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Sicurezza alimentare

Sicurezza alimentare sta ad indicare la garanzia che un alimento non causerà danno dopo che esso è stato
preparato e/o consumato a seconda dell’uso a cui è destinato.
—> food security: sicurezza economica-sociale di disposizione di approvvigionamenti alimentari;
—> food safety: procedure igienico sanitarie degli approvvigionamenti alimentari.

Food safety

Rispecchia i principi enunciati nell’art. 32 della Costituzione Italiana: «La Repubblica tutela «.....le malattie
dovute ai cibi contaminati costituiscono forse il primo la salute come fondamentale diritto dell'individuo e
interesse della collettività, e problema di salute pubblica più diffuso nel mondo contemporaneo ed
un’importante garantisce cure gratuite agli indigenti....».

Ma soprattutto si attiene a quanto indicato dal rapporto dell’OMS «World Health Statistics colera,
salmonellosi, listeriosi ecc. o di intossicazioni causate da contaminanti chimici, per Quarterly» n. 50 del 1997
dedicato alla «Sicurezza dei cibi e delle malattie dovute ai cibi».

La politica dell’Unione europea salvaguarda la salute lungo tutta la catena «agroalimentare» evitando la
contaminazione degli alimenti e promuovendo l’igiene alimentare, l’informazione sui prodotti, la salute delle
piante e la salute e il benessere degli animali.

L’ORIGINE DEL PERCORSO

Il percorso normativo relativo alla sicurezza alimentare inizia ufficialmente con l’adozione delle Direttive
93/43 CEE del 14 giugno 1993 e 96/3/CEE del 26 gennaio 1996, entrambe relative all’igiene dei prodotti
alimentari.
Le due direttive erano finalizzate ad assicurare un livello minimo di requisiti, sia strutturali sia di prodotto,
delle Aziende alimentari, attraverso lo sviluppo di un’approfondita analisi del processo produttivo. Alla base
di queste direttive vi erano indubbiamente la salvaguardia della salute pubblica a livello europeo e mondiale,
oltre che l’importanza della politica produttiva ed economica comunitaria.
Furono recepite in Italia con il D. Lgs. n. 155 del 26 maggio 1997, prendendo familiarmente il nome di
Normativa HACCP, in quanto introdusse la metodologia di valutazione dei rischi e di controllo del processo
produttivo a livello aziendale.

Negli anni sono state emanate diverse normative quali:


- libro verde ’97, documento dove la UE foibe ke basi della legislazione europea per la sicurezza
alimentare;
- Libro bianco ’00, provvedimento comunitario redatto allo scopo di delineare le azioni necessarie a
completare e attualizzare la legislazione.

Il tema della sicurezza alimentare, data la sua indiscussa importanza, è stato successivamente trattato in
numerose occasioni a livello della normativa europea.

REG. N 178/2002
La prima normativa importante per l’ambito della sicurezza alimentare attualmente in vigore, nella quale
troviamo:
- definizione di alimento
- Istituzione dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA)
- Principi generali
- Requisiti essenziali per alimenti e mangimi
- Dispone procedure rapide da attuare nelle situazioni di emergenza
- Disciplina le fasi
Ha come obiettivi principali:
• Livello elevato di tutela della vita e della salute umana.
• Tutela interessi dei consumatori
• Tutela della salute degli animali, salute vegetale ed ambientale.
• Tracciabilità da monte a valle della filiera e rintracciabilità di tutte le informazioni.
• Responsabilità degli operatori del settore alimentare.
• Controlli programmati in base alla valutazione del rischio ed integrati lungo la filiera.
• Ritiro dell'alimento o mangime da parte delle Autorità, qualora il prodotto risulti non conforme.
• Richiamo dell'alimento o mangime: qualsiasi misura di ritiro del prodotto rivolta anche al consumatore
finale (alimento) o all’utente (mangime) da attuare quando altre misure risultino insufficienti per il
livello elevato di tutela della salute (SISTEMA ALLERTA RAPIDO).

IL REG. N. 852/2004
Definisce gli obiettivi di sicurezza alimentare che le imprese alimentari devono soddisfare.
Il principio fondamentale è che tutti coloro che lavorano nel settore alimentare devono garantire la corretta
prassi igienica in ogni fase del processo di produzione.
Le imprese del settore alimentare (escluse quelle coinvolte in attività di allevamento o di coltivazione dei
campi, di caccia e di pesca) sono soggette all’applicazione dei principi dell’analisi dei pericoli e dei punti
critici di controllo (HACCP) introdotti come parte del Codex Alimentarius.

IL CODEX ALIMENTARIUS
Rappresenta un insieme di regole e di normative elaborate dalla Codex Alimentarius Commission, una
Commissione (suddivisa in numerosi comitati) istituita nel 1963 dalla FAO e dall’OMS. Scopo precipuo
della commissione è proteggere la salute dei consumatori e assicurare la correttezza degli scambi
internazionali.

I REG. N. 853 E 854/2004


In vigore dall’1 gennaio 2006.
> 853 stabilisce le norme specifiche in materia di igiene degli alimenti di origine animale. Riporta la norme
per gli alimenti di origine animale.
> 854 si interessa dell’organizzazione dei controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al
consumo umano.

I REG. N. 315/1993 E 1881/2006

- Il regolamento (CEE) n. 315/93 del Consiglio è stato adottato al fine di garantire che nessun prodotto
alimentare contenente quantità inaccettabili di sostanze contaminanti* possa essere commercializzato. *
[contaminante ogni sostanza non aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari, ma in essi presente
quale residuo della produzione, della fabbricazione, della trasformazione, della preparazione, del
trattamento, del condizionamento, dell'imballaggio, del trasporto o dello stoccaggio di tali prodotti, o in
seguito alla contaminazione dovuta all'ambiente.
- Il regolamento (CE) n. 1881/2006 definisce i limiti attualmente vigenti sui contaminanti più importanti nei
prodotti alimentari (ad esempio, nitrati, micotossine, metalli pesanti e diossine) e ne prevede una revisione
periodica.

