rendimento di palettatura arriva fino a 85% in queste turbine, con velocità periferiche massime di
200 m/s, potenze fino a 50 MW e consumo specifico di vapore minore dello stadio Curtis (3-6 kg
vap/kWh).

5.4 Turbine ad azione miste


Queste turbine sono molto utilizzate, sono munite di un bi-tristadio Curtis seguito da un multistadio
Rateau per recuperare il salto entalpico di scarico. Si ha una prima ruota ad azione con due corone in
serie di velocità che utilizza un salto entalpico elevato (con rendimento minore); il vapore si espande
nel primo ugello fino quasi alla corrispondente pressione critica ed entra nella prima camera con
pressione sufficientemente ridotta in moda da consentire una riduzione degli spessori della cassa,
minori sollecitazioni termiche e minori perdite per attrito ed effetto ventilante. La velocità periferica
della ruota doppia si tiene intorno ai 150 m/s, in rapporto circa uguale a ¼ ÷1/3 rispetto alla velocità
di scarico e se il suo diametro medio è maggiore delle giranti successive si potrà sfruttare un maggiore
salto di pressione, e si potrà ridurre il numero di ruote a corona unica (Figura 150).

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Figura 150. Schema turbina ad azione mista.

5.5 Stadio a reazione


Nello stadio a reazione l’espansione del fluido avviene anche nel rotore, per cui questa subirà una
spinta assiale e di conseguenza anche in questo caso non è possibile usare la parzializzazione. La
velocità relativa subirà quindi un incremento in uscita (anche i condotti mobili saranno convergenti).
Il salto entalpico elaborabile è suddiviso fra la parte statorica e quella rotorica (Figura 151).

Figura 151. Schematizzazione e salto entalpico di uno stadio a reazione.

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Il rapporto fra il salto entalpico rotorico e quello totale è detto grado di reazione X, usualmente posto
pari a 0.5, ma per massimizzare il rendimento sarebbe necessario aumentarlo (in termini pratici in
qualsiasi turbina gli stadi MP e BP sono sempre misti azione/reazione con gradi di reazione massimi
pari a 0.8). Per massimizzare il rendimento è necessario avere angoli di palettatura uguali in uscita e
in entrata interstadio (Figura 152):
𝑢 𝑐𝑜𝑠𝛼1 Χ
= + , 𝜂𝑠,𝑚𝑎𝑥 = Χ + (1 − Χ)𝑐𝑜𝑠 2 𝛼1 (109)
𝑐1,𝑚𝑎𝑥 2 2𝑐𝑜𝑠𝛼1 (1 − Χ)

Figura 152. Curve del rendimento.

Si riporta infine una schematizzazione di una turbina a più corpi (Figura 153).

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Figura 153. Turbina a più corpi multistadio mista.

I diversi copri sono fissati sullo stesso asse motore, divisi dai cuscinetti portanti. Ogni cassa sarà
costruita con materiali diversi, quella di AP, costituita da stadi ad azione Curtis seguita da una turbina
a reazione (del tipo Parsons), sarà fatta in materiali pregiati resistenti alle alte temperature e pressioni,
quella di BP è invece costituita da due tamburi a reazioni contrapporti per la riequilibratura della
spinta assiale. La sezione dei corpi è ovviamente crescente dalle AP alle BP.

5.6 Regolazione delle turbine


Le turbine possono essere regolate per strozzamento (Figura 154) e solo quelle ad azione anche per
parzializzazione. La parzializzazione però permette una regolazione a gradini, discreta, per cui è
necessario accoppiarla sempre allo strozzamento. La valvola in immissione può essere manipolata per
provocare una espansione isoentalpica all’ingresso del distributore così da ridurre la densità del
vapore e ridurre il salto entalpico elaborabile, e quindi la portata di vapore (ciò causa una riduzione
del rapporto u/c1 che non sarà più quello di progetto di massimo rendimento).

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Figura 154. Regolazione per strozzamento sul piano di Mollier e turbina con multivalvole per
parzializzazione del flusso (turbina ad azione).

Questa regolazione non è ottimale poiché allontana il punto di funzionamento da quello di massimo
rendimento. La parzializzazione invece non porta a queste conseguenze ma introduce perdite per
effetto ventilante, come già visto in precedenza.

La turbina può essere idealmente modellata come tanti ugelli in serie, per cui la curva della portata di
vapore sarà:

Figura 155. Curva della portata di una turbina multistadio.

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La curva ha significato fisico solo a destra del massimo in corrispondenza della pressione critica.
Utilizzando l’approssimazione ellittica è possibile ottenere le curve di portata in massa crescenti con
la pressione di immissione del vapore (Figura 156).

Figura 156. Curve della portata e cono di Stodola.

La curva di portata si contrae o si dilata per P0 minori o maggiori.

Per quanto riguarda la manutenzione e la messa in marcia delle turbine, si riportano alcune comuni
pratiche:

 durante il rullaggio (primo avviamento) le valvole di ammissione del vapore vengono aperte in
modo regolare e discreto (a salti) secondo delle rampe date dal costruttore per far aumentare
gradualmente di giri la girante e incrementare P e T. Questa pratica viene seguita fino al
raggiungimento della velocità nominale;

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 bisogna mantenere sempre il titolo di vapore superiore a 0.92-0.93 in modo tale da evitare
elevata presenza di gocce di condensa che possono non solo erodere le palette ma causare
anche sbilanciamenti nel rotore, eccessive vibrazioni con possibili danni ai cuscinetti
reggispinta.

Considerazioni più specifiche sono infine riportate nella letteratura di riferimento (si vedano i testi di
Sanders riportati nella bibliografia).

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