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Lu Xun, “Medicina”

Era d'autunno, nelle prime ore del mattino. La luna era scomparsa, ma non si era
ancora levato il sole, sì che il cielo era un lenzuolo di blu scuro. Tranne qualche
nottambulo, tutti dormivano. Il vecchio Shuan si alzò a sedere sul letto,
all'improvviso, con un fiammifero accese la lampada a olio tutta unta e una luce
spettrale si sparse nelle due stanze della casa da tè.
"Vai ora, papà?" domandò la voce di una vecchia. E dalla stanzetta interna si udì uno
scoppio di tosse.
“Hm”.
Il vecchio Shuan si vestiva, con l'orecchio teso, poi allungando la mano disse:
"Dammeli".
La moglie rovistò sotto il cuscino, ne trasse fuori un pacchetto di dollari d'argento e
lo porse al marito. Il vecchio Shuan se lo mise nervosamente in tasca e lo palpò
dall'esterno, poi accese un lampioncino di carta, spense il lume ed entrò nella stanza
interna. Si sentì bisbigliare, poi ancora tosse, questa volta più forte. Quando fu di
nuovo silenzio, il vecchio Shuan chiamò a bassa voce: “Figlio!…Non alzarti!... Della
bottega si occuperà la mamma." Il
figlio non rispose, segno, pensò il vecchio Shuan, che si era profondamente
addormentato, e così uscì sulla strada. Era buio, non si vedeva altro che la strada
grigia. La luce del lampioncino gli cadeva sui piedi; incontrò qualche cane, ma
nessuno abbaiò. Faceva molto più freddo che in casa, eppure il vecchio Shuan si
sentì sollevato, come se fosse improvvisamente ringiovanito e possedesse una
miracolosa forza vivificante. Allungò il passo e la strada diventava sempre più chiara
e il cielo sempre più luminoso.
Camminava sopra pensiero, e trasalì quando vide, chiaro di fronte a lui, il crocevia.
Fece qualche passo indietro, si fermò sotto la grondaia di una bottega, davanti a una
porta chiusa. Dopo un po' cominciò a sentire freddo.
“Uh, che vecchietto..."
"E un tipo robusto..."
Il vecchio Shuan si scosse e, aprendo gli occhi, vide diversi uomini che passavano.
Uno si voltò a guardarlo e quantunque non riuscisse a vederlo chiaramente, gli occhi
dell'uomo brillavano di una luce avida, come quelli di un affamato alla vista del cibo.
Guardò il lampioncino e si accorse che era spento. Palpò la tasca: il pacchetto duro
c'era ancora. Poi guardò avanti e indietro, e vide molta gente strana, a gruppi di due
o di tre, che vagavano come anime perse; ma quando li fissò non ravvisò in loro
sull'altro di strano.
Poi alcuni soldati che giravano lì intorno. Anche da lontano si distinguevano i grandi
cerchi bianchi sulle uniformi, davanti e di dietro, e si vedeva anche l'orlo di colore
rosso scuro. Un attimo dopo passò una folla, con un precipitoso scalpiccio. Allora i
gruppetti che erano lì, all'improvviso si riunirono ed avanzarono ondeggiando. Giunti
al crocevia si fermarono bruscamente e si raggrupparono a semicerchio.
Il vecchio Shuan guardava da quella parte, ma riusciva a vedere soltanto la schiena
della gente. Col collo teso, parevano tante anatre afferrate da una mano invisibile.
Per qualche tempo fu tutto silenzio, poi si sentì un suono e un fremito passò per la
folla. Si senti un gran clamore, e tutti si spinsero indietro, urtando il vecchio Shuan
fin quasi a farlo cadere.
"Ehi, dammi i soldi e ti darò la roba!" Un uomo tutto vestito di nero stava di fronte a
lui, e lo fissava con occhi acuti come pugnali, sì che il vecchio Shuan si sentì piccolo
piccolo. Questo uomo tendeva contro di lui una mano minacciosa e nell'altra teneva
un pane umidiccio da cui cadevano a terra gocce di un liquido rosso.
Il vecchio Shuan si frugò in tasca, ne trasse in fretta i dollari e glieli porse tremando,
ma non si azzardava a prendere il pane. L'altro si impazienti e gli gridò: "Di cosa hai
paura? Perché non lo prendi?" Poiché il vecchio Shuan esitava ancora, l'uomo
vestito di nero afferrò il lampioncino, ne strappò la carta per involgerci il pane, poi
mise l'involto in mano al vecchio Shuan e afferrò al tempo stesso le monete
d'argento, soppesandole. Poi si voltò borbottando: "Vecchio scemo..."
