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rgyal)
La fioritura delle scuole[23]
La tradizione "Antica":
rnying ma (རྙི ང་མ་,
Nyingma)
La tradizione, estinta, delle "Parole e istruzioni [del Buddha]": bka' gdams (བཀའ་
གདམས, Kadam)
La tradizione del "Metodo della Virtù": dge lugs (དགེ ་ལུགས, Gelug/Geluk)
La tradizione, estinta, [del monastero di] "Jo nang" [phun tshogs gling] (ཇོ ་ནང, Jonang)
Storia
Il secondo chos rgyal, Khri Srong lde btsan, fu l'erede al trono di Khri lde gtsug btsan (ཁྲི ་ལྡེ ་གཙུག་བཙན,
Trhi Detsuktsen, regno:712-755), quel re tibetano che chiese all'imperatore cinese dei fascicoli (བམ་པོ bam
po) di scritture buddhiste. Anche Khri lDe gtsug btsan ebbe come consorte una principessa cinese
buddhista, Jīnchéng ( 金城 , ?-739), giunta in Tibet due anni prima della sua ascesa al trono. Jīnchéng fu
colpita dall'assenza di riti funebri nel paese in cui era giunta e quindi si decise a introdurre l'usanza
buddhista cinese di celebrarne per l'intera durata del lutto, questo consistente in sette settimane. Questa
pratica cultuale è all'origine della credenza, diffusa in opere come il Bardo Tödröl Chenmo (བར་དོ ་ཐོ ས་
གྲོ ལ་ཆེ ན་མོ ་, conosciuto anche come "Libro tibetano dei morti"), secondo la quale tra la morte e la rinascita
del defunto trascorrerebbero quarantanove giorni[2].
La principessa Jīnchéng invitò in Tibet anche dei monaci khotanesi che formarono la prima comunità
monastica (saṃgha, in tibetano: དགེ ་འདུན, dge ’dun) in quella regione[2]. Tuttavia, in seguito alla morte
della principessa avvenuta nel 739, probabilmente a causa di un'epidemia di peste, vi fu l'espulsione di
questi monaci[2]. Lo stesso re, Khri lDe gtsug btsan verrà assassinato prima che a Lhasa giungessero i testi
che aveva richiesto all'imperatore cinese. In quella circostanza, gli emissari dell'imperatore cinese giunti in
Tibet decisero di nascondere i preziosi testi in quanto il tredicenne erede, Khri Srong lde btsan, essendo
stato inizialmente influenzato da consiglieri ostili al buddhismo, ne proibì la diffusione. Ma il nuovo re e
futuro secondo chos rgyal, Khri Srong-Ide-btsan, si ricredette presto, avendo chiesto di essere messo a
conoscenza dei testi nascosti fu indottrinato nella nuova fede da un maestro buddhista cinese, convertendosi
così alla nuova religione all'età di vent'anni, nel 767[2]. A lui si deve la promulgazione di editti per lenire le
sofferenze di uomini e animali nel corso delle epidemie e la costruzione del primo monastero buddhista in
Tibet, lo Bsam yas (བསམ་ཡས, Samye) nel 779 circa.
Su quest'ultimo evento, la tradizione narra che sempre a Khri Srong lde btsan dobbiamo l'invito al monaco
indiano, precisamente l'abate (upādhyāya) del monastero di Nālandā, Śāntarakṣita (ཞི ་བ་འཚོ , Zhi ba ’tsho,
725–788), il quale, a sua volta, invitò dodici monaci indiani dell'antica scuola Mūlasarvāstivāda (གཞི ་
ཐམས་ཅད་ཡོ ད་པར་སྨྲ་བ, Gzhi thams cad y od par smra ba) grazie ai quali, secondo le rigide regole del
vinaya buddhista (in tibetano il termine sanscrito vinaya viene reso come འདུལ་བ།, 'dul ba), poterono
essere ordinati, nell'VIII secolo, i primi sette monaci tibetani[9]. Da questo momento tutti i monaci tibetani
saranno ordinati secondo il vinaya di questa antica scuola indiana[10].
Secondo la tradizione, Śāntarakṣita non riusci tuttavia a fondare il
monastero di Bsam yas, questo per la tenace ostilità dei tibetani
seguaci della religione locale (indicata convenzionalmente quanto
impropriamente con il termine Bön, བོ ན)[11]. Fu allora che il re Khri
Srong lde btsan, su consiglio dell'abate indiano, invitò a Lhasa il
taumaturgo originario della Uḍḍiyāna, Padmasambhava (པདྨ་འབྱུང་
གནས།, Padma ’byung gnas), il quale, giunto in Tibet, sconfiggerà
persino gli dèi locali nemici del buddhismo, consentendo in questo
modo la costruzione dello Bsam yas, il quale verrà eretto
probabilmente nel 775 sul modello di un maṇḍala indiano, e
consacrato quattro anni dopo. In quel monastero furono ordinati da
Śāntarakṣita, e dai monaci indiani mūlasarvāstivādin proveniente
dal monastero di Vikramaśila[12], i primi sette monaci tibetani.
Padmasambhava introdurrà per primo in Tibet le dottrine e le
pratiche proprie del buddhismo esoterico.
Padmasambhava (པདྨ་འབྱུང་གནས། ,
Nel 780 le armate del re tibetano conquistarono Dunhuang ( 敦煌), Padma ’byung gnas) in una
uno dei più importanti centri del buddhismo cinese e lo stesso re iconografia moderna.
invitò i monaci cinesi a trasferire in Tibet le loro dottrine Padmasambhava è uno dei
religiose[13]. personaggi più importanti nella storia
del Tibet buddhista. La sua figura, a
Il re, sempre secondo la storia tradizionale, si decise nel 784 a cui si prestano sacri onori, è tuttavia
convocare un contraddittorio tra i buddhisti, rappresentati da avvolta, per larga parte, dal mito. In
Padmasambhava, e i rappresentanti della religione locale, tra cui questa raffigurazione il mistico e
spiccava Dran pa nam mkha (དྲན་པ་ནམ་མཁའ). L'esito della disputa, taumaturgo dell'VIII secolo viene
che incluse oltre il confronto dialettico anche alcune prove presentato nella postura
paranormali, si risolse favorevolmente per i buddhisti e molti dei ardhaparyaṅka (semichiusa), il
seguaci del Bön (བོ ན), compreso Dran pa nam mkha, finirono per braccio destro poggia sul ginocchio
convertirsi al Dharma buddhista che divenne per un decreto reale, destro e regge un vajra,
nel 791, la religione ufficiale del Tibet. Gli altri seguaci del Bön probabilmente nel gesto
invece preferirono l'esilio risolvendosi a nascondere i propri testi dell'allontanamento dei demoni. La
dottrinari. mano sinistra posta sul grembo
regge invece una calotta cranica
Nel 792 sempre il re Khri Srong lde btsan decise di dirimere una colma di sangue (ratkapāla) da cui
seconda controversia. Il buddhismo era giunto in Tibet da diversi emerge la fiala dell'amṛta,
paesi: India, Regno di Khotan, Nepal e Cina, portando con sé l'immortalità, a indicare che chi
diverse dottrine, culti e sensibilità. In quel momento erano presenti diviene seguace di questo maestro
dei tantra può essere nutrito con
in Tibet due orientamenti inerenti al Dharma buddhista, quello di
quella e quindi raggiungere il
origine indiano, risalente secondo la tradiziona tibetana a
nirvāṇa. Il braccio sinistro avvolge il
Nāgārjuna, che perorava l'avvicinamento graduale, progressivo,
detto in tibetano rim gyis 'jug pa (རི མ་གྱི ས་འཇུག་པ), verso
khaṭvāṅga, il bastone magico. Il
È opinione di Anne-Marie Blondeau che questa contraddizione nei documenti celi uno sviluppo dei fatti:
«Con ogni probabilità, inoltre, ha ragione il dossier cinese quando sostiene che il re
decise a favore del partito cinese; perlomeno in un primo momento, in quanto è
innegabile che la forma di buddhismo successivamente è quella indiana. Ma
quest'ultima scelta obbedisce piuttosto a motivi di ordine politico che non di dottrina.»