GLI ANTEFATTI ITALIANI


- 1934 con il Regio Decreto n. 1265 del 7 luglio 1934 recante l’approvazione del testo unico delle leggi
sanitarie.
- 1962 con la legge n. 283 relativa alla Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze
alimentari e delle bevande.
- decreto legislativo n. 107 del 25 gennaio 1992 in attuazione delle direttive 88/388/CEE e 91/71/CEE
relative agli aromi destinati ad essere impiegati nei prodotti alimentari ed ai materiali di base per la loro
preparazione, e il decreto legislativo n. 123 del 3 marzo 1993 in attuazione della direttiva 89/397/CEE
relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari.

IL D. LGS 155/1997
Stabilisce le norme generali di igiene dei prodotti alimentari e le modalità di verifica dell'osservanza di tali
norme.
Sulla base del decreto, il responsabile dell'industria alimentare deve garantire che la preparazione, la
trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la
manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, dei prodotti alimentari siano
effettuati in modo igienico.
Il responsabile della industria alimentare deve individuare nella propria attività ogni fase che potrebbe
rivelarsi critica per la sicurezza degli alimenti e deve garantire che siano individuate, applicate, mantenute ed
aggiornate le adeguate procedure di sicurezza avvalendosi dei principi su cui è basato il sistema di analisi dei
rischi e di controllo dei punti critici HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points).
Oggi il Decreto legislativo n. 155/97 è sostituito dal Regolamento 852/2004.

IL SISTEMA HACCP
Il modello HACCP è una metodologia operativa finalizzata all’analisi delle fasi di rischio di tutto il processo
produttivo. Il sistema nasce e viene messo a punto negli USA, negli anni ‘60, (dalla NASA).
Secondo il D. Lgs 155/97 e il successivo Regolamento CE 852/2004, tutte le aziende che trattano generi
alimentari sono tenute a redigere e attuare un piano di autocontrollo secondo il modello HACCP.
L’art. n.5 del Regolamento CE 852/2004 stabilisce i 7 principi da seguire per redigere il piano di
autocontrollo.

LE AZIONI PRELIMINARI
Per redigere il piano di autocontrollo è necessario compiere alcune azioni preliminari:

1. Costituzione del gruppo di lavoro.


2. Descrizione del prodotto e delle sue modalità di utilizzo e consumo abituali.
3. Costruzione del diagramma di flusso della attività aziendale e sua verifica sul posto.
4. Identificazione dei pericoli connessi alle diverse fasi della linea e delle misure più idonee per il loro
controllo (I principio).
5. Individuazione dei CCP o punti di controllo critici (II principio).
6. Fissazione dei limiti critici per tutti i CCP (III principio).
7. Monitoraggio per ogni CCP (IV principio).
8.  Individuazione delle azioni correttive in caso di spostamento dai limiti critici prefissati (V principio).
9. Identificazione delle idonee procedure di verifica del piano (VI principio).
10. Registrazione e raccolta di tutti i documenti connessi al funzionamento del piano (VII principio).

I PRINCIPI DEL MODELLO HACCP

STEP 1
Il primo passo applicativo del sistema HACCP è quello di costituire un gruppo di lavoro formato da persone
aventi le competenze necessarie a redigere un piano HACCP.
Il gruppo qualificato è formato essenzialmente da tecnici, operatori specializzati, consulenti esterni.
L’HACCP team viene predisposto dal Responsabile HACCP, di norma il titolare della licenza o il
rappresentante legale dell’azienda.

STEP 2
Consiste nella descrizione minuziosa dei prodotti che si ottengono alla fine del processo di lavorazione.
Devono essere indicate:
- Composizione (principali ingredienti, indicando, tra l’altro, se trattasi di prodotti freschi, surgelati, etc.).
- Proprietà e caratteristiche chimico-fisiche (Ph, Aw, Temperatura di conservazione, etc.).
- Trattamenti cui vengono sottoposti i prodotti durante la lavorazione.
- Modalità di eventuale confezionamento e d’imballaggio.
- Modalità di immagazzinamento/distribuzione.
- Modalità di conservazione in attesa della vendita/somministrazione.
- Modalità d’impiego/destinazione d’uso.
- Periodo di conservazione.
- Istruzioni per l’uso da parte dei consumatori.
- Tipologia dei consumatori cui è rivolto (bambini, adulti, anziani, malati. ecc.)

STEP 3
Un altro passo fondamentale e necessario alla realizzazione del piano di autocontrollo è la costruzione del
diagramma di flusso.
È la rappresentazione schematica del processo di lavorazione relativo ad una determinata linea produttiva
articolata, suddivisa, in tutte le fasi che la compongono. Per «fase» deve intendersi qualsiasi attività, sia
manuale sia strumentale relativa al ciclo di produzione o distribuzione di un determinato prodotto alimentare.
Lo schema d’impianto consiste nella rappresentazione grafica degli ambienti di produzione, del
posizionamento delle apparecchiature, della movimentazione delle merci e del personale addetto. Entrambi
vanno osservati direttamente sul campo.

STEP 4
Utilizzando come guida il diagramma di flusso opportunamente «verificato», il gruppo di lavoro provvede a
compilare un elenco di tutti i potenziali pericoli che possono prevedibilmente insorgere in ciascuna fase
individuata.
DA RICODARE:
Per pericolo si intende l’inaccettabile contaminazione, crescita o sopravvivenza di microrganismi
indesiderati o loro tossine o la presenza inaccettabile di agenti chimici o particelle. È una proprietà intrinseca
(della situazione, oggetto, sostanza, ecc.) non legata a fattori esterni. Ha la capacità di causare un danno alle
persone.

