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N.

B La parte relativa al video delle bevande spiritose non è presente in questi appunti

LEZIONE 1
Food security = sicurezza della disponibilità e degli approvvigionamenti alimentari (sicurezza quantitativa)

Food safety = sicurezza igienico-sanitaria / sicurezza informativa (etichettatura). Assenza di: residui,
contaminanti, alterazioni del processo di produzione, pericolo fisico, chimico, biologico

Reg. (CE) n.178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio:

- Principi e requisiti generali della legislazione alimentare


- Istituisce l’Autorità europea per gli alimenti
- Procedure nel campo della sicurezza alimentare

IL PRODOTTO ALIMENTARE (o alimento o derrata alimentare):

- Dall’ Art.2 reg.178/2002  qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o


non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere
ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare, qualsiasi sostanza,
compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione,
preparazione o trattamento. Esso include l’acqua nei punti in cui i valori devono essere rispettati
come stabilito dall’articolo 6 della direttiva 98/83/CE e fatti salvi i requisiti delle direttive 80/778/CEE
e 98/83/CE

Non sono compresi:

- I mangimi;
- Gli animali vivi, a meno che siano preparati per l’immissione sul mercato ai fini del consumo umano͖
- I vegetali prima della raccolta;
- i medicinali ai sensi delle direttive del Consiglio 65/65/CEE e 92/73/CEE;
- I cosmetici ai sensi della direttiva 76/768/CEE del Consiglio;
- Il tabacco e i prodotti del tabacco ai sensi della direttiva 89/622/CEE del Consiglio;
- Le sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi della convenzione unica delle Nazioni Unite sugli
stupefacenti del 1961 e della convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope del 1971;
- Residui e contaminanti.

IL COSUMATORE (da libro verde)  Le persone fisiche che agiscono per fini che esulano dalla loro attività
commerciale, economica o professionale

Dal Codice del consumo italiano, art. 3 lett. a  Ai fini del presente codice ove non diversamente previsto, si
intende per consumatore o utente: la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale,
commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.

Dal Reg. CE 178/2002  Il consumatore finale di un prodotto alimentare che non utilizzi tale prodotto
nell’ambito di una operazione o attività di una impresa del settore alimentare

Libro Bianco della Commissione europea: garantire la sicurezza degli alimenti lungo tutta la filiera alimentare,
dai campi alla tavola, secondo il principio in base al quale la responsabilità primaria della sicurezza degli
alimenti grava sugli stessi operatori del settore alimentare.

Pacchetto Igiene: reg. (CE) n.852, 853. 854,882/2004

852 = igiene dei prodotti alimentari


853= igiene alimenti di origine animale

854= organizzazione dei controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano

882= controlli ufficiali su mangimi e alimenti  abrogato però dal 14 dic. 2019 ad opera del reg. (UE)
2017/625

Pacchetto miglioratori: reg. n.1332,1333,1334/2008  produzione, commercializzazione e utilizzo di additivi,


aromi ed enzimi alimentari, procedura per autorizzare l’immissione in commercio

L’ordinamento giuridico dell’Unione europea è basato su due trattati  TUE / TFUE (stesso valore giuridico)

- TUE e TFUE consentono diretta invocabilità davanti al Giudice nazionale e alla Pubblica
amministrazione da parte dei cittadini degli Stati Membri.

Unione europea  organizzazione con finalità e poteri ampi che realizza attraverso le sue ISTITUZIONI:

- Parlamento europero, Consiglio europeo, Commissione europea, Corta di giustizia dell’UE, Banca
Centrale europea, Corte dei Conti

Fonti dell’UE:

Fonti primarie  I due trattati TUE (trattato sull’Unione europea) e TFUE (trattato sul funzionamento
dell’unione europea) entrambi approvati dagli stati membri. NON DISCIPLINANO ESPRESSAMENTE IL
SETTORE ALIMENTARE. Gli alimenti sono soggetti disposti sulla libera circolazione delle merci e anche a più
settori economici di competenza dell’UE  politica commerciale comune, protezione della salute del
consumatore di alimenti, l’etichettatura, presentazione degli alimenti per la concorrenza corretta ed il
funzionamento del mercato interno. Sono fonti del diritto alimentare gli articoli sul ravvicinamento delle
legislazioni nazionali, norme coordinate alla costruzione del mercato interno (art.114-118 TFUE)

Fonti secondarie  atti emanati dalle Istituzioni UE – 1) atti legislativi (adottati con procedura legislativa 2)
atti non legislativi (atti delegati o atti esecutivi adottati dalla commissione europea)

- Vincolanti  regolamenti, direttive, decisioni


- Non vincolanti  raccomandazioni, pareri, comunicazioni

Principio di attribuzione  “L’UE agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite
dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obbiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non
attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”

Principio di sussidiarietà  “nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene solo se
e in quanto gli obbiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati
membri né a livello centrale né a livello regionale o locale, ma possono, a motivo della portata degli effetti
dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione”

Principio di proporzionalità  “il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano quanto necessario
per il conseguimento degli obbiettivi dei trattati” (Le Istituzioni dell’Unione applicano il principio di
proporzionalità conformemente al protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità)

Principio di mutuo riconoscimento (art. 34,35 TFUE)  l’alimento può liberamente circolare all’interno
dell’UE purché conforme alle regole di produzione del Paese di provenienza o di destinazione (UE)

Principio di precauzione (art.7 reg. 178/2002)  Qualora in circostanze specifiche venga individuata la
possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione di incertezza a livello scientifico,
possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello levato
di tutela della salute che la Comunità persegue in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una
valutazione più esauriente del rischio.

LEZIONE 2
Basi Giuridiche del diritto primario dell’UE 

- Art.168 TFUE relativo alla “Sanità pubblica” che correlato all’art 6 TFUE attribuisce all’Ue la
competenza ad intraprendere azioni di coordinamento e completamento delle misure nazionali degli
Stati membri in alcuni settori, tra i quali la tutela e il miglioramento della salute umana
- Art.169 TFUE  “protezioni dei consumatori” UE può introdurre misure di sostegno, integrazione e
controllo della politica svolta dagli Stati membri  tutela della salute, della sicurezza e degli interessi
economici dei consumatori, diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la
salvaguardia dei propri interessi
- Art. 216 TFUE  attribuisce la competenza all’UE a concludere accordi internazionali quando i
trattati lo prevedano
- Art. 43 TFUE  “sui prodotti agricoli” costituisce la base giuridica agraria oltre alla PAC, contribuente
quest’ultima allo sviluppo della legislazione alimentare i cui obbiettivi non possono prescindere da
esigenze di interesse generali quali la tutela dei consumatori o della salute e della vita delle persone
e degli animali

UE si fonda sul principio dello Stato di diritto: le competenze dell’Ue sono disciplinate dai Trattati approvati
degli Stati Membri.

Attualmente l’UE comprende 28 Stati membri.

Trattato di Lisbona  13 dicembre 2007 ed entrato in vigore 1 dicembre 2009. E’ il punto di arrivo del
processo di integrazione degli Stati europei che il 25 marzo 1957 videro Belgio, Francia, Germania, Italia,
Lussemburgo e Olanda sottoscrivere a Roma il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (TCEE)
(trattato di Roma).

- Riconoscimento dell’UE come personalità giuridica


- Integrazione/modificazione del Trattato CE in quello TUE e TFUE

TCEE  nato per creare un mercato comune vietando ogni discriminazione tra i consumatori della Comunità
in relazione alla politica agricola comune (PAC)

Nell’ambito della legislazione alimentare le sue principali modifiche (del TCEE) sono subentrate con…

- Atto Unico Europeo (AUE) 1 luglio 1987  nuova base giuridica per il riavvicinamento per le
disposizioni legislative degli Stati Membri circa il mercato interno
- Trattato di Maastricht 7 febbraio 1992 (entrato in vigore 1 novembre 1993)  che ha visto adottare
il Trattato sull’Unione Europea (TUE) al fine di creare una Comunità europea con competenze alla
Comunità in settori delicati come la tutela della salute.
- Trattato di Amsterdam 1 gennaio 1999  ha assegnato al Parlamento europeo la competenza di
emanare misure veterinarie fitosanitarie dirette a tutelare la salut umana per assicurare maggiore
trsparenza ai processi decisionali, conseguenza diretta della vicenda della “mucca pazza”
La Corte Costituzionale considera l’ordinamento giuridico dell’Unione e quello statale separati (teoria
dualista) laddove la prevalenza del diritto dell’UE non opera abrogando la norma interna contraria ma
rendendola non applicabile.

Fonti nazionali  Costituzione 1948 in materia di consumatore afferma che “la Repubblica tutela la salute
come fondamentale dirittto ell’individuo e interesse della collettività”. Il nuovo Titolo V parte seconda della
Costituzione del 2001 individua tre tipi di potestà legislativa:

- Esclusiva statale
- Concorrente
- Regionale

Art.117 Costituzione  dice che l’alimentazione è una materia autonoma e la colloca tra quelle di
competenza concorrente Stato-Regioni. Mentre il diritto alimentare sembra intersecare le seguenti materie:
tutela della salute, rapporti tra Stato e UE, ordine pubblico, profilassi internazionale e tutela dell’ambiente
(di competenza statale esclusiva).

Il potere dello Stato di emanare i principi fondamentali in materia “alimentazione” è limitato in quanto di
competenza dell’UE attraverso il reg. (CE) n.178/2002 e il pacchetto igiene, così che lo spazio residuale
dovrebbe essere di competenza regionale per interventi esecutivi.

Fonti internazionali  Trattato di Marrakech insieme coordinato di numerosi accordi internazionali di natura
orizzontale e verticale con cui  sono stabilite regole con problematiche particolari e regolato il commercio
internazionale in taluni ettori, oltre alla regolamentazion del funzionamento dell’OMC

Nel trattato di Marracech  sono istituiti i Panels

Tra gli atti NON vincolanti dell’UE si annovera:

- Il Libro verde sui “Principi generali della legislazione in materia alimentare nell’Unione Europea” 
documento di 6 parti  ciascuna dedicata ad un aspetto delle problematiche alimentari
- Il Libro Bianco sulla sicurezza alimentare  documento di spunti sul sistema di rintracciabilità degli
alimenti, sulla politica di sicurezza, sul monitoraggio, sulla catena alimentare e allarme
 Sulla scorta del libro verde e poi di quello bianco è pervenuto il reg. (CE) n.178/2002

Accordi settoriali:

- Accordo sull’Agricoltura  flussi commerciali delle materie prime agricole alla base della produzione
alimentare.
- Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (SPS) (DEVONO essere dotate di fondamento scientifico.
Misure protettive fondate su ricerche di valutazioni del rischio messe appunto dalle competenti
organizzazioni internazionali FAO,OMS del codex alimentarius anni 60’))  leggi, decreti e
regolamenti volti a proteggere la vita e la salute di animali, piante dai rischi di parassiti o patogeni,
additivi contaminanti.

Standards e raccomandazioni del CODEX ALIMENTARIUS (volumi divisi per argomenti. Organo sussidiario +
importante CODEX committees):

- Orizzontali (general standards)  applicabili a tutti i cibi senza distinzioni, etichettatura, additivi,
contaminanti, metodi di analisi e di campionamento, igiene dei cibi, aspetti nutrizionali sistemi di
ispezione e di certificazione per import-export
- Specifici per prodotto (commodity standards)  descrizione alimento, composizione, fattori di
qualità, contaminanti ammessi, requisiti igienici di peso e dimensioni, ect.

Altre fonti importanti sono:


- Accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi (TBT)  Il dovere degli Stati membri è di far si che i
regolamenti tecnici non vengano elaborati, adottati o applicati in modo da creare o conseguire
l’effetto di indebiti ostacoli al commercio internazionale. Tale accordo impedisce che il ricorso a
prescrizioni tcniche sia meramente pretestuoso e non necessario.
- Accordo TRIPs (accordo sugli aspetti della proprietà intellttuale relativi al commercio)  tutela delle
denominazioni d’origine e dei marchi sui mercati esteri, ma interessante anche per la protezione di
invenzioni in campo alimentare (brevetti, marchi, disegni industriali diritti d’autore

Costituzione Italiana

- Carta fondamentale dell’ordinamento giuridico italiano 1 gennaio 1948; 139 articoli e insieme al
TFUE forniscono delle basi giuridiche che rendono necessari interventi di protezione per la salute del
consumatore
- Art.32  “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determnatoo
trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
- Art. 117  vengono individuate le materie ove lo Stato ha potestà legislativa esclusiva e quelle di
competenza concorrente delle Regioni
- L’art. 14  rubricato “Requisiti di sicurezza degli alimenti”, comporta l’obbligo per tutte le imprese
alimentari di non immettere sul mercato “alimenti a rischio”.
- L’art. 16  stabilisce che l’etichettatura, pubblicità e presentazione, non devono trarre in inganno i
consumatori, mentre
- L’art. 17  stabilisce che gli Stati membri controllano e verificano il rispetto delle disposizioni da parte
degli operatori del settore alimentare in tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione,
con un regime ufficiale di controllo e sanzioni verso chi vìola il diritto alimentare, nel rispetto del
principio di proporzionalità. Gli operatori del settore alimentare dovranno disporre di procedure per
realizzare la “rintracciabilità” (art.18), intesa come possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un
alimento destinato alla produzione alimentare.
- L’art.23  individua nell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, la necessità di creare un
sistema di reti tra organizzazioni operanti nei settori di sua competenza.
- L’art. 50  prevede l’istituzione di un sistema di “allarme rapido” dove partecipano gli Stati membri,
la Commissione e l’Autorità.
- L’art. 53  affronta le problematiche di una situazione di emergenza, mentre l’art. 55 si occupa della
gestione delle crisi.

Il diritto alimentare è stato costruito prima sulla base dell’art. 94 TCE e poi su quella dell’art. 95 TCE
mancando alla politica alimentare una base giuridica specifica.
L’Unione ha adottato dal 1969 un programma per eliminare gli ostacoli di ordine tecnico agli scambi
e alla Commissione di porre attenzione alla legislazione alimentare nel Libro Bianco per il
completamento del mercato interno, cui ha fatto seguito il Libro Bianco bis, dedicato alle misure da
adottare per la realizzazione del mercato interno nel settore alimentare. Ne conviene che seppur
mancano specifiche basi giuridiche per l’attuazione di una politica alimentare comunitaria, gli
strumenti forniti dal Trattato consentono comunque di adottarla, mentre l’assenza di basi riservate
non costituisce ostacolo alcuno per una legislazione inerente gli alimenti per gli uomini.
LEZIONE 3
Cenni sulla normativa italiana ed europea

Le fonti del diritto alimentare:

- Fonti internazionali
- Fonti nazionali  fonti regionali
- Fonti europee

La carta costituzionale italiana è essenzialmente basata su due articoli:

ART.32 della costituzione:

Tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività:

- La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti.
- Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

ART.117 della costituzione  Vengono individuate le materie ove lo Stato ha potestà legislativa esclusiva e
quelle di competenza concorrente delle Regioni

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,
nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Materie di legislazione concorrente  rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni;
commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni
scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica
e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione;
ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto
e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a
carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo
che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato (2).

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato.

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano  nelle materie di loro competenza, partecipano
alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e
all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di
procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di
inadempienza.

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni.
La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina
dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita
sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive
[3].

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie
funzioni, anche con individuazione di organi comuni.

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali
interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

COLLOCAZIONE DELLA MATERIA ALIMENTARE NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO

La materia alimentare non ha una sua collocazione specifica ma rileva piuttosto un profilo interdisciplinare
contiguo principalmente a:

- COMMERCIO (materia residuale rispetto STATO/REGIONI)


- AGRICOLTURA (competenza statale)
- RICERCA E INNOVAZIONE (competenza statale)
- SALUTE (materia concorrente)
- ALTRO

LEGGE QUADRO DEL SETTORE ALIMENTARE

- L. 30.04.1962 n. 283:  disciplina della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle
bevande

A cui è seguito il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR 26 03 1980 n.327 (regolamento d’esecuzione
della legge 283/1962)

A cui è seguito il D. Lgs 17.03.1995 n. 115 “Attuazione della direttiva 92/59/CEE relativa alla sicurezza
generale dei prodotti”

A cui si aggiunge il D.Lgs 05.04.2006 n. 190 “disciplina sanzionatoria per le violazioni del Reg. CE178/2002 che
stabilisce i principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la
sicurezza alimentare (EFSA) e fissa le procedure nel settore della sicurezza alimentare”

IL TRATTATO DI ROMA DEL 25 MARZO 1957 ISTITUISCE LA COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA (CEE)

- Nei primi anni ’60 entra in vigore la Politica Agraria Comune (PAC) con la determinazione di garantire
l’autosufficienza alimentare dei cittadini comunitari
- Negli anni ’70 l’attenzione si sposta lentamente verso la tutela dei consumatori e coinvolge ed
implementa anche la legislazione alimentare. La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea a
partire dalla sentenza Cassis de Dijon afferma il principio del mutuo riconoscimento.
- Negli anni ’80 la preoccupazione è di garantire la food security ovvero disponibilità quantitativa di
prodotti alimentari a prezzi ragionevoli sulla base della PAC. Verso la fine del decennio intervengono
le prime fondamentali direttive in tema di controlli igienico sanitari (Dir. 89/396/CEE e Dir.
89/397/CEE)
- Con la Direttiva 93/43/CEE viene introdotto il sistema HACCP. Il LIBRO VERDE (1997) della
Commissione Europea che esplicita i principi generali della legislazione alimentare nell’Unione
Europea
- Si valorizzano poi le tematiche della sicurezza e della qualità alimentare ed in particolare quelle
legate alla qualità, ai rischi alla rintracciabilità e alla composizione dei prodotti alimentari, che
trovano una sintesi nel LIBRO BIANCO SULLA SICUREZZA ALIMENTARE (2000).
- Con il REG. 178/2002 inizia una stagione che passa dalla esclusiva prevenzione anche all’analisi del
rischio con priorità alla sicurezza alimentare.
- A metà degli anni 2000 vengono emanati decisivi Regolamenti Comunitari fra gli altri in materia di
igiene sanitaria (852 e 853/2004) di vigilanza e controllo (882/04 e 854/04) oltre che in relazione a
molteplici situazioni (pubblicità ed etichettatura OGM) etc...

REGOLE DI CIRCOLAZIONE DEGLI ALIMENTI ALL’INTERNO DELL’UNIONE EUROPEA

Integrazione positiva  basata sul ravvicinamento delle legislazioni (art. 114 TFUE)

- Libera circolazione delle merci artt. 28-37 TFUE

Art. 28 TFUE (ex articolo 23 del TCE)  L'Unione comprende un'unione doganale che si estende al
complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all'importazione
e all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l'adozione di una tariffa doganale
comune nei loro rapporti con i paesi terzi.

Integrazione negativa  basata sul divieto di restrizioni quantitative alle importazioni/esportazioni come
descritto nell’art.28 del TFUE

DIVIETO DELLE RESTRIZIONI QUANTITATIVE TRA GLI STATI MEMBRI (INTEGRAZIONE NEGATIVA)

Art. 34 TFUE (ex articolo 28 del TCE)  Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative
all'importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.

Art. 35 TFUE (ex articolo 29 del TCE)  Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative
all'esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente.

Art. 36 TFUE (ex articolo 30 del TCE)  Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o
restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine
pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di
preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di
tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un
mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.

A SOSTEGNO DELLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

- PRINCIPIO DI MUTUO RICONOSCIMENTO (ARTT. 34-36 TFUE)  Soccorre anche tale principio di
derivazione giurisprudenziale per il quale l’alimento può liberamente circolare all’interno dell’Unione
Europea purché conforme alle regole di produzione del Paese di provenienza o di destinazione (UE).
Fatto salvo, in difetto di armonizzazione, l’eventuale emanazione dei c.d. NORME TECNICHE (ovvero
specifiche normative nazionali sui requisiti di produzione e commercializzazione delle merci, ivi
inclusi i prodotti alimentari.
- PRINCIPIO DI ARMONIZZAZIONE  attraverso l’emanazione di normative alimentari da parte del
legislatore europeo (direttive, regolamenti, decisioni).
 Integrazione positiva
 Integrazione negativa
LEZIONE 4
Approfondimenti di normativa e cenni su trattati internazionali

LE CARATTERISTICHE DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO DELL’UE

L’ordinamento giuridico dell’UE è autonomo rispetto a quello degli Stati membri.

Il diritto dell’UE è idoneo a produrre effetti negli ordinamenti dei singoli Stati membri che hanno consentito
limitazioni della sovranità nazionale, mediante l’adesione al Trattato istitutivo dell’UE (in origine istitutivo
della CEE).

Le norme appartenenti all’ordinamento giuridico dell’UE producono effetti vincolanti di fatto questa è una
limitazione della sovranità nazionale a favore dell’ordinamento comunitario.

INCIDENZA DEL DIRITTO DELL’UE SULLE NORME NAZIONALI

Il diritto UE ha un’incidenza variabile a seconda del tipo di fonte:

1. I REGOLAMENTI sono direttamente applicabili nei singoli ordinamenti nazionali senza che sia
necessario alcun atto di recepimento (c.d. APPLICABILITA’ DIRETTA)

2. Le altre fonti hanno EFFICACIA DIRETTA nei singoli ordinamenti nazionali

Con riferimento alle DIRETTIVE, la Corte di Giustizia ne riconosce l’efficacia diretta, seppure limitatamente ai
rapporti VERTICALI (SOGGETTO PRIVATO - SOGGETTO PUBBLICO)

EFFICACIA DIRETTA DELLE NORME DELL’UE NEGLI ORDINAMENTI NAZIONALI: EFFETTI E PRESUPPOSTI

Effetti: in caso di conflitto con una norma interna preesistente la norma dell’UE può:

 Escludere l’applicazione della Norma interna (c.d. effetto di opposizione)

 Sostituire la norma interna con essa contrastante (c.d. effetto di sostituzione)

Presupposti: l’efficacia diretta è subordinata alla sussistenza di 2 requisiti:

 sufficiente precisione

 incondizionatezza

In mancanza di presupposti la norma dell’UE ha rilevanza giuridica nell’ordinamento nazionale in via


INDIRETTA, e il contrasto normativo si risolve nella violazione del principio di leale collaborazione.

L’efficacia indiretta assume due forme:

□ Il giudice nazionale ha obbligo di interpretare le norme in maniera conforme al diritto UE;

□ Risarcimento del danno.

CONFLITTO TRA NORMA INTERNA E NORMA DELL’UE


Il conflitto normativo tra norma interna e norma dell’UE:

□ Si pone in ragione dell’attitudine del diritto dell’UE a produrre effetti nell’ordinamento interno,
anche in assenza di attività di recepimento da parte del legislatore nazionale

□ È risolto alla luce del PRIMATO del DIRITTO dell’UE: la norma appartenente all’ordinamento dell’UE
prevale sulla norma interna incompatibile

DEFINIZIONE DI PRIMATO DEL DIRITTO DELL’UE

Il principio di supremazia del diritto dell’UE:

 Sancisce la prevalenza del diritto dell’UE rispetto ai diritti nazionali degli Stati membri

 Vale per tutti gli atti vincolanti dell’UE

 Comporta che gli Stati membri non possano applicare una norma nazionale contraria al diritto
europeo

 Risolve il conflitto tra norma interna e norma dell’UE attraverso lo STRUMENTO della
DISAPPLICAZIONE: il giudice nazionale esclude l’applicazione della norma interna incompatibile con
la norma UE

 Elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia è richiamato in modo espresso dal TRATTATO
DI LISBONA (dichiarazione n. 17 allegato all’ATTO FINALE)

IL PRINCIPIO DI SUPREMAZIA DEL DIRITTO NELL’UE E NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

L’art. 117 Cost. stabilisce che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto dei
vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.

Riconosce inoltre il dovere di osservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’UE e costituisce la base
giuridica nell’ordinamento italiano del principio di supremazia del diritto dell’UE.

PROCESSO DI AFFERMAZIONE DELLA PREVALENZA DELLE NORME DELL’UE

Nella ricostruzione dei rapporti tra l’ordinamento dell’UE e i sistemi giuridici nazionali si sono sviluppate, a
livello giurisprudenziale, due diverse concezioni:

 Tesi MONISTA (Corte di Giustizia UE) le norme dell’ordinamento dell’UE e le norme nazionali sono
Integrate in un unico sistema

 Tesi PLURALISTA (Corte Costituzionale) i rapporti tra l’ordinamento comunitario e l’ordinamento


nazionale devono essere ricostruiti in termini di COORDINAMENTO, trattandosi di due ordinamenti
separati e reciprocamente autonomi.

Entrambe pervengono dopo un percorso evolutivo alla stessa soluzione:

-PRIMATO del diritto dell’UE;

-DISAPPLICAZIONE quale strumento per assicurare la prevalenza della norma UE così da garantire
un’applicazione UNIFORME del diritto UE in tutti gli Stati membri.
POSIZIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA: FOCUS GIURISPRUDENZIALE

L’elaborazione della tesi MONISTA, operata dalla Corte di Giustizia è segnata da 2 sentenze:

 Sentenza C - 6/64 Costa c/Enel

 Sentenza C - 106/77 Simmenthal

Posizione della corte di giustizia:

Nella sentenza Costa c. Enel la Corte di Giustizia afferma per la prima volta il principio della supremazia del
diritto comunitario, configurando l’ordinamento comunitario come “integrato nell’ordinamento giuridico
degli Stati membri”.

Nella sentenza Simmenthal, la Corte di Giustizia, definisce le modalità attraverso cui deve essere assicurata la
prevalenza della norma comunitaria sulla norma interna con essa contrastante. In particolare, individua nel
giudice nazionale l’organo incaricato di assicurare il primato del diritto comunitario.

L’elaborazione della tesi PLURALISTA operata dalla Corte Costituzionale, si articola in 4 tappe:

1. Corte Cost. sent. 14/64

2. Corte Cost. sent. 187/73

3. Corte Cost. sent. 170/84

4. Corte Cost. ordinanza 103/2008

PRIMA TAPPA: Corte Costituzionale, sent. del 1964, n. 14, la relazione tra gli ordinamenti giuridici viene
configurata come rapporto di equiordinazione. Il conflitto tra norma comunitaria e norma interna successiva
è risolto in favore della norma interna, che prevale sulla disposizione comunitaria in quanto successiva nel
tempo.

SECONDA TAPPA: Corte Costituzionale, sent. del 1973, n. 183, viene riconosciuto il primato del diritto
comunitario, (in particolare, i regolamenti comunitari). La base giuridica del principio viene identificata
nell’art. 11 della Costituzione, laddove è prevista la possibilità che l’Italia acconsenta a limitazioni di sovranità
a condizioni di parità con gli altri Stati. La Corte specifica che i rapporti tra i due ordinamenti sono da
ricostruire in termini di coordinamento tra ordinamenti separati e reciprocamente autonomi.

Dunque, il giudice nazionale, di fronte ad un conflitto tra norma comunitaria e norma nazionale posteriore,
doveva sottoporlo al giudizio di legittimità della Corte Costituzionale; non avrebbe potuto, viceversa, egli
stesso disapplicare la norma interna posteriore sul presupposto della prevalenza del diritto comunitario.

TERZA TAPPA: Corte Costituzionale, sent. del 1984, n. 170, sentenza Granital

La Corte ammette il potere del giudice nazionale di disapplicare una legge ordinaria contrastante con un
regolamento comunitario precedente, quale strumento idoneo ad assicurare in modo efficace ed effettivo la
prevalenza della previsione comunitaria sulla norma interna incompatibile.

La Corte Costituzionale riconosce infatti al giudice nazionale il potere di disapplicare direttamente la norma
interna, senza dover ricorrere alla Corte Costituzionale.

Il giudice nazionale è tenuto inoltre a verificare se il contrasto normativo possa essere superato a livello
interpretativo. La Corte Costituzionale non aderisce alla concezione monista propugnata dalla Corte di
Giustizia, confermando il suo orientamento in termini di separatezza tra gli ordinamenti, che si configurano
come distinti e autonomi seppure collegati da una relazione di coordinamento.
QUARTA TAPPA: Corte Costituzionale, ordinanza n. 103 del 2008, dove si registra una apertura verso la
concezione monistica. La Corte afferma che l’Italia ratificando i Trattati comunitari è entrata a far parte
dell’ordinamento comunitario, e cioè di un ordinamento giuridico autonomo, integrato e coordinato con
quello interno.

SUPREMAZIA DEL DIRITTO UE IN MATERIA DI DIRITTO AGROALIMENTARE, IL CASO DEL CIOCCOLATO

Corte di Giustizia UE con la sentenza 25 Nov.2010 (Causa C-47/09) ha accolto il ricorso presentato dalla
Commissione europea contro l’Italia per non aver rispettato due direttive europee (36/2000 e 13/2000)
relative, rispettivamente, ai prodotti di cacao e cioccolato destinati all’alimentazione umana ed al
riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura, la presentazione dei
prodotti alimentari e la relativa pubblicità.

Si rende necessario stabilire regole comuni per l’aggiunta dei grassi vegetali diversi dal burro di cacao nei
prodotti di cacao e cioccolato nonché realizzare un’armonizzazione delle denominazioni di vendita.

L’etichetta non deve indurre in errore il consumatore, deve fornire informazioni esatte circa le varie
caratteristiche del prodotto (natura, qualità, composizione, modo di fabbricazione).

La Legge italiana, nella legge di attuazione (D. lgs. 12 giugno 2003, n. 178) delle due direttive europee, aveva
previsto alcuni criteri direttivi che non erano in linea con quelli esposti dalle direttive europee.

Tra essi, spiccava il criterio direttivo relativo alla distinta indicazione sull’etichettatura:

 se il bene è prodotto con aggiunta di grassi diversi dal burro di cacao, l’etichetta dovrà contenere la
dizione “cioccolato”

 se il bene è prodotto utilizzando esclusivamente burro di cacao l’etichetta dovrà contenere la dizione
“cioccolato puro”.

Quanto sopra aveva determinato la reazione della Commissione europea. Quest’ultima sosteneva che, oltre
ad essere una denominazione ulteriore, la dizione “puro” si prestasse a trarre in errore il consumatore,
poiché non corretta, né imparziale, né obiettiva, e perciò ingannevole.

La Corte, accogliendo le posizioni della Commissione europea, affermava che l’aggiunta di aggettivi
qualificativi riguardo il cioccolato, per i quali le direttive europee avevano operato un’armonizzazione delle
denominazioni di vendita, è vincolata alle specifiche condizioni previste dalle stesse direttive.

Esse non prevedono né la denominazione di vendita “cioccolato puro” né l’introduzione di una modifica delle
denominazioni di vendita posta in essere da un legislatore nazionale. La legge italiana si poneva, dunque, in
contrasto con il sistema obbligatorio e tassativo delle denominazioni di vendita istituito dalle direttive. Le
conseguenze per lo Stato italiano, risultanti dalla sentenza della Corte di Giustizia, sono state la condanna di
quest’ultima alle spese, l’obbligo di immediata modifica delle proprie leggi interne e l’allineamento alle
statuizioni della sentenza.

SUPREMAZIA DEL DIRITTO UE IN MATERIA DI DIRITTO AGROALIMENTARE, IL CASO OGM

Un ulteriore caso è quello relativo agli OGM dove si afferma nella pratica, il primato del diritto dell’Unione
Europea. La Corte di Giustizia con la sent. del 2012 C - 36/11 ha affermato che la messa in coltura di varietà
OGM autorizzate dall’UE non può essere sottoposta a procedure nazionali. La procedura nazionale di
autorizzazione all’OGM è stata interpretata come non conforme all’ordinamento europeo.
La Corte di Giustizia ha affermato come sia precluso ad uno Stato membro subordinare ad una
autorizzaizone nazionale l’impiego e la commercializzazione di sementi di varietà OGM già autorizzate in
virtù del reg. n. 1829/2003 ed iscritti nel catalogo comune in applicazione della direttiva 2002/53 ad una
autorizzazione nazionale.

GENERAL AGREEMENT ON TARIFFS ON TRADE (GATT)

Il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) è un documento il cui rinnovo era in discussione sin dal
1947 e dopo molteplici negoziati (c.d. ROUNDS) si è chiuso nel 1994 all’interno del Trattato di Marrakech è
entrato in vigore il 1.1.1995. Dal GATT nasce l’Organizzazione Mondiale del Commercio - World Trade
Organization (WTO).

WORLD TRADE ORGANIZATION (WTO)

Il WTO o OMC è un’organizzazione internazionale che disciplina:

 ACCORDI SETTORIALI Che riguardano per quanto di nostro interesse i prodotti alimentari

 ACCORDI ORIZZONTALI a disciplina diffusa indipendentemente dalla specifica materia

WTO ED ACCORDI SETTORIALI

ACCORDO SULLE STRUTTURE SANITARIE E FITOSANITARIE (SPS) SANITARY AND PHYTOSANITARY MEASURES

Prevede in particolare procedure limitative del commercio internazionale fondate su:

 principio di necessità

 fondamento scientifico

 non discriminatorietà

determinate dall’esigenza di proteggere nell’ambito territoriale dello Stato membro͗ la vita o la salute
dell’uomo, degli animali o dei vegetali dai rischi derivanti dalla diffusione di parassiti, malattie, organismi
portatori di malattia o agenti patogeni, uso di additivi, contaminanti, tossine o agenti patogeni presenti negli
alimenti, nelle bevande o nei mangimi.

ACCORDO SULL’ AGRICOLTURA (AGREEMENT ON AGRICOLTURE)

È un accordo rilevante per la materia alimentare per ragioni strettamente economiche in quanto capace di
incidere sui flussi commerciali delle materie prime agricole le quali sono quasi sempre alla base della
produzione di alimenti. I pilastri di tale accordo sono:

- Riduzione del protezionismo e aumento dell’accesso al mercato

- Riduzione progressiva del sostegno interno

- Limitazione alle esportazioni sostenute finanziariamente

- Previsione di una clausola di salvaguardia nel caso le quantità importate superino il massimale stabilito od i
relativi prezzi scendono al di sotto di un valore minimo predefinito
ACCORDO SUGLI OSTACOLI TECNICI AGLI SCAMBI (TBT) AGREEMENTES ON TECHICAL BARRIERS TO TRADE

È sempre parte del trattato di Marrakech e si applica a tutti i prodotti sia industriali che agricoli al fine di
normalizzare le procedure e le valutazioni di conformità. Questo accordo mira ad impedire che il ricorso a
prescrizioni tecniche sia meramente strumentale e non necessario.

Tende alla armonizzazione delle regole tecniche secondo l’applicazione di STANDARDS predisposti.

Vieta esplicitamente agli Stati membri:

 Di penalizzare un prodotto estero rispetto a quello locale (principio di non discriminatorietà)

 Di riservare al prodotto di uno Stato membro un trattamento peggiore rispetto a quello applicato al
prodotto similare in un altro Stato WTO

ACCORDO SUGLI ASPETTI DELLA PROPRIETA’ INTELLETTUALE RELATIVI AL COMMERCIO (TRIPs) AGREEMENT
ON TRADE RELATED ASPECTS OF INTELLECTUAL PROPERTY RIGHTS

 Tutelano le Intellectual Properties (brevetti, marchi, disegni industriali, denominaz. d’origine, etc)

 Rendono obbligatorie per gli Stati membri del WTO le relative disposizioni pattizie.

 Assoggettano le controversie relative le disposizioni dell’accordo a specifici meccanismi sanzionatori


del WTO.

IL CODEX ALIMENTARIUS

La commissione Codex Alimentarius è stata istituita congiuntamente da FAO (Food and Agricolture
Organization) e OMS o WHO (World Health Organization) negli anni ’60. Il segretario della commissione ha
sede presso la FAO di Roma. Ha come finalità quella di contribuire a creare una disciplina uniforme in tema di
produzione e commercio di prodotti alimentari, attraverso General Standards (riferiti a tutte le tipologie di
alimenti) e Commodity Standards (riferiti a specifici prodotti alimentari).

I general standards riguardano etichettatura, additivi, contaminanti, metodi di analisi e di campionamento,


igiene dei cibi, aspetti nutrizionali etc. I specifici variano a seconda del tipo di alimento, in relazione al quale
forniscono il nome e lo scopo per cui lo standard viene elaborato come gli additivi che secondo FAO e OMC
possono essere utilizzati per quel cibo etc. L’obiettivo del Codex è quello di semplificare e rendere chiari gli
scambi commerciali internazionali per garantire ai consumatori prodotti igienici e sani e corrispondenti a
quanto riportato in etichetta.

Il codex è diviso in volumi per argomenti. L’adesione formale della comunità europea al codex alimentarius
come membro a pieno titolo è avvenuta nel 2003.
LEZIONI 5 e 6
LE FONTI DEL DIRITTO

Le fonti del diritto sono costituite dalle:

 fonti di cognizione che sono i documenti che raccolgono i testi degli atti recanti disposizioni
normative, come la Gazzetta Ufficiale.

 fonti di produzione che sono gli atti e i fatti idonei a produrre norme giuridiche (costituenti il diritto
oggettivo o sistema normativo). Le fonti di produzione si distinguono a loro volta in fonti-atto (leggi,
regolamenti, ecc.) e fonti-fatto (la consuetudine).

 fonti sulla produzione definiscono i soggetti e i procedimenti attraverso i quali le norme giuridiche si
producono in un ordinamento.

Si pensi ad esempio che fonte sulla produzione dei decreti-legge è l'art. 77 della Costituzione, mentre i
decreti-legge stessi sono fonte di produzione.

Per fonte-atto s'intendono atti giuridici volontari imputabili a soggetti determinati e implicano l'esercizio di
un potere a esso attribuito (atti normativi), mentre le fonti-fatto, pur non essendo riconducibili ad azioni
volontarie, sono accettati dall'ordinamento nella loro oggettività, fatto normativo (si tratta, in altri termini, di
meri fatti giuridici).

Fondamentale, tra le fonti sulla produzione, è la Costituzione alla quale in via diretta o indiretta risale la
validità di tutte le fonti produttive di diritto nel nostro ordinamento.

L’ordinamento giuridico scaturisce dall'operare congiunto di norme di produzione e di norme sulla


produzione del diritto, aventi queste ultime la funzione di identificare le fonti dell'ordinamento,
determinarne i criteri di vigenza e indicarne i criteri di interpretazione.

La Costituzione rappresenta la nostra fonte normativa più importante, tutte le altre fonti del diritto devono
rispettare i principi in essa contenuti. Per descrivere la Costituzione si utilizza una particolare espressione,
ossia si dice che è "Legge delle Leggi", proprio per sottolineare che i suoi principi devono essere rispettati da
tutte le altre leggi.

La forma delle fonti viene determinata dal tipo di funzione di cui sono espressione, ossia, in altri termini, dal
potere giuridico che li produce, vigendo un principio di indipendenza della forma dal contenuto. (es Decreto-
legge, Decreto-legislativo)

Le norme giuridiche possono nascere in due modi rispetto alla volontà del soggetto destinatario. Una regola
può nascere perché è lo stesso soggetto destinatario a porla: i destinatari partecipano direttamente e
personalmente alla creazione della regola. Normalmente si definisce questo tipo di fonti come autonome. Le
regole possono essere prodotte da meccanismi (istituzioni) esterni alla volontà dei destinatari in questo caso
parliamo di fonti eteronome.

I rapporti tra le fonti

La pluralità di fonti comporta la necessità che i rapporti tra le fonti siano regolati. I principi regolatori di
questi rapporti sono:
- l'abrogabilità (a sua volta espressa o tacita);

- l'irretroattività. (la norma non dispone che per l’avvenire)

Il principio dell'abrogabilità delle fonti comporta che una norma prodotta da una fonte non può essere
dichiarata sottratta all'abrogazione.

Al principio di abrogabilità fanno eccezione le norme poste da poteri normativi conclusi e non rinnovabili,
ossia, per il nostro ordinamento, la forma repubblicana, derivante dal referendum e la Costituzione nel suo
complesso, derivante dal potere costituente.

La gerarchia delle fonti

I rapporti tra le fonti possono essere suddivisi in tre livelli:

 1º livello: fonti costituzionali (costituzione, leggi costituzionali e di revisione costituzionale,


regolamenti comunitari, direttive comunitarie);

 2º livello: fonti legislative, dette anche fonti primarie (leggi, decreti-legge, decreti legislativi,
referendum abrogativo);

 3º livello: fonti regolamentari, dette anche fonti secondarie (Regolamenti del Governo, degli Enti
Locali);

 4º livello: dette anche fonti terziarie (consuetudini e usi).

Il rapporto di gerarchia, conseguenza dei principi dello Stato di diritto e della loro espansione, si sostanzia
nella legalità che si ha in ipotesi di pluralità di processi di integrazione politica (si pensi, per l'ordinamento
italiano, ai processi europeo, statale e regionale).

Un altro criterio molto importante qualora vi sia contraddizione tra fonti omogenee (pari grado gerarchico,
uguale competenza) è il criterio cronologico, secondo il quale la legge successiva abroga la legge precedente
che risulti in contrasto.

Al primo livello della gerarchia delle fonti, si pongono la Costituzione, le leggi costituzionali e gli statuti
regionali (delle regioni a statuto speciale).

La Costituzione italiana viene definita lunga e rigida: "lunga" perché non si limita "a disciplinare le regole
generali dell'esercizio del potere pubblico e delle produzioni delle leggi", riguardando anche altre materie,
"rigida" in quanto per modificare la Costituzione è richiesto un iter cosiddetto aggravato (vedi art. 138
Cost.). Esistono inoltre dei limiti alla revisione costituzionale.

Fonti primarie

Ai sensi dell'art. 10 della Costituzione si tratta di norme derivanti da trattati internazionali, cui seguono
Direttive e regolamenti comunitari. I trattati internazionali, con speciale riferimento ai trattati antiterrorismo
e al Trattato del Nord Atlantico (NATO), e le fonti del diritto dell'Unione europea dotati di efficacia
vincolante, nella specie di regolamenti o di direttive. I primi hanno efficacia immediata, le seconde devono
essere attuate da ogni Paese facente parte dell'Unione europea in un determinato arco di tempo. Fonti
primarie sono poi le leggi ordinarie, gli statuti regionali (regioni a statuto ordinario), le leggi regionali e quelle
delle province autonome di Trento e Bolzano.

Ultime fonti primarie sono gli atti aventi forza di legge (nell'ordine decreti-legge e decreti legislativi).

Fonti secondarie
Al di sotto delle fonti primarie, si collocano i regolamenti governativi, seguono i regolamenti ministeriali,
amministrativi e prefettizi e di altri enti pubblici territoriali (regionali, provinciali e comunali).

Vi è poi la giurisprudenza, in particolare le sentenze di giurisdizioni superiori.

Fonti terziarie

All'ultimo livello della scala gerarchica, si pongono gli usi e le consuetudini. Questa è prodotta dalla
ripetizione costante nel tempo di una determinata condotta, sono ammesse ovviamente solo consuetudini
secundum legem e praeter legem non dunque quelle contra legem.

Un cenno a parte meritano le consuetudini costituzionali, che talvolta regolano i rapporti tra gli organi
supremi dello Stato poiché consistono in comportamenti ripetuti nel tempo per ovviare a determinate
norme costituzionali lacunose.

L’analisi dei criteri

Gerarchico: La norma di grado superiore modifica o abroga quella di grado inferiore; la norma di grado
inferiore non può modificare o abrogare quella di grado superiore.

La Specialità delle fonti è il Criterio di competenza per l’invalidità e annullamento della norma incompetente.

Cronologico: due norme di pari grado possono modificarsi in base al criterio cronologico; la norma più
recente modifica o abroga quella precedente di pari grado.

La Costituzione italiana

La nostra Costituzione rappresenta la fonte fondamentale dello Stato.

Essa è un atto prodotto dal potere costituente, ossia dal potere politico assoluto, sovrano e concentrato, il
quale, per esigenze di politica costituzionale viene definito come straordinario e irripetibile, consumandosi in
un solo atto di esercizio.

All'interno del testo costituzionale si può distinguere un «contenuto costituzionale essenziale», in cui
consiste il prodotto tipico e, in quanto tale, irripetibile del potere costituente, e una «costituzione
strumentale», la quale è modificabile dal potere costituito di revisione.

Si può operare, poi, un'ulteriore distinzione tra le norme costituzionali, potendo queste essere:

• a efficacia diretta (ossia immediatamente vincolanti per tutti i soggetti dell'ordinamento);

• a efficacia indiretta, che possono ulteriormente suddividersi in:

• norme a efficacia differita;

• norme di principio;

• norme programmatiche.

Leggi di revisione costituzionale e leggi costituzionali

Sono fonti previste dall'art. 138 della Costituzione, il quale prefigura un procedimento "aggravato" rispetto a
quello legislativo ordinario: è infatti necessaria, da parte delle due camere, una doppia deliberazione, l'una
dall'altra a distanza non inferiore di tre mesi, richiedendosi per la seconda deliberazione la maggioranza
assoluta dei membri del collegio (e non la maggioranza dei votanti), con la possibilità, ove non si raggiunga
la superiore maggioranza dei due terzi, che il perfezionamento dell'atto sia subordinato all'esito di un
referendum confermativo (entro tre mesi dalla pubblicazione della disposizione) a tutela delle minoranze.
Fonti internazionali

Il diritto internazionale e quello interno convivono su piani paralleli essendo espressione di distinti processi di
integrazione politica. Perciò, affinché le norme internazionali entrino a far parte dell’ordinamento interno, si
deve verificare il c.d. “adattamento”, che può essere automatico o speciale.

L'adattamento automatico è previsto dall'art. 10 della Costituzione, importante norma di diritto


internazionale, laddove dispone che «l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute» (cioè le consuetudini internazionali).

L'adattamento speciale, invece, impiegato per il diritto internazionale pattizio, può consistere nel semplice
«ordine di esecuzione» oppure nell'adattamento speciale ordinario, ossia in atti normativi interni necessari
per dare esecuzione a norme internazionali che non siano self-executing.

In seguito all'adattamento, le norme internazionali assumono, nell'ordinamento giuridico interno, la stessa


posizione gerarchica delle fonti che lo operano.

I Trattati e le fonti che derivano dall’Unione europea godono di una particolare copertura costituzionale (art.
11: «l'Italia [...] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni»). Le norme comunitarie sono dette norme
interposte in quanto si frappongono tra la Costituzione e le altre fonti primarie. La giurisprudenza della Corte
Costituzionale ha avallato la prassi per cui il diritto dell'Unione europea può derogare anche leggi
costituzionali purché non siano norme fondamentali e immodificabili come per esempio diritti fondamentali,
revisione costituzionale e democraticità dell'ordinamento italiano.

Fonti di diritto complementare

Oltre alla giurisprudenza della Corte di giustizia, le fonti di diritto complementare comprendono il diritto
internazionale e i principi generali del diritto. Tali fonti hanno permesso alla Corte di colmare i vuoti lasciati
dal diritto primario o derivato.

Principi generali del diritto

Nel sistema comunitario non esiste una norma di contenuto analogo all'art. 38 dello Statuto della Corte
Internazionale di Giustizia (organo delle Nazioni Unite deputato alla soluzione delle controversie giuridiche),
norma che prevede l'applicazione dei «principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili».

L'art. 19 TUE, infatti, si limita a sancire la competenza della Corte di giustizia e del Tribunale ad assicurare «il
rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati». Tuttavia, nell'art. 340 TFUE che rinvia
ai «principi generali comuni ai diritti degli Stati membri», tale norma ha una portata circoscritta alla materia
della responsabilità extracontrattuale dell'Unione.

Rilevante applicazione hanno trovato nella giurisprudenza della Corte di giustizia alcuni principi specifici
collegati alle garanzie proprie del sistema comunitario; sistema che sembra essere quello proprio di una
Comunità di diritto.

