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Il Medioevo e l’Eterno Femminino (IV)

“Come si innamorò di Eloisa e come da ciò ricevette una ferita nella mente e nel corpo”…

Nel corso di queste discussioni tematiche ho spesso alluso a quella condizione di ammutolimento e

di annichilimento cui soggiace, davanti alla teofania del femminile, l’uomo antico. Innumerevoli

potrebbero essere i nuovi menzionati, oltre a Tiresia e Atteone. E ho spiegato come tale

menomazione, tale sparagmòs personale e spirituale si sia riverberato nel culto femmineo della

Furchtbare Gottin (“dea terribile”) medievale, vale a dire la Dama, altiera e giudicante; e per

illustrare come tale macabro archetipo della interazione tra i sessi fosse radicato nella mente

dell’uomo pre-moderno, intendo ora citare il caso peculiare di Pietro Abelardo. Sull’identità di

Abelardo ed Eloisa è inopportuno non tacere; ogni presentazione sarebbe superflua. Ma della loro

vicenda non viene mai sottolineato quel sottotesto primevo del “gioco delle parti” uomo-donna che

(raggiungendo il suo acme proprio nel Medioevo) tende a giustificare la donna, a trarla d’impaccio

e a separarla dall’infamia risultante da una vicenda spiacevole. L’amore clandestino tra il maestro e

l’alunna ha, su ammissione di Abelardo stesso, dei tratti, fin dall’inizio della relazione, di chiara

reciprocità. Vero: Eloisa era appena una fanciulla, e il carisma di Abelardo, ormai una celebrità in

tutta la Francia, non poteva che piegarla, assolvendola da ogni partecipazione criminosa. Eppure,

c’è da osservare che Eloisa è una enfante prodige; a sedici anni padroneggia a menadito il latino, il

greco, e probabilmente anche l’ebraico (come attesta un passo di Pietro il Venerabile, uno dei più

potenti protettori di Abelardo). Mastica meglio dei grandi maestri la retorica e la filosofia; s’intende

di matematica; saggia il fiore di tutte le arti. E lungo tutto il carteggio con Abelardo, mostra (al pari

del suo scaltro ex amante) di conoscere l’arte furbesca del piegare la Bibbia al proprio tornaconto;

mostra, anche dopo essere stata “internata” in convento, di avere un attaccamento morboso ad

Abelardo, del quale egli molto sembra adontarsi. Insomma, Eloisa è (quantomeno a monte della sua

funzione letteraria) donna compiuta e savia, al momento della sua relazione clandestina. Ama un
uomo col quale discetta quasi alla pari, e si duole a lungo della sorte ignominiosa riservata ad

Abelardo (la castrazione, la ferita che Fulberto, zio di Eloisa, ha inferto tramite scagnozzi all’ignaro

Abelardo, per vendicarsi dell’aver costui messa incinta la nipote).

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