QUANTIFICAZIONE DEL PERICOLO


Una volta identificato il pericolo, si deve quantificare. Il termine RISCHIO in campo alimentare indica il
grado di probabilità che si verifichi concretamente un certo pericolo, ed è un evento misurabile. La gravità di
un pericolo è, invece, l’entità delle conseguenze che ne possono derivare sulla salute dei consumatori.
Si esprime con la formula: R = GD x P dove GD è la gravità del danno e P è la probabilità del danno.

DAL PERICOLO AL DANNO


Il DANNO rappresenta qualunque conseguenza negativa derivante dal verificarsi dell’evento. Per
identificare il danno si considerano la lesione fisica o il danno alla salute; la gravità delle conseguenze che si
verificano al concretizzarsi del pericolo e la magnitudo delle conseguenze. Quest’ultima può essere espressa
come una funzione del numero di soggetti coinvolti in quel tipo di pericolo e del livello di danno ad essi
provocato.

L’ANALISI DEL RISCHIO


L’identificazione dei pericoli e della probabilità che si verifichino (il rischio) rientra nel processo di
ANALISI DEL RISCHIO, così come indicato dai Reg. n. 178/2002 e n. 852/2004. Rappresenta un processo
costituito da tre componenti:
• VALUTAZIONE DEL RISCHIO: un processo su base scientifica costituito da quattro fasi, che sono
l’individuazione del pericolo, caratterizzazione dl pericolo, valutazione dell’esposizione al pericolo e
caratterizzazione del rischio.
• GESTIONE DEL RISCHIO: processo che esamina le alternative di intervento e, se necessario, porta al
compimento di adeguate scelte di prevenzione e controllo.
• COMUNICAZIONE DEL RISCHIO: è lo scambio interattivo di informazioni e pareri riguardanti gli
elementi di pericolo e i rischi, i fattori connessi al rischio, i responsabili della gestione del rischio, i
consumatori, le imprese alimentari.

I pericoli possono essere di natura:


• FISICA
Va considerata in tutte le fasi del ciclo produttivo/distributivo, anche nella fase di distribuzione e
vendita di prodotti alimentari.
È legata alla presenza di corpi estranei nell’alimento od eventuale radioattività.
Va gestita attraverso la corretta manutenzione dei macchinari e delle attrezzature; l’applicazione
delle norme di igiene personale e comportamentale da parte degli operatori; il controllo dei prodotti
preconfezionati in tutte le fasi di lavorazione.

• CHIMICA
Può essere causata da fattori diversi. Principalmente è legata a residui di sostanze
farmacologicamente attive, ad azione ormonale od anabolizzante, contaminanti ambientali (metalli
pesanti od antiparassitari), contaminanti di processo (disinfettanti e detergenti), additivi, sostanze
indesiderate prodotte durante il ciclo di lavorazione (metaboliti).
Può essere prevenuta attraverso le procedure di qualificazione/controllo dei fornitori;
attraverso la corretta esecuzione delle operazioni di detersione e disinfezione ed ad una
attenta del materiale di imballaggio (MOCA).

• BIOLOGICA
È dovuta principalmente alla possibile crescita o sopravvivenza e all’azione dei microrganismi, ma
anche di organismi parassiti chiamati protozoi e metazoi che, oltre ad attaccare e decomporre le
derrate alimentari, si insediano successivamente all’interno del corpo umano.
Questi organismi possono compromettere la salubrità degli alimenti ed essere responsabili del loro
deterioramento o della produzione di tossine.
I microrganismi che contaminano gli alimenti possono essere:
-  Batteri.
-  Virus.
-  Funghi (Lieviti e Muffe).
-  Protozoi (unicellulari) e Metazoi (pluricellulari).
I fattori che favoriscono la crescita dei microrganismi sono i seguenti:
-  TEMPO.
-  TEMPERATURA.
-  ACIDITÀ,
-  OSSIGENO (concentrazione di ossigeno).
-  NUTRIMENTO (substrato).
-  LUCE E ALTRA RADIAZIONI.
-  ACQUA LIBERA (nell’alimento) E UMIDITA’.

CONSEGUENZE DELLA CONTAMINAZIONE BIOLOGICA


La presenza di contaminanti di origine biologica negli alimenti causa malattie di carattere
alimentare, La dovute principalmente alla contaminazione da parte di batteri (circa il 93%).
Queste malattie si classificare in:
• INFEZIONI: causate da patogeni vivi che entrano nel corpo attraverso un alimento infetto. Le
infezioni
più comuni sono dovute ai batteri patogeni E. coli, Listeria M., Salmonella, Brucella e
Campylobacter.
• INTOSSICAZIONI: provocate solo dalle tossine batteriche. Le intossicazioni più comuni sono
dovute alle tossine dello Staphylococcus aureus e del Clostridium botulinum. 
• TOSSINFEZIONI: dovute alla presenza del patogeno all’interno del corpo e all’azione della tossina
prodotta dal patogeno stesso e presente nell’alimento contaminato. Le tossinfezioni più comuni sono
dovute alla Salmonella, al Clostridium perfrigens e al Bacillus cereus.

GESTIONE DELLA CONTAMINAZIONE BIOLOGICA


Per prevenire
• Selezione e qualificazione fornitori.
• Verifica a campione delle condizioni del prodotto
• Corretto mantenimento della temperatura di conservazione.
• Riduzione al minimo dei tempi di sosta a temperatura non idonea durante: scarico e
movimentazione, operazioni di manipolazione
• Rispetto delle regole di igiene personale e comportamentale da parte degli addetti.
• Corrette operazioni di pulizia e sanificazione: degli ambienti di lavorazione, delle attrezzature, degli
impianti, macchinari ed utensili.
• Protezione dei prodotti pronti per il consumo con pellicole e films trasparenti.
• Aree distinte di lavoro.

MODALITÀ DI CONTAMINAZIONE
• ENDOGENA (o primaria): all’origine (materie prime).
• ESOGENA (secondaria, terziaria, quaternaria): della lavorazione.