Di frequente e di significativa applicazione è il principio della certezza del diritto, nei suoi numerosi e diversi
aspetti. Il principale profilo riguarda la trasparenza dell'attività dell'amministrazione, nel senso che la
normativa comunitaria deve essere chiara e la sua applicazione prevedibile per coloro che vi sono sottoposti,
in modo che possano agire in maniera adeguata.

Un aspetto ulteriore e di rilievo del principio della certezza del diritto è il principio del legittimo affidamento,
espressamente definito parte dell'ordinamento giuridico comunitario. In talune occasioni, i principi sono stati
applicati contestualmente.
Il principio di proporzionalità è anch'esso compreso tra i principi generali del diritto comunitario. Esso
consente di verificare la legittimità di un atto che imponga un obbligo ovvero una sanzione in base alla sua
idoneità o necessità rispetto ai risultati che si vogliono conseguire. Spetta pertanto al giudice di verificare se i
mezzi prefigurati per raggiungere lo scopo dell'atto siano idonei e non eccedano quanto è necessario per
raggiungerlo.

Viceversa, il principio del mutuo riconoscimento è il principio fondamentale che scaturisce dalla
giurisprudenza Cassis de Dijon: capofila di una serie di sentenze che hanno riaffermato ed ulteriormente
esplicitato i principi sanciti dalla Corte di giustizia nella prima sentenza del febbraio 1979.

Dall'analisi delle pronunce della Corte di giustizia successive alla Cassis de Dijon, sono enucleabili i seguenti
principi:

• gli Stati, in mancanza di una regolamentazione comune o di un'armonizzazione, restano liberi di


regolare, sul proprio territorio, tutto quanto riguarda la commercializzazione, il consumo,
l’etichettatura e la designazione dei prodotti;

• la libertà non deve concretarsi, però, in misure suscettibili di frapporre ostacoli al commercio
comunitario;

• la regolamentazione nazionale in materia costituisce un intralcio agli scambi comunitari quando non
sia giustificata da esigenze imperative.

Tali principi implicano l’accettazione, da parte di ogni Stato membro della Comunità, dei prodotti legalmente
fabbricati negli altri Stati membri, anche se secondo prescrizioni diverse da quelle nazionali, purché i prodotti
in questione rispondano in maniera adeguata alle discipline normative dello Stato importatore.

Il principio del mutuo riconoscimento trova il suo fondamento nella reciproca fiducia tra gli Stati che, pur
presentando tradizioni culturali e normative diverse, sono legati da vincoli di affinità e dall'appartenenza alla
Comunità. Tali vincoli sono in grado di giustificare la fiducia che ogni Stato può riporre nei confronti della
legislazione degli altri Stati contraenti.

Autonomia dell'ordinamento giuridico dell'Unione europea

Ai sensi dell'articolo 47 del trattato sull'Unione europea (TUE) l'Unione ha personalità giuridica ed è quindi
un soggetto di diritto legittimato ad elaborare accordi internazionali con organizzazioni o paesi allo stesso
modo di uno stato sovrano.

L'ordinamento giuridico dell'Unione europea presenta, inoltre, la caratteristica di risultare completamente


autonomo rispetto a quello degli Stati membri.

In successive sentenze la Corte ha avuto modo di precisare meglio la portata del principio dell'autonomia del
diritto dell'Unione, ormai divenuto uno dei principi cardine su cui si regge tutta la costruzione dell'Unione
europea. Sull'argomento la Corte è intervenuta, in particolare, con la sentenza 6/64 Costa c. Enel. L'esigenza
di affermare e ribadire con forza il principio dell'autonomia del diritto dell'Unione deriva dalla necessità di
impedire che quest'ultimo possa essere svuotato nei suoi contenuti da disposizioni nazionali e garantire una
uniforme applicazione su tutto il territorio dell'Unione europea. In caso contrario, infatti, qualsiasi
disposizione nazionale potrebbe introdurre un'interpretazione restrittiva delle norme europee che non
assicurerebbe più una uniforme applicazione sul territorio.

L'autonomia del diritto dell'Unione non implica una netta separazione o una semplice sovrapposizione con
gli ordinamenti degli Stati membri. A differenza di quanto avviene tra ordinamento interno e internazionale,
nel caso dell'Unione europea si instaura una stretta integrazione e interdipendenza tra i due ordinamenti.
Proprio questa stretta integrazione tra i due ordinamenti potrebbe condurre in alcuni casi a situazioni di
conflitto tra norme europee e disposizioni nazionali. Tale contrasto è stato risolto dalla Corte di giustizia
dell'Unione europea che, attraverso una costante giurisprudenza, ha delineato i due principi cardine che
regolano i rapporti tra ordinamento dell'Unione europea e ordinamento degli Stati membri: il principio della
diretta applicabilità del diritto dell'Unione e il principio della preminenza del diritto dell'Unione rispetto alla
norma conflittuale statale anche se posteriore.

LA LEGGE E GLI ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE

La legge ordinaria rappresenta l'atto normale o ordinario in cui si esprime il processo di integrazione politica,
l'atto ordinario del sovrano, che agisce nei modi costituiti, in contrapposizione alla Costituzione, che è invece
l'atto straordinario del sovrano che agisce nei modi costituenti.

Secondo l'articolo 71 della Costituzione l'iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle
Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l'iniziativa delle
leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.
Secondo l'articolo 70 della Costituzione la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere.
Tuttavia, pur spettando al Parlamento, la funzione legislativa può anche essere esercitata dal Governo. Può
infatti essere delegata, in base all'art. 76, determinando così la posizione in essere di una legge (decreti
legislativi) da parte del Governo, avendo il Parlamento indicato oggetto, limiti temporali e ambito di
competenza in una precedente legge delega. Inoltre, può direttamente essere esercitata dal Governo, in casi
straordinari di necessità e di urgenza (art. 77 Cost.), chiedendosi però, a pena di inefficacia ex tunc (da ora in
poi) dell'atto, la conversione in legge entro sessanta giorni (decreti-legge).

Ulteriore fonte avente forza e valore di legge, pur con i rilevanti limiti derivanti dal testo costituzionale e
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, è il referendum abrogativo previsto dall'articolo 75 della
Costituzione.

I regolamenti di organizzazione degli organi costituzionali

A lungo definiti come diritto particolare e non oggettivo, più correttamente si devono ritenere fonti di rango
primario cui è riservata, in virtù del principio di competenza, la disciplina di determinati settori.

Tra di essi, assumono particolare rilevanza i regolamenti della Corte costituzionale e i regolamenti
parlamentari.

I Regolamenti del potere esecutivo

I regolamenti dell'esecutivo sono tradizionalmente distinti tra regolamenti del Governo da un lato e
regolamenti ministeriali dall'altro.

I primi, contemplati nell'art. 1 delle preleggi, sono analiticamente disciplinati dalla legge n. 400 del 1988 e,
nell'ambito della gerarchia delle fonti, rivestono rango secondario. Essi sono di sei tipi:

• regolamenti di esecuzione; vengono adottati per dare più agevole applicazione alle leggi, agli atti
aventi valore di legge e ai regolamenti comunitari.

• regolamenti di attuazione e integrazione; sono emanati nei casi in cui norme di rango primario
pongano una disciplina di principio che, per produrre i suoi effetti, abbisogni di una disciplina di
dettaglio.

• regolamenti indipendenti, che regolano, appunto, settori non disciplinati dalla legge e su cui non
gravi una riserva di legge assoluta (sulla cui legittimità costituzionale autorevole dottrina ha avanzato
seri dubbi);
• regolamenti organizzativi, che di norma regolano il funzionamento delle pubbliche amministrazioni;

• regolamenti delegati o di delegificazione.

I regolamenti del Governo sono sempre approvati mediante decreto del Presidente della Repubblica.

I regolamenti ministeriali e interministeriali sono invece considerate fonti di terzo grado poiché sono
sottoposti non soltanto alla Costituzione e alle leggi ma anche agli altri regolamenti governativi, adottati dal
Governo nella sua collegialità. Tali regolamenti sono approvati con decreto ministeriale.

Essi sono fonti-atti di rango secondario, che, oltre che alla Costituzione, devono essere conformi, a pena di
illegalità, anche alla legge (principio di legalità). In particolare, in caso di non conformità di un regolamento
alle fonti di rango superiore si ravvisano in giurisprudenza e dottrina due casi:

• il regolamento è conforme alla legge, la quale però è incostituzionale. In tal caso, il vizio di
illegittimità si ripercuote dalla legge al regolamento e porta alla dichiarazione di illegittimità di esso;

• il regolamento è difforme dalla legge. In tal caso, gli organi di giustizia amministrativa possono
annullare il regolamento per vizio di questo, senza nulla deliberare in merito all'atto legislativo da cui
il regolamento trae efficacia.

La legge regionale

L'art. 117 della Costituzione, così come modificato dalla riforma del titolo V della costituzione (legge n.
3/2001) individua tre tipi di competenza legislativa:

• la competenza esclusiva dello Stato [comma 2];

• la competenza ripartita tra Stato e Regioni (entrambe, nelle materie espressamente indicate)
[comma 3];

• la competenza esclusiva delle Regioni, in tutte le materie non enumerate (principio di residualità)
[comma 4].

Le leggi regionali sono completamente equiparate alle leggi statali o ordinarie, per tale motivo si collocano
insieme con esse tra le fonti primarie subcostituzionali. Una particolare posizione assume, poi, lo Statuto
regionale, adottato con un procedimento aggravato (doppia deliberazione e referendum eventuale), e unico
atto legislativo regionale ancora impugnabile in via preventiva (entro trenta giorni) da parte dello Stato.

Contratti collettivi

I contratti collettivi di lavoro, in base alla previsione dell'art. 39 della Costituzione, avrebbero dovuto
costituire una fonte del diritto "ibrida", presentando, per la loro formazione, il corpo del contratto e, per la
loro efficacia erga omnes, l'anima della legge. Ma l'articolo 39, che è norma autorizzativa e non obbligante, a
oggi non è ancora stato attuato. Ai contratti collettivi viene perciò riconosciuta, in via generale, nel nostro
ordinamento, soltanto un'efficacia inter-partes.

Fonti extra ordinem

Le fonti extra ordinem, consistenti in fatti e non atti normativi, sono fondate direttamente sulla costituzione
materiale; perciò, si applica a esse il criterio di legittimità e non quello di legalità.

Tra queste vanno ricordate:

• le regole convenzionali

• le consuetudini
• le regole di correttezza costituzionale, ossia la moralità pubblica

Fonti atipiche

La fonte atipica è ogni fonte a competenza specializzata, che presenta variazioni in negativo o positivo in
relazione alla propria forza attiva o passiva, approvata con procedimento che presenta varianti esterne o
interne. Tra le fonti atipiche si inquadrano le sentenze della Corte costituzionale e i referendum. Entrambi
sono previsti dalla Costituzione, e hanno in comune l'effetto giuridico di eliminare norme vigenti
dall'ordinamento (come fanno di regola le leggi abrogatrici) ma sono privi di tutti gli altri caratteri generali
della norma giuridica, per cui non sarebbero "fonti" in senso tecnico.

L'interpretazione

Con il termine interpretazione si indica l'attività, eminentemente pratica, consistente nel trovare
nell'ordinamento la regola adeguata al fatto da regolare, di passare cioè dalla disposizione (ordinamento in
potenza) alla norma (ordinamento in atto).

Questa attività è disciplinata dagli articoli 12-14 delle disposizioni preliminari al Codice civile (così dette
preleggi). Tuttavia, si ritiene in parte della dottrina che le preleggi non abbiano una reale efficacia positiva
nell'ordinamento in quanto si limitano a recepire e fissare in disposizioni quelle attività che sarebbero
comunque compiute dagli operatori del diritto nell'interpretare le disposizioni di legge.

Le Fonti del diritto dell’Unione Europea

Il sistema giuridico dell'Unione europea è costituito dall'insieme di norme che regolano l'organizzazione e lo
sviluppo dell'Unione europea e i rapporti tra questa e gli Stati membri.

Le fonti del diritto dell'Unione europea sono di tre tipi: le fonti primarie, le fonti derivate e le fonti
complementari.

Fonti di diritto primario

Trattati istitutivi e Trattati di modifica

Norme primarie del sistema giuridico dell'Unione europea sono in primo luogo le norme convenzionali
contenute nei Trattati istitutivi delle Comunità europee e dell'Unione europea ed in quegli accordi
internazionali successivamente stipulati per modificare ed integrare i primi.

Il nucleo principale dell'ordinamento giuridico dell'Unione europea è rappresentato dai Trattati che hanno
istituito le Comunità europee e l'Unione europea, ossia:

- il Trattato costitutivo della CECA (Comunità europea del carbone e dell'acciaio), firmato a Parigi il
18 aprile 1951 ed entrato in vigore il 23 luglio 1952, insieme ai due Protocolli sullo Statuto della
Corte di giustizia e sui privilegi e le immunità;

- i Trattati costitutivi della CEE (Comunità economica europea) e della CEEA (Comunità europea
dell'energia atomica)

- il Trattato istitutivo dell'Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in


vigore il 1º novembre 1993.
A questi atti devono aggiungersi quelli che nel corso del tempo hanno modificato o integrato le disposizioni
originarie:

• il Trattato sulla fusione degli esecutivi, firmato a Bruxelles l’8 aprile 1965 ed entrato in vigore il 1°
luglio 1967 (ora abrogato dal Trattato di Amsterdam che ne ha però conservato le disposizioni
principali), che ha istituito un Consiglio unico ed un'Assemblea unica per tutte e tre le Comunità,
senza per questo procedere ad una fusione giuridica delle stesse;

• l’Atto Unico Europeo, firmato a Lussemburgo il 28 febbraio 1986 ed entrato in vigore il 1º luglio
1987, il cui obiettivo principale è l'instaurazione progressiva del mercato interno;

• il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1º maggio 1999, che ha
ulteriormente modificato i Trattati istitutivi apportando modifiche alle procedure decisionali e
comunitarizzando alcuni settori che, in precedenza, rientravano nell'ambito della cooperazione
intergovernativa;

• il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 ed entrato in vigore il 1º febbraio 2003, che apporta
soprattutto modifiche di carattere istituzionale;

• il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1º dicembre 2009.

A seguito del Trattato di Lisbona, i trattati, sostanzialmente, continuano ad essere due: il Trattato sull’Unione
europea e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sostitutivo del Trattato istitutivo della Comunità
europea, che hanno lo stesso valore giuridico. Resta, inoltre, in vigore il Trattato Euratom del 1957.

Mentre il Trattato sull’Unione europea si configura come un Trattato base, contenente le norme essenziali
che stabilisce i valori, i principi fondamentali e le competenze, l’assetto istituzionale dell’Unione, il Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea è un Trattato applicativo, fissa le regole di funzionamento delle
istituzioni, dei suoi organi, disciplina il mercato interno e le politiche, definendone il quadro di riferimento.

Natura giuridica dei Trattati

La natura giuridica dei Trattati istitutivi, nonché delle integrazioni e modificazioni convenzionali intervenute
negli anni, è quella di accordi internazionali nel senso pieno e proprio di tale espressione, come indicato nella
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.

Va tuttavia aggiunto che i Trattati comunitari mostrano caratteristiche particolari rispetto al genus cui
appartengono. Si è rilevato che, essendo l'obiettivo fondamentale delle Comunità quello di porre le basi di
una unione sempre più stretta fra i popoli europei e di eliminare le barriere che dividono l'Europa, il Trattato
è stato concepito come strumento dell'integrazione europea; dunque molto più di un mezzo per coordinare
politiche e armonizzare legislazioni.

Tali obiettivi si sono consolidati nel corso degli anni, fino all'Atto Unico Europeo e al Trattato di Maastricht,
con la prefigurazione, insieme e oltre il mercato interno e l'unione economica e monetaria, di una vera e
propria Unione europea. Ne consegue che la previsione di obblighi reciproci tra gli Stati membri, che è il
contenuto tipico e normale di un accordo internazionale e che resta pur sempre il contenuto formale dei
Trattati comunitari, va apprezzata in funzione degli obiettivi di piena integrazione che essi si propongono di
realizzare.

Procedimento di revisione dei Trattati

La revisione dei Trattati, inizialmente prevista e disciplinata da ciascuno dei Trattati istitutivi, rispettivamente
agli artt. 236 CEE, 96 CECA e 204 CEEA, abrogati dal Trattato sull'Unione europea, è ora prevista tra le
disposizioni di quest'ultimo, più precisamente dall'art. 48. Prevede sia una procedura di revisione ordinaria,
sia una procedura di revisione semplificata. La procedura di revisione ordinaria può essere attivata dai
governi degli Stati membri, dal Parlamento o dalla Commissione; i progetti di modifica devono essere
sottoposti al Consiglio che a sua volta li trasmette al Consiglio europeo e li notifica ai Parlamenti nazionali. La
procedura di revisione semplificata prevede due ipotesi:

• nella prima ipotesi (art. 48 par. 6 TUE) è il Consiglio europeo che, su proposta del governo di
qualsiasi Stato membro o del Parlamento o della Commissione.

• ella seconda ipotesi (art. 48 par. 7 TUE) si presenta la c.d. clausola passerella secondo cui quando il
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea o il titolo V del Trattato sull’Unione europea
prevedono che il Consiglio deliberi all’unanimità in un settore o in un determinato caso, il Consiglio
europeo con una decisione consente al Consiglio di deliberare a maggioranza qualificata in quel
settore o in quel determinato caso.

Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea

Di sicuro rilievo è stata la proclamazione a Nizza della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

La Carta dei diritti fondamentali sancisce un complesso di diritti fondamentali, insieme articolato sui valori
della dignità, della libertà, dell'eguaglianza, della solidarietà, della cittadinanza europea, della giustizia. In
definitiva, lo scopo dell'iniziativa enunciato a Colonia era di rendere più visibili i diritti fondamentali
all'interno dell'esperienza dell'Unione europea. Non si voleva innovare, dunque, ma rendere esplicita e
solenne l‘affermazione di una serie di valori destinati ad ispirare il vivere insieme dei popoli europei, nei limiti
e secondo il quadro di competenze già delineato con le dovute forme dai Trattati comunitari, dalla
Convenzione di Roma del 1950 sui diritti fondamentali, dalle Costituzioni degli Stati membri e, soprattutto,
dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.

Fonti di diritto derivato

Si tratta di atti che vengono posti in essere attraverso procedimenti deliberativi che si svolgono e si
esauriscono in modo del tutto indipendente da quelli legislativi e amministrativi nazionali. Sono atti destinati
a incidere in modo rilevante sugli ordinamenti giuridici nazionali, talvolta senza che occorra un intervento
formale del legislatore e/o dell'amministrazione nazionale, talvolta imponendo all'uno e/o all'altra un'attività
normativa. Nell'ambito di tale sistema va inquadrato l'art. 288 TFUE che definisce la tipologia degli atti a
mezzo dei quali le istituzioni dell'Unione europea esercitano le competenze loro attribuite:

• i regolamenti hanno una portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente
applicabili;

• le direttive sono indirizzate solo agli Stati membri e non sono obbligatorie in tutti i loro elementi, in
quanto vincolano i destinatari solo riguardo al risultato da raggiungere, lasciando alla loro
discrezione la scelta dei mezzi e della forma;

• le decisioni sono obbligatorie in tutti i loro elementi e se designano i destinatari sono obbligatorie
soltanto nei confronti di questi.

Atti non vincolanti

Oltre agli atti dotati di forza vincolante, l’art. 288 TFUE prevede altri due tipi di atti: le raccomandazioni ed i
pareri. In base a quanto previsto dall'art. 292 TFUE, il potere generale di adottare raccomandazioni è
assegnato al Consiglio. Anche la Commissione e la Banca centrale europea possono adottare
raccomandazioni, ma soltanto nei casi specifici previsti dai Trattati.

Il potere generale di emettere pareri è assegnato al Parlamento europeo; laddove altre istituzioni emanano
pareri viene previsto specificamente nei Trattati. Una distinzione tra i due tipi di atti non vincolanti può
essere operata in base alle loro diverse finalità. Mentre la raccomandazione ha, infatti, il preciso scopo di
sollecitare il destinatario a tenere un determinato comportamento giudicato più rispondente agli interessi
comuni, il parere tende piuttosto a fissare il punto di vista dell'istituzione che lo emette.

Atti atipici

Gli atti atipici sono quegli atti non vincolanti che pur essendo emanati dalle istituzioni, non rientrano fra
quelli elencati dall’art. 288 del TFUE. Sono atti atipici:

• i regolamenti interni che ciascuna istituzione approva per disciplinare la propria organizzazione ed il
proprio funzionamento;

• i Programmi generali per la soppressione delle restrizioni relative alla libertà di stabilimento o di
prestazione dei servizi, che il Consiglio ha adottato e ha determinato le linee generali alle quali
avrebbe uniformato la sua attività futura in queste materie;

• gli accordi interistituzionali, firmati dai presidenti di più istituzioni con i quali queste istituzioni
stabiliscono delle regole volte a migliorare i loro rapporti ed evitare conflitti;

• le comunicazioni che la Commissione emana per precisare i propri orientamenti in merito ad una
questione (cosiddette decisorie), per raccogliere le valutazioni della giurisprudenza relative ad un
determinato settore (cosiddette interpretative), per indicare le linee guida di future proposte
normative (cosiddette informative);

• libri verdi e libri bianchi, I Libri Verdi forniscono lo spunto per successivi atti giuridici. I Libri Bianchi
sono documenti contenenti proposte di azione della Comunità in un settore specifico. Spesso un
Libro Bianco fa seguito a un Libro Verde, pubblicato per avviare un processo di consultazione a livello
europeo.

LEZIONE 7
IL DIRITTO ALIMENTARE IN SINTESI

L’evoluzione del diritto alimentare nell’ambito dell’unione europea è sempre in una fase di progresso,
adeguamento e cambiamento, sull’evoluzione sull’individuazine e la commisurazione degli interessi della
comunità dell’UE garantire la libera circolazione delle merci ma nello stesso tempo da misurare alla tutela del
consumatore.

In nostro piano di intervento trae originine dall evoluzione del diritto alimentare dove l’UE ha addottato delle
norme relative all’alimentazione che nel lungo periodo si sono ampliate e hanno assunto un numero più
elevato da individuare un diritto alimentare. Pur se c’è una politica ancora carente dove si evidenziano
contraddizioni ed è la giurisprudenza del caso singolo a costituire la linea guida nel discorso dell’UE e
nell’ambito del diritto alimentare.

Esistono 2 fasi principali sui quali la legislazione comunitaria si è sviluppata, le fasi della sicurezza alimentare
quindi la tutela della salute e quella della libera circolazione degli alimenti.

L’atto legislativo che segna la transizione verso una regolamentazione organica del diritto alimentare dell UE
è il regolamento 178 2002.

Nella prima fase , prima degli anni 60 vi erano delle direttive che miravano ad orientare il buon
funzionamento del mercato comune, rimane il focus sulla tutela della salute rimanendo molto marginale
basato su un mercato comune con procedure di voto dove vi era un’animità dei consensi. (es DIRIT.
62/2645/CEE ; DIRIT.64/54/CEE)

Successivamente nella seconda metà degli anni 60 potenziamento di atti adottati in maniera PAC (politica
agraria comune) si basava su atti legislativi addottati a maggiornza qualificata. ( es REG 136/66; REG 804/68;
varie direttive con doppia base giuridica che impongono vari obblighi su certi prodotti alimentari es miele,
succhi di frutta, latte ecc..).

La terza fase comprende il ritorno al mercato comune ma assenza di rifermento alla salute, norme orizzontali
che valevano per più prodotti , varia individuazione di normative applicate a argomentazione specifiche che
riguardavano il prodotto alimentare ma non commisurato alla tutela della salute norme tecniche che non
contemplano il processo di produzione, quanto la comunicazione al pubblico (tutela del consumatore,
informazioni rilevanti ), si inizia a concentrarsi sulla tutela dei consumatori.

Tra gli anni 80 e 90 si entra in una quarta fase dove vi è un ulteriore allargamento. Si inizia a concepire la
normativa alimentare come qualcosa che dovrebbe essere sempre più autonomo. Approccio più sistemico,
unitario e integrato. Con un potenziamento ulteriore del mercato comune, con atto unico il mercato comune
richiede la maggioranza e direttive a portata sempre più ampia, a differenza del precedente approccio
settoriale. ( es dirit.93/43 su analisi di rischio e punti di controllo (HACCP). Questa direttiva contribuisce a
introdurre principi e regole che valgono per la maggioranza degli alimenti e per l’intera filiera produttiva,
preparazione, trasformazione, fabbricazione, confezionamento, deposito, trasporto, distribuzione,
manipolazione, vendita/fornitura).

Nella prima metà degli anni 90 avviene la quinta fase dove vi è un riferimento alla qualità di un prodotto,
caratteristiche misurabili scientificamente, dove si possono ricondurre ad un territorio di origine, come
strumento di concorrenza e sicurezza alimentare al tempo stesso, un esempio è il REG.2081/92 su figure
DOP e IGP la cui base giuridica si riconduce alla PAC.

Tra gli anni 90 e 00 è subentrata una sesta fase dove vi è un consolidamento della disciplina
sistematicamente orientata, dovuta a ulteriori accorgimenti revisioni su lacune rischi sanitari dovuti da
episodi come quello della “ mucca pazza”, con una commissione d’inchiesta ed regolamento ad hoc.

Con il libro verde e bianco commissione (2000)che coglie esigenze di una normativa coerente e autonoma
con lo scopo di un monitoraggio e tracciabilità, etichettatura, sui mangimi e salute /benessere degli animali e
tutta la filiera. (REG178/2002) arrivando sino a noi dove oggi il diritto alimentare dell’UE ha acquisito una sua
autonomia, anche se non esiste una vera e propria politica sancita di trattati istruttivi. Con il focus mirato su
quattro settori principali ovvero, igiene degli alimenti, salute degli alimenti, salute delle piante, contaminanti
e residui.

La seconda parte basata sulle basi giuridiche applicabili e di tipologie di competenze. Individuiamo l’articolo
43 truffe , politica agricola comune( art. 38-44 TFUE) normativa che può derogare le regole del mercato
interno e della politica di conoscenza se in gioco ci sono prodotti agricoli(art.38 truffe e allegato, articolo 42
truffe) obbiettivi che non sembrano essere racchiusi in una gerarchia e che devono essere conciliati.

La politica agricola comune parte da un mercato interno, con l’articolo 114(1)TFUE ( trattato funzionamento
unione europea):” salvo che i trattati non dispongono diversamente, si applicano le disposizioni seguenti per
la realizzazione degli obbiettivi dell’articolo 26.

Il parlamento europeo e il consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria

E previa consultazione del comitato economico e sociale, adottano le misure relative al riavvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli stati membri che hanno per oggetto
l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno.”
Naturalmente entra in gioco anche la sanità pubblica e quella politica a carattere trasversale, che si fonda su
notizie di diritto UE, valevoli anche la dove gli stati membri intendono invocare tale esigenza come limite
delle libertà fondamentali riconosciute dall’UE.

L’azione dell’UE è volta a completare le politiche degli stati membri, che mantengono quindi la responsabilità
principale in materia.

LA TUTELA DEI CONSUMATORI

L’articolo 169 rafforza l’articolo 114 e ne estende la portata al di là delle questioni legate al mercato unico,
per includere anche altri contenuti, come taluni aspetti relativi all’alimentazione e hai prodotti alimentari.

La politica dei consumatori rientra nell’obbiettivo strategico dell’unione di migliorare la qualità della vita di
tutti i suoi cittadini; l’articolo 169TFUEprevede che le normative dell’unione europea non devono impedire ai
singoli stati membri di mantenere o introdurre misure di protezione più rigorose, purché siano compatibili
con i trattati. Le materie appena passate in rassegna presuppongono poteri dell’ unione europea di grado
diverso da quelli dello stati membri, a secondo della materia le competenze possono essere : concorrenti
(NB prevale UE), di sostegno o di supporto( in questo caso prevalgono gli stati membri), regolamenti più
incisivi, dato che hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e non presuppongono il
filtro degli stati membri, direttive più flessibili dato che sono indirizzate solo agli stati membri e
presuppongono più margine di manovra per questi ultimi, focus o direttive di armonizzare, ed esecuzione e
poteri dalla commissione europea .

LEZIONE 8
L’ALIMENTO ED IL REGOLAMENTO (CE) N.178/2002

La nozione di alimento è funzionale agli scopi che si propone il regolamento (CE) n.178/2002 ove all’art.2
assicura “certezza giuridica” alla legislazione alimentare europea e mira a ridurre gli ostacoli alla circolazione
di alimenti causati dalla presenza di differenti definizioni nazionali.

Quanto al contenuto della definizione, essa comprende, qualsiasi sostanza intenzionalmente incorporata
negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento. Sono considerati alimenti gli
ingredienti, gli additivi, gli enzimi, gli aromi etc. mentre sono escluse tutte le sostanze che pur presenti
nell’alimento non sono state contaminanti. Sono incluse tutte le sostanze destinate ad essere ingerite o di
cui si preveda che possono essere ingerite, mentre i prodotti agricoli diventano alimenti solo dopo la
raccolta, se vegetali e ove macellati, se animali. Pertanto devono essere considerate sostanze alimentari
quelle che dopo i procedimenti di preparazione sono direttamente consumabili dall’uomo.

Gli animali ingeriti vivi(esempio le ostriche) vengono considerate alimenti, mentre gli animali vivi che vanno
macellati per consentire il consumo non lo sono prima della macellazione. Non sono alimenti i mangimi. Per
quanto riguarda i medicinali, le regole di circolazione nell’ambito del diritto dell’UE stabiliscono che “nessun
medicinale può essere immesso in commercio in uno stato membro senza autorizzazione all’immissione in
commercio delle autorità competenti di detto stato membro oppure senza un’autorizzazione a norma del
regolamento (CEE) numero2309/93 ( così detta A.I.C.). Nell’ambito del codice comunitario, in caso di dubbi,
se un prodotto può rientrare contemporaneamente nella definizione di “ medicinale” e nella definizione di
prodotto disciplinato da altra normativa comunitaria, si applicano le disposizioni della direttiva 2001/83/CE.
Allo stato attuale del diritto dell’ UE, è possibile che sussistano differenze tra gli stati membri nella
qualificazione dei prodotti commerciali o come alimenti, quindi la circostanza che un prodotto sia qualificato
come alimento in uno stato membro, non preclude che nel paese di importazione sia riconosciuto
medicinale qualora ne abbia le caratteristiche, valutazione questa effettuata dalle autorità nazionali,
distinguendo altresì tra medicinale per funzione ( quello assunto dall’uomo per ripristinare o modificare le
funzioni fisiologiche) e medicinale per presentazione( sostanze presentate come aventi proprietà curative di
malattie umane), descritte come tali tramite etichette, foglietti illustrativi. Si pensi alle capsule di aglio la cui
funzione non varia di molto rispetto a quello consumato in cucina, ragion per cui non può essere considerato
medicinale per funzione.

MUTUO RICONOSCIMENTO ED ARMONIZZAZIONE

Gli alimenti sono beni destinati al nutrimento e al benessere degli esseri umani che li consumano tramite
ingestione, meritano maggiore attenzione da parte del legislatore sulle condizioni di produzione ed
immisione in commercio di tali beni. I paesi hanno emanato regole in piena autonomia all’interno del proprio
ordinamento prima della nascita della CEE ( e nell’odierna UE), volte a descrivere modalità d’uso nonché
reprimere con divieti e sanzioni, anche penale, la violazione delle regole di composizione e commercio di
alimenti poste a presidio della salute pubblica e della lealtà delle transazioni commerciali. Tra le finalità
perseguite dall’ordinamento giuridico e dell’UE vi sono la creazione del mercato interno del quale assicura la
libera circolazioni delle merci con l’obiettivo che la coesistenza delle diverse legislazioni nazionali non possa
impedire il libero commercio di un alimento legittimamente ottenuto in un paese membro ma immesso in
commercio in un altro. Questa esigenza è stata assicurata dalla corte di giustizia attraverso l’introduzione del
principio c.d “del mutuo riconoscimento” delle legislazioni nazionali, detto principio “cassis de dijon” dal
nome della sentenza con la quale i giudici hanno enunciato il principio per la prima volta secondo il quale “
ogni prodotto legalmente fabbricato e posto in vendita in uno stato membro deve essere, in linea di
massima, ammesso sul mercato di ogni altro stato membro, qualora sia conforme alla normativa o hai
procedimenti di fabbricazione legittimi e tradizionali del paese d’ esportazione e commercializzato sul
territorio di quest’ ultimo”. Caso da cui trae origine la sentenza “cassis de dijon” è quello di un liquore
francese così denominato, importato in Germania per ivi essere immesso in commercio ma che non
raggiungeva la gradazione alcolica richiesta per le bevande alcoliche, sia nazionali che d’ importazione
extranazionale.

All’esito dell’elevazione di una sanzione da parte dell’ autorità tedesca all’ importatore che aveva immesso
in Germania detto liquore e alla conseguente impugnazione da parte di quest’ ultimo della sanzione, la corte
di giustizia ha rivolto un quesito pregiudiziale in merito alla compatibilità con il diritto dell’UE della
normativa commerciale tedesca applicabile a prodotti nazionale e importati, la quale subordina al
raggiungimento di una gradazione alcolica minima la possibilità di mettere in commercio una bevanda con la
denominazione liquore . la corte di giustizi ha riconosciuto la competenza degli stati membri a disciplinare la
produzione e il commercio di un prodotto indicando i limiti all’esercizio di tale potere.

Per tanto la limitazione dell’importazione di bevande alcoliche legalmente prodotte e commercializzate in


uno stato membro integrerebbe una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa agli scambi
di merci ( quindi vietata dal diritto comunitario.

Tuttavia tale misura normativa tedesca non è sufficiente per dichiararne l’incompatibilità con il diritto dell’
UE qualora miri a tutelare altri aspetti di natura fiscale, di protezione della salute pubblica , di lealtà di negozi
commerciali e tutela dei consumatori. Per tanto , sulla scorta del principio del” mutuo riconoscimento “ la
commissione ha preferito abbandonare l’impervia strada dell’armonizzazione verticale( prodotto per
prodotto con direttive volte a stabilire i requisiti minimi di ciascuno) ed adottare normative orizzontali,
indirizzate a regolare la generalità dei prodotti in relazione ad alcuni loro specifici contenuti. È evidente lo
scopo, comunque, comunitario di evitare che gli stati membri, salva restante la necessità di armonizzare, mal
grado il mutuo riconoscimento, avendo legislazioni differenti a proposito di componenti dei cibi nell’industria
alimentare, possono invocare le ragioni di salute pubblica per frapporre ostacoli alla libera circolazione delle
merci. In assenza di legislazione dell’UE, gli stati membri mantengono la competenza ad introdurre le “
norme tecniche” quelle cioè che disciplinano la composizione, la forma , la denominazione, la qualità,
l’etichettatura ed in generale la presentazione dei prodotti alimentari. Le normative tecniche perseguono
obbiettivi di interesse generale di cui costituiscono garanzia e devono essere di natura tale da prevalere sulle
esigenze della libera circolazione delle merci, che costituisce una delle regole fondamentali della comunità.
Ciò significa che il prodotto legittimamente ottenuto e commercializzato in uno stato membro può essere
liberamente commercializzato in tutti gli stati membri salvo che la necessità di tutelare beni giuridici più
importanti della libera circolazione delle merci, imponga di assoggettare il prodotto importato alla
legislazione di uno stato membro in cui questo viene immesso in vendita. L’idea di base sulla quale si fonda il
principio del mutuo riconoscimento è che le diverse regole e procedure nazionali in materia di produzione,
controllo e commercio di alimenti siano equivalenti, sicché ciascun paese accetti prodotti conformi agli
standard normativi del paese di provenienza seppure chiaro come la libera circolazione non può ritenersi
assicurata attraverso il mero ricorso sistematico ad uno strumento giurisprudenziale, che presupporrebbe
l’esigenza di addire le vie legali con ovvie lungaggini processuali ed incertezza normativa, aspetti che mal
collimano con l’interazione degli operatori economici nel mercato i cui obbiettivi sono perseguiti
accompagnando all’integrazione negativa( fondata sui divieti di restrizioni quantitative alle importazioni ed
esportazioni ), la c.d. integrazione positiva, fondata sul ravvicinamento delle legislazioni.

La competenza dell’UE ad emanare norme di ravvicinamento delle legislazioni nazionali è prevista dal TITOLO
VII del TFUE la dove nel settore alimentare vi è stata un’acquisizione di competenze da parte del legislatore
dell’UE le autorità del paese di importazione non possono ostacolare il commercio dell’alimento conforme
agli standard normativi del paese membro di provenienza perché non ottenuto in conformità alla normativa
nazionale. Dopo anni di contenzioso in merito alla normativa sulla circolazione dei prodotti alimentari, il
legislatore italiano ha iniziato ad inserire nelle proprie normative interne le C.D. clausole di mutuo
riconoscimento, con le quali è stabilita l’inapplicabilità di limiti e divieti ai prodotti alimentari legalmente
fabbricati e commercializzati negli altri stati membri dell’UE introdotti e posti in vendita nel territorio
nazionale. Fermo restando quanto disposto dal trattato( articolo 34 e36 TFUE) gli stati membri non possono
limitare o vietare il commercio di alimenti che siano conformi a quanto disposto nel presente regolamento e
negli atti comunitari adottati per la sua esecuzione attraverso l’applicazione di disposizioni nazionali non
armonizzate che regolino l’aggiunta di vitamine e minerali agli alimenti. Si parla in questo caso di “ clausole di
armonizzazione”.

I PRINCIPI DEL DIRITTO ALIMENTARE DELL’UNIONE EUROPEA

IMPRESA ALIMENTARE

La produzione e il commercio dei prodotti alimentari hanno come protagonisti, da un lato i produttori e i
commercianti e dall’altro i consumatori dei quali ultimi il legislatore ha iniziato ad occuparsi solo
recentemente, mentre sulle imprese l’attenzione è incentrata da più tempo.

L’art. 3del reg. CE 178/2002 fornisce una serie di definizione tra cui quella di “ impresa alimentare”, intesa
come “ ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività
connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti”. La definizione, volta
a garantire un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli
alimenti mira ad assoggettare alle regole di diritto alimentare e alle relative responsabilità tutti coloro
presenti nella catena alimentare. Il reg. (CE) numero 178/2002 contiene anche la definizione di legislazione
alimentare ove rientrano” leggi, regolamenti e disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in genere
e la sicurezza degli alimenti in particolare, nella comunità a livello nazionale, incluse tutte le fai di
produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e anche dei mangimi prodotti per animali destinati
alla produzione alimentare o ad essi somministrati”. Per tanto, la legislazione alimentare include anche i
mangimi ma solo quelli destinati agli animali che producono alimenti mentre l’impresa agricola è quella che
partecipa ad una fase della produzione e distribuzione di alimenti la dove la produzione primaria comprende
tutte le fasi della produzione, allevamento e coltivazione dei prodotti primari, compresi il raccolto, la
mungitura e la produzione zootecnica precedente la macellazione, compresa la caccia e la pesca e la raccolta
di prodotti selvatici. Per garantire la sicurezza degli alimenti occorre considerare tutti gli aspetti della catena
di produzione alimentare passando per la produzione dei mangimi fino alla vendita.

L’OPERATORE DEL SETTORE ALIMENTARE

Art.3 del reg.(CE) numero 178/2002 fornisce la definizione di operatore del settore alimentare (OSA) inteso
come ”la persona fisica e giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione
alimentare dell’impresa alimentare posta sotto il suo controllo “. Si tratta dunque di una persona fisica o
giuridica responsabile dell’attività dell’impresa alimentare tenuta a garantire l’osservanza delle norme della
legislazione alimentare.

Sull’operatore del settore alimentare grava un dovere di sicurezza adempiuto attraverso l’obbligo negativo di
non porre sul mercato alimenti o mangimi a rischio e l’obbligo positivo di ritirare dal mercato o richiamare
prodotti non sicuri è inoltre previsto un obbligo di rintracciabilità degli alimenti. Completano e si relazionano
a tali doveri obblighi di trasparenza e di comuicazione tanto nei confronti della pubblica autorità, quanto nei
confronti dei consumatori e di prevenzione( art.3 e 17 del reg.(CE) numero178/2002),articoli ove la volontà
del legislatore è quella di realizzare un sistema normativo all’interno del quale la responsabilità legale per la
conformità dei prodotti alimentari alla legislazione grava sugli operatori del settore alimentare i quali sono in
grado di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la sicurezza dei
prodotti finali, quindi legalmente responsabili della sicurezza dei prodotti.

I REQUISITI DI SICUREZZA DEGLI ALIMENTI E DEI MANGIMI

L’articolo 14 del regolamento(CE) numero 178/2002 stabilisce che “gli alimenti a rischio non possono essere
immessi sul mercato” intendendosi per tale un prodotto insicuro con la soglia di protezione anticipata non
rendendosi necessaria la presenza di un rischio attuale per considerare insicuro un alimento. Il rischio( art.3
e 9 del reg.(CE) 178/2002) è la funzione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute,
conseguente per la presenza di un pericolo quale agente biologico, fisico chimico contenuto in un alimento o
mangime, o condizione in cui un alimento o mangime si trova in grado di provocare un effetto nocivo per la
salute. Per tanto, mentre un alimento a rischio è sempre un alimento insicuro, un alimento può essere
insicuro anche se non a rischio intendendosi per tali anche prodotti inadeguati al consumo umano o
contaminati, ad esempio cibi deteriorati. L’articolo 3 del reg.(CE) numero 178/2002 dispone che per
determinare se un alimento sia insicuro si devono prendere in considerazione questi alimenti : le condizioni
d’ uso normali dell’alimento da parte del consumatore in ciascuna fase della produzione, trasformazione
distribuzione; le informazioni messe a disposizione del consumatore, comprese quelle riportate in etichetta e
comunque facilmente accessibili per evitare effetti nocivi alla salute provocati da un alimento o categoria di
alimenti.

Orbene , la previsione del reg,(CE)178/2002 mette in evidenza il ruolo centrale dell’etichettatura e la dove
essa contiene le necessarie informazioni ma il consumatore le ignora di propria iniziativa, il prodotto non è
insicuro ai sensi dell’art. 14, reg. (CE) 178/ 2002 qual ora i requisiti della legislazione alimentare siano stati
rispettati. In riferimento alla sicurezza alimentare è intesa come sicurezza informativa, mentre per i cibi di cui
è nota la nocività per alcune categorie di soggetti, è sufficiente evidenziare in etichetta la presenza di
sostanze che provocano allergie e intolleranze.

Per determinare se un alimento sia dannoso per la salute, lart.14 del reg.(CE) 178/2002 indica quali elementi
siano da considerare : non solo gli effetti immediati o a breve termine o a lungo termine dell’alimento sulla
salute della persona che lo consuma ma anche dei suoi discendenti; i probabili effetti tossici cumulativi di un
alimento; la sensibilità sotto il profilo della salute di una particolare categoria di consumatori nel caso in cui
l’alimento sia destinato ad essa.
Nell’ambito della valutazione del rischio ciò che rileva è il principio di precauzione di cui l’art.7 del reg, la
dove l’articolo14 allo scopo di innalzare la soglia di protezione del consumatore, presume che se un alimento
insicuro appartiene ad una partita lotto o consegna di alimenti della stessa classe o descrizione, si presume
che tutti gli alimenti contenuti in quella partita lotto o consegna siano a rischio, a meno che a seguito di una
valutazione approfondita detta presunzione risulti infondata. Il concetto di alimento “conforme” alla
legislazione elementare va ancorato alla nozione di sicurezza alimentare intesa in senso ampio ovvero
comprensiva delle nozioni di sicurezza igienico sanitaria, sicurezza nutrizionale ed informativa, così come
specificato dall’articolo 1 del reg.(CE) numero 882/2004 a mente del quale “ il presente regolamento fissa le
regole generali per l’esecuzione dei controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alle normative volte a
prevenire, eliminare o ridurre a livelli accettabili i rischi per gli esseri umani e gli animali, siano essi diretti o
veicolati dall’ambiente e garantire pratiche commerciali e leali per mangimi ed alimenti e tutelare gli
interessi dei consumatori, compresa l’etichettatura e altre forme di informazione dei consumatori”. La
normativa non preclude di imporre restrizioni alla immissione sul mercato, qualora vi siano motivi di
sospettare che, nonostante detta conformità, l’alimento è a rischio, salvo restando che un alimento è
considerato sicuro se conforme alle norme nazionali di uno stato membro sul cui territorio è immesso sul
mercato ( principio di mutuo riconoscimento stabilito dalla corte di giustizia nella sentenza cassis de dijon).il
reg.(CE) n. 178/2002 all’art. 15 stabilisce anche i requisiti di sicurezza dei mangimi stabilendo che sono
considerati a rischio se hanno effetto nocivo per la salute umana o se mettono a rischio per il consumo
umano l’alimento ottenuto dall’animale destinato alla produzione alimentare, rientrando in vero i mangimi
nel campo di applicazione dell’ reg. (CE) 178/2002 per il fatto di poter incidere sulla salute umana.

LA NOZIONE DI CONSUMATORE E IL CONSUMATORE DI PRODOTTI ALIMENTARI

Nel corso dei decenni, la figura del consumatore e gli strumenti di tutela hanno subito una significativa
evoluzione considerandolo quale soggetto portatore di interessi ulteriori rispetto a quelli economici e legati
al consumo, titolare di diritti fondamentali, alla tutela della salute, alla sicurezza alla informazione.

Cosi, attraverso un percorso intrapreso a partire dall’atto unico europeo del 1986, proseguito con il trattato
di Maastricht del 1992 e con il trattato di Amsterdam del 1997, la carta di Nizza del 2000 e il trattato di
Lisbona del 2009, la tutela del consumatore ha trovato riconoscimento come obbiettivo fondamentale e vera
e propria politica dell’ unione. Per ciò che attiene l’ordinamento giuridico italiano, la normativa di
riferimento è rappresentata dal codice di consumo che all’articolo 3 stabilisce che “ si intende per
consumatore o utente la persona fisica che agisce per scopi estrani all’attività imprenditoriale, commerciale,
artigianale o professionale eventualmente svolta”. Oggetto della disciplina delineata nel codice del consumo(
D.LGS. numero 206/2005) sono i processi di acquisto e consumo al fine di assicurare un elevato livello di
tutela dei consumatori e degli utenti. Gli alimenti, tuttavia, sono sottratti alle norme del codice del consumo
che disciplinano le condizioni di sicurezza dei prodotti e gli obblighi di produttori e consumatori applicandosi
il sistema normativo i materia di sicurezza alimentare predisposto dal reg.(CE) 178/2002 il quale reca tra i
suoi obbiettivi la garanzia di un elevato livello di tutela del consumatore definendolo come “ il consumatore
finale di un prodotto alimentare che non utilizzi tale prodotto nell’ambito di un operazione o attività di
un’impresa del settore alimentare “ ( art.3 ).

Detta definizione assurge a nozione generale per l’intero diritto alimentare non solo perché il reg.(CE)
178/2002 contiene principi e requisiti generali della legislazione alimentare, ma anche perché tale
definizione è espressamente richiamata da numerosi atti di diritto alimentare all’uomo intendendo come
consumatore finale colui che utilizzerà l’alimento per il suo nutrimento.

Nel reg (CE) 178/2002, ispirato ad un approccio di filiera esteso a tutte le fasi della vita del prodotto
alimentare, il consumatore di alimenti è individuato e caratterizzato per il fatto di porsi come ultimo
destinatario del prodotto. La tutela degli interessi dei consumatori è obbiettivo e principio generale della
legislazione alimentare che mira a costituire una base per consentire ai consumatori di compiere scelte
consapevoli in relazione agli alimenti che consumano e mira a prevenire le pratiche fraudolente o
ingannevoli l’adulterazione degli alimenti ed ogni altra pratica in grado di indurre in errore il consumatore,
intendendosi, altresì, quali principi generali della legislazione alimentare la consultazione e l’informazione hai
cittadini. La corte di giustizia ha contribuito ad identificare la figura del consumatore di alimenti sulla scorta
del consumatore medio, intendendo come tale il consumatore normalmente informato e ragionevolmente
attento.

