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(The Wicked Clergyman, 1933)

altro titolo: The Evil Clargyman

Weird Tales, aprile 1939


Fui introdotto nella stanza in soffitta da un uomo dall'aspetto
serio e intelligente che indossava abiti poco vistosi e portava una
barba grigio-ferro; costui mi parlò nei seguenti termini:
"Sì, lui visse qui, ma le consiglio di non fare niente. La sua
curiosità la espone a dei rischi. Noi non ci veniamo mai di notte,
e in ciò rispettiamo la sua volontà. Lei sa che cosa fece: alla fine
l'abominevole congrega prese il sopravvento e non sappiamo
nemmeno dove sia sepolto. Non c'è stato verso, per la legge o
per altre forze, di mettersi in contatto con la congrega.
"Spero che non vorrà rimanere dopo il buio, e la prego di la-
sciar perdere l'oggetto sul tavolo... sì, quello che sembra una
scatola di fiammiferi. Non sappiamo che cos'è, ma sospettiamo
che abbia a che fare con le sue attività. Evitiamo persino di
guardarlo troppo".
Dopo un po' l'uomo mi lasciò solo nella soffitta. Era polvero-
sa e squallida, ed ammobiliata in modo primitivo, ma nelle cose
c'era un ordine che non faceva pensare all'appartamento d'un
povero diavolo. C'erano scaffali pieni di libri classici e di teolo-
gia, un altro conteneva trattati sulla magia di Paracelso, Alberto
Magno, Tritemio, Ermete Trismegisto, Borello e altri testi in al-
fabeti che non ero in grado di decifrare. La mobilia era molto
semplice. C'era una porta, ma dava in un armadio. L'unica via
d'uscita era costituita dall'apertura nel pavimento da cui scende-
va una scala rozza e ripida. Le finestre erano del tipo rotondo e
le travi di quercia annerite parlavano di un'incredibile antichità.
Era una casa del vecchio mondo, su questo non c'è dubbio: mi
pareva di sapere dove mi trovassi, ma non riesco a ricordare le
informazioni di cui ero in possesso allora. Certo la città non era
Londra. La mia impressione è che fosse un piccolo porto sul ma-
re.
L'oggettino sul tavolo mi affascinava profondamente. Sem-
brava che sapessi come usarlo, perché tirai fuori una torcia ta-
scabile (o qualcosa che le assomigliava) e la provai nervosamen-
te. La luce non era bianca ma violetta, e più che luce vera e pro-
pria sembrava una specie di bombardamento radioattivo. Ricor-
do di non averla considerata una torcia normale, anche perché in
un'altra tasca avevo una pila comune.
Si faceva buio, e gli antichi tetti e comignoli all'esterno sem-
bravano deformati dalla finestra con i vetri sporgenti. Finalmen-
te raccolsi il coraggio e sistemai l'oggetto misterioso sul tavolo
contro un libro; poi mirai su di esso i raggi della strana luce vio-
la. Ora la luce sembrava una pioggia o alone di particelle, piut-
tosto che un fascio continuo. Quando le particelle viola colpiva-
no la superficie vetrosa al centro dell'oggetto sconosciuto, crepi-
tavano come in un tubo vuoto attraversato da scintille. La super-
ficie scura e liscia cominciava a emanare un bagliore rosato, e al
centro sembrava prender corpo una vaga forma bianca. In quel
momento mi accorsi di non essere solo nella stanza e rimisi in
tasca il proiettore a raggi.
Il nuovo venuto non parlò e per alcuni istanti non sentii alcun
rumore. Sembrava una pantomima d'ombre vista da lontano e
attraverso una specie di nebbia, nonostante che l'uomo e quelli
che lo seguirono mi apparissero grandi e vicini: secondo le leggi
di un'anormale geometria, erano contemporaneamente vicini e
lontani.
Il nuovo venuto era un uomo sottile, scuro, di altezza media,
vestito alla maniera dei preti anglicani. Pareva sui trent'anni, con
una carnagione olivastra o giallastra, lineamenti regolari a parte
la fronte altissima. I capelli neri erano ben tagliati e pettinati, e
anche la rasatura era fresca: ma era di quelli con la barba forte, e
quindi aveva un alone azzurro sul mento. Portava occhiali non
cerchiati, con le stanghette d'acciaio. La corporatura e la parte
inferiore del volto erano simili a quelli di altri sacerdoti che ave-
vo visto, ma la fronte era molto spaziosa e la carnagione più scu-
ra; sembrava più intelligente della media, e tuttavia nascondeva
con abilità e astuzia qualcosa di cattivo. In quel momento, dopo
aver acceso una debole lampada a olio, assunse un'aria nervosa e
prima che potessi rendermi conto del gesto gettò tutti i libri di
magia in un caminetto che si trovava vicino alla finestra, dove la
parete della mansarda digradava ripidamente. Prima non l'avevo
notato, ma ora le fiamme divorarono avidamente i volumi: sfa-
villavano nei più strani colori ed emettevano odori nefasti, men-
tre le pagine coperte di geroglifici e le rilegature mangiate dai
tarli soccombevano alla furia del fuoco. D'un tratto mi accorsi
che nella stanza c'erano anche altri personaggi: uomini dall'a-
spetto grave e vestiti alla maniera del clero, uno dei quali porta-
va i paramenti e i calzoni al ginocchio dei vescovi. Non sentivo
alcuna voce, ma mi resi conto che stavano prendendo una deci-
sione di grande importanza per il primo arrivato. Sembrava che
lo odiassero e lo temessero allo stesso tempo, e lui ricambiava
