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1.. SATIRE. S.F. Le Dictionnaire de l'Académie française. Quatrième Édition.


T.2 [ 1762 ]SATIRE. s.f. SATIRE. s.f. Ouvrage moral en prose ou en vers, fait pour reprendre,
pour censurer les vices, les passions déréglées, les sottises, les impertinences des hommes,
ou pour les tourner en ridicule. Satires d' Horace, de Juvenal. La satire Ménipée, &c. Satire
contre l' avarice, contre l' ambition. Sanglante satire. Satire piquante. Fine satire. Faire une
satire. C' est une matière de satire. On a fait contre lui une satire qui le tourne en ridicule.
2.3. SATIRE Le Dictionnaire de l'Académie française. Quatrième Édition.
T.2 [ 1762 ]SATIRE SATIRE signifie aussi, Tout écrit ou discours piquant, médisant contre les
personnes. Il a fait une longue satire contre vous. Il y a de certaines louanges qui sont des
satires. Ce n' est pas un éloge, c' est une satire.
§ Il senso della satira è quello etico e filosofico di ciò che chiameremmo oggi una
CRITICA MORALE delle istituzioni claustrali.
§ Scrivere La Religiosa per Diderot ha significato – come asserisce nell’Elogio di Richardson
(1761) – « portare la fiaccola in fondo alla caverna » di Platone.
§ Ossia: gettare una luce – la luce dei Lumi, dell’Illuminismo - cruda, sull’oscurità propria di
questi luoghi di smarrimento, i conventi.
§ Cioè a dire: demistificare la loro presunta funzione spirituale (« fantasma sublime »),
rivelare la loro orrenda funzione sociale e politica nell’Ancien régime.
§ Si tratta di mostrare gli effetti mostruosi dei conventi, luoghi di reclusione e di esclusione,
sui corpi e sulle menti delle donne, anzitutto.
§ Infatti, l’ombra del chiostro e della vita claustrale, per il romanziere-filosofo dei Lumi, è
anzitutto e in prima istanza ciò contro cui egli si definisce e si determina.
§ Si tratta degli ordini monastici contemplativi, presi di mira, non di quelli la cui regola
prevedeva attività di beneficienza e di impegno sociale.
§ Il Dio-Società del filosofo (articolo «Philosophe» dell’Encyclopédie)…
§ Tutte le opere di Diderot sono piene di «paradossi», ossia di situazioni, idee, azioni e
concetti che sfidano, senza mezzi termini, e con coraggio, la «doxa», l’opinione
banale, il senso comune.
§ La Religiosa non solo non fa eccezione, ma incarna forse meglio di ogni altra opera,
questo spirito di paradosso…
§ Nello stile, nelle figure narrative, nel senso e nella forma stessa del racconto
filosofico («Conte philosophique», in Storia della Filosofia, vol. 9, di U. Eco).
§ Primo paradosso: una «satira spaventosa dei conventi», animata da uno spirito
religioso, quello espresso dalla protagonista Suzanne Simonin, alter ego finzionale
della persona storica di Marguerite Delamarre.
§ Fu una monaca di clausura, costretta dalla famiglia a prendere il velo suo malgrado,
la quale dopo la morte dei genitori intentò causa per revocare i propri voti, ma la
perse…
§ La Religiosa nasce in un terribile contesto polemico – la condanna nel 1759
dell’Encyclopédie, la sospensione dell’opera, gli attacchi degli anti-Philosophes (Palissot,
Chaumeix ecc.).
§ Eppure, è opera «domestica», occasionata da un gioco amabile tra amici, che sembra non
aver nulla a che vedere con il militantismo filosofico dell’autore. Altro paradosso.
§ Dal buon umore ridanciano e, insieme, dalla collera filosofica dell’autore, sorge un’opera-
scherzo molto seria, che sfida il genere del romanzo libertino antireligioso tradizionale
sui conventi e le monache (Thérèse philosophe).
§ La genesi ruota attorno alla mistificazione giocata amabilmente nei confronti di un amico
devoto e lontano, l’ «affascinante marchese di Croismare», abbindolato da Diderot e
amici, con la falsa storia della religiosa fuggita dal convento e da «salvare»…
§ Diderot, per far tornare l’amico a Parigi, inventa la storia, spacciata per vera al marchese,
di una religiosa transfuga da un convento, rifugiatasi a Versailles, che cerca protezione.