L’ANALISI DEL RISCHIO

Tra i principi generali della legislazione alimentare, il reg,(CE) n 178/2002 annovera la c.d. analisi del rischio(
riskanalysis) che assume un ruolo fondamentale nell’impianto normativo del reg. come processo costituito
dalle tre componenti interconnesse della valutazione, gestione e comunicazione del rischio, meccanismo con
il quale il legislatore mira a mantenere un equilibrio con l’esigenza di garantire un elevato livello della salute
e dei consumatori da un lato e di assicurare la libera circolazione delle merci dall’altro( art.3 reg.(CE)
178/2002).

L’analisi del rischio è una metodologia sistematica per definire provvedimenti o altri interventi a tutela della
salute, efficaci, proporzionati e mirati con lo scopo di agevolare la prevenzione di ostacoli ingiustificati alla
libera circolazione degli alimenti. L’analisi del rischio presuppone la definizione del concetto di “ rischio che il
reg. (CE) 178/2002 all’ art.3 definendolo come “ la funzione della probabilità e della gravità di un effetto
nocivo per la salute, conseguente alla presenza di un pericolo” identifica il pericolo come “ ogni agente
biologico, chimico fisico contenuto in un alimento o mangime, o condizione in cui un alimento mangime si
trova, in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute” ( art.3 n 14).

La corte di giustizia afferma che il rischio può anche essere solo potenziale ma non può essere meramente
ipotetico, cioè sprovvisto di qual si voglia fondamento tecnico scientifico. L’introduzione del principio
dell’analisi del rischio si risolve in un limite al potere discrezionale di cui gode il legislatore, posto che tutte le
misure adottate in materia di sicurezza alimentare, devono possedere un adeguato “fondamento scientifico”

LEZIONE 9
Come già anticipato l’analisi del rischio si articola nelle 3 fasi della valutazione, gestione e comunicazione del
rischio.

La valutazione del rischio(risk assessment) consiste nel ”processo su base scientifica costituito da 4 fasi:
individuazione del pericolo, caratterizzazione del pericolo, valutazione dell’esposizione al pericolo e
caratterizzazione del rischio” ( art.3 num.11); essa è un insieme di attività di carattere tecnico-scientifico per
individuare e caratterizzare i rischi per la salute che possono derivare dall’assunzione di alimenti sulla base di
dati scientifici disponibili in un determinato momento storico. Tali valutazioni, rimesse dall’autorità europea
per la sicurezza alimentare(EFSA, dall’inglese european food safety agency ), costituiscono la base per la
successiva adozione di misure di gestione del rischio, volte a prevenire, eliminare o diminuire i rischi nel
settore alimentare, evitando che si verifichino conseguenze dannose per la salute di persone e animali. Tutto
questo al fine di poter gestire un eventuale rischio e stimare se alla luce delle informazioni scientifiche
disponibili il livello di rischio considerato “ accettabile” sia stato superato.

La gestione del rischio( risk management) è il processo, distinto dalla valutazione del rischio, consistente nell’
esaminare alternative di intervento consultando le parti interessate, tenendo conto della valutazione del
rischio e di altri fattori pertinenti e di , se necessario, compiendo adeguate scelte di prevenzione e di
controllo ( art 3, numero 12 reg. (CE) numero 178/2002. Si identificano due fasi dell’attività di risk
management : la determinazione del livello di protezione considerato appropriato dalla società tenendo
conto dell’obiettivo di garantire un elevato livello di protezione della salute, e la scelta della misura più
appropriata per il raggiungimento di un tale livello di protezione. La fase dell’ analisi del rischio tiene conto
dei risultati della valutazione del rischio, dei pareri dell’ autorità e del principio di precauzione la dove ci
siano le condizioni previste per il raggiungimento degli obiettivi generali in materia di legislazione alimentare.

Mentre la valutazione del rischio richiede il possesso di conoscenze tecniche garantite da esperti nel campo
della ricerca scientifica, la gestione del rischio è attività affidata ad organi politico- decisionali quali la
commissione e gli stati membri. Le misure di gestione del rischio dovranno conciliare i due obiettivi generali
della legislazione alimentare, ossia la protezione della salute dei consumatori e la libera circolazione delle
merci, spesso tra loro in contradizione.

Affidando il momento della valutazione del rischio all’EFSA e quello di gestione del rischio alla commissione il
reg 178/2002 ha effettuato la separazione tra valutazione e gestione del rischio, necessità emersa a seguito
del fenomeno della “ mucca pazza”, (crisi dell’encefalopatia spongiforme bovina-bse) che tra gli anni 80 e 90
ha evidenziato malfunzionamenti dell’apparato istituzionale comunitario e del sistema di consulenza
scientifica interna alla commissione europea comportandone una riorganizzazione interna per assicurare
l’indipendenza e l’efficienza dei processi di valutazione scientifica rispetto ad eventuali pressioni politiche.

La terza e ultima componente dell’analisi del rischio è costituita dalla comunicazione del rischio (risk
comunication) inteso quale scambio di informazioni , pareri e segnalazioni sulla valutazione del rischio e sulle
decisioni in materia di gestione del rischio tra le parti interessate intesi questi responsabili della valutazione
del rischio, consumatori, imprese alimentari, non che stati membri, destinatari di obblighi di informazione e
comunicazione. Per approfondire si ricordino in materia le direttive comunitarie sulla somministrazione di
sostanza ad azione ormonica nelle produzioni animali ( caso FEDESA ) laddove il legislatore ha adottato per la
“ carne agli ormoni” misure protettive a favore dei consumatori senza supporto tecnico scientifico,
incompatibilità evidente con il reg 178/2002 stante il non ammesso difetto di prova circa l’esistenza di una
giustificazione scientifica delle misure in questione.

L’AUTORITA’ EUROPEA PER LA SICUREZZA ALIMENTARE (EFSA)

Tra le innovazioni più significative del reg.(CE) numero 178/2002 vi è l’istituzione della autorità europea per
la sicurezza alimentare (efsa) pensata già con il fenomeno della “mucca pazza” quale autorità scientifica di
esperti cui affidare valutazione del rischio, organismo in grado di fornire alle istituzioni UE e agli stati membri
i “ migliori pareri scientifici “ sia nei casi previsti dalla legislazione(UE) che in ogni altra questione di sua
competenza al fine di prestare supporto tecnico nelle scelte legate alla sicurezza alimentare.

Il quadro puntuali delle funzioni degli incaricati del EFSA è offerto dagli art 22 e 23 del reg.178/2002 tra cui
emerge la consulenza scientifica e l’assistenza scientifica e tecnica sulla nutrizione umana in relazione alla
normativa ue, l’assistenza per la comunicazione relativa a questioni nutrizionali su richiesta della
commissione, la formulazione di pareri scientifici su questioni di salute e benessere degli animali e salute dei
vegetali nonché su alimenti e mangimi riconducibili a organismi geneticamente modificati ( direttiva
2001/18/CE), la ricerca e lo studio di dati scientifici e tecnici, conclusioni e orientamenti nei suddetti ambiti,
l’intervento nella gestione delle crisi per la sicurezza di alimenti e mangimi, l’attivazione affinché cittadini e
parti possono ricevere informazioni affidabili e comprensibili nei settori di sua competenza.

L’articolo 35 del reg.CE 178/2002 individua l’ EFSA come destinataria dei messaggi che circolano all’interno
della rete RASFF affinché possano analizzare il contenuto fornendo alla commissione e agli stati membri
informazioni necessarie all’analisi del rischio.

L’efsa (con sede a parma opera attraverso un consiglio di amministrazione che vigila affinché l’istituto di
ricerca agisca conformemente al reg.178/2002, con un direttore esecutivo che garantisce il buon
funzionamento dell’attività, un foro consultivo composto da rappresentanti dagli organi che svolgono negli
stati membri funzioni analoghe a quelle dell’autorità, un comitato scientifico affiancato da gruppi di esperti
scientifici indipendenti. La ragione sottesa all’istituzione dell’ EFSA ( necessità di separare la fase di
valutazione a quella gestione del rischio ) consentono di identificare i profili distintivi dell’ EFSA eccellenza
scientifica, autorevolezza, indipendenza, trasparenza e riservatezza.

IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE NEGLI ACCORDI INTERNAZIONALI

L’EFSA è il punto di riferimento scientifico per la commissione e il parlamento europeo e gli stati membri ed
in ciò risiede la sua autorevolezza. I parerei dell’ EFSA non sono vincolanti per le amministrazioni che li
abbiano richiesti minando la separazione tra la fase di valutazione e di gestione del rischio : se la
commissione europea fosse tenuta a non discostarsi dal parere delle autorità, non potrebbe adottare
autonome misure, salvo offrire motivazione qualora diverga dalla posizione scientifica dell’ efsa.

Il regolamento 178(CE) 2002 introduce anche una approfondita dismania di tutela dell’ambiente e politica di
sviluppo sostenibile avvalendosi del principio di precauzione dall’uomo chiarendo che la politica dell’unione
in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela, tenendo conto delle diversità delle situazioni delle
regioni facente parte dell’unione stessa. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione
preventiva, dei danni causati all’ambiente, del principio ”chi inquina paga”. La corte di giustizia ha ricordato
che il principio di proporzionalità che fa parte dei principi generali del diritto comunitario, richiede che gli atti
delle istituzioni comunitarie non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli
scopi legittimamente perseguiti dalla normativa, ricorrendo alla misura meno restrittiva con inconvenienti
non sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti precisando altre si , che la protezione della salute umana
rientra tra gli obiettivi della politica della comunità in materia ambientale, pertanto in caso di incertezze
all’esistenza o alla portata dei rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure
protettive senza attendere che sia dimostrata la realtà e la gravità dei rischi. se il principio di precauzione
significa che mancando certezze scientifiche si può impedire la circolazione del prodotto interessato,
emerge che solo se sorgono dubbi ragionevoli da parte della scienza circa gli effetti del bene in questione, si
può prendere una misura precauzionale, ciò proponendo un corretto equilibrio tale da consentire l’adozione
di azioni proporzionate non discriminatorie e coerenti, evitando il ricorso ingiustificato al principio di
precauzione che diverrebbe una forma dissimulata di protezionismo.

È comunque pacifico ritenere che in ricorso al principio di precauzione avviene un ipotesi di rischio
potenziale anche se non interamente dimostrato considerando la valutazione dei rischi sulla base di quattro
componente, ossia l’identificazione del pericolo, la caratterizzazione del pericolo la valutazione
dell’esposizione e la caratterizzazione del rischio. Il ricorso al principio di precauzione deve avvenire nel
rispetto al principio di proporzionalità intendendo che le misure di precauzione adottate siano proporzionate
allo scopo di assicurare che il perseguimento di un livello elevato di tutela avvenga anche considerando
l’esigenza di libera circolazione nel mercato dell’unione. La base per un azione precauzionale è costituita da
una valutazione del rischio sia pur potenziale. L’articolo 7 del reg.(ce)n 178/2002 stabilisce che possano
essere adottate misure provvisorie di gestione del rischio individuando la precauzione quale comportamento
per sua natura non obbligatorio, mentre dal punto di vista soggettivo circa l’individuazione di chi sia tenuto a
farne applicazione emergono in primis la commissione e gli stati membri.

IL SISTEMA DI ALLARME RAPIDO LE SITUAZIONI DI EMERGENZA E LA GESTIONE DELLA CRISI

Al reg.178/2002 si deve la codificazione del sistema di allarme rapido (RASFF, acronimo di rapid alert sistem
for food and fieed) con la definizione del quadro applicativo ed estensione di operatività anche i rischi
derivanti all’uso dei mangimi e ciò perpetrando un quadro già operante già alla fine degli anni 70 del secolo
scorso disciplinato dalla direttiva 92/59/CEE .

Il sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi è una rete di soggetti istituita per consentire lo
scambio repentino di informazione( notifiche ) in caso di rischio per la salute umana derivante dal consumo
di alimenti o dall’utilizzo di materiale a contatto con gli alimenti o di mangimi, o animale o per l’ambiente
derivante dall’uso dei mangimi.

Al RASF partecipano gli stati membri dell’UE, i paesi non UE che abbiano deciso di aderirvi, l’EFSA e la
commissione europea, quest’ultima incaricata di ricevere e ritrasmettere tali notifiche non prima di aver
verificato la correttezza formale sia ai membri della rete e a paesi terzi nel caso in cui una partita o un carico
siano stati respinti ad un posto di ispirazione di frontiera dell’UE. Ogni membro del RSAFF individua un punto
di contatto (i nodi della rete) responsabile per la comunicazione e la ricezione delle informazioni che
transitano nel sistema. La notifica dovrà contenere tutti i dati affinché i prodotti oggetto della stessa possano
essere immediatamente individuati laddove la commissione sarà tenuta al controllo della forma e
ritrasmissione della stessa mente del paese membro notificante graverà la responsabilità delle informazioni
trasmesse.

A seconda del contenuto, le notifiche si distinguono in originali ( prima notifica di un rischio derivante dal
consumo di alimenti o dall’utilizzo di mangimi) e di follow up ( notifica contenenti informazioni
supplementari rispetto alla notifica originale). In relazione alla gravità del rischio e alla responsabilità delle
azioni da intraprendere a seguito della comunicazione, le notifiche originali si identificano in notifiche di
allarme, di informazione e di respingimento alla frontiera al ricevimento di una notifica ritrasmessa della
commissione, ogni membro del RASFF potrà determinare le misure più idonee per far fronte all’eventuale
pericolo, dandone comunicazione all’ istruzione europea che proverà a comunicare le informazioni ricevute
agli altri membri della rete. Sarà comunque la commissione, in caso di impossibilità dei paesi interessati, ad
assumere ogni misura di emergenza con provvedimenti di sospensione dell’immissione sul mercato o atti di
disposizione di condizioni particolari di commercializzazione.

In caso di alimenti o mangimi provenienti da paesi terzi potranno essere sospese le importazioni o il transito
nell’unione europea, salvo il carattere temporaneo dei provvedimenti (articolo 53 del reg.(CE) 178/ 2002 ) a
garanzia del principio prioritario della libera circolazione delle merci.

Qualora fosse la commissione a non attivarsi, lo stato membro potrà adottare misure cautelari provvisorie
informando gli altri paesi membri e le istituzioni europea, misure che resteranno in vigore fin quando la
commissione non si sarà attivata per la loro conservazione modifica o revoca.

In caso di grave rischio per la salute umana, l’art. 56 del reg.1178/2002 prevede che la commissione, previa
comunicazione agli stati membri e all’ EFSA possa istituire un unità di crisi alla quale parteciperà anche
l’autorità fornendo ogni assistenza tecnica e scientifica. Compito dell’unità è quello di raccogliere
informazioni individuando strategie adeguate a prevenire, limitare e ridurre ogni crisi sanitaria ( piano
generale di gestione adottato dalla commissione decisione 2004/478/CE) .

IL MERCATO DEI PRODOTTI AGRICOLI E ALIMENTARI

I SISTEMI DI QUALITA’ NELL’ UNIONE EUROPEA

Partendo dal concetto di denominazione di vendita, intesa quale identità del prodotto sul mercato, l’art. 34
del TFUE statuisce che “ sono vietate tra gli stati membri le restrizione quantitative all’importazione non che
qualsiasi misura di effetto equivalente individuando quali destinatari dell’ordine di stati membri e di privati,
singoli ed imprese i quali dell’effetto diretto del provvedimento possono avvalersene dinnanzi hai giudici per
la tutela dei diritti soggettivi prodotti in capo ad essi. Da qui la nota sentenza Dassonville secondo cui “ ogni
normativa commerciale degli stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in
potenza, gli scambi intracomunitari, va considerata come una misura ad effetto equivalente a restrizioni
quantitative da questa la sentenza Cassis de dijon che introdusse nell’ordinamento comunitario il principio
del mutuo riconoscimento la dove un prodotto legittimamente ottenuto ed immesso in commercio in uno
stato membro deve poter circolare in tutta l’unione europea a tale circostanza si potrà opporre solo lo stato
che dimostri documentalmente, o con dati condivisi a livello internazionale, l’esistenza di ragioni di tutela
della salute o di altri diritti ( economici o informativi) dei consumatori operando dunque nei casi in cui la
tutela della salute o dei consumatori non è oggetto di armonizzazione oppure di disciplina UE direttamente
applicabile , poiché, in tal caso non vi dovrebbero essere disarmonie tra legislazioni nazionali tali da
ostacolare la libera circolazione degli alimenti. Resta inteso che l’armonizzazione si può realizzare solo
garantendo un livello di protezione elevato in materia di sanità, sicurezza, protezione dell’ambiente e dei
consumatori lasciando alla corte di giustizia la possibilità di eliminare dal ordinamento la norma viziata. Alla
sentenza cassis de dijon ne sono seguite altre e la corte ha concluso per la liberalizzazione delle importazioni
di prodotti ottenuti secondo ricette diverse da quelle nazionali ( principio di mutuo riconoscimento), il diritto
dello stato di mantenere a propria discrezione, per i suoi produttori, l’obbligo di fabbricare l’alimento
secondo la ricetta legale nazionale il diritto dello stato di imporre all’importatore del prodotto diverso di
etichettare adeguatamente la sua merce per proteggere l’interesse del consumatore che potrebbe altrimenti
essere tratto in inganno dall’uso di un nome ormai generico ma caratterizzato da una ricetta considerata dal
consumatore immutabile, l’ assenza in capo a dello stato del diritto di vietare l’uso di un nome generico per
un prodotto diverso salvo che la diversità sia tale da mutare il tipo merceologico e da ultimo la possibilità di
vietare l’uso di un nome al fine di escludere di confonderne il consumatore con informazioni non corrette.

La corte ha affidato la protezione del consumatore del prodotto vedendo in essa lo strumento più efficace
per tutelare l’acquirente ritenendola però non del tutto sufficiente se il nomen usato per designare il
prodotto può ingannare il consumatore ( esempio il caviale intendendosi nome deputato ad indicare uova di
storione, mentre in altre circostanze uova di pesci diversi).

È dunque contrario al diritto comunitario il comportamento dello stato membro che ostacoli l’importazione
sul suo mercato di prodotti ottenuti legittimamente in uno stato membro,(principio del mutuo
riconoscimento) a meno che non sia dimostrato la loro dannosità per la salute o la violazione di altre
esigenze imperative individuando nell’etichettatura lo strumento informativo sufficiente a segnalare
all’acquirente che il prodotto in questione è ottenuto con l’uso di materie prime o di ingredienti e additivi
diversi da quelli che il consumatore è abituato ad associare la prodotto. In alcuni casi l’uso dell’appellativo
può essere negato, non però per mera difformità dalla ricetta nazionale bensì quando il prodotto sia
completamente diverso da quello che utilizza il nomen tanto da non rientrare nella definizione generalmente
accettata per quel prodotto. Un esempio tra i tanti, nella sentenza sul cioccolato, la corte ha chiarito che è
contrario alla libera circolazione delle merci vietare la vendita di prodotti a base di cacao con il nome tra
virgolette cioccolato con cui vengono commercializzati nello stato membro di produzione solo perché ad essi
sono state aggiunte sostanze grasse vegetali diverse dal burro di cacao, se ciò avviene legalmente in stati
membri che autorizzano l’aggiunta di tali sostanze purché tali prodotti rispettino i contenuti minimi fissati
dalla direttiva 73/241/ CEE in merito al ravvicinamento delle legislazioni relative hai prodotti medesimi.

La commissione, nella sua vigilanza per assicurare il rispetto del trattato, oltre a discorrere del potere di
adottare atti vincolanti, ha anche quello di indagine con conseguente pubblicazione delle comunicazione
nella parte della gazzetta ufficiale serie c, destinata agli atti non vincolanti quindi non obbligatori , ma capaci
di esprimere la posizione della commissione su un dato argomento e l’orientamento giurisprudenziale della
corte. Anche nel settore della libera circolazione dei prodotti alimentare, la commissione ha fatto uso di
questo strumento annunciando di aver abbandonato l’idea dell’ armonizzazione delle normi nazionali
prodotto per prodotto, c.d.armonizzazione ”verticale”, e di volersi limitare a quella “ orizzontali” riguardanti
aspetti di carattere generale comuni a più prodotti. Anche la corte costituzionale italiana ha avuto occasione
di affrontare il problema della protezione di consumatore di alimenti, se pur indirettamente. Si pensi hai
provvedimenti in merito al commercio della “ pasta la dove appariva vietato chiamare pasta prodotti sul
mercato diversi da qulli di semola di grano duro mentre la sentenza numero 443/1997 ha di chiarato
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 30 l.n 580/1967 il quale subbordinava la produzione di paste speciali
contenenti vari ingredienti alimentari a due condizioni: che detti ingredienti fossero autorizzati a tale uso con
decreto del ministro della sanità di concerto con il ministro per l’agricoltura e per l’industria, commercio e
artigianato; e che dette paste speciali fossero prodotte esclusivamente con semola di grano duro, superando
ogni altro profilo legato a denominazione di vendita sostituiti di marchi di fabbrica o da denominazione di
fantasia con prodotti denominati dal produttore anziché “pasta” con nomi vaghi di specialità o specialità
gastronomiche. Il ragionamento della corte partì da un precedente che aveva riconosciuto la legittimità
dell’operato del legislatore al fine di proteggere caratteristiche qualitative meritevoli di tutela ma riconobbe
contestualmente la diretta applicabilità dell’articolo 30 TCE oggi 34 TFUE e cioè la libera circolazione delle
merci legittimamente prodotte di uno stato membro affermando che lo stato italiano non poteva opporsi a
che venissero vendute in Italia “ paste alimentari contenenti ingredienti diversi da quelli autorizzati dalla
legge nazionale ma consentiti dal diritto comunitario” ricordando come il diritto comunitario prescrive che le
merci legittimamente ottenute in uno stato membro possono circolare ed essere vendute per il consumo in
tutta l’unione purché non siano applicabili le eccezioni relative alla salute dei consumatori, alla correttezza
del commercio e nello specifico, parlando di paste il legislatore ha stabilito che gli ingredienti di base del
prodotto “ pasta” devono essere sempre gli sfarinati di grano duro. Non esistono paste alimentari
consentite del diritto comunitario ma solo paste prodotte fuori dall’Italia alle quali il sistema del diritto UE
garantisce la libera circolazione con l’emergere di una situazione di discriminazione a rovescio la dove la
giurisprudenza cassis de dijon debba valere non come strumento per garantire la libera circolazione delle
merci ma come mezzo per annichilire la legislazione nazionale diversa da quella più permissiva adottata da
uno stato membro esportatore per discriminazione a rovescio si considera il trattamento peggiore riservato
dalla nostra legge ai produttori italiani rispetto a quello accordato da uno o più legislatori di stati membri
della comunità. Ogni limitazione imposta dalla legislazione nazionale si risolve in uno svantaggio competitivo
e in una discriminazione in danno delle imprese nazionali disattendendo gli articoli 3 e 41 della costituzione
di discriminare lasciando ampia discrezionalità alla fonte regolamentare nel contesto delle tradizioni
alimentari nazionali.

I segni distintivi e Altre forme Di individuazione e valorizzazione dei prodotti alimentari.

La struttura concorrenziale dei mercati Alla luce delle dinamiche del commercio internazionale, Hanno fatto
emergere la necessità per gli imprenditori Di distinguere e/o Valorizzare i propri Prodotti ricorrendo a segni
distintivi Quali i marchi disciplinati Da fonti normative, Internazionali, dell’UE E nazionali, Quest’ultimo, Nel
contesto normativo italiano riferito al c.d Codice della proprietà industriale, Che distingue tra marchi
individuali e marchi collettivi. Il marchio individuale è il segno distintivo Che permette di identificare sul
mercato un determinato prodotto, Distinguendolo da altri prodotti analoghi della medesima categoria,
Attraverso un collegamento con l’impresa titolare. La registrazione del marchio conferisce un diritto Di
esclusiva al suo utilizzo e tutela contro impiego Da parte di terzi di segni identici simili, Laddove a derivarne
sia un rischio di confusione per il pubblico, Oppure un indebito vantaggio legato al carattere distintivo O alla
rinomanza del marchio stesso. I Marchi individuali non sono frequentemente utilizzati dalle imprese agricole
ed in taluni casi al marchio si affianca una specifica zona Di produzione attraverso l’uso di una
denominazione d’origine. In ogni caso il marchio non ha funzione di garanzia del prodotto Ma meramente
distintiva. Il marchio collettivo è un segno distintivo La cui titolarità spetta ad un’organizzazione (Enti,
associazioni, Consorzi) Cui fanno capo più imprese Alle quali può essere concesso l’uso del marchio
medesimo A fronte dell’impegno Di produrre secondo regole che assicurano la conformità Dei prodotti a
determinati standard ( Fissati nel c.d. Regolamento d’uso). Esso si distingue dal marchio individuale per il
fatto di avere, Una funzione di garanzia dell’origine, Della natura, Della qualità di prodotti o servizi Che si
risolve nell’attestazione Di rispondenza di un prodotto A determinate caratteristiche qualitative.

Il marchio collettivo può anche consistere in “Segni o indicazioni che nel commercio Possono servire per
designare una provenienza Geografica dei prodotti” Identificandosi in marchi collettivi geografici registrabili
Da parte di un’associazione di imprese, Nonché in marchi collettivi dell’Unione Europea. La disciplina dei
marchi di impresa Va raccordata con le norme dell’UE Che disciplinano le denominazioni d’origine
(DOP,IGP,ecc) Oggi contenute nel reg. (UE) n. 1151/2012 ove sono regolati i casi di conflitto tra questi Diversi
strumenti di tutela della proprietà intellettuale. Vi sono altresì i marchi regionali O nazionali “Di qualità”
Istituiti da Stati o regioni al fine di esprimere una qualità Dei prodotti agro-Alimentari Legata all’origine
nazionale o regionale Di questi prodotti, Quindi ritenuti legittimi dalla giurisprudenza Europea e nazionale
nella misura in cui tali segni Collegano le caratteristiche del prodotto Al rispetto di metodiche produttive
indicate Nei disciplinari.

Si pensi al marchio “Made in Lazio” Istituito con legge della regione Lazio n.1 del 2012 Il marchio “paniere
veneto” Istituito con legge n.11 del 1988.

Vi sono altresì marchi regionali volti a Valorizzare una qualità non legata al luogo di origine Del prodotto ma
riferendosi a prodotti ottenuti in conformità Ad un particolare metodo produttivo (es Agricoltura integrata).

In Italia, decreto del mipaaf Dell’8 maggio 2014 si è istituito Un marchio di cui possono fregiarsi i prodotti
agricoli Ed agroindustriali prodotti In conformità al sistema di qualità nazionale di produzione integrata.

Un’ulteriore figura degna di considerazione È quella dei segni riferiti a “Tipi” di zone geografiche, Come ad
esempio “Prodotto di montagna” Quale indicazione facoltativa di qualità Con apposito regolamento adottato
dalla commissione Volto a disciplinare le condizioni in presenza delle quali Si può ricorrere a tali indicazioni.
Tale segno è assimilabile alle dop e igp, Mentre le denominazioni comunali (de.co) Non trovano Disciplina
Alcuno a livello normativo in quanto istituite con provvedimenti Delle amministrazioni comunali con lo scopo
di valorizzare Le tradizioni gastronomiche dei territori locali Attraverso un’attestazione di provenienza del
prodotto dalla zona d’origine.

LEZIONE 10
IL SISTEMA DI SICUREZZA ALIMENTARE REG. (CE) 178/2002

Il sistema di sicurezza alimentare (food safety) è previsto dal REG (CE) 178/2002 che rappresenta la guida
alimentare per le legislazioni degli Stati dell'Unione Europea.

In questo REG. vengono elencati principi generali come:

- l'analisi del rischio,

– la precauzione,

– trasparenza,

– la tutela dei consumatori

– l'Istituzione dell'EFSA (European Food Safety Autority)

DEFINIZIONE DI ALIMENTO

il REG. da anche la definizione di ALIMENTO; dove per"alimento” si intande “qualsiasi sostanza o prodotto
trasformato, parzialmente trasformato o non, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente
che possa essere ingerito, da esseri umani”. (nella definizione di alimento sono comprese anche le bevande e
le gomme da masticare).

Di contro NON vengono catalogati come alimenti

a) i mangimi
b) gli animali vivi, a meno che siano preparati per l'immissione sul mercato ai fini del consumo umano

c) i vegetali prima della raccolta

d) i medicinali ai sensi delle direttive del Consiglio 65/65/CEE e 92/73/CEE

e) i cosmetici ai sensi della direttiva 76/768/CEE del Consiglio

f) il tabacco e i suoi prodotti ai sensi della direttiva 89/622/CEE del Consiglio

g) le sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi della convenzione unica delle Nazioni Unite sugli
stupefacenti del 1961 e della convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope del 1971

h) residui e contaminanti.

DEFINIZIONE DI LEGISLAZIONE ALIMENTARE

Le leggi, i regolamenti e le disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in generale, e la sicurezza


degli alimenti (Art. 3.1 Reg. ult. Cit.) rientrano nel Regolamento nella definizione di "legislazione alimentare”.

DEFINIZIONE DI IMPRESA ED OPERATORE ALIMENTARI

si definisce "impresa alimentare": - Ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge una
qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti.

si definisce "operatore del settore alimentare" (OSA) – la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il
rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell'impresa alimentare posta sotto il suo controllo.

DEFINIZIONE DI MANGIME E RELATIVA IMPRESA

"mangime" (o "alimento per animali"): - qualsiasi sostanza o prodotto, compresi gli additivi, trasformato,
parzialmente trasformato o non trasformato, destinato alla nutrizione per via orale degli animali.

"impresa nel settore dei mangimi": - ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge
una qualsiasi delle operazioni di produzione, lavorazione, trasformazione, magazzinaggio, trasporto o
distribuzione di mangimi, compreso ogni produttore, sia che produca, trasformi o immagazzini mangimi da
somministrare sul suo fondo agricolo agli animali.

ULTERIORE ASSETTO DEFINITORIO (vocabolario) PREVISTO DAL REG (CE) 178/2002

di seguito riportiamo alcune dei termni e definizioni che ci aiuteranno nella comprensione del REG.

- "commercio al dettaglio": la movimentazione e/o trasformazione degli alimenti e il loro stoccaggio nel
punto di vendita o di consegna al consumatore finale, compresi i terminali di distribuzione, gli esercizi di
ristorazione, le mense di aziende e istituzioni, i ristoranti e altre strutture di ristorazione analoghe, i negozi, i
centri di distribuzione per supermercati e i punti di vendita all'ingrosso;

- "immissione sul mercato": la detenzione di alimenti o mangimi a scopo di vendita, comprese l'offerta di
vendita o ogni altra forma, gratuita o a pagamento, nonché la vendita stessa;

- "rischio“: funzione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute, conseguente alla
presenza di un pericolo;

- "analisi del rischio“: processo costituito da tre componenti interconnesse: valutazione, gestione e
comunicazione del rischio;
- "valutazione del rischio“: processo su base scientifica costituito da quattro fasi: individuazione del pericolo,
caratterizzazione del pericolo, valutazione dell'esposizione al pericolo e caratterizzazione del rischio;

- "gestione del rischio“: processo, distinto dalla valutazione del rischio, consistente nell'esaminare
alternative d'intervento consultando le parti interessate, tenendo conto della valutazione del rischio e di
altri fattori pertinenti e, se necessario, compiendo adeguate scelte di prevenzione e di controllo;

- "comunicazione del rischio“: lo scambio nell'intero arco del processo di analisi del rischio, di informazioni e
pareri riguardanti gli elementi di pericolo e i rischi, i fattori connessi al rischio e la percezione del rischio, tra
responsabili della valutazione del rischio, responsabili della gestione del rischio, consumatori, imprese
alimentari e del settore dei mangimi;

- "pericolo”: agente biologico, chimico o fisico contenuto in un alimento o mangime, o condizione in cui un
alimento o un mangime si trova, in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute;

- "rintracciabilità“: è la fase di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale


destinato alla produzione alimentare o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della
trasformazione e della distribuzione;

- "fasi della produzione della trasformazione e della distribuzione": qualsiasi fase (importazione compresa) a
partire dalla produzione primaria di un alimento inclusa fino al magazzinaggio, al trasporto, alla vendita o
erogazione al consumatore finale;

- "produzione primaria”: tutte le fasi della produzione, dell'allevamento o della coltivazione dei prodotti
primari, compresi il raccolto, la mungitura e la produzione zootecnica precedente la macellazione e
comprese la caccia e la pesca e la raccolta di prodotti selvatici;

- "consumatore finale”: il consumatore finale di un prodotto alimentare che non utilizzi tale prodotto
nell'ambito di un'operazione o attività di un'impresa del settore alimentare.

PRINCIPI E OBIETTIVI GENERALI DELLA LEGISLAZIONE ALIMENTARE

Obiettivi generali

1. La legislazione alimentare persegue uno o più tra gli obiettivi generali di un livello elevato di tutela della
vita e della salute umana, della tutela degli interessi dei consumatori, comprese le pratiche leali nel
commercio alimentare, tenuto eventualmente conto della tutela della salute e del benessere degli animali,
della salute vegetale e dell'ambiente.

2. La legislazione alimentare mira al conseguimento della libertà di circolazione all'interno della Comunità
degli alimenti e dei mangimi prodotti o immessi sul mercato nel rispetto dei principi e dei requisiti generali
enunciati nel presente capo.

3. Le norme internazionali di perfezionamento sono prese in considerazione nell'elaborazione o


nell'adeguamento della legislazione alimentare, salvo se tali norme o loro parti pertinenti sono inefficaci o
inadeguate per il conseguimento dei legittimi obiettivi della legislazione alimentare, se vi è una
giustificazione scientifica in tal senso o se il livello di protezione che assicurano non è quello ritenuto
adeguato nella Comunità.

I principi enunciati negli articoli dal 5 al 10 costituiscono un quadro generale sul quale conformarsi
nell'adozione di misure (art. 4.2 Reg. ult. Cit.).

in evidenza verranno trattati: Analisi del rischio - Principio di precauzione – Principio di trasparenza – Tutela
dei consumatori
ANALISI DEL RISCHIO

ai fini del conseguimento dell’obiettivo generale di un livello elevato di tutela della vita e della salute umana,
la legislazione alimentare si basa sull’analisi del rischio, tranne quando ciò non sia confacente alle circostanze
o alla natura del provvedimento esa avviene attraverso:

1. La valutazione del rischio

2. La comunicazione del rischio

3. La gestione del rischio

Obiettivo è quello di affrontare in modo corretto il principio di libertà e di iniziativa economica dell’ impresa
con quello altrettanto di eliminare o contenere il rischio di effetti nocivi sulla salute o dannosi per l’
ambiente ed in questo senso sarà pertanto necessario :

a. La Valutazione (risk assessment)

Ovvero quel processo, fondato su base scientifica e destinato a individuare, caratterizzare,valutare


l'esposizione del e al pericolo fino a giungere alla CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO.

L'Ente preposto a questa competenza specifica è attribuita all’EFSA. (European Food Safety Autority)

b. La Gestione (risk management)

consiste nell’ esaminare alternative di intervento, consultando le parti interessate, tenendo conto della
valutazione del rischio e di altri fattori pertinenti e compiendo adeguate scelte di prevenzione e controllo
(ambito di attribuzione dei poteri in capo alla Commissione).

c. La Comunicazione

è lo scambio continuo di informazioni e pareri riferiti sia al pericolo che al rischio nonché quanto connesso ai
consumatori, agli operatori, alle imprese alimentari e dei mangimi ed ogni altro interessato questa
Competenza è attribuita all’ EFSA ma anche ad Autorità ed Agenzie nazionali.

IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE

E’ però possibile adottare misure straordinarie a fronte di gestioni del rischio atipiche ove la situazione lo
richieda e così:

Qualora venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione
d'incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio
necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori
informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.

PRINCIPIO DI TRASPARENZA

Occorre far sì che la fiducia dei consumatori e delle controparti commerciali sia garantita attraverso
l'elaborazione aperta e trasparente della legislazione alimentare (…)( Considerando 22 Reg. ult. cit)

I cittadini sono consultati in maniera aperta e trasparente, direttamente o attraverso organi rappresentativi,
nel corso dell'elaborazione, della valutazione e della revisione della legislazione alimentare a meno che
l'urgenza della questione non lo permetta.

Fatte salve le pertinenti disposizioni comunitarie e degli Stati membri sull'accesso ai documenti, nel caso in
cui vi siano ragionevoli motivi per sospettare che un alimento o mangime possa comportare un rischio per la
salute umana o animale, in funzione della natura, della gravità e dell'entità del rischio le autorità pubbliche
adottano provvedimenti opportuni per informare i cittadini della natura del rischio per la salute,
identificando nel modo più esauriente l'alimento o mangime o il tipo di alimento o di mangime, il rischio che
può comportare e le misure adottate o in procinto di essere adottate per prevenire, contenere o eliminare
tale rischio.

IL SISTEMA DI ALLARME RAPIDO (Reg CE 178/2002 e Reg UE 182/2011)

1. è un sistema di allarme rapido per la notificazione di un rischio diretto o indiretto per la salute
umana dovuto ad alimenti o mangimi.

2. Qualora un membro della rete disponga di informazioni relative all'esistenza di un grave rischio,
diretto o indiretto, per la salute umana dovuto ad alimenti o mangimi, egli trasmette
immediatamente tali informazioni alla Commissione nell'ambito del sistema di allarme rapido. La
Commissione trasmette immediatamente le informazioni ai membri della rete.

Nell'ambito del sistema di allarme rapido e salvo altrimenti disposto dalla normativa comunitaria, gli Stati
membri notificano immediatamente alla Commissione, quanto segue:

a) qualsiasi misura da essi adottata, che esiga un intervento rapido, intesa a limitare l'immissione sul
mercato di alimenti o mangimi, o a imporne il ritiro dal commercio o dalla circolazione per
proteggere la salute umana;

b) qualsiasi raccomandazione o accordo con operatori professionali volto, a titolo consensuale od


obbligatorio, ad impedire, limitare o imporre specifiche condizioni all'immissione sul mercato o
all'eventuale uso di alimenti o mangimi, a motivo di un grave rischio per la salute umana che esiga
un intervento rapido;

c) qualsiasi situazione in cui un'autorità competente abbia respinto una partita, un container o un
carico di alimenti o di mangimi ad un posto di frontiera dell'Unione europea a causa di un rischio
diretto o indiretto per la salute umana.

La Commissione trasmette immediatamente ai membri della rete la notificazione e le ulteriori informazioni


ricevute a norma del primo e del secondo comma.

REGOLE DI RISERVATEZZA PER IL SISTEMA DI ALLARME RAPIDO

Di regola, le informazioni a disposizione dei membri della rete e riguardanti un rischio per la salute umana
provocato da alimenti e mangimi sono messe a disposizione dei cittadini in conformità del principio
dell'informazione di cui all'articolo 10. Di regola, i cittadini hanno accesso alle informazioni
sull'identificazione dei prodotti, sulla natura del rischio e sulle misure adottate.

I membri della rete prendono tuttavia le disposizioni necessarie per fare in modo che il proprio personale sia
tenuto a non rivelare, in casi debitamente giustificati, informazioni ottenute ai fini della presente sezione
che per loro natura sono coperte dal segreto professionale, eccezion fatta per le informazioni che devono
essere rese pubbliche, quando le circostanze lo richiedano, per tutelare la salute umana.

SITUAZIONI DI EMERGENZA

Misure urgenti per alimenti e mangimi di origine comunitaria o importati da un paese terzo

1. Quando si è manifestato che alimenti o mangimi di origine comunitaria o importati da un paese terzo
possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l'ambiente che
non possa essere adeguatamente affrontato mediante misure adottate dallo Stato membro o dagli Stati
membri interessati, la Commissione, agendo di propria iniziativa o su richiesta di uno Stato membro.
a) nel caso di alimenti o mangimi di origine comunitaria:

- sospensione dell'immissione sul mercato o dell'utilizzazione dell'alimento in questione;

- sospensione dell'immissione sul mercato o dell'utilizzo del mangime in questione;

- determinazione di condizioni particolari per l'alimento o il mangime in questione;

- qualsiasi altra misura provvisoria adeguata;

b) nel caso di alimenti o mangimi importati da un paese terzo:

- sospensione delle importazioni dell'alimento o del mangime in questione da tutto il paese terzo interessato
o da parte del suo territorio ed eventualmente dal paese terzo di transito;

- determinazione di condizioni particolari per l'alimento o il mangime in questione in provenienza da tutto il


paese terzo interessato o da parte del suo territorio;

- qualsiasi altra misura provvisoria adeguata.

2. Tuttavia, in casi urgenti, la Commissione può adottare in via provvisoria le misure di cui al paragrafo 1.
previa consultazione dello Stato membro o degli Stati membri interessati e dopo averne informato gli altri
Stati membri.

Nel tempo più breve possibile e al più tardi entro dieci giorni lavorativi, le misure adottate sono confermate,
modificate, revocate.

La Commissione successivamente proroga, modifica, abroga le misure cautelari nazionali

in sintesi in una gestione della CRISI la Commissione elabora un PIANO GENERALE sulla sicurezza di alimenti e
mangimi ove realizzata una situazione di grave rischio per la salute umana che NON sia possibile prevenire,
eliminare o ridurre attraverso le disposizioni vigenti istituisce una UNITA’ DI CRISI.

L’ AUTORITA’ EUROPEA PER LA SICUREZZA ALIMENTARE

L’ autorità ha sostanzialmente il compito di fornire consulenza scientifica alle istituzione dell’ Unione
europea e agli stati membri.

In linea con l’ orientamento della Commisione del Codex Alimentarius - secondo la quale dovrebbe esserci
una separazione funzionale tra valutazione e gestione del rischio, pur riconoscendo che alcune interazioni
sono essenziali per un approccio pragmatico).

L'Autorità offre consulenza scientifica e assistenza scientifica e tecnica per la normativa e le politiche della
Comunità in tutti i campi che hanno un'incidenza diretta o indiretta sulla sicurezza degli alimenti e dei
mangimi. Essa fornisce informazioni indipendenti su tutte le materie che rientrano in detti campi e
comunica i rischi.

L'Autorità raccoglie e analizza i dati che consentono la caratterizzazione e la sorveglianza dei rischi che hanno
un'incidenza diretta o indiretta sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi.

I COMPITI DELL’ EFSA NEL SETTORE DI SUA COMPETENZA

a) fornire alle istituzioni comunitarie e agli Stati i migliori pareri scientifici;

b) promuovere e coordinare la definizione di metodi uniformi di valutazione del rischio;

c) fornire alla Commissione assistenza scientifica e tecnica nelle materie di sua competenza;
d) ricercare, raccogliere, confrontare, analizzare e sintetizzare i dati scientifici e tecnici nei settori di sua
competenza;

e) intervenire per individuare e definire i rischi emergenti nei settori di sua competenza;

f) prestare assistenza scientifica e tecnica su richiesta della Commissione nelle procedure di gestione
delle crisi seguite dalla Commissione;

LEZIONE 11
Produzione e tutela igienico sanitaria dei prodotti alimentari

IL PACCHETTO IGIENE

è un intervento dei regolamenti comunitari in materia, ben più stringenti della normativa nazionale, di
alimenti, in specie quelli animali.

Esso è così strutturato:

1. Reg (CE) 852/2004 igiene dei prodotti alimentari

i) Reg (CE) 853/2004 igiene specifica degli alimenti di origine animale

j) Reg (CE) 854/2004 organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al
consumo umano

k) Reg (CE) 882/2004 controlli ufficiali su mangimi e alimenti

LE LINEE GUIDA DEL REG. (CE) 852/04

Sostituisce la direttiva 93/43/CE sull’igiene dei prodotti alimentari con la finalità di realizzare la sicurezza
alimentare delegando in particolare agli OSA la responsabilità di adottare le misure tali da garantire la non
pericolosità dei prodotti alimentari.

Il carattere del sistema HACCP, consiste nel fatto che con esso si stabiliscono delle regole di controllo del
processo che hanno la finalità di ridurre i rischi da prodotto, e che il sistema funzioni fondamentalmente
come autocontrollo, pur se imposto.

IL CONTESTO

Il presente regolamento fa parte del «pacchetto igiene», un insieme di atti che stabiliscono regole di igiene
per i prodotti alimentari. Ciò comprende, oltre al presente regolamento, gli atti seguenti:

• il regolamento (CE) n. 853/2004 che stabilisce norme specifiche in materia d'igiene per gli alimenti di
origine animale, al fine di garantire un livello elevato di sicurezza alimentare e di salute pubblica;

• il regolamento (CE) n. 854/2004 che stabilisce norme specifiche per l'organizzazione di un quadro
comunitario per i controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano e
stabilisce regole specifiche per le carni fresche, i molluschi bivalve, il latte e i prodotti lattiero-
caseari.

A completamento della normativa comunitaria sull'igiene dei prodotti alimentari abbiamo:


• il regolamento (CE) n. 178/2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali di legislazione
alimentare. Tale regolamento stabilisce le procedure relative alla sicurezza degli alimenti e istituisce
l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA);

• il regolamento (CE) n. 882/2004 che riorganizza i controlli ufficiali dei prodotti alimentari e degli
alimenti per animali, in modo da integrare i controlli a tutte le fasi della produzione e in tutti i
settori;

• la direttiva 2002/99/CE che stabilisce le condizioni per l'immissione sul mercato dei prodotti di
origine animale e le restrizioni applicabili ai prodotti provenienti da regioni o paesi terzi, sottoposti a
restrizioni di polizia sanitaria.

AMBITO DI APPLICAZIONE

Il regolamento si applica a tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli
alimenti, nonché alle esportazioni e fermi restando requisiti più specifici relativi all'igiene degli alimenti.

mentre NON si applica

a) alla produzione primaria per uso domestico privato;

b) alla preparazione, alla manipolazione e alla conservazione domestica di alimenti destinati al


consumo domestico privato;

c) alla fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al consumatore finale o
a dettaglianti locali che forniscono direttamente il consumatore finale.

DEFINIZIONE DI IGIENE DEGLI ALIMENTI

Per igiene degli alimenti si intendono tutte le misure e le condizioni necessarie per controllare i pericoli e
garantire l’idoneità al consumo umano di un prodotto alimentare tenendo conto dell’uso previsto. (Art.2.1.a
Reg. ult. cit.)

La normativa europea si applica all’imprenditore agroalimentare ed ha l’obiettivo di garantire l’igiene dei


prodotti alimentari nelle diverse fasi del processo di produzione, da quella primaria alla vendita fatta ai
consumatori finali. Propone, fra gli altri interventi, l’adozione generalizzata e obbligatoria del sistema HACCP
(HAZARD ANALYSIS AND CRITICAL CONTROL POINTS)

La Comunità Europea non ha ancora previsto una disciplina specifica e di dettaglio dei principi enunciati dal
regolamento, ma il sistema pur con tenore generico è stato inserito tra gli STANDARDS del Codex
Alimentarius. Ovvero, quel sistema per il quale l’imprenditore agroalimentare deve controllare ed
autocertificare l’igiene dei propri prodotti alimentari analizzando tutte le fasi del processo produttivo al fine
di evitare rischi a questo connessi.

I PRINCIPI DEL SISTEMA HACCP

• identificazione e valutazione dei rischi e dei pericoli associati ad ogni fase del processo

b. determinazione dei punti critici e dei limiti (CCP)

c. monitoraggio continuo dei punti critici, compresa la determinazione delle azioni correttive e delle
procedure di verifica nonché del sistema di gestione della documentazione

In particolare l’ art. 5 Reg CE 852/2004 prevede che:


1. Gli operatori del settore alimentare predispongono, attuano e mantengono una o più procedure
permanenti, basate sui principi del sistema HACCP.

