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la fotografia della luce non visibile

Dossier di ricerca e sperimentazione

Tesi di Bachelor in Comunicazione visiva

di Carlo Alberto Rusca

Supsi 2014
LA FOTOGRAFIA
DELLA LUCE
NON VISIBILE
Dossier di ricerca e sperimentazione

di Carlo Alberto Rusca

Tesi di Bachelor in Comunicazione visiva


Relatore: Reza Khatir
SUPSI 2014
Abstract

Quello che vediamo è vincolato dai limiti fisiologici del nostro occhio
e l’immagine che percepiamo di noi stessi è costantemente incompleta.
Questa tesi di Bachelor si concentra su una tecnica fotografica fin ora
affrontata solo marginalmente: la fotografia a infrarossi.
Attraverso un procedimento metodologico sperimentale, questo progetto
tenta di definire un nuovo e inedito modo di vedere la fisicità del corpo
umano e di noi stessi, mostrando tramite l’occhio meccanico ed eccezio-
nale della macchina fotografica, elementi tangibili e concreti appartenenti
a una realtà altrimenti invisibile. Attraverso una ricerca sulla rappresenta-
zione del corpo nella storia della fotografia vengono poste le basi per una
reinterpretazione di quest’ultima, immortalando corpi traslucidi attraverso
i quali traspare un disegno complesso, un tatuaggio naturale, composto
da vene e sangue che, indisturbato e nascosto, ci avvolge e accompagna
ogni giorno. I dati raccolti e la loro riproducibilità rendono il processo di
cogliere questo nuovo elemento, replicabile, aprendo, così, nuovi sguardi
e possibili applicazioni in tutti gli ambiti che comunicano attraverso im-
magini e suggestioni. Un libro fotografico, contenente la massimizzazione
del risultato ottenuto, accompagna questo dossier, con l’intenzione di su-
scitare nuovi quesiti e spunti per ulteriori ricerche in questo ambito inedito
e affascinante della fotografia.
INDICE
Introduzione 6

tema e intenzioni 7
domanda e ipotesi 8
ipotesi di progetto 9
possibili applicazioni 10

Stato dell’arte 12

Breve introduzione alla fotografia della luce non visibile 13


La fotografia a infrarosso nella storia 15
La fotografia a infrarosso nel ritratto 23
La fotografia a infrarossi: altre applicazioni 31
L’altra luce non visibile 37

Fondamenti estetici e di forma 38

Corpo e figura umana nella fotografia 39


Dopo la pittura: una nuova coscienza 41
Il dagherrotipo: aspetti formali 45
La fotografia antropologica e scientifica 51
Il taglio fotografico 55
Il corpo nel fotogiornalismo 59
La fotografia di nudo e il corpo nell’arte contemporanea 65
La percezione del reale 79
Basi estetiche progettuali 81

la fotografia a infrarossi: base teorica 82

La luce visibile 83
La lunghezza d’onda 85
La luce non visibile 85
Gli infrarossi 86
Il colore e la luce riflessa 87
Impostazione tecnica 89
La materia 91
Le fonti di luce 92
Ipotesi tecniche per la fase sperimentale 97

Sperimentazione: dati teorici e empirici 98

Primo approccio sperimentale 99


La scelta del supporto 109
Le sorgenti di luce artificiale 113
La luce al tungsteno 113
La luce led e la luce a fluorescenza 121
La luce a led infrarosso 129
Filtraggio, fuoco e esposizione 135
Luce diretta e luce diffusa 145
La temperatura di colore in camera 151
Impostazione tecnica per la realizzazione del progetto 157
Sperimentazione: il soggetto 164

La pelle e il fototipo 165


Verifica empirica 167
Controprova e sviluppi di ricerca 169

Definizione del progetto 170

Il dossier di ricerca e sperimentazione 171


Il libro fotografico 171

Possibili applicazioni e sviluppi 176

Applicazioni e sviluppi in ambito comunicativo 177


Sviluppi personali 181

Progetto grafico: dossier 182

Griglia 185
Testo e immagini 187
Numero di pagina e occhiello 187
Carattere 189

Progetto grafico: il libro fotografico 190

Testo e immagini 193


Numero di pagina 195

Bibliografia e fonti 196


Sitografia 198
Immagini 200
Piano di lavoro 206
Ringraziamenti 208
Allegati 210
INTRODUZIONE

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Tema e intenzioni

La fotografia oggi è un medium inscindibile dalla nostra quotidianità.


Dall’avvento dell’era digitale, i mezzi a disposizione per la creazione di
immagini sono in continua evoluzione e permettono ogni giorno di propor-
re nuove soluzioni formali e tecniche, rispondendo ai bisogni espressivi
dei comunicatori.

Il percorso formativo che ho intrapreso mi ha portato a interrogarmi su


come la figura umana venga rappresentata fotograficamente in relazione
all’evoluzione estetico-tecnologica odierna.
L’identità del singolo è legata fortemente alla propria fisicità, ma l’aspetto
esteriore non rappresenta l’individuo nella sua complessità. Questo mi
ha portato a ricercare una tecnica che potesse in qualche modo trovare
un elemento tangibile e concreto che non appartenesse alla “normale”
percezione visiva del corpo.

Con stupore ho individuato una possibile soluzione tecnica in una branca


della fotografia che non appartiene al vasto mondo dell’elaborazione di-
gitale e della post-produzione fotografica: la fotografia a infrarosso.
Con l’utilizzo di una determinata frequenza di questa gamma di luce
invisibile all’occhio umano, applicata al ritratto, è possibile individuare
caratteristiche fisiche altrimenti impercettibili: ad esempio rendere la pelle
traslucida. Il risultato è unico nel sul genere, data l’impossibilità dell’ela-
borazione digitale di creare luce non catturata dal supporto utilizzato.
È quindi una soluzione espressiva avente un aspetto tecnico che richiede
una ricerca non ancora sviluppata e adottata a livello estetico; uno stru-
mento nuovo per fotografi e comunicatori visivi, capace di abbattere il
limite fisico del corpo, elemento centrale in relazione all’identità, e quindi
esplorarne nuovi canali comunicativi.

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Ipotesi di progetto

Il progetto da me proposto intende approfondire tramite una ricerca sto-


rica, attingendo alla psicologia e alla sociologia, le necessità rappresen-
tative del corpo, svolgendo parallelamente una ricerca storico-formale sul
ritratto, sulla figura umana e su i suoi limiti rappresentativi. La percezione
della realtà occupa un punto centrale nella mia tesi; essa rappresenta la
nostra interpretazione rispetto l’immagine di noi stessi, intesa sia come
identità, sia come fisicità dell’essere umano in generale. Una ricerca in
questo frangente è quindi necessaria per definire una direzione nella qua-
le portare il mio lavoro.
Una volta evidenziate le necessità espressive in questo ambito, vorrei af-
frontare una ricerca sulla fotografia a infrarosso e sui suoi impieghi, defi-
nendone uno stato dell’arte in relazione alle possibilità date dall’elabora-
zione digitale. In questo modo vorrei supportare con delle basi tecniche
una sperimentazione: ossia seguendo un metodo scientifico, cioè ponen-
do delle ipotesi su basi teoriche per poi trovare un riscontro empirico.
È quindi mia intenzione individuare una possibile soluzione formale nella
fascia d’infrarossi da me individuata, in modo da definire generalmente,
o almeno sviluppare singolarmente, una metodologia che permetta di ri-
petere i risultati ottenuti. La sperimentazione porterà a un risultato concreto
e tangibile che, insieme alla parte di ricerca, potrà rappresentare per il
pubblico d’interesse, ossia fotografi e comunicatori visivi, un punto di rife-
rimento per eventuali nuove applicazioni e sviluppi di questa particolare
tecnica fotografica.

8|9
Domanda

Come rivelare con l’utilizzo della fotografia caratteristiche del corpo uma-
no invisibili ad occhio nudo?

Ipotesi

La percezione del mondo che ci circonda è parzialmente limitata dalle


capacità fisiche del nostro occhio.

La fotografia a infrarosso può penetrare la barriera della pelle umana evi-


denziando vasi sanguigni ed elementi completamente estranei alla nostra
quotidianità.

Si può reinterpretare il concetto visivo di fisicità del corpo e ritratto foto-


grafico, tramite una tecnica formalmente innovativa e utilizzabile a fini
espressivi e comunicativi.

la fotografia della luce non visibile


Possibili applicazioni

Il prodotto finale della mia tesi sarà un dossier di ricerca che spieghi e
analizzi l’impiego delle frequenze a infrarosso da me individuate, appli-
cate al ritratto e alla rappresentazione del corpo. In questo documento
sarà presente una dettagliata ricerca formale e espressiva sul ritratto e i
limiti della rappresentazione del corpo, unita all’esposizione della speri-
mentazione che andrò a intraprendere, riportata metodologicamente e
resa riproducibile in altri contesti. Un libro fotografico conterrà, infine, i
risultati da me ottenuti in una serie fotografica che integri tutte le parti e
gli aspetti della mia ricerca. È mia intenzione creare dei prodotti che pos-
sano rappresentare un riferimento, un punto di partenza per ulteriori ri-
cerche, in un ambito della fotografia affrontato oggi solo marginalmente.
I risultati saranno orientati maggiormente all’ambito comunicativo piutto-
sto che a quello artistico: delle ipotesi di applicazione a fini comunicativi
delle foto realizzate saranno presenti nel dossier.