§ Dunque due i caratteri contrari (e paradossali) che si confrontano, all’origine del
romanzo filosofico:
§ 1/ la mistificazione giocosa, sbeffeggiatrice, della burla e
§ 2/ la violenza polemica anticlericale.
§ Il riso da presa in giro e l’ardore militante anti-devoto, anticlericale; l’humour
libertino e la serietà filosofica, si coniugano nella «satira».
§ Nella Prefazione annessa, che accompagna (e segue) l’opera, ci viene svelata dal
direttore della Correspondance littéraire, M. Grimm, lo svolgimento della
mistificazione (pp. 2783-2815).
§ Grimm si compiace nel sottolineare che le lettere fittive della (falsa) religiosa,
indirizzate al Marchese, erano composte «in mezzo a scoppi di risate… e dovevano
far piangere il nostro buon marchese».
§ Quando Diderot inizia a scrivere il suo romanzo, nel 1760 – ripreso nel 1780, per la
pubblicazione a puntate nella Correspondance di Grimm), il tòpos del chiostro era
oramai diventato un luogo comune della letteratura eterodossa e libertina.
§ La Religiosa sconvolge le tipologie del genere.
§ Il motivo claustrale, infatti, aveva dato vita a innumerevoli opere di finzione, al punto
che per molti era diventato un motivo fin troppo banale.
§ Ad es. già nel 1742 – epoca in cui veniva composta Thérèse, che leggeremo qui per
contrasto con La Religiosa – il luogo comune veniva sconfessato da un personaggio
del romanzo del conte di Caylus, Les Soirées du bois de Boulogne, ou nouvelles
françaises ou angloises :
§ «Ciò che vi racconterò non si svolge in un convento. Vi confesso, di passaggio, che
trovo un’uniformità troppo grande, una monotonia estrema nelle avventure che ho
ascoltato da che sono in Francia. E’ sempre questione di conventi…».
§ I fabliaux («favolelli») – da fabula: racconti o poemetti brevi e semplici, per lo più
sboccacciati – del Medioevo (J. Bédier: contes à rires en vers);
§ Il Decameron del Boccaccio (le figure dei monaci sporcaccioni, le monache vogliose
ecc.);
§ I Racconti di La Fontaine;

§ Chavigny de la Bretonnière, Vénus dans le cloitre ou la Religieuse en chemise (1683);

§ Les Nonnes galantes, ou l’Amour enbeguiné (attribuito al Marquis d’Argens, 1740)

§ Histoire de Dom Bougre, Portier des Chartreux (attribuito a Gervaise de Latouche, 1741)
§ Sainte Nitouche, ou La Tourière des Carmélites, servant de pendant au «Portier des
Chartreux» (attribuito a Meusnier de Querlon, 1741)… ecc. ecc. e infine:
§ Thérèse philosophe, ou mémoires pour servir à l'histoire du Père Dirrag et de
Mademoiselle Éradice (attribuito al Marquis d’Argens o, falsamente, a Diderot, 1748).
§ Dal chiostro libertino della tradizione, a poco a poco, Diderot evacua ogni aspetto
licenzioso, comico e libertino, nel senso della Religiosa in camicia e dei romanzi
dell’epoca.
§ Il suo romanzo è a sfondo morale («satira») e politico (denuncia dei giochi di potere svolti
sui corpi e le menti delle donne).
§ La sessualità, il sesso e la sensualità emergono pure – in uno stile libertino paradossale –
, ma come effetti di risonanza dal contesto di perversione generale della natura umana
che questi luoghi sociali, i conventi, producono.
§ Diderot, tratta dunque sulla modalità del «patetico» un soggetto tipicamente «gaio»,
libertino e pornografico, con la cura di evitare – e anzi di scartare – ogni tono del
registro dell’anticlericalismo volteriano (Dictionnaire philosophique: «Cacano e pisciano
il loro dio ecc.» a proposito del miracolo dell’eucarestia)
§ Le figure dei preti e dei religiosi sono per lo più positive. Critica politica e estetizzazione
della mistica e della religione (la claustrazione femminile come seduzione).
§ Offrire un trattamento «patetico», compassionevole e serio, di una tematica pesante: la
vocazione forzata alla vita del chiostro.