quei sentimenti. Il suo volto assunse un'espressione truce, ma mi
accorsi che la mano destra (con cui aveva afferrato lo schienale
di una sedia) gli tremava. Il vescovo indicò lo scaffale vuoto e il
caminetto - dove le fiamme si erano placate per lasciare il posto
a una massa di materia carbonizzata e indefinibile - e sembrò al
colmo del disgusto. Allora il primo venuto fece un sorriso feroce
e allungò la mano verso il piccolo oggetto che si trovava sul ta-
volo. Gli altri ne furono terrorizzati. La teoria dei prelati comin-
ciò a ridiscendere la scala attraverso la botola che si apriva nel
pavimento, e nell'andar via si voltavano per fare gesti minaccio-
si. Il vescovo fu l'ultimo a uscire.
A questo punto il primo arrivato andò a una credenza che si
trovava in fondo alla stanza e prese una corda. Salì su una sedia,
legò un'estremità della corda a un uncino piantato nella grande
trave centrale e cominciò a fare un cappio con l'altra estremità.
Resomi conto che voleva impiccarsi, mi feci avanti per dissua-
derlo e salvarlo. Quando mi vide l'uomo interruppe i suoi prepa-
rativi e mi diede un'occhiata di trionfo che mi stupì e mi terro-
rizzò. Scese lentamente dalla sedia e cominciò ad avanzare nella
mia direzione con un ghigno da lupo sulla faccia scura e dalle
labbra sottili.
Mi sentii in pericolo mortale ed estrassi il proiettore a raggi
per difendermi. Non so che cosa sperassi di ottenere. Lo accesi,
glielo puntai in faccia e vidi i lineamenti giallastri illuminarsi
prima di un alone viola, poi rosato. L'espressione di esultanza
feroce si tramutò poco a poco in uno sguardo di profonda paura
che tuttavia non cancellò del tutto l'esultanza. Si fermò dov'era e
poi, agitando selvaggiamente le braccia nell'aria, cominciò a
barcollare all'indietro. Mi accorsi che fra poco sarebbe caduto
nella botola aperta nel pavimento e cercai di gridare un avverti-
mento, ma non mi sentì. Un attimo ancora ed era precipitato,
scomparendo alla vista.
Trovai una certa difficoltà nel raggiungere l'apertura con le
scale, ma una volta arrivato non vidi il corpo del ferito al piano
di sotto. Anzi, c'era il rumore di un gruppo di persone che si av-
vicinavano portando lanterne: l'incantesimo del silenzio era in-
terrotto e, a parte i suoni, riuscivo di nuovo a vedere le figure nel
modo normale, a tre dimensioni. Qualcosa, a quanto pareva, a-
veva attirato la folla in quel luogo. C'erano stati rumori che non
avevo sentito? Finalmente due personaggi (semplici contadini, a
quanto pareva) mi videro poiché erano fra i primi del gruppo e
rimasero paralizzati. Uno di essi gridò forte, in modo che le pa-
role echeggiarono:
"Aaahhh! È lui... un'altra volta?".
Tutti si voltarono e fuggirono: tutti meno uno. Quando la fol-
la si fu dileguata vidi l'uomo con la barba e l'aria grave che mi
aveva condotto nella mansarda, e che era rimasto solo con la sua
lucerna. Mi fissava affascinato, come se respirasse a fatica, ma
non sembrava spaventato. Poi cominciò a salire le scale e mi
raggiunse in soffitta. Disse:
"Dunque ha toccato l'oggetto! Mi dispiace, so quello che è
accaduto. È già successo una volta, ma il soggetto si spaventò al
punto che preferì spararsi. Non avrebbe dovuto permettere a lui
di tornare: sa che cosa vuole. Ma non c'è bisogno che si spaventi
come quell'altro disgraziato; è vero, le è successa una cosa stra-
na e terribile, ma non abbastanza da ferire la sua mente e la sua
personalità. Se riuscirà a mantenersi calmo e ad accettare ciò che
è necessario, vale a dire alcuni cambiamenti radicali nel suo
modo di vivere, potrà continuare a godersi il mondo e i frutti
della sua cultura. Ma qui non può rimanere... e non credo che le
farebbe piacere tornare a Londra. Suggerirei l'America.
"Non cerchi di fare altri scherzi con quella... cosa. Ora non
sarebbe più possibile rimandarli indietro, ed evocare una qua-
lunque entità renderebbe le cose solo peggiori. Non se l'è cavata
troppo male, tutto considerato... ma deve andare via subito e ri-
manere lontano. E ringrazi il cielo che il processo non sia andato
troppo oltre...
"Cercherò di prepararla nel modo più franco. C'è stato un
cambiamento... nel suo aspetto. Lui lo fa sempre. Ma in un paese
straniero ci farà l'abitudine. C'è uno specchio in fondo alla ca-
mera, l'accompagno. Avrà uno shock, anche se non vedrà nulla
di particolarmente orribile".
Tremavo in preda a una paura mortale, e l'uomo con la barba
dovette quasi reggermi mentre mi accompagnava all'altro capo
della mansarda; con la mano libera impugnava la piccola lampa-
da (quella che prima si trovava sul tavolo, non la lanterna più
fioca che aveva portato con sé). Ed ecco ciò che vidi nello spec-
chio:
Un uomo sottile, bruno, di media statura, sui trent'anni, vesti-
to da prete anglicano; sotto la fronte olivastra, eccezionalmente
ampia, portava un paio di occhiali senza cerchiatura e con le
stanghette d'acciaio.
Era l'uomo che per primo si era introdotto nella mansarda,
quello che aveva bruciato i suoi libri.
E per il resto della mia vita, almeno esteriormente, avrei do-
vuto essere come lui!

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