10
STATO DELL’ARTE

12 | 13
Breve introduzione alla fotografia della luce non visibile

La luce è composta da un ampio spettro di onde delle quali il nostro oc-


chio percepisce solo una determinata e limitata porzione. Ciò che l’occhio
umano non è capace di distinguere è quella che essenzialmente viene
definita “luce non visibile”. Supporti specifici sono in grado di catturare
queste onde presenti in qualsiasi sorgente luminosa, dal sole alle lampadi-
ne a incandescenza, così come provarne l’esistenza e gli effetti prodotti.
Volendo dare due tipi di categorizzazione a questo fenomeno fisico, si
possono dividere due grandi tipologie che si definiscono a partire dai
rispettivi estremi dello spettro di luce visibile, il viola e il rosso: la fascia di
luce al di sotto del viola che riusciamo a percepire è definita come luce
ultravioletta, mentre la fascia di luce sopra il rosso percepibile è definita
come infrarosso.
Le applicazioni di queste gamme luminose trovano un utilizzo in svariati
ambiti come ad esempio la medicina, la criminologia, la fisica, l’astrono-
mia, l’industria, la cartografia e la fotografia.

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Fig.1

Fig.2

14 | 15
La fotografia a infrarosso nella storia

Nonostante i raggi a infrarosso vengano teorizzati a inizio ‘800 e il termi-


ne “infra-rosso” coniato dall’inglese Sir Wililiam Abeny nel 18801, la ca-
pacità di registrare su un supporto tali lunghezze d’onda, la fotografia a
infrarosso, è resa possibile solo nel 1910, dall’ampliamento della gamma
luminosa percepibile dall’affermata emulsione all’alogenuro d’argento,
che non permetteva un’impressione dell’intero spettro luminoso, limitando-
si alle frequenze della luce blu. Questa nuovo strumento tecnico viene svi-
luppato e utilizzato successivamente in ambito militare, durante la Prima
Guerra Mondiale, per la realizzazione di rilevazioni cartografiche aeree.
La capacità di oltrepassare barriere fisiche di questa frequenza luminosa
rende infatti possibile escludere la foschia presente da una visuale in alta
quota, permettendo quindi delle riprese fotografiche dell’area interessata
limpide e dettagliate (fig. 1 e 2). Negli anni Trenta Kodak, Ilford e Agfa
sviluppano delle pellicole che comprendono una gamma ampliata di fre-
quenze a infrarosso per conto dell’agenzia spaziale americana.
Quest’ultima trova un impiego di questo supporto nell’astronomia a in-
frarosso, ipotizzata già da metà Ottocento, ma che trova uno strumento
concreto solo con l’avvento di questi nuovi mezzi tecnici.
Lo sviluppo del supporto a infrarossi in ambito scientifico porta, in breve
tempo, a una produzione di massa e a una commercializzazione di que-
sto tipo di pellicola. Le caratteristiche tecniche di questo supporto (la bassa
sensibilità che determina lunghi tempi d’esposizione) trova un interesse da
parte dei fotografi paesaggisti, specialmente per la capacità dell’infraros-
so di rendere, attraverso uno sviluppo in bianco e nero, il cielo scuro e il
fogliame bianco e luminoso (la clorofilla a causa delle sue caratteristiche
biologiche riflette le frequenze a infrarossi). In questo modo gli aspetti
naturalistici dei soggetti fotografati assumono una nuova forma visiva.
Il procedimenti di stampa e la commercializzazione della pellicola a co-
lori nella metà degli anni Trenta trova una implementazione del colore
anche nella pellicola a infrarossi; tuttavia, essendo questa una frequenza
formata da variazioni rosse (monocromatica) che nello sviluppo trova una
risposta alle frequenze colorate dello spettro percepibile, alla stampa si
ottiene l’effetto definito come “false color”(colore sbagliato).

1  Regina Coppola, Beyond Light, University Gallery, Amherst, 1987, p.5.

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Fig.3

Fig.4

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La risposta a uno sviluppo a colori di questa tipologia di supporto eviden-
zia con toni surreali gli elementi ritratti.
Questa caratteristica trova nuovamente un’applicazione in ambito militare
durante la Seconda Guerra Mondiale: allo sviluppo, la risposta a infraros-
so risulta “sbagliata” in termini di colore, permettendo di evidenziare, in
una fotografia aerea, eventuali soggetti mimetizzati al suolo. Questi ap-
paiono infatti sgargianti e diversi dal colore del terreno, che è sempre non
riconducibile a un colore naturale, tuttavia inscindibilmente costretto alle
caratteristiche biologiche della natura. La tecnica, definita anche come
“false-color infrared”, trova poco interesse da parte dei fotografi, fino agli
anni Sessanta. I suoi primi usi si hanno in concomitanza con l’avvento del
rock psichedelico. Le cover di diversi dischi di Jimi Hendrix (fig. 3), Do-
novan e Frank Zappa (fig.4) presentano fotografie realizzate a infrarosso
a colori. Proprio le caratteristiche surreali e innaturali di questo supporto
si accordano con l’estetica emergente in questi anni. Sono i primi casi di
ritrattistica nella quale l’infrarosso viene utilizza per la rappresentazione
del corpo. Passato questo momento storico vi è un disinteresse all’impiego
della fotografia a infrarossi in questi termini, dovuta anche all’evoluzione
estetico-formale dopo questo particolare momento e la fine del movimento
hippie.

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Fig.5

Weegee. At the palace theater,


1945.

Fig.6

Elio Ciol, Dalla serie “Italia Black


and White”, 1985.

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Durante la Seconda Guerra Mondiale vengono però esplorate anche altre
caratteristiche del supporto a infrarosso, come ad esempio la possibilità
di fotografare in completa assenza di luce naturale, utilizzando un flash
a infrarosso, senza essere, quindi, visti dal soggetto; la luce invisibile
all’occhio umano illumina la scena e il supporto a infrarossi immortala il
momento. Questa applicazione viene subito accolta da alcuni fotogiorna-
listi, il più noto Arthur Fellig, in arte Weegee, ruba di nascosto attimi di
vita mondana nella New York di fine anni Quaranta. La sua serie più nota
è At the palace Theater (1945, fig. 5) nella quale vengono ritratti, a loro
insaputa, i pubblici delle affollate sale cinematografiche newyorchesi1.
L’infrarosso in bianco e nero applicato al paesaggio, date le sue carat-
teristiche più sobrie, rigorose e funzionali, mantiene una sua fascia di
utilizzatori; tra gli esponenti più significativi e illustri il fotografo italiano
Elio Ciol, con la sue serie Italia Black and White (fig. 6), l’inglese Martin
Reeves, con i suoi paesaggi del sul sud est asiatico (in particolare il libro
fotografico Angkor: Into The Hidden Realm) e gli statunitensi Ansel Adams,
con le sue celebri serie fotografiche attraverso i grandi parchi naturali
americani (fig. 7), e Minor White, le cui foto Cobblestone House, Avon,
New York in light and Film verranno riprodotte nel 1970 da Time-Life
incrementando, così, la considerazione e il valore artistico attribuito a
questo particolare supporto2.
L’utillizzo del bianco e nero a infrarossi prevalentemente da parte di una
nicchia della fotografia paesaggistica ha portato alla graduale diminu-
zione della fabbricazione e distribuzione sul mercato della pellicola a
infrarosso, definendo sempre di più la produzione a un limitato numero di
supporti disponibili: prima in bianco e nero e colore, poi successivamente
solo in bianco e nero.

1  Coppola, Op. cit., p. 6.

2  Ibidem, p. 7.

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Fig.7 Ansel Adams, Thunderhead over Tuolumne, 1967.

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A partire dagli anni Novanta, l’avvento del digitale vede l’impiego di sen-
sori capaci di catturare tutto lo spettro luminoso. Dato che le aberrazioni
del risultato in immagine rispetto ai canoni richiesti dalla rappresentazio-
ne del reale sono una caratteristica delle frequenze di luce invisibili (spe-
cialmente delle frequenze a infrarosso) - e quindi non essendo di interesse
comune riuscire a riprodurle a discapito dello spettro visibile - le case
produttrici hanno deciso di applicare su tutte le macchine prodotte un filtro
interno che limiti lo spettro catturabile dal supporto digitale, escludendo
quindi ultravioletti e infrarossi. La rimozione di questo filtro e, quindi, un
approccio della fotografia che comprenda l’intero spettro luminoso è una
sperimentazione in atto da parte di una piccola nicchia di fotografi in
campo artistico, senza trovare ancora una codificazione precisa e una
metodologia definita, bensì solo dei singoli riscontri empirici.

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Fig.8 Nir Arieli, Dalla serie “Inframen”, 2013.