§ Non si tratta più di soffermarsi sugli aspetti scandalosi o grotteschi della vita di convento,
ma di fornirne una rappresentazione realistica, alla prima persona
§ E’ una lunga lettera di Suzanne Simonin al marchese di Croismare a costituire il romanzo.
Modifica della struttura classica del romanzo epistolare, per lo più femminile.
§ Gabriel de Guilleragues, Lettres portugaises traduites en françois (1669), romanzo
epistolare, in cui il convento appare come «il punto cardinale del maltrattamento
femminile».
§ La Scrittura epistolare femminile è camera di risonanza di innumerevoli lagnanze, o
lamenti «sentimentali». La filosofia del sentimento, il «sensualismo» come tendenza
culturale che s’affermerà nel Settecento fino al Romanticismo, nasce qui.
§ Questa potenza espressiva di una scrittura in situazione di claustrazione è fatta propria da
Diderot.
§ Robert Challe Les Illustres Françaises (1713).
§ Brunet de Brou, La Religieuse malgré elle, histoire galante, morale et tragique (1720);
§ Il topos delle vocazioni forzate ebbe grande diffusione durante il Settecento
illuministico, come dispositivo narrativo ideale per lo sviluppo di intrighi amorosi.
§ Il motivo permette di investire la finzione di un valore di verità legato alla critica
sociale rivolta contro la collusione d’interessi tra l’ordine familiare e gli ordini
religiosi, tra la Chiesa e il Mondo, la famiglia, la società d’ancien régime.
§ Il convento è il simbolo denunciato e l’ausilio principale di un’iniquità sociale
generalizzata: la violenza e la discriminazione delle donne, delle «figlie naturali»,
dei deboli.
§ Tuttavia, nel caso di Suzanne Simonin, non sono le persecuzioni e le violenze a
condurla infine a pronunciare i suoi voti, non solo.
§ Prima di sottomettere la sua eroina alle violenze sadiche della perversa superiora
Madre Santa Cristina, Diderot le fa subire un’altra prova, almeno altrettanto dura:
quella delle pericolose seduzioni del chiostro, seduzioni quasi diaboliche.
§ Fonte: Pierre Carlet de Marivaux (1688-1767), La Vie de Marianne (1731-1738).
§ Proprio in forza di questa seduzione l’Istituzione finalmente vince, sulla volontà di
Susanne, alienandola (p. 2615: «Una madre delle novizie è la suora più indulgente che si
possa trovare. La sua arte consiste nel nascondervi tutte le spine del vostro stato; è un
corso di seduzione del genere più sottile e meglio ingegnata»).
§ E così facendo la seduzione superstiziosa aliena anche in lei tutte le forze sensibili
naturali, le pulsioni erotiche che caratterizzano in genere i personaggi romanzeschi.
§ Qui Diderot innova su Marivaux e la sua eroina (Tervira): più radicalmente in Susanne è
assente ogni tipo di passione amorosa, è sottratta ad ogni passione sensibile e sembra
non poter più accedere all’amore e persino al desiderio.
§ E’ il tratto che più sconcertò i lettori nel 1796: «Il sigillo del genio di Diderot, il tratto che,
per comune consenso, onora di più l’autore de La Religiosa è di aver reso la sua eroina
estranea (étrangère) all’amore» (Amaury Duval).
§ Qui interviene la meta-finzione, ossia l’intenzione filosofica. Susanna dice quello che sente
per denunciare l’abuso subito e l’assenza di passioni, la purezza in lei, come se fosse il
discorso dell’autore stesso:
§ «Almeno non si dirà, come per la maggior parte delle altre, che sono trascinata fuori della
mia condizione da una passione sregolata. Io non vedo nessuno, non conosco nessuno.
Chiedo di essere libera, perché il sacrificio della mia libertà non è stato volontario…» (p.
2661).
§ E’ evidente che l’intenzione di Diderot è di mostrare il valore incondizionato,
universale, dell’atto di libertà (negativa) compiuto da Suzanne in nome del suo diritto
ad essere libera. Questo non è soggetto a condizioni o fini («lo faccio per…»).
§ Infatti, il medesimo discorso a-passionale è messo in bocca alla stessa superiora di
Sainte-Eutrope, lesbica: «Come! non è stata una passione segreta o non approvata dai
vostri genitori, che ha fatto nascere in voi questa avversione per il convento?