2. I principi del sistema HACCP di cui al paragrafo 1 sono i seguenti:

a) identificare ogni pericolo che deve essere prevenuto, eliminato o ridotto a livelli accettabili;

b) identificare i punti critici di controllo (CCP) nella fase o nelle fasi in cui il controllo stesso si rivela
essenziale per prevenire o eliminare un rischio o per ridurlo a livelli accettabili;

c) stabilire, nei punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l'accettabilità e l'inaccettabilità
ai fini della prevenzione, eliminazione o riduzione dei rischi identificati;

 stabilire ed applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo;

4. stabilire le azioni correttive da intraprendere nel caso in cui dalla sorveglianza risulti che un
determinato punto critico non è sotto controllo;

5. stabilire le procedure, da applicare regolarmente.

Gli OSA (Operatore Settore Alimentare)

a) dimostrano all'autorità competente che essi rispettano il paragrafo 1, secondo le modalità richieste
dall'autorità competente, tenendo conto del tipo e della dimensione dell'impresa alimentare;

b) garantiscono che tutti i documenti in cui sono descritte le procedure elaborate a norma del
presente articolo siano costantemente aggiornati;

c) conservano ogni altro documento e registrazione per un periodo adeguato verificare l'effettivo
funzionamento delle misure previste.

g) predispongono documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell'impresa alimentare al
fine di dimostrare l'effettiva applicazione delle misure adottate.

3. Gli operatori del settore alimentare, se necessario, adottano le seguenti misure igieniche specifiche:

a) rispetto dei criteri microbiologici relativi ai prodotti alimentari;

b) le procedure necessarie a raggiungere gli obiettivi fissati per il conseguimento degli scopi del
presente regolamento;

c) rispetto dei requisiti in materia di controllo delle temperature degli alimenti;

d) mantenimento della catena del freddo;

e) campionature

LE FASI INTERESSATE DAL SISTEMA HACCP

All’interno della filiera della produzione e distribuzione del prodotto alimentare sono:

□ Preparazione

□ Trasformazione

□ Lavorazione
□ Condizionamento

□ Deposito

□ Trasporto

□ Distribuzione

□ Manipolazione

□ Vendita e fornitura al consumatore finale

MANUALI DI STUDIO

1. Costituire la squadra HACCP

2. Osservare il prodotto alimentare

3. Identificare la sua destinazione d’uso

4. Costruire il diagramma di flusso e lo schema di impianto confermando entrambi sul posto

Gli Stati dell’Unione promuovono l’elaborazione di manuali nazionali e comunitari di corretta prassi
operativa in materia di igiene e di applicazione del sistema HACCP (Artt. 7 e ss.)

In conformità al regolamento (CE) n. 178/2002, gli operatori del settore alimentare devono disporre di
sistemi e di procedure che permettono la rintracciabilità degli ingredienti e dei prodotti alimentari e, se del
caso, dei prodotti utilizzati per la produzione degli alimenti.

Inoltre, se un operatore del settore alimentare constata che un prodotto alimentare comporta un rischio
grave per la salute, deve ritirarla immediatamente dal mercato, segnalandolo all'autorità competente e ai
consumatori.

Gli operatori del settore alimentare collaborano con le autorità competenti; in particolare, notificano
all’autorità competente ogni stabilimento posto sotto il loro controllo e la informano di ogni cambiamento
della situazione (ad esempio della chiusura di uno stabilimento).

Quando la legislazione nazionale o comunitaria lo prescrive, le imprese del settore alimentare devono
essere riconosciute dall’autorità competente e non possono operare senza tale autorizzazione.

CONTROLLI UFFICIALI

L’applicazione da parte degli operatori del settore alimentare dei principi HACCP non sostituisce i controlli
ufficiali effettuati dalle autorità competenti. Gli operatori sono tenuti in particolare a collaborare con le
autorità competenti, conformemente alle disposizioni della normativa comunitaria o, in sua mancanza,
nazionale.

IMPORTAZIONE / ESPORTAZIONE

I prodotti alimentari importati nella Comunità devono essere conformi alle norme di igiene comunitarie o a
norme equivalenti.

I prodotti di origine animale esportati verso paesi terzi devono rispondere almeno alle norme applicabili per
la loro commercializzazione all'interno della Comunità, oltre ai diversi requisiti eventualmente imposti dal
paese terzo interessato.
PRODUZIONE PRIMARIA E OPERAZIONI CONNESSE

Se quindi la catena alimentare parte dai campi

Gli OSA devono garantire in tutte le fasi che gli alimenti soddisfino i pertinenti requisiti di igiene fissati dal
Reg. 852/2004

 le fasi di produzione

 Operazioni connesse

 Produzione primaria

Con il superamento della Direttiva 1993/43 vi è nuova considerazione della PRODUZIONE PRIMARIA intesa
oggi quale momento iniziale della produzione alimentare e tale da comprendere

A cui segue:

produzione primaria, compresi il raccolto, la mungitura e la produzione zootecnica precedente la


macellazione e comprese la caccia e la pesca e la raccolta di prodotti selvatici”

la produzione primaria analizza:

a) attività di produzione, allevamento o coltivazione di prodotti vegetali quali cereali, frutta, ortaggi
ed erbe, trasporto, magazzinaggio e manipolazione di tali prodotti;

b) produzione, allevamento o coltivazione di animali per la produzione di alimenti nell’azienda


agricola e ogni altra attività connessa, nonché il trasporto di animali per la produzione di carne
ad un mercato o a un macello e il trasporto di animali tra aziende agricole;

c) mungitura e conservazione del latte nell’azienda agricola

d) produzione e raccolta di uova nello stabilimento del produttore, ma non le operazioni di


imballaggio delle uova;

e) pesca, manipolazione dei prodotti della pesca, senza alterazione sostanziale della loro natura, a
bordo di imbarcazioni e loro trasporto al primo stabilimento a terra, compresi pesca,
manipolazione e trasporto dei pesci d’acqua dolce

f) produzione, allevamento, coltivazione e raccolta dei pesci in aziende acquicole e loro trasporto
ad uno stabilimento;

g) centro di spedizione, un centro di depurazione o a uno stabilimento di trasformazione;

LA PRODUZIONE BIOLOGICA

Dal 1^ gennaio 2009 è in vigore il Reg CE 834/2007 quale espressione dei principi generali e delle linee guida
in materia di armonizzazione della produzione, etichettatura e controllo dei prodotti biologico

Campo di applicazione

Prodotti agricoli (anche quelli dell’acquacoltura) mangimi sementi per coltivazione e materiale di
propagazione vegetativa lieviti utilizzati come alimenti o come mangimi
OBIETTIVI E PRINCIPI DELLA PRODUZIONE BIOLOGICA

La produzione biologica persegue i seguenti obiettivi generali:

a) stabilire un sistema di gestione sostenibile per l’agricoltura

i. rispetti i sistemi e i cicli naturali e mantenga e migliori la salute dei suoli, delle acque, delle
piante e degli animali e l’equilibrio tra di essi;

ii. contribuisca a un alto livello di diversità biologica;

iii. assicuri un impiego responsabile dell’energia e delle risorse naturali come l’acqua, il suolo, la
materia organica e l’aria;

iv. rispetti criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e soddisfi, in particolare, le specifiche
esigenze comportamentali degli animali secondo la specie;

b) mirare a ottenere prodotti di alta qualità;

c) mirare a produrre un’ampia varietà di alimenti e altri prodotti agricoli che rispondano alla domanda
dei consumatori.

PRINCIPI GENERALI DELLA PRODUZIONE BIOLOGICA

a) la progettazione e la gestione appropriate dei processi biologici fondate su sistemi ecologici che impiegano
risorse naturali interne ai sistemi stessi con metodi che:

i) utilizzano organismi viventi e metodi di produzione meccanici;

ii) praticano la coltura di vegetali e la produzione animale legate alla terra o l’acquacoltura che
rispettano il principio dello sfruttamento sostenibile della pesca;

iii) escludono l’uso di OGM e dei prodotti derivati o ottenuti da OGM ad eccezione dei medicinali
veterinari;

iv) si basano su valutazione del rischio e, se del caso, si avvalgono di misure di precauzione e di
prevenzione;

b) la limitazione dell’uso di fattori di produzione esternı.͘ Qualora fattori di produzione esterni siano necessari
ovvero non esistano le pratiche e i metodi di gestione appropriati di cui alla lettera a), essi si limitano a:

 fattori di produzione provenienti da produzione biologica;

g) sostanze naturali o derivate da sostanze naturali;

h) concimi minerali a bassa solubilità;

c) la rigorosa limitazione dell’uso di fattori di produzione otenuti per sintesi chimica ai casi eccezionali in cui:

i) non esistono le pratiche di gestione appropriate;

ii) non siano disponibili sul mercato i fattori di produzione esterni di cui alla lettera;

iii) l’uso di fattori di produzione esterni di cui alla lettera b) contribuisce a creare un impatto ambientale
inaccettabile;
d) ove necessario l’adattamento, nel quadro del presente regolamento, delle norme che disciplinano la
produzione biologica per tener conto delle condizioni sanitarie, delle diversità climatiche regionali e delle
condizioni locali, dei vari stadi di sviluppo e delle particolari pratiche zootecniche.

PRINCIPI SPECIFICI APPLICABILI ALL’ AGRICOLTURA BIOLOGICA

Oltre che sui principi generali di cui all’articolo 4, l’agricoltura biologica si basa sui seguenti principi specificı

a) mantenere e potenziare la vita e la fertilità naturale del suolo, la stabilità del suolo e la sua
biodiversità, prevenire e combattere la compattazione e l’erosione del suolo, e nutrire le piante
soprattutto attraverso l’ecosistema del suolo;

b) ridurre al minimo l’impiego di risorse non rinnovabili e di fattori di produzione di origine esterna;

c) riciclare i rifiuti e i sottoprodotti di origine vegetale e animale come fattori di produzione per le
colture e l’allevamento;

d) tener conto dell’equilibrio ecologico locale o regionale quando si operano le scelte produttive;

e) tutelare la salute degli animali stimolando le difese immunologiche naturali degli animali, nonché la
selezione di razze e varietà adatte e pratiche zootecniche;

f) tutelare la salute delle piante mediante misure profilattiche, quali la scelta di specie appropriate e di
varietà resistenti ai parassiti e alle malattie vegetali, appropriate rotazioni delle colture, metodi
meccanici e fisici e protezione dei nemici naturali dei parassiti;

g) praticare una produzione animale adatta al sito e legata alla terra;

h) mantenere un elevato livello di benessere degli animali rispettando le esigenze specifiche delle
specie;

i) i) utilizzare per la produzione animale biologica animali allevati sin dalla nascita in aziende
biologiche;

j) scegliere le razze tenendo conto della capacità di adattamento alle condizioni locali, della vitalità e
della resistenza alle malattie o ai problemi sanitari;

k) somministrare agli animali mangime biologico composto di ingredienti provenienti dall’agricoltura


biologica e di sostanze naturali di origine non agricola;

l) ricorrere a pratiche zootecniche che rafforzano il sistema immunitario e stimolano le difese naturali
contro le malattie, incluso in particolare l’esercizio fisico regolare e l’accesso a spazi all’aria aperta e
ai pascoli se del caso;

m) non praticare l’allevamento di animali poliploidi artificialmente indotti;

n) mantenere per la produzione da acquacoltura la biodiversită degli ecosistemi acquatici naturali, la


salute dell’ambiente acquatico nel tempo e la qualità degli ecosistemi acquatici e terrestri
circostanti;

v. PRINCIPI SPECIFICI APPLICABILI ALLA TRASFORMAZIONE DI ALIMENTI BIOLOGICI

vi. Oltre che sui principi generali di cui all’articolo 4, la produzione di alimenti biologici trasformati si
basa sui seguenti principi specifici:
a) produrre alimenti biologici composti di ingredienti provenienti dall’agricoltura biologica, tranne
qualora un ingrediente non sia disponibile sul mercato in forma biologica;

b) limitare l’uso di additivi, di ingredienti non biologici con funzioni principalmente sensoriali e
tecnologiche, nonché di micronutrienti e ausiliari di fabbricazione alimentari.

c) non utilizzare sostanze e metodi di trasformazione che possano trarre in inganno quanto alla vera
natura del prodotto;

d) trasformare in maniera accurata gli alimenti, preferibilmente avvalendosi di metodi biologici,


meccanici e fisici.

vii.

viii. PRINCIPI SPECIFICI APPLICABILI ALLA TRASFORMAZIONE DI MANGIMI BIOLOGICI

ix. Oltre che sui principi generali di cui all’articolo 4, la produzione di mangimi biologici trasformati
si basa sui seguenti principi specifici:

a) produrre mangimi biologici composti di ingredienti provenienti dall’agricoltura biologica, tranne


qualora un ingrediente non sia disponibile sul mercato in forma biologica;

b) limitare l’uso di additivi e ausiliari di fabbricazione per mangimi al minimo e soltanto nei casi di
impellente necessità tecnologica o zootecnica a fini nutrizionali specifici;

c) non utilizzare sostanze e metodi di trasformazione che possano trarre in inganno quanto alla vera
natura del prodotto;

d) trasformare in maniera accurata i mangimi, preferibilmente avvalendosi di metodi biologici,


meccanici e fisici. (Art 7 Reg ult. cit.)

x.

xi. ETICHETTATURA (“BIO” - “ECO”)

xii. Ai fini del presente regolamento, si considera che un prodotto riporta termini riferiti al metodo
di produzione biologico quando, nell’etichettatura, nella pubblicità o nei documenti commerciali,
il prodotto stesso, i suoi ingredienti o le materie prime per mangimi sono descritti con termini
che suggeriscono all’acquirente che il prodotto sono stati ottenuti conformemente alle norme
stabilite dal presente regolamento.

xiii. abbreviazioni, quali "bio" e "eco", possono essere utilizzati, singolarmente o in abbinamento,
nell’intera Comunità e in qualsiasi lingua comunitaria, nell’etichettatura e nella pubblicità di
prodotti che soddisfano le prescrizioni previste dal presente regolamento o stabilite in virtù del
medesimo.
xiv. INDICAZIONI OBBLIGATORIE

xv. Facilmente visibili, chiaramente leggibili e indelebili e laddove utilizzati i termini di cui all’ rt. 23
par. 1 Reg. 834/07.

1. Se sono usati questi termini allora:

a) chi è l’operatore che ha effettuato la produzione o la preparazione più recente;

b) compare sulla confezione anche il logo comunitario di cui all’articolo 25, paragrafo 1, per quanto
riguarda gli alimenti preconfezionati;

c) quando viene usato il logo comunitario, anche un’indicazione del luogo in cui sono state
coltivate le materie prime agricole di cui il prodotto è composto compare nello stesso campo
visivo del logo e prende, se del caso, una delle forme seguenti:

xvi.

xvii. NB: L’ indicazione "UE" o "non UE" può essere sostituita o integrata dall’indicazione di un paese
nel caso in cui tutte le materie prime agricole di cui il prodotto è composto siano state coltivate in
quel paese.

xviii.

xix. CONTROLLI E IMMISSIONE IN COMMERCIO

□ Prima dell’immissione sul mercato di un prodotto biologico le autorità preposte devono controllare
le attività di tutti gli operatoti coinvolti nella commercializzazione al fine di verificare il pieno rispetto
delle disposizioni regolamentari rilasciando il DOCUMENTO GIUSTIFICATIVO

□ I paesi terzi possono immettere sul mercato dell’Unione Europea prodotti biologici purchè conformi
alle disposizioni del Regolamento e preventivamente sottoposti a controllo da parte di un organismo
riconosciuto o di controllo accreditato dalla Comunità.

LEZIONE 12
Criteri microbiologici e Igiene per alimenti di origine animale

REGOLAMENTO (CE) n. 2073/2005 della commissione sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari

Le indagini microbiologiche divengono quindi parte integrante (obbligatoria) delle procedure di verifica
dell'applicazione dell'autocontrollo (HACCP), anche laddove non espressamente previsti dallo stesso.

I rischi microbiologici dei prodotti alimentari rappresentano uno dei principali veicoli di malattie causate
all’uomo provenienti dagli alimenti.

DEFINIZIONI

“criterio microbiologico”, un criterio che definisce l’accettabilità di un prodotto, di una partita di prodotti
alimentari o di un processo, in base all’assenza, alla presenza o al numero di microrganismi e/o in base alla
quantità delle relative tossine/metaboliti, per unità di massa, volume, area o partita;

“criterio di sicurezza alimentare”, un criterio che definisce l’accettabilità di un prodotto o di una partita di
prodotti alimentari, applicabile ai prodotti immessi sul mercato;
“criterio di igiene del processo”, un criterio che definisce l'accettabile del processo di produzione. Questo
criterio, che non si applica ai prodotti immessi sul mercato, fissa un valore indicativo di contaminazione al di
sopra del quale sono necessarie misure correttive volte a mantenere l’igiene del processo di produzione in
ottemperanza alla legislazione in materia di prodotti alimentari.

GLI OBBLIGHI DEGLI OSA (Organismi Settore Alimentare)

Gli operatori del settore alimentare provvedono a che i prodotti alimentari siano conformi ai relativi criteri
microbiologici fissati nell’allegato primo del regolamento.

A tal fine, gli operatori del settore alimentare adottano provvedimenti, in ogni fase della produzione, della
lavorazione e della distribuzione, inclusa la vendita al dettaglio, nell’ambito delle loro procedure HACCP e
delle loro prassi corrette in materia d’igiene, per garantire che:

- la fornitura, la manipolazione e la lavorazione delle materie prime e dei prodotti alimentari che
dipendono dal loro controllo si effettuino nel rispetto dei criteri di igiene del processo;

l) i criteri di sicurezza alimentare applicabili per l’intera durata del periodo di conservabilità dei
prodotti possano essere rispettati a condizioni ragionevolmente prevedibili di distribuzione,
conservazione

Vengono così fissati:

 i limiti (e le deroghe) alla concentrazione di microrganismi nei prodotti alimentari e nelle varie fasi
del processo di lavorazione di carni e prodotti derivati, latte e prodotti derivati, prodotti a base di
uova, prodotti della pesca (prodotti sgusciati di crostacei e molluschi), ortaggi e frutta e prodotti
derivati;

• le modalità di esecuzione del campionamento, i metodi di analisi ed i criteri di interpretazione dei


risultati delle prove;

• le azioni correttive in caso di risultati non soddisfacenti i criteri stabiliti nonché la verifica da parte
degli OSA ;

• le informazioni da presentare in etichetta;

PROVE PER VERIFICARE IL RISPETTO DEI CRITERI

1. Gli operatori del settore alimentare effettuano nei modi appropriati analisi per verificare il rispetto dei
criteri microbiologici di cui all’allegato primo quando convalidano o controllano il corretto funzionamento
delle loro procedure basate sui principi HACCP e sulla corretta prassi igienica.

2. Gli operatori del settore alimentare stabiliscono la frequenza con la quale effettuare i campionamenti,
salvo quando l’allegato primo indica una frequenza specifica, nel qual caso la frequenza minima di
campionamento è quella indicata nell’allegato primo.

RISULTATI INSODDISFACENTI

Qualora i risultati delle prove destinate a verificare il rispetto dei criteri di cui all’allegato primo siano
insoddisfacenti, gli operatori del settore alimentare adottano i provvedimenti di cui ai paragrafi 2, 3 e 4 del
presente articolo e le altre misure correttive definite nelle loro procedure HACCP nonché ogni altra azione
necessaria per proteggere la salute del consumatore.

LA VIOLAZIONE DEI CRITERI


Ove violati i criteri di igiene, andranno disposti i provvedimenti di rimedio

Il Regolamento prevede norme specifiche in materia di alimenti di origine animale al fine di garantire un
elevato standard di sicurezza alimentare e di salute pubblica.

Il presente regolamento stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale,
destinate agli operatori del settore alimentare.

In via generale non si applica al commercio al dettaglio né alla produzione primaria destinata al consumo
privato o per piccoli quantitativi forniti dal produttore direttamente al consumatore finale o utilizzatore
locale

OBBLIGHI DELL’OSA

Divieto di utilizzo di sostanze diverse dall’acqua non potabile o acqua pulita ove previsto

m) REGISTRAZIONE E RICONOSCIMENTO DEGLI STABILIMENTI

• Gli stabilimenti che manipolano prodotti di origine animale devono essere registrati ed
eventualmente riconosciuti dalla Autorità competente dello Stato membro (ogni stato dell’Unione
Europea mantiene elenchi aggiornati degli stabilimenti riconosciuti)

n) BOLLATURA SANITARIA E OBBLIGO DI IDENTIFICAZIONE

o) I prodotti di origine animale, sottoposti alla disciplina del Reg. 853/04, devono essere contrassegnati
da un bollo dell’autorità sanitaria o, laddove applicabile, da un marchio di identificazione leggibile,
indelebile, facilmente visibile e recante le informazioni relative al paese di provenienza con il
relativo numero di identificazione dello stabilimento di trattamento.

L’ APPROCCIO SETTORIALE DEL REGOLAMENTO

Il Regolamento utilizza un approccio settoriale per individuare le caratteristiche specifiche relativamente


all’igiene di alcuni alimenti di origine animale:

- Carni di ungulati domestici - Bovini, suini, ovini, caprini, equini

c) Carni di pollame e di lagomorfi - polli, conigli, lepri e roditori

d) Carni di selvaggina di allevamento cervidi, suidi

e) Carni di selvaggina non di allevamento

f) Carni macinate, preparazioni di carni e carni separate meccanicamente (CSM)

g) Molluschi bivalve viventi

h) Prodotti della pesca

i) Latte crudo e prodotti del latte

j) Uova e ovoprodotti

k) Cosce di rane e lumache

l) Grassi animali fusi e ciccioli

m) Stomaci, vesciche e budelli

n) Gelatina e collagene
Oltre le specifiche previsioni per gli stabilimenti di raccolta o di trasformazione delle materie prime per
quanto attiene l’immagazzinamento, la preparazione e la conservazione (grassi animali e ciccioli) nonché la
produzione e la commercializzazione di stomaci; vesciche e budelli trattai e la produzione di geltina e
collagene.

Lezione 13
La disciplina di vigilanza e controllo
“REG (CE) 882/2004 relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di
mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali”

Il Regolamento colma le lacune della legislazione vigente in materia di controlli ufficiali degli alimenti e dei
mangimi grazie a un approccio comunitario armonizzato per lo sviluppo e la gestione dei sistemi di controllo
nazionali in una logica di attuazione della responsabilità in capo alle autorità dei singoli Stati membri già
dettate dal REG CE 178/2002, con due semplici obiettivi

5. prevenire o eliminare i rischi che potrebbero derivare direttamente dall'ambiente per gli esseri umani
e gli animali, oppure ridurre tali rischi a un livello accettabile;

p) garantire pratiche eque per quanto riguarda il commercio dei mangimi e dei prodotti alimentari e la
tutela degli interessi dei consumatori, ivi comprese l'etichettatura dei mangimi e dei prodotti
alimentari e qualsiasi altro tipo di informazioni destinate ai consumatori.

OBBLIGHI DEGLI STATI MEMBRI

Gli Stati membri garantiscono che i controlli ufficiali siano eseguiti periodicamente, in base ad una valutazione
dei rischi e con una frequenza appropriata. Per raggiungere gli obiettivi del presente regolamento, si deve
tenere conto:

□ dei rischi identificati associati agli animali, ai mangimi o agli alimenti, alle relative aziende, e durante
qualsiasi fase di trasformazione o perazione che possa influire nella sicurezza dei mangimi o degli
alimenti, sulla salute o sul benessere degli animali;

• dei dati precedenti relativi agli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti per quanto riguarda
la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul
benessere degli animali;

• l’affidabilità dei propri controlli già eseguiti ͖

• di qualsiasi informazione che possa indicare un’eventuale non conformità.

OBBLIGHI DEGLI OSA

Gli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti sono tenuti a sottoporsi ad ogni ispezione effettuata in
base al regolamento e a coadiuvare il personale dell’autorità competente nell’assolvimento dei suoi compiti.

I CONTROLLI

Gli Stati membri designano le autorità competenti ad eseguire i controlli ufficiali che dovranno operare
secondo EFFICIENZA, EFFICACIA e IMPARZIALITA’, per mezzo di personale qualificato, attrezzature adeguate ed
anche realizzando piani di emergenza. Esiste la possibilità di delegare alcune mansioni specifiche di controllo
dall’Autorità preposta ad organismi non governativi purché questi ultimi soddisfino una serie di condizioni
definite dal regolamento. Non è delegabile l'adozione di misure di attuazione.

I controlli organizzati vengono svolti in qualsiasi fase della produzione, della trasformazione e della
distribuzione dei mangimi e degli alimenti e senza preavviso e con regolarità temporale, secondo i principi di:
Trasparenza, laddove esistano motivi validi per sospettare che un prodotto alimentare o un mangime presenti
un rischio per la salute umana o animale e riservatezza, per tutte le informazioni coperte da segreto
professionale.

L'Ente preposto ha il compito di effettuare il campionamento per l’analisi: il prelievo di un mangime o di un


alimento oppure di una qualsiasi altra sostanza (anche proveniente dall’ambiente) necessaria alla loro
produzione, trasformazione e distribuzione o che interessa la salute degli animali, per verificare, mediante
analisi, la conformità alla normativa in materia di mangimi e alimenti e alle norme sulla salute degli animali;

CAMPIONAMENTO E ANALISI

I metodi di campionamento e di analisi utilizzati nel settore dei controlli ufficiali sono conformi alle norme
comunitarie oppure se tali norme non esistono, a norme o protocolli riconosciuti internazionalmente, ad
esempio quelli accettati dal Comitato Europeo di Normalizzazione (CEN) o quelli accettati dalla legislazione
nazionale.

Le autorità competenti fissano procedure adeguate atte a garantire il diritto degli operatori del settore dei
mangimi e degli alimenti, i cui prodotti sono oggetto di campionamento e di analisi, di chiedere un ulteriore
parere di esperti, fatto salvo l'obbligo delle autorità competenti di intervenire rapidamente in caso di
emergenza.

In particolare, esse vigilano affinché gli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti possano ottenere un
numero sufficiente di campioni per un ulteriore parere di esperti (controcampione), a meno che ciò sia
impossibile nel caso di prodotti altamente deperibili o dello scarsissimo quantitativo di substrato disponibile.

I campioni devono essere manipolati ed etichettati in modo tale da garantirne la validità dal punto sia giuridico
che analitico. (Art. 11 Reg. (CE) 882/2004)

I metodi di campionamento e analisi impiegati nel contesto dei controlli ufficiali devono essere pienamente
convalidati conformemente alla legislazione comunitaria o a protocolli internazionalmente accettati.

I LABORATORI UFFICIALI

L'autorità competente designa i laboratori che possono eseguire l'analisi dei campioni prelevati durante i
controlli ufficiali.

Le autorità competenti, tuttavia, possono designare soltanto i laboratori che operano, sono valutati e
accreditati conformemente alle seguenti norme europee:

1. EN ISO/IEC 17025 su "Criteri generali sulla competenza dei laboratori di prova e di taratura"; 30.4.2004
IT Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 165

d. EN 45002 su "Criteri generali per la valutazione dei laboratori di prova";

e. EN 45003 su "Sistemi di accreditamento dei laboratori di taratura e di prova – requisiti generali per il
funzionamento e il riconoscimento", tenendo conto dei criteri per i diversi metodi di prova stabiliti
nella normativa comunitaria
LABORATORI COMUNITARI DI RIFERIMENTO (LCR)

Questi laboratori hanno il compito, in un'azione di stretto raccordo con i laboratori nazionali, di fornire ai
laboratori nazionali di riferimento dettagli sui metodi di analisi, compresi i metodi di riferimento.
Devono coordinare l'applicazione, dei metodi di analisi, in particolare organizzando test comparativi e
assicurando un appropriato follow-up di questi ultimi conformemente a protocolli internazionalmente
accettati, e attuare dove possibile le disposizioni pratiche necessarie per applicare nuovi metodi di analisi e
informare i laboratori nazionali di riferimento dei progressi in tale ambito.
Devono fornire assistenza scientifica e tecnica alla Commissione, particolarmente nei casi in cui gli Stati
membri contestano i risultati delle analisi;

I laboratori comunitari di riferimento nel settore della salute degli animali sono responsabili di:

a) coordinare i metodi di diagnosi delle malattie negli Stati membri;

2. apportare un aiuto efficace all'identificazione dei focolai delle malattie negli Stati membri
mediante lo studio degli isolati dell'agente patogeno loro inviati per conferma della
diagnosi,individuazione delle caratteristiche e studi epizooziologici;

3. facilitare la formazione iniziale o ulteriore degli esperti in diagnosi di laboratorio al fine di


armonizzare le tecniche diagnostiche in tutta la Comunità;

4. collaborare, per quanto concerne i metodi diagnostici delle malattie degli animali che rientrano
nel loro ambito di competenza, con i laboratori competenti dei paesi terzi in cui tali malattie sono
diffuse;

5. condurre corsi di formazione base e avanzata a beneficio del personale dei laboratori nazionali di
riferimento e di esperti dei paesi in via di sviluppo.

I laboratori comunitari di riferimento devono soddisfare i requisiti seguenti. Essi devono:

– disporre di personale adeguatamente qualificato e formato alle tecniche diagnostiche e di analisi


applicate nel loro ambito di competenze;

h) possedere le attrezzature e i prodotti necessari per espletare i compiti loro assegnati;

i) assicurare che il personale rispetti la natura riservata di certe tematiche, risultati o comunicazioni;

j) avere sufficiente conoscenza delle norme e delle prassi internazionali;

k) disporre di un elenco aggiornato delle sostanze di riferimento e dei reagenti disponibili e di un elenco
aggiornato dei fabbricanti e dei fornitori di tali sostanze e reagenti;

l) tenere conto delle attività di ricerca a livello nazionale e comunitario,

m) disporre di personale qualificato a cui far ricorso in situazioni di emergenza nell'ambito della Comunità

I PIANI DI EMERGENZA

Sono previsti dei piani di emergenza - con specificazione di Autorità coinvolte e relativi poteri e
responsabilità - ove si delineano le misure da attuarsi, laddove risulti che mangimi o alimenti presentino,
direttamente o tramite l'ambiente, un serio rischio per gli esseri umani o gli animali. Detti piani
d'intervento specificano le autorità amministrative da coinvolgere unitamente ai loro poteri e
responsabilità.
CONTROLLI DEI PRODOTTI PROVENIENTI DA PAESI TERZI

Si precisa che:

- il controllo regolare è da svolgere in stretta cooperazione tra servizi doganali ed Autorità competente
in qualsiasi punto e fase della catena di distribuzione sia prima che dopo l'immissione in libera pratica
dell' importatore. Vi deve essere una stretta cooperazione tra i servizi doganali e l'autorità
competente;

3. deve essere previsto un elenco aggiornato di mangimi e di prodotti alimentari che possono presentare
rischi, con soggezione a i necessari controlli da eseguirsi presso il punto di entrata nell'UE prima
dell'immissione in libera pratica degli stessi;

• In difetto di ottemperanza alla normativa i prodotti possono essere:

a) sequestrati

b) confiscati

c) distrutti

d) sottoposti a trattamento speciale

e) rispediti al di fuori dell’Unione europea a cura e onere del responsabile dell’importazione

Se i controlli ufficiali richiedono l'intervento di più di uno Stato membro, le autorità competenti interessate
si prestano reciprocamente assistenza amministrativa designando un organo di collegamento e scambio di
informazioni che - paventandosi un rischio grave - è elemento di collegamento con tutte le Autorità competenti.

Piani nazionali di controllo

Ogni Stato membro deve predisporre un piano di controllo nazionale inizialmente pluriennale e poi
annualmente aggiornato, con la finalità di promuovere un approccio armonizzato che incoraggi l'adozione di
buone pratiche.

Controlli comunitari negli Stati membri, nei e dei paesi terzi

Ai servizi di controllo dell'Unione Europea è oggi consentito predispore un audit dei sistemi di controllo degli
Stati membri e se necessario effettuare le ispezioni e gli audit ad opera dell'Ufficio alimentare e veterinario
(FVO) della Commissione.

Controlli effettuati in paesi terzi

I paesi terzi che intendono esportare merci verso l'UE devono fornire alla Commissione informazioni circa
l'organizzazione e la gestione generale dei rispettivi sistemi di controllo sanitario. In mancanza di informazioni
sufficienti, dopo consultazione con il paese interessato la Commissione può adottare misure provvisorie.

Controlli dei paesi terzi negli Stati membri

Le autorità dei paesi terzi hanno diritto a organizzare controlli negli Stati membri, facendosi accompagnare
eventualmente da rappresentanti dell'FVO; questi rappresentanti possono assistere gli Stati membri fornendo
informazioni e dati disponibili a livello comunitario che possono essere utili nel contesto del controllo del paese
terzo.

Misure nazionali di attuazione

Ove rilevata una infrazione l’Autorità competente valutando la gravità e la eventuale recidiva dell’operatore
inadempiente può disporre:
1. ritiro dal mercato

v) distruzione del prodotto

vi) chiusura dell’azienda

vii) ritiro dello status approvato dello stabilimento o altro similare

viii) ulteriori sanzioni

oltre a misure di salvaguardia ove appurata la mancata conformità da parte di uno Stato membro alle
previsioni della normativa comunitaria.

IL REG (CE) n. 854/2004

“Regolamento (CE) n. 854/2004 stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti
di origine animale destinati al consumo umano”

All’ interno del “pacchetto igiene” la normativa comunitaria esalta l’importanza degli obiettivi da perseguire in
materia di sicurezza alimentare, affidando agli OSA la responsabilità di adottare le più opportune e necessarie
misure di sicurezza al fine di garantire la non pericolosità dei prodotti alimentari.

Il Regolamento intende garantire l'igiene dei prodotti alimentari in tutte le fasi del processo di produzione, da
quella primaria fino alla vendita al consumatore finale.

Obiettivo di fissare un impianto normativo per la regolamentazione specifica dei controlli ufficiali sui prodotti
di origine animale.

Si applica ad attività e persone cui a sua volta si applica il Reg. 853/04 e NON a questioni relative a:

- Nutrizione

i) Profili qualiquantitativi dei prodotti alimentari

j) Preparazioni di alimenti ad uso domestico

k) Produzione primaria

ASSETTO DEFINITORIO (definizioni)

Come sempre la norma comunitaria detta le definizioni di termini utilizzati al proprio interno.

 "controllo ufficiale": qualsiasi forma di controllo eseguita dall'autorità competente per la verifica
dell'ottemperanza alla normativa in materia di prodotti alimentari comprese le norme sulla salute degli
animali e sul benessere degli animali;

iv) "verifica": il controllo, mediante esame e la presentazione di prove obiettive, dell'ottemperanza a


requisiti specifici;

v) "autorità competente": l'autorità centrale di uno Stato membro responsabile per effettuare controlli
veterinari o qualsiasi autorità cui sia stata delegata tale competenza;

vi) "audit": un esame sistematico e indipendente per accertare se determinate attività e i risultati correlati
sono conformi alle disposizioni previste e se tali disposizioni sono attuate in modo efficace

vii) "ispezione": l'esame di stabilimenti, di animali e di prodotti alimentari e della loro trasformazione, delle
aziende del settore dei prodotti alimentari e del loro sistema di gestione e di produzione compresi
documenti, test sul prodotto finito e sulle prassi di somministrazione di mangimi, nonché dell'origine
e destinazione degli input e output di produzione per verificare che tutte queste voci siano conformi
alle prescrizioni di legge;

viii) veterinario ufficiale": veterinario qualificato, ai sensi del presente regolamento, ad assumere tale
funzione e nominato dall'autorità competente;

ix) "veterinario autorizzato": veterinario designato dall'autorità competente ad effettuare controlli


specifici per suo conto su imprese;

x) "assistente specializzato ufficiale": persona qualificata, ai sensi del presente regolamento, ad assumere
tale funzione, nominata dall'autorità competente e operante sotto l'autorità e responsabilità

xi) "bollo sanitario": bollo indicante, quando applicato, che sono stati effettuati controlli ufficiali in
conformità del presente regolamento

I CONTROLLI UFFICIALI

le tipologie di controllo possono essere di due tipologie:

2. Audit di buone prassi e procedure basate sui principi HACCP

o) Audit specifici con codifiche per singoli settori

per il riconoscimento dello stabiliomento

□ Visita dell’Autorità competente in loco con successivo riconoscimento, successivamente dopo 3 mesi
viene effettuata una nuova visita e successivo riconoscimento definitivo

OPPURE

□ Proroga riconoscimento temporaneo per max ulteriori 3 mesi

□ Per le navi officina e le navi congelatrici battenti bandiera di uno degli stati membri i periodi max di 3
o sei mesi possono essere prorogati sino ad un max complessivo di 12 mesi.

Ai fini di consentire i CONTROLLI UFFICIALI su tutti i prodotti di origine animale:

1. Gli Stati membri si adoperano affinché gli operatori del settore alimentare forniscano tutta
l’assistenza necessaria garantendo l’accesso a edifici, stabilimenti, impianti e altre infrastrutture,
garantendo l’accesso alla documentazione e ai registri richiesti a titolo del presente regolamento
oppure ritenuti dall’autorità competente necessari per valutare la situazione.

e) L’autorità competente effettua controlli ufficiali per verificare il rispetto da parte degli operatori del
settore alimentare dei requisiti previsti: dal regolamento (CE) n. 852/2004; dal regolamento (CE)
n.853/2004; e dal regolamento (CE) n. 1774/2002.

I CONTROLLI UFFICIALI comprendono:

a) audit di buone prassi igieniche e procedure basate su HACCP;

b) i controlli ufficiali di cui agli articoli da 5 a 8;

c) qualsiasi compito di audit specificato negli allegati del presente Regolamento CE 854/2004.

d) Verifica della conformità dei marchi di identificazione rispetto a quanto indicato nel Reg. (CE) 853/04.
GLI AUDIT

Gli audit di buone prassi igieniche verificano il costante rispetto delle procedure degli operatori del settore
alimentare per quanto riguarda almeno:

a. controlli sull’informazione in materia di catena alimentare;

3. concezione e manutenzione dei locali e delle attrezzature;

4. igiene preparativa, operativa e postoperativa;

5. igiene personale;

6. formazione in materia di igiene, e procedure di lavoro;

7. lotta contro i parassiti;

8. qualità delle acque;

9. controllo della temperatura;

10. controlli sui prodotti alimentari che entrano ed escono dallo stabilimento e la documentazione di
accompagnamento (Art. 4 par. 4 Reg. ult. cit.)

Nello svolgere compiti di audit, le autorità competenti prendono particolare cura di determinare se il personale
e le attività del personale nello stabilimento in tutte le fasi del processo di produzione soddisfano i pertinenti
requisiti dei regolamenti

Per facilitare l’audit, le autorità competenti possono effettuare prove di rendimento atte ad accertare che il
rendimento del personale soddisfi determinati parametri:

□ verificare i pertinenti dati dell’operatore del settore alimentare;

d) prelevare campioni per analisi di laboratorio ogniqualvolta ciò sia necessario; e

e) documentare elementi presi in considerazione e i risultati dell’audit.

Gli Audit con procedure basate su HACCP verificano che gli operatori del settore alimentare applichino dette
procedure in permanenza e correttamente, provvedendo in particolare ad assicurare che queste forniscano le
garanzie specificate nella sezione II dell’allegato II del regolamento (CE) n. 853/2004. In particolare essi
determineranno se le procedure garantiscono, nella misura del possibile, che i prodotti di origine animale:

a) sono conformi ai criteri microbiologici stabiliti a titolo della normativa comunitaria;

b) sono conformi alla normativa comunitaria su residui, contaminanti e sostanze proibite;

c) non presentano pericoli fisici quali corpi estranei

IL VETERINARIO UFFICIALE

Sulle carni fresche i controlli vengono effecuati dal veterinario ufficiale che svolge compiti ispettivi nei macelli,
nei centri di lavorazione della selvaggina e nei laboratori di sezionamento , in particolare per quanto riguarda:

1) le informazioni sulla catena alimentare;

2) l’ispezione ante mortem;

3) il benessere degli animali durante il pascolo e l’allevamento;

4) l’ispezione post mortem;


5) il materiale specifico a rischio;

6) le prove di laboratorio.

7) la bollatura sanitaria

Dopo l’esecuzione dei controlli il veterinario ufficiale assume le più opportune misure ed in particolare :

a) la comunicazione dei risultati dell’ispezione;

b) decisioni concernenti l’informazione sulla catena alimentare;

c) decisioni concernenti gli animali vivi;

d) decisioni concernenti il benessere degli animali;

e) decisioni concernenti la carne.

CONTROLLI SU ALTRI PRODOTTI

Il Reg. CE 854/2004 prevede, oltre i controlli sulle carni fresche, anche discipline specifiche per:

 I molluschi bivalvi vivi

 I prodotti della pesca

 Il latte

 I prodotti derivati dal latte

LE AUTORITA’ PREPOSTE I RELATIVI CONTROLLI UFFICIALI IN ITALIA

MINISTERO DELLA SALUTE

Cui sono attribuite le funzioni spettanti allo Stato in materia di tutela della salute umana, di coordinamento del
Sistema Sanitario Nazionale, di sanità veterinaria, di tutela della salute nei luoghi di lavoro, di igiene e sicurezza
degli alimenti

REGIONI E PROVINCIE AUTONOME

hanno compiti di indirizzo e coordinamento delle attività territoriali delle singole ASL che pianificano,
programmano ed eseguono i controlli ufficiali sugli OSA a livello locale

NUCLEI ANTISOFISTICAZIONI E SANITA’ (NAS)

appartenenti al comando carabinieri per la tutela della salute, in dipendenza funzionale dal Ministro della
Salute - con la doppia qualifica di ispettori sanitari e di ufficiali di polizia giudiziaria - svolgono attività
investigativa e di controllo sull’ intero territorio nazionale nelle aree degli Alimenti e Bevande nonché in quella
della Sanità Pubblica.

SERVIZI DI IGIENE DEGLI ALIMENTI E DELLA NUTRIZIONE (SIAN)

deputati alla verifica preliminare dei requisiti edilizi dell’insediamento di imprese alimentari, nonchè di
formazione e sorveglianza in specie delle tossinfezioni alimentari oltre al controllo delle acque destinate al
consumo umano e più in generale all’ igiene della nutrizione
LEZIONE 14
Italian Sounding
IL FENOMENO DELL’ITALIAN SOUNDING

• IL FENOMENO DELL’ITALIAN SOUNDING- NOZIONE: inserito nell’ambito della frode alimentare


commerciale. Utilizzazione di denominazioni geografiche (DOP, IGP), immagini (tricolore o immagini
del golfo di Napoli o del Vesuvio), nomi (Parmesan) abbinamenti ed altri elementi idonei ad evocare
l’Italia e la sua cultura enogastronomica, con riferimento a prodotti che non sono, del tutto o in
parte, italiani.

Vuoto di tutela

• NO TUTELA PENALE: non si tratta di una contraffazione né di una falsificazione, poiché nelle etichette
è riportata l’origine veritiera dei prodotti (art. 515 del codice penale)

• NO TUTELA COMMERCIALE: le imprese italiane non possono distinguere i loro prodotti con
denominazioni non ammesse nell’Unione Europea, in quanto giudicate ostative al libero scambio e
contrastanti con il principio del mutuo riconoscimento.

Non sembra possibile neanche utilizzare la tutela offerta dai segni distintivi e dalle denominazioni
merceologiche: eccezion fatta per i regimi europei di qualità (DOP, IGP, STG), ogni Stato membro
dell’Unione è tenuto ad accettare i prodotti fabbricati e commercializzati legalmente dagli altri Stati
membri con il nome da questi prescelto (Principio del mutuo riconoscimento, elaborato dalla Corte di
giustizia (sentenza Cassis de Dijon del 20 febbraio 1979) e successivamente stemperato dal criterio della
“sostanziale diversità qualitativa”, che consente il cambiamento del nome del prodotto importato,
(sentenza Smanor del 14 luglio 1988)).

Due diverse pratiche:

a) L’italian sounding fuori Europa


 Principalmente USA (giro di affari stimato: 3 mld di Euro), Brasile, Argentina, Australia. Alimenti
prodotti da imprese che nulla hanno a che fare con l’Italia ma che utilizzano immagini, simboli,
parole ed abbinamenti evocativi del Bel Paese al fine di sfruttarne l’appeal in materia di gusto e
qualità alimentare.

b) L’Italian sounding in Europa

• diffusa sia in Europa che fuori Europa, alimenti prodotti da imprese che hanno realizzato una
delocalizzazione dall’Italia verso altri Paesi in cui i costi di produzione sono sensibilmente inferiori
e che vantano il diritto, stante “l’origine” italiana.

TUTELA DELLE INDICAZIONI GEOGRAFICHE NEGLI USA:

Nell’ordinamento statunitense le indicazioni d’origine non vengono tutelate come tali, bensì per il
tramite di marchi di certificazione.

• CERTIFICATION MARK: marchio che garantisce la provenienza di un prodotto. Consiste in qualsiasi


parola, nome o simbolo idoneo negli USA ad indicare l’origine del prodotto, i materiali utilizzati e il
modo di produzione.
La titolarità del Certification Mark (disciplinato dal Lanham Act) è attribuita ad un soggetto terzo (quindi non
al titolare che ne ha ottenuto la registrazione) il quale certifica la rispondenza del prodotto a determinati
standard e, conseguentemente, autorizza l’utilizzo del marchio (espediente introdotto per incrementare la
terzietà dei controlli).

Il Lanham Act difatti prevede che il marchio di certificazione possa essere cancellato quando il titolare del
Certification Mark:

a) non controlla che coloro che utilizzano il marchio rispettino gli standard prefissati;
b) produce e/o commercializza prodotti sui quali viene apposto il marchio;
c) rifiuta in modo ingiustificato di certificare prodotti che rispettano il regolamento d’uso.

DIFFERENZE DELLA DISCIPLINA USA/UE

• Negli USA l’organismo che attribuisce il marchio di certificazione (USPTO, a cui si presentano le
domande di registrazione) non conduce un esame per accertare gli standard qualitativi del prodotto
associato al marchio, ma si limita a verificare l’adempimento degli obblighi burocratici;

• In Italia i produttori interessati alla registrazione di un marchio collettivo devono presentare un


DISCIPLINARE DI PRODUZIONE (elenco caratteristiche qualitative del prodotto) e le imprese che
ottengono il marchio sono soggette a controlli volti a verificare gli standard contenuti nel
disciplinare.

• Negli Usa Il titolare di un Certification Mark perde il suo diritto una volta che il nome registrato
venga ritenuto generico dai giudici di merito.

• Nel nostro ordinamento Ue, le denominazioni relative all’origine dei prodotti non possono mai
diventare generiche e perdere tutela.

L’italian sounding in Europa 1

Pratiche commerciali legate ad un uso distorto del Made in Italy (causa delocalizzazione delle imprese).

Il Made in Italy non costituisce un marchio ma un valore, percepito come tale dai consumatori.