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La fotografia a infrarosso nel ritratto

Come accennato nel capitolo precedente, le applicazioni di questa spe-


cifica tecnica nel ritratto sono solo limitate ad alcuni casi sporadici. Le
motivazioni sono molteplici; in primo luogo è opportuno suddividere la
gamma degli infrarossi in due categorie: gli infrarossi vicini e gli infrarossi
lontani. I primi rappresentano quelli più vicini alla fascia della luce visibi-
le, i secondi invece sono il limite rispetto alle microonde e alla percezio-
ne fisica del calore. Entrambi necessitano di una complessa gestione dal
punto di vista tecnico, anche se per gli infrarossi vicini la manipolazione
risulta più semplice dato che necessitano di filtraggi meno pesanti (con
una perdita minore in termini di stop di luce) che non obbliga il fotografo
a utilizzare tempi d’esposizione molto lunghi.
Nel ritratto a infrarosso, trattandosi di soggetti in movimento, è stata da
sempre prediletta questa porzione di frequenze, lasciando gli infrarossi
lontani a sporadiche sperimentazioni mai del tutto approfondite. Nono-
stante questo l’infrarosso nel ritratto risulta comunque tecnicamente ostico
da applicare nella ripresa dei soggetti, dato le altre problematiche intrin-
seche a questo supporto: basti pensare alla difficoltà nella messa a fuoco,
visto che le onde infrarosse hanno lunghezze diverse da quelle visibili e
hanno un punto di fuoco diverso rispetto a quello riportato sulle ghiere
degli obbiettivi, o l’esposizione, dato che non vi sono esposimetri in grado
di misurare la quantità d’infrarosso all’interno di un fascio di luce bianca.
Ad incidere vi è inoltre l’aspetto storico-formale: la solida applicazione
della fotografia a colori e in bianco e nero, formalmente radicate, ha
lasciato poco spazio alla più giovane fotografia della luce non visibile, se
non in particolari momenti storici nei quali gli effetti “strani” prodotti dalla
fotografia a infrarosso hanno trovato una coerenza estetica.
Come accennato precedentemente, negli anni Sessanta si hanno i primi ri-
tratti a infrarossi su alcune copertine di famosi dischi di rock psichedelico,
proprio perché l’estetica di quel momento trovava una risposta nella tec-
nica; un’applicazione che è stata tempo in breve abbandonata lasciando
cadere ogni possibile evoluzione in merito.

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Fig.9

Anton Corbijn, Tom Waits, 1980.

Fig.10

Anton Corbijin, U2, 1984.

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Alcuni fotografi hanno continuato a impiegare questa tecnica nel ritratto,
orientandosi all’utilizzo del bianco e nero rispetto al colore (o false color,
trattandosi d’infrarosso); uno dei più noti è il regista e fotografo olandese
Anton Corbijn che dagli anni Ottanta fotografa celebrità del mondo dello
spettacolo (fig. 9) collaborando con riviste del calibro di Vogue, Rolling
Stone e ELLE utilizzando proprio questa tecnica. Sua è anche la cover del
celebre disco degli U2 The Unforgettable Fire (1984, fig. 10) realizzata
con pellicola Ilford a infrarosso.
Le caratteristiche della gamma d’infrarossi vicina conferisce ai soggetti
fotografati un aspetto etereo e particolare. Viene infatti adoperata in al-
cune fotografie di moda per conferire alle modelle caratteristi plastiche
e sovrannaturali. A spiccare fra i più recenti lavori è la serie Inframen
(2013, fig. 8, 11, 12 e 13) del fotografo israeliano Nir Arieli, che ha
immortalato una serie di giovani ballerini con una pellicola a infrarosso
di medio formato, ricevendo un’accoglienza positiva da pubblico e critica
per le caratteristiche inusuali inerenti la rappresentazione della fisicità del
corpo maschile.
Anche il fotografo irlandese Richard Mosse sta sperimentando attualmente
l’uso di questa tecnica riproponendo uno sviluppo a colori di pellicola
Kodak a infrarosso.
Il suo lavoro Infra (2011, fig. 14 e 15) ritrae alcuni momenti di tragica
realtà del conflitto in Congo, in un contesto reso surreale e intangibile
dai colori (false color). Il suo scopo era proprio quello di rappresentare il
contrasto tramite un elemento formale, motivazione che l’ha portato l’anno
successivo a reinterpretare questa serie di fotografie con l’utilizzo di una
pellicola cinematografica 16mm (anch’essa a infrarosso), creando una
video installazione. Questo progetto, The Enclave, è stato selezionato e
presentato nel 2013 alla Biennale di Venezia.

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Fig.11 Nir Arieli, Dalla serie “Inframen”, 2013.

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Fig.12

Fig.13

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Fig.14 Richard Mosse, Dalla serie “Infra”, 2011.

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Fig.15

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La fotografia a infrarossi: altre applicazioni

Per avere una visione complessiva dell’applicazione della fotografia a


infrarossi odierna, è utile citare alcuni dei più comuni utilizzi di questa tec-
nica negli svariati ambiti diversi dalla fotografia paesaggistica e ritrattisti-
ca. Come accennato, l’applicazione di questo tipo di fotografia nasce in
ambito militare. Le riprese aeree dei territori risultano, tramite un supporto
a infrarosso, particolarmente efficaci e quindi più adatte ad uno studio
della morfologia del territorio. Tutto questo è dovuto alla capacità fisica
delle lunghezze d’onda impiegate: l’infrarosso è in grado di non essere
riflesso da molte componenti atmosferiche rarefatte e quindi di attraversar-
le senza che esse vengano impresse sul supporto. Semplificando, questa
tecnica rende invisibili particelle di materia altrimenti risultanti come un
elemento fisico e di disturbo. La foschia data dalla stratificazione di gas
in sospensione nell’atmosfera non vengono registrate dalla pellicola for-
nendo un’immagine chiara e nitida.1 Nasce l’esigenza di differenziare la
foschia dalla nebbia. Un’elemento importante è capire l’interazione delle
lunghezze d’onda a infrarosso impiegate nella fotografia e della loro inte-
razione con l’acqua. L’acqua rappresenta una consistenze barriera all’in-
frarosso riflettendolo (e quindi assorbendolo) fino a lunghezze d’onda ai
limiti dello spettro fotografico (ossia dallo spettro luminoso che è possibili
registrare su un supporto fotografico). Basti pensare alla particolare resa
delle nuvole, che nella fotografia a infrarosso risultano materiche ed estre-
mamente definite. Un cielo carico di umidità, con acqua in sospensione,
con nebbia, sarà difficilmente imprimibile nitidamente su di un supporto
fotografico a infrarossi: l’acqua è una barriera fisica alle lunghezze d’on-
da interessate.2

1   S.O. Rawling, Infra-red photography, Blackie and Son Limited, Londra, 1935, p. 44.

2   Walter Clark, Photography by infrared (1931), John Wiley & Sons, New York, 1946, pp.
401-402.

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Fig. 16

A sinistra l’immagine normale


di una costellazione; a destra
l’immagine a infrarossi.

Fig. 17

A sinistra un testo oscurato


da macchie d’inchiostro; a
destra la stessa immagine a
infrarossi: l’inchiostro risulta
trasparente ed è possibile
leggere le parole celate sotto
ad esso.

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La capacità di reagire in maniera diversa con la materia della fotografia
a infrarosso, apre lo spettro di questa tecniche a tutte le applicazioni che
necessitano di evidenziare caratteristiche invisibili al normale spettro lumi-
noso (alla luce visibile). Di nuovo in ambito militare, si possono evidenzia-
re veicoli e strutture mimetizzate per la loro differente reazione (ossia per
il loro diverso assorbimento) rispetto al territorio circostante.1 Così anche
vi è una vasta applicazione in ambito astronomico, data l’emanazione
dei corpi celesti di onde luminose non visibili: microonde, ultravioletti,
raggi gamma e, naturalmente, infrarossi (fig. 16).2 Nello studio della bo-
tanica elemento cardine per l’utilizzo di questa tecnica è la clorofilla: essa
reagisce agli infrarossi permettendo un’indagine della stratificazione dei
tessuti biologici della pianta.3 Basti pensare nuovamente alle fotografie
paesaggistiche a infrarossi, nelle quali il fogliame risalta bianco e lumino-
so, in contrapposizione con le consuete rappresentazioni pancromatiche,
nelle quali le foglie risultano scure. Attraversare la materia è caratteristica
basilare in un’altra applicazione della fotografia a infrarosso: l’indagine
atta a identificare manomissioni e falsificazioni in ambito pittorico, storico
e calligrafico. Le vernici e gli inchiostri contemporanei utilizzano una divi-
sione del colore nero rispetto agli altri elementi cromatici. Tale inchiostro
o vernice, proveniente da un processo industriale anziché da una deriva-
zione naturale (e quindi senza un’alta componente organica e di acqua),
non è in grado di riflettere gli infrarossi e viene attraversato da essi (fig.
17).4 È quindi facile risalire, tramite una fotografia a infrarossi, sia essa di
un testo scritto o di un dipinto, a parti al di sotto (e quindi invisibili) di uno
strato applicato in un secondo momento (recente) all’opera. Questa tecni-
ca è quindi ampiamente applicata in ambito storico artistico, per capire
se vi sono elementi aggiunti o nascosti nelle opere pittoriche così come la
veridicità della datazione dichiarata.