Confidatevi pure con me, io sono indulgente…» (p. 2735). E Suzanne ripete: NO.
§ Per far ciò Diderot rende la sua eroina insensibile quasi del tutto a ogni desiderio e
ad ogni naturale curiosità sessuale. «Suzanne nega, fino alla cattiva fede, la sua
condizione di essere sessuato» (Delon), per attingere all’universale della libertà.
§ Questa è la mira sperimentale, filosofica, del romanzo di Diderot: mettere in scena in
carne e ossa l’universale della libertà nella persona combattente di Suzanne.
§ Doppio scarto: via il registro libertino e abbandono del motivo amoroso.
§ Altro paradosso inquietante: l’interdizione della sessualità nell’istituzione conventuale,
imposto dalla regola monastica, comporta paradossalmente una specie di
pansessualismo – si scorge ovunque il fantasma del sesso-peccato – e un’isteria
generalizzata.
§ Come mostrerà Sade alla fine del secolo, le estasi mistiche di Mme de Moni, le
persecuzioni violente («sadiche») di Madre Santa Cristina non sono meno investite
sessualmente e saturate di sessualità, delle concrete avances della superiora lesbica.
§ Suzanne, proprio perché privata di accesso al desiderio e all’amore, ignorante del
«linguaggio dei sensi» e della sessualità, non smette di scatenare tempeste passionali
e disordini pulsionali (crisi mistiche e melancoliche, persecuzioni diaboliche, amicizie
infervorate, carezze folli, torturanti rimorsi ecc.). Sintomi corporei dell’alienazione.
§ Il locus hystericus individuato qui da Diderot, non ha tuttavia la sua prefigurazione
nelle precedenti finzioni del chiostro, bensì nel modello del serraglio orientale.
§ Nella rappresentazione classica (Montesquieu, Lettere persiane, 1726) è il «luogo de-
sessuato» e insieme «lavorato da pressioni erotiche terribili» (R. Barthes).
§ Una delle immagini più impressionanti del romanzo, attinta a Montesquieu, è quella degli
«abissi» (gouffres), della claustrazione (che è anche castrazione), «in cui si perderanno le razze
future» (p. 2691).
§ Che cosa dimostrava la finzione del serraglio, già nei Gioielli indiscreti (1747), se non il fatto
che l’implacabile claustrazione delle donne nell’harem, lungi dal permettere alle spose di
Usbek o di Mangogul di sfuggire alle tentazioni del vizio, era proprio ciò che proibiva loro
ogni virtù e favoriva proprio il vizio, la lascivia ecc.?
§ La loro clausura era dunque la matrice stessa che consentiva tutti gli eccessi e tutte le
perversioni. Si rappresenta un’accanita emulazione tra le recluse dell’harem, per poter essere
distinte e diventare così «la favorita», la prescelta dal padrone (maschio), che qui diventa la
madre superiora (femmina, lesbica).
§ E’ questa la logica del serraglio, rovesciata da Diderot, in senso critico. Niente sembra più
essenziale a Suzanne di questa distinzione tre sé e le altre sorelle.
§ Era dunque abbozzata, nel modello del serraglio tutta una patologia della sessualità
femminile, riprodotta nel convento diderotiano, certo legata all’assenza dell’uomo (del
maschio), ma profondamente implicata nella logica del serraglio.
§ In virtù della poligamia e della finitezza del desiderio maschile, è un tratto dell’esistenza
femminile nel serraglio (come nel chiostro) quello di essere in perpetua attesa di viverci
l’assenza e la mancanza d’essere (alienazione) nella quotidianità. La frustrazione femminile
della castità, coltivata ad arte nel serraglio, come nel convento. E passioni sostitutive…
§ Diderot mostra (e dimostra), come Montesquieu, che le donne di Usbek, nell’harem
come nel chiostro, sono votate ai desideri insoddisfatti, alle compensazioni furtive,
alle sregolatezze ipocrite, in una parola: agli eccessi del vizio (pedofilia).
§ Il convento orientale di Usbek apparteneva già chiaramente al regno dell’anti-physis,
alla contro-natura, che sarà oggetto di rappresentazione nei romanzi di Sade.