Comunque sia, a seguito di questo concistoro fu emesso un editto reale a favore del partito perorato da
Kamalaśīla, questo fatto provocò la protesta dei cinesi e dei loro seguaci, alcuni di loro si automutilarono,
altri giunsero a suicidarsi[17]. Non solo, ridotti a essere considerati "eretici" (མུ་སྟེ གས་པ, mu stegs pa) altri
ancora, forse seguaci dell'antica religione[18], si ribellarono violentemente uccidendo alcuni del partito
avversario tra cui lo stesso Kamalaśīla.
Terzo, e ultimo, chos rgyal fu il pronipote di Khri Srong lde btsan, Khri gTsug lde btsan (ཁྲི ་གཙུག་ལྡེ ་
བཙན, regno: 815-836) meglio conosciuto con l'appellativo Ral pa can (རལ་པ་ཅན་, Ralpacan, "colui dalla
grande chioma", appellativo di Īśvara), il quale, fervente buddhista, giunse a prendere i voti monastici[19].
L'attività religiosa del sovrano fu mirata in particolar modo alla traduzione dei testi buddhisti. In tal senso fu
da lui promulgato un editto per stabilire delle regole di traduzione più stringenti e più affidabili che
portarono alla adozione di un lessico sanscrito-tibetano, edito nell'814, il Mahāvyutpatti ( "Grande
etimologia"; tibetano: བྱེ ་བྲག་ཏུ་རྟོ གས་པར་བྱེ ད་པ།, bye brag tu rtogs par byed pa)[19].
Nell'836 il fervore religioso del sovrano provocò la reazione dei
seguaci del Bon tra i quali spiccava il fratello maggiore di Ral pa
can, Glang Dar-ma (གླང་དར་མ, Langdarma, regno: 836-842) che,
istigato dai suoi correligionari, si rese regicida e usurpatore. Il regno
di Glang Dar-ma durò tuttavia fino all'842 quando una freccia
scagliata da un monaco buddhista[20] di nome Lha lung dpal gyi rdo
rje ( ལྷ་ལུང་དཔལ་གྱི ་རྡོ ་རྗེ , Lhalung Palgyi Dorje) mise fine alla sua
vita e al suo regno anti-buddhista[21].
La tradizione narra che tre monaci (bhikṣu; in tibetano དགེ ་སློ ང, dge
slong) itineranti caricarono i testi del vinaya su un mulo fuggendo
nell'Amdo (ཨ་མདོ , a mdo, nome di una regione tibetana posta a
Oriente), dove ristabilirono una prima comunità monastica[26]. Tale
tradizione intende mitizzare un probabile accadimento storico,
ovvero che vi furono delle realtà monastiche non
"istituzionalizzate" nei monasteri le quali, sopravvivendo alla
chiusura di questi ultimi ordinati con gli editti di Glang Dar-ma,
consentirono la rifioritura monastica nelle parti non centrali del
Tibet.
Va evidenziato infine un fatto storico estremamente significativo per le religioni dell'area: alla fine del XII
secolo, con l'invasione musulmana dell'India, molti monaci buddhisti di quel paese furono indotti ad
abbandonarlo e diversi di questi monaci giunsero in Tibet recando con sé quella tarda letteratura buddhista
che fu fondante per le nuove scuole tibetane in via di formazione[28].
Accanto alla lettura agiografica inerente al taumaturgo e maestro tantrico Padmasambhava, questa scuola
conserva una serie di testi che vanno sotto il nome collettivo di gter-ma ( གཏེ ར་མ, "Terma", "Tesoro
nascosto") celati all'epoca di Padmasambhava e scoperti nel corso dei secoli da maestri, appellati come gter
ston (གཏེ ར་སྟོ ན, tertön, "Rivelatore dei Tesori"), nonché una edizione dei tantra antichi esclusi dalle
recensioni del Canone buddhista tibetano, raccolti da Rat na gLing-pa (རཏྣ་གླི ང་པ་, anche Ratna Lingpa,
1403 - 1478) nell'opera intitolata rNying ma rgyud 'bum' (རྙི ང་མ་རྒྱུད་འབུམ་, Nyingma Gyübum, "Centomila
tantra della Tradizione Antica").
La tradizione, estinta, delle "Parole e istruzioni [del Buddha]": bka' gdams (བཀའ་གདམས,
Kadam)
Oltre alle realtà periferiche che non furono toccate dagli editti del re anti-buddhista, il rifiorire di questa
tradizione religiosa in Tibet viene attribuita ad un altro re, sovrano nel regno della regione del Mnga' ris
(མངའ་རི ས, territorio che si estendeva nelle provincie occidentali del Tibet fino alla regione del Ladakh),
questo fondato da un discendente di Glang Dar-ma a cui succedette una dinastia nepalese. A questo
sovrano, di nome Ye shes 'od (959–1040, ཡེ ་ཤེ ས་འོ ད, Yeshe-Ö), dobbiamo la reintroduzione di un
buddhismo di origine indiana maggiormente coerente con le regole morali del Dharma. Così Ye shes 'od
inviò giovani monaci tibetani presso i monasteri indiani del Kashmir, invitando nel suo regno i maestri
indiani con i loro testi religiosi. Tra i primi spicca Rin chen bzang po (958-1055, རི ན་ཆེ ན་བཟང་པོ ,
Rinchen Zangpo), futuro grande lotsāva e fondatore di templi; tra i secondi emerge l'importante figura di
Atiśa Dīpaṃkaraśrījñāna (in tibetano: ཨ་ཏི ་ཤ་མར་མེ ་མཛད་དཔལ་ཡེ ་ཤེ ས, a ti sha mar me mdzad dpal ye
shes, 982-1054), quel monaco indiano giunto in Tibet nel 1042 su invito del pronipote di Ye shes 'od,
Byang chub 'od (984–1078, བྱང་ཆུབ་འོ ད, Changchup Ö).
Atiśa risulta essere una delle figure centrali per la successiva diffusione del buddhismo in Tibet. A lui si
deve innanzitutto il celeberrimo Bodhipathapradīpa ("La lucerna sulla via dell'Illuminazione", composto
inizialmente in sanscrito tra il 1042 e il 1043, fu successivamente da lui tradotto in tibetano con il titolo བྱང་
ཆུབ་ལམ་གྱི ་སྒྲོ ན་མ, byang chub lam gyi sgron ma, è al Toh. 3947). Questo testo corrisponde a un breve
manuale dell dottrine buddhiste organizzato su tre differenti livelli a seconda delle capacità spirituali del
lettore. Il Bodhipathapradīpa risulterà essere il testo fondante del sentiero spirituale detto lam rim (ལམ་
རི མ, "sentiero graduale") a sua volta a fondamento delle tradizioni bka' gdams e dge lugs[30]. Ad Atiśa è
attribuita anche l'introduzione in Tibet della celeberrima dottrina detta del Kālacakratantra (in tibetano:
དུས་ཀྱི ་འཁོ ར་ལོ ་རྒྱུད, dus kyi ’khor lo rgyud)
Nel suo peregrinare verso le regioni centrali del Tibet, Atiśa incontrò a Snye thang (སྙེ ་ཐང, Nyethang, a
circa 30 Km a Sud-Ovest di Lhasa) un monaco proveniente dalla regione orientale del Khams (ཁམས
Kam) ma originario del་ distretto di Dbus (དབུས་, Ü, Tibet centrale) di nome 'Brom ston nal ba'i 'byung
gnas (འབྲོ མ་སྟོ ན་རྒྱལ་བའི ་འབྱུང་གནས, Dromtön Gyalwe Jungne, 1008-1064), che divenne il suo
principale discepolo[31].