1   Clark, Op. cit., pp. 355-366.

2   Rawling, Op. cit., pp. 45-46.

3   Ibidem, p. 33.

4   Ibid., p. 35.

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Le condizioni atmosferiche saranno quindi sempre una variabile estrema-
mente importante per la resa di questo tipo di applicazioni. Le caratteristi-
che fisiche di interazione con l’acqua degli infrarossi saranno di grande
importanza per questa ricerca, data la massiva presenza di questa mole-
cola nei tessuti biologici, ma questo rappresenterà un capitolo successivo
della ricerca. È utile tuttavia evidenziare l’applicazione in ambito medico
di questo tipo di fotografia. Fin dagli albori della fotografia a infrarosso
vi è un interesse nella sua interazione con la materia biologica: nel 1935
viene evidenziata attraverso la ricerca di alcuni studiosi (Eggert resour-
ces1) la capacità di trasparenza dei tessuti cutanei (la pelle) da parte di
tali lunghezze d’onda. Viene inoltre evidenziata e rappresentata attra-
verso tabelle d’assorbimento, la capacità dell’emoglobina ossigenata di
riflettere gli infrarossi, rispetto all’emoglobina carica di monossido di car-
bonio che invece risulta trasparente. Questa caratteristica risulta efficace
a studi della vascolarizzazione corporea e a analisi di malattie cutanee
vascolarizzate, come gli eczemi.2 La problematica si sposta sul metodo di
illuminazione utilizzando spesso, tecniche transilluminanti e localizzate al
tessuto interessato. Nonostante questa interessante a approfonditamente
studiata caratteristica, l’infrarosso in questo ambito rimane marginale ri-
spetto ad altre tecniche e ad altre onde di luce non visibile (come ultravio-
letti e X-ray). L’effetto di trasparenza della pelle ottenuto, non trova oggi
l’interesse dei ricercatori e dei medici che si affidano ad altre tecniche
per l’ottenimento di risultati più utili ad una diagnosi. Rimane quindi una
ricerca molto più inerente allo studio della materia che all’applicazione
medica e pratica.

1   Clark, Op. cit., p. 246.

2   Ibidem, p. 244.

34
Fig. 18

Scansione a UV medica.
È possibile così valutare in
modo preciso lo stato della
superficie della pelle.

Fig. 19

Leslie Wright; Honeysuckle,


2014.

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L’altra luce non visibile

È necessaria, al fine di una visione complessiva, una breve panoramica


sulle altre onde luminose di luce non visibili utilizzate nella fotografia e
registrabili su di un supporto. La più importante è la fotografia ultravio-
letta (UV), ossia delle onde luminose al di sotto dei 400 nm. Il violetto è
l’ultima frequenza di colore visibile dall’occhio umano prima dell’invisi-
bilità di queste particolari lunghezze d’onda. La caratteristica principale
degli ultravioletti è la capacità di rendere determinate parti della materia
reattive: luminescenti e visibili1. Essendo molto presente nella luce bian-
ca (solare) e in molti corpi fisici d’interesse scientifico (i corpi celesti ne
irradiano grande quantità), esso è impiegato ampiamente in molti ambi-
ti. Nello studio dell’essere umano, nella medicina e in particolare nella
dermatologia, un’immagine a ultravioletto è in grado di evidenziare le
caratteristiche superficiali della pelle (i nei) così da identificare facilmente
patologie come i tumori della pelle (fig. 18). Vi è quindi una separazione
tra gli elementi che compongono una superficie. Elementi estranei alla su-
perficie2 fotografata risultano subito identificabili; nelle indagini di polizia
vengono utilizzati per individuare macchie di sangue e liquidi corporei,
ma essi sono anche in grado di mettere in risalto inchiostri applichi e poi
rimossi, firme su dipinti e documenti. Proprio per la caratteristica d’inda-
gine della superficie, utile in altri ambiti, queste onde luminose sono state
escluse dall’interesse di questo progetto, scegliendo invece una tecnica,
in grado di attraversare la materia. In questa direzione, sin dalla corrente
positivista di metà Ottocento, troviamo l’impiego dei raggi X3. Questa
tecnica che utilizza particolari raggi, risulta però essere molto dannosa
per i tessuti corporei data la sua altissima carica energetica e la conse-
guente degradazione radioattiva. Appurata la dannosità di questo tipo di
fotografia, ossia la radiografia, essa è limitata agli usi su materia inanima-
ta; sui tessuti biologici, invece, è unicamente utilizzata nella necessità di
un’analisi in campo medico. Vi è tuttavia una ricoperta in ambito artistico
di questa tecnica; sono un esempio le opere del fotografo inglese Leslie
Wright, nelle quali soggetti come fiori e conchiglie, attraversate dai raggi
X assumono valenze geometriche e compositive4 , nel tentativo di vincere
la materia visibile fornendo un nuovo e inedito punto di vista, sul quale
riflettere e comprendere, i limiti percettivi del nostro corpo biologico.

1 H. P. Autenrieth, A. Aldrovandi, P. Turek, La ripresa della fluorescenza ultravioletta: problemi e


soluzioni tecniche, Kermes, 14, 1992.

2 A. Aldrovandi, M. Picollo, Metodi di documentazione e di indagini non invasive sui dipinti, Il


Prato, Padova, 2001, pp. 25-28.

3 Elio Grazioli, Corpo e figura umana nella fotografia, Mondadori, Milano, 1998, pp. 48-51.

4 Tony Lamont, X-ray pictures, http://xraypics.wordpress.com/about-2/ (ultimo accesso


01.08.2014).

la fotografia della luce non visibile


FONDAMENTI
ESTETICI
E DI FORMA

38 | 39
Corpo e figura umana nella fotografia

Essendo l’intento primario di questo progetto lavorare sulla rappresen-


tazione e l’interpretazione della percezione rispetto la figura umana, è
necessaria un’analisi di come il corpo è stato e viene ripreso fotografica-
mente, al fine di costituire i fondamenti formali e estetici del prodotto fina-
le. Attraverso la storia del ritratto intendo trarre delle preziose conclusioni
con lo scopo di agire in modo consapevole e dedurre scelte coerenti con
gli intenti da me prefissati: una proposta nuova, oltre i limiti del visibile,
della complessità del fisico umano.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 20

Honoré Daumier, Il vagone di


terza classe, 1862.

Fig. 21

Hippolyte Bayard, Autoportrait en


noyé, 1840.

40 | 41
Dopo la pittura: una nuova coscienza

Con l'annuncio ufficiale, nel 1839, dell'invenzione fotografica, grazie al


processo ideato da Louis Jaques Mandé Daguerre, nasce anche un nuovo
strumento per la ritrattistica, più veloce e accessibile della pittura figurati-
va. In questi anni, la fotografia rimane caposaldo di autorappresentazio-
ne della classe sociale borghese, maggiormente in crescita, portatrice
dei principi e le aspirazioni democratiche di questo particolare momento
storico1; il nascente Realismo, scaturito dai movimenti sociali europei (il
Quarantotto, le organizzazioni operaie, il marxismo, l’anarchia e il so-
cialismo solo per citarne alcuni), si diffonde come corrente artistica, con
l’intenzione di rappresentare una realtà cruda e nuda, meno allegorica,
concentrata sui dati oggettivi e tangibili e fondando le proprie basi sul
pensiero positivista, pensiero filosofico che studia la realtà del mondo at-
traverso la scienza e il metodo scientifico. Esso trova un parallelismo nella
fotografia, orientando la scelta dei soggetti su classi sociali dimenticate, il
lavoro e la vita quotidiana.
Così come i dipinti di Daumier riportano scene di vita quotidiana (fig. 20),
lontane dalle corti e dai palazzi borghesi, molte delle prime immagini
fotografiche immortalano famiglie semplici, gente del popolo e lavoratori
(fig. 21). La fotografia riporta una realtà formalmente semplice, meno re-
torica o intellettualistica rappresentata, invece, fino ad allora dalla pittura
accademica.
Nonostante il dagherrotipo2, data la sua complessa elaborazione, non sia
ancora alla portata di tutti, basteranno una decina d’anni e l’invenzione
di nuovi processi più economici e pratici a commercializzarlo. “Prima del
1839 i ritratti erano appannaggio delle persone agiate che potevano
permettersi il lusso di ricorrere a un pittore. Per lo meno in una certa mi-
sura vengono democratizzati da Daguerre, che li mette alla portata di un
nuovo strato della popolazione”3.
L’immediatezza di questo nuovo mezzo tecnico, seppur segnato in questo
momento ancora da macchinosi procedimenti, semplifica l’esecuzione,
rende quindi i soggetti più concreti e avvicinabili, quindi variati e meno
vincolati dallo spazio e dal tempo.

1  Jean-A. Keim, Breve storia della fotografia, Einaudi, Torino, 1976, pp.18-22.

2  Il dagherrotipo è uno dei primi procedimenti fotografici (il primo ufficialmente riconosciuto) cre-
ato da Louis Jaques Mandé Daguerre Si tratta di un’emulsione di argento (argento sensibilizzato
alla luce tramite vapori di iodio) su supporto di rame (lastre). La reazione necessita di un’espo-
sizione tra i quindici e i venti minuti ed essendo su un supporto fisico direttamente impresso, il
prodotto è unico e non riproducibile.

