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Era nel suo vecchio appartamento come ogni santo giorno di quel mese.

Era suo compito pagare per ciò che suo padre aveva fatto, anche se non avrebbe mai potuto farlo direttamente, avrebbe
potuto alleviare quel peso dentro al petto. Aveva deciso di affrontare i fantasmi del suo passato.
Dei ricordi vividi, quasi palpabili presero campo tra i suoi pensieri.
Appoggiò la schiena contro il pannello di vetro colorato. Un momento di pausa, poi dei passi sui gradini, sulla ghiaia. Il
silenzio divenne oppressivo.
La sua mente gemette. Suo padre era un uomo violento. Così crudele con la mamma che ha finto la propria morte per
sfuggirgli.
Si coprì il viso per cacciare quei momenti incisi sulla sua pelle.
Solo una voce poteva calmare i suoi pensieri rumorosi.
Il telefono squillò per tre volte.
«Hey, amore» rispose la voce dall’altro lato del telefono.
«Ciao»
«Tutto bene? Hai un tono strano»
«Sì sì, avevo solo bisogno di sentirti»
Ci fu una breve pausa
«Come stai?»
«Stai ancora pensando a tuo padre?»
Lui non rispose.
«Sai che andrà meglio con il tempo, lo ha detto anche la psichiatra che stai facendo dei grandi passi»
«Lo so»
«Se mi aspetti, vengo nel tuo appartamento»
«Non serve che ti scomodi»
«Se non mi scomodo per te, per chi lo dovrei fare?»
Lui sorrise senza dire una parola
«E poi se proprio non vuoi parlare, ricordati che dobbiamo lavorare»
«Sì, come potrei dimenticarlo» sospirò.
Erano stati assegnati allo stesso caso del ragazzo scomparso di san Pietroburgo.
Erano due settimane che la polizia non cessava di scoprire come avesse fatto a sparire nel nulla e i sospetti erano pochi e
incerti.
La porta si aprì di scatto e quella ragazza non troppo alta apparve in quella stanza.
«Eccomi»
Lui sorrise.
«Hai mangiato?»
Scosse la testa.
Lei si mise a preparare la colazione in un attimo.
«Scommetto che hai passato la notte ad indagare.» Esclamò avvicinandosi e osservato le sue occhiaie nere accentuate.
«E tu no, invece?»
«Non potrei fare altrimenti» sospirò. «Non riesco a dormire pensando che possa esserci una madre là fuori che aspetta il
ritorno di suo figlio»
«Non esiste spiegazione a questo mondo, però almeno possiamo aiutarli a renderlo un posto migliore se ci impegniamo
abbastanza»
Lei sorrise.
Lui ricambiò «tu non preoccuparti, ti proteggerò qualsiasi cosa accada, non sarai mai in pericolo»
La loro unione, sia nella vita privata che nella professione, era la forza che ci permetteva di affrontare i demoni del passato
e le sfide del presente. Insieme, sapevamo di poter fare la differenza e rendere il mondo un posto migliore, un passo alla
volta. Si guardarono negli occhi era più di un giorno che si nutrivano della mancanza l’uno dell’altra. Le loro labbra si
avvicinarono come se non stessero aspettando altro, le dita sfiorarono i loro corpi, le loro mani si cercavano con
delicatezza. Non desideravano altro.