«Si narra che quando Dromton chiese ad Atiśa se fossero più importanti i testi (bka',
"parola del Buddha" e bstan bcos, opere esegetiche degli studiosi indiani) oppure
l'insegnamento del proprio maestro, questi rispose che l'insegnamento del maestro era
più importante, perché poteva garantire la corretta interpretazione dell'intenzione
nascosta alla quale il discepolo era legato o verso la quale aveva un obbligo (gdams).
Per questo, in effetti, l'importanza dell'insegnante o lama (tibetano, bla ma) nel suo
diretto contatto con il discepolo conferì al Buddhismo tibetano il nome spesso usato di
Lamaismo.»
Questo discepolo di Atiśa diverrà il fondatore della prima scuola "nuova" rispetto alla rnying ma, nota
come bka' gdams (བཀའ་གདམས, Kadam, "parole e istruzioni [del Buddha]"), stabilita nel monastero di
Rwa-sgreng (རྭ་སྒྲེ ང, Reting) fondato nel 1057 dallo stesso 'Brom ston nal ba'i 'byung gnas, in cui egli
stesso si ritirerà in una vita di clausura per il resto della sua vita[30].
Questa prima scuola del "nuovo" buddhismo tibetano, che scomparirà intorno al XV secolo per motivi
ancora non pienamente compresi[32], sarà caratterizzata dalla stretta osservanza del vinaya e dalle pratiche di
purificazione della mente, dette blo sbyong (བློ ་སྦྱོ ང), al fine di realizzare la profonda verità della śūnyatā (in
tibetano: སྟོ ང་ཉི ད, stong nyid)[30].
Nel 1073, sulla via che collegava la valle del Nepal con il Tibet centrale, ossia con la ricca regione agricola
che circonda Samzhubzê (བསམ་འགྲུབ་རྩེ ་ཆུས།, bsam ’grub rtse), fu eretto dal membro di un casato
principesco, dKon mchong rgyal po (དཀོ ན་མཆོ ག་རྒྱལ་པོ , Khön Köchong Gyalpo, 1034-1102), un
monastero fortificato detto Sa skya (རྙི ང་མ་) dal nome del luogo ("Terra grigia"). Il nobile dKon mchong
rgyal po fu discepolo di quel maestro tibetano di nome 'Brog mi (འབྲོ ག་མི , Brogmi, 992-1072; lett. il
"nomade"), il quale aveva studiato prima in Nepal e poi in India, a Vikramaśīla (qui sotto la guida del
mahāsiddha Śāntipa), in particolare modo i testi dello Hevajratantra che, insieme ai suoi commentari,
diverranno fondamento scritturale di questa tradizione. Sostenuto dai feudatari locali, questo monastero
acquisirà fama, potere e ricchezze. A renderlo tale, soprattutto dal punto di vista dottrinario, furono cinque
bla-ma conosciuti come i sa skya gong ma rnam lnga (ས་སྐྱ་གོ ང་མ་རྣམ་ལྔ, "cinque eminenze sakya").
Il primo di questi fu il siddha Kun dga' snying po (ཀུན་དགའ་སྙི ང་པོ , Kunga Nyingpo, 1092-1158), figlio e
successore di dKon mchong rgyal po, a cui si deve la formalizzazione del sistema dottrinario detto Lam
'bras (ལམ་འབྲས), questo elaborato dal maestro indiano Virūpa. Tale sistema, a fondamento di questa
scuola, è molto simile allo rDzogs chen proprio della tradizione rnying ma e della Mahāmudrā (ཕྱག་རྒྱ་ཆེ ན་
པོ ་, phyag rgya chen po) attinente alla tradizione bka' brgyud risultando mirante all'indivisibilità tra
saṃsāra e nirvāṇa (འཁོ ར་འདས་དབྱེ ར་མེ ད, 'khor 'das dbyer med).
Il secondo di questi fu Bsod nams rtse mo (བསོ ད་ནམས་རྩེ ་མོ , Sönam Tsemo, 1142–1182), secondo figlio
di Kun dga' snying po (il primo, Kun dga' 'bar, ཀུན་དགའ་འབར, morì di febbre a Bodhgayā in India), e
parente di altri due dei sa skya gong ma rnam lnga (suo fratello fu Grags pa rgyal mtshan e mentre egli fu
lo zio di Kun dga' rgyal mtshan). Bsod nams rtse mo, già allievo del maestro Phywa pa Chos kyi Seng ge
(ཆ་པ་ཆོ ས་ཀྱི ་སེ ང་གེ , Chapa Chöky i Senge, 1109–1169), sesto abate del monastero Gsang phu ne’u thog,
(གསང་ཕུ་ནེ འུ་ཐོ ག , Sangphu Ne'utok, afferente alla tradizione bka' gdams) e studioso del sistema
madhyamaka fu autore di alcuni importanti commentari sui tantra.
Il terzo di questi fu Grags pa rgyal mtshan (གྲགས་པ་རྒྱལ་མཚན, Drakpa Gyaltsen, 1147–1216), terzo
figlio di Kun dga' snying po, quindi fratello di Bsod nams rtse mo, fu autore, tra gli altri, del Zhen pa bzhi
bral (ཞེ ན་པ་བཞི ་བྲལ), un breve trattato sulla dottrina dell'"abbandono dei quattro attaccamenti" predicata
dal padre:
(BO) (IT)
Il quarto di questi fu Kun dga' rgyal mtshan (ཀུན་དགའ་རྒྱལ་མཚན, Künga Gyaltsen, 1185-1251,
conosciuto anche con l'epiteto di sa pan ས་པན che intende rendere l'espressione Sakya Paṇḍita, ovvero il
"dotto dei sa skya"), nipote di Kun dga' snying po, autore, tra gli altri, del più importante trattato in lingua
tibetana sull'epistemologia e la logica buddhista, il Thsad ma rigs pa'i gter (ཚད་མ་རི གས་པའི ་གཏེ ར),
nonché del trattato che indaga i "Tre rifugi" (triśaraṇa, tibetano: སྐྱབས་གསུམ་, skyabs gsum), nei tre
veicoli propri del buddhismo (hīnayāna, mahāyāna e vajrayāna), il sDom gsum rab dbye (སྡོ མ་གསུམ་རབ་
དབྱེ ).
Il quinto di questi fu ’Phags pa Blo gros rgyal mtshan (འཕགས་པ་བློ ་གྲོ ས་རྒྱལ་མཚན, Pakpa Lodrö
Gyaltsen, 1235–1280), nipote di Kun dga' rgyal mtshan, il quale accompagnò lo zio alla corte
dell'imperatore mongolo Godan Khan (1206-1251), figlio di Ögödai e nipote di Gengis Khan. Durante
questa missione, lo zio Kun dga' rgyal mtshan (Sakya Paṇḍita) curò il khan mongolo da una malattia,
convertendolo al buddhismo. Nel 1247 fu siglato un accordo tra i mongoli e questi rappresentanti tibetani
sulla tutela mongola della regione tibetana. In cambio i tibetani offrirono ai mongoli il loro servizi religiosi
generando quel rapporto che in lingua tibetana viene indicato con l'espressione yon mchod (ཡོ ན་མཆོ ད, lett.