Fonti normative Europee, relative al Made in Italy, processo evolutivo articolato:

 Accordo di Madrid del 1891: tutela della provenienza del prodotto. Le merci che recavano una
falsa o ingannevole indicazione di provenienza venivano sanzionate con il sequestro alla dogana.
 Codice Doganale Comunitario: la merce è originaria del Paese in cui è stata effettuata l’ultima
trasformazione/lavorazione sostanziale;
 Direttiva n. 2000/13: norme in materia di etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti
alimentari. Definisce l’etichetta come “l’insieme delle menzioni, delle indicazioni dei marchi,
delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare”;
 La Dir. n. 2000/13, è oggi superata dal Regolamento n. 1169 del 2011:
o conferma il divieto imposto agli operatori del settore alimentare di indurre in errore i
consumatori per quanto riguarda, tra l’altro «il Paese di origine o il luogo di
provenienza» del prodotto alimentare;
o l’art. 2 del Regolamento UE n. 1169/2011, precisa che il luogo di provenienza di un
prodotto alimentare è «qualunque luogo indicato come quello da cui proviene
l’alimento, ma che non è il “Paese di origine”»;
o agli artt. 38 e ss. il Regolamento prevede che il singolo Stato membro può introdurre
disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del paese di origine o del luogo di
provenienza, applicando il principio di sussidiarietà;
L’italian sounding in Europa 2

Fonti normative nazionali:

 Legge n. 350/2003, ha apprestato una tutela penale delle indicazioni di provenienza con
riferimento ai prodotti industriali ed ha esteso la medesima tutela ai prodotti agricoli attraverso
l’art. 4, 49° comma;

 Nel 2006, il legislatore nazionale ha esteso la tutela prevista dall’art. 4, 49° comma della legge n.
350: viene inserito il seguente inciso “incluso l’uso di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle
pratiche commerciali scorrette”.

 Legge n. 55/2010: ha istituito un sistema di etichettatura obbligatoria, dei prodotti finiti ed


intermedi destinati alla vendita: evidenziare il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione e
assicurare la tracciabilità dei prodotti. Il sistema riguarda soltanto il settore tessile, della
pelletteria e calzaturiero.

Applicazioni giurisprudenziali

Distinzione tecnica tra:

- L’origine di una merce consiste nel luogo della sua materiale fabbricazione. Non può essere apposto
il “Made in” se il prodotto (prima solo industriale, oggi anche agricolo) non può essere considerato
fabbricato in un dato luogo geografico secondo i criteri propri del Codice Doganale Europeo;
- provenienza di un prodotto: l’imprenditore può continuare ad apporre il proprio marchio sui
prodotti, anche se i medesimi vengono realizzati all’estero, purché conservi il controllo giuridico ed
economico della filiera di produzione, in modo da assicurare la qualità del prodotto finale.

La Suprema Corte di Cassazione:

 ha ritenuto penalmente irrilevante l’indicazione, su prodotti realizzati all’estero, del nome del
produttore italiano e del luogo in cui questi avesse la sede legale, purché l’imprenditore potesse
dimostrare di sovrintendere l’intero processo produttivo;
 ha ritenuto penalmente rilevante apporre il “Made in Italy” (ed espressioni similari: designed in Italy)
su prodotti non fabbricati in Italia secondo la normativa europea.

(tale interpretazione trova applicazione esclusivamente per i prodotti alimentari generici e non per quelli che
traggono dal luogo di produzione delle qualità intrinseche).

DUE PROSPETTIVE DI TUTELA

Da un lato la disciplina del marketing, la quale dovrebbe educare il consumatore medio a leggere
consapevolmente le etichette dei prodotti alimentari.

Dall’altro lato la disciplina delle pratiche commerciali scorrette, la quale considera ingannevoli le attività
imprenditoriali volte ad indurre in errore i consumatori nelle decisioni di acquisto:

 disciplina delle pratiche commerciali scorrette, così come introdotta dal legislatore nel 2005
all’interno del Codice del consumo. Il Codice del consumo, in particolare, sancisce un generale
divieto delle pratiche commerciali scorrette (art. 20), per tali intendendosi tutte le azioni, omissioni e
dichiarazioni, realizzate da un professionista e contrarie alla diligenza professionale.
Le pratiche rilevanti relative al fenomeno dell’italian sounding sono le pratiche ingannevoli, sia quelle
contenenti informazioni o non rispondenti al vero, traendo in inganno il consumatore circa molteplici
caratteristiche dei prodotti (tra le quali l’origine geografica o commerciale degli stessi) sia le pratiche
idonee ad indurre il consumatore ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe
mai preso.

Il Codice del consumo ha attribuito il controllo e l’applicazione della disciplina delle pratiche
commerciali all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale può, a fronte di una
segnalazione proveniente da soggetti privati o associazioni di categoria, aprire un procedimento
istruttorio finalizzato a valutare la scorrettezza di una pratica commerciale perpetrata da un’impresa.
All’esito dell’istruttoria, l’Autorità può inibire ad un’impresa la continuazione di una pratica
commerciale valutata come scorretta ed ottenere dal professionista l’assunzione di impegni circa la
rimozione della pratica stessa. Laddove il professionista decida di non collaborare, l’Autorità ha il
potere di vietare la pratica contestata e disporre una sanzione amministrativa pecuniaria, che tenga
conto della gravità e della durata della scorrettezza. Nell’ipotesi di inottemperanza al divieto ed alla
sanzione, infine, l’Autorità può irrogare un’ulteriore sanzione ed ordinare la sospensione dell’attività
di impresa per un periodo massimo di dieci giorni.

LEZIONE 15
L’Italia e i suoi prodotti di qualità
Oscar Farinetti è un imprenditore italiano fondatore della catena Eataly (2007), catena di punti vendita di
medie e grandi dimensioni specializzati nella vendita e nella distribuzione di generi alimentari italiani che già
nel 2012 ha 9 filiali in Italia, 9 in Giappone e una a New York, mentre nel 2016 la rete è formata da 38 negozi
di cui 16 all’estero ed un fatturato di molti milioni di euro.

Il modello di Eataly è un ibrido, non solo un supermercato, non solo un ristorante, ma entrambi.

La formula è quella di poter mangiare sul posto lo stesso prodotto che è in vendita esaltando il prodotto
agroalimentare di qualità e la cucina italiana, dove persino nelle confezioni regalo sono contenute lezioni di
cucina.

Tra i fornitori storici di Eataly figurano i migliori produttori di prodotti alimentari nazionali, per esempio nel
settore dolciario, tra i tanti, ricordiamo Venchi per la cioccolateria, biscottificio Gentilini con la fornitura di
prodotti “di nicchia”, diversi dai prodotti tradizionali molto diffusi nel Lazio, etc.

La filosofia è quella di assaggiare ciò che si sceglie.

Assegnatario di numerosi premi, Oscar Farinetti è stato aggiudicatario nel 2011 del Premio Artusi “per aver
saputo diffondere l’immagine del cibo italiano e quindi della cultura italiana”.

Riflessione su La fortuna di nascere in Italia, le straordinarie meraviglie e biodiversità dell’Italia rendendolo


un paese unico al mondo:

• Siamo lo 0,83% degli abitanti del mondo con una condizione geografica unica ed un clima favorevole
che ci consente di ottenere prodotti alimentari DI VALORE.

• L’Italia è l’unica penisola che viaggia stretto da nord a sud su una latitudine perfetta chiusa
all’interno di un mare buono, unica situazione geografica del pianeta, succede quindi che i venti
buoni dei nostri mari si incontrano coi venti buoni delle nostre colline e delle nostre montagne ed è
una cosa unica al mondo
• L’incontro dei venti ci regala il basilico genovese più buono al mondo, così come il prosciutto San
Daniele in Friuli, figlio della Bora e delle Dolomiti, il prosciutto di Parma, figlio delle Alpi Apuane e ai
venti del mediterraneo, la pasta più buona in assoluto a Gragnano, a Napoli, etc.

• L’Italia, che rappresenta lo 0,5% della superficie del mondo, vanta 7.000 specie di vegetali
mangiabili, 58.000 specie animali, 1.200 vitigni autoctoni, il secondo è la Francia con 222. In Italia ci
sono 533 cultivar di olive, 140 cultivar di grano duro.

• Siamo il paese più biodiverso e il paese con la più grande tradizione alimentare del mondo.

• Sempre ricondotta al noto imprenditore, nel settore agroalimentare ricordiamo FICO (Fabbrica
Italiana Contadina), una specie di Disneyland del food, a Bologna, dove il target poetico è spiegare la
terra ai bambini, la terra che l’uomo lavora da milioni di anni per tirare fuori i prodotti per mangiare,
tra i cui obiettivi vi è quello di raddoppiare il valore delle esportazioni delle nostre eccellenze nel
mondo, per la nostra parte delle eccellenze alimentari.

LEZIONE 16
Approfondimenti regime di qualità degli alimenti
LE DOP, LE IGP (e LE STG): IL REGOLAMENTO (UE) N.1151/2012 SUI REGIMI DI QUALITA’ DEGLI ALIMENTI

Alla base della normativa UE sui regimi di qualità si ritrova:

- la tutela degli interessi dei consumatori;


- il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale;
- la realizzazione degli obiettivi di sviluppo rurale del settore agricolo.

Da qui l’istituzione di un sistema di tutela di “regimi di qualità” che consenta di valorizzare e proteggere sul
mercato i prodotti agro-alimentari le cui caratteristiche sono collegate ad un territorio d’origine.

È il Reg. n. 1151/2012 sui regimi di qualità dei prodotti alimentari a disciplinare le DOP, le IGP e le STG.

La DOP (denominazione di origine protetta) è il nome che identifica un prodotto:

a) originario di un luogo, regione o di un paese


b) la cui qualità o caratteristiche sono dovute ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi
intrinseci fattori naturali e umani;
c) le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata (art.5, par.1).

L’IGP (indicazione geografica protetta) è il nome che identifica un prodotto:

a) originario di un determinato luogo, regione o paese;


b) alla cui origine geografica sono attribuibili una data qualità, la reputazione o altre caratteristiche;
c) la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata (art.5,
par.2).

La distinzione tra DOP e IGP deriva dai seguenti elementi:

- nella DOP le caratteristiche legate all’ambiente geografico devono essere anche intrinseche al prodotto
(gusto, colore, aroma) mentre nel caso IGP ad essere espressione del legame col territorio può essere
solo la reputazione, ad esempio un dato sociologico che identifica la radice storica nell’origine
tradizionale di quel prodotto;
- affinché un prodotto possa fregiarsi di una DOP è necessario che tutte le fasi di produzione,
trasformazione ed elaborazione (confezionamento) si svolgano nella zona geografica delimitata, mentre
se si tratta di una IGP è sufficiente che una sola di tali fasi sia svolta entro la zona.

La registrazione di una DOP o di una IGP avviene tramite un’articolata procedura che inizia nel momento in
cui taluni produttori, riuniti in associazioni (es. consorzi di tutela), presentano all’autorità competente dello
Stato in cui è situata la zona geografica, un’apposita domanda di registrazione, domanda accompagnata da
un disciplinare di produzione comprendente informazioni dettagliate sul prodotto e sul metodo di
produzione e dal c.d. documento unico che contiene gli elementi principali del disciplinare (denominazione,
descrizione del prodotto, descrizione del legame del prodotto con l’ambiente geografico).

Procedura per la registrazione di una DOP o IGP:

- fase di valutazione preliminare a livello nazionale da parte dell’autorità competente che in Italia è il
MIPAAF;
- il MIPAAF trasmette a sua volta la documentazione alla Commissione affinché questa valuti e adotti la
decisione finale in merito alla registrazione della DOP o dell’IGP in questione;
- la decisione della Commissione è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE.

Il Reg. (UE) n.1151/2012 prevede che la possibilità che oggetto di registrazione e tutela come DOP o IGP
siano anche prodotti di Paesi terzi, la cui domanda deve essere presentata alla Commissione tramite le
autorità del paese terzo di cui trattasi.

I nomi registrati come DOP o IGP sono oggetto di un regime di protezione che impedisce:

- l’uso del nome registrato per prodotti che non sono oggetto di registrazione; qualsiasi usurpazione,
imitazione o evocazione anche tramite l’uso di un nome che è una traduzione del nome protetto;

- l’uso di indicazioni che possono trarre in inganno sull’originale;

- qualsiasi prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto (art.13).

Il funzionamento del sistema delle DOP e IGP è fondato su un sistema di controlli ufficiali ove gli Stati membri
assicurano che gli operatori che utilizzano una DOP o IGP sono sottoposti alle autorità competenti incaricate
di controlli da svolgersi in adeguamento alla normativa europea.

In Italia le norme applicative su controlli e sanzioni riguardanti le violazioni delle disposizioni UE su DOP e IGP
sono dettate dal D.Lgs. 297/2004 ed è in capo ad ogni Stato membro l’obbligo di attivarsi per proteggere
qualsiasi prodotto che si fregi di una DOP o di una IGP allorché lo stesso sia commercializzato sul territorio
dello Stato in questione (c.d. protezione ex officio).

Per ciò che attiene l’accesso alla registrazione di una DOP, sono escluse le denominazioni generiche che, pur
riferendosi al luogo, alla regione, o al Paese in cui il prodotto era originariamente ottenuto o
commercializzato, sono diventate il nome comune di un prodotto (es. Feta greca).

Le denominazioni registrate sono tutelate contro qualsiasi prassi che possa indurre in errore il consumatore
circa l’origine del prodotto. La Corte di Giustizia ha ad esempio affermato che l’uso del segno “Parmesan”
può indurre in errore il consumatore recando pregiudizio ai produttori del vero prodotto DOP.

È legittima la disciplina da parte degli Stati membri di indicazioni che, pur contenendo un riferimento
geografico, non sono espressive di legami tra le caratteristiche del prodotto e la sua provenienza geografica
ponendosi al di fuori delle ipotesi disciplinate dalla normativa dell’UE su DOP e IGP (c.d. indicazioni
geografiche semplici).
Il Reg. (UE) n. 1151/2012 disciplina anche le specialità tradizionali garantite (STG) di cui possono fruire i
prodotti agricoli o alimentari ottenuti con metodi di produzione, trasformazione o una composizione che
corrispondono ad una pratica tradizionale e ottenuti da materie prime ed ingredienti utilizzati
tradizionalmente (es. la pizza napoletana).

Al fine di ottenere la registrazione di una STG le associazioni di produttori devono depositare un disciplinare
contenente le principali informazioni relative al prodotto e al metodo di produzione.

La qualità di cui è espressione il segno “STG” prescinde dall’aspetto ed il riferimento ad un luogo/zona di


origine è solo eventuale e l’uso della denominazione è consentito da parte di qualunque operatore europeo
che rispetti i metodi tradizionali di produzione.

LE NUOVE INDICAZIONI GEOGRAFICHE DEI VINI: I VINI DOP E IGP

Nell’originaria disciplina (Reg. (CE) n.1493/1999) delle denominazioni dei vini, venivano disciplinate:
denominazioni di origine controllata (DOC), denominazioni di origini controllata e garantita (DOCG) e
indicazioni geografiche tipiche (IGT), cui si affiancava una tutela comunitaria.

Con il reg. (UE) n.1308/2013 invece compaiono DOP e IGP vitivinicole che ricordano DOP e IGP oggi
disciplinate dal reg. (UE) n.1151/2012 laddove:

- “denominazione di origine” (DOP) di un vino è il nome di una regione, di un luogo determinato, di un


Paese che designa un prodotto di qualità e le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente ad un
particolare ambiente geografico e ai suoi fattori naturali e umani, ottenuti nella zona geografica
indicata da uve appartenenti alla specie Vitis vinifera, provenienti esclusivamente da tale zona
geografica;

- “indicazione geografica” (IGP) di un vino è l’indicazione riferita a una regione o luogo determinato
che designa un prodotto avente qualità, notorietà o altre caratteristiche attribuibili a tale origine
geografica ottenuto da uve appartenenti alla specie Vitis vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis
vinifera e altre specie del genere Vitis, provenienti per almeno l’85% da tale zona geografica e
vinificato in detta zona.

Nella normativa comunitaria ante-2008 la distinzione tra vini di qualità e vini da tavola era assai marcata
mentre la disciplina di cui al D.lgs n.61 del 2010 detta nuove disposizioni rispetto alla normativa comunitaria
distinguendo tra:

- denominazioni di origine protetta (DOP) dei vini definite come il nome geografico di una zona viticola
particolare utilizzato per designare un prodotto di qualità e rinomato, le cui caratteristiche sono
connesse all’ambiente naturale e a fattori umani;

- indicazioni geografiche protette (IGP) dei vini definite come il nome geografico di una zona utilizzato
per designare il prodotto che ne deriva e che possiede qualità, notorietà e caratteristiche attribuibili
a tale zona.

Tutt’altra era la situazione precedente all’attuale disciplina quando le regole comunitarie lasciavano agli Stati
membri il diritto di stabilire una protezione nazionale, nascente da procedimenti di riconoscimento affidati
alle autorità nazionali. Al contrario, nel nuovo quadro nascente dal reg. (UE) n.1308/2013 spetta solo alla
Commissione europea riconoscere e proteggere dette menzioni mentre il d.lgs. n.61/2010 classifica i vini DOP
in DOC e DOCG e stabilisce che le IGP comprendano i vini IGT e la ratio di tale espressioni prevede che le
indicazioni DOC, DOCG e IGT possono essere facoltativamente riportate in etichetta come menzioni
tradizionali protette; e ciò unitamente ad altre menzioni tradizionali che richiamano il metodo di produzione
o di invecchiamento oppure la qualità, il colore, il tipo di luogo o evento legato alla storia del prodotto.
L’effetto del riconoscimento di una DOP o di una IGP di un vino è quello di impedire che singoli produttori
possano appropriarsene indebitamente utilizzandola come marchio in via esclusiva allorché il nome deve
poter essere utilizzato da “qualsiasi operatore che commercializzi vino prodotto in conformità del disciplinare
di produzione” (art. 103 del reg. (UE) n.1308/2013), senza che il diritto d’uso sia sottoposto ad alcuna
condizione.

Ai sensi dell’art. 107 reg. (UE) n. 1308/2013 le denominazioni già riconosciute in base al Reg. (CE)
n.1493/1999 (protette come DOC, DOCG o IGT) sono protette anche in forza della nuova disciplina.

Nella giurisprudenza della Corte un tema importante riguarda la possibilità di subordinare l’uso di una DOP o
IGP all’effettuazione entro una zona geografica anche di alcune operazioni finali che servono a preparare il
prodotto al consumo (es. grattugiatura, confezionamento, imbottigliamento) denominate condizionamento,
problema che si pose per i vini a denominazione d’origine i quali potevano solitamente essere imbottigliati
fuori del territorio di produzione senza perdere la denominazione tutelata. In una prima sentenza la Corte
aveva dichiarato che non era stato dimostrato che l’imbottigliamento conferisse caratteristiche particolari o
un’operazione indispensabile alla conservazione delle caratteristiche da esso acquisite.

Successivamente la Corte ha sostenuto che le caratteristiche e le qualità del prodotto potrebbero essere
conservate anche se il vino è trasportato fuori la zona di produzione, ma le condizioni di tutela saranno più
soddisfatte qualora l’imbottigliamento venga effettuato da imprese stabilite entro la regione di produzione
in forza dell’esperienza e della conoscenza della qualità del vino in questione (quindi condizionamento in
loco del prodotto, ammettendo come imposizione nel disciplinare).

Le denominazioni di origine rientrano nei diritti di proprietà industriale e commerciale laddove nella
percezione del consumatore, il nesso tra la reputazione dei produttori e la qualità dei prodotti, dipende dalla
sua convinzione che i prodotti venduti con la denominazione di origine sono autentici.

Su questi aspetti, il legislatore interviene con l’art.7 del reg. (UE) n.1151/2012 chiarendo che il disciplinare
può contenere informazioni anche sul confezionamento per salvaguardare la qualità, garantire l’origine o
assicurare il controllo. Il reg. (UE) n.1151/2012 autorizza l’introduzione nel disciplinare di obblighi di
confezionamento in loco e non consente più quelle prescrizioni obbligatorie anche per il condizionamento
nella zona d’origine che erano state dichiarate legittime dalle sentenze della Corte di giustizia UE.

IL METODO DI PRODUZIONE BIOLOGICO

Il tema del “biologico” al pari di quello concernente DOP e IGP, si colloca nel contesto della politica di
valorizzazione e di tutela della qualità dei prodotti agro-alimentari che il Legislatore europeo ha promosso a
partire dagli anni ’90 nell’ambito della politica del settore agricolo (PAC). La disciplina sul metodo di
produzione biologico è contenuta nel reg. (CE) n.834/2007 (relativo alla produzione biologica e
all’etichettatura dei prodotti biologici), della cui base giuridica fa parte l’art. 114 TFUE.

Detto regolamento si propone di facilitare il funzionamento del mercato interno dei prodotti alimentari,
evitando fenomeni di concorrenza sleale e ostacoli agli scambi intracomunitari, garantendo un elevato livello
di tutela della salute dei cittadini dell’Unione e favorendo la trasparenza, la fiducia del consumatore ed una
percezione armonizzata del concetto di produzione biologica.

La produzione biologica è identificata come “un sistema globale di gestione delle aziende agricole e di
produzione agroalimentare basato sull’interazione delle migliori pratiche ambientali, un alto livello di
biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere
degli animali ed una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con
sostanze e procedimenti naturali”.
Gli obiettivi generali della produzione biologica consistono nel realizzare un sistema di gestione sostenibile
per l’agricoltura attraverso il rispetto dei cicli naturali delle colture, un uso responsabile delle risorse naturali
(in particolare l’acqua) ed il rispetto dei criteri in materia di benessere degli animali con procedimenti che
non danneggino l’ambiente, la salute umana, dei vegetali o la salute e il benessere degli animali.

L’azienda deve essere gestita secondo i requisiti applicabili alla produzione biologica, mentre in caso
all’interno della stessa azienda non tutte le unità siano dedite alla produzione biologica, l’operatore ha
l’obbligo di attuare adeguate separazioni.

Per ciò che attiene il campo di applicazione, il regolamento ha portata orizzontale, posto che si applica tanto
alla produzione e vendita di prodotti primari quanto di quelli agricoli trasformati, quindi produzione circa
allevamento di vegetali e animali quanto di alimenti trasformati quali vino e mangimi biologici. Detto
regolamento detta specifiche norme di produzione prevedendo l’uso di ingredienti biologici e limitando
additivi e micronutrienti. Sono ricompresi nel campo di applicazione della normativa il materiale di
propagazione vegetativa e le sementi per la coltivazione mentre sono esclusi i prodotti della caccia e della
pesca di animali selvatici.

Il reg. (CE) n.834/2007 detta i principi generali della produzione biologica sancendo il divieto di impiego di
fattori produttivi (antiparassitari, concimati) con divieto di impiego di organismi geneticamente modificati in
quanto incompatibili con il concetto di produzione biologica e con la percezione che i consumatori hanno di
essa. Si applica a qualsiasi operatore che esercita attività in qualunque fase della produzione, preparazione e
distribuzione

Il reg. stabilisce poi norme in materia di etichettatura e l’utilizzo del logo di produzione biologica. Allorché
venga usato il logo comunitario, diviene obbligatorio indicare nello stesso campo visivo “un’indicazione del
luogo in cui sono state coltivate le materie prime agricole di cui il prodotto è composto”:

- agricoltura UE o Agricoltura non UE a seconda che la materia prima agricola sia stata nell’Unione
europea o nei paesi terzi;
- agricoltura UE/non UE quando parte della materia prima agricola è stata coltivata nell’Unione
europea e parte no.

L’indicazione UE o non UE può essere sostituita dall’indicazione di un Paese quando tutte le materie
prime di cui il prodotto è composto siano state coltivate in quel Paese.

Per i prodotti trasformati, l’uso del termine “biologico” è subordinato al fatto che almeno il 95% degli
ingredienti di origine agricola sia biologico. Non deve trattarsi del 95% di tutti gli ingredienti ma solo di quelli
di origine agricola.

Al fine di assicurare il rispetto delle norme sulla produzione biologica è previsto un sistema di controllo
gestito a livello nazionale prevedendo per le imprese un certificato di conformità rilasciato da un organismo di
controllo autorizzato dall’autorità nazionale di controllo (in Italia il MIPAAF). L’organismo di controllo è
costituito da un ente terzo indipendente che effettua ispezioni e certificazioni nel settore della produzione
biologica e l’applicazione di misure sanzionatorie in caso di irregolarità nell’applicazione delle misure. L'art.
29 del reg. comunitario n. 834/2007, prevede che le autorità e gli organismi di controllo rilascino un
documento giustificativo agli operatori soggetti al controllo, i quali soddisfano i requisiti stabiliti.

Il rilascio del certificato di conformità deve essere esclusivamente richiesto dall’operatore, contenente le
informazioni, che riportano l’elenco dei prodotti con le relative indicazioni di conformità al metodo di
produzione biologico, per poter utilizzare nell’etichettatura, nella pubblicità o nei documenti commerciali,
dei prodotti in esso indicati, i termini riservati al metodo di produzione biologico.
L'art. 63 del regolamento comunitario n. 889/2008, stabilisce il regime di controllo e impegno dell'operatore in
tutte le misure concrete per garantire il rispetto delle norme di produzione biologica.

Dal punto di vista sanzionatorio, si identifica una responsabilità amministrativa anche del venditore in caso di
vendita di un prodotto biologico sfuso. Le violazioni sono gli artt. 1, 2 e 23 del Reg. (CE) n. 834/2007 e l’art. 63
del Reg. (CE) n. 889/2008 che prevedono che gli operatori che commercializzano prodotti sfusi richiamando il
termine “bio” o similari, devono essere anch’essi sottoposti al controllo ed alla certificazione da parte
dell'ODC autorizzato dal MIPAAF e notificarsi ad uno di essi.

Tali violazioni previste, sono punite dall'art. 10 comma 2 del Decreto Legislativo n. 20/2018, che recita: “Salvo
che il fatto costituisca reato, chiunque utilizza in maniera non conforme al regolamento i termini relativi alla
produzione biologica nell'etichettatura, nella pubblicità, nella presentazione e nei documenti commerciali di
prodotti rinvenuti in fase di commercializzazione, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000
euro a 3.000 euro”.

L’obbligo di rispettare il regolamento è previsto anche per le imprese in fase di conversione al metodo “Bio”
alle quali è preclusa la possibilità di fregiare il proprio prodotto della dicitura “bio” e del relativo logo. In
applicazione della normativa sulla produzione biologica è stato adottato il reg. (CE) n.889/2008 della
Commissione, contenente norme specifiche del metodo di produzione biologico, dell’etichettatura e dei
controlli.

L’importazione dei prodotti biologici dai Paesi extra-UE e loro commercializzazione nel territorio dell’UE, può
avvenire in caso di conformità dei prodotti alle disposizioni del reg. (CE) n.834/2007 e, nel caso si tratti di
prodotti che offrono garanzie equivalenti, ossia provenienti dai Paesi terzi il cui sistema di produzione e di
controllo dei prodotti biologici è considerato equivalente a quello dell’UE.

Per completezza, si segnala che è stato approvato e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il
nuovo reg. UE n.848/2018 del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativo alla produzione biologica e
all’etichettatura dei prodotti biologici, regolamento che dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio 2021,
abrogando il Reg. (CE) n.834/2007.

Lezione 17
Normativa mangimi
Elenco successione normative dei mangimi [la prof. ne legge solo alcuni e molto velocemente, è una semplice
introduzione]

- L. 281/1963 e succ. - mangimi per animali


- D. lgs. 360/1990 - modifica la L. 281 e istituisce elenco materie prime, denominazioni e indicazioni
obbligatorie
- D. lgs. 223/2003 - controlli ufficiali in alimentazione animale
- D. lgs. 26/2017 - Disciplina sanzionatoria per le violazioni delle disposizioni del reg. (CE) n. 767/2009
sull’immissione sul mercato ed uso dei mangimi
- Reg. (CE) 882/2004 - controlli ufficiali
- D. lgs. 45/1997 - alimenti dietetici per animali
- D. lgs. 149/2004 - sostanze e prodotti indesiderabili
- Reg. (CE) 183/2005 - igiene dei mangimi
- DPR 433/2001 - additivi per uso veterinario
- Reg. CE 1831/2003 - procedure comunitarie per autorizzazione additivi per mangimi
- D. lgs. 90/1993 - mangimi medicanti
- Reg UE del Consiglio e del Parlamento - sottoprodotti di origine animale (abroga precedente reg.
1774/2002)
- Reg. (CE) 767/2009 - immissione e uso dei mangimi
- Catalogo europeo materie prime per mangimi (ultimo aggiornamento reg. UE n. 1017/2017)

Abrogazioni dal 1 settembre 2010

- DPR 433/2001 - etichettatura mangimi composti con additivi


- D. lgs. 360/1999 - etichettatura materie prime per mangimi e mangimi composti
- D. lgs. 45/1997 - alimenti a particolari fini nutrizionali (c.d. “dietetici”)

L’aggiornamento della normativa prevede l’estensione dell’attività legislativa nazionale e comunitaria e un


nuovo testo sanzionatorio per le irregolarità commesse nel settore degli additivi per mangimi.

La Commissione Europea ha dato il via ad un progetto di semplificazione della legislazione nel settore dei
mangimi, attraverso regolamenti che superino le difficoltà nazionali.

Reg. (CE) n. 767/2009 del Parlamento e del Consiglio - immissione sul mercato ed uso dei mangimi. Ha come
obiettivi quello di armonizzare le condizioni di mercato, sicurezza mangimi, protezione salute pubblica,
corretta informazione, etichettatura obbligatoria e facoltativa. Il suo campo d’applicazione prevede anche
animali DPA e non, imballaggio e presentazione.

Definizione di mangime: qualsiasi sostanza o prodotto, compresi gli additivi, trasformato o non, destinato alla
nutrizione per via orale degli animali (reg. CE 178/2002)

Definizione di alimentazione degli animali per via orale: introduzione di mangimi nel tratto gastro-intestinale
attraverso la bocca, con l’obiettivo di soddisfare i requisiti nutrizionali dell’animale e/o mantenere la
produttività di animali sani.

N.B.: prodotti tipo capsule, polveri, sciroppi, etc. non sono considerati alimenti per animali.

Materie prime per mangimi: prodotti di origine animale o vegetale, freschi o conservati, naturali o derivanti
dalla trasformazione industriale, atti a soddisfare le esigenze nutrizionali degli animali. Sono inclusi anche gli
additivi.

I mangimi composti sono miscele di almeno due materie prime per mangimi destinati all’alimentazione
animale per via orale come mangimi completi o complementari. Possono contenere o meno additivi.

I mangimi completi sono mangimi composti che, per la loro composizione, sono sufficienti per una razione
giornaliera.

I mangimi complementari sono mangimi composti che, per una loro composizione, non sono sufficienti per
una razione giornaliera, ma devono essere utilizzati in associazione con altri mangimi.

I mangimi minerali sono mangimi complementari contenenti almeno il 40% di ceneri grezze.

I mangimi d’allattamento sono mangimi composti (secchi o diluiti) per giovani animali come complemento o
in sostituzione del latte materno postcolostrale.

Sicurezza dei mangimi: non devono avere nessun effetto nocivo o rischio per la salute umana o animale, né
per l’ambiente o il benessere animale.
Commercializzazione dei mangimi: devono essere sani, genuini, di qualità leale, adatti all’impiego previsto e
di natura commerciale. Devono inoltre avere corretta etichettatura, imballaggio e presentazione, secondo
normativa comunitaria.

Etichettatura: attribuzione di qualsiasi dicitura, indicazione, marchio di fabbrica, nome commerciale o


simbolo forniti con qualsiasi mezzo quali imballaggi, contenitori, cartoncini, etichette o internet, che
accompagnano un dato mangime o che ad esso fanno riferimento, anche per finalità pubblicitarie.

Presentazione: forma aspetto o il confezionamento, i materiali usati, il modo in cui i mangimi sono disposti e
il contesto in cui sono esposti.

Il reg. CE 767/2009 individua il responsabile dell’etichettatura come operatore del settore dei mangimi che
immette per primo un mangime sul mercato o, se del caso, l’operatore del settore dei mangimi il cui nome o
la cui ragione sociale sono utilizzati per la commercializzazione dei mangimi. Esso garantisce la presenza e
l’esattezza delle indicazioni fornite attraverso qualsiasi mezzo.

Le norme sono quelle di non indurre in errore il consumatore riguardo uso/caratteristiche mangime,
effetti/proprietà che non possiedono o attraverso tecniche di comunicazione a distanza.

Allegazioni (claims) - art. 13: riferimenti alla presenza/assenza di una data sostanza nei mangimi,
caratteristica nutrizionale o processo o funzione specifica finalizzati a richiamare l’attenzione dell’utilizzatore.
A patto che…

- Requisiti per le allegazioni: deve essere oggettiva, verificabile dalle autorità competenti,
comprensibile e con dati scientifici pubblicati e/o ricerche documentate.
- Allegazioni consentite: ottimizzazione dell’alimentazione e rafforzamento/salvaguardia delle
condizioni fisiologiche.
- Allegazioni vietate: per prevenzione/cura malattie (eccetto autorizzati) o particolare fine nutrizionale
(eccetto quanto stabilito nella dir. CE 38/2008 - “Alimenti dietetici”).
- Per particolare fine nutrizionale si intende il soddisfacimento delle esigenze nutrizionali
specifiche di animali il cui processo produttivo/di assorbimento/metabolismo è
compromesso, i quali possono trarre giovamento dall’assunzione di tali mangimi (esclusi
mangimi medicati).

Indicazioni facoltative: tutto ciò che non è obbligatorio (alcuni additivi, modalità di scelta, quantità aggiunta,
etc.).

Le indicazioni di etichettatura devono essere ben visibili e indelebili, facilmente identificabili e non oscurate
da altre informazioni mediante l’uso di colori/caratteri/dimensioni.

PRESCRIZIONI

Prescrizioni obbligatorie generali:

il tipo di mangime:

- materia prima per mangime o mangime semplice, mangime completo o completo da allattamento o
mangime complementare. Nei pets diversi da cani e gatti, al posto di “mangime completo” o
“complementare” si può utilizzare la denominazione “mangime composto”;
- nome/ragione sociale e indirizzo del responsabile. Il suo numero di riconoscimento, il numero di
riferimento della partita o del lotto, il quantitativo netto, l’elenco di tutti gli additivi preceduto dalla
dicitura “additivi”, il tenore di umidità.

Prescrizioni obbligatorie per materie prime: denominazione materia prima e dichiarazioni obbligatorie della
categoria.
Nel caso di incorporazione di additivi: specie o categoria di destinazione, istruzioni per uso corretto,
durata minima di conservazione.

Prescrizioni specifiche per mangimi composti: specie/categoria animale, istruzioni per un uso corretto, nome
produttore e numero di riconoscimento dello stabilimento (se il produttore è diverso dal responsabile), data
minima di conservazione (“da consumarsi entro” gg/mm/aa per alimenti molto deperibili o “da consumarsi
preferibilmente entro” mm/aa per gli altri alimenti), elenco delle materie prime (composizione, elenco in
ordine decrescente di importanza ponderale - solo se indicate le percentuali in peso in etichetta oppure su
richiesta dell’acquirente… in quanto è obbligatorio fornire questi dati!), il nome specifico della materia prima
può essere sostituito dalla categoria di appartenenza (per animali non DPA, eccetto animali da pelliccia).

Prescrizioni aggiuntive per PET FOOD: numero di telefono gratuito o altri mezzi per consentire all’acquirente
di ottenere info aggiuntive (additivi, materie prime incorporate).

Allegato II

- I tenori indicati si riferiscono al peso dei mangimi


- Le date vanno indicate nel formato gg/mm/aa
- La denominazione “materia prima per mangimi” può essere sostituita da “mangime semplice”
- Per gli animali da compagnia, in italiano, si può utilizzare l’espressione “alimento”
- Istruzioni per l’uso di materie prime o mangimi complementari con additivi superiori ai tenori
massimi per alimenti completi
- Negli animali da compagnia si può optare per le seguenti espressioni:
- Proteina grezza vs proteina
- Oli e grassi grezzi vs tenore in materia grassa
- etc.

Allegato IV - riguarda i margini di tolleranza per proteina grezza, zuccheri, amido, inulina (es.: 3 unità per
tenori dichiaranti maggiori/uguali al 30%, 10% del tenore dichiarato per tenori maggiori/uguali al 10% e
minori del 30%, etc.). Idem per margini di tolleranza per additivi.

Per i microrganismi invece, è ammesso il limite superiore pari al tenore massimo fissato dalla normativa.

LEZIONE 18, 19

Reg. UE 1169-2011 Informazioni ai consumatori e indicazioni obbligatorie


1
Quadro applicativo del regolamento UE 1169/2011
Il 25 ottobre 2011, dopo un complesso iter, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno emanato il
Regolamento UE 1169/2011 “relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori”, operando
un riassetto della normativa previgente e consolidando in un unico testo le precedenti norme di carattere
generale sulla pubblicità, sull’etichettatura, sull’indicazione degli allergeni e sull’etichettatura nutrizionale.

I passaggi per arrivare al REGOLAMENTO 1169/2011


1. DIRETTIVE 89/395/CEE e 89/396/CEE
2. Direttiva 2000/13/ CE
3. D.Lvo 109/1992 concernente l'etichettatura, la presentazione e la pubblicita' dei prodotti
alimentari.
4. Direttiva 90/496/CEE
5. D.Lvo 77/1993 relativo all’etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari mentari
6. Regolamento 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori

IL “NUOVO REGOLAMENTO” Regolamento (UE) n 1͘ 169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio
relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, modifica, , i regolamenti (CE) n.
1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 .QUESTO REGOLAMENTO E’ APPLICABILE DAL 13.12.2014

A DECORRERE DAL 13 DICEMBRE 2014 CON IL NUOVO REGOLAMENTO SONO ABROGATE LE


SEGUENTI DIRETTIVE:

• 2000/13/CE relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti


l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità RECEPITA IN
Italia con D.lgs. 109/92

• 90/496 sulla etichettatura nutrizionale (recepito in Italia con il d.lgs. 77/93);

• 87/250 relativa all'indicazione del titolo alcolometrico volumico nell'etichettatura di bevande


alcoliche destinate al consumatore finale;

• 1999/10, 2002/67, 2008/5 sull’etichettatura dei prodotti alimentari (di cui al d.lgs. 109/92);

• il Regolamento 608/2004 relativo all'etichettatura di prodotti e ingredienti alimentari addizionati di


fitosteroli, esteri di fitosterolo, fitostanoli e/o esteri di fitostanolo

Quindi il regolamento sulle informazioni ai consumatori è volto a riformulare e ad aggiornare in un


unico testo normativo, uniformemente e simultaneamente efficace in tutti gli Stati membri
dell’U.E., l’attuale disciplina sulla etichettatura, presentazione e pubblicità degli alimenti (Direttiva
2000/13/CE, in Italia D.lvo 109/92) e quella sulla etichettatura nutrizionale (Direttiva 90/496/CE in
Italia D.lvo 77/1993). Quindi una SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA

Il Regolamento 1169/2011 applicabile decorsi 3 anni dall’entrata in vigore (venti giorni dopo la
pubblicazione in GUUE) dal 13.12.2014

Il regolamento si applica a decorrere dal 13 dicembre 2014, ad eccezione per la DICHIARAZIONE


NUTRIZIONALE che entrerà in vigore dal 13 dicembre 2016. Ad ogni modo, qualora il produttore inserisca
volontariamente la tabella nutrizionale prima del13.12.2016, dovrà attenersi alle precise disposizioni del
Regolamento.

Dal 1 gennaio 2014 sono invece entrate in vigore le disposizioni circa i REQUISITI SPECIFICI RELATIVI ALLA
DESIGNAZIONE DELLE CARNI MACINATE.

Gli alimenti che sono stati immessi sul mercato o etichettati prima del 13 dicembre 2014 e prima del 13
dicembre 2016 che non soddisfano il requisito stabilito dall’articolo 9 paragrafo 1 lettera l (DICHIARAZIONE
NUTRIZIONALE), che non soddisfavano i requisiti dei presenti regolamenti Potevano essere
commercializzati fino all’esaurimento delle scorte;

NB. Per immissione in commercio ai sensi del Reg UE 178/2002 si intende “la detenzione di alimenti o
mangimi a scopo di vendita, comprese l'offerta di vendita o ogni altra forma, gratuita o a pagamento, di
cessione, nonché la vendita stessa, la distribuzione e le altre forme di cessione propriamente detta”͘
etichettatura :confezione integrale, contenente qualunque menzione, indicazione, marchio di
fabbrica o commerciale, immagine o simbolo che si riferisce a un alimento e che figura su qualunque
imballaggio, documento, avviso,etichetta, nastro o fascetta che accompagna o si riferisce a tale alimento;

alimento preimballato: l’unita di vendita destinata a essere presentata come tale al consumatore
finale e alle collettivita, costituita da un alimento e dall’imballaggio in cui e stato confezionato prima di
essere messo in vendita, avvolta interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo tale che
il contenuto non possa essere alterato senza aprire o cambiare l’imballaggio;alimento preimballato non
comprende gli alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la
vendita diretta; (c.d. preincarto);

ingrediente: qualunque sostanza o prodotto, compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e
qualunque costituente di un ingrediente composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un
alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se sotto forma modificata; i residui non sono
considerati ingredienti;

Il presente regolamento si applica agli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena alimentare
quando le loro attività riguardano la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Si applica a tutti
gli alimenti destinati al consumatore finale, compresi quelli forniti dalle collettività, e a quelli destinati alla
fornitura delle collettività.

L’ambito di applicazione viene esteso anche: agli alimenti forniti dalle collettività, ai servizi di
ristorazione(quindi mense) forniti da imprese di trasporto quando il luogo di partenza si trovi nel territorio
degli Stati Membri.

In quest’ambito assume rilievo la questione “allergeni”, la cui disciplina sino ad oggi non era applicabile alla
ristorazione, che dovranno essere oggetto di informativa nei locali di somministrazione degli alimenti durante
gli scambi verbali che accompagnano la vendita, attraverso il menù delle vivande o altro materiale informativo
esposto (in materia di glutine Reg. UE 828/2014 sulle indicazioni da inserire in etichetta) .

Principi che disciplinano le informazioni obbligatorie: Le eventuali informazioni obbligatorie sugli alimenti
richieste dalla normativa in materia di informazioni sugli alimenti rientrano, in particolare, in una delle
seguenti categorie:

a) informazioni sull’identità e la composizione, le proprietà o altre caratteristiche dell’alimento;

b) informazioni sulla protezione della salute dei consumatori e sull’uso sicuro dell’alimento. Tali informazioni
riguardano in particolare:

-gli attributi collegati alla composizione del prodotto che possono avere un effetto nocivo sulla
salute di alcune categorie di consumatori;

-la durata di conservazione, le condizioni di conservazione e uso sicuro;

-l’impatto sulla salute, compresi i rischi e le conseguenze collegati a un consumo nocivo e


pericoloso dell’alimento;
c) informazioni sulle caratteristiche nutrizionali che consentano ai consumatori, compresi quelli che
devono seguire un regime alimentare speciale, di effettuare scelte consapevoli.

Introduzione al Regolamento UE 1169/2011: Il regolamento considera un’unica tipologia di consumatore: il


consumatore europeo.Secondo la nuova disciplina le informazioni devono essere ispirate al principio di
lealtà e devono essere chiare, precise, comprensibili;

o Il regolamento 1169 si applica in alcune sue parti anche a: banchi di vendita, ristoranti, mense,
scuole, ospedali, imprese di ristorazione; alle vendite on line con obbligo di dare le informazioni
prima dell’acquisto; alla vendita diretta di prodotti non preimballati.

DAL DIVIETO DI PUBBLICITÀ INGANNEVOLE ALLA LEALTÀ D’INFORMAZIONE

D. lgs.109/1192 (Art.2)  Finalità dell’etichettatura e divieto di pubblicità ingannevoleL'etichettatura


e le relative modalità Di realizzazione sono destinate ad assicurare la corretta e trasparente informazione
del consumatore. Esse devono essere effettate in modo da: d) Non attribuire al prodotto alimentare
proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né accennare a tali proprietà, fatte
salve le disposizioni comunitarie relative alle acque minerali ed a i prodotti alimenta i destinati d
un'alimentazione particolare.

Reg. 1169/2011 (Art. 7) Pratiche leali di informazioneDIVIETO SUPERATO DAL REGOLAMENTO


1924/2006

RESPONSABILITÀ (art. 8 Nuovo Regolamento)

1. L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore con il
cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è
stabilito nell’Unione, l’importatore nel mercato dell’Unione;

2. L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti assicura la presenza
e l’esattezza delle informazioni sugli alimenti, conformemente alla normativa applicabile in materia
di informazioni sugli alimenti e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali;

3. Gli operatori del settore alimentare che non influiscono sulle informazioni relative agli alimenti non
forniscono alimenti di cui conoscono o presumono, in base alle informazioni in loro possesso in
qualità di professionisti, la non conformità alla normativa in materia di informazioni sugli alimenti
applicabile e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali;

4. Gli operatori del settore alimentare, nell'ambito delle imprese che controllano, non modificano le
informazioni che accompagnano un alimento se tale modifica può indurre in errore il consumatore
finale o ridurre in qualunque altro modo il livello di protezione dei consumatori e le possibilità del
consumatore finale di effettuare scelte consapevoli. Gli operatori del settore alimentare sono
responsabili delle eventuali modifiche da essi apportate alle informazioni sugli alimenti che
accompagnano il prodotto stesso;

5. gli operatori del settore alimentare, nell'ambito delle imprese che controllano, assicurano e
verificano la conformità ai requisiti previsti dalla normativa in materia di informazioni sugli alimenti e
dalle pertinenti disposizioni nazionali attinenti alle loro attività.

6. Gli operatori del settore alimentare, nell'ambito delle imprese che controllano, assicurano che le
informazioni sugli alimenti non preimballati destinati al consumatore finale o alle collettività siano
trasmesse all'operatore del settore alimentare che riceve tali prodotti, in modo che le informazioni
obbligatorie sugli alimenti siano fornite, ove richiesto, al consumatore finale.

NB Gli operatori del settore alimentare che forniscono ad altri operatori del settore alimentare alimenti non
destinati al consumatore finale o alle collettività(come gli ospedali, le mense i ristoranti ecc) assicurano che a
tali altri operatori del settore alimentare siano fornite sufficienti informazioni che consentano loro, se del caso,
di adempiere agli obblighi di cui al paragrafo 2.

DENOMINAZIONE DI VENDITA: di un prodotto alimentare e' la denominazione prevista dalle


disposizioni che disciplinano il prodotto stesso ovvero il nome consacrato da usi e consuetudini ovvero una
descrizione del prodotto accompagnata, se necessario, da informazioni sulla sua natura e utilizzazione, in
modo da consentire all'acquirente di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso. Non puo'
essere sostituita da marchi di fabbrica o di commercio ovvero da denominazioni di fantasia. Comporta una
indicazione relativa allo stato fisico in cui si trova il prodotto alimentare o al trattamento specifico da esso
subito (ad esempio: in polvere, concentrato, liofilizzato, surgelato, affumicato) se l'omissione di tale
indicazione puo' creare confusione nell'acquirente.La menzione del trattamento mediante radiazioni
ionizzanti e' in ogni caso obbligatoria e deve essere realizzata con la dicitura "irradiato" ovvero "trattato con
radiazioni ionizzanti".La conservazione dei prodotti dolciari alle basse temperature, nel rispetto delle vigenti
disposizioni in materia di conservazione degli alimenti, non costituisce trattamento ai sensi del comma 3(Art
4 Dlgs 109/92)

ART. 9 Reg UE 1169/2011 - ELENCO DELLE INDICAZIONI OBBLIGATORIE

A norma dell’art 9͘ Reg Ue 1169/2011 sono obbligatorie le seguenti indicazioni:

la denominazione dell’alimento → (legale/usuale/ descrittiva);

l’elenco degli ingredienti e qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II o derivato
da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella
fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma
alterata;

la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti la quantità netta dell’alimento

il termine minimo di conservazione o la data di scadenza e le condizioni particolari di conservazione e/o le


condizioni d’impiego;

il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui all’articolo 8, paragrafo 1;il
paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto all’articolo 26;

le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento;
per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo; una
dichiarazione nutrizionale;

NB) l’indicazione del lotto rimane obbligatoria in virtù della Direttiva 2011/91/UE (prima CEE
396/1989);Viene esclusa la possibilità di identificare l’operatore col solo marchio registrato.