§ Qui si tocca con mano il paradosso della Religiosa.
§ E’ rinunciando alla tematica amorosa, rifiutando la vena licenziosa, libertina e
pornografica (Thérèse Philosophe), che Diderot è riuscito a figurare narrativamente il
convento sul modello dell’harem orientale.
§ Conclusione: la repressione delle donne, del loro desiderio naturale, della loro
libertà, anche sessuale, ha le conseguenze più nefaste a livello individuale, sociale,
etico e politico.
§ Ecco spiegato il senso della «più spaventosa satira dei conventi» come definizione
data, dallo stesso autore, alla sua opera in fieri (Prefazione annessa, p. 2785: «Opera di
un’utilità pubblica e generale, in quanto era la satira più crudele che sia mai stata fatta
dei chiostri…»).
§ La Religiosa trova finalmente la forma adeguata a un progetto filosofico e politico
audace, quello di abbattere un’istituzione essenziale del cattolicesimo.
§ Ma come poteva, il romanzo, diventare il veicolo migliore per la sua realizzazione?
§ Diderot manifesta a più riprese la sua ironica diffidenza verso il romanzo
tradizionale, ad eccezione di quelli di Samuel Richardson (1689-1761), autore di
Pamela, or Virtue rewarded (1740,1761) e di Clarissa, or the History of a Young Lady
(1748, 1761).
§ Si tratta di due romanzi innovatori, nella forma e nello stile, entrambi epistolari, con
soggetti femminili nel ruolo delle voci narranti. E’ il punto di vista femminile, la
soggettività femminile, la persona fragile e oppressa da una società iniqua, che
prende corpo attraverso la scrittura. Anche se presa dalla prospettiva di un uomo
(Richardson), Diderot la esalta come un modello di «verità filosofica».
§ L’Elogio di Richardson (1762) viene scritto giusto al termine della prima stesura de
La Religiosa, alla morte di Richardson, quando Diderot riflette sul senso del romanzo
come genere espressivo (Prefazione annessa, «Questione rivolta ai letterati», p. 2815).
§ Perché, in ambito morale, il romanzo è la forma migliore per far passare verità filosofiche
rispetto al trattato o al saggio? Diderot lo spiega chiaramente nell’Elogio:
§ «Con “romanzo” si è finora intesa una trama intessuta di eventi chimerici e frivoli, la cui
lettura aveva un influsso pericoloso sul gusto e sui costumi. Sarei ben felice che si trovasse un
altro nome per le opere di Richardson, che innalzino lo spirito, tocchino l’anima, traspirino
ovunque di amore per il bene, e, nonostante ciò, siano dette “romanzi”. Tutto ciò che
Montaigne, Charron, La Rochefoucauld e Nicole hanno tradotto in massime, Richardson l’ha
tradotto in azione…».
§ Oltre l’eguale dignità estetica, filosofica e morale tra il trattato o il saggio e il romanzo, c’è
una superiorità del racconto di finzione che proviene dal fatto che, al contrario del trattato,
può costituire per il lettore una vera e nuova forma di esperienza e di azione:
§ «Una massima è una regola di condotta astratta e generale, la cui applicazione è lasciata a
noi. Essa non genera di per se stessa un’impressione sensibile nel nostro spirito: al contrario,
chi agisce lo si vede, ci si mette al suo posto o dalla sua parte, ci si infervora pro o contro di
lui; si partecipa al suo ruolo, se è virtuoso; ci si allontana con indignazione, se è ingiusto e
immorale. Chi non è rabbrividito al comportamento di un Lovelace, di un Tomlinson? Chi non
è inorridito per il tono patetico e schietto, per l’aria di candore e di dignità, per l’abilità con
cui costui si prende gioco di tutte le virtù?».
§ Si fa avanti qui una nuova forma di sapere in azione che si fonda e si apprende sul modello
della finzione, genera empatia, partecipazione e investimento alla prima persona del lettore.
§ Gli effetti pratici della lettura di romanzi nello stile di Richardson sono evidenti anche sul
terreno dell’efficacia del «messaggio», che rinnova e allarga l’esperienza morale del lettore.