"Chi è ammalato? A chi serve quella roba?" Al vecchio Shuan parve di sentire queste
domande, ma non rispose. Pensava solo al suo involto, e lo portava con cura, come
se fosse l'unico erede dl una illustre casata; non gli importava d’altro: stava per
trapiantare proprio in casa sua nuova vita, e raccoglierne tanta felicita. Anche il sole
si era levato, illuminando la strada, davanti a lui, al crocevia con la scritta d'oro
sbiadita: "Vecchio padiglione."

Quando il vecchio Shuan arrivò a casa, la bottega era già stata pulita e i tavoli da tè,
allineati, scintillavano, ma non c'era alcun cliente; solo suo figlio era seduto a un
tavolo, presso il muro, e mangiava. Aveva la fronte madida di sudore, la giacchetta
appiccicata alla schiena, e le scapole gli sporgevano aguzze, come se vi fosse
impressa una “V” rovesciata. A questa vista il vecchio Shuan aggrottò ancora le
sopracciglia. Dalla cucina venne in fretta sua moglie, con gli occhi ansiosi e le labbra
tremanti.
"Ce l'hai?"
"Sì."
Entrarono insieme in cucina e per qualche tempo parlarono. Poi la donna usci e
tornò poco dopo con una foglia secca di loto che stese sul tavolo. Il piccolo Shuan
aveva finito il pranzo, ma sua madre gli disse in fretta:
"Resta a sedere, piccolo. Shuan. Non venire qua."
Attizzando il fuoco nella stufa, il vecchio Shuan vi cacciò l'involucro verde e la carta
del lume, bianca e rossa. Si levò una fiamma rossa e nera e per la bottega si sparse
uno strano odore.
"Buon odore! Cosa mangiate?" Entrò il gobbo: era uno di quelli che passano tutto il
tempo nelle sale da tè, il primo a venire, al mattino, e l'ultimo ad andarsene. Ora
aveva intoppato un tavolo d'angolo e si era messo a sedere. Ma alla sua domanda
non rispose nessuno.
“Frittelle di riso?”
Nessuno rispose. Il vecchio Shuan si affrettò a preparargli il tè.
"Vieni, piccolo Shuanl" La madre lo chiamava nella stanza interna, mise un tavolo al
centro e fece sedere il bambino. E poi, portandogli sopra un piatto un oggetto nero e
rotondo, gli disse dolcemente:
"Mangia, su, poi starai meglio."
Il piccolo Shuan prese l'oggetto nero e lo guardò. Aveva la strana sensazione di
tenere in mano la sua stessa vita. Lo aprì con cura: dalla crosta bruciacchiata si levò
un getto di vapore bianco, che poi si disperse lasciando solo due metà di un pane di
farina bianca, passata al vapore. Lo mangiò in un attimo, ne dimenticò subito il
sapore: rimase solo il piatto vuoto. Al fianco gli stavano il padre e la madre, e pareva
che con gli occhi cercassero di versargli dentro qualcosa e qualche altra cosa di
tirargli fuori. Il suo piccolo cuore cominciò a battere più in fretta, si portò le mani al
petto e ricominciò a tossire.
"Ora dormi, e poi sarai guarito," gli disse la madre.
Il piccolo Shuan obbedì, si distese per dormire. Quando la madre sentì che il respiro
si era fatto regolare, lo coprì teneramente con una coperta imbottita, piena di
rattoppi.

La bottega era affollata e il vecchio Shuan girava indaffarato recando in mano una
gran pentola di rame da cui mesceva il tè ai clienti, uno dopo l'altro.
“Non stai bene, vecchio Shuan?... Cos'è che non va?" gli chiese uno con la barba
grigia.
"Nulla."
"Nulla?... No, c'è qualcosa. Lo immagino dal tuo sor-riso...".
"Ha da fare, il vecchio Shuan, nient'altro," disse il gobbo. "Se suo figlio..." Ma prima
che potesse finire irruppe nella stanza un uomo dal volto truce. Portava una camicia
nera, aperta, ficcata senza cura in una larga fascia nera, alla vita. Entrando gridò al
vecchio Shuan:
"L'ha preso? Sta meglio? Sei fortunato, vecchio Shuan. Che fortuna! Se non fosse per
me, che vengo subito a sapere le cose..."
Una mano sulla pentola, l'altra distesa lungo il fianco in segno di rispetto, il vecchio
Shuan lo ascoltava sorridendo, e tutti i presenti stavano a sentire rispettosamente.
La vecchia, con gli occhi cerchiati di nero, uscì sorridendo, con una coppa piena di
foglie di tè, vi mise un'oliva e il vecchio Shuang vi versò l'acqua bollente per il nuovo
avventore.
"È una cura garantita! Non come le altre cose!" dichiarò l'uomo dal volto truce.
"Pensate, portato caldo e mangiato caldo!"
"Sì, davvero, non ce la saremmo cavata senza l'aiuto del signor Kang." La vecchia
ringraziò caldamente.