OSSERVAZIONI:Tra le menzioni obbligatorie non figura la sede dello stabilimento di


produzione/confezionamento, così come tale indicazione non era comunque prevista dalla Direttiva
2000/13/CE sebbene l’Italia si sia avvalsa della facoltà concessale di mantenerla tra le menzioni obbligatorie
per i prodotti commercializzati sul proprio territorio.Per la designazione dell’operatore è richiesto: “il nome
o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui all’art. 8/1” [ossia: l’operatore con
il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o l’importatore se l’operatore non è
stabilito in UE]; L’introduzione della dichiarazione nutrizionale tra le indicazioni obbligatorie;
ART. 10 Reg UE 1169/2011 INDICAZIONI OBBLIGATORIE COMPLEMENTARI PER TIPI/CATEGORIE SPECIFICI DI
ALIMENTI

L’allegato III del Regolamento UE prevede indicazioni complementari per particolari tipologie o specifiche
categorie di alimenti e nella specie:

Alimenti imballati in taluni gas; Alimenti contenenti edulcorati; Alimenti contenenti acido glicirrizico (radice di
liquirizia) e suo sale di ammonio; Bevande con elevato tenore di caffeina o alimenti con caffeina aggiunta;
Alimenti con aggiunta di fitosteroli, esteri di fitosterolo, fitostanoli o esteri di fotostanolo; Carni, preparazione
a base di carni e prodotti non trasformati a base di pesce congelati dove viene indicata la data di
congelamento o la data del primo congelamento per i prodotti che sono stati congelati più di una volta; Oli e
grassi raffinati di origine vegetale: possono essere raggruppati nell’elenco degli ingredienti sotto la
designazione «oli vegetalı ͩ «grassi vegetalı,ͩ immediatamente seguita da un elenco di indicazioni dell’origine
vegetale specifica e, eventualmente, anche dalla dicitura «in proporzione variabileͩ ͘Se raggruppati, gli oli
vegetali sono inclusi nell’elenco degli ingredienti, conformemente all’articolo 18, paragrafo 1, sulla base del
peso complessivo degli oli vegetali presenı ͘L’espressione «totalmente o parzialmente idrogenato,ͩ a seconda
dei casi, deve accompagnare l’indicazione di un olio. Bevande con elevato tenore di caffeina o alimenti con
caffeina aggiunta: bevande, ad eccezione di quelle a base di caffè, di tè o di estratto di caffè o di tè la cui
denominazione comprende il termine «caffè» o «tè», destinate a essere consumate senza modifiche e
contenenti caffeina (quale che sia la fonte, in una proporzione superiore a 150 mg/l), dovranno riportare la
dicitura «elevato tenore di caffeina. Non raccomandato per i bambini e durante la gravidanza e
l’allattamento

INDICAZIONI OBBLIGATORIE COMPLEMENTARI PER TIPI O CATEGORIE SPECIFICI DI ALIMENTI: CARNE

Le preparazioni a base di carne e prodotti non trasformati a base di pesce congelati: i produttori dovranno
segnalare sulla confezione la data di congelamento o la data del primo congelamento per i prodotti che
sono stati congelati più di una volta. La data di congelamento o di primo congelamento è così indicata :

-è preceduta dall'espressione "Congelato il ...“ e seguita: dalla data stessa; oppure dall'indicazione del punto
in cui essa è indicata sull'etichetta.

-la data comprende, nell'ordine e in forma chiara, il giorno, il mese e l'anno.

ETICHETTA: PRINCIPALI NOVITA’ in generale

Regolamento n. 1169/2011 introduce novità circa l’etichettatura degli alimenti ed, in particolare l’etichetta
deve possedere le seguenti caratteristiche:

-determinate dimensioni NEI CARATTERI (con riferimento alla dimensione del carattere, l’art 13 stabilisce che
le informazioni obbligatorie che appaiono sull’imballaggio o sull’etichetta ad esso apposti devono essere
stampate in modo da assicurare chiara leggibilità.͘ Essa è stata oggettivamente indicata nell’allegato IV: le
indicazioni devono essere date in caratteri la cui parte mediana (altezza della x) è pari o superiore a 1,2 mm

-LEGGIBILITA’ (carattere, spaziatura, spessore, colore, proporzioni contrasti):

-LINGUA COMPRENSIBILE AL CONSUMATORE

-ALLERGENI: evidenziati e distinti dagli altri ingredienti (es. Glutine Reg. UE 828/2014);

-STATO FISICO DEL PRODOTTO: in polvere, ricongelato, liofilizzato ecc., irradiato, carne ricomposta, pesce
ricomposto, carni macinate magre etc. (All. VI);

-le INFORMAZIONI VOLONTARIE non devono indurre in errore il consumatore;


-Nello STESSO CAMPO VISIVO: - denominazione dell'alimento, - quantità netta - quantità e titolo
alcolometrico (quando presente);

LEGGIBILITA’: MISURE STANDARD PER I CARATTERI TIPOGRAFICI Le indicazioni obbligatorie di


etichettatura dovranno essere stampate in carattere la cui parte mediana (altezza della x), definita
nell'allegato IV del regolamento sia pari o superiore alle indicazioni obbligatorie che devono essere inoltre
presentate in modo da garantire un contrasto significativo tra i caratteri stampati e lo sfondo. Nel caso di
imballaggi o contenitori la cui superficie maggiore misura meno di 80 cm2,l’altezza minima della x della
dimensione dei caratteri dovrà essere pari o superiore a 0,9 mm

Presentazione delle indicazioni obbligatorie :Le indicazioni obbligatorie apposte in un punto evidente in
modo da essere facilmente visibili ed chiaramente leggibili eventualmente indelebili. A ciò è aggiunto che
esse non devono essere in alcun modo nascoste, oscurate, limitate o separate da altre indicazioni scritte o
grafiche o altri elementi suscettibili di interferire. La leggibilità costituisce un elemento fondamentale per far
sì che l'informazione contenuta nell'etichetta sia correttamente veicolata al consumatore. Il Consiglio ed il
Parlamento hanno pertanto ritenuto di imporre criteri più rigidi e definiti al fine di evitare che informazioni
importanti, suscettibili di influenzare le scelte del consumatore, siano dissimulate o celate anche e soprattutto
attraverso l’uso di caratteri di piccole dimensioni.

INDICAZIONI NELLO STESSO CAMPO VISIVO:La regola della apposizione di alcune indicazioni nello stesso
campo visivo vale ora per la sola denominazione di vendita e la quantità netta, con aggiunta del titolo
alcolometrico per le bevande che contengono più di 1,2% di alcol.

Non è più previsto il TMC (termine minimo di conservazione)/data di scadenza.

Per «campo visivo» si intendono tutte le superfici di un imballaggio che possono essere lette da un unico
angolo visuale

La regola dello stesso campo visivo NON SI APPLICA: alle bo\glie di vetro destinate a essere riutilizzate che sono
marcate in modo indelebile e che pertanto non recano né etichetta, né anello, né fascetta, agli imballaggi o
contenitori la cui superficie maggiore misura meno di 10 cm 2.

NOVITA’ VENDITA A DISTANZA

Per tale tipologia di alimenti preimballati:

-le informazioni obbligatorie, ad eccezione del TMC, dovranno essere disponibili all’acquirente prima della
conclusione dell'acquisto, e appaiono sul supporto della vendita a distanza o sono fornite mediante
qualunque altro mezzo adeguato chiaramente individuato dall'operatore del settore alimentare, senza
imposizione di costi supplementari ai consumatori.

-Tutte le indicazioni obbligatorie saranno poi disponibili al momento della consegna. La norma non si applica
agli alimenti messi in vendita tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati.

Omissione di alcune indicazioni obbligatorie

di omettere alcune diciture, come da precedente slide, obbligatorie per i seguenti casi:

- Bottiglie di vetro marcate in maniera indelebile e destinate ad essere riutilizzate;

- imballaggi la cui superficie maggiore misura meno di 10 cmq esenzione dalla etichettatura
nutrizionale per alimenti elencati nell’allegato V;

- bevande con contenuto alcolico superiore a 1,2%

Fasi precedenti la vendita al consumatore finale e collettvità


Nei seguenti casi gli operatori del settore alimentare assicurano che le indicazioni obbligatorie richieste in
virtù degli articoli 9 e 10 appaiano sul preimballaggio o su un’etichetta a esso apposta oppure sui documenti
commerciali che si riferiscono a tale prodotto se si può garantire che tali documenti accompagnano
l’alimento cui si riferiscono o sono stati inviati prima o contemporaneamente alla consegna:

a) quando l’alimento preimballato è destinato al consumatore finale, ma commercializzato in una fase


precedente alla vendita al consumatore finale e quando in questa fase non vi è vendita ad una
collettività; B)quandol’alimento preimballato è destinato ad essere fornito alla collettività per esservi
preparato, trasformato, frazionato o tagliato.

Imballaggio esterno: In deroga al primo comma, gli operatori del settore alimentare assicurano che le
indicazioni di cui all’articolo 9, paragrafo 1, lettere a), f), g) e h), (a) denominazione dell'alimento, f) TMC
o data di scadenza, g) condizioni particolari di conservazione e/o condizioni d'impiego, h) nome o la
ragione sociale e l'indirizzo dell’OSA figurino anche sull’imballaggio esterno nel quale gli alimenti
preimballati sono presentati al momento della commercializzazione.

Modifiche rispetto a quanto disposto dall’art. 14 commi 5, 6 e 7 del D.lvo 109/92.

l’onere di riportare alcune informazioni obbligatorie anche sull’imballaggio esterno nel quale gli alimenti
preimballati sono presentati al momento della commercializzazione sembra sussistere in tutti i casi, e
non solo nell’ipotesi in cui tutte le informazioni siano contenute nel documento commerciale. Tra le
indicazioni che devono figurare anche sull’imballaggio globale, oltre alla denominazione di vendita, al TMC
(Termine minimo di conservazione) ed al nome e la sede del responsabile commerciale devono figurare
anche le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni di impiego.

DENOMINAZIONE DI VENDITA

La denominazione dell’alimento è la sua denominazione legale. In mancanza di questa, la denominazione


dell’alimento è la sua denominazione usuale; ove non esista o non sia utilizzata una denominazione usuale è
fornita una denominazione descrittiva.

□ CONFERMATO IL CRITERIO GERARCHICO

«denominazione legale»: la denominazione di un alimento prescritta dalle disposizioni dell’Unione a esso


applicabili o, in mancanza di tali disposizioni, la denominazione prevista dalle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative applicabili nello Stato membro nel quale l’alimento è venduto al
consumatore finale o alle collettività;1) Denominazione legale comunitaria (es. olio extra vergine di oliva,
Uova, latte, succhi, cioccolato, marmellate, acque minerali ecc.); 2, Denominazione legale prevista da
disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dell'ordinamento italiano (es. pane tipo 0, pasta,
salumi, passata di pomodoro ecc

«denominazione usuale»: una denominazione che è accettata quale nome dell’alimento dai consumatori
dello Stato membro nel quale tale alimento è venduto, senza che siano necessarie ulteriori spiegazioni; -
Denominazione usuale (es. gelato, pizza, ecc.)

«denominazione descrittiva»: una denominazione che descrive l’alimento e, se necessario, il suo uso e che è
sufficientemente chiara affinché i consumatori determinino la sua reale natura e lo distinguano da altri
prodotti con i quali potrebbe essere confuso. descrittiva (prodotto gastronomico a base di…);

Reg.to 1169/2011: Denominazione di Vendita


Gli ingredienti sono designati, se del caso, con la loro denominazione specifica, conformemente alle
regole previste all’articolo 17 e all’allegato VI.

Art. 17 La denominazione dell’alimento è la sua denominazione legale.


Reg. 1169/2011: Denominazione di Vendita (2)

□ Rinvio all’allegato VI che individua ulteriori indicazioni obbligatorie che devono accompagnare la
denominazione dell’alimento quali: le specifiche relative allo stato fisico del prodotto. A tal proposito si
segnala che, nel caso di alimenti che sono stati congelati prima della vendita e sono venduti decongelati, la
denominazione dell’alimento è accompagnata dalla designazione «decongelato».

Tale obbligo non si applica: agli ingredienti presenti nel prodotto finale (impasto del croissant alla crema);agli
alimenti per i quali il congelamento costituisce una fase tecnologicamente necessaria del processo di
produzione (es sushi);agli alimenti sui quali lo scongelamento non produce effetti negativi in termini di
sicurezza o qualità (es pasta al forno decongelata).

□ Sussistono nuove regole di indicazione della denominazione di quegli alimenti in cui un componente o un
ingrediente che i consumatori presumono sia normalmente utilizzato o naturalmente presente è stato
sostituito con un diverso componente o ingrediente [si tratta dei c.d. simil alimenti come i formaggi prodotti
con materie vegetali etc..].

In tal caso l'etichettatura reca - oltre all'elenco degli ingredienti - una chiara indicazione del componente o
dell'ingrediente utilizzato per la sostituzione parziale o completa: a)in prossimità della denominazione del
prodotto; b)in caratteri la cui parte mediana è pari ad almeno il 75% di quella utilizzata per la
denominazione del prodotto e comunque di dimensioni non inferiori a quelle previste dall'articolo 13,
paragrafo 2, del regolamento

Indicazioni che accompagnano la denominazione dell’alimento:Accompagnano la denominazione la presenza


di proteine aggiunte ai prodotti e preparazioni di carni e prodotti della pesca: acqua aggiunta sopra il 5% a
prodotti e preparazioni di carni e prodotti della pesca sia interi che in tagli, a fette, porzioni e filetti;

PRODOTTI RICOMPOSTI, i prodotti e le preparazioni a base di carne nonché i prodotti della pesca che
possono sembrare costituiti da un unico pezzo di carne o di pesce ma che in realtà sono frutto dell'unione di
diverse parti attuata grazie ad altri ingredienti tra cui additivi ed enzimi alimentari oppure mediante sistemi
diversi, dovranno essere indicati come "carne ricomposta", lo stesso varrà per il pesce, che sarà indicato
come "pesce ricomposto";

Sono previsti poi requisiti specifici relativi alla designazione delle carni macinate; come pure relativi alla
designazione dei budelli di salsiccia.E’ in tal caso precisato che quando un budello per insaccati non è
commestibile, tale caratteristica deve essere specificata.

ELENCO ED INDICAZIONE QUANTITATIVA DEGLI INGREDIENTI

Art. 18 =Elenco ingredienti in ordine decrescente di peso cosi’ come registrati al momento del loro uso
nella fabbricazione(all.VII);

Art. 22 La indicazione quantitativa degli alimenti è richiesta quando tale ingrediente: figura nella
denominazione dell’alimento/associato dal consumatore; è evidenziato in etichetta con parole,
immagini/grafica; è essenziale per caratterizzare un alimento e distinguerlo con altri (particolari deroghe
sono previste nell’all. VIII);

Elenco degli ingredienti:reca un’intestazione o è preceduto da un’adeguata indicazione che consiste


nella parola ≪ingredienti≫ o la comprende.L’elenco comprende tutti gli ingredienti dell’alimento, in
ordine decrescente di peso, cosi come registrati al momento del loro uso nella fabbricazione
dell’alimento. Gli ingredienti vanno indicati con il loro nome specifico o con la relativa denominazione
legale nel caso in cui per essi sia prevista. Alcuni ingredienti possono essere indicati anche solo con la
denominazione della categoria prevista se rispondono elle condizioni rispettivamente indicate. (Es. Tutte
le proteine del latte (caseine, caseinati, proteine del siero di latte) possono essere designati con il termine
“proteine del latte”).

Gli additivi devono essere preceduti dal nome della categoria di appartenenza seguita dal nome specifico o
dal relativo numero CEE reperibile nel contesto normativo ad essi riservato dal Reg.to 1333/2008 (e dal D.M.
209/96). Nel caso in cui appartengano a più categorie deve essere indicata la categoria corrispondente alla
funzione principale svolta sul prodotto.

Talune di queste categorie (frutta candita ed ortaggi) sono state eliminate a seguito della rivisitazione del
d.lgs. 109/92 da parte del d.lgs. 114/2006 che ha dettato le nuove disposizioni anche in materia di
allergeni in adempimento della direttiva CE 2003/89.

ART. 19 REG UE 1169/2011 OMISSIONE DELL’ELENCO DEGLI INGREDIENTI

Per i seguenti alimenti non è richiesto un elenco degli ingredienti:

-gli ortofrutticoli freschi, comprese le patate, che non sono stati sbucciati o tagliati o che non
hanno subito trattamenti analoghi;

-le acque gassificate dalla cui descrizione risulti tale caratteristica;

-gli aceti di fermentazione provenienti esclusivamente da un solo prodotto di base, purché non
siano stati aggiunti altri ingredienti;

-i formaggi, il burro, il latte e le creme di latte fermentati, purché non siano stati aggiunti
ingredienti diversi dai prodotti derivati dal latte, gli enzimi alimentari e le colture di
microrganismi necessari alla fabbricazione o ingredienti diversi dal sale necessario alla
fabbricazione di formaggi che non siano freschi o fusi

-Gli alimenti che comprendono un solo ingrediente a condizione che: la denominazione


dell’alimento sia identica alla denominazione dell’ingrediente; la denominazione dell’alimento
consenta di determinare chiaramente la natura dell’ingrediente;

Omissione dei costituenti di un prodotto alimentare dall'elenco degli ingredienti

Nell’elenco degli ingredienti non è richiesta la menzione dei seguenti costituenti di un alimento:

a) i costituenti di un ingrediente che sono stati temporaneamente separati durante il processo di


fabbricazione e successivamente reintrodo2 in quantità non superiore alla proporzione iniziale;

b) gli additivi e gli enzimi alimentari:

i) la cui presenza in un determinato alimento è dovuta unicamente al fa;o che erano contenuti
in uno o più ingredienti di tale alimento, conformemente al principio del trasferimento
purché non svolgano una funzione tecnologica nel prodotto finito;

ii) che sono utilizzati come coadiuvanti tecnologici;

c) i supporti e le sostanze che non sono additivi alimentari, ma sono utilizzati nello stesso modo e allo
stesso scopo dei supporti e sono utilizzati nelle dosi strettamente necessarie;

d) le sostanze che non sono additivi alimentari, ma sono utilizzate nello stesso modo e allo stesso scopo
dei coadiuvanti tecnologici e sono ancora presenti nel prodotto finito, anche se in forma modificata;
e) l’acqua:

i) quando è utilizzata, nel corso del processo di fabbricazione, solo per consentire la
ricostituzione di un ingrediente utilizzato sotto forma concentrata o disidratata;

ii) nel caso di un liquido di copertura che non è normalmente consumato.

Ingredienti utilizzati sotto forma concentrata o disidratata e ricostituiti durante la fabbricazione

• Nel caso di ingredienti utilizzati in forma concentrata o disidratata e ricostituiti al momento della
fabbricazione, l’indicazione può avvenire nell’elenco in base al loro peso prima della concentrazione
o della disidratazione, con la denominazione di origine

• Possono essere Indicati nell’elenco in ordine di peso cosi come sono stati registrati prima della
concentrazione o della disidratazione.

• DUBBI SUL MANTENIMENTO DELLA POSSIBILITA’ DI OMETTERE L’INDICAZIONE DELLO STATO FISICO (
ad es c͘ oncentrato) DEL PRODOTTO NELL’ELENCO DEGLI INGREDIENTI

ALLERGENI E QUANTITATIVI

ART. 21 ETICHETTATURA DI ALCUNE SOSTANZE CHE POSSANO PROVOCARE ALLERGIE/INTOLLERANZE

Nel caso in cui in un determinato alimento siano presenti sostante che possano determinare allergie e/o
intolleranze, tali sostanze devono:

a) figurare in un ordine (decrescente) nell’elenco ingredienti con riferimento chiaro alla denominazione
della sostanza o prodotto ( all. II);

b) figurare attraverso un tipo di cara-ere chiaramente distinto dagli altri ingredienti indicati, per dimensioni,
stile o colore di sfondo;

c) in mancanza di elenco ingredienti devono essere menzionati con l’indicazione: «contiene»;

Quantità netta
La quantità netta di un alimento è espressa utilizzando, a seconda dei casi, il litro, il centilitro, il millilitro, il
chilogrammo o il grammo:

a) in unità di volume per i prodotti liquidi;

b) in unità di massa per gli altri prodotti. Allegato IX Reg. 1169/11 Indicazione della quantità netta

Quando l’indicazione di un certo tipo di quantità (come ad esempio la quantità nominale, la quantità
minima o la quantità media) è prevista da disposizioni dell’Unione o, in loro assenza, da disposizioni
nazionali, tale quantità è la quantità netta nel senso del regolamento 1169/11.

TMC

Per la data di scadenza è introdotto l’importante principio per cui “successivamente alla data di scadenza
un alimento è considerato a rischio a norma dell’art.14 paragrafi da 2 a 5 del reg. CE 178/2002”.
Si rinvia all’allegato X che individua le specificazioni tecniche e le esenzioni per tali indicazioni tra le quali si
segnala in particolare:

- modalità indicazione data a seconda della durata degli alimenti;

- necessità di inserire la data di scadenza su ogni singola porzione preconfezionata;

- modalità di espressione della data di congelamento

Indicazioni in etichetta del responsabile commerciale

Direttiva CE 200/13/CE

Il nome o la ragione sociale o l’indirizzo del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella
Comunità

D.lgs. 109/1992

Il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede o del fabbricante o del confezionatore o di un
venditore stabilito nella Comunità economica Europea .

Il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui all’art 8͘ paragrafo 1͘

Viene esclusa la possibilità di identificare l'operatore con il solo marchio registrato e la sede dell’operatore
deve essere completata dall’indirizzo.

COME SI INSERISCE IL REG UE 1169/2011 ALL’INTERNO DELL’ORDINAMENTO ITALIANO?

Il regolamento 1169/2011, in virtù del principio di prevalenza del diritto comunitario sul diritto degli Stati
membri, è dotato di una forza maggiore rispetto alla legge ordinaria nazionale.

La legge italiana generale che disciplina le informazioni obbligatorie nell’etichettatura di prodotti alimentari
è il decreto legislativo 109/1992.

Pertanto, in caso di incompatibilità tra la normativa del regolamento e la disciplina italiana deve essere
applicato il Reg UE 1169/2011. Allo stesso tempo, per gli aspetti non disciplinati dalla normativa europea,
trova ancora applicazione il diritto italiano.

PAESE DI ORIGINE O LUOGO DI PROVENIENZA ARTICOLO 26 REG UE 1169/2011

La indicazione del paese d’origine o luogo di provenienza è obbligatoria:

a) nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al
paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che
accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far
pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza;

b) per le carni di cui all’All. XI del REG.UE 1337/2013 carni suine, ovine, caprine, volatili dal 01 04 2015;

c) quando il paese d’origine o il luogo di provenienza è indicato e non è lo stesso del suo ingrediente
primario: lo stesso è da indicare o da indicare diverso da quello dell’alimento Reg 2913/92 art 24 :
“paese di origine: paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale”;

E’ introdotta l’importante precisazione in base alla quale “Ai fini del presente regolamento, il paese di origine
di un alimento si riferisce all’origine di tale prodotto, come definita conformemente agli articoli da 23 a 26
del regolamento (CEE) n. 2913/92 che istituisce un codice doganale comunitario. A tal proposito si ricorda
che, ai sensi dell’art. Articolo 24 di detto regolamento “Una merce alla cui produzione hanno contribuito due
o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale,
economicamente giustificata ed effettuata in un'impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la
fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo dì
fabbricazione”.

□ L'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria nel caso in cui l'omissione
di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d'origine o al luogo di
provenienza reali dell'alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l'alimento o
contenute nell'etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l'alimento abbia un
differente paese d'origine o luogo di provenienza;

□ Estensione dell’obbligo di indicazione del paese di origine alla carne suina, caprina e alle carni di
volatili (come si ricorderà per i bovina tale obbligo è già stato introdotto in seguito all’allarme BSE).

□ Inoltre, quando il paese d'origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato (es. Pandoro di
Verona) e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario:

a) dovrà essere indicato anche il paese d'origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente
primario;

oppure

a) il paese d'origine o il luogo di provenienza dell'ingrediente primario è indicato come diverso


da quello dell'alimento. A questo proposito la Commissione dovrà elaborare i dettagli
applicativi.

TABELLA NUTRIZIONALE DAL 13 12 2016

CON IL NUOVO REGOLAMENTO L’ETICHETTATURA NUTRIZIONALE DIVENTA OBBLIGATORIA PER LA


GENERALITA’ DEI PRODOTTI

Il Regolamento n. 1169/2011 prevede l’introduzione di una più specifica tabella nutrizionale i cui ELEMENTI
OBBLIGATORI sono:

- valore energetico;

- grassi di cui acidi grassi saturi;

- carboidrati di cui zuccheri ,proteine e sale;

□ non si applica l’obbligo della tabella: agli alimenti di cui all. v - bevande con contenuto di alcool superiore a
1,2% in volume; integratori alimentari; acque minerali

N.B. Per i prodo2 sfusi, l'unica indicazione obbligatoria riguarda l'eventuale presenza di allergeni. Per i l resto,
si rimanda alle disposizioni nazionali.

Indicazioni facoltative

Alle sopra elencate indicazioni il contenuto della dichiarazione nutrizionale può essere integrato con
l’indicazione della quantità di altri elementi quali:
 acidi grassi monoinsaturi;
 acidi grassi polinsaturi; polioli;
 amido;
 fibre;
 i sali minerali e/o le vitamine presenti in quantità significativa;

Novita’: sono quantità significative: - il 7,5% dei valori nutritivi di riferimento specificati al punto 1 per 100 ml
nel caso delle bevande; oppure - il 15% dei valori nutritivi di riferimento specificati al punto 1 per porzione
se l'imballaggio contiene una sola porzione.

ATTENZIONE! tra i nutrienti che possono essere indicati volontariamente non è più previsto il colesterolo.

REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (UE) 2018/775

Il Reg.di esecuzione UE 2018/775, entrato in vigore l’1 aprile 2020, stabilisce le modalità di applicazione
dell’art.26, par.3 Reg. UE n.1169/2011 quando il paese di origine o il luogo di provenienza di un alimento è
indicato con illustrazioni, simboli o termini che si riferiscono ad un luogo geografico ma la cui
interpretazione comune non è una indicazione del paese di origine o del luogo di provenienza. Non si
applica alle denominazioni protette (DOP e IGP e STG), alla normativa sulle bevande spirito se ai prodotti
vitivinicoli aromatizzati e al Reg. UE n.1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati e dei prodotti
agricoli (OCM).

ESENZIONI

2. I prodotti non trasformati che comprendono un solo ingrediente o una sola categoria di ingredienti;

3. i prodotti trasformati che sono stati sottoposti unicamente a maturazione e che comprendono un solo
ingrediente o una sola categoria di ingredienti;

4. le acque destinate al consumo umano, comprese quelle che contengono come soli ingredienti
aggiunti anidride carbonica e/o aromi;

5. le piante aromatiche, le spezie o le loro miscele;

6. il sale e i succedanei del sale;

7. gli edulcoranti da tavola;

8. i prodotti contemplati dalla direttiva 1999/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22
febbraio 1999, relativa agli estratti di caffè e agli estratti di cicoria, i chicchi di caffè interi o macinati e
i chicchi di caffè decaffeinati interi o macinati;

8. le infusioni a base di erbe e di frutta, i tè, tè decaffeinati, tè istantanei o solubili o estratti di tè, tè
istantanei o solubili o estratti di tè decaffeinati, senza altri ingredienti aggiunti tranne aromi che non
modificano il valore nutrizionale del tè;

9. gli aceti di fermentazione e i loro succedanei, compresi quelli i cui soli ingredienti aggiunti sono
aromi;

10. gli aromi;

11. gli additivi alimentari;

12. i coadiuvanti tecnologici;


13. gli enzimi alimentari;

14. la gelatina;

15. i composti di gelificazione per marmellate;

16. i lieviti;

17. le gomme da masticare;

18. gli alimenti confezionati in imballaggi o contenitori la cui superficie maggiore misura meno di 25 cm
2;

19. gli alimenti, anche confezionati in maniera artigianale, forniti direttamente dal fabbricante di piccole
quantità di prodotti al consumatore finale o a strutture locali di vendita al dettaglio che forniscono
direttamente il consumatore finale. + bevande con contenuto alcolico superore 1,2% vol.

In quest’ultimo caso se su base volontaria l’etichetta reca una dichiarazione nutrizionale, il contenuto della
dichiarazione può limitarsi al solo valore energetico.

Sanzioni

• Entro il 13 dicembre 2014 ciascun Stato membro ha dovuto adottare una normativa interna avente
ad oggetto le sanzioni per le violazioni degli obblighi contenuti nel Regolamento 1169/2011.

• Il Governo italiano, con decreto legislativo 15 dicembre 2017, n.231 ha adottato un sistema
sanzionatorio omogeneo in caso di violazione delle disposizioni del reg. UE n. 1169/2011 entrato in
vigore il 9 Maggio 2018, con contestuale abrogazione (art.30) del D. Lgs n.109/92

Le indicazioni obbligatorie previste dalla normativa per i prodotti alimentari preconfezionati: D.lgs.
109/1992 e Reg UE 1169/2011 a confronto:
Decreto legislativo 109/1992

La denominazione di vendita L’elenco degli ingredienti

La quantità netta o nel caso di prodotti preconfezionati in quantità unitarie costanti, la quantità nominale;

Il termine minimo di conservazione o, nel caso di prodotti molto deperibili dal punto di vista microbiologico,
la data di scadenza

Il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede o del fabbricante o del confezionatore o di un
venditore stabilito nella Comunità economica europea (oggi Unione europea);

La sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento

Il titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande aventi un contenuto alcolico superiore a 1,2% in
volume

Una dicitura che consenta di identificare il lotto di appartenenza del prodotto

Le modalità di conservazione e di utilizzazione qualora sia necessaria l’adozione di particolari accorgimenti in


funzione della natura del prodotto

Le istruzioni per l’uso, ove necessario


li luogo di origine o di provenienza, nel caso in cui l’omissione possa indurre in errore l’acquirente circa
l’origine o la provenienza del prodotto

La quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti come previsto all’art 8

Reg. UE 1169/201

La denominazione dell’alimento

L’elenco degli ingredienti

Qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’allegato II o derivato da una sostanza o un


prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella
preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma alterata.

La quantità netta dell’alimento

Il termine minimo di conservazione o la data di scadenza

Il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare di cui all’articolo 8, paragrafo 1

Per le bevande che contengono più di 1,2 % di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo

Le condizioni particolari di conservazione e/o le condizioni d’impiego

Una dichiarazione nutrizionale

Le istruzioni per l’uso, per i casi in cui la loro omissione renderebbe difficile un uso adeguato dell’alimento

Il paese d’origine o il luogo di provenienza ove previsto all’articolo 26

La quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti

Una dichiarazione nutrizionale

Lezione 20
Tracciabilità ed etichettatura degli OGM. Marchi collettivi, geografici e di
qualità
«Organismo geneticamente modificato (OGM)Un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale
genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l'accoppiamento e/o la
ricombinazione genetica naturale.

alimenti geneticamente modificati Alimenti che contengono, sono costituiti o prodotti a partire da
OGM (art 2.6 Reg CE 1828/2003)

Il fenomeno degli OGM trova una sua prima regolamentazione nella dir.90/220/CEE sull’ emissione
deliberata nell’ ambiente di organismi geneticamente modificati ove veniva affrontata per un verso il tema
della ricerca e per altro quello della circolazione materiale degli OGM.

Questa direttiva è stata successivamente sostituita dalla dir. 2001/18/CE (e successivamente dalla dir.
2009/41/CE in uno alla regolamentazione dell’impiego di microrganismi geneticamente modificati in
ambienti confinati e la loro circolazione ai fini sperimentali) che ha previsto una procedura ad hoc per la
immissione sul mercato dei prodotti geneticamente modificati.

IL PERIODO DI MORATORIA

1998-2004 - Moratoria di fatto

Blocco delle autorizzazioni all’uso degli OGM all’interno della Comunità Europea.

I PRINCIPI ISPIRATORI DELLA DISCIPLINA DEGLI OGM

Stati Uniti d’America - Principio di sostanziale equivalenza Unione Europea - Principio di precauzione

TRACCIABILITA’ ED ETICHETTATURA DEI PRODOTTI GENETICAMENTE MODIFICATI (OGM)

IL REG (CE) 1830/2003 ( modifica della direttiva 2001/18/CE) concernente la tracciabilità e l'etichettatura di
organismi geneticamente modificati e la tracciabilità di alimenti e mangimi ottenuti da organismi
geneticamente modificati.Garantisce la tracciabilità e l’etichettatura degli OGM come pure dei prodotti
ottenuti da tali organismi lungo l’intera filiera alimentare

L’Unione Europea si pone l’obiettivo di: INFORMARE il consumatore, grazie alla etichettatura obbligatoria a
specifica della tipologia (OGM) del prodotto. CREARE UNA RETE DI SICUREZZA attraverso la tracciabilità dei
prodotti nelle varie fasi dalla produzione alla commercializzazione. La disciplina si applica agli ogm destinati
alle colture ivi incluse le sementi.

GLI OBIETTIVI DEL REG (CE) 1829 / 2003

a) garantire un elevato livello di tutela della vita e della salute umana, della salute e del benessere
degli animali, dell'ambiente e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti e mangimi
geneticamente modificati, garantendo nel contempo l'efficace funzionamento del mercato interno;

b) istituire procedure comunitarie per l'autorizzazione e vigilanza degli alimenti e mangimi


geneticamente modificati;

c) stabilire norme per l'etichettatura degli alimenti e mangimi geneticamente modificati.

CAMPO D'APPLICAZIONE DEL REG. (CE) 1829/2003

Il Regolamento si applica, in tutte le fasi della loro immissione in commercio:

1) agli OGM destinati all'alimentazione umana e degli animali;


2) agli alimenti e ai mangimi che contengono o sono costituiti da OGM;
3) ai prodotti per l’alimentazione umana o animale ottenuti a partire da OGM.

Nessuno può immettere in commercio un OGM destinato all'alimentazione umana o un alimento di cui
all'articolo 3, paragrafo 1, a meno che per esso non sia stata rilasciata un'autorizzazione conformemente alla
presente sezione e a meno che non vengano rispettate le relative condizioni dell'autorizzazione (Art 4 par. 2
Reg. CE 1829/2003)

L’ AUTORIZZAZIONE UNICA

Oggi

• Unica autorizzazione rilasciata ex artt. 5-6-7 (alimenti) 17-18-19 (mangimi) del Reg. (CE) 1829/2003

In precedenza 2 differenti procedure

• Notifica semplice per i prodotti sostanzialmente equivalenti


• Autorizzazione negli altri casi

PROCEDURA PER L’IMMISSIONE IN COMMERCIO DI UN OGM O DI UN ALIMENTO GENETICAMENTE


MODIFICATO

2) Domanda (con i requisiti sub art. 5.3 Reg. CE 1829/2003)


3) Autorità Nazionale Competente di uno Stato membro (informa e mette a disposizione file e
informazioni supplementari, art. 5.2 Reg. CE 1829/2003)
4) EFSA, Informa gli altri Stati membri, Mette a disposizione il “dossier” (art. 5.2 Reg. CE 1829/2003),
FORMULA UN PARERE (art. 6 Reg. CE 1829/2003)
5) Commissione (formula un progetto di decisione)
6) Comitato Permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, se esprime parere
favorevole
7) Adozione del progetto di decisione con concessione di relativa autorizzazione

ETICHETTATURA

Per i prodotti contenenti OGM o da essi costituiti gli operatori provvedono:

a) per i prodotti preconfezionati contenenti OGM o da essi costituiti, a far figurare sull'etichetta la
seguente dicitura "Questo prodotto contiene organismi geneticamente modificati" o "Questo
prodotto contiene [nome dell'organismo (degli organismi)] geneticamente modificato(a)".

b) per i prodotti non preconfezionati offerti al consumatore finale, a far figurare sul prodotto, o in
connessione con l'esposizione dello stesso, la seguente dicitura: "Questo prodotto contiene
organismi geneticamente modificati", o "Questo prodotto contiene [nome dell'organismo (degli
organismi)] geneticamente modificato(a)".

LA PRESENZA ACCIDENTALE

Unicamente piccole tracce di OGM possono essere esenti dall’ obbligo di indicazione nella etichettatura ove
non superino la soglia dello 0,9 % e se la loro presenza risulti involontaria e tecnicamente inevitabile.

Per gli alimenti di cui all’art. 12 Reg. (CE) 1829/2003:

1. Fatte salve le altre disposizioni del diritto comunitario concernenti l'etichettatura dei prodotti alimentari,
gli alimenti che rientrano nel campo di applicazione della presente sezione sono soggetti ai seguenti requisiti
specifici in materia di etichettatura:

a) se l'alimento consiste di più di un ingrediente, la denominazione «geneticamente modificato» o


«prodotto da [nome dell'ingrediente] geneticamente modificato» appare tra parentesi nell'elenco di
ingredienti di cui all'articolo 6 della direttiva 2000/13/CE immediatamente dopo l'ingrediente in
questione;

b) se l'ingrediente è designato col nome di una categoria, la denominazione «contiene [nome


dell'organismo] geneticamente modificato» o «contiene [nome dell'ingrediente] prodotto da [nome
dell'organismo] geneticamente modificato» appare nell'elenco degli ingredienti;

c) se non vi è un elenco di ingredienti, la denominazione «geneticamente modificato» o «prodotto da


[nome dell'organismo] geneticamente modificato» appare chiaramente sull'etichetta;

d) le indicazioni di cui alle lettere a) e b) possono comparire in una nota a piè di pagina aggiunta
all'elenco degli ingredienti. In tal caso, esse sono stampate con un carattere tipografico avente
almeno la stessa grandezza di quello usato per l'elenco degli ingredienti. Se non è previsto un elenco
di ingredienti, essi appaiono in modo chiaro sull'etichetta;

e) se l'alimento è offerto in vendita al consumatore finale come alimento non preconfezionato o come
alimento preconfezionato in piccoli contenitori la cui superficie maggiore sia inferiore a 10 cm2 ,
l'informazione richiesta ai sensi del presente paragrafo deve comparire in modo visibile e
permanente dove l'alimento è esposto o vicino ad esso, oppure sull'imballaggio, e deve essere
stampata con un carattere tipografico sufficientemente grande da poter essere facilmente
individuato e letto. (Art. 13 Reg. CE 1829/2003)

TRACCIABILITÀ ED ETICHETTATURA DI PRODOTTI CONTENENTI OGM O DA ESSI COSTITUITI

1. Nella prima fase dell'immissione in commercio di un prodotto contenente OGM o da essi costituito,
comprese le merci sfuse, gli operatori assicurano la trasmissione per iscritto all'operatore che riceve
il prodotto delle seguenti informazioni:

a. indicazione che il prodotto contiene OGM o è da essi costituito;

b. indicazione degli identificatori unici assegnati ai sensi dell'articolo 8 a detti OGM.

2. In tutte le fasi successive dell'immissione in commercio dei prodotti di cui al paragrafo 1, gli
operatori assicurano la trasmissione per iscritto agli operatori che ricevono detti prodotti di tutte le
informazioni loro pervenute conformemente al paragrafo 1.

3. Nel caso dei prodotti contenenti miscele di OGM o da esse costituiti destinati all'uso diretto ed
esclusivo come alimento o mangime, o destinati alla trasformazione, le informazioni possono essere
sostituite da una dichiarazione relativa all'uso del prodotto da parte dell'operatore, corredata di un
elenco degli identificatori unici per tutti gli OGM usati per costituire la miscela.

4. gli operatori predispongono sistemi e procedure standardizzate che consentano di conservare le


informazioni e di identificare, per un periodo di cinque anni dopo ciascuna transazione, l'operatore
che ha messo a disposizione e quello che ha ricevuto i prodotti

(Art 4 lett. A Reg. 1830/03)

In generale gli OSA devono comunicare l’ indicazione che il prodotto alimentare è o contiene OGM nonché l’
indicatore alfanumerico del relativo OGM

TRACCIABILITÀ DI PRODOTTI PER ALIMENTI O MANGIMI OTTENUTI DA OGM

1. Gli operatori che immettono in commercio prodotti ottenuti da OGM sono tenuti a trasmettere per
iscritto all'operatore che li riceve le seguenti informazioni:

a. indicazione di ciascuno degli ingredienti dell'alimento ottenuti da OGM;

b. indicazione di ciascuna delle materie prime o degli additivi del mangime ottenuti da OGM;

2. nel caso di prodotti privi di elenco degli ingredienti, indicazione del fatto che il prodotto è stato ottenuto
da OGM.

3. I paragrafi 1 e 2 lasciano impregiudicati altri requisiti specifici previsti dalla normativa comunitaria.

4. I paragrafi 1, 2 e 3 non si applicano alle tracce di OGM in prodotti per alimenti e mangimi ottenuti da
OGM presenti in proporzione non superiore alle soglie stabilite per tali OGM in conformità degli articoli
12, 24 o 47 del regolamento (CE) n. 1829/2003 purché tali tracce di OGM siano accidentali o
tecnicamente inevitabili (art. 5 Reg. CE 1830/03)
LA VIGILANZA

Dopo la concessione di un'autorizzazione conformemente al presente regolamento, il titolare


dell'autorizzazione e le parti interessate si conformano alle eventuali condizioni e restrizioni imposte
dall'autorizzazione e in particolare assicurano che i prodotti che non rientrano nell'autorizzazione non siano
immessi in commercio come alimenti o mangimi (͙)Le relazioni sul monitoraggio, escluse le informazioni
riservate di cui all'articolo 30, sono rese accessibili al pubblico.

Il titolare dell'autorizzazione informa immediatamente la Commissione di qualsiasi nuova informazione


scientifica o tecnica suscettibile di influire sulla valutazione della sicurezza nell'uso dell'alimento. In
particolare di qualsiasi proibizione o restrizione imposta dall'autorità competente di un paese terzo in cui
l'alimento sia immesso in commercio.

La Commissione mette senza indugio a disposizione degli Stati membri e dell'Autorità qualsiasi informazione
fornita dal richiedente (Art 9 Reg CE1829/2003)

IL PIANO NAZIONALE OGM

Approvato per il triennio 2012-2014 il Piano nazionale di controllo ufficiale sulla presenza di organismi
geneticamente modificati (OGM) negli alimenti.

Il Piano nazionale triennale ha lo scopo di facilitare la programmazione e il coordinamento delle attività di


controllo svolte in questo specifico settore dalle Autorità sanitarie regionali e provinciali nonché dagli Uffici
periferici USMAF del Ministero della salute. Ciò in applicazione sia dei Regolamenti CE) 1829/2003 e
1830/2003, sia del Regolamento (CE) 882/2004.

Approvato a dicembre 2011 dal Gruppo tecnico Sanità Veterinaria e Sicurezza Alimentare del
Coordinamento Interregionale Interdisciplinare per la Sicurezza Alimentare, il Piano è stato inserito dal 2009
tra gli indicatori utilizzati per la certificazione degli obblighi informativi delle Regioni oggetto di valutazione
da parte del "Tavolo di verifica degli adempimenti" istituito con l'articolo 12 dell'intesa Stato Regioni del 23
marzo 2005. Il documento si articola in più parti definendo per tutti i soggetti coinvolti ruoli e obiettivi,
individuando i principali gruppi alimentari da sottoporre al controllo e fornendo dettagliate indicazioni
applicative del relativo campionamento.

LE COLTIVAZIONI BIOTECNOLOGICHE NEL MONDO

Coltivazioni biotech: 170 Milioni di ettari

 USA 69,5% / Brasile 36,6%/ Argentina 23,9%/Canada 11,6%/India 10

% sul totale delle coltivazioni SOIA E COTONE 81% MAIS 35% COLZA 30%

CLASSIFICAZIONE DEI VINI

In Italia la classificazione dei vini è attualmente regolata dal “Testo unico della vite e del vino” Legge n. 238
del 12/12/2016 (Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del
vino). Lo scopo è quello di tutelare i consumatori classificando i vini in categorie che rendano chiaro il luogo
di origine e il loro livello qualitativo uniformandosi alle disposizioni della commissione Europea.

Questa legge recepisce le indicazioni del Reg. (CE) n. 607/2009, sostituito dal Reg. (UE) n. 33/2018 che
integra il regolamento (UE) n. 1308/2013

(OCM vino) per quanto riguarda le domande di protezione delle denominazioni protette, delle indicazioni
geografiche prote1e e delle menzioni tradizionali, nel se1ore vitivinicolo, le modifiche del disciplinare di
produzione, nonché l’etiche1atura e presentazione).
Il regolamento consente ai singoli Stati membri di usare le denominazioni tradizionali. In Italia tali
denominazioni sono le seguenti:

• denominazione di origine controllata e garantita (DOCG)

• denominazione di origine controllata (DOC)

• Indicazione geografica tipica (IGT)

L’art. 3 comma 1 della Legge n. 238/2016 definisce: con le sigle «DOCG» e «DOC» si intendono le menzioni
specifiche tradizionali «denominazione di origine controllata e garantita» e

«denominazione di origine controllata» utilizzate dall'Italia per i prodotti vitivinicoli a DOP; alla lettera e) con
la sigla «DO» si intendono in maniera unitaria le sigle «DOCG» e «DOC»;

con la sigla «IGT» si intende la menzione specifica tradizionale «indicazione geografica tipica» utilizzata
dall'Italia per i prodotti vitivinicoli a IGP; con la sigla «IG» si intende l'espressione «indicazione geografica»,
comprensiva delle sigle IGT e IGP.

Le menzioni tradizionali italiane DOCG, DOC e IGT possono essere indicate in etiche1atura da sole o
congiuntamente alla corrispondente espressione europea (art. 28 Legge 238/2016).

MARCHI DI QUALITA’

I prodotti con particolari caratteristiche di qualità, così sono definite in ambito europeo i prodotti tipici,
rappresentano un insieme articolato di beni di diversa fattura e rilevanza. Hanno un grande valore per
alcune caratteristiche che sono in genere presenti:

Ingredienti e processo di trasformazione «Tradizionali» nel senso di prodotti agricoli derivanti da tecniche non
spinte, trasformazione secondo principi chimico-fisico-biologici elementari;

Legame col territorio che spesso si traduce in legame con un paesaggio agricolo consolidato;

Assenza di conservanti, inibenti, coloranti, agglutinanti, antifermentanti etc..

Un prodotto è da considerare realmente Tipico solo se possiede determinati caratteri di qualità e se soddisfa
l’esistenza contemporanea dei seguenti Cara*eri Distintivi Memoria Storica;

Localizzazione Geografica; Qualità della materia prima;

Tecniche di produzione.

A riconoscimento delle culture e tradizioni locali, la Comunità Europea prevede oggi tre livelli di tutela dei
prodotti tipici: DOP, IGP e STG, (Reg. (UE) n. 1151 del 21 novembre 2012).

DOPLa denominazione di origine protetta (DOP) è destinata a prodotti strettamente associati alla specifica
area della quale portano il nome Tali prodotti devono rispondere a due condizioni:

Le caratteristiche del prodotto devono provenire dalle specificità ambientali del suo luogo d’origine

• Clima /Qualità del suolo/Conoscenze ascrivibili alle popolazioni locali/Produzione, trasformazione ed


elaborazione devono svolgersi nell’area geografica determinata di cui il prodotto porta il nome

IGPL’indicazione Geografica Protetta (IGP) è destinata a prodotti che abbiano un collegamento per
qualche specifica area geografica. Tali prodotti devono rispondere a due condizioni:

La qualità del prodotto, ma anche solo la sua reputazione dipende dall’origine geografica. Almeno una tra le
fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione sia stata realizzata in un’area geografica determinata
STGSpecialità Tradizionale Garantita è destinata a prodotti che siano caratterizzati da composizioni o
metodi di produzione tradizionali, senza che via sia alcun collegamento per qualche specifica area geografica

TRADIZIONALITÀ:utilizzo di materie prime tradizionali /composizione tradizionale/metodo di produzione


e/o di trasformazione

SPECIFICITÀ:caratteristiche fisiche,chimiche,microbiologiche e organolettiche.Metodo di produzione del


prodotto

Non si trattano di marchi aziendali, ma di marchi che distinguono un determinato prodotto ottenuto da tutte
le aziende che si trovano in certe condizioni ambientali, produttive, storiche e che volontariamente
accettano di sottostare a un sistema di controllo operato da organismi indipendenti.