§ E’ un passaggio centrale dell’Elogio, che vale ancor più per La Religiosa:
§ «Avevo percorso, nell’intervallo di alcune ore, un tal numero di situazioni quali la vita più
lunga offre a malapena nell’arco di tutta la sua durata. Avevo inteso i veri discorsi delle
passioni; avevo visto agire le pulsioni dell’interesse e dell’amor proprio in cento modi
diversi; ero diventato spettatore di una moltitudine di eventi, sentivo di aver acquisito una
certa esperienza».
§ «Questo autore non fa scorrere il sangue nei palazzi; non vi conduce in paesi lontani; non vi
espone al pericolo di essere divorati dai selvaggi; non si rinchiude in luoghi clandestini di
perversione; non si perde mai nelle regioni della fantasmagoria. Il luogo della scena è il
mondo in cui viviamo; il nucleo del suo dramma è vero; i suoi personaggi sono
estremamente reali; i suoi tipi sono colti nel seno della società; le vicende che descrive sono
conformi agli usi e ai costumi di tutte le nazioni civili; le passioni che egli dipinge sono le
stesse che sperimento in me; sono le stesse motivazioni che le agitano, hanno l’energia che
io riconosco in loro; le traversie e le afflizioni dei personaggi hanno la stessa natura di quelle
che mi minacciano continuamente; egli mi mostra il corso generale delle cose che mi
circondano».
§ Diderot conclude il passaggio citato, riconoscendo l’attendibilità del messaggio
romanzesco in termini di efficacia pratica sul lettore:
§ «Senza quest’arte [del romanzo], la mia anima si piegherebbe con fatica a visioni
chimeriche, l’illusione non sarebbe che momentanea, l’impressione che otterrei
debole e passeggera». Vedi M. Kundera, L’arte del romanzo (Adelphi, 1988).
§ In questa prospettiva, la missione filosofica del vero romanziere (o del romanziere
vero) non è più quella di consegnare un’istruzione morale, racchiusa in massime o in
asserzioni filosofiche a tesi, apodittiche (come nei trattati), ma di contribuire
all’elaborazione e alla rivelazione di conoscenze che sono come l’esito dell’esperienza
esistenziale, individuale dei personaggi che si riflettono sul lettore.
§ Il romanziere svela, anzi rivela (in senso quasi religioso) il senso del mondo stesso nel
quale vive il lettore, glielo fa conoscere nei suoi aspetti non visibili, nascosti, non detti.
§ Depositario di verità ultime – che stanno dietro le apparenze – il romanziere-filosofo (o
il filosofo-romanziere) deve illuminare l’umanità intera, l’umanità del proprio tempo.
§ Ecco la ripresa della metafora platonica della caverna:
§ «Questo autore vi riconduce incessantemente alle ragioni importanti della vita. Più lo si legge, più
piace leggerlo. È lui che porta la fiaccola in fondo alla caverna; è lui che ci educa a discernere gli
scopi sottili e disonesti che si nascondono e si travestono in altri scopi che sono onesti e che si
affrettano a mostrarsi per primi. Egli soffia sul sublime fantasma che si presenta all’entrata della
caverna, e l’orribile Moro che esso mascherava si rende visibile».
§ La riuscita dell’operazione di svelamento degli inganni, l’opera di de-mistificazione – il termine
stesso, «mistificazione», è un’invenzione di Diderot – è sottomessa alla condizione che il romanziere
sappia mettere in luce le molle segrete dell’umano (che sia «fine psicologo»), le passioni
inconfessabili o i motivi inconsci del cuore umano. Solo così l’illusione finzionale può diventare
veicolo e ausilio della verità filosofica.
§ «È lui che sa far parlare le passioni, a volte con quella violenza che esse hanno quando non possono
più contenersi, a volte con quel tono artificioso e moderato che esse adottano in altre occasioni. È lui
che fa tenere a uomini di ogni stato e condizione, in tutte le differenti circostanze della vita, discorsi
che si riconoscono. Se nel fondo dell’anima di un personaggio che egli introduce è presente un
sentimento segreto, ascoltate bene e sentirete un tono dissonante che lo svelerà. Richardson ha
riconosciuto che la menzogna non poteva mai assomigliare del tutto alla verità, perché questa è la
verità e quella è la menzogna».
§ Queste considerazioni teoriche dell’Elogio contribuiscono a illuminare la scrittura de La Religiosa. E
le sue tecniche. Vedi la conclusione della Prefazione annessa, con le Questioni sulla scrittura.