“È una cura garantita! Va mangiato caldo, così. Un pane zuppato nel sangue umano
cura qualsiasi forma di consunzione!” Parve che la parola "consunzione" turbasse la
vecchia, che impallidì, ma si sforzò di sorridere ancora e con un pretesto se ne andò.
Intanto l'uomo in nero stava sopra pensiero, e continuò a parlare a voce altissima, sì
che il bambino, nella stanza interna, si svegliò e cominciò a tossire.
“È proprio un colpo di fortuna per il vostro piccolo Shuan! La sua malattia si curerà
completamente, si capisce. È naturale che il vecchio Shuan sorrida." Mentre parlava
gli si avvicinò l'uomo dalla barba grigia e a bassa voce gli chiese:
"Signor Kang, ho sentito dire che il criminale giustiziato ieri era della famiglia Hsia.
Chi era? Perché è stato giustiziato?"
"Chi? Era il figlio della vedova Hsia, naturalmente! Un furfante!”
Vedendo che tutti pendevano dalle sue labbra il signor Kang si gonfiò ancora di più.
Le guance gli tremavano, e alzò ancora la voce, al massimo della potenza.
"Quel furfante non voleva vivere, semplicemente questo, non voleva vivere. Questa
volta non c'è stato nulla per me. Occhiorosso, il carceriere, si è preso persino i vestiti
che gli avevano strappato di dosso. Il nostro vecchio Shuan è stato il più fortunato di
tutti, e dopo di lui lo zio Hsia. Ha intascato tutta la somma — venticinque once di
argento fino — e non ha speso un soldo!”
Il piccolo Shuan uscì dalla stanza interna, le mani sul petto, tossendo a lungo. Andò
in cucina, riempì una tazza di riso freddo, ci mise sopra dell'acqua calda e cominciò
a:mangiare. La madre, chinandosi su di lui, gli chiese dolcemente:
"Ti senti meglio, figliolo? Hai sempre fame?"
“Una cura garantita!" Kang dette un'occhiata al bambino, poi si volse e disse ai
parenti: "Lo zio Hsia è davvero un tipo in gamba. Se non fosse stato lui a fare la spia,
avrebbero giustiziato tutta la famiglia, e confiscato la proprietà. Ma invece?
Argento! Quel giovane furfante era davvero un miserabile! Ha anche cercato di
spingere il carceriere a rivoltarsi”
“Ma no. Che razza di idea!" Un uomo sui vent'anni seduto nella fila posteriore
intervenne indignato.
“Sapete, Occhiorosso era andato a chiamarlo, ma lui cominciò a chiacchierare.
Diceva che il grande impero manciù appartiene a noi. Pensate: è un discorso
sensato? Occhiorosso sapeva che aveva solo sua madre a casa, ma non aveva mai
immaginato che fosse cosi povero. Non poteva spremergli nulla; era già adirato e il
giovane sciocco voleva proprio cacciarsi nei guai, e cosi si prese un paio di sberle."
"Occhiorosso è un buon pugilatore. Quelle sberle devono aver lasciato i lividi!" Il
gobbo nell'angolo presso il muro esultava.
"Quel sudicione non aveva paura di buscarne. Gli chiese persino scusa."
"Non c'è da scusarsi per avere battuto un miserabile come quello," disse Barbagrigia.
Kang lo guardò in maniera sprezzante e disse sdegnosamente: "Fu la maniera in cui
lo disse, che chiedeva scusa ad Occhiorosso."
Gli occhi dei presenti avevano uno sguardo attonito, come di vetro, e nessuno
parlava. Il piccolo Shuan aveva finito il riso e sudava abbondantemente, le testa
fumante.
"Chiedere scusa ad Occhiorosso, imbecille! Dev'essere stato un imbecille!" disse
Barbagrigia, come se improvvisamente vedesse la luce.
"Dev'essere stato un imbecille!" ripeté l'uomo sui vent'anni.
I clienti ricominciarono ed animarsi, e la conversazione riprese. Il bambino ebbe un
nuovo attacco di tosse, violento, ma fu coperto dal rumore. Kang gli si avvicinò, lo
prese per una spalla e disse: "Una cura garantita! Non tossire così, piccolo Shuan!
Una cura garantita!"

4
Un tempo le terra accanto alle mura della città, presso la Porta Occidentale, era
stata di proprietà pubblica. In mezzo correva un sentiero, tracciato dai passi della
gente che cercava una scorciatoia, ed era diventato una specie di confine naturale. A
sinistra del sentiero si seppellivano i criminali giustiziati, e coloro che erano morti di
inedia in prigione. A destra erano le tombe dei poveri. I fitti tumuli allineati d'ambo i
lati parevano come i pani disposti sulla mensa per il compleanno di un ricco.