Il regolamento UE in vigore prevede che, per beneficiare di una denominazione di origine protetta o di una
indicazione geografica protetta, un prodotto agricolo o alimentare deve essere conforme ad un disciplinare.

DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA (DOC)

Tali denominazioni si riferiscono a vini le cui caratteristiche qualitative sono legate - in ragione di particolari
fattori ambientali o per la applicazione di specifiche tecniche di produzione - ad una determinata zona
geografica

Sia in sede comunitaria che nei trattati internazionali viene garantita tutela e protezione alle DOC

PRIMA

• Reg (CE) n. 2081/1992 poi sostituito dal REG (CE) 510/2006


• Reg (CE) 2082/1992 poi sostituito da REG (CE) 509/2006

OGGI

• Abrogati dal Reg. (UE) 1151/2012 in vigore dal 03.01.2013

DENOMINAZIONE D’ORIGINE PROTETTA (DOP)

Da ultimo con il REG (UE) 1151/2012 l’ Unione Europea ha inteso assicurare protezione alle

DENOMINAZIONI D’ ORIGINE PROTETTA (DOP - PROTECTED DESIGNATION OF ORIGIN) che identificano il

prodotto:

a) originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati;

b) la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare


ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; e

c) le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata. (Art. 5.1 Reg. ult. cit.)

DIFFERENZE PIU’ RILEVANTI:

DOP caratteristiche del prodotto alimentare sono in via esclusiva determinate dall’ ambiente geografico e
sono intrinseche allo stesso atteso peraltro che la produzione di quest’ ultimo deve svolgersi nella zona
geografica IGP il riconoscimento consiste nella peculiarità del prodotto e non nell’ origine geografica,
meramente indicativa ove è sufficiente che anche una sola fase della produzione sia svolta nella zona
specifica

INDICAZIONI GEOGRAFICHE PROTETTE (IGP)


Del pari il legislatore europeo ha ritenuto che i requisiti dell’indicazione geografica che identifica un
prodotto siano:

a) originario di un determinato luogo, regione o paese;

b) alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità; la reputazione o altre
caratteristiche; e

c) la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata.(Art 5.2
Reg. ult. cit.)

SPECIALITA’ TRADIZIONALI GARANTITE (STG)

Così sempre per la recente normativa europea le SPECIALITA’ TRADIZIONALI GARANTITE (TRADITIONAL
SPECIALITY GUARANTEED) designano uno

specifico prodotto o alimento laddove:

a) ottenuto con un metodo di produzione, trasformazione o una composizione che corrispondono a


una pratica tradizionale per tale prodotto o alimento;

b) ottenuto da materie prime o ingredienti utilizzati tradizionalmente. (Art. 18 Reg. ult. cit.)

IL REG (UE) 1151/2012

PROTEZIONE EX OFFICIO Ex art 13 Reg. ult. Cit. ove I singoli stati membri dovranno impegnarsi al contrasto
delle contraffazioni di ufficio e quindi anche in assenza di una denuncia di parte

Per le STG la relativa registrazione sarà riconosciuta ove dimostrato il radicamento (di un prodotto
alimentare o persino di una ricetta) sul mercato domestico da almeno 30 anni

Per DOP e IGP, le cui diciture di qualità diventeranno obbligatorie dal 04.01.2014, potranno figurare
sull’etichetta del prodotto rappresentazioni grafiche della zona d’ origine, testi o simboli di questa o dello
stato membro evocativi

Prevista la introduzione di un sistema di indicazioni facoltative di qualità che dovranno rispettare i criteri di
cui all’ art 29 Reg. ult. Cit.. e fra queste l’ etichettatura di “PRODOTTO DI MONTAGNA” secondo i requisiti di
cui al Reg. 1257/99 e dell’ art 18 Reg. ult. Cit.

IL MARCHIO COLLETTIVO/GEOGRAFICO

“I soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o
servizi possono ottenere la registrazione di marchi collettivi per concederne l’uso, secondo le norme dei
rispettivi regolamenti, a produttori e commercianti”. ( art 2570 c.c.)

I soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o
servizi, possono ottenere la registrazione per appositi marchi come marchi collettivi, ed hanno la facoltà di
concederne l’uso, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, a produttori e commercianti.(Art 11 CPI).I
segni o indicazioni che, in commercio, possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o
servizi possano costituire marchi collettivi, oppure marchi di garanzia o di certificazione. Un marchio siffatto
non autorizza il titolare a vietare ai terzi l’uso, in commercio, di detti segni o indicazioni purché li usi
conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale o commerciale (’art. 15 della dir. 104/89/CE)

LEZIONE 21
Frodi alimentari e marchi. La pubblicità, ingannevolezza e comparazione
Le frodi alimentari sono la produzione ed il commercio di alimenti non conformi alle normative vigenti e si
configura in una diminuzione del valore della merce economico o nutritivo.

La frode in commercio si realizza indipendentemente da un danno economico per il consumatore.

Le frodi alimentari possono essere: SANITARIE o COMMERCIALI

SANITARIE

Sono azioni che rendono nocivo un alimento e costituiscono un pericolo per la salute pubblica.

Possono essere:

• Adulterazione – una modificazione della composizione naturale dell'alimento mediante una


sottrazione di elementi utili o aggiunta di materia di qualità inferiore che potrebbe esporre il
consumatore a rischi per la salute o allo scopo di ottenere un vantaggio economico (quindi frode anche
di tipo commerciale).
• Sofisticazione – aggiunta all'alimento di sostanze estranee alla sua composizione per migliorarne
l'aspetto o coprirne i difetti.
• Alterazione – modifica delle caratteristiche chimico-fisiche e/o organolettiche dovuti a processi
degenerativi spontanei dovuta ad errata conservazione o gestione.

COMMERCIALI

Sono azioni fraudolente che non determinano un pericolo per la salute pubblica ma che favoriscono illeciti
profitti a danni del consumatore o di terzi.

Possono essere:

• Contraffazione – dare un'apparenza ingannevole ad un alimento utilizzando sostanze in tutto o in parte


diverse per qualità o quantità rispetto a quelle che normalmente lo compongono ( scongelato per
fresco o utilizzo improprio di marchi o nomi).
• Falsificazione – sostituzione di un alimento per un altro ( vendere margarina per burro o olio di semi
per olio di oliva).

Le frodi sono caratterizzate dall'intenzionalità, dall'azione dolosa del responsabile, sono dunque reati di
pericolo concreto e quindi disciplinate dal Codice Penale.

Art. 440 – Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari

Art. 442 – Commercio di sostanze alimentari contraffatte adulterate

Art. 444 – Commercio di sostanze nocive alimentari

Art. 515 – Frode nell'esercizio del commercio

PRODOTTI TIPICI

Sono definiti Prodotti Tipici in ambito europeo i prodotti con particolari caratteristiche di qualità che soddisfano
l'esistenza contemporanea dei CARATTERI DISTINTIVI che hanno la funzione di distinguere un prodotto da un
altro appartenente alla stessa categoria merceologica e sono:

2. MEMORIA STORICA
E' frutto della storia e della tradizione del luogo di produzione, dimostrabile attraverso testimonianze -libri e
riferimenti storici

3. LOCALIZZAZIONE GEOGRAFICA
Fattore di primaria importanza nel determinare la tipicità grazie alle condizioni ambientali dell'area geografica
in questione che imprimono caratteristiche organolettiche non riproducibili in altri luoghi

4. QUALITA' DELLA MATERIA PRIMA


particolare importanza, si intende la razza nel caso dei derivati zootecnici e la cultivar nel caso dei prodotti
vegetali

5. TECNICHE DI PRODUZIONE
valore primario per i prodotti agricoli (tecniche di potatura forniscono particolare sapidità) o trasformati
(strumenti utilizzati, maestranze, tempi e modalità operative possono creare prodotto unico).

I principali strumenti normativi utilizzati per assicurare la sicurezza alimentare e la valorizzazione dei prodotti
tipici sono i MARCHI di QUALITA'.

Un ruolo di primo piano è ricoperto dalle Denominazioni di Origine Protetta DOP e dalle Indicazioni Geografiche
Protette IGP, definiti genericamente marchi di origine, insieme alle Specialità Tradizionali Garantite STG,
disciplinate dal Reg. UE 1151/2012 sui Regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari.

DOP

identifica prodotti strettamente associati alla specifica area della quale portano il nome. Tali prodotti devono
rispondere a due condizioni:

– le caratteristiche sono dovute essenzialmente all'ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori


naturali ed umani;
– Produzione, trasformazioni ed elaborazioni devono svolgersi nell'area geografica di cui porta il nome.
IGP

identifica prodotti in qualche modo legate ad una specifica area geografica. Tali prodotti devono rispondere a
due condizioni:

– qualità o anche solo reputazione sono attribuibili ad un determinato luogo;


– almeno una delle fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione sono realizzate nella zona
geografica delimitata.

Le distinzioni dunque tra una denominazione più stringente DOP e una più labile IGP sono:

– le caratteristiche del prodotto sono dovute essenzialmente tutte nel DOP ad un particolare ambiente,
anche solo una essenzialmente nel IGP;
– caratteristiche intrinseche del prodotto sono attribuibili all'ambiente geografico nel DOP, mentre
nell'IGP la reputazione è legata all'ambiente geografico, inteso come tecniche produttive;
– nel DOP tutte le fasi produzione, trasformazione, elaborazione e confezionamento si svolgono nella
zona geografica delimitata, mentre nel IGP è sufficiente che almeno una fase sia svolta nella zona
d'origine.

Il sistema di registrazione di una DOP o IGP è un'articolata procedura che ha inizio con la presentazione da
parte ad esempio di un consorzio di tutela di un'apposita domanda all'autorità competente dello Stato in cui si
trova l'area geografica di origine. Tra i documenti che devono essere presentati figura il disciplinare di
produzione che comprende una serie di informazioni dettagliate relative al prodotto e al metodo di produzione:

• Denominazione
• Descrizione del prodotto incluse materie prime da utilizzare, informazioni su razze, specie o cultivar,
forme, colore e peso, contenuto minimo di grasso o massimo contenuto di acqua;
• descrizione concisa della delimitazione della zona geografica;
• Tracciabilità dell'origine;
• metodo di produzione;
• legame con il territorio;
• organismi di controllo;
• etichettatura.
STG

Possono fruire del nomen Specialità Tradizionali Garantite quei prodotti agricoli o alimentari ottenuti con
metodo di produzione, trasformazione o composizione che corrispondono ad una pratica tradizionale senza ci
vi sia un collegamento ad una specifica area geografica. (es. STG – Mozzarella; DOP – Mozzarella di Bufala).

PAT

Prodotti Agroalimentari Tradizionali sono prodotti ottenuti con metodi di lavorazione consolidati nel tempo,
almeno 25 anni, collegati al territorio d'origine, generalmente limitate quantitativamente e in zone molto
ristrette.

LA PUBBLICITÀ

Si intende, nella trattazione degli alimenti, qualunque forma di messaggio nell'ambito di un'attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale per promuovere quell'alimento. Per essere lecita deve
essere PALESE, VERITIERA e CORRETTA, ovvero non deve trarre in inganno i consumatori, soggetti a cui è rivolta
(Art. 16 REG. UE 178/2002) con pratiche commerciali sleali lesive di un concorrente.

Il Dlgs. 145/2007 (che recepisce la Dir 2006/114/CE) regolamenta la pubblicità comparativa, non la vieta purché
non sia ingannevole ed induca in errore le persone fisiche o giuridiche.

Perché sia lecita possono essere messi a confronto in modo oggettivo:

1. beni omogenei, che soddisfano gli stessi bisogni o propongano gli stessi obiettivi;
2. caratteristiche essenziali, pertinenti, compreso il prezzo;
3. non deve ingenerare confusione sul mercato tra i professionisti o tra marchio altri segni distintivi;
4. non causa discredito di marchi o altri segni distintivi di un concorrente;
5. non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà legata ad un marchio o altri segni distintivi di un
concorrente;
6. non presenta un bene come imitazione o contraffazione di beni protetti da marchio.

La dir. 2006/114 CE limita la pubblicità comparativa se sono interessate le DOP e IGP, questi prodotti possono
essere comparati esclusivamente tra prodotti con la stessa denominazione.

I concorrenti possono essere individuati implicitamente, si parla di pubblicità comparativa indiretta, oppure i
concorrenti possono essere individuati specificamente e si parla di pubblicità comparativa diretta.

La pubblicità deve essere trasparente e chiaramente percepita come tale. Il termine garanzia o garantito può
essere utilizzato solo se accompagnato dalla precisazione del contenuto. E' vietata ogni forma di pubblicità
subliminale.

La pubblicità di prodotti pericolosi per la salute non può omettere informazioni per la sicurezza dei soggetti.

E' considerata ingannevole la pubblicità che abusa della naturale credulità o mancanza di esperienza dei
bambini o adolescenti e che può anche indirettamente minacciare la loro sicurezza.
Il compito di vigilare al fine di impedire gli effetti di pratiche scorrette di operatori verso altri operatori o
comunque lesiva della concorrenza tra imprese, è attribuita dall'ex Art. 8 Dlgs 145/2007 all'Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato (AGCM – ANTITRUST).

Per determinare se una pubblicità è ingannevole devono essere valutati tutti gli elementi:

• caratteristiche dei beni, loro disponibilità, natura, idoneità allo scopo, l'origine geografica etc;
• il prezzo o condizioni alle quali i beni sono forniti;
• alla categoria, qualifica e diritti dell'operatore pubblicitario

LEZIONE 22
Misure Sanzionatorie in materia di etichettatura
Il Dlgs. 231/2017 prevede le misure sanzionatorie per la violazione della disposizioni del Regolamento
UE 1169/2011, in vigore dal maggio 2018 relativo alle informazioni sugli alimenti al consumatore.
Si definiscono tutte le figure che interagiscono nell'ambito della disciplina delle misure sanzionatorie.

Il soggetto responsabile è l'operatore del settore alimentare con il cui nome o con la cui ragione sociale
è commercializzato il prodotto.

La violazione delle disposizioni sulle pratiche leali di informazione comporta per l'operatore del settore
alimentare l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 a 24.000€, si ha in casi di
alterazione della capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole e non è necessario
provare che il consumatore sia stato effettivamente ingannato ma può essere considerato
ingannevole la sola possibilità di inganno.
Nell'Art. 4 si identificano le violazioni degli obblighi informativi degli operatori del settore:
– Fornisce informazioni non conformi alla normativa (relative agli alimenti non preconfezionati);
– modifica le informazioni (cancellazione di informazioni obbligatorie come data di scadenza,
modalità di conservazione);
– non assicura che le informazioni sugli alimenti non preimballati siano trasmesse all'operatore
del settore (denominazione, lotto, scadenza riportate solo sul documento commerciale e non
sull'imballo);
– viola le disposizioni relative alla fornitura delle indicazioni obbligatorie.

Abbiamo nei successivi articoli un aspetto tabellare dove si individuano le misure sanzionatorie e
l'articolo di riferimento che si utilizza per determinare la sanzione pecuniaria.
Art. 5 Violazione degli obblighi relativi all'apposizione delle informazioni obbligatorie - come la
mancanza di apposizione di una o più sostanze.

Art. 6 Violazione degli obblighi relativi alle modalità di espressione e presentazione delle indicazioni
obbligatorie – come devono comparire nel campo visivo le informazioni.

Art. 8 Violazione in materia di denominazione – denominazione fuorviante, omissione di indicazioni


quali lo stato fisico del prodotto.
Art. 9 Violazioni in materia di elenco degli ingredienti – specifiche relative all'indicazione e
designazione degli ingredienti.
Art. 10 Violazione in materia di requisiti nell'indicazione degli allergeni.
Art. 11 Violazione in materia di indicazione quantitativa degli ingredienti.
Art. 12 Violazioni in materia di termine minimo di conservazione, data di scadenza e data di
congelamento. - Il regolamento 1169/2011 non vieta la vendita di alimenti che abbiano superato il
termine minimo di conservazione (TMC) a condizione che il naturale deperimento delle
caratteristiche organolettiche lo renda non più idoneo al consumo e sia fornita al consumatore una
corretta informazione.

Art. 13 Violazioni in materia di indicazioni del paese d'origine o luogo di provenienza – qualora sia
realizzato in più territori si intende il territorio dove è stata realizzata l'ultima trasformazione
sostanziale (ad eccezione delle materie prime per cui l'origine deve essere indicato come le carni o
prodotti DOP).
Art. 17 Adeguamento della normativa nazionale - Diciture o marche che consentono di identificare la
partita alla quale appartiene una derrata alimentare. - I prodotti alimentari non possono essere posti
in vendita senza riportare l'indicazione del lotto di appartenenza che deve essere apposto sotto la
propria responsabilità da parte del produttore o confezionatore.

Il lotto può essere omesso nel caso in cui la data di scadenza sia indicata con giorno e mese. Non è
richiesto il lotto per i gelati monodose, i prodotti agricoli consegnati a centri di deposito, di
condizionamento o di imballaggio; prodotti non preimballati; confezioni il cui lato più grande ha
superficie inferiore a 10 cm2.

L'omissione del lotto comporta l'applicazione di sanzione amministrativa pecuniaria che varia da
3.000 a 24.000€

Art. 18 in materia dei distributori automatici indicazioni obbligatorie per alimenti non preimballati
quali denominazione dell'alimento, elenco degli ingredienti, allergeni e nome o ragione sociale o
marchio depositato e la sede dell'impresa responsabile della gestione dell'impianto. Le indicazioni
devono essere in lingua italiana e chiaramente visibili e leggibili.
Art. 19 Vendita di prodotti non preimballati – devono essere muniti di cartello applicato al recipiente
che li contiene oppure altro sistema equivalente. Sul cartello vanno indicate:
– denominazione dell'alimento;
– elenco degli ingredienti (salvo esenzioni del Reg. 1169/2011);
– modalità di conservazione;
– data di scadenza;
– il titolo alcolometrico per bevande con contenuto alcolico superiore a 1,2% in volume;
– percentuale di glassatura per prodotti surgelati glassati;
– la designazione “decongelato” di cui all'Allegato VI del Reg. 1169/2011.
Per prodotti di gelateria, pasticceria, panetteria l'elenco degli ingredienti può essere riportato su unico
cartello ben in vista oppure su apposito registro da tenere ben in vista a disposizione dell'acquirente.
Per le bevande vendute mediante spillatura il cartello può essere applicato direttamente
sull'impianto.
Le acque idonee al consumo umano non preconfezionate somministrate in esercizi pubblici devono
riportare la denominazione di vendita “acqua potabile trattata”.

In caso di vendita di alimenti non preimballati serviti dalle collettività (feste) è obbligatoria
l'indicazione delle sostanze che provocano allergie ed intolleranze alimentari.

Art. 20 Prodotti non destinati al consumatore ma destinati all'industria, ad utilizzatori commerciali


intermedi per essere sottoposti ad ulteriori lavorazioni devono riportare:

– denominazione dell'alimento;
– ingredienti o sostanze che provocano allergie o intolleranze;
– quantità netta dell'alimento;
– nome o ragione sociale o marchio depositato e indirizzo dell'operatore alimentare.
Queste indicazioni possono essere riportate sull'imballaggio o sui documenti commerciali.

L'Autorità competente all'erogazione delle sanzioni è il Dipartimento dell'Ispettorato della Tutela della
Qualità e Repressioni Frodi dei Prodotti Alimentari del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e
Forestali.
Restano ferme le competenze dell'AGCM e quelle spettanti agli organi preposti all'accertamento delle
violazioni.

Il Dlgs. 145/2017 Disciplina dell'indicazione obbligatoria in etichetta della sede e indirizzo dello
stabilimento di produzione o di confezionamento, se diverso.

I prodotti alimentari preimballati destinati al consumatore finale devono indicare la sede dello
stabilimento di produzione o di confezionamento, se diverso. Nella fase precedente alla vendita
possono riportare l'indicazione su documenti commerciali che accompagnano gli alimenti cui si
riferiscono.
Se si dispone di più stabilimenti, è consentito indicare tutti gli stabilimenti purché quello effettivo sia
evidenziato.
L'obbligo di indicazione della sede dello stabilimento NON SI APPLICA per alimenti provenienti o
confezionati in paesi UE o extra UE in quanto tale obbligo si configurerebbe come limitazione alla
libera circolazione delle merci.
Se l'attività di confezionamento avviene in più sedi, la sede da riportare in etichetta è quella in cui
avviene il diretto contatto dell'alimento con l'involucro o contenitore.
(Art. 2 del Reg.CE 852/2004 infatti identifica confezionamento come la collocazione dell'alimento a
diretto contatto con un involucro o contenitore).
Regolamento di esecuzione 775/2018 – entrato in vigore aprile 2020
Modalità d'applicazione dell'Art. 26 del Reg. UE 1169/2011 sull'indicazione del paese d'origine o luogo
di provenienza dell'ingrediente primario di un alimento.
Poiché esiste un legame intrinseco tra le caratteristiche del prodotto e l'origine geografica è
necessario specificare come deve essere indicata l'origine dell'ingrediente primario nell'etichettatura.
Le indicazioni del paese d'origine che fanno parte del Marchio d'impresa rientrano nell'ambito di
applicazione dell'Art. 26 del Reg. 1169/2011. Per Marchio d'impresa si intendono tutti i segni, nomi,
disegni, forme, colori che conferiscono un carattere distintivo.
Le indicazioni relative all'ingrediente primario devono essere fornite con un riferimento a zona
geografica facilmente comprensibile per il consumatore (no nomi di fantasia) e le informazioni devono
essere facilmente visibili e chiaramente leggibili.
Non si applica alle indicazioni geografiche protette, normate da specifici regolamenti.

Il paese d'origine o luogo di provenienza dell'ingrediente primario deve comparire nello stesso campo
visivo del paese d'origine o luogo di provenienza dell'alimento.

Gli alimenti immessi sul mercato prima della data di applicazione del regolamento possono essere
commercializzati sino ad esaurimento delle scorte.

La Commissione ha rilasciato comunicazioni (2018/c 196/01) relative alle domande sull'applicazione


del Reg. 1169/2011 in materia di informazioni ai consumatori sugli argomenti:
– DIMENSIONI DEL CARATTERE
Dimensioni obbligatorie devono essere uguali o superiori a 1,2mm
– INGREDIENTI
non è possibile far figurare informazioni che non siano precise o specifiche sulle caratteristiche
dell'alimento che possano indurre in errore il consumatore;
i nanomateriali ingegnerizzati devono essere tutti indicati nell'elenco degli ingredienti
– TERMINE MINIMO DI CONSERVAZIONE E DATA DI SCADENZA
– ETICHETTATURA DEGLI ALIMENTI CONGELATI
– DICHIARAZIONE NUTRIZIONALE

La Commissione si è espressa anche sulle informazioni su sostanze o prodotti che provocano allergie
o intolleranze figuranti nell'All. II del Reg. 1169/2011.
In alcuni casi i nomi specifici come forniti dall'allegato II potrebbero non essere comprensibili per il
consumatore, per cui potrebbe essere consentito fornire nominativi diversi da quelli elencati
nell'allegato per consentire al consumatore di identificare gli ingredienti allergeni. La valutazione è
fatta CASO per CASO.

Devono essere dichiarate nella lista degli ingredienti le noci, il glutine. Nel caso di presenza non
intenzionale è stata valutata come migliore espressione da indicare in etichetta “may contain” può
contenere. E' in valutazione l'identificazione di valori-soglia, sotto il cui valore questa espressione non
è però utilizzabile.
Comunicazione della Commissione anche sulla dichiarazione della quantità degli ingredienti QUID,
informazione che è obbligatoria con esenzione per:

– prodotti la cui etichettatura prevede l'indicazione del peso netto o peso netto sgocciolato;
– ingrediente che pur figurando nella denominazione non determina la scelta del consumatore
poiché la quantità non è essenziale per caratterizzare l'alimento;
– ortofrutticoli utilizzati in miscela come ingredienti in un alimento in cui nessuno predomina in
termini di peso, possono essere indicati come ortaggi in proporzione variabile.

LEZIONE 23
Le Frodi Agroalimentari 1
IL MERCATO AGROALIMENTARE, SCIA E CERTIFICAZIONI

Le agromafie trovano terreno fertile nel fatturato dell’agroalimentare italiano sui mercati nazionali ed esteri
arrivando a determinare i prezzi dei raccolti, a controllare la fase dei trasporti, il lavoro, intere catene
distributive e a promuovere centrali di produzione dell’Italian Sounding stimata al doppio del valore di tutto
l’export dall’Italia diventando veicolo di una sorta di caporalato “legale”, detto anche caporalato “bianco”
molto diffuso.

Il clima culturale e politico a livello comunitario ed internazionale e le strutture normative giocano un ruolo
chiave nella proliferazione di fenomeni distorsivi del mercato e della concorrenza, unita all’illegalità; si pensi al
trattato di libero scambio CETA stipulato tra l’Unione europea e il Canada dove, in forza di un principio di
armonizzazione, ben 250 denominazioni di origine italiane riconosciute dall’Unione europea, non godono di
tutela sul territorio canadese consentendo imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità italiane, legittimando
la pirateria alimentare anche in altri paesi a danno dei prodotti Made in Italy.

Inoltre, con l’azzeramento strutturale dei dazi all’importazione, il CETA spalanca le porte all’invasione di
prodotti trattati con sostanze vietate in Italia come il grano duro dal Canada, trattato in preraccolta con il
glifosato, o le carni suine a cui vengono somministrati ormoni per l’accrescimento.

Nel trattato manca il riferimento alla portata vincolante del principio di precauzione che in Europa impone
cautela preventiva nelle decisioni che riguardano questioni controverse circa l’impatto sulla salute e
sull’ambiente, compresi gli Organismi geneticamente modificati (OGM).

Da qui l’esigenza di etichette chiare per informare i consumatori posti in una situazione di debolezza ed
inconsapevolezza.

E' importante ricordare che il 70% del mercato mondiale del cibo è controllato da 10 multinazionali che fanno
da imbuto alla produzione di 550 milioni di aziende agricole nel mondo.

L'iniziativa dell’etichetta a “semaforo” inglese è proprio legata all’azione di quattro grandi multinazionali del
cibo come Coca Cola, Pepsi Co, Mars, Nestlè, che dispongono di leve pubblicitarie in grado di influenzare gli
orientamenti all’acquisto del consumatore medio. L’etichetta a semaforo prende in considerazione solo
calorie, grassi, proteine e sale, senza considerare la frequenza di assunzione giornaliera e senza far riferimento
alla dieta alimentare nel suo complesso (Diet Coke e Coca Zero sono indicati con il semaforo verde).

Viceversa, prodotti di eccellenza nel nostro patrimonio agroalimentare come l’olio extra vergine di oliva o il
Parmigiano Reggiano che hanno protocolli di produzione specifici e che presentano caratteristiche nutrizionali
complete sono etichettati con semafori negativi. Il semaforo diventa, dunque, il veicolo per diffondere il cibo
omologato e standardizzato.

Il semaforo alimentare è solo un caso di una vasta gamma di situazioni a rischio di disinformazione e c’è bisogno
di grandi investimenti correttivi di informazione a fare chiarezza sui consumi in Italia, spesso anche attraverso
interventi della Coldiretti.

L’esigenza di importare materia prima all’interno di alcune filiere è spesso occasione per fenomeni speculativi
sui prezzi.

Dunque, auspicare un mercato libero, trasparente e giusto, significa impegnarsi ad


c. Assicurare regole ferree (a partire dall’etichettatura dell’origine);
q) Rifuggire da ogni processo che implichi l’abbassamento degli standard qualitativi e/o di sicurezza e
omologazione produttiva;
r) Prevedere un iter amministrativo più snello;
s) Garantire un sistema di controlli e sanzioni adeguato;
t) Esigere risposte veloci dalla politica e dalle istituzioni;
u) Promuovere una costante alleanza con i cittadini consumatori.
Nel considerare il sistema agroalimentare nazionale, si può affermare che esso comprende una vasta parte del
settore commerciale del nostro Paese, coinvolgendo un quarto del totale delle imprese del nostro territorio.
L'Italia ha un patrimonio agroalimentare che non ha eguali in Europa e nel mondo e che è testimoniato da 295
tra denominazioni di origine protetta (DOP) e indicazioni geografiche protette (IGP) e oltre 500 vini riconosciuti
nello schema europeo di qualità.

Sono certamente le caratterizzazioni della materia prima ( origine, metodi di produzione, regime di qualità) a
creare quel differenziale di prezzo che oggi premia la nostra offerta agroalimentare.

Ma i crimini alimentari sono sempre più allarmanti e abbiamo sempre maggiore presenza di “agropirati”, i
nuovi pirati della tavola i quali sporcano la filiera alimentare creando un prodotto mediocre ma allettante per
il consumatore, declamando eccellenze italiane o qualità inesistenti.

Sono i colletti bianchi dell’industria alimentare che immettono nei cicli trasformativi materie prime di bassa
qualità merceologica spacciandoli per genuini ove tutto ciò che è commestibile ed ha blend italiano può essere
piratato, eludendo i controlli ufficiali con l’aiuto delle nuove tecnologie.

Si parla di contraffazione, intesa quale falsificazione, nel senso di creazione di una cosa apparentemente simile
ad un’altra ma diversa nella sua essenza al punto di trarre in inganno l’acquirente con notevoli vantaggi
economici.

Il luogo privilegiato dello smercio del falso food è lo scaffale del supermercato, ma ancor di più il web dove
l’acquisto on line cela identità fittizie e dove è limitato lo spazio d’azione per l’autorità giudiziaria ordinaria
anche per i limiti territoriali della nostra legislazione penale ad operare nelle vendite di prodotti contraffatti
principalmente all’estero.

In testa ai sequestri di falsi cibi e bevande ci sono il prosecco (vino italiano più esportato nel mondo, ma anche
il più imitato) e il parmigiano.

NUOVI METODI NEL SETTORE DEL MADE IN ITALY

Per ciò che attiene la tutela amministrativa del Made in Italy, corre in soccorso ai fini gestionali la Segnalazione
Certificata di Inizio Attività (SCIA), non più un provvedimento amministrativo tipico ma la produzione di effetti
diretti della legge in capo al cittadino che si trova in determinate condizioni di cui egli stesso certifica mediante
autodichiarazione la sussistenza con una semplificazione delle procedure che, non a caso, vanno sotto il nome
di liberalizzazioni. La SCIA rappresenta un risparmio da parte della pubblica amministrazione in luogo del
costoso iter del provvedimento amministrativo.

Negli ultimi anni la contraffazione e il plagio agroalimentare hanno comportato gravi impatti negativi sui
prodotti italiani e solo una corretta informazione sulla proprietà dei prodotti consenta al consumatore di
operare una scelta libera e consapevole a garanzia di una imparziale comparazione tra essi ove il Made in
assume un ruolo fondamentale per la protezione del comparto agroalimentare fuori dai confini nazionali dove
leggi spesso inadeguate rendono fertile il terreno alla produzione e al commercio di alimenti non conformi alla
disciplina normativa vigente.
La proposta è di creare un meccanismo di tutela del Made in alimentare capace di una sinergia con le realtà
esistenti sul territorio, ad es. un consorzio di produttori, così da amplificare l’efficacia degli interventi a tutela
dei prodotti locali.

La forma di tutela proposta è funzionale al conseguimento degli obiettivi fissati dal Trattato di Lisbona in merito
alla c.d. Europa delle Regioni che mira a favorire lo sviluppo delle singole identità territoriali.

Si intende pervenire ad un progetto di legge organico in materia e coerente con la disciplina a tutela del settore
agricolo, agrituristico ed alimentare i cui passaggi sono:

• delibera per il recupero di una società veicolo (SPA o SRL) a partecipazione regionale con adesione
di agro-viti-allevatori regionali a tutela dei loro prodotti;
• delibera per creare un’etichetta anticontraffazione da apporre ai prodotti delle imprese quale segno
di riconoscibilità.

Di rilevante importanza gli ADR (Alternative Dispute Resolution) con l’intento di deflazionare i canali della
giurisdizione statale e favorire sistemi non contenziosi per la risoluzione delle controversie.

Sempre nell’ambito dell’alimento si introduce il discorso della certificazione intesa quale dichiarazione scritta
attestante la conformità di un bene, servizio o attività a requisiti specificati mediante un’attività valutativa e
dichiarativa elaborata da un soggetto terzo, con attestazione che un prodotto è conforme ai requisiti specificati
da determinati standard.

Il soggetto certificatore effettua controlli e verifiche idonee a valutare la conformità dell’oggetto di indagine
alle regole tecniche di riferimento e a rilasciare l’attestato di conformità.

I requisiti di riferimento possono essere frutto di dinamiche di mercato e dunque espressione dell’autonomia
privata o essere oggetto di regolamentazione legislativa ove si determinano le procedure di accreditamento
degli enti.

Si pensi alle certificazione dei sistemi di gestione per la qualità (ISO 9001), ambientale (ISO 14001) per la
sicurezza alimentare (ISO 22000) .

Appartengono, invece, al modello di certificazione regolamentata quelle svolte nel rispetto di normativa
europea e/o nazionale.

Si pensi alle certificazioni di marchio biologico ove si intendono per produzioni di qualità regolamentata le
produzioni soggette a sistemi di controllo ad hoc, quelle ottenute da agricoltura biologica, le carni bovine con
etichettatura facoltativa, i prodotti a indicazione geografica protetta (IGP), le specialità tradizionali garantite
(STG).

Queste attività economiche di certificazione offrono un mezzo di presunzione di conformità dei prodotti ai
requisiti di legge e tutelano in modo preventivo i consumatori, una garanzia di affidabilità di un’impresa e dei
suoi prodotti.

Nell’ambito del biologico il Reg.834/CE/2007 vieta l’uso di termini riferiti alla produzione biologica
nell’etichettatura e nella pubblicità di prodotti che non soddisfano le prescrizioni previste dal regolamento
consentendo l’uso del termine “biologico” sulle produzioni agricole e alimentari assoggettate alle
autorizzazioni di organismi di controllo a ciò deputati.
Il primo regolamento sul biologico del 1992 concedeva agli Stati membri analoga facoltà di organizzare sul
proprio territorio il sistema di controllo mediante autorità designate già prima della riforma del settore
alimentare e mangimistico con il Reg. n.178/CE/2002.

L’adeguamento dell’ordinamento italiano alla disciplina europea sul biologico è stato assicurato con il D.lgs.
n.220/1995 che individua nel Ministero delle politiche agricole l’autorità preposta al controllo e coordinamento
delle attività amministrative inerenti.

Gli enti che intendono esercitare l’attività di controllo in ambito biologico devono presentare apposita istanza
sulla quale il MiPAAF si pronuncia entro novanta giorni e, in caso di accoglimento abilita l’organismo di controllo
ad esercitare la propria attività su tutto il territorio nazionale.

Il Decreto del MiPAAF del 20 dicembre 2013 definisce i principi generali e requisiti per l’adozione di
provvedimenti conseguenti alla non conformità alle regole tecnico-regolatorie poste a livello nazionale ed
europeo.

Nell’ambito degli organismi di controllo autorizzati alla certificazione si identifica la certificazione di una
denominazione di origine protetta (DOP) o di una indicazione geografica protetta (IGP) ai sensi della disciplina
europea.

La registrazione di una DOP o di una IGP è frutto di un procedimento a struttura complessa che si divide in
due sub-procedimenti:

– il primo, interno all’ordinamento del singolo Stato membro


– il secondo è posto sul livello europeo e all’esito del quale si istituisce un titolo di privativa industriale.
La denominazione così registrata può essere utilizzata solo per designare prodotti agricoli o alimentari
conformi al disciplinare corrispondente e gode di una protezione ampia contro usi illeciti come definiti
dall’art.13 Reg. n.1151/UE/2012.

A fronte della registrazione di una DOP-IGP il diritto di usare la denominazione tutelata è riservata a quei
produttori che immettono sul mercato un prodotto che sia stato verificato conforme al disciplinare della DOP-
IGP da una o più autorità competenti e/o organismi di controllo delegati ai sensi della disciplina sui controlli
ufficiali degli alimenti.

Il MiPAAF è l'autorità competente per lo svolgimento dei controlli ufficiali volti a verificare l’adempimento
degli obblighi connessi ai regimi di qualità istituiti dal regolamento, che possono affidare a soggetti terzi
nell'ambito dell'esercizio privato di funzioni pubbliche.

Detti organismi di controllo sono assegnatari di funzioni di pertinenza dell’Autorità delegante e, quindi
pubbliche, laddove i funzionari sono soggetti incaricati di pubblico servizio ai sensi dell’art. 358 c.p..

Questi organismi di controllo svolgano la loro attività sotto la sorveglianza attiva dell’autorità pubblica
competente, responsabile dei loro controlli e delle loro decisioni, svolgendo un’attività certificativa tecnica in
funzione ausiliaria rispetto a quella di sorveglianza sul mercato dell’autorità amministrativa che assume la
responsabilità ultima dell’esito dei controlli. Secondo tale ricostruzione i certificatori privati, laddove agiscano
sulla base di contratti privati e non esercitino poteri coercitivi, svolgono un’attività di verifica tecnica
qualificabile come attività di ausilio alle funzioni di sorveglianza pubblica.

La certificazione è un mondo importante che ha iniziato a svilupparsi verso la fine degli anni Ottanta, intorno
al 1986, quando è nato il sistema di verifica e di controllo che ha interessato molti settori di produzioni tra cui
il comparto agroalimentare, della sicurezza alimentare e della qualità.
L'Organismo di certificazione (OdC), attesta per iscritto che un prodotto, un servizio, un processo ha i requisiti
che vengono posti offrendo garanzie di:

– indipendenza (assenza di conflitti d’interesse);


– imparzialità (uniformità di trattamento per chiunque presenti domanda di certificazione);
– correttezza;
– competenza.

I pilastri della certificazione sono tre:

1) l’organismo di valutazione della conformità (OdC);


2) il soggetto da certificare;
3) la norma standard di riferimento, quest’ultima volontaria ma cogente se richiamata all’interno di leggi
o direttive.

Nel settore agroalimentare, gli organismi normatori a livello internazionale sono l’ISO, a livello europeo il CEN
e a livello nazionale l’UNI.

L’ISO ha pubblicato 20.000 standard che impattano sulla vita di tutti e al quale aderiscono oltre 160 Paesi che
lasciano circolare le merci nell’ambito del proprio sistema molto più facilmente se riportano una certificazione
ISO.

Con il principio del mutuo riconoscimento, le certificazioni ottenute in Italia sono riconosciute in Europa e a
livello internazionale agevolando la circolazione di prodotti in tutti i Paesi che partecipano al sistema di
normazione.

La competenza degli Organismi di certificazione a svolgere attività di valutazione di conformità viene attestata
da un ente terzo attraverso l’accreditamento.

Ogni paese europeo ha un solo Ente di accreditamento (in Italia è ACCREDIA) che opera in linea con quanto
stabilito dal Reg. n. 765/CE/2008 e dalla norma internazionale ISO/IEC 17011.

Le certificazioni possono essere raggruppate in tre categorie:

- La certificazione di prodotto, regolata da norme settoriali, che attesta la rispondenza ai requisiti di un


prodotto;
3. La certificazione di sistema, che attesta la capacità di un’organizzazione di gestire le proprie risorse per
un continuo miglioramento nel settore di competenza, (come le ISO 9001 e 22000);
4. La certificazione regolamentata, che attesta la conformità di un prodotto ad una norma europea Es.
DOP/IGP/STG.

Quando si parla di certificazione, ci si riferisce a quella volontaria che opera nel campo di requisiti più restrittivi
rispetto alla legge con l’obiettivo sempre di differenziare e valorizzare i prodotti per mezzo di essa.

In tema di controlli ufficiali sugli alimenti:

il Reg. n.625/UE/2017 ha sostituito dal 14 dicembre 2019 il Reg. n. 882/CE/2004,

In tema di disciplina europea della produzione biologica:

il Reg. n.848/UE/2018 che sostituirà dal 1° gennaio 2021 il Reg. n. 834/UE/2007

In tema di disciplina nazionale del biologico:


il D.lgs. n.20 del 2018 ha abrogato il D. lgs. N.220 del 1995

LEZIONE 24
LE FRODI AGROLIMENTARI 2
Il sistema di autocontrollo che prevede verifiche e valutazioni, è il pilastro della certificazione volontaria (
sorretto dalla documentazione che dà evidenza delle azioni dell’impresa) volta a garantire la sicurezza
alimentare nel rispetto del sistema HACCP ove si individua il responsabile della sicurezza alimentare.
La certificazione volontaria però non sostituisce il controllo pubblico ma lo supporta poiché non può
sostituire gli organismi di controllo ufficiali.
Detto ciò nessuna certificazione e nessun controllo pubblico può garantire che un’azienda non commetta
frodi.

Per filiera alimentare si intende lo strumento di integrazione della sicurezza alimentare lungo l’intera catena
nella quale si esprime la vita del prodotto, che consente la rintracciabilità ai fini della gestione del rischio ed il
coordinamento delle diverse fasi.
Permette ad ogni operatore di distinguere le proprie responsabilita da quelle altrui.
L’evoluzione nel sistema di controllo di filiera che valorizza l’attiva partecipazione di tutti i protagonisti della
catena alimentare con etichettatura di vasta area e tracciabilità di prodotto, con regole specifiche di igiene;
tutto ciò per garantire qualità del cibo ala consumatore.
La giustizia penale è chiamata a concorrere alla salvaguardia del sistema alimentare e del mercato connesso
negli obiettivi della tutela di salute e sicurezza, ma anche guardando alla corretta utilizzazione e alla
valorizzazione della qualità e dell’immagine che costituiscono valori di incontestabile importanza.

Ormai le imprese attraverso la loro tecnologia e le loro merci sono diventati dei modelli di vita,identità e
cultura.
Il sistema penale prevede un reato di pericolo per ciò che riguarda l’inganno che potrebbe derivare ai
compratori dall’uso di nomi,marchi e segni che possono generare confusione sull’origine e qualità del
prodotto.

L’utilizzo del MADE IN ITALY può essere applicato, in base alla norma doganale, a quei prodotti in cui la
lavorazione sostanziale o ultima trasformazione è stata fatta in Italia, nonostante i prodotti arrivino da altri
paesi.
Differente è nei casi dei prodotti IGP e DOP,
Dal punto di vista sanzionatorio è necessario distinguere tra sanzione penale e sanzione amministrativa,
distinguendo l’inganno dal fraintendimento.
Viene considerato reato qualora attraverso indicazioni false il consumatore sia indotto a ritenere che la
merce sia di origine italiana, mentre è considerato illecito amministrativo nel caso di indicazioni insufficienti
o imprecise che inducono all’errore il consumatore sull’effettiva origine del prodotto.

LEZIONE 25
LE FRODI AGROLIMENTARI 3
La sanzione ha carattere amministrativo, a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina sanzionatoria
sulla fornitura di informazioni sugli alimenti al consumatore, nel caso di induzione all’errore al consumatore
riguardo l’origine prevedendo una sanzione pecuniaria di una somma da 2000,00 a 16000,00 euro.
LE PRATICHE SLEALI DI INFORMAZIONE
Nell’ambito delle pratiche sleali di informazione, il settore alimentare assume un ruolo importante e tra le
innovazioni normative incide oggi il riferimento al diritto alla salute e nel contesto comunitario il reg.
n.178/CE/2002 e il reg. n.1169/UE/2011, il primo avente ad oggetto la food safety ed il secondo la corretta
informazione per il consumatore.
Le informazioni sugli alimenti non devono indurre in errore l’acquirente per quanto riguarda la natura,
l’identità, le proprietà, la composizione, la durata di conservazione, il paese d’origine o il luogo di
provenienza e deve essere veritiero il metodo di fabbricazione o di produzione
LE FRODI AGROLIMENTARI
Per quanto riguarda le sanzioni penali, esse variano in base alla gravità, ed oltre ad una sanzione che prevede
l’ammenda, prevedono l’arresto e in qualche caso una sanzione accessoria che prevede la chiusura definitiva
dello stabilimento e le revoca della licenza,o nei casi piu gravi come nei reati che possono produrre effetti
tossici o comunque nocivi alla salute si può arrivare all’ergastolo.
Nell’ambito delle frodi si identifica la fattispecie dell’associazione per delinquere in caso di frodi organizzate.
Nell’ambito delle normative penali nazionali e amministrative vige il legame tra illecito penale ed
amministrativo, risolto secondo il principio della forza attrattiva del primo nei confronti del secondo e la
competenza anche nell’illecito amministrativo del giudice penale.
Il reato frodatorio è un reato informativo nel senso che la contraffazione alimentare passa attraverso la
manipolazione dell’informazione sulle reali caratteristiche dell’alimento commercializzato.
Alcuni reati:
Il reato di cui all’art. 515 c.p.( reclusione fino a 2 anni) è il capostipite di una sequela di reati di frode
commerciale dove la diversità tra realtà ed informazione è relativa all’origine, provenienza e qualità del
prodotto, tra i quali casi si identifica la vendita di prodotti con caratteristiche diverse da quelle dichiarate, la
vendita di prodotti a denominazione d’origine che non sono tali, un prodotto venduto falsamente biologico.
Un altro caso è quello relativo al prodotto decongelato venduto come fresco o alla presenza di OGM oltre il
limite di tollerabilità.
Mentre l’etichettatura ingannevole identifica l’illecito amministrativo, quella frodatoria presuppone il
sequestro del prodotto non conforme all’etichetta e la successiva restituzione in caso di cambiamento
dell’etichetta corretta e dissequestro.
Il reato di cui all’art.516 c.p. ( reclusione fino a 6 mesi) si riferisce ai prodotti alimentari nello specifico e ciò in
caso di mancata genuinità del prodotto secondo la normativa di settore, ad esempio il burro che deve
contenere un determinato tenore di grassi altrimenti non può essere venduto come tale.
Il reato di cui all’art.517 c.p. Punisce con le pene previste chi ponga in vendita prodotti con nomi,marchi e
segni distintivi volti ad ingannare l’acquirente sull’origine e qualità, come può essere l’utilizzo falso
dell’indicazione Made in Italy o segni che evocano l’Italia .

È possibile l apposizione di un marchio su prodotti fabbricati da altri secondo le caratteristiche qualitative


pattuite con l’esecutore e a condizione che sia specificato in etichetta la realizzazione del prodotto da terzi
con una dicitura appropriata come “ fabbricato da ..”. Siamo nel campo della subfornitura, dove però il
committente ha responsabilità giuridica, economica e tecnica del processo di produzione.

L’art.517 bis c.p. stabilisce un aumento di pena se i reati di cui agli artt. 515, 516 e 517 c.p. hanno ad oggetto
“alimenti o bevande la cui denominazione di origine o le cui caratteristiche sono protetti dalle norme
vigenti”, la facoltà di disporre la chiusura temporanea dello stabilimento o dell’esercizio in cui il fatto è stato
commesso, fino alla revoca della licenza o dell’autorizzazione, con eventuale sequestro preventivo.

( trovato nelle domande ma non nelle slides)


Art 439 è dedicato ai delitti contro l incolumità, con 15 anni o ergastolo, per colui responsabile della morte di
qualcuno per aver avvelenato acque o sostanze destinate all’alimentazione.
Art 440 da 3 a 10 anni per chi corrompe o adulteri acque o sostanze destinate all’alimentazione rendendole
pericolose alla salute pubblica.