3  Keim,  Op. cit., p.17.

la fotografia della luce non visibile


Nonostante i lunghi tempi e la grande quantità di luce necessari, parago-
nati all’evoluzione tecnica attuale, il margine di differenza era chiaramen-
te enorme rispetto al dipinto; “cosa poteva mai rappresentare per l’arte
[intesa come capacità di riprodurre il reale] questa fotografia che, pur as-
somigliando esteriormente a un quadro, di fatto però fondava la propria
specificità su motivi assolutamente opposti a quelli che caratterizzavano
la pittura? Se infatti da un lato l’analoga riduzione del mondo su una
superficie bidimensionale sembrava (e sembra) fare della fotografia una
concorrente interna per la pittura, dall’altro la contaminazione profonda
con la tecnologia, il conseguente rivoluzionato ruolo della manualità e un
rapporto assolutamente privilegiato con il reale rendevano (e rendono) la
fotografia una concorrente esterna capace d incidere in profondità sulla
logica complessiva dell’arte”1. A differenziare la fotografia dal prodotto
pittorico è la qualità di questo particolare supporto, la pellicola, e la sua
capacità di realizzare una naturalità e una precisione di riproduzione del
percetto a prescindere dalle capacità dell’esecutore, di quelli che erano i
primi sperimentatori, i primi fotografi.
“Da questo momento la riproduzione e l’arte non erano più risultato della
abilità tecnica del pittore, ma l’abilità stessa si spostava altrove, in ambiti
nuovi, che avrebbero comunque cambiato l’immagine per sempre”2.
La precisione di riproduzione del supporto nascente pone il soggetto a in-
terrogarsi su questioni ben diverse rispetto alla qualità dello strumento, “la
propria immagine costituisce una nuova certezza di esistere, […] questo
sguardo da fuori cui la fotografia costringe è già una strana sensazione,
quando poi la si guarda a distanza di tempo, ecco il tempo avanzare in
primo piano e cambiare il senso stesso della storia, del documento, della
nostalgia, della caducità: come ero allora, ora non sono più. Sono vera-
mente io quello? Sono ancora quello che ero?”3.
Nei primi volti ritratti fotograficamente (così come in alcuni volti tutt’ora,
anche se pur più disillusi) si può palpabilmente cogliere del turbamento,
scaturito forse dalla consapevolezza di lasciare un’immagine di un sé rea-
le, percepibile e concreta così come osservabile e contemplabile in primo
luogo da se stessi. Una trasposizione da individuo, inteso come persona,
a personaggio e rappresentazione, racchiusa e replicata minuziosamen-
te, in un delimitato momento di spazio e tempo.

1  Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre), Mondadori, Milano, 2012, p.21.

2  Grazioli, Op. cit., p.5.

3  Ibidem, p.6.

42
Fig. 22 Anonimo, Fabbro, prima del 1850.

44 | 45
Il dagherrotipo: aspetti formali e evoluzione

Ê il ritratto, l’essere umano, ad essere protagonista delle immagini cattu-


rate dalle prime e rudimentali macchine fotografiche del XIX secolo, ed
è attorno ad esso che si concentrano gli sforzi che porteranno all’evolu-
zione del mezzo e del supporto fotografico stesso. Il processo ideato da
Daguerre pone significativi limiti tecnici che hanno influito ampiamente
sulle scelte estetiche e formali individuabili nei dagherrotipi. I lunghi tempi
di posa e la grande quantità di luce necessari alla lastra di rame per
imprimere un’immagine costringono il modello a non muoversi, ad una
lunga posa obbligata, forzata e innaturale. Questo porta a una caratteri-
stica comune in tutte le opere di quest’epoca: le espressioni dei volti sono
costrette all’immobilità assoluta per decine di secondi, nel momento in cui
un minimo movimento porterebbe ad un’immagine sfocata. Il critico d’arte
italiano Elio Grazioli descrive queste facce “tutte simili, quasi torve serio-
se, con sguardo duro, non naturale, quasi un’intera umanità o una società
imbronciata.”1; da un punto di vista prevalentemente frontale, emergono
questi corpi e questi volti che, per quanto la fotografia venga considerata
da subito il mezzo più immediato di restituire la realtà come viene per-
cepita dall’occhio umano, non riescono a celarne l’artificiosità data la
loro innaturale fissità. Atelier all’aperto (per esporre le lastre con la luce
diretta del sole), spesso itineranti, costringono molte volte all’utilizzo di
fondali poveri o di fortuna e di pochi elementi scenografici atti a rendere
relativamente più confortevole (e fermo) il modello. La posizione seduta su
fondali neutri, l’essenzialità dell’oggettistica, spesso legata ad una volontà
didascalica (come ad esempio un fabbro con martello e ferro di cavallo
in mano, fig.22), e la composizione che vede il soggetto centrale all’im-
magine (di formato variabile, anche se prevalentemente quadrato) tramite
ottiche fisse che si limitavano ad un’unica grandezza scalare. Questi sono
elementi formali e estetici ricorrenti nel dagherrotipo, scarno e privo di
elementi al di fuori della figura ritratta, visibilmente composta e costretta
alle necessità della macchina.

1  Grazioli, Op. cit., p. 9.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 23

Henry Peach Robinson, Here They


Come, 1859.

Fig. 24

Nadar, Portrait of Cleo de Mero-


de, 1894.

46 | 47
Vi sono in breve tempo però sperimentazioni e ricerche in ambito formale
che portano a esiti e necessità diverse, basti pensare ai dagherrotipi di
David Octarius Hill1, che vedono l’attenzione del ritrattista spostarsi dallo
studio e dal soggetto posato, per ricercare una ripresa in ambienti natura-
li, concreti e reali (come la riva di un lago o un prato in un parco pubblico)
nei quali vengono immortalati soggetti scomposti, apparentemente intenti
a fare altro; è forse una prima e timida intenzione di cogliere l’attimo,
l’atteggiamento, la situazione e l’emozione istantanea espressa dal sog-
getto, allontanandosi così dalla rappresentazione accademica e svelando
l’incredibile potenzialità del supporto fotografico.

L’evoluzione tecnica è in fermento, nascono nuovi procedimenti chimici


atti a semplificare il processo di ripresa. È a partire dal 1850 che la foto-
grafia viene commercializzata a tutti gli effetti grazie a un sistema a più
obbiettivi, ideato da André Eugène Disdéri, capace di realizzare dalle
quattro alle otto pose per seduta, alla nuova emulsione di collodio, in gra-
do di abbassare i tempi di posa da venti a due secondi, e alla capacità
di stampa dalle lastre di rame alla carta. I vincolanti limiti, che fino a una
decina d’anni prima, restringevano l’accessibilità e la maneggevolezza
del mezzo tecnico erano dunque in grande misura risolti. Il ritratto diventa
pratica comune e la varietà dei soggetti aumenta esponenzialmente. Le
fotografie diventano carte da vista, sono mezzo di coesione familiare e
sociale, spesso complementari a lettere e documenti. Tutti si fanno fotogra-
fare e si scambiano fotografie2.
È intuibile, quindi, che la ricerca formale spazia in grande misura, data
la moltitudine e la diversità dei soggetti a cui la fotografia si apre. Dalla
messa in scena forzata e ostentata, a composizioni casuali e frettolose,
verso ricerche che si allontanano sempre di più dai canoni delineati dalla
precedente storia dell’arte e dalle accademie. Nadar in Francia (come un
Henry Peach Robinson in Gran Bretagna, fig. 23) esplora e reinterpreta i
suoi modelli, solitamente soggetti di spicco della società, attribuendo loro
contesti e oggettistica inusuali, arbitrarie rispetto alla rappresentazione
classica e alle consuetudini iconografiche (fig.24 e 25). D’altro canto, lo
stesso Nadar affermerà di trovare riluttanza da parte di molti dei suoi sog-
getti nell’assecondare le sue esigenze, guidate dalla volontà di fotogra-
fare la persona e non il suo status; quest’avversione scaturisce non solo a
causa di motivazioni narcisistiche e di timore rispetto a una privazione di
valore sociale, bensì nell’intenzione, di colui che viene ritratto, di ottenere
subito un prodotto, in breve tempo, una semplice foto.

1  David Ocatvius Hill (Perth, 1802 - Edimburgo, 1870) è stato un pittore e pioniere della fotogra-
fia scozzese.

2  Grazioli, Op. cit., pp. 17-19.

la fotografia della luce non visibile


Fig.25 Nadar, Sarah Bernhardt, 1855.

48 | 49
Il soggetto diventa cliente, e come esso ha esigenze spesso diverse da
quelle dell’esecutore, dell’autore, del fotografo1; tutto questo è indice di
una realtà che cambia radicalmente. Nasce il ritratto commerciale, la fo-
tografia diventa una vera e propria industria e, ancora una volta, la figura
umana ne è protagonista.