La Festa di Primavera quell'anno fu insolitamente fredda. I salici cominciavano
appena a metter fuori qualche timido germoglio. Era da poco spuntato il sole
quando la moglie del vecchio Shuan portò quattro piatti e una scodella di riso, per
metterli davanti ad una nuova tomba, nel settore di destra, e si mise a piangere
davanti ad essa. Poi bruciò della carta moneta e rimase là attonita, come se
aspettasse qualcosa; ma che cosa, nemmeno lei lo sapeva. Si levò la brezza,
agitandole i capelli corti, certamente più bianchi dell’anno precedente.
Lungo il sentiero venne un'altra donna, coi capelli grigi e gli abiti stracciati. Recava
un canestro vecchio, rotondo, laccato di rosso, con appesa una filza di carta moneta;
e camminava zoppicando. Quando vide la moglie del vecchio Shuan, seduta per
terra, che la guardava, esitò e un'onda di rossore si diffuse sul suo viso pallido. Però
si fece coraggio, andò alla tomba nel settore di sinistra e depose il suo canestro.
La tomba era proprio di fronte a quella del piccolo Shuan, le divideva solo il sentiero.
Quando la moglie del vecchio Shuan vide l'altra donna trar fuori quattro piatti e una
scodella di riso, poi alzarsi in piedi per piangere e bruciare carta moneta, pensò:
"Anche in quella tomba ci deve essere il figlio di qualcuno.” La donna più vecchia
fece qualche passo a caso, si guardò intorno attonita, poi all'improvviso cominciò a
tremare e a vacillare, con gli occhi sbarrati pieni di terrore.
Temendo che il dolore potesse farla impazzire, la moglie del vecchio Shuan si alzò,
attraversò il sentiero e disse con voce calma: "Non piangere, andiamo a casa!"
L'altra scosse il capo, con gli occhi fissi, e mormorò: “Guarda là! Che cos'è?"
Guardando il punto che l'altra le aveva indicato, la moglie del vecchio Shuan vide
che la fossa di fronte non era ancora coperta d'erba: si vedevano ancora chiazze
sporche di fango. Ma guardando meglio vide con grande sorpresa, in cima al tumulo,
una ghirlanda di fiori bianchi e rossi.
Le due donne avevano ambedue la vista corta, eppure vedevano chiaramente questi
fiori bianchi e rossi. Non ce n'erano molti, ma erano messi in cerchio; e sebbene non
fossero freschi, erano ben disposti. La madre del piccolo Shuan guardò la sua fossa,
poi le altre: c'erano solo pochi piccoli fiori pallidi, sparsi qua e là. All'improvviso
avvertì un senso di vuoto che non riusciva a spiegare. Frattanto la vecchia si era
avvicinata alla tomba per vedere meglio. "Non hanno radici," disse a se stessa. "Non
stono essere nati qui. Chi può esserci stato? I bambini non vengono qua a giocare, e
non c'è mai stato uno dei nostri parenti. Cosa è accaduto?" Si mise a pensarci sopra,
finché all'improvviso le lacrime cominciarono a caderle ed ella gridò ad alta voce:
"Figlio, tutti ti han fatto del male, e tu non dimentichi. La tua pena è dunque così
grande che tu hai compiuto questo prodigio per farmi sapere?"
Si guardò intorno e vide solo un corvo, appollaiato su di un ramo senza foglie. "Lo
so," continuava, "ti hanno assassinato. Ma verrà il giorno della resa dei conti, grazie
al cielo. Chiudi gli occhi in pace... Se davvero sei qui, e mi senti, fa' che il corvo voli
sulla tua tomba, dammi questo segno.” La brezza era calata da un pezzo, e le erbe
si levavano dritte e dure come fili di rame. Nell'aria vibrò un suono debole, tremulo,
si affievolì e cessò del tutto. Tutto intorno era fermo, come morto. Stavano sull'erba
secca, guardando il corvo, e il corvo, sul ramo secco dell'albero, la testa incassata,
stava immobile, come se fosse di ferro.
Passò del tempo, venne altra gente, vecchi e giovani, a visitare le tombe.
La moglie del vecchio Shuan, inesplicabilmente, sentì come se un peso le fosse stato
levato dalla mente, e, desiderando andarsene, si rivolse all'altra:
"Andiamo."
La vecchia singhiozzò e con aria sconsolata raccolse il riso ed i piatti. Esitò un
momento, poi si mosse lentamente, mormorando ancora a se stessa:
"Cosa può significare?"
Non avevano fatto trenta passi quando sentirono il corvo gracchiare, dietro di loro.
Guardarono in giro, trasalirono, e videro il corvo che apriva le ali, tutto teso, e poi,
come una freccia, volò via verso il lontano orizzonte.

Aprile 1919

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