LEZIONE 26
LE FRODI AGROLIMENTARI 4
LA TUTELA PENALE DEI MARCHI ALIMENTARI E LA CONTRAFFAZIONE DI DOP E IGP AGROALIMENTARI (ARTT.
473, 474 E 517 QUATER C.P.)

Venendo alle indicazioni geografiche protette (IGP) e alle denominazioni di origine protette (DOP) dei
prodotti agroalimentari va rilevato come l’introduzione dell’art. 517 quater c.p. che punisce, sul modello della
tutela riservata ai marchi registrati dagli artt. 473 e 474 c.p., la contraffazione, l’alterazione e la messa in
circolazione delle indicazioni geografiche e le denominazioni di origini riconosciute da norme interne,
comunitarie o dalle convenzioni internazionali, all’uopo rafforzando la tutela penale delle indicazioni
geografiche con fattispecie di confisca obbligatoria ed anche di responsabilità amministrativa degli enti della
filiera alimentare con lo scopo di reprimere forme di inganno del consumatore e combattere lo sfruttamento
indebito della reputazione della denominazione protetta.
L’apparato punitivo anticontraffazione previsto dagli artt. 473 e 474 c.p. identifica nei segni distintivi i marchi
registrati per i quali è previsto un procedimento di registrazione con efficacia costitutiva del diritto di uso
esclusivo. Per marchi si intendono tutti i segni distintivi riconosciuti come tali dalla disciplina civilistica,
suscettibili di essere rappresentati graficamente purché idonei a distinguere i prodotti o i servizi di
un’impresa da quelli delle altre

Le frodi commerciali intese quali vendita dell’aliud pro alio ( un bene completamente diverso da quello
pattuito) toccano le caratteristiche di qualità per la scelta di acquisto mentre il marchio registrato continua a
svolgere il ruolo di garanzia della qualità dell’alimento.
Spetta alla magistratura, nella fase delle indagini, selezionare ed individuare i mezzi di ricerca della prova
secondo la contestazione ipotizzata sulla diversità per origine, qualità o provenienza geografica dell’alimento
o della materia prima utilizzata nell’assemblaggio del prodotto trasformato (art. 515, ); sulla non genuinità
dell’alimento o di una sua componente essenziale (art.516 c.p.); sulla contraffazione o alterazione del
prodotto agroalimentare DOP o IGP (art. 517 quater c.p.) ; e ciò nell’ambito delle indagini che si snodano
attraverso le perquisizioni , ispezioni, sequestri,intercettazioni.
Nella legislazione alimentare sono punite le trascuratezze igienico-sanitarie e lesive alla salute pubblica e
sono sanzionati comportamenti frodatori offensivi alla lealtà commerciale,in particolare:

LA ALTERAZIONE, modifica della composizione di un alimento volta ad intaccare le caratteristiche nutrizionali


( inadeguata conservazione)
LA ADULTERAZIONE, variazione non dichiarata di componenti di un prodotto. ( mozzarella di bufala con latte
vaccino)
LA CONTRAFFAZIONE un alimento con caratteristiche diverse da quelle reali.
LA SOFISTICAZIONE sostituzione di ingredienti con altri di minor costo ( burro/margarina).

Le frodi alimentari sono commesse sfruttando i minor costi derivanti dall’impiego di materie prime irregolari
o di più bassa qualità o di origine geografica differente di quella dichiarata dall’acquirente con lo scoop di
ottenere maggior margini di guadagno.

Le frodi alimentari sono reiterate ed ad offensività seriale quando l’autore allo scopo di chiaro profitto è
portato ad attuare il comportamento criminoso ogni qualvolta ne avrà occasione.
In questi casi vengono attuate indagini specializzate che nell’ambito delle filiere alimentari coinvolte
impongono accertamenti e verifiche a tappeto anche sul passato dell’impresa al fine di appurare se
l’episodio criminoso non sia la punta di una consolidata prassi frodatoria (c.d. illeciti spia) le cui condotte di
frode sono operate all’origine del prodotto alimentare falsificando la filiera.
In tale contesto si parla di reati invisibili e a vittima silente perché di norma non sono percepibili dal
consumatore che le subisce, infatti i procedimenti per frode non nascono mai dalla denuncia di privati ma da
sequestri operati dalla polizia giudiziaria e controlli a tappeto.
Qualora si proceda nelle forme dell’ispezione delegata occorre agire senza preavviso al fine di evitare che il
materiale da analizzare, possa essere alterato.

Nell’ambito dei controlli alimentari, la certificazione geografica delle produzioni alimentari sta diventando
uno strumento importante per proteggere le produzioni locali di qualità e certificare nei confronti dei paesi
esteri la dimensione territoriale di provenienza degli alimenti.
La necessità di garantire le produzioni locali è molto importante sia per il consumatore che per il produttore,
data la crescente importazione di materie prime agricole o derivati a basso costo e di bassa qualità che
vengono dichiarati prodotti italiani.

LEZIONI 27, 28, 29


Novità legislative
IL REGOLAMENTO (UE) 625/2017 COME STRUMENTO DI UNIFORMAZIONE
La Commissione Europea ha regolamentato un complesso di misure denominato “Pacchetto sulla sanità
animale e vegetale” volto a rafforzare l’applicazione delle norme sulla salute e sul benessere degli animali,
sulla sanità delle piante e sui prodotti e introdurre un quadro finanziario unico per la gestione delle spese ed
il miglioramento dei programmi nel settore agroalimentare.
Il pacchetto di norme ha l’obbiettivo di ridurre in cinque atti legislativi l’attuale normativa comunitaria (quasi
70 atti legislativi separati) nell’ambito della catena alimentare; consiste in cinque proposte relative a:
- Norme per la prevenzione ed il controllo delle malattie degli animali trasmissibili agli animali e
all’uomo;
- Misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante;
- Norme inerenti al materiale riproduttivo vegetale intese ad introdurre regole semplificate e più
flessibili per la commercializzazione delle sementi e di altri materiali riproduttivi vegetali;
- Definizione di un quadro normativo unico per tutti i controlli ufficiali della filiera agroalimentare;
- Introduzione di un quadro finanziario unico per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare,
alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale,
proposta questa ritirata dalla Commissione.
Queste proposte hanno portato all’adozione di regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio, in
particolare:
- Regolamento (UE) 652/2014, del 15 maggio 2014, che fissa le disposizioni per la gestione delle spese
relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al
materiale riproduttivo vegetale;
- Regolamento (UE) 2016/429 del 9 marzo 2016 relativo alle malattie animali trasmissibili;
- Regolamento (UE) 2016/2031 del 26 ottobre 2016 relativo alle misure di protezione contro gli
organismi nocivi per le piante;
- Regolamento (UE) 2017/625 del 15 marzo 2017 relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività
ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle
norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante e sui prodotti fitosanitari.
Preme innanzitutto evidenziare che il regolamento 625/2017 mira a superare i contrasti e le divergenze tra
le varie esperienze giuridiche dei diversi Paesi proponendo ed elaborando nuovi strumenti comuni in
sostituzione totale o parziale dei vigenti strumenti nazionali tentando di superare l’orientamento
dell’armonizzazione ovvero del graduale avvicinamento delle legislazioni dei diversi Paesi membri.
L’iter di approvazione del Reg. 625/2017 è durato circa 4 anni ed è costituito di 167 articoli suddivisi in otto
titoli e da 5 allegati; lo sviluppo del regolamento è avvenuto tramite un cospicuo numero di “considerando”,
intesi come linee di indirizzo generale in materia di controlli ufficiali in 10 settori, nello specifico:
- alimenti e sicurezza alimentare, integrità e salubrità;
- emissione deliberata nell’ambiente di OGM (se destinati a produrre alimenti o mangimi);
- mangimi e sicurezza dei mangimi in tutte le fasi della filiera;
- prescrizioni in materia di salute animale;
- prescrizioni in materia di benessere animale;
- misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante;
- immissione in commercio ed uso di prodotti fitosanitari;
- produzione biologica ed etichettatura dei relativi prodotti;
- uso ed etichettatura delle denominazioni di origine protette;
- sottoprodotti di origine animale e prodotti derivati.
Sono esclusi dall’ambito applicativo il controllo di conformità sul farmaco veterinario, il controllo di
conformità delle norme sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, il controllo di conformità della
disciplina PAC. La nuova norma abroga un molteplice numero di direttive e regolamenti europei puntando ad
un processo di sburocratizzazione e trasparenza della P.A. che in Europa si concretizza in provvedimenti che
abrogano o modificano disposizioni precedenti e stabiliscono criteri per la riorganizzazione dei controlli e dei
servizi resi al cittadino.
Il Regolamento 625/2017 inoltre, comporta un ampliamento in materia di alimenti e sicurezza alimentare,
emissione deliberata di OGM nell’ambiente, mangimi e loro sicurezza, prescrizioni in materia di salute
animale, prevenzione e riduzione dei rischi derivanti da sottoprodotti e rifiuti animali, protezione contro gli
organismi nocivi delle piante, prescrizioni per commercio ed uso di fitofarmaci, controlli sulla produzione
biologica e relativa etichettatura, uso ed etichettatura di marchi di qualità (DOP, IGP etc),
Il Regolamento 625/17 in materia di controlli è sovraordinato alle norme tecniche specifiche operanti nei
sopra detti settori di intervento, ove per la Sanità è un continuo rispetto al Reg 882/04 mentre è innovativo
per l’Agricoltura. Restano ancora esclusi dal campo di applicazione i controlli relativi all’O.C.M. (Reg.
138/2013) intervenendo invece sui controlli effettuati secondo le norme di commercializzazione per
prevenire e reprimere pratiche fraudolente ed ingannevoli.
Per ciascuno dei settori disciplinati dalla normativa, gli Stati membri designano le Autorità Competenti a cui
conferiscono la responsabilità di organizzare o effettuare controlli ufficiali con qualifica di agente o ufficiale
di P.G. competente ad avviare un procedimento penale a carico di una impresa.
Il reg.625 conferma i requisiti di indipendenza, imparzialità e carenza di conflitto di interessi che le Autorità
coinvolte devono assicurare distinguendo tre autorità:
- autorità competenti che operano nell’ambito dei settori disciplinati dalla normativa;
- autorità unica designata che opera coordinando l’efficacia di controlli nell’ambito del suo territorio;
- autorità di controllo nel settore biologico, e organismi delegati, soggetti ad obblighi specifici con
accreditamento obbligatorio alle norme pertinenti, ai compiti delegati in questione, tra cui la norma
E ISO/IEC/ 17020 “Requisiti per il funzionamento dei vari tipi di organismi che effettuano attività di
ispezione”.
Le condizioni per la delega a persone fisiche di determinati compiti riguardanti i controlli ufficiali stabiliti
dall’art.30 del regolamento dove prevede:
- l’applicazione di requisiti di garanzia con obbligo di pianificazione e rendicontazione ai sensi del
Reg.882/04
- basato sulla valutazione del rischio (Reg.178/2002) e sulla categorizzazione del rischio
(Reg.882/2004), artt. 42 e 43.
L’art.2 del D. Lvo 193/2007 ha individuato le Autorità competenti in materia di sicurezza alimentare nel
Ministero della Salute. Lo stesso articolo definisce “organismo di controllo” un terzo dipendente cui l’autorità
competente ha delegato certi compiti di controllo nell’ambito delle imprese alimentari per contestare illeciti
amministrativi o penali anche diversi dalle frodi o dalle contraffazioni alimentari. L’organismo di controllo
comunica i risultati delle verifiche effettuati all’autorità competente su base regolare o quando quest’ultima
ne fa richiesta garantendo un coordinamento efficiente volto ad evitare e fronteggiare non conformità e/o
sospetti.
In caso di non conformità l’art. 54 del reg.882/2004 prevede che l’Autorità competente intervenga per
assicurare che l’operatore ponga rimedio alla situazione per assicurare l’autenticità e l’integrità della catena
alimentare, la repressione delle frodi e la tutela dei marchi.
Gli obiettivi principali sono: la trasparenza dei controlli, le informazioni alle imprese sull’esito dei controlli, le
informazioni ai consumatori su come i controlli vengono effettuati e sui risultati ottenuti, le informazioni tra
autorità competenti e altri organi di controllo relativamente a casi di non conformità, pubblicazione annuale
delle informazioni relative all’organizzazione e svolgimento dei controlli ufficiali.
Nell’ambito della nuova normativa, assume rilevante spessore il sistema di allerta sulla divulgazione di
informazioni per il ritiro e richiamo di prodotti difettosi a tutela della salute pubblica, in particolare in Italia
dove si ravvisa una specializzazione nella fase di trasformazione di materie prime provenienti da altri paesi.
Con la legge 4 ottobre 2019 n.117, Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee per
l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2018 il Governo italiano è
delegato ad adottare, entro dodici mesi, uno o più decreti legislativi con i quali provvede ad adeguare la
normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n.2016/2031 del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 26 ottobre 2016 e, limitatamente alla normativa nazionale sulla sanità delle piante, alle
disposizioni del regolamento (UE) 2017/625 del Parlamento Europeo, nonché a raccogliere in testi unici
tutte le norme vigenti in materia di sementi e materie di moltiplicazione delle piante da frutto etc. in
coordinamento con il regolamento (UE) 2016/2031 relativo alle misure di protezione contro gli organismi
nocivi per le piante e con le pertinenti disposizione del reg.625 individuando, tra gli altri, nel Ministero delle
Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo l’organo di collegamento per lo scambio di
comunicazioni tra le autorità competenti degli stati membri nei settori di competenza con contestuale
riorganizzazione dei posti di controllo e di ispezione di frontiera e ridefinizione del sistema sanzionatorio con
misure efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni.
In conclusione, può affermarsi che il nuovo Regolamento 625/2017 è un coraggioso tentativo di racchiudere
in un unico testo i doveri degli Operatori del Settore Alimentare (OSA) nazionali, comunitari ed extra
comunitari attribuendo ad essi maggiori responsabilità e chiamandoli a partecipare ai costi del controllo
ufficiale ma, allo stesso tempo riconoscendogli maggiori diritti.

Nutrition & Health Claims


Il 17 marzo è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n. 27/2017 ‘che stabilisce le sanzioni
amministrative per le violazioni delle disposizioni sulle indicazioni nutrizionali e salutistiche di cui al
Regolamento Reg. CE 1924/2006‘. Il 1° aprile 2017 in Italia entrano finalmente in vigore le relative sanzioni.
La competenza primaria sulla vigilanza viene attribuita all’autorità sanitaria. In linea con le competenze
attribuite al ministero della salute in tema di controlli pubblici ufficiali sulla sicurezza alimentare e
l’informazione commerciale ad esso relativa, ciò non esclude giurisdizioni concorrenti che intervengono in
auto-regolazione sulla pubblicità ingannevole, la cui competenza si radica nel c.d. Codice del Consumo, in
relazione alle pratiche commerciali scorrette. Il quadro sanzionatorio per la violazione delle regole europee si
basa su sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie per la violazione dei principi generali e specifici
stabiliti nei regolamenti europei di cui in seguito:
- Reg. CE 1924/06 e successive modifiche, recante disciplina generale dell’impiego di Nutrition &
Health Claims nell’informazione commerciale relativa agli alimenti;
- Allegato al già menzionato regolamento, per quanto attiene l’elenco tassativo delle indicazioni
nutrizionali ammesse (c.d. nutrition claims), le condizioni d’utilizzo e i relativi schemi di
comunicazione;
- Reg. UE 432/12 e seguenti integrazioni, in merito alle indicazioni relative alla salute autorizzate dalla
Commissione europea, c.d. health claims, a seguito di appositi pareri dell’Efsa.
Il 2018 rappresenta un anno chiave per la svolta alimentare dell’intera Unione Europea. Dal 1° gennaio 2018
è diventato attuativo il Regolamento (UE) n. 2015/2283 del 25 novembre 2015 che si occupa della
regolamentazione della produzione e del commercio dei Novel Food in Europa aggiornando la normativa
precedente; ovvero, introduce nuove regole sulla gestione ed autorizzazione dei Novel Food, cioè di quegli
alimenti che non hanno una storia significativa di consumo anteriore al 15 maggio 1997. Tra l’altro, possono
ricadere tra i “nuovi alimenti” quelli costituiti, isolati o prodotti da piante, microorganismi, funghi o alghe,
colture cellulari. La nuova disciplina prevede inoltre regole specifiche per determinare lo status di Novel
Food, una procedura di autorizzazione comunitaria centralizzata e non più di competenza dei singoli Stati
membri, un’autorizzazione per i prodotti provenienti da Paesi Terzi e la possibile tutela dei dati scientifici per
cinque anni. A partire dal 1° gennaio 2018 cambia l’iter di autorizzazione dell’immissione sul mercato dei
novel food e possono fare il loro ingresso sul mercato europeo gli insetti; la FAO incita all’entomofagia, il
consumo alimentare di insetti, per risolvere il problema del sostentamento della popolazione mondiale e per
salvaguardare il benessere del pianeta.
A rigor di legge, un novel food è un alimento che non viene consumato in modo significativo dal periodo
antecedente al Maggio 1997, la data spartiacque è il 1997 in quanto è proprio questo l’anno di pubblicazione
del primo Regolamento (CE) 258 che disciplina questa categoria di alimenti. Una serie di decreti e
regolamenti si sono susseguiti a partire da quel giorno per arrivare al 2015, anno del decreto-legge che
abroga la normativa precedente e finalmente regolamenta le linee guida da seguire per la loro messa in
commercio. Un aspetto importantissimo modificato con il decreto-legge 2015/2283 del 2015 è quello che
riguarda il percorso di autorizzazione dell’immissione sul mercato dei novel foods, ovvero, prima del 2015 un
singolo Stato membro dell’Unione Europea aveva la possibilità di approvare l’immissione sul mercato di un
novel food a sua discrezione, dopo aver condotto gli accertamenti che riteneva necessari. Invece, adesso
un’azienda che voglia far riconoscere come novel food un suo prodotto e immetterlo sul mercato, dovrà
dapprima chiedere l’autorizzazione alla nazione di appartenenza, la quale dovrà sottoporre il tutto al vaglio
degli Stati membri dell’UE e, se necessario, ricorrere ad un’ulteriore autorizzazione data dall’Efsa.

I novel food secondo la legge


Secondo il decreto CE 2283/15 tutti gli alimenti appartenenti alle seguenti categorie possono essere
considerati novel food:
- Prodotti o ingredienti alimentari con una struttura molecolare primaria nuova o volutamente
modificata;
- prodotti o ingredienti alimentari costituiti o isolati a partire da microrganismi, funghi o alghe;
- prodotti o ingredienti alimentari costituiti da vegetali o isolati a partire da vegetali e ingredienti
alimentari isolati a partire da animali;
- prodotti e ingredienti alimentari sottoposti ad un processo di produzione non generalmente
utilizzato, che comporta nella composizione o nella struttura dei prodotti o degli ingredienti
alimentari cambiamenti significativi del valore nutritivo, del loro metabolismo o del tenore di
sostanze indesiderabili.
L’Efsa, tende a precisare che in realtà i nuovi alimenti sono da sempre stati presenti nella nostra
alimentazione anche se la nostra memoria non può ricordarlo. Per esempio, la banana, coltivata solo nei
paesi tropicali, è stata importata in Europa nel 1500; il pomodoro arriva nelle nostre zone dall’America nel
1540; stessa sorte spetta al mais che dall’America conosce l’Europa grosso modo negli stessi anni. Per i nostri
predecessori tutti questi alimenti erano di certo dei novel foods!
L’Efsa specifica anche che sarà rigidamente monitorata la qualità di questi nuovi prodotti che non dovranno
essere assolutamente nocivi per la salute del consumatore. L’autorità europea avrà, infatti, il compito di
assicurarsi che le tecnologie utilizzate per produrre i novel foods non compromettano la salute dell’uomo.
Capitolo 28

QUALI SONO I NOVEL FOOD PIÙ COMUNI?


I novel food sono tantissimi e negli ultimi anni stanno aumentando a dismisura.
Le alghe sono tra i novel food più noti e rientrano a pieno titolo nell’elenco dei nuovi alimenti previsti dal
nuovo decreto essendo alimenti di origine vegetale che partono da una materia prima non usualmente
consumata negli ultimi anni e ottenuta con nuovi metodi di produzione. Il loro elevato contenuto di vitamine
e sali minerali le rende uno degli slogan della rivoluzione vegan, che consiglia il loro consumo al posto della
verdura. Le alghe vengono immesse sul mercato attraverso l’estrazione dei loro principi nutritivi per farne
degli integratori; un’alga molto nota soprattutto come integratore è la spirulina, ritenuta utile per rinforzare
il sistema immunitario. Alcune giovani start up in Italia hanno deciso di coltivare quest’alga in serra e di
effettuarne l’estrazione utilizzando impianti il più possibile biocompatibili; le alghe non rappresentano un
rischio per la salute a patto che siano coltivate in acque non inquinate, per questo motivo, è bene controllare
l’etichetta dei prodotti a base di alghe e prediligere il consumo di quelle allevate in territorio europeo.
L’etichettatura per i novel food sarà però più rigida e sarà più facile scegliere e consumare prodotti di
qualità.
Tra i novel food si annoverano gli insetti e loro derivati che sono i nuovi alimenti per eccellenza; gli insetti
rappresenterebbero il cibo del futuro per la facilità con cui possono essere allevati e per il loro elevato valore
nutrizionale. La ricerca di nuove fonti di cibo diventa indispensabile nel momento in cui la popolazione
mondiale cresce sempre di più. Per garantire il sostentamento e per assicurare un corretto apporto di
nutrienti, si sta ricorrendo sempre di più all’implementazione degli allevamenti animali. Tutto ciò ha però un
impatto ambientale fortissimo in quanto le emissioni di CO2 (anidride carbonica) degli allevamenti intensivi,
gli scarti prodotti da queste pratiche che inquinano suoli e acque, la deforestazione che aumenta sempre di
più per ampliare i terreni a disposizione dell’agricoltura e dell’allevamento, sono tutti aspetti che inficiano il
clima mondiale e questo nel lungo periodo porterà ad un’autodistruzione del pianeta.
La pratica dell’entomofagia potrebbe limitare tantissimo questi danni ambientali, poiché gli insetti sono
ubiquitari, cioè il loro ciclo di crescita è molto rapido e possono essere prodotti in gran numero con un
impatto ambientale bassissimo.
Il contenuto proteico degli insetti è molto elevato in quanto forniscono proteine nobili al pari di carne e
pesce; inoltre, presentano un elevato contenuto di acidi grassi, fibre e sali minerali che li rende fondamentali
per il trattamento della malnutrizione.
Attualmente, gli insetti sono usati come cibo in alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia, come Cina e Tailandia, ma
anche in Messico. Tra gli insetti attualmente più consumati a livello mondiale possiamo citare sicuramente le
cavallette che sono consumate in una quantità media di 10 tonnellate l’anno in alcuni paesi, prima tra tutti la
Cina.

ELABORAZIONE GRAFICA DATI FAO BY LE NIUS

L’Efsa sottolinea la problematica dell’introduzione di questi prodotti nell’alimentazione europea e garantisce


che si presterà attenzione ad ogni aspetto di questa nuova frontiera. Consumare gli insetti potrebbe non
essere così sicuro, poiché potrebbero contenere metaboliti tossici e sostanze difensive irritanti che
potrebbero creare spiacevoli reazioni allergiche; quindi prima di dare vita ad un allevamento intensivo di
insetti si dovrà capire se la specie possa essere realmente idonea al consumo da parte dell’uomo. Le
industrie dovrebbero lavorare gli insetti adeguatamente e sottoporli a buone pratiche di cottura.
In Europa sono già in circolazione alimenti a base di insetti. La FAO ritiene che le specie di insetti
commestibili siano circa 1900 e invita caldamente al loro consumo e allevamento per risolvere il problema
del sostentamento della popolazione mondiale.
A seguito dell’attuazione del decreto del 2015 in alcuni paesi dell’UE sono già arrivati prodotti a base di
insetti. In Svizzera sono già giunti alimenti di questo tipo allo scopo di sensibilizzare la popolazione locale.
Alghe e insetti rappresentano sicuramente i novel food per eccellenza ma oltre ad alghe ed insetti la lista dei
novel food dal 2018 è molto più lunga ed è certamente destinata ad aumentare dal momento che le
tecnologie alimentari propongono sempre nuovi prodotti e nuove modalità di estrazione dei nutrienti. Ad
esempio, tra i novel food potrebbero rientrare alcuni additivi ed integratori alimentari realizzati con metodi
particolari, sebbene la normativa europea specifichi che, oltre agli OGM, non sono da considerarsi novel
foods nemmeno additivi, integratori alimentari e aromi, nel dettaglio potrebbero rientrare tra i novel food gli
integratori addizionati di fitosteroli e licopene che, per legge, sono soggetti ad obbligo di notifica al Ministero
della Salute. Un additivo alimentare che è stato classificato tra i novel food è il tagatosio, un dolcificante
nuovo perché ottenuto mediante un processo di sintesi chimica a partire dal lattosio. Dal 2005 l’UE ne ha
regolamentato l’utilizzo e da quel momento è possibile trovarlo in numerosi prodotti speciali a basso indice
glicemico destinati ad esempio ai diabetici.
Una indagine condotta dalla Coldiretti mostra come il 54% degli Italiani sia contrario a questa rivoluzione
alimentare. Mentre gli altri paesi dell’Unione Europea sono pronti a confrontarsi con il mercato alimentare
dei novel food, l’Italia è, invero, in ritardo sulla tabella di marcia che ne regola produzione e distribuzione.
Numerose sono le difficoltà delle nuove modalità di produzione.
Il Decreto Lgs n.29/2017
Il Decreto Legislativo 10 febbraio 2017, n. 29 pubblicato in Gazzetta Ufficiale 18 marzo 2017, n. 65, riguarda
gli alimenti e in particolare gli imballaggi, gli incarti, i materiali di trasporto, e tutto ciò che ha a che fare
indirettamente con i prodotti alimentari. In particolare, è stata introdotta una serie di sanzioni per chi non
utilizza le cautele previste dalla legge. Gli operatori interessati sono: chi produce, vende, o utilizza materiali
destinati a venire in contatto con prodotti alimentari (imballaggi, confezioni, incarti, etichette, contenitori,
recipienti, buste, ecc.).
Le sanzioni:
- Per l’inosservanza degli obblighi di comunicazione: da 10.000 a 30.000 euro,
- Per l’inosservanza degli obblighi di etichettatura in lingua italiana: da 1500 a 15.000 euro,
- Per chi viola gli obblighi in materia di rintracciabilità: da 3000 a 25.000 euro,
- Per chi viola le norme di buona fabbricazione previste dal regolamento CE 2023/2006: da 1500 a
40.000 euro
Le Norme di Buona Preparazione sono costituite da un insieme di regole che descrivono i metodi, le
attrezzature, i mezzi e la gestione delle produzioni per assicurarne gli standard di qualità appropriati.
Componente fondamentali delle GMP sono:
1. documentare, tramite apposite registrazioni, ogni aspetto del processo, ogni attività ed ogni
operazione;
2. utilizzare personale che abbia ricevuto un'apposita formazione;
3. occuparsi attivamente di pulizia e sanitizzazione
4. verificare con regolarità il buon funzionamento degli strumenti e dei macchinari
5. validare i processi;
6. gestire i reclami.
Chi viola le norme in materia di cosiddetti “oggetti attivi e intelligenti” previste dai regolamenti CE
1935/2004 e 450/2009: sanzioni da 4000 a 60.000 euro; Violazione delle norme in materia di fabbricazione e
utilizzo di prodotti plastici: da 1.500 a 60.000 euro, se la violazione riguarda materiali in plastica riciclata: da
6000 a 60.000 euro, se la violazione riguarda derivati epossidici: da 5000 a 60.000 euro.
La normativa di riferimento su cui il provvedimento va ad incidere è costituita dai seguenti regolamenti:
- regolamento (CE) n. 1935/2004 riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i
prodotti alimentari,
- regolamento (CE) n. 2023/2006 sulle buone pratiche di fabbricazione dei materiali e degli oggetti
destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari,
- regolamento (CE) n. 282/2008 relativo ai materiali e agli oggetti di plastica riciclata destinati al
contatto con gli alimenti,
- regolamento (CE) n. 450/2009 concernente i materiali attivi e intelligenti destinati a venire in
contatto con gli alimenti,
- regolamento (CE) n. 10/2011 riguardante i materiali ed oggetti in plastica destinati a venire in
contatto con i prodotti alimentari,
- regolamento (CE) n. 1895/2005 relativo alla restrizione dell'uso di alcuni derivati epossidici in
materiali e oggetti destinati a entrare in contatto con prodotti alimentari.

PAT e insetti: come applicare il nuovo Regolamento


Le Direzioni ministeriali della Sanità Animale e della Sicurezza alimentare hanno diffuso una circolare che
spiega come applicare le nuove norme europee sulle proteine animali destinate all'alimentazione di animali
da allevamento. Con il Regolamento 2017/893 la Commissione Europea ha modificato alcuni allegati dei
Regolamenti (CE) 999/01 (Allegato I e IV) e (UE) 142/2011 (Allegati X, XIV e XV). Una circolare odierna
dettaglia ai Servizi Veterinari e a tutti i soggetti di competenza le condizioni di applicazione del nuovo
Regolamento.
Fra le novità l'autorizzazione, per l'alimentazione degli animali d'acquacoltura, delle proteine animali
trasformate derivate da insetti e i mangimi composti che le contengono. La Commissione Europea ha
stabilito, con il Regolamento 2017/893, condizioni specifiche per la loro produzione ed uso "al fine di evitare
qualsiasi rischio di contaminazione incrociata con altre proteine che potrebbero comportare un rischio di TSE
nei ruminanti". Le proteine animali trasformate derivate da insetti potranno essere prodotte in impianti
adibiti esclusivamente alla produzione di prodotti derivati da insetti d'allevamento.
Tenendo conto della valutazione del rischio a livello nazionale, nonché del parere dell'EFSA, vengono
riconosciute 'sicure' per l'impiego nei mangimi le seguenti specie di insetti allevate attualmente nell'Unione:
mosca soldato nera, mosca comune, tenebrione mugnaio, alfitobio, grillo domestico e grillo silente. Le
disposizioni dell'Unione riguardanti la salute degli animali e dei vegetali, la sanità pubblica o i rischi
ambientali sono adeguate a garantire che l'allevamento di insetti in seno all'Unione su una scala più ampia
sia sicuro. Le specie di insetti allevati nell'Unione non devono essere patogene o avere altri effetti negativi
sulla salute umana, animale o vegetale; non devono essere riconosciute come vettori di agenti patogeni
umani, animali o vegetali e non devono essere né specie protette né specie definite come esotiche invasive,
quindi si tratta di una produzione effettuata nel quadro dei piani di controllo degli Stati membri, suffragata
da alcuni studi e pareri scientifici che hanno dimostrato che gli insetti d'allevamento potrebbero
rappresentare una soluzione alternativa e sostenibile alle fonti convenzionali di proteine animali destinate
all'alimentazione di animali da allevamento non ruminanti.
Anche l'EFSA si è pronunciata a favore, valutando gli eventuali rischi connessi alla presenza di prioni:
l'Agenzia ha concluso che - "rispetto alla presenza di pericoli nelle fonti di proteine di origine animale
attualmente autorizzate- il verificarsi di pericoli negli insetti non trasformati dovrebbe essere pari o inferiore,
a condizione che gli insetti siano nutriti con substrati che non contengono materiale proveniente da
ruminanti o di origine umana (concime). Poiché la trasformazione di insetti può ridurre ulteriormente il
verificarsi di pericoli biologici, tale affermazione è valida anche quando si tratta di proteine animali
trasformate derivate da insetti". Alla luce dell'attuale situazione, viene abrogato il divieto di esportazione di
proteine animali trasformate derivate da ruminanti al fine di ridurre l'onere per gli scambi commerciali.

LEZIONE 29
Mangimi: le sanzioni per violazione del regolamento 767/2009
Il Consiglio dei ministri, il 27 gennaio 2017, ha approvato in esame definitivo due decreti legislativi che
disciplinano le sanzioni applicabili in caso di violazione di regolamenti europei a tutela dei consumatori:
- Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n.1924/2006
relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari;
- Disciplina sanzionatoria per le violazioni delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n.767/2009
sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi.
In merito al secondo dei due provvedimenti, si stabilisce che le sanzioni saranno applicate al responsabile
dell’etichettatura o all’operatore del settore dei mangimi, saranno previste sanzioni specifiche per l’uso
ingannevole di claims e dell’etichettatura facoltativa in genere; saranno, inoltre, modulate le sanzioni per il
mancato rispetto delle tolleranze di etichettatura, a seconda che si tratti di una discrepanza dei tenori
analitici (ceneri, fibra etc.) o dei livelli di additivi.
Saranno poi previste sanzioni più gravi per le condotte che compromettono la sicurezza dei mangimi, quali
l’immissione sul mercato di mangimi contaminati senza le indicazioni di etichettatura previste o di materiali
soggetti a divieto di utilizzo nei mangimi.

Commercializzazione dei mangimi: le regole dell’Unione europea


La disciplina è contenuta nel Regolamento (CE) n. 767/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13
luglio 2009, sull’immissione sul mercato e sull’uso dei mangimi.
Il Regolamento fissa le norme che si riferiscono all’immissione sul mercato e all’uso dei mangimi per animali
e animali da compagnia destinati alla produzione di alimenti e stabilisce inoltre i requisiti legati
all’etichettatura, all’imballaggio e alla presentazione.
I mangimi devono soddisfare le prescrizioni in materia di sicurezza e di commercializzazione; in particolare,
essi devono essere: sicuri; privi di effetti nocivi diretti sull’ambiente o sul benessere degli animali; sani,
genuini, di qualità leale, adatti all’impiego previsto e di natura commerciabile; etichettati, imballati e
presentati conformemente alla legislazione applicabile. Non devono contenere materiali la cui immissione
sul mercato sia soggetta a restrizioni o vietata.
Deve essere possibile tracciare i mangimi in tutte le fasi della produzione, della lavorazione e della
distribuzione. Gli operatori del settore dei mangimi devono essere in grado di identificare chi ha fornito loro:
mangimi; animali destinati alla produzione di alimenti; sostanze destinate o possibilmente destinate a essere
aggiunte ai mangimi. I mangimi destinati o possibilmente destinati all’immissione sul mercato dell’UE devono
essere etichettati o identificati in maniera tale da poter essere tracciati.
Il Regolamento stabilisce le disposizioni generali relative all’etichettatura e alla presentazione di tutti i
mangimi, come ad esempio l’obbligo di indicare: il tipo di mangime; il nome e l’indirizzo dell’operatore del
settore dei mangimi; il numero di riferimento della partita o del lotto; le quantità nette; l’elenco degli additivi
usati; il tenore di umidità. L’etichettatura e la presentazione devono essere chiaramente leggibili e indelebili.
Non devono indurre l’utilizzatore in errore per quanto concerne l’uso previsto o le caratteristiche dei
mangimi.
La Commissione europea ha pubblicato ulteriori consigli per aiutare le aziende in questo senso, come: le
linee guida per la distinzione tra materie prime per mangimi, additivi per mangimi, biocidi e medicinali
veterinari; il codice di buona pratica in materia di etichettatura degli alimenti per animali da compagnia.
Le materie prime per mangimi e i mangimi composti devono essere immessi sul mercato all’interno
d’imballaggi o recipienti sigillati.

Il Regolamento è entrato in vigore il 21 settembre 2009.

Articolo 1: Campo di applicazione.


Articolo 2: Autorità competenti. Per l’accertamento e l’irrogazione delle sanzioni provvedono le strutture
competenti dei Ministeri della Salute, del MIPAAF, M Sviluppo Economico, delle Regioni, delle Province
autonome, delle ASL, secondo gli ambiti di rispettiva competenza.
Articolo 3: Violazioni riguardanti le prescrizioni in materia di sicurezza e di commercializzazione. Salvo il fatto
costituisca reato l’operatore che violi le disposizioni in materia di sicurezza e commercializzazione
Articolo 4: Violazioni riguardanti le responsabilità e gli obblighi delle imprese nel settore dei mangimi. Il
soggetto responsabile dell’etichettatura del mangime che non fornisca alle autorità competenti le
informazioni, concernenti la composizione o le proprietà dichiarate
Articolo 5: Violazioni riguardanti restrizioni e divieti. Sanzione per l’operatore che, violando l’articolo 6, § 1
del Regolamento, immetta sul mercato o impieghi, ai fini dell’alimentazione animale, mangimi contenenti
materiali soggetti a restrizioni o vietati e individuati nell’allegato III del citato regolamento (CE) n. 767/2009,
e successive modificazioni.
Articolo 6: Violazioni riguardanti il tenore di additivi. L’operatore che viola le disposizioni di cui all’articolo 8, §
1 in merito alla concentrazione massima di additivi coccidiostatici ed istomonostatici ammessi per materie
prime per mangimi e per mangimi complementari
Articolo 7: Violazioni riguardanti la commercializzazione di mangimi destinati a particolari fini nutrizionali. È
soggetto a sanzione pecuniaria l’operatore dei mangimi che viola le disposizioni dell’articolo 9 del
Regolamento8, in base al quale I mangimi destinati a particolari fini nutrizionali possono essere
commercializzati in quanto tali unicamente se il loro uso previsto figura nell’elenco degli usi previsti altrove
definiti e se possiedono le caratteristiche nutrizionali essenziali per il particolare fine nutrizionale stabilito in
tale elenco.
Articolo 8: Violazioni riguardanti i principi per l’etichettatura e la presentazione. Le disposizioni contenute in
quest’articolo fanno riferimento all’articolo 11 del Regolamento, che detta principi per l’etichettatura e la
presentazione. Si contemplano quattro casi di violazioni di norme:
1) l’etichettatura e la presentazione dei mangimi non devono indurre in errore, segnatamente riguardo
all’uso previsto o alle caratteristiche dei mangimi, in particolare, la loro natura, il metodo di fabbricazione o
di produzione, le proprietà, la composizione, la quantità, la durata, le specie o le categorie di animali cui sono
destinati attribuendo ai mangimi effetti o proprietà che non possiedono oppure lasciando intendere che i
mangimi possiedono caratteristiche particolari benché tutti i mangimi comparabili posseggano queste stesse
caratteristiche. 2) – 4). Le altre tre fattispecie sono indicate in nota e attengono all’articolo11, §§ 2 e 3; al
paragrafo 5 e nell’allegato IV, parte B
Articolo 9: Violazioni riguardanti le responsabilità. Si prevedono due casi nei quali s’incorre in una sanzione
amministrativa pecuniaria.
1) violazione, da parte dell’operatore del settore dei mangimi responsabile delle attività di vendita al
dettaglio o di distribuzione non riguardanti l’etichettatura, delle norme intese a garantire la conformità ai
requisiti di etichettatura del prodotto
2) violazione delle disposizioni per le quali, nell’ambito delle aziende sotto il proprio controllo, gli operatori
del settore sono tenuti a provvedere a che le indicazioni obbligatorie di etichettatura siano trasmesse lungo
l’intera filiera alimentare.
Articolo 10: Violazioni riguardanti le allegazioni. L’etichettatura e la presentazione delle materie prime per
mangimi e dei mangimi composti possono richiamare l’attenzione, in particolare, sulla presenza o
sull’assenza di una data sostanza nei mangimi, su una specifica caratteristica nutrizionale o processo o su una
funzione specifica correlata con uno di questi aspetti, purché siano rispettate le condizioni fissate
dall’articolo 13 del Regolamento.
Articolo 11: Violazioni riguardanti la presentazione delle indicazioni di etichettatura. Due sono le prescrizioni:
1) le indicazioni obbligatorie di etichettatura vanno riportate nella loro totalità in un punto ben visibile
dell’imballaggio, del recipiente, dell’etichetta applicata o del documento di accompagnamento in modo
evidente, chiaramente leggibile e indelebile, almeno nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello
Stato membro o della regione in cui il prodotto è commercializzato;
2) le stesse indicazioni devono essere facilmente identificabili e non oscurate da altre informazioni. Devono
essere altresì in colori, in caratteri e di dimensioni tali da non oscurare o non sottolineare alcuna parte delle
informazioni. Una variazione è consentita solo per segnalare eventuali consigli di prudenza.
Articolo 12. Violazioni riguardanti le prescrizioni obbligatorie in materia di etichettatura. Il responsabile
dell’etichettatura che immette sul mercato materie prime per mangimi o mangimi composti, privi di una o
più indicazioni obbligatorie di etichettatura o non rispondenti.
Articolo 13: Violazioni riguardanti le prescrizioni obbligatorie aggiuntive in materia di etichettatura di
mangimi non conformi. Il responsabile dell’etichettatura che immette sul mercato mangimi privi delle
indicazioni obbligatorie specifiche di etichettatura o con indicazioni non rispondenti a quelle prescritte dal
Regolamento, è soggetto a sanzione
Articolo 14: Violazioni riguardanti l’etichettatura facoltativa. Si applica la sanzione al responsabile
dell’etichettatura che utilizza nell’etichettatura delle materie prime per mangimi e dei mangimi composti
una o più indicazioni a carattere facoltativo in violazione delle disposizioni di cui all’articolo 22 del
Regolamento sull’etichettatura facoltativa.
Articolo 15: Violazioni riguardanti il confezionamento. Si prevede una sanzione per i casi di mancato rispetto
delle condizioni in base alle quali i mangimi possono essere commercializzati sfusi o in imballaggi o recipienti
non sigillati.
Articolo 16: Violazioni riguardanti il catalogo comunitario delle materie prime per mangimi. Il responsabile
dell’etichettatura che viola le condotte previste dal Regolamento utilizzando la denominazione di una
materia prima per mangimi figurante nel catalogo senza che siano rispettate tutte le pertinenti disposizioni,
è soggetto a sanzione
Articolo 17: Violazioni riguardanti i codici comunitari di buona pratica in materia di etichettatura. Il
responsabile dell’etichettatura che viola le disposizioni di cui all’articolo 25 del Regolamento, in tema di
Codici comunitari di buona pratica in materia di etichettatura, al paragrafo 413, è soggetto alla sanzione
amministrativa
Articolo 18: Sanzioni accessorie. Nel caso in cui siano violate norme in materia di sicurezza e di
commercializzazione sui mangimi e di indicazione di prescrizioni obbligatorie sull’etichetta, gli organi
controllori possono proporre all’ Autorità competente l’adozione di un provvedimento di sospensione
dell’attività da tre giorni a tre mesi. A fronte di gravi violazioni nei casi richiamati l’Autorità competente può
disporre la revoca della registrazione o del riconoscimento.
Articolo 19: Abrogazioni. Saranno abrogati gli articoli 6, comma 3, e 7 del decreto legislativo n. 45 del
19/07/2014.
Articolo 20. Clausola d’invarianza finanziaria. Dal decreto non dovranno derivare nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica. Per lo svolgimento delle attività previste le Amministrazioni soccorreranno le
risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Articolo 21: Proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie di spettanza statale. I proventi derivanti dalla
riscossione delle sanzioni pecuniarie comminate per le violazioni di cui agli articoli da 3 a 18 affluiscono
all’entrata del bilancio statale. Quelli derivanti dalla riscossione di cui agli articoli 4, 6, 13, 16 e 17 sono
versati ad apposito capitolo di entrata e, quindi, riassegnati in favore delle Amministrazioni menzionate
all’articolo 2 del decreto, per migliorare le attività di controllo previste.
Articolo 22: Disposizioni finali. Le disposizioni contenute nel decreto e le eventuali successive modifiche
saranno notificate alla Commissione.

ORIGINE DEL LATTE E LATTICINI IN ETICHETTA DAL 19 APRILE 2017.


Approvato il decreto, dubbi sull’applicabilità
Il decreto sull’origine del latte nei prodotti lattiero-caseari è stato finalmente pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana, il 19 gennaio 2017. Le industrie nazionali hanno provveduto ad aggiornare
le etichette e smaltire quelle non conformi. Il decreto interministeriale 9.12.16 recante “Indicazione
dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari relativo alla fornitura di
informazioni sugli alimenti ai consumatori” è entrato in vigore nei 90 giorni dalla sua pubblicazione in
Gazzetta.
Le nuove regole si applicano ai soli alimenti pre-imballati realizzati in Italia e destinati al mercato interno, con
l’esclusione dei latticini e altri prodotti DOP, IGP, STG e prodotti biologici.
Più precisamente le categorie interessate sono:
- latte (vaccino, bufalino, ovo-caprino, d’asina “e di altra origine animale”, fresco e a lunga
conservazione)
- formaggi,
- latticini e cagliate,
- creme di latte e altri prodotti costituiti di componenti naturali del latte, anche addizionati di
zucchero o altri edulcoranti.
L’origine va indicata in etichetta citando sia il Paese di mungitura, sia quello di “condizionamento” (per il
latte UHT) o di trasformazione (per gli altri prodotti). In alternativa, è possibile indicare soltanto “origine del
latte”. Al ricorrere dei casi si potrà altresì riportare “miscela di latte di Paesi UE/non UE” o “latte
condizionato o trasformato in Paesi UE/non UE”.
I prodotti “portati a stagionatura, immessi sul mercato o etichettati sono stati ri-etichettati con aggiunta
delle notizie sull’origine.
Nonostante le Linee guida che il Ministero per lo Sviluppo Economico si è guardato bene dal rendere note ai
fini della consultazione pubblica che è ormai in uso anche nei più piccoli Stati europei. All’incertezza si
aggiunge poi il rischio che il governo debba fare dietrofront, attribuendo questa volta la colpa alle norme
internazionali di libero scambio ove le delegazioni USA e Canada avanzeranno i loro dubbi sulla legittimità dei
decreti italiani (su origine latte e grano) e francesi (su latte e carni), rispetto al Trattato WTO.
Applicato il nuovo regolamento europeo per gli alimenti dietetici e prima infanzia
Il Regolamento Europeo 609/2013 definito con l’acronimo FSG (Food for Specific Group) include nel suo
campo di applicazione le disposizioni relative agli alimenti per la prima infanzia: alimenti a fini medici speciali
e alimenti presentati come sostituti totali della dieta per la riduzione del peso corporeo; il nuovo
Regolamento è applicato dal 20 luglio 2016, data di abrogazione della Direttiva 2009/39/CE, mentre per gli
alimenti a fini medici speciali è stato pubblicato un regolamento applicativo (UE) 2016/128, applicabile a
partire dal 22 febbraio 2019, o, limitatamente agli alimenti a fini medici speciali destinati ai lattanti, dal 22
febbraio 2020.
In ogni caso, già dal 20 luglio 2016, la Commissione Europea potrà intervenire per decidere se un prodotto
notificato come Alimento a Fini medici Speciali in uno Stato membro rientri effettivamente in tale categoria.
Gli alimenti senza glutine destinati ai celiaci, invece, non ricadranno nel campo di applicazione del
regolamento FSG, perché a livello europeo si è deciso di disciplinare l’indicazione sull’assenza di glutine o il
contenuto molto basso negli alimenti come un’informazione che può essere fornita volontariamente con
l’etichettatura.
I sali iposodici e asodici, sono stati riclassificati a livello nazionale tra gli alimenti a fini medici speciali.
A livello nazionale, resta in vigore il DM 8 giugno 2001 “Assistenza sanitaria integrativa relativa ai prodotti
destinati ad una alimentazione particolare” che prevede l’erogabilità a carico del SSN dei prodotti per il
trattamento dietetico di malattie metaboliche congenite, fibrosi cistica, celiachia, nonché di formule per
lattanti nati da mamme HIV positive, che sono inclusi nel “registro nazionale” istituito ai sensi dell’art. 7 dello
stesso DM.

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