"patrono e religioso"). Così ’Phags pa Blo gros rgyal mtshan finì per restare presso la corte mongola nel
ruolo di precettore di Kubilai Khan (regno: 1260-1294).
Le opere di questi cinque eminenti maestri furono pubblicate nel 1734, con il titolo collettivo di Sa skya
bka' 'bum (ས་སྐྱ་བཀའ་འབུམ, Sakya Kabum, lett. "Centomila parole [dei maestri] di Sakya", presso il
monastero di Sde dge (Tibet orientale), in 15 volumi.
Il declino politico-religioso dei sa skya pa si avviò nel XIV secolo quando uno dei suoi membri più
importanti, il nobile del clan dei Rlangs (རླངས), Byang chub rgyal mtshan (བྱང་ཆུབ་རྒྱལ་མཚན,
Changchub Gyaltsen, 1302-1364), si alleò con una scuola dei bka brgyud detta dei phag mo gru pa (ཕག་
མོ ་གྲུ་པ) spostando l'asse di influenza nella regione del Tibet centrale.
Premesso che l'espressione bka’ brgyud è comunemente usata da tutte le tradizioni buddhiste tibetane per
indicare la trasmissione dell'insegnamento del Buddha da maestro a discepolo, in questo caso essa designa
un preciso lignaggio detto Mar pa bka’ brgyud (མར་པ་བཀའ་བརྒྱུད, "Trasmissione dell'insegnamento orale
di Mar pa") dal nome del suo fondatore, il traduttore e maestro Mar pa Chos kyi blo gros (མར་པ་ཆོ ས་ཀྱི ་བློ ་
གྲོ ས, Marpa Chökyi Lodrö, 1012–1097). a cui fanno riferimento un insieme di sottoscuole, alcune
indipendenti tra loro, tutte attinenti a questo alveo, ossia che fanno riferimento al lignaggio di Mar pa Chos
kyi blo gros e ai relativi insegnamenti.
Mar pa Chos kyi blo gros proveniva da una ricca famiglia della regione Lho brag (ལྷོ ་བྲག , Lhodrak, nel
Tibet meridionale), di carattere piuttosto violento fu inviato dai genitori dal maestro 'Brog mi. Compì alcuni
importanti pellegrinaggi in India dove per dodici anni studiò sotto il maestro e mahāsiddha di Nālandā, Na
ro pa ( ནཱ་རོ ་པ, Nāropa; in sanscrito: Naḍapāda; 956-1040 o 1016-1100).
Rientrato in Tibet Mar pa Chos kyi blo gros lì trasferì le dottrine di questo famoso mahāsiddha indiano
dall'alto lignaggio tantrico (la tradizione vuole che maestro di Nāropa fu un altro mahāsiddha indiano,
Tilopa, a sua volta edotto alle dottrine tantriche dal buddha primordiale in persona detto Vajradhara)
indicate con il nome tibetano chos drug (ཆོ ས་དྲུག ; in sanscrito: ṣaḍdharma; "Sei dottrine"), le quali,
mirando a uno stato psicofisico, contemplano: l'innalzamento della temperatura corporea (གཏུམ་མོ ་, gtum
mo; tummo; sanscrito: caṇḍālī); l'eliminazione degli attaccamenti per mezzo della meditazione sul "corpo
illusorio" (སྒྱུ་ལུས , sgyu lus, gyulü; sanscrito: māyākāya; māyādeha); le pratiche del sogno (རྨི ་ལམ, rmi
lam, nylam; sanscrito: svapnadarśana) al fine di oltrepassare lo condizione confusionale della mente; la
meditazione sulla natura luminosa (འོ ད་གསལ་, 'od gsal, ösal; sanscrito: ābhāsvarā) della mente al fine di
དོ
superare l'ottundimento; le pratiche relative allo stato intermedio (བར་དོ , bar do, bardo; sanscrito:
antarābhava) che si manifesta dopo la morte; quindi il trasferimento/trasmigrazione (འཕོ ་བ, pho ba,
phowa; sanscrito: saṃkramati) in un'altra forma di esistenza del principio dello stato di coscienza dopo la
morte.
Altra prominente dottrina di questa scuola o, meglio, insieme di scuole, attiene alla Mahāmudrā (ཕྱག་རྒྱ་
ཆེ ན་པོ ་, phyag rgya chen po; "Grande Sigillo"), che intende presentare "il grande sigillo della realtà", ossia
la vacuità che «suggella ogni fenomeno del saṃsāra e del nirvāṇa »[33].
Il celeberrimo discepolo di Mar pa Chos kyi blo gros fu Mi la ras pa (མི ་ལ་རས་པ Milarepa, 1028/1240–
1111/1123), di cui conserviamo la biografia, il Mi la ras pa’i rnam thar (མི ་ལ་རས་པའི ་རྣམ་ཐར, Milarepa
Namtar; "Vita di Milarepa"), composta nel XV secolo da un altro mistico, Gtsang smyon He ru ka (གཙང་
སྨྱོ ན་ཧེ ་རུ་ཀ་, Tsangnyön Heruka, 1452–1507), unitamente al Mi la’i mgur ’bum (མི ་ལའི ་མགུར་འབུམ, Mile
Gurbum; "Centomila canti di Milarepa") che raccoglie una edizione dei suoi componimenti poetico-mistici
sul genere dei dohā dei mahāsiddha dell'India.
Nella tradizione di questo insieme di scuole, il lignaggio comune indica queste cinque prime personalità: il
buddha Vajradhara, Tilopa, Nāropa, Mar pa Chos kyi blo gros, e Mi la ras pa.
Discepolo di Mi la ras pa fu un altro noto mistico, sGam po pa Bsod nams rin chen ( སྒམ་པོ ་པ་བསོ ད་
ནམས་རི ན་ཆེ ན་, Gampopa Sönam Rinchen, 1079-1053), autore del Thar pa rin po che'i rgyan (ཐར་པ་
རི ན་པོ ་ཆེ འི ་རྒྱན, Tarpa rinpoche gyen, "Prezioso ornamento della Liberazione"), un importante trattato di
genere "gradualista" che illustra il percorso lungo le sei pāramitā proprie del buddhismo Mahāyāna.
Con sGam po pa Bsod nams i bka’ brgyud pa subiscono una prima divisione: eredi del lignaggio di questi è
la corrente principale detta dwags po bka’ brgyud (དྭགས་པོ ་བཀའ་བརྒྱུད Dakpo Kagyü), mentre l'altra,
minoritaria, è detta shangs pa bka’ brgyud (ཤངས་པ་བཀའ་བརྒྱུད, Shangpa Kagyü).
I discepoli di sGam po pa Bsod nams, quindi afferenti alla dwags po bka’ brgyud, avviarono un sistema di
lignaggi/scuole dette in tibetano bka’ brgyud che bzhi chung brgyad (བཀའ་བརྒྱུད་ཆེ ་བཞི ་ཆུང་བརྒྱད།,
"Quattro maggiori e otto minori").