DETERMINAZIONE DEI PUNTI CRITICI DI CONTROLLO


Una volta individuati i pericoli per ogni fase, devono poi essere studiate e descritte le misure di controllo
applicabili a ciascuno di essi in modo da eliminarli o limitarne gli effetti. È bene distinguere tra:
- PUNTO DI CONTROLLO: punto, procedimento o fase della lavorazione ove è possibile applicare una
misura di controllo nei confronti di un rischio alimentare significativo.
- PUNTO DI CONTROLLO CRITICO (CCP): punto, procedimento o fase della lavorazione ove,
applicando uno specifico sistema di controllo, è possibile eliminare o ridurre a livelli accettabili un
determinato rischio alimentare significativo e dove la perdita del controllo conduce ad un pericolo
inaccettabile per la salubrità del prodotto.

COME CONTROLLARE I CCP-STEP 5


In una linea produttiva sono presenti numerosi CP, ma pochi CCP veri e propri.
Il monitoraggio dei CCP deve assicurare un controllo efficace dei rischi, evidenziando con rapidità il
superamento dei limiti di sicurezza.
Il controllo dei CCP deve essere basato su pochi, specifici parametri di riferimento, possibilmente misurabili
oggettivamente (T, tempo, Aw, pH, ecc.), ricorrere a specifiche e rigorose scale di valutazione che riducano
al massimo l’influenza del giudizio soggettivo.
L’identificazione di un punto critico di controllo (CCP) deve avvenire sulla base di un procedimento logico
che tenga conto, in relazione al pericolo considerato:
• Del tipo di alimento oggetto di preparazione o commercializzazione.
• Degli impianti e delle attrezzature disponibili e realmente utilizzati;
• Delle pratiche operative proprie del personale addetto.

Per definire i CCP può essere utilizzato un «albero delle decisioni» dei CCP, per determinare se in una fase è
presente un CCP per il pericolo considerato.

➡ Le SOP (procedure operative standard), ossia quelle procedure o attività, che intervengono
trasversalmente al processo produttivo.
➡ Le GMP (buone pratiche di lavorazione), le quali indicano le corrette modalità operative da adottare nel
corso della lavorazione, ma non rappresentano limiti di accettabilità dei CCP.
➡ Le SSOP ossia le procedure operative standard di sanificazione, quindi per l’applicazione delle GMP
relative alla pulizia e disinfezione delle attrezzature destinate a venire in contatto con gli alimenti.
Prerequisiti alla stesura del piano di controllo e alla definizione dei CCP

DETERMINAZIONE DEI LIMITI CRITICI-STEP 6


I limiti critici permettono di distinguere, in corrispondenza di un CCP, una situazione di accettabilità da una
d’inaccettabilità, e quindi di stabilire se il processo di lavorazione possa ritenersi sotto controllo.
I limiti critici possono si distinguono in:
• Quantitativi (cioè espressi con un valore numerico).
• Qualitativi (quando sono legati al cambiamento, o meno, di caratteri sensoriali es acrilammide
colorazione scura della carne).
Stabilite da normative e/o buone pratiche a seconda dell’alimento (letteratura scientifica e pareri di esperti)
IL MONITORAGGIO-STEP 7
Rappresenta la sequenza programmata di misurazioni e/o osservazioni relative al parametro posto sotto
controllo nel CCP, al fine di accertare il rispetto dei limiti critici prefissati.
• Osservazioni visive.
• Valutazioni sensoriali.
• Rilevazioni di ordine fisico.
• Analisi chimiche.
• Esami microbiologici.

LE AZIONI CORRETTIVE-STEP 8
Le più comuni azioni correttive nei confronti del prodotto:
• Rifiuto (fase di ricevimento merci) o sua eliminazione per non conformità rilevanti.
• Bonifica attraverso il suo riutilizzo in cicli di lavorazione.
• Ripristino delle condizioni di sicurezza.
Le azioni correttive nei confronti del ciclo di lavorazione:
• Interventi di formazione straordinaria del personale ed eventuale modifica delle modalità di lavoro.
• Interventi di manutenzione, riparazione o sostituzione delle apparecchiature coinvolte.
• Revisione od integrazione delle procedure di autocontrollo.

VERIFICA DEL PIANO DI AUTOCONTROLLO-STEP 9


Lo scopo delle procedure di verifica è quello di accertare il corretto ed efficace funzionamento del piano di
autocontrollo aziendale così come predisposto.

STEP 10-DOCUMENTAZIONE
Il corretto funzionamento di un piano HACCP comporta la compilazione e l’archiviazione dei documenti:
• Il piano HACCP (specifico per ogni azienda e datato)
• Le schede operative concernenti il monitoraggio dei CCP ed il registro delle non conformità.
• Il programma di sanificazione e quello di difesa degli infestanti.
• Il programma di formazione del personale con i relativi attestati di frequenza.
• Le procedure di rintracciabilità ed il ritiro richiamo prodotti pericolosi.
• Gli esiti analitici dei campioni prelevati durante le attività di verifica.

Da tenere sotto controllo:


- IGIENE DEL PERSONALE
- SANIFICAZIONE DEGLI AMBIENTI
- LOTTA AGLI INFESTANTI
- LAYOUT DEGLI AMBIENTI PRODUTTIVI (per facilitare le operazioni di pulizia e sanificazione).

DALL’HACCP ALLA RINTRACCIABILITÀ


(Regolamento CE n. 178/2002, all’articolo n. 18)

- Rintracciabilità: permette di “ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un


animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un
alimento o di un mangime, attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della
distribuzione”.
- Tracciabilità: capacità di “identificare l’origine e le caratteristiche di un prodotto basandosi sui criteri
determinati (tracce) in ciascun punto delle filiera”. È sufficiente la mancanza delle informazioni necessarie
a dimostrare che un alimento sia salubre, per sospenderne “provvisoriamente” la commercializzazione
all’interno dell’UE con l’immediato ritiro dal mercato per i prodotti già distribuiti.