La diffusione commerciale del ritratto fotografico, in breve tempo apre un


quesito sullo statuto che la fotografia stessa assume: l’enorme quantità
di immagini prodotte non trovano spesso qualità d’esecuzione. Non vi
sono, come detto, codici formali definiti e i parametri di valutazione sono
spesso soggettivi, lasciando, in questo modo, campo libero a fotografi
amatoriali, improvvisati e attratti dalla capacità di una macchina meccani-
co-chimica di riprodurre una realtà esatta a prescindere da abilità innate
dell’esecutore; si palesa una dimensione di libero stile e interpretazione.
La produzione commerciale apre il dibattito tra industria e arte, tra prodot-
to e opera. Vi sono inoltre i quesiti di unicità rispetto alla riproducibilità
che il dipinto possiede rispetto al prodotto fotografico: l’esattezza mate-
riale, in un'immagine che vede il soggetto riprodotto per quello che è al
suo interno, è forse opera di un artista o di uno scienziato? La fissazione
di un momento reale, visibile, indirizza lo spettatore a individuare ciò che
non vede, una realtà interiore e impalpabile o rappresenta semplicemente
una copia del percetto, una memoria documentaria? “Se il valore artistico
della fotografia era discutibile e discusso, mai ne fu messa in dubbio la
sincerità”2, è l’atto figurativo a prevalere, la capacità della fotografia di ri-
portare le cose come sono (quasi) istantaneamente. “Proprio nel momento
in cui questa forma di fotografia sovvertiva gli standard convenzionali di
ciò che era considerato un atto artistico, dimostrava anche una modalità
più banale di fare arte.
L’arte si rivelò essere un processo di delega a oggetti ordinari e quotidiani
e la fotografia divenne lo strumento attraverso il quale eludere la necessità
di creare un buon quadro […] ambiguità queste, che sono state usate
bene nella fotografia d’arte contemporanea”3.

Quello che scrive la storica d’arte e curatrice Charlotte Cotton in La foto-


grafia come arte contemporanea, non può che evidenziare quanto questo
rapporto, tra scienza, mezzo tecnico, commerciale o artistico, sia tutt’ora
attuale e sia soggetto a un dibattito costante, sfruttato dagli stessi fotografi
al fine di evolvere la qualità formale e artistica della fotografia. Inutile
quindi in questa ricerca aprire un capitolo che definisca cosa sia “arte”.
La fotografia d’autore, oggi è considerata arte, con una sua storia e le
sue controversie.

1  Keim, Op. cit., pp. 26-28.

2  Ibidem, p.36.

3  Cotton, Op. cit., p.20.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 26

Anonimo, 1880 ca.

Fig. 27

Timothy H. O’sullivan, Una messe


di morte, Gettysburg, 1863.

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La fotografia antropologica e scientifica

La macchina fotografica accompagna fin da subito il viaggiatore, sia esso


un professionista in missione, un turista o uno scienziato. Da metà Otto-
cento in avanti, la visione positivista, intenta a instaurare uno sguardo sul
mondo reale, oggettivo e tangibile tramite un approccio scientifico, rende
la macchina fotografica uno strumento indispensabile. Susan Sontag, a
più di cent’anni di distanza, aprirà il suo libro, Sulla fotografia (1977),
con le seguenti parole: “L’inventario è cominciato nel 1839 e da allora
è stato fotografico quasi tutto, o almeno così pare. E questa insaziabilità
dell’occhio fotografico modifica le condizioni di prigionia in quella grotta
che è il nostro mondo. La conseguenza più grandiosa della fotografia
è che ci dà la sensazione di poter avere in testa il mondo intero, come
antologia di immagini. Collezionare fotografie è collezionare il mondo”.
L’osservazione è utile a comprendere il carattere che la ripresa fotografica
del corpo, dell’essere umano, assume in questo determinato contesto (fig.
26). La composizione assume un carattere diverso, non risulta essere un
espediente estetico; essa può compromettere l’immagine fornendo una
interpretazione sbagliata, un fraintendimento. L’antropologia abbraccia
la fotografia come mezzo tecnico, mantenendo rigorosamente il punto sul
carattere scientifico, di riproduzione, anziché espressivo. Vi è una ricer-
ca delle qualità morfologiche dell’individuo fotografato, un tentativo di
classificazione e ordinamento.1I corpi sono immortalati interamente, privi
di ogni elemento forviante. Viene ripreso tutto, nella sua reale crudezza;
la nascente archeologia adotterà il supporto fotografico come appoggio
primario, così verrà anche documentata per la prima volta la la violenza
e la morte. In un’ottica secondo la quale tutto deve essere riportato come
realmente è, come una prova scientifica, tutti i soggetti diventano riprendi-
bili attraverso l’obbiettivo. La guerra e suoi orrori sono per la prima volta
fotografati; impossibile non citare la foto dei corpi straziati sul campo
di Gettysburg immortalati da Timothy H. O’Sullivan (fig. 27), durante la
guerra di secessione americana.
Il colonialismo a cavallo tra XIX e XX secolo è un altra fonte, un altro conte-
sto, nel quale le immagini riescono a riportare ambienti, luoghi e persone
di realtà lontane, prime fra tutte l’Oriente, il cui fascino è ben radicato
nella realtà occidentale dell’epoca. Inquadrature che vedono primario il
paesaggio, l’ambiente, ma che trovano anche l’uomo, l’individuo, l’indi-
geno. In altri casi è la persona che diventa personaggio esotico e quindi
d’interesse: corpi in abiti tradizionali ripresi in pose che, tuttavia, risultano
ancora forzate e artificiose.

1  Grazioli, Op. cit., pp. 34-35.

la fotografia della luce non visibile


Fig.28 Eadweard Muybridge, Two men in loincloths dueling with foils (Animal Locomotion), 1887.

52 | 53
Se è questo che succede nelle parte più remote del mondo, in Europa e in
America la fotografia si tramuta in mezzo per la divulgazione scientifica,
ad appannaggio di scienziati e medici, così come di enti governativi e
polizia. Anche in questo caso la composizione e gli aspetti formali sono
a scapito dell’intenzione di riportare un fatto concreto e reale. Nonostan-
te questo è la passione che guida questi pionieri (in gran parte medici,
psichiatri e scienziati) ad esplorare attraverso l’obbiettivo il corpo in tutte
le sue forme, con un particolare interesse verso il diverso e le deformità,
sia di carattere fisico che mentale. La diffusione del medium fotografico è
quindi tramite di conoscenza, alla portata di tutti, in grado di diffondere
anche il brutto, il non visto e il diverso. Volti su fondi neutri, spogli essen-
ziali, così da denotarne la fisicità e in molti casi, impressionanti difetti e
malattie, si susseguono; a volte messe in scena, in tutti i casi i corpi dei
soggetti sono ripresi nella loro interezza; cataloghi di volti, sguardi in
camera e espressioni neutrali, immobili nel tentativo di non compromette-
re la propria figura con un gesto o un’espressione mal interpretabile dal
fruitore dell’immagine finita. Un metodo scientifico che intrinsecamente
cela una formalità di ripresa, che forse solo oggi possiede un individua-
bile qualità estetica. È questo fervore scientifico che induce nuovamente
ad interrogarsi sul rapporto tra corpo e anima; tra visibile, percepibile
e realtà interiore. Il corpo viene ripreso come una macchina, attraverso
ogni strumento, come l’encefalogramma e l’elettrocardiogramma, fino alla
radiografia, ma i quesiti si orientano, oltre l’oggettività materiale.
È la ricerca di un’anima che guida il corpo e che va oltre esso. Nelle
sequenze di Muybrige (fig. 28) la ricerca è attraverso il movimento ma,
è il ruolo del corpo nello spazio o il tentativo di immortalare un’aspetto
impercettibile come il tempo? In una dimensione istantanea esprimere un
concetto oltre il corpo, metafisico, impalpabile diventa una conseguenza
e un obiettivo; serie che diventano cronografi per vedere il tempo, vedere
oltre la fisicità rappresentative di uno sguardo che segnerà la storia del
ritratto.

la fotografia della luce non visibile


Il taglio fotografico

Nei primi anni del XX secolo nella fotografia, e in particolari modo il


ritratto, segue i canoni estetici del pittorialismo, una manipolazione e un
rifiuto allo sviluppo intento a rendere l’immagine fotografica esteticamente
pittorica. La precisione e la facilità d’utilizzo raggiunta dai mezzi tecnici
rende riprensibile fotograficamente praticamente tutto nella sua totalità. I
vincoli con la pittura accademica sono ormai coesi e superati dalla qualità
di riproduzione della macchina fotografica. Le proposte formali e estetiche
sembrano ormai percorse più volte ed esaurite. Nasce quindi l’esigenza
di riformulare la qualità del mezzo tecnico e ottenere, così, un’autonomia
e un evoluzione rispetto all’arte pittorico figurativa. Si rompono così i le-
gami formali con il pittorialismo, la posizione del modello non segue più
regole così come la luce, l’ambiente. È il fotogramma, l’inquadrature che
viene scelta dal fotografo, a definire la porzione d’immagine, di corpo,
che s’intende riprendere. È la fotografia a diventare soggetto, e il sogget-
to, il modello, forma all’interno di essa; modelli di spalle, di tre quarti, det-
tagli e primissimi piani, così come luci basse o alte, controluce e oscurità
totale conferiscono all’interno di una porzione di realtà, accuratamente
scelto, un significato e la fotografia si tramuta da descrittiva a significante,
“la fotografia intesa come arte della rappresentazione non è una semplice
copia della natura”1.
Si aprono nuove spazi all’esplorazione estetica, al trattamento del corpo
come strumento in grado di creare forme pure perdendo parte della sua
oggettività così come vi è una riscoperta dell’oggettività totale legata al
dettaglio fisico, alla costruzione di “quello che manca” da parte dello
spettatore. La capacità di adoperare una scelta rispetto a cosa lo spet-
tatore può o o non può vedere, al quadro fotografico, è da sempre ca-
ratteristica della fotografia e quindi contemplato dalla pittura; in questo
momento le scelte stilistiche radicali portano la pittura stessa a interrogarsi
su quanto la composizione nella fotografia, e la capacità di riprodurre il
reale, l’abbia influenzata dando uno spunto per un allontanamento, da
parte di quest’ultima, dalla rappresentazione del corpo secondo i canoni
figurativi, “ il confronto con la fotografia aveva portato la pittura a voler-
si differenziare anche radicalmente, dalla fotografia alla ricerca di altre
caratteristiche e sperimentazioni (il Cubismo, il segno, la deformazione
l’antinaturalismo, l’espressionismo, presto l’astrattismo)”2.