Le "quattro maggiori [scuole] bka’ brgyud" (བཀའ་བརྒྱུད་ཆེ ་བཞི ) sono rappresentate da:
1. karma bka' brgyud (ཀརྨ་བཀའ་བརྒྱུད།, Karma Kagyü), fondata dall'allievo di Sgam po pa Bsod
nams rin chen, Dus gsum mkhyen pa (དུས་གསུམ་མཁྱེ ན་པ། Dusum Kyenpa, 1110–1193)
Sgom tshul (དྭགས་པོ ་སྒོ མ་ཚུལ, Dakpo Gomtsül, 1116–1169), Zhang tshal pa Brtson grus
grags pa (ཞང་ཚལ་པ་བརྩོ ན་གྲུས་གྲགས་པ, Shangtsalpa Tsöndrü Drakpa, 1123–1193), quindi
originatasi nel monastero di Tshal Gung thang (ཚལ་གུང་ཐང, Tshel Gungthang) nei pressi di
Lhasa;
3. ’ba’ rom bka’ brgyud (འབའ་རོ མ་བཀའ་བརྒྱུད, Barom Kagyü), fondata dall'allievo di Sgam po
pa Bsod nams rin chen, ’Ba’ rom Dar ma dbang phy ug (འབའ་རོ མ་དར་མ་དབང་ཕྱུག, Barom
4. phag gru bka’ brgyud (ཕག་གྲུ་བཀའ་བརྒྱུད, Pakdru Kagyü), fondata dall'allievo di Sgam po pa
Bsod nams rin chen, Phag mo gru pa Rdo rje rgyal po (ཕག་མོ ་གྲུ་པ་རྡོ ་རྗེ ་རྒྱལ་པོ Pakmodrupa
Le "otto minori" (ཆུང་བརྒྱད།), indicate collettivamente anche con l'espressione dei phag mo gru pa (ཕག་
མོ ་གྲུ་པ, Pakmo Drupa), in quanto fondate da discepoli del maestro Phag mo gru pa Rdo rje rgyal po (ཕག་
མོ ་གྲུ་པ་རྡོ ་རྗེ ་རྒྱལ་པོ ་, Pakmodrupa Dorje Gyalpo, 1110–1170), a sua volta allievo di sGam po pa Bsod
nams, sono rappresentate da:
1. ’bri gung bka’ brgyud (འབྲི ་གུང་བཀའ་བརྒྱུད, Drigung Kagyü), fondata da ’Jig rten gsum mgon
2. stag lung bka’ brgyud (སྟག་ལུང་བཀའ་བརྒྱུད, Taklung Kagyü), fondata da Stag lung Thang pa
fondatore anche del monastero di Stag lung (སྟག་ལུང་, Taklung), collocato a nord-est di
Lhasa;
3. gling ras bka’ brgyud (གླི ང་རས་བཀའ་བརྒྱུད།, Lingre Kagyü) fondata da Gling ras pad ma rdo
rje (གླི ང་རས་པད་མ་རྡོ ་རྗེ , Lingje Repa Pema Dorje, 1128–1288), da tener presente che con il
discepolo e successore di quest'ultimo, Gtsang pa rgya ras Ye shes rdo rje (གཙང་པ་རྒྱ་རས་
ཡེ ་ཤེ ས་རྡོ ་རྗེ ་, Tsangpa Gyare Yeshe Dorje, 1161–1211) essa acquisirà il nome di ’brug pa bka’
4. gya’ bzang bka’ brgyud (གྱའ་བཟང་བཀའ་བརྒྱུད་, Yasang Kagyü) fondata da Zwa ra ba Skal
ldan ye shes seng ge (ཟྭ་ར་བ་སྐལ་ལྡན་ཡེ ་ཤེ ས་སེ ང་གེ , Sarawa Kalden Yeshe Senge, ?-1207);
5. khro phu bka’ brgyud (ཁྲོ ་ཕུ་བཀའ་བརྒྱུད, Trophu Kagyü) originatasi da Rgya tsha (Gyatsa,
1118–1195), Kun ldan ras pa (ཀུན་ལྡན་རས་པ, Kunden Repa, 1148–1217) e Khro phu lo tsa
6. shug gseb bka’ brgyud (ཤུག་གསེ བ་བཀའ་བརྒྱུད, Shuksep Kagyü) fondata da Gyer sgom Tshul
khrims seng ge (གྱེ ར་སྒོ མ་ཚུལ་ཁྲི མས་སེ ང་གེ , Gyergom Tsultrim Senge, 1144–1204);
7. yel pa bka’ brgyud (ཡེ ལ་པ་བཀའ་བརྒྱུད, Yelpa Kagyü fondata da Ye shes brtsegs pa (Yeshe
Tsekpa, n.d.)
8. smar tshang bka’ brgyud (སྨར་ཚང་བཀའ་བརྒྱུད, Martsang Kagyü) fondata da Smar pa grub
Molte di queste sottoscuole non sono rimaste indipendenti, finendo per confluire in gruppi principali. Tra
quelle tutt'oggi esistenti vanno menzionate, per la loro rilevanza, la karma bka' brgyud, la ’bri gung bka’
brgyud e la ’brug pa bka’ brgyud.
La tradizione del "Metodo della Virtù": dge lugs (དགེ ་ལུགས, Gelug/Geluk)
La tradizione dge lugs è certamente la più importante tradizione buddhista sotto il profilo politico, questo
dalla data della sua nascita, intorno agli inizi del XIV, e fino ai nostri giorni[34].
L'origine di questa scuola va fatta risalire alla figura del dotto e mistico Tsong kha pa (ཙོ ང་ཁ་པ,
Tsongkhapa 1357-1419), altrimenti conosciuto con il nome monastico di Blo bzang grags pa (བློ ་བཟང་
གྲགས་པ, Losang Drakpa), per la precisione ai suoi allievi il cui "approccio" viene indicato in lingua
tibetana come Dga’ ldan pa’i lugs (དགའ་ལྡན་པའི ་ལུགས, da cui il nome dge lugs proprio di questa
tradizione[35]) ossia l'approccio di "coloro che provengono dai monti Dga'ldan", laddove Tsong kha pa, nel
1409 e grazie alla potente e nobile famiglia dei Phag mo gru (ཕག་མོ ་གྲུ ) aveva eretto il suo monastero,
detto per l'appunto del Ri bo dga'ldan (རི ་བོ ་དགའ་ལྡན་, anche Ganden a 45 km a est di Lhasa).
Tsong kha pa ebbe modo di ricevere gli insegnamenti buddhisti da maestri di differenti lignaggi e, giunto ai
quaranta anni, prese i voti monastici per entrare nel celebre monastero di Rwa sgreng (རྭ་སྒྲེ ང་དགོ ན་པ,
Rwa sgreng dgon pa, monastero di Reting, collocato nella valle del ’Phan po a circa 100 km a nord di
Lhasa) a quel tempo affiliato all'ormai scomparso lignaggio dei bka' gdams. Dopo aver studiato lì la
letteratura buddhista, in particolar modo il Bodhipathapradīpa del dotto indiano del X secolo Atiśa
Dīpaṃkaraśrījñāna, redasse, nel 1402, quella celeberrima opera che va sotto il titolo tibetano di Lam rim
chen mo (ལམ་རི མ་ཆེ ན་མོ , "Il sommo sentiero graduale"; al Toh. 5392) che, tra l'altro, contiene dotte
citazioni proprie dei testi indiani del buddhismo affrontando gli stadi del percorso spirituale buddhista.
Dopo questo, Tsong kha pa predispose un ulteriore trattato, lo sngags rim chen mo (སྔགས་རི མ་ཆེ ན་མོ ་, "Il
sommo [sentiero del] mantra graduale",; al Toh. 5281) che invece si occupa delle pratiche proprie del
buddhismo esoterico.