RINTRACCIABILITÀ
Individuare le eventuali responsabilità
Ritirare dal mercato il prodotto non conforme in maniera mirata
Garantire al consumatore la sicurezza alimentare

IL SISTEMA DI ALLERTA RAPIDO (RASFF)


Strumento essenziale per notificare rischi diretti o indiretti per la salute umana, animale e l’ambiente. Ideato
nel 1979 ufficialmente istituito con il Reg. n. 178/2002.
Il flusso delle "allerte" deve garantire sia la completezza delle informazioni sia la tempestività della
comunicazione. Ciò si realizza con apposite procedure operative che prevedono:
- Schede di notifica standard (completezza delle informazioni)
- Utilizzo della piattaforma on line iRASFF, (tempestività della comunicazione).
Per consentire alle Autorità competenti dei vari Paesi membri di scambiare rapidamente informazioni sui
prodotti pericolosi e cooperare ai fini dell’adozione di misure efficaci a tutela della salute pubblica.
L’attività di allerta prevede il ritiro e il richiamo dei prodotti pericolosi per la salute umana, animale e
l’ambiente.
La responsabilità della sicurezza alimentare ricade sull’operatore del settore che deve garantire che i prodotti
immessi sul mercato soddisfino i requisiti di sicurezza stabiliti dalla normativa e non comportino rischi per la
salute del consumatore. L’operatore deve comunicare alle autorità sanitarie il riscontro di rischi associati ai
prodotti immessi in commercio e cooperare con esse e gli altri operatori coinvolti nella filiera per garantire in
tempi rapidi l’adozione delle misure di ritiro dal mercato e richiamo al consumatore dei prodotti a rischio.
Una volta ricevute le informazioni relative ad un determinato prodotto a rischio, l’autorità competente locale
(regione e ASL) provvede a vigilare sull'effettiva attuazione, da parte del produttore e di altri operatori della
catena agro-alimentare eventualmente coinvolti, delle misure di ritiro e/o richiamo.

LE CERTIFICAZIONI ALIMENTARI

Atto di una terza parte indipendente che testimoniano (certificano) l’impegno dell’Organizzazione e il
raggiungimento di obiettivi nel campo della qualità, della sicurezza, delle produzioni di prodotti a marchio
(private label), della tracciabilità. La terza parte attesta con sufficiente livello di fiducia che un determinato
prodotto/processo/servizio è conforma ad una data norma o regola tecnica.

Norma ISO 9000 per i sistemi di gestione per la qualità, oltre che nell’ambito alimentare. Questa
“generalità” poco si adatta alle complessità del settore alimentare. Per questo motivo nel corso degli anni
sono nati ed hanno acquisito importanza sempre maggiore standard e norme specifiche nel campo delle
certificazioni alimentari.
Esistono standard per la sicurezza alimentare, per garantire la tracciabilità, per la produzione a marchio del
cliente (“Private Label”), per la produzione primaria, per i mangimi, per la logistica, per la produzione di
packaging alimentare.

Distinguiamo:
Normative cogenti —> che tutti devono rispettare
Normative volontarie —>
> norma* specifica che definisce le tecniche approvate da un ente riconosciuto per l’applicazione ripetuta
ripetuta o continua non obbligatoria
- Volontaria
- Repetita
- Redatta consensualmente e trasparentemente
> standard documento approvato da un ente anche non ufficiale che fornisce le regole le linee guida o le
specifiche tecniche per lo svolgimento di alcune attività

Perché attuare normative volontarie?


- sistema organizzativo migliore
- Mantenimento clientela
- Nuovi mercati e affari
- Riduzione dei rischi
- Miglioramento della propria immagine
- Riduzione costi della non qualità
- Aumentare la capacità di gestire le emegenze
• Certificazione COGENTE: attesta il rispetto delle norme di carattere obbligatorio, per garantire la
sicurezza dei prodotti.
• Certificazione VOLONTARIA: è scelta dall’impresa, che si sottopone ad una forma di controllo da
parte di un organismo indipendente.
- regolamentato fa riferimento ai regolamenti comunitari che tutelano le produzioni alimentari
tipiche di alcune aree geografiche, fissandone le modalità di produzione, trasformazione ed
elaborazione. Una volta ottenuto il riconoscimento, è obbligatorio continuare ad osservare la
normativa. Ne sono esempio le IGP, le DOP, i prodotti Biologici.
- volontario rientrano la certificazione del sistema di qualità aziendale, di prodotto, ambientale ed
etica.

Normative ISO nel Settore Alimentare


- ISO 9001/2015 sistemi di gestione per la qualità
- ISO 22000/2018 sistemi di gestione per la sicurezza alimentare
- ISO 22005/2008 rintracciabilità nelle filiere alimentari
All’inizio le certificazioni di qualità riguardavano solamente i vini ed erano riconosciute solo a livello
nazionale. Con la nascita dell’Unione Europea la validità delle certificazioni dei prodotti vitivinicoli si è
estesa in tutto il territorio Europeo e con il Reg. CEE 2081/92 sono nate anche quelle per i prodotti
agroalimentari (formaggi, salumi, prodotti della terra, ecc.).

PRODOTTI DOP E IGP


Sono prodotti tutelati a livello dell’UE, la cui indicazione di provenienza è riconducibile ad uno specifico
luogo geografico, cui sono strettamente legate le caratteristiche qualitative del prodotto, derivanti da
specificità legate alla materia prima, alla produzione, alla trasformazione o alla elaborazione, a fattori umani
e naturali.
- DOP (Denominazione di Origine Protetta), si intende il nome di una regione o di un luogo determinato,
per designare un prodotto alimentare che sia originario di quel luogo e la cui qualità e/o caratteristiche
siano dovute «essenzialmente o esclusivamente» all’ambiente geografico, comprensivo dei fattori umani e
naturali. Esempi: Bitto DOP; Taleggio DOP.
- IGP (Indicazione Geografica Protetta), si intende il nome di una regione o di un luogo determinato che
serve a designare un prodotto agricolo o alimentare che sia originario di quel luogo e di cui una
determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica, possa essere attribuita all’origine geografica.
Esempi: Asparago di Cantello IGP, Melone Mantovano IGP.
La tutela del DOP è indissolubilmente legata al suo luogo di origine. Nel caso dell’IGP è sufficiente che
anche solo una delle caratteristiche sia riconducibile al territorio.