«Tra due ore dobbiamo andare a parlare con la madre del ragazzo»
«Lo so» sospirò lei distendendosi sul suo divano «non potrei dimenticarlo»
Socchiuse gli occhi. Lui osservò il suo viso. Delicato, ma pungente.
Le ore passarono, sul divano c’era il solco del suo fianco, lui indosso la sua vecchia giacca.
«Sembri il Tenente Sheridan con quello» disse abbracciandolo.
Lui le baciò la fronte «forza, andiamo»
Dovettero raggiungere la zona industriale della città per raggiungere quell’indirizzo. Lui uscì dalla macchina e non capì per
quale motivo lei rimase ferma.
«Cosa succede?»
Lei lo guardo, con uno sguardo addolorato «non credo di riuscire ad entrare.
Tornò a sedersi per avvicinarsi «va tutto bene?»
«Sì, però non riesco, credo che potrei sentirmi male da un momento all’altro.»
«Vuoi tornare a casa?»
«No, ti prego, vai. Io ti aspetto qua»
«Sei sicura, se vuoi posso accompagnarti e torno più tardi.»
«No, prenderò un taxi se ne sentirò il bisogno»
Lui la guardò dritta negli occhi e poi si diresse in quella casa, con la promessa di tornare presto da lei.
Una signora di mezza età arrivò ad aprire la porta.
«È lei ispettore» disse coprendosi la bocca con la mano.
«Mi scusi per il leggero ritardo»
«Non si preoccupi, sono felice che lei sia qua.»
Lo accompagnò in un’altra stanza, il corridoio era dipinto di verde con le foto di famiglia appese. Arrivarono nella cucina,
un po’ antiquata, il tavolo di legno massiccio dove ogni sera consumavano i loro pasti. Anche se regnava il silenzio, il
ricordo delle risate fluttuava nell’aria. La madre dedicava i suoi giorni a preservare l’assenza del figlio.
«Come sta signora?»
«Chiamami Mary! Sa, io non potrei stare peggio. Non so perchè mi hanno voluto donare la salute e portarmi via ciò di cui
avevo più caro al mondo» non pianse. Il dolore ormai avevo fatto casa in quel corpo e non riusciva più a versare una sola
lacrima.
«Aspettavo lei.»
Lui la guardò incuriosita. «C’è una cosa che nessuna sa» lui continuò a guardarla con il suo blocco per appunti in mano.
«Non l’ho voluta renderla pubblica perchè quando mio figlio tornerà, non voglio che si sappia questo di lui.»
«Non ne ha parlato nemmeno con il commissariato?»
Lei scosse la testa «non voglio che questa informazione sia pubblica, la prego. Potrebbe essere importante, ma non
rendetela pubblica»
«Perchè la sta dicendo a me?»
«Perchè anche tu hai gli occhi di chi ha perso qualcuno di importante»
Lui d’istinto si porto la mano al petto toccandosi la collana che portava sempre al collo.
«Senta, mio figlio negli ultimi tempi si stava avvicinando forse un po’ troppo a quel gruppo della zona»
«I Molot?» Disse fermamente. Conosceva quel nome, la persona più importante della sua vita era finita nelle loro mani ed
era riuscita ad uscirne.
«Sa qualcosa in più»
«Lui non parlava molto con noi, ma mi creda era un bravissimo ragazzo, ha avuto solo un momento buio, aveva bisogno di
soldi per aiutare noi. Non me lo perdonerò mai.»
Le ore passarono in quella casa e quando l’orologio rintoccò le 5, lui si diresse all’uscita.
«È stata molto d’aiuto, cercherò di fare il possibile per suo figlio, ormai non penso ad altro da giorni»
«Sono felice che al mondo esistano persone come lei e la prego, non dica nulla»
«Ha la mia parola» disse salutandola.
Si diresse verso la sua macchina e lei non era più lì.
Prese il suo telefono e la chiamò.
Squillò per tre volte.
«Scusami»
«Non ti devi scusare»
«Lo so, ma volevo essere con te, era importante oggi.»
«Non importa»
«Hai scoperto qualcosa?»
«Sì, ti ho chiamata apposta. La signora mi ha detto che suo figlio era parte dei Molot»
Il silenzio ruppe la conversazione.
«Mi hai sentito?»
«Sì, scusa»
«Forse è meglio parlarne quando torno a casa»
«Sì, hai ragione, però grazie di avermelo fatto presente»
La sua macchina lo diresse verso il suo appartamento,
Piano 9. Erano le 18:00 mentre camminava verso la cucina e prese la tazza di quella mattina, il te si era raffreddato. A
malapena sentiva l’aria intorno a lui muoversi. Aprì la finestra e osservò il cielo.
«Forse dovrei richiamarla» sospirò. Il suo respirò si condensò a contatto con l’aria.

Lei era nel suo appartamento, seduta sul divano a osservare il pavimento.
Il telefono squillò e rispose immediatamente «pronto»
«Eccoti, cosa stavi facendo»
«Stavo per andarmi a fare la cena» disse alzandosi e dirigendosi verso la cucina.
«Cosa mangi di buono stasera»
Lei allungò la mano verso il freezer, ma non prese la carne che si era lasciata lì.
Prese il corpo, mentre cadeva dal frigo.
«La carne che abbiamo preso ieri»

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