Dopo aver eretto nel 1409 il primo monastero di questa tradizione, Tsong kha pa inviò il suo discepolo
’Jam dbyangs chos rje (འཇམ་དབྱངས་ཆོ ས་རྗེ , Jamyang Chöje, 1379–1449) a fondare, nel 1416, il
monastero di ’Bras spungs (འབྲས་སྤུངས, monastero di Drepung, 8 km a ovest di Lhasa) e, nel 1419, l'altro
suo allievo, Byams chen chos rje (བྱམས་ཆེ ན་ཆོ ས་རྗེ , Jamchen Chöje, 1354–1435), a fondare il monastero
di Se ra (སེ ་ར་, monastero di Sera, a circa 6 km a nord di Lhasa) sempre aiutati dalla potente e nobile
famiglia dei Phag mo gru.
Questi tre monasteri, collocati nell'area dell'importante città di Lhasa e appellati con il nome collettivo di
gdan sa gsum (གདན་ས་གསུམ, densa sum, "Tre fondazioni"), saranno il centro di potere politico e
dottrinale di questa influente tradizione. Da tener presente, ad esempio, che il solo monastero di ’Bras
spungs riuscirà ad ospitare fino a diecimila monaci residenti.
L'originario impianto dottrinale di questa tradizione lo dobbiamo, oltre al già menzionato fondatore Tsong
kha pa, ai due suoi più importanti seguaci: Rgyal tshab Dar ma rin chen (རྒྱལ་ཚབ་དར་མ་རི ན་ཆེ ན,
Gyaltsap Darma Rinchen, 1364–1432) e Mkhas grub Dge legs dpal bzang (མཁས་གྲུབ་དགེ ་ལེ གས་དཔལ་
བཟང, Kedrup Gelek Palsang, 1385–1438) i quali, unitamente al loro maestro, verranno appellati come rje
yab sras gsum (རྗེ ་ཡབ་སྲས་གསུམ, "il signore e i suoi due figli spirituali").
Il Bkra shis lhun po (བཀྲ་ཤི ས་ལྷུན་པོ , Tashi Lhunpo) sarà il quarto grande monastero fondato da questa
scuola nei pressi della città di Gzhi ka rtse (གཞི ་ཀ་རྩེ ་, Shigatse) nel 1447 da un altro seguace, in questo
caso anche nipote, di Tsong kha pa, Dge ’dun grub (དགེ ་འདུན་གྲུབ་, Gendün Drup, 1391–1475) il quale,
posteriormente, riceverà il titolo, tipico di questa tradizione, di "primo" Ta la’i bla ma (ཏ་ལའི ་བླ་མ, Dalai
Lama).
Tale titolo che, va detto, inerisce esclusivamente a questa singola tradizione tibetana, fu coniato nel 1578
quando, nella regione del lago Tso Ngömpo (མཚོ ་སྔོ ན་པོ , lett. "lago azzurro"; quel grande lago di acqua
salata conosciuto anche con il nome mongolo di Хөх нуур, Koko Nor; o con il cinese 靑海湖 Qinghǎi
Hú; situato nella provincia del Qinghai) avvenne l'incontro tra il potente condottiero del clan mongolo dei
Tümed, Altan Khan, (antico mongolo: , 1507-1588) e l'abate dei monasteri dge lugs di ’Bras spungs
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e di Se ra, il bla ma bSod nams rgya mtsho (བསོ ད་ནམས་རྒྱ་མཚོ , Sönam Gyatso, 1543-1588). Come era
costume i due si scambiarono dei titoli onorifici, quello assegnato dal khan mongolo al bla ma tibetano
consisteva nella traduzione mongola dell'ultima parte del suo nome, rgya mtsho (རྒྱ་མཚོ ), ovvero dalai
(antico mongolo: ) che, anche in mongolo, significa "oceano". Da qui il titolo tipizzato in tibetano come
ᠲᠠᠯᠠᠢ
ta la'i bla ma (ཏ་ལའི ་བླ་མ , adattato in Dalai Lama, pronuncia in italiano: "talee lama") con il significato
di "maestro oceanico".
Tale titolo fu assegnato, ovviamente in via postuma, ad altri due importanti predecessori di bSod nams rgya
mtsho, oltre al già citato Dge ’dun grub anche a Dge 'dun rgya mtsho (དགེ ་འདུན་རྒྱ་མཚོ , Gendün Gyatso,
1475-1542).
Questi importanti tre maestri furono considerati alla stregua della dottrina detta dello sprul sku (སྤྲུལ་སྐུ་,
trülku, anche nella resa anglosassone di tulku, rende il sanscrito nirmāṇakāya), furono quindi considerati
manifestazioni, incarnazioni, l'uno dell'altro. Tale dottrina, per quanto già presente ad esempio nella scuola
dei Kar ma Bka’ brgyud, sostituiva la tradizionale consuetudine di successione tra maestri, presente nelle
altre scuole buddhiste tibetane, dove il maestro in carica designava a succedergli il più qualificato dei suoi
allievi.
Il successore, ovvero l'incarnazione dello stesso bSod nams rgya mtsho, il bla ma che aveva incontrato
Altan Khan, fu individuato dalle gerarchie dge lugs proprio in un pronipote del khan mongolo, Yon tan
rgya mtsho (ཡོ ན་ཏན་རྒྱ་མཚོ ་, Yönten Gyatso, 1589-1617, unico Dalai Lama non tibetano) che venne così
nominato come IV Dalai Lama, fatto che consentì alla scuola fondata da Tsong kha pa di legarsi vieppiù
con le casate mongole, patrone politico-militari di quelle regioni.
Al quarto Dalai Lama di origine mongola , succedette, sempre con il metodo dello sprul sku, il quinto Ngag
dbang blo bzang rgya mtsho (ངག་དབང་བློ ་བཟང་རྒྱ་མཚོ ་, Ngawang Lozang Gyatso, 1617-1682) una delle
personalità più eminenti dell'intera storia tibetana, appellato per questo da suo popolo come ལྔ་པ་ཆེ ན་པོ
(lnga pa chen po, il "Grande Quinto").
Figlio di una nobile famiglia del ’Phyong rgyas (འཕྱོ ང་རྒྱས, Chongye, nello Yarlung) ebbe come maestro, e
forse padre biologico, un illustre esponente del lignaggio Jo-nang, Kun dga' snying po (ཀུན་དགའ་སྙི ང་པོ ,
Kunga Nyingpo, altrimenti conosciuto anche come Tāranātha, 1092-1158) mentre la madre, secondo le sue
stesse memorie, fu la compagna tantrica di questo grande maestro.
Riconosciuto da Blo bzang chos kyi rgyal mtshan (བློ ་བཟང་ཆོ ས་ཀྱི ་རྒྱལ་མཚན, Lozang Chökyi Gyaltsen,
1570–1662), il quarto Pan chen bl ama, (པན་ཆེ ན་བླ་མ, Panchen Lama) nel 1622 come incarnazione del
IV Dalai Lama, quindi del mongolo Yon tan rgya mtsho, e condotto nel monastero di Ddga'ldan, nel 1625
Ngag dbang blo bzang rgya mtsho venne ordinato monaco continuando gli studi sotto diversi insegnanti,
studi che riguardarono l'intera tradizione buddhista tibetana, sotto il quarto Pan chen bl ama.
In questo periodo i seguaci del dge lugs vengono perseguitati dal re del Dbus-gtsang (དབུས་གཙང, Ü-
Tsang), (ཀར་མ་བསྟན་སྐྱོ ང, Kar ma bstan skyong, (Karma Tenkyong, 1605-1642), patrono sia della potente
tradizione Kar ma Bka’ brgyud (ཀརྨ་བཀའ་བརྒྱུད, Karma Kagyü) che di quella che va sotto il nome di Jo
nang (ཇོ ་ནང, Jonang).