LE ATTESTAZIONI DI SPECIFICITÀ
Reg. CEE 2082/1992, che si occupa del riconoscimento della diversità di un prodotto da altri analoghi, in
quanto ottenuto utilizzando materie prime tradizionali o un metodo di produzione e/o trasformazione di tipo
tradizionale, che garantiscono un livello qualitativo superiore. Il simbolo STG deve essere esposto insieme al
logo della Comunità.

Per conseguire una DOP, IGP o SGT, ci sono disciplinari di produzione presentati (specifico disciplinare di
produzione che comprende il nome del prodotto o alimento, il logo, la descrizione, la delimitazione dell’area
geografica, la descrizione del metodo di ottenimento, gli elementi specifici dell’etichettatura), l’insieme delle
regole cui il produttore del prodotto che vuole il marchio deve attenersi.
La domanda deve essere presentata al MIPAF, se viene dato parere favorevole si invia la domanda di
registrazione correlata da documentazione alla Commissione Europea, che la esamina. Nel caso in cui le
conclusioni siano positive, pubblica sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee gli elementi essenziali
della domanda.

LE CERTIFICAZIONI PER IL SETTORE VINICOLO


Nel settore vinicolo le certificazioni assumono denominazioni differenti.
• DOC - Denominazione di origine controllata: è un riconoscimento di qualità attribuito a vini prodotti in
zone limitate di piccole o medie dimensioni, recanti il loro nome geografico. Di norma il nome del
vitigno segue quello della DOC e la disciplina di produzione è rigida, dopo accurate analisi chimiche e
sensoriali.
• DOCG - Denominazione di origine controllata e garantita: è un riconoscimento di particolare pregio
qualitativo attribuito ad alcuni vini DOC di notorietà nazionale ed internazionale. Sono sottoposti a
controlli più severi e devono essere commercializzati in recipienti di capacità inferiore a 5 litri e
portare un contrassegno dello Stato che dia la garanzia dell'origine, della qualità e che consenta la
numerazione delle bottiglie prodotte e la sicurezza di non manomissione delle bottiglie, obbligatorio
l'imbottigliamento nella zona di produzione.
• IGT - Indicazione geografica tipica: è un riconoscimento di qualità attribuita ai vini da tavola
caratterizzati da aree di produzione generalmente ampie e con disciplinare produttivo poco restrittivo.
• VQPRD - Vino di qualità prodotto in regione determinata: indica un prodotto di qualità rinomato, le
cui caratteristiche sono legate all’ambiente naturale e di fattori umani prestabiliti da specifici
disciplinari, include sia DOC che DOCG garanzia su qualità e origine
Anche nel settore delle certificazioni la normativa europea è oggetto di aggiornamenti.

I PRODOTTI BIOLOGICI (per i prodotti di origine animale)


- Il Reg. n. 2092/91 fornisce la definizione istituzionale di «biologico» (sta ad indicare una pratica agricola
o di allevamento che ammette solo l’impiego di sostanze chimiche di origine naturale, escludendo quelle
di sintesi).
- Il Reg. n. 1804/99 stabilisce i criteri per la produzione biologica di prodotti di origine animale, ad
eccezione delle specie acquatiche

L’ETICHETTATURA DEI PRODOTTI

Corretta comunicazione ai consumatori finali dei prodotti alimentari, quindi attraverso l’etichettatura. In
Italia dal 13 dicembre 2014 gli operatori del settore alimentare devono rispettare le disposizioni del Reg. UE
n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Combina la direttiva
2000/13/CE (etichettatura) e la 90/14/CE (etichettatura nutrizionale)
Informazione chiara e corretta = VERITA

PRINCIPI GENERALI DI ETICHETTATURA


Secondo il D. Lgs. n. 109/92.
- Chiarezza
- Indelebilità
- Leggibilità
- Campo visivo
Utilizzo della lingua ufficiale del paese dove è prodotto, se soggetto ad esportazione necessita di traduzione
con specifica regolamentazione.

DENOMINAZIONE DI VENDITA: nome del prodotto. Può essere: legale - comunitaria o nazionale- (es.
Olio di oliva) completata dalle diciture riferite al trattamento subito dal prodotto o allo stato fisico del
prodotto (
Denominazione descrittiva: descrive l’alimento e il suo uso deve essere sufficientemente chiara.
Denominazione commerciale, che è facoltativa e qualifica il prodotto.

ELENCO DEGLI INGREDIENTI: utilizzati per la realizzazione dell’alimento, ordine ponderale


decrescente, riferiti al momento di preparazione del prodotto. Vanno menzionati con il loro nome effettivo
(es. farina di grano duro, latte fresco pastorizzato) oppure ricorrendo alla denominazione di vendita legale.
Le sostanze volatili non sono considerate ingredienti. Considerare sempre gli ingredienti contenenti
allergeni.
L’ingrediente composto da più ingredienti, deve essere indicato con il nome proprio seguito dalla lista dei
suoi ingredienti.

L’INGREDIENTE EVIDENZIATO
Detto QUID (Quantitative Ingredient Declaration), indica la % di un ingrediente sul totale del prodotto finito,
calcolata al momento della preparazione. La quantità dell’ingrediente deve essere riportata in % e dopo il
nome dell’ingrediente. Figura insieme agli elementi obbligatori.
É obbligatoria se:
- l’ingrediente figura nella denominazione o per la caratterizzazione
- L’ingrediente è messo in risalto con parole e immagini
- Espressamente previsto dalla normativa
Non si usa per alimenti sgocciolati, aromatizzanti ecc.