1  László Moholy-Nagy, Pittura Fotografia Film (1987), Einaudi, Torino, 2010, p. 31.

2  Grazioli, Op. cit., p. 98.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 29

Frantisek Drtikol, Composizione,


1927.

Fig. 30

Edward Weston, Anita nuda,


1925.

56 | 57
Il lavoro sul taglio fotografico scardina l’immagine fino ad allora tradizio-
nale evidenziando il carattere frammentario del fotogramma; asimmetrie
e costruzioni innaturali (o perlomeno da punti di vista inediti) propongono
ora un’ esclusione rispetto ad una circoscrizione di ciò che si intende far
vedere. L’armonia è interna alla foto come prodotto compiuto e raramente
la si ricerca nel soggetto (fig. 30).
La ricerca della forma, e il corpo sfruttato come mezzo per ottenerla in-
staurerà un dialogo con le avanguardie e le correnti artistiche di inizio
novecento. I collage di Hausman ridurranno volti a elementi di un insieme
grafico, così come estremizzazioni geometri nelle composizioni di Dirtikol
(fig. 29), e Moholy-Nagy, nella essenzialità di forme e colori del Bauhaus;
la distruzione e deformazione della fisicità nella corrente surrealista ricer-
cheranno un’interpretazione della psiche e dell’irreale riducendo il corpo
a insieme di parti scomponibili; manichini visti attraverso lenti grandango-
lari, deformi e ai vertici opposti della rappresentazione figurativa e fedele,
che aveva conferito alla fotografia il merito di rappresentazione sincera.
Ma la sincerità di questo supporto è ormai compromessa inesorabilmente
dalla scelta del quadro (lo era anche prima, forse, più inconsapevolmen-
te). Nonostante, parallelamente dal punto di vista storico, all’interno delle
correnti nazionaliste che dilagano in Europa, si proponga una visione del
corpo naturalistica e estremizzata ai valori ideologici del fisico, denotan-
done attraverso la composizione e i soggetti la forza fisica e le qualità
innate del popolo della nazione fotografata (in particolari modo in Russia,
Italia e successivamente in Germania), il fotogramma rimane una scelta
determinante; il simbolismo prevale, ma è ottenuto grazie a scelte formali,
non solo di messa in scena ma anche d’inquadratura. L’immagine è atta
a manipolare la percezione, ingannare e, specialmente, comunicare un
valore ben preciso e calcolato dal fotografo.
La fotografia, e la fotografia dei corpi, non sarà più il testimone fedele,
ma bensì strumento per comunicare unicamente una soggettiva e interpre-
tabile porzione di realtà.

la fotografia della luce non visibile


Il corpo nel fotogiornalismo

Come accennato precedentemente, sin da metà dell’Ottocento, avveni-


menti storici vengono riportati fotograficamente, da fotografi guidati da
una visione positivista e da intenzioni di carattere documentaristico. La
Guerra di Secessione americana, o la Comune di Parigi, sono solo alcuni
dei momenti storici già immortalati su supporto fotografico. Durante la Pri-
ma Guerra Mondiale la quantità di immagini prodotte aumenta assumen-
do un carattere informativo e comunicativo in questo versante, ma è solo
partire dagli anni Venti che, la fotografia, mezzo immediato e efficace,
ormai divenuto mezzo tecnico portatile e funzionale (basti pensare alle
maneggevoli Leica e Ermanox) si afferma nel mondo dell’informazione.
Diviene un media privilegiato dato il potere evocativo, diretto e universale,
che l’immagine possiede rispetto alla parola. I fotografi trovano impiego
nelle molteplici redazioni di tutto il mondo; aumentano esponenzialmente
riviste e periodici che fanno dell’immagine fonte primaria d’informazione,
per citarne alcuni dei più noti: Regards in Francia, Weekly Illustrated in
Gran Bretagna e Life negli Stati Uniti. Nasce il reportage e la figura del
fotoreporter, inviato a fotografare l’attualità, gli avvenimenti e, inevitabil-
mente, le persone all’interno d’essi.
Serie fotografiche destinate a informare, a descrivere e a riportare realtà
diverse e attuali (e spesso drammatiche), vengono coordinate da agenzie
direttamente collegate ai giornali, in modo da coordinare la moltitudine
di fotografi sul campo; saranno proprio tre fotografi di reportage, Car-
tier-Bresson, Robert Capa e Robert Seymur, a fondare una di queste agen-
zie, Magnum (1947), che tutt’ora è rappresentativa di questa categoria.
I principi estetici sono, come anticipato nei capitoli precedenti, ormai de-
finiti; la composizione è il limite dell’aspetto formale, ed essa influisce nel
reportage ora più che mai. La notizia acquista, tramite la fotografia, ine-
quivocabilmente, un punto di vista (quello del fotografo) e questo imposta
il carattere dell’immagine, la sua percezione. Data la ormai assoldata
visione della fotografia come soggetto nella sua interezza e non più solo
come mezzo per riportare un soggetto all’interno di essa, il rapporto che
questo media ha con la realtà o più precisamente con quello che si può
ritenere vero è estremamente delicato.
Gli stessi fotografi, davanti agli orrori della guerra, si interrogano sulla
credibilità dell’immagine, sulla fraintendibilità della composizione, del
punto di vista esasperato che la fotografia può conferire.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 31

Robert Capa, Miliziano spagnolo


colpito a morte, 1936.

Fig. 32

Lee Miller, Buchenwald, 1945.

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Significative le parole d’accompagnamento alle foto scattate nel campo
di concentramenti di Dachau (fig. 32) inviate nel quarantacinque, dalla
fotoreporter americana Lee Miller alla redazione del giornale con cui co-
operava, “vi supplico di credere che è la verità”1. Non si tratta più delle
foto dei viaggiatori del XIX secolo, ma di riportare verità su scala mon-
diale; è creare un’opinione. È di centrale importanza che, nelle immagini
di conflitti e realtà disagiate, la figura dell’essere umano diventi iconolo-
gicamente rappresentativa. Ma come? In che modo? Si tratta di soggetti
spesso inermi di fronte ad una realtà che gli sta crollando addosso. Si
potrebbe aprire un dibattito di carattere etico, di etica dell’informazione,
ma non è il caso di questa ricerca. È interessante invece comprendere
quali aspetti formali e estetici possono emergere da una fotografia che
intende o tenta, per arrivare al reale, di spogliarsi d’estetismo; di cogliere
il vero senza manipolazioni. Come detto in precedenza, nel momento in
cui l’immagine viene bloccata in una quadro questo processo è impossibi-
le e le scelte fatte diventano irreversibili e inevitabilmente estetico-formali.
Basti pensare al dialogo tra il reportage e la corrente del neorealismo nel
cinema degli anni cinquanta. I campi lunghi, la predilezioni degli spazi,
fornisce ai corpi una forza distinguibile e calcolata. Sono proprio gli spazi
a parlare, distrutti e segnati dalla guerra, ma sono i corpi ad inciderli, con
volti del popolo che ha subito fame e miseria; sguardi spesso rivolti alla
camera, carichi di tensione e accentuati da una un ulteriore tensione nella
composizione. Vi è quindi una componente estetico-formale apprezzabile
in tutte le foto di reportage, o almeno, in quelle più importanti e significa-
tive? Difficile rispondere con certezza a questa domanda.
Il fotografo americano Roberts Adams scrive, a proposito della famosa
foto di Robert Capa, Miliziano spagnolo colpito a morte (fig. 26), “qual-
cuno potrebbe forse sostenere che in termini puramente percettivi, giu-
dicando unicamente la composizione questa fotografia è un piacevole
assemblaggio di forme. Difendere l’immagine su questo piano è però una
forzatura, ed equivale a negare la fondamentale, primaria importanza del
soggetto. Il punto è che l’oggetto che cade è un uomo”2.