L'alleanza tra i mongoli e i dge lugs, già instaurato con il III Dalai Lama e confermato con il IV, egli stesso
un mongolo, verrà ulteriormente stabilita dal V, il quale si legherà al governatore mongolo del Qoshot,
Gushri Khan (1582-1655). Grazie a questi potenti alleati dal 1642 il V Dalai Lama, con il reggente Bsod
nams chos 'phel (བསོ ད་ནམས་ཆོ ས་འཕེ ལ, Sönam Chöpel, circa 1595-1658), governerà l'intero Tibet
centrale.
ཡོ ཆོ
La relazione tra il V Dalai Lama e i mongoli fu stabilita secondo il modello yon mchod, (ཡོ ན་མཆོ དanche
mchod yon, yön chö), già instaurato nel 1247 tra gli esponenti della tradizione sa skya (རྙི ང་མ་ Sakya) e
Kubilai Khan, che riservava il ruolo politico religioso ai Dalai Lama e il ruolo politico militare ai khan
mongoli[36].
Il V Dalai Lama promosse anche quella dottrina secondo la quale lui, e i suoi incarnati predecessori, erano
la manifestazione terrena del bodhisattva cosmico Avalokiteśvara, venendo anche considerato erede dei
primi tre re del Dharma (dharmarāja, ཆོ ས་རྒྱལ, chos rgyal)[37].
E se la mitologia indiana (cfr. Gaṇḍavyūha; Sdong po bkod pa, སྡོ ང་པོ ་བཀོ ད་པ, al Toh. 44), e quindi
tibetana, individuava la residenza di questo grande bodhisattva della misericordia sul monte Potala (པོ ་ཏ་ལ,
po ta la), e se il primo re del Dharma tibetano, Srong-btsan sGam-po, già lui stesso considerato
incarnazione di Chenrezik, aveva eretto nel VII secolo la sua residenza sul "Poggio Rosso" (དམར་པོ ་རི ,
dmar po ri) a Lhasa, fu facile per il V Dalai Lama avviare, nel 1645, la costruzione di un'imponente
fortezza sullo stesso Poggio Rosso, ribattezzato per l'occasione come "Potala", andandola così a indicare
come sacra, potente e visibile reggia della teocrazia da lui instaurata e rappresentata.
«Battezzando col significativo nome Potala -un nome che risultava pieno di
implicazioni - la nuova sede del dalailamato (nonché del governo), si consacrava
definitivamente il vincolo carismatico del massimo gerarca dge lugs pa con
Avalokiteśvara e, simultaneamente, con l'antica e gloriosa tradizione regale. Ponendo
in evidenza questi nessi, il quinto Dalai Lama riusciva perfettamente il suo disegno
politico. Egli non visse fino al completamento della propria opera, ma la dignità di Dalai
Lama, assurta a paradigma della santità, era ormai pienamente canonizzata.»
(Prats, p. 166)
Nel 1652 il V Dalai Lama si recherà alla corte dell'imperatore Shunqi ( 順治蒂 ), primo della dinastia Qing,
vivendo non il primo degli equivoci con i vicini cinesi: da una parte l'imperatore manciù lo considerava, al
pari dei suoi predecessori mongoli, un suo vassallo, dall'altra il Dalai Lama avrebbe voluto essere
considerato il sovrano di un regno indipendente[38].
La tradizione, estinta, [del monastero di] "Jo nang" [phun tshogs gling] (ཇོ ་ནང, Jonang)
ཇོ ཚོ གླི
Questa tradizione ha origine nel monastero Jo nang phun tshogs gling (ཇོ ་ནང་ཕུན་ཚོ གས་གླི ང, Jonang
Püntsokling collocato a nord-ovest di Shigatse) fondato nel XIII secolo da Kun spangs pa Thugs rje brtson
’grus (ཀུན་སྤངས་པ་ཐུགས་རྗེ ་བརྩོ ན་འགྲུས, Kunpangpa Tukje Tsöndrü, 1243–1313) e ampliato da Dol po
pa Shes rab rgyal mtshan (དོ ལ་པོ ་པ་ཥེ ས་རབ་རྒྱལ་མཚན, Dolpopa Sherap Gyaltsen, 1292–1361). Tuttavia
questa scuola sostiene di aver origine dal mistico dell'XI secolo Yu mo Mi bskyod rdo rje (ཡུ་མོ ་མི ་བསྐྱོ ད་རྡོ ་
རྗེ ་, Yumo Mikyö Dorje).
La peculiarità storica di questa tradizione si rileva nel maestro Dol po pa Shes rab rgyal mtshan il quale
elaborò quella particolare dottrina inerente alla "vacuità" detta estrinseca che va sotto il nome tibetano di
gzhan stong (གཞན་སྟོ ང, shentong), provocando quel dibattito dottrinario giunto fino ai giorni nostri tra i
suoi promulgatori e coloro che vi si oppongono, ovvero che propugnano la dottrina della "vacuità
intrinseca" detta in tibetano rang stong (རང་སྟོ ང, rangtong).
La raccolta canonica della letteratura religiosa buddhista tibetana viene indicata dagli studiosi con
l'espressione Canone buddhista tibetano, o Canone tibetano, con essa si intende l'insieme di due raccolte di
testi in lingua tibetana e che corrispondono a:
il bKa’-’gyur (nella grafia tibetana: བཀའ་འགྱུར; reso anche come Kangyur o Kanjur; lett. "[La
il bsTan-’gyur (nella grafia tibetana: བསྟན་འགྱུར; reso anche come Tangyur o Tanjur; lett. "[La
Il Canone tibetano è quindi l'opera che raccoglie i sūtra (མདོ , mdo), i tantra (རྒྱུད, rgyud), i śāstra (བསྟན་
བཆོ ས, bstan bcos), il vinaya (འདུལ་བ།, 'dul ba) e in generale le scritture buddhiste, tradotte in lingua tibetana
e ritenute importanti per la tradizione del Buddhismo Vajrayāna in Tibet.
Il Canone tibetano si è sostanzialmente formato dall'VIII al XIII secolo, assumendo una sua prima edizione
definitiva grazie al dotto poligrafo e bla-ma (བླ་མ) del XIV secolo Bu-ston rin-chen grub ( བུ་སྟོ ན་རི ན་ཆེ ན་
གྲུབ་, anche Butön Rinchen Drup, 1290-1364).
Complessivamente esso si compone di oltre trecento volumi comprendenti circa quattromila opere tradotte
dal sanscrito, dal pracrito, dallo apabhraṃśa, dal cinese e da lingue centroasiatiche, ma si compone anche
di commentari redatti direttamente in lingua tibetana[39].
Note
1. ^ Prats, p.135
2. Matthew T. Kapstein, p. 1151
3. ^ Prats, p.136
4. ^ Robinson & Johnson, p.328.
5. Prats, p.148.
6. ^ Robinson & Johnson, p.328-9.
7. ^ Prats, 148
8. ^ Cfr. anche Matthew T. Kapstein, p. 1151
9. ^ Princeton, voce "Śāntarakṣita".
10. ^ Robinson & Johnson, p.30.