DATA DI SCADENZA E TMC


- La data di scadenza vale solo per i prodotti con durabilità inferiore o pari a 30 giorni e rappresentata il
termine ultimo per la commercializzazione del prodotto. Modalità di indicazione: “da consumarsi entro
gg/mm”.
- Il TMC rientra le informazioni obbligatorie. Si indica con «da consumarsi preferibilmente entro il: vedi
lato della confezione», riportandolo nel punto indicato. Deve essere riportato in modo chiaro e facilmente
leggibile, e rispettando sempre il seguente ordine di informazioni: giorno/mese/anno.

IL REG. N. 1169/2011
Dal 13 dicembre 2016 il regolamento si applica nella sua interezza, comprese le informazioni nutrizionali in
etichetta, che sono obbligatorie. I cambiamenti introdotti, intesi come nuovi requisiti per l'etichettatura dei
prodotti alimentari sono:
• L'obbligo di chiarezza e leggibilità dell'etichetta prevedendo misure minime per i caratteri misura
minima del carattere 1,2 mm) da riportare nell'informazione obbligatoria, nonchè la loro visibilità ed
indelebilità.
• La presenza di allergeni dev'essere evidenziata.
• Il nome commerciale, la quantità netta e il titolo alcolometrico delle bevande alcoliche contenenti più
del 1,2% di alcool in volume devono essere nello stesso campo.

LE INDICAZIONI OBBLIGATORIE
Le nuove indicazioni obbligatorie sono:
• La dichiarazione nutrizionale.
• Obbligo di indicare il paese d'origine esteso ad alcune carni.
• È necessaria l'indicazione della data per le carni congelate, le carni preparate e di prodotti ittici non
trasformati.
• I nanomateriali ingegnerizzati devono essere chiaramente indicati nella lista degli ingredienti.
—> informazioni sull’identità la composizione, le proprietà ed altre caratteristiche
—>informazione sulla protezione della salute del consumetore e sull’uso sicuro dell’alimento
—>informazioni sulle caratteristiche nutrizionali per consentire scelte consapevoli

Art. 9 elenco indicazioni obbligatorie


- Allegato I indicazioni nutrizionali
- Allegato II allergeni
- Allegato V alimenti per i quali non è necessaria indicazione nutrizionale
DOVE VANNO POSTE LE INFORMAZIONI?
- Nel caso di alimenti preimballati le informazioni obbligatorie devono comparire sul preimballaggio o su
una etichetta ad esso apposta.
- Nel caso di alimenti non preimballati, le informazioni devono essere trasmesse all’operatore che riceve
tali alimenti, affinché le possa fornire al consumatore finale. È il caso dei ristoranti e delle mense, della
carne non trasformata (per determinati tipi di carne diversi dalla carne bovina.

OSA operatore del settore alimentare con il cui nome o ragione sociale è commercializzato il
prodotto (deve essere presente) —> Responsabilità Art. 8
IL REG. N. 1924/2006
Stabilisce le regole per l’utilizzo delle indicazioni nutrizionali e di salute (CLAIMS) che possono essere
proposte sulle etichette degli alimenti e/o con la pubblicità. Lo scopo del regolamento è quello di proteggere
la salute dei consumatori e renderli più consapevoli delle scelte attraverso la corretta informazione.
Il claim di un prodotto alimentare può essere utilizzato solo se:
- Veritiero e basato su dati scientifici
- Non attribuisce all’alimento proprietà che prevengono, curano e/o guariscono malattie.
I claim nutrizionali e di salute, ad oggi autorizzati, sono reperibili sul sito della Commissione Europea. Le
Aziende interessate a richiedere l’autorizzazione per nuovi claim attraverso lo Stato Membro utilizzando una
apposita scheda di richiesta di autorizzazione, che verrà valutata dall’ufficio competente e poi inviata
all’EFSA.

I DESCRITTORI GENERICI
Sono denominazioni tradizionalmente utilizzati per indicare la peculiarità di una categoria di alimenti o
bevande che potrebbe avere un effetto sulla salute”, rientrano nel Reg. 907/2013.

INTEGRATORI ALIMENTARI
La Direttiva n. 2002/46/CE stabilisce norme armonizzate per l’etichettatura degli integratori alimentari e
introduce norme specifiche relative alle vitamine e ai minerali contenuti negli integratori alimentari. Il Reg.
CE n. 1925/2006 armonizza le disposizioni adottate dagli Stati membri per quanto riguarda l’aggiunta agli
alimenti di vitamine, minerali e certe altre sostanze.

SALUTE DELLE PIANTE E DEGLI ANIMALI


La regolamentazione europea comprende disposizioni generali in materia di sorveglianza (direttiva
2003/99/CE), notifica (direttiva 82/894/CEE) e trattamento delle malattie infettive e dei loro vettori (direttiva
92/119/CEE). L’attuale quadro legislativo applicabile all’organizzazione dei controlli ufficiali è stato istituito
con il Reg. n. 882/2004 relativo ai controlli ufficiali.
Nel marzo 2016 è stato adottato il nuovo regolamento in materia di salute animale, il Reg. UE n. 2016/429
relativo alle malattie animali trasmissibili.

IL REG. N. 183/2005
Stabilisce i requisiti per l’igiene dei mangimi, a partire dalla produzione primaria fino alla somministrazione
agli animali destinati alla produzione di alimenti, con lo scopo di assicurare un elevato livello di protezione
della salute degli animali e dei consumatori mediante un controllo dei mangimi lungo tutta la filiera
alimentare. Gli operatori dei mangimi sono direttamente responsabili della sicurezza dei mangimi mediante
l’attuazione di procedure basate sull’HACCP, l’applicazione di buone pratiche igieniche e l’utilizzo
esclusivo di mangimi provenienti da stabilimenti registrati/riconosciuti.
Il Regolamento si applica:
• alle attività degli operatori del settore dei mangimi in tutte le fasi, a partire dalla produzione primaria
dei mangimi, fino a e compresa l’immissione dei mangimi sul mercato;
• alla somministrazione di mangimi ad animali destinati alla produzione di alimenti;
• alle importazioni e alle esportazioni di mangimi da e verso paesi terzi”.