§ Diderot si sarebbe costretto, obbligato ogni giorno, a riscrivere le lettere di Suzanne
e a «guastarle» per sopprimervi coscienziosamente tutto il «romanzato», cioè tutto
ciò che esse all’inizio avevano, di primo getto, «di brillante (saillant), di esagerato, di
contrario all’estrema semplicità e alla completa verosimiglianza» (p. 2815).
§ E infine, motivo inconfessato dello stesso autore, questi vi avrebbe espresso
l’angoscia inconscia, profonda, della propria storia personale, perché, con ogni
evidenza, l’ossessione che rappresenta La Religiosa per Diderot, riposa sul fatto che
il racconto di Suzanne ha a che fare da vicino con la morte della «sorellina»,
Angélique, con la sua conoscenza approfondita della teologia e della vita religiosa.
§ Il mondo in cui ha vissuto, tanto l’autore con la sua memoria personale, quanto
Suzanne, «è il luogo della scena». E su questo, grazie alla finzione romanzesca,
bisogna fare in modo che vinca, si affermi «la sana filosofia, i cui lumi (lumières) si
diffondono ovunque oggi, e possa penetrare un po’ più a fondo nei nostri chiostri»
(Enc., to. II, articolo «Cappuccio», di Diderot).
§ «Una spaventosa satira dei conventi», dunque. E tale è passata La Religiosa, per circa
un secolo e mezzo, nella coscienza comune letteraria, fino alla metà del secolo scorso.
Ma, come è stato notato da R. Pomeau: «l’opera non assomiglia affatto a ciò che nel
secolo XVIII poteva annunciare un simile progetto» (la satira).
§ A lungo l’opera di Diderot ha subito censure innumerevoli, soprattutto in Italia, perché
considerato un libro osceno, antireligioso, indecente ecc. ma la critica universitaria a
partire del 1951 (anno di apertura del Fonds Vandeul dei manoscritti del filosofo) ha
sottolineato che si tratta di un pregiudizio di chi non ha letto veramente il testo con
attenzione. G. May ha parlato di «romanzo cristiano». Paradossale.
§ Diderot evita di proposito ogni discorso direttamente anticlericale, contro le figure di
monache e preti, non volge in ridicolo alcun dogma religioso (come facevano un
Voltaire o un D’Holbach) e si guarda bene dall’attribuire ai religiosi che mette in
scena, dei discorsi con i quali si squalificherebbero essi stessi in quanto religiosi.
§ La religione, in quanto fatto individuale, è profondamente rispettata e amata. In primis
dall’eroina Suzanne Simonin. Il destinatario è un uomo molto pio (il marchese di C***).
§ Ogni lettore onesto, non prevenuto, de La Religiosa, non può mancare di essere colpito
ovunque da un paradosso, giustamente sottolineato da R. Mauzi:
§ «Satira patetica e declamatoria dei conventi, La Religiosa contiene ammirevoli esempi di
spiritualità cristiana…».
§ Nei molteplici «effetti» di chiaroscuro – ancor più evidenti nella realizzazione
cinematografica di J. Rivette – nelle alternanze, orchestrate con sapienza, delle preghiere
mormorate sottovoce e dei canti eclatanti, nelle scene di agonia, come nelle recitazioni del
Miserere ecc. La Religiosa testimonia a più riprese di un’intensa sensibilità spirituale,
sensibilità se non al «genio del Cristianesimo» (Chateaubriand), quanto meno a una
profonda poetica della religione cristiana.
§ Ciò attesta anche in Diderot un gusto pronunciato (un’estetica diremmo) della pittura
religiosa, come confessa lui stesso, critico d’arte, nel Salon del 1765, di essere stato vinto,
talvolta, dallo spettacolo dell’ «entusiasmo della moltitudine alla processione della Festa di
Dio», al punto di sentire di avere le viscere in subbuglio e le lacrime agli occhi.
§ E’ attendibile, tuttavia, la tesi di G. May, del «romanzo cristiano»? O supporre come R, Joly
che è stata per Diderot un’opera chiave che ha permesso a Diderot la maturazione del suo
materialismo ateo, offrendogli, su un modo catartico, uno sbocco a dei bisogni religiosi
rimossi? (interpretazione psicanalitica)…

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