11. ^ Da qui l'avvertenza che indicare la religione tibetana locale con il termine "Bon", བོ ན, può
essere foriero di equivoci perché l'esistente "religione Bon" poco ha a che fare con la
religione pre-buddhista tibetana. Riguardo al nome "Bon" va evidenziata anche l'avvertenza
del tibetologo giapponese Yoshirō Imaeda: «Formerly European historians, relying
exclusively on later (that is to say, post-eleventh-century) Tibetan documents, thought that
before the introduction of Buddhism, there was a religion in Tibet called ‘Bon’. As Tibetan
studies advanced, the more complex reality of the religious situation in ancient Tibet began
to emerge. The first important step was to note that Bon was only one element of the
religious world and that the Bon pos were only one category of priests of ancient Tibet. It was
therefore necessary to dissociate the properly indigenous elements from those that were
foreign, and group them together under the designation of ‘nameless religion’» (in Matthew
T. Kapstein e Brandon Dotson (a cura di). Contributions to the Cultural History of Early Tibet.
Brill, Leiden, 2007, p. 105.
12. ^ Prats, p. 150; Tucci, 1958, pp.25-6.
13. ^ Matthew T. Kapstein, p. 1152
14. ^ Prats, p. 152
15. ^ «The renowned Italian Tibetanist’s survey of Tibetan religions.», Matthew T. Kapstein, p.
1159
16. ^ Cfr. Giuseppe Tucci, Le religioni del Tibet, p. 31-2; ripreso anche da Prats, cfr. p.152
17. ^ Prats, p.153
18. ^ Tucci, 1958, p.45
19. Prats, p. 153
20. ^ Prats, p. 154
21. ^ Guenther, p. 143
22. ^ Richard H. Robinson e Willard L. Johnson, p.331
23. ^ Le informazioni riportate in questo paragrafo che attiene alle scuole del buddhismo
tibetano fanno riferimento, quando non diversamente indicato, alle opere di Robert E.
Buswell Jr. e Donald S. Lopez Jr, Philippe Cornu, Herbert Guenther, Matthew T. Kapstein
(2004), Ramon N. Prats, citate in bibliografia.
24. ^ Anne-Marie Blondeau, p.106
25. ^ Tra il VII e il IX secolo i re tibetani furono in costante stato di guerra, conquistando vaste
regioni cinesi e giungendo persino a conquistare, in un'occasione, la capitale cinese
Chang'an. Così David L. Snellgrove e Hugh Richardson (p.31): «From the seventh century
onwards Tibet begins to enter an entirely new period of growth and development. The
political history of the period of the Yarlung kings (seventh to ninth centuries) is one of
constant warlike activity. China was the principal rival and the Tibetans pressed further and
further into the borderlands of what are now Kansu, Szechwan, Yunnan and Shansi. On one
occasion they even captured Ch'ang-an (Sian) which was then the capital of China. By
occupying strategic points on the routes through Central Asia they cut China's
communications with the West, and the strain on Chinese resources and spirit are echoed in
the war-weary poems of the great T'ang poets Po Chii-i, Li Po and Tu Fu. There were of
course periods of peace, when Tibetan and Chinese envoys passed between the courts and
between the generals on the frontiers. »
26. ^ I nomi di questi monaci, secondo la tradizione, erano Rab gsal proveniente dalla provincia
di Gtsang, Gyo dge byung proveniente da Bo dong e Dmar Sākyamuni proveniente da Stod
lung. Questi tre monaci, caricarono sul mulo i testi del vinaya, a significare la necessaria
continuità monastica legittima, dirigendosi verso Oriente. E dopo aver attraversato le regioni
sotto il dominio dei Turchi karluk e quelle sotto gli Uiguri giunsero infine nell'Amdo. Lì un ex
credente della religione Bon che viveva in quel luogo, di nome Dge rab gsal, il quale
precedentemente era stato convertito al buddhismo, chiese a questi tre monaci appena
giunti di essere ordinato monaco. Viste le peculiari e rigide regole del vinaya, per
l'ordinazione di un nuovo monaco è indispensabile la presenza di almeno cinque monaci
già ordinati. Al fine di consentire l'ordinazione di Dge rab gsal si aggiunsero, per completare
il numero di cinque, due monaci cinesi lì presenti (Cfr. ad es. Tucci, p. 37).
27. ^ Ramon N. Prats, p. 155
28. ^ Vedi anche Ramon R. Prats, p. 155
29. ^ Prats, 156
30. Ramon N. Prats, p. 158
31. ^ Herbert V. Guenther, p. 144
32. ^ Robert E. Buswell Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a cura di), Princeton Dictionary of Buddhism,
Princeton University Press, 2013.
33. ^ Cornu, p. 349
34. ^ Prats, p.162
35. ^ «The name Dge lugs may have originally been an abbreviation of Dga’ ldan pa’i lugs.»
Robert E. Buswell Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a cura di), Princeton Dictionary of Buddhism,
Princeton University Press, 2013.
36. ^ «The relationship thus forged between the Dalai Lama and the Mongol ruler was based on
the so-called priest-patron (YON MCHOD) model previously established between the Sa sky
a heirarch ’ PHAGS PA BLO GROS RGYAL MTSHAN and Qubilai Khan.» Robert E. Buswell
Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a cura di), Princeton Dictionary of Buddhism, Princeton University
Press, 2013.
37. ^ «The Dalai Lama promoted the view that he and the previous Dalai Lamas were
incarnations (SPRUL SKU) of the BODHISATTVA AVALOKITEŚVARA and that he himself
was linked to the three great religious kings (chos rgyal) SRONG BTSAN SGAM PO, KHRI
SRONG LDE BTSAN, and RAL PA CAN .» Robert E. Buswell Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a
cura di), Princeton Dictionary of Buddhism, Princeton University Press, 2013.
38. ^ «In 1652, at the invitation of the Qing emperor, the fifth Dalai Lama traveled to the Manchu
imperial court in Beijing, where he was greeted with great ceremony, although he resented
attempts by the Chinese to present him as a vassal of the Qing emperor rather than as an
equal head of state.» Robert E. Buswell Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a cura di), Princeton
Dictionary of Buddhism, Princeton University Press, 2013.
39. ^ Prats, p. 178
Bibliografia
Anne Marie Blondeau, Il buddhismo tibetano, in "Storia del Buddhismo" (a cura di Henri-
Charles Puech). Bari, Laterza, 1984.
Robert E. Buswell Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a cura di), Princeton Dictionary of Buddhism,
Princeton University Press, 2013.
Philippe Cornu, Dizionario del Buddhismo. Milano, Bruno Mondadori, 2003 (2001).
Herbert Guenther, Il buddhismo in Tibet, in "Enciclopedia delle religioni", vol. 10. Milano,
Jaca Book, 2006 (1989), pp. 141 e sgg.
Matthew T. Kapstein, Buddhism in Tibet, in "Encyclopedia of Religion", vol. 2. NY,
Macmmillan, 2004, pp. 1150 e sgg.
Matthew T. Kapstein, The Tibetan Assimilation of Buddhism. New York, Oxford University
Press, 2000.
Matthew T. Kapstein e Brandon Dotson (a cura di). Contributions to the Cultural History of
Early Tibet. Brill, Leiden, 2007.
Ramon N. Prats, Le religioni del Tibet, in "Buddhismo" (a cura di Giovanni Filoramo). Bari,
Laterza, 2007.
Richard H. Robinson e Willard L. Johnson. Il buddhismo nell'area culturale tibetana, in "La
religione buddhista". Roma, Ubaldini, 1998.
David Snellgrove, Indo-Tibetan Buddhism: Indian Buddhists and Their Tibetan Successors.
Shambhala, Boston, 2002.
David L. Snellgrove e Hugh Richardson, A Cultural History of Tibet. Bangkok, Orchid Press,
2003.
Giuseppe Tucci, Le religioni del Tibet. Roma, Edizioni Mediterranee, 1986 (1976).
Giuseppe Tucci, Minor Buddhist Texts, Part II. Roma, Ismeo, 1956.
Voci correlate
Canone buddhista tibetano
Tibet
Buddhismo Vajrayāna
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