I NUOVI ALIMENTI
Il Reg. CE n. 258/97 stabilisce che i nuovi alimenti devono essere oggetto di una valutazione della sicurezza
prima di essere commercializzati nell’UE. Tale regolamento è stato successivamente incorporato nel Reg.
CE n. 1852/2001.

GLI OGM
Un OGM è «un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo
diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale».
La direttiva 2001/18/CE sull’emissione deliberata nell’ambiente di OGM ne regola la coltivazione e la
commercializzazione e, unitamente ai Reg. CE 1829/2003 e 1830/2003, definisce il quadro normativo
dell’Unione europea.
I «MOCA»
Nell’ambito della tutela della sicurezza alimentare non bisogna assolutamente dimenticare i Materiali ed
Oggetti a Contatto con gli Alimenti (detti MOCA), ma anche quelli che sono destinati ad esserlo o che si
prevede possano esserlo.
Ad esempio, utensili da cucina e da tavola, le pellicole con cui si avvolgono gli alimenti o la carta con cui
vengono avvolti affettati o formaggi. Vi rientrano anche diversi materiali e attrezzature utilizzati
dall’industria alimentare: confezioni e imballaggi in vari formati, bustine per alimenti, cisterne, pirottini per
pasticceria e anche i macchinari per la lavorazione degli alimenti. Rientrano nella categoria dei MOCA
anche i materiali e gli oggetti che sono a contatto con l’acqua, ad esclusione degli impianti fissi pubblici o
privati di approvvigionamento idrico. Sono invece esclusi dalla categoria i materiali di rivestimento degli
alimenti, ad esempio quelli che rivestono le croste dei formaggi o le cere usate per proteggere la frutta o gli
zamponi.
Packaging imballaggi primari per la sicurezza alimentare.

Reg. CE n. 1935/2004, riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti
alimentari, che ha come obiettivo quello di assicurare la tutela della salute e degli interessi del consumatore.
L’articolo 6 stabilisce che, in caso di mancanza di misure specifiche per gruppi di materiali e oggetti, gli
Stati Membri possono adottare disposizioni nazionali.
I MOCA devono garantire la mancata cessione di componenti chimici, la resistenza alle trasformazioni e la
capacità di non modificare le caratteristiche organolettiche e nutrizionali degli alimenti. È fondamentale il
rispetto delle buone pratiche di fabbricazione così come previsto dal Reg. CE n. 2023/2006 che stabilisce le
norme relative alle buone pratiche di fabbricazione (GMP) per i gruppi di materiali e di oggetti destinati a
venire a contatto con gli alimenti e le combinazioni di tali materiali ed oggetti nonché di materiali ed oggetti
riciclati.

IL REG. N. 2023/2006
L’art. n. 3 del Reg. n. 2023/2006 precisa che il termine GMP sta ad indicare gli aspetti di assicurazione della
qualità, che garantiscono che i MOCA siano costantemente fabbricati e controllati, in conformità alle norme
ad essi applicabili e agli standard qualitativi adeguati all’uso cui sono destinati, senza costituire rischi per la
salute umana o modificare in modo inaccettabile la composizione del prodotto alimentare o provocare un
deterioramento delle sue caratteristiche organolettiche.

I MOCA dovranno avere caratteristiche diverse a seconda dell’alimento con cui andranno a contatto e delle
diverse tecniche di conservazione previste. Alcuni devono essere in grado di lasciare traspirare il vapore
acqueo verso l’esterno, essere resistenti all’umidità o ai componenti acidi o salini di alcuni alimenti,
sopportare shock termici anche intensi, ecc. Anche gli operatori che si occupano di MOCA dovranno istituire
e mettere in atto un sistema di assicurazione e di controllo della qualità efficace e opportunamente
documentato.
L’art. n. 15 del Reg. n.1935/2004 indica che, tutti i materiali e gli oggetti che non sono ancora entrati in
contatto con gli alimenti al momento dell’immissione sul mercato devono essere accompagnati da:
• Dicitura «per contatto con i prodotti alimentari» o un’indicazione specifica circa il loro impiego (ad
esempio come macchina da caffè), o il simbolo riprodotto nell’allegato I.
• Se del caso, speciali istruzioni da osservare per garantire un impiego sicuro e adeguato
• Il nome o la ragione sociale del fabbricante, del trasformatore o del venditore.
• Un’adeguata etichettatura o identificazione, che assicuri la rintracciabilità del materiale od oggetto.
• Nel caso di materiali e oggetti attivi, le informazioni sull’impiego o sugli impieghi consentiti e la
quantità delle sostanze rilasciate dalla componente attiva.

DESTINO DEGLI IMBALLAGGI


Settembre 2020 n.116 decreto che recepisce le direttive UE 2918/851 e 852, informazioni sul riciclo. Norme
in materia ambientale e criteri per la gestione dei rifiuti.
Etichettati secondo le modalità stabilite dalle norme tecniche UVI (Ente Italia di Normazione) per facilitare il
recupero, riutilizzo e riciclaggio.

Etichettatura imballaggi
Con codici alfanumerici specifici non ancora obbligatori per identificare lo specifico materiale e provvedere
alla sua corrette differenziazione,

Il Decreto del 21 Marzo 1973, disciplina le norme igieniche per gli imballaggi ha ispirato i MOCA

Regolamento UE 2019/1381 Trasparenza e sostenibilità del riccio per tenere conto della percezione del
rischio del consumatore della filiera alimentare.
Gestione degli allergeni introduce il discorso della cultura della sicurezza alimentare AUTOGUIDARSI.

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