1  Grazioli, Op. cit., p. 190.

2  Robert Adams, La bellezza in fotografia, Boringhieri, Torino, 2012, p.20.

la fotografia della luce non visibile


È quindi, quello del fotogiornalismo, un linguaggio assestante dalla com-
posizione puramente estetica e perpetrato in questo modo fino giorni no-
stri, nel quale la necessità di velocità d’esecuzione e l’aspetto formale
sono legate alla capacità dell’esecutore, del fotografo, ma non sempre,
conscio e volontario. Così si comporta anche il soggetto, che spesso ac-
quisisce notevole peso nel giudizio di chi guarda. Un linguaggio ricono-
scibile e reinterpretato; serie di falso documentario; la fotografia “falsa a
livello della percezione, vera a livello del tempo [e nella riproduzione del
vero]: un’allucinazione in un certo senso temperata, modesta, divisa (da
una parte non è qui, dall’altra però ciò è effettivamente stato): immagine
folle, velata di reale”1. Una falsificazione del reale, verità che però in
partenza cela sempre come detto una costruzione e quindi, la risultante
non può che essere un completo e sublime inganno.

1  Roland Barthes, La camera chiara (1980), Einaudi, Torino, 2003, p. 115.

62
Fig. 33

Édouard Manet, Le déjeuner sur


l’herbe, 1862-863.

Fig. 34

John Ernest Joseph Bellocq, Nudo


alla finestra, 1908.

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La fotografia di nudo e il corpo nell’arte contemporanea

Il corpo nudo è presente da sempre nella storia dell’arte; dalla Grecia


antica, agli studi di Da Vinci, fino a Goya e Déjeneuner sur l’herbre di
Manet (fig. 33). Benché la rappresentazione del nudo sia presente in mol-
te forme parallele all’ambito artistico, il nudo e la sua evoluzione rappre-
sentativa, come ad esempio l’opera di Manet citata prima, trova sempre
un confronto di carattere morale con il pubblico, inscindibilmente culturale
e interno al periodo storico in questione. Con l’avvento della fotografia
e la sua capacità precedentemente descritta di riprodurre il reale fedel-
mente, il nudo diventa copia esatta del vero. Questa condizione pone fin
da subito delle problematiche: se prima vi era spazio al gesto pittorico,
all’interpretazione artistica e, da parte dello spettatore, ad una lettura per-
sonale dell’immagine a lui proposta, adesso i corpi ed il loro sesso sono
riprodotti nella loro completezza e definiti in modo da non lasciare spazio
a interpretazioni, crudi e vividi. Se il caso singolare dell’opera Origine du
Monde (1866, fig. 35) di Coubert, commissionato all’artista come dipinto
erotico per una collezione privata, era ed è tutt’oggi scioccante per il suo
tratto estremamente realistico, con la fotografia questa dinamica diventa
seriale, data la precisa riproduzione meccanico-chimica, da parte del-
la macchina fotografica, del reale. Già nei dagherrotipi, le fotografie di
nudo tentano di appropriarsi d’aura artistica tramite le convenzioni classi-
che, composizioni di diretto riferimento all’accademia, al neoclassicismo.
Questo tentativo di alienare l’erotismo e la sensualità o semplicemente, il
sesso, è perpetrato dai pittorialisti; parallelamente immagini considerate
pornografiche (perché non inerenti ai canoni sopradescritti) si diffondono
sotto forma di cartolina. Se nel nudo artistico del XIX secolo ritroviamo
una composizione (e un’idealizzazione) vicina all’arte pittorica e plastica,
il nudo considerato pornografico è libero dalla formalità. Basti pensare
alle prostitute di New Orleans immortalate dall’americano John Ernest Jo-
seph Bellocq (fig. 34); spesso composte tanto da sembrare goffe, segnate
da simmetrie non misurate, ancora in fase di ricerca. Il Modernismo, le
avanguardie, il Surrealismo e i movimenti sociali tenteranno di rompere
le barriere morali, etiche e sociali così come formali ed estetiche; ma la
soluzione formale non basta a definire gli aspetti estetici tra nudo artistico
e fotografia.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 35 Jean Désire Gustave Courbet, Origine du monde, 1866.

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Fig. 36

Robert Mapplethorp, Dalla serie “X portfolio”, 1978.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 37 Robert Mapplethorp, Dalla serie “Perfect Moment”, 1989.

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Significativo è il caso del fotografo americano Robert Mapplethorpe e la
sua serie Robert Mapplethorpe: The Perfect Moment (1989, fig. 37), nella
quale il fotografo esplora ritratti con un’ottica di trasgressione e rottura
nei confronti della censura morale, proponendo soggetti atti a pratiche
bondage e sadomaso; la più controversa della serie è un autoritratto nel
quale l’autore posa con una frusta in cuoio che gli penetra l’ano. È proprio
questo scatto che mobilitò l’opinione pubblica, additando la fotografia
come oscena; la American Familiy Association chiese la chiusura dell’e-
sposizione al Contemporary Arts Center di Cincinnati con il supporto da
parte delle enti governative defindeno il materiale contenuto all’interno
d’essa sensazionalista e immorale. Avvenne un boicottaggio da parte dei
musei nazionali che si rifiutarono di accogliere nelle loro sedi la serie. La
decisione di esporre le opere del fotografo nel Contemporary Arts Center
di Cincinnati, costò al museo una denuncia per oscenità. oscenità. Por-
tata in tribunale, l’esito del processo fu di particolare importanza perché
il museo e il suo direttore furono dichiarati non colpevoli. Venne definito
dalla corte che ogni opera presente in un museo, si definisca artistica a
prescindere dal contenuto oggettivo di essa.1 È forse questo che definisce
la differenza tra nudo artistico e pornografico? È forse lo statuto di opera
d’arte da parte della critica e quindi la sua condivisione tramite le istituzio-
ni museali a definire questo sottile e controverso divario?

1   Daniel Girardin, Christian Pirker, Controverses, Actes Sud/Musée de l’Elysée, Losanna, 2003,
pp. 200-201.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 38

Alice Boughton, Nudi di ragazze,


sd.

Fig. 39

Larry Clark, Teenage Lust, 1981.

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Come una piccola Maya desnuda, Nudi di ragazze (s.d, fig. 38) di Alice
Boughton aveva, alla fine Ottocento, sconcertato la massa e innalzato
dibattiti etici e morali, quasi cent’anni dopo, Teenage Lust (1981, fig. 39)
di Larry Clark (come molte sue opere, e come opere di molti altri) verrà
accolto con lo stesso fervore e lo stesso sconvolgimento. È vero che nell’e-
sempio citato, il sesso inteso come atto sessuale è al centro delle tematiche
del fotografo e non coinvolge un più sottile e interpretabile secondo piano
di lettura. È l’intrusione nel privato a turbare il pubblico, nel sesso, e in
alcuni casi nel sesso considerato deviato dalla morale di matrice catto-
lica occidentale. Lo sviluppo dei soggetti è inscindibilmente legato agli
aspetti culturali; nei dipinti i Hokusai ritroviamo una visione del sesso e
della nudità completamente opposte e impensabili dai suoi contemporanei
occidentali. Così è anche per la fotografia, sono le imposizioni culturali
e sociali a guidare fino ad oggi cosa si può o non si può far vedere. Di
prepotenza entra la necessità di capire perché il nudo fotografico sia
prevalentemente legato alla donna. La struttura patriarcale e maschilista
europea (nella quale è compresa anche quella americana) influenza la
scelta del soggetto. La fotografia diventa mezzo di liberazione dai vincoli
etici e morali; fotografe fotografano altre donne, e la fotografia diventa
strumento per veicolare una rivolta, atta a cambiare la visione e i pesi
attribuiti al corpo. È la libertà dal significato del corpo che guida le serie
di Newton (fig. 40 e 41), nelle quali donne e uomini vengono fotografati
nella loro completa fisicità, rappresentativi di tutte le fisionomie, corporatu-
re e morfologie. In una realtà come quella attuale, nella quale l’avvento di
internet, ha reso accessibile ogni tipo d’immagine, si parla addirittura di
era della pornografizzazione1. La quantità di nudo alla quale il pubblico
è sottoposto, attraverso ogni media e ogni settore (dalla pubblicità, alla
moda, all’editoria) rende arduo il compito del fotografo di restituire para-
metri reali e concreti per creare qualcosa di nuovo e di non fraintendibile.
La mercificazione del corpo, o meglio, dell’immagine d’esso assottiglia
ancor di più il margine tra nudo artistico e pornografia. Come definire al-
lora una fotografia che vuole comunicare, rispetto a un’immagine priva di
profondità di contenuto? È forse il caso dell’autoritratto di Mapplethorpe
esplicativo per risolvere questa controversia o è solo un’importante con-
quista, parte di una condizione ancora in fase di ricerca e definizione?

1  Marco Menicocci, Pornografia di massa. Dalla Rivoluzione Culturale alla Porn Culture, Altravi-
sta, Padova, 2008, p.16.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 40 Helmut Newton, Dalla serie Big Nudes, 1980.

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Fig. 41

la fotografia della luce non visibile


Fig. 42

Rudolf Schafer, Dalla serie “La


Morgue”, 1992.

Fig. 43

Aziz+Cucher, Dalla serie “Disto-


pia” Maria, 1994.

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Come detto, le soluzioni formali sono ormai più variate, sregolamentate o
viceversa, estremamente fedeli a canoni già intrapresi, tanto da diventare
vere e proprie citazioni, tornando però a lavorare sul soggetto e a cosa,
esso porta oltre l’immagine. Ad esempio La Morgue (fig. 42), serie di
ritratti di deceduti a causa di morti violente di Rudol Schäfer, ripresi con
una classicità assoluta che lascia il soggetto solo all’interno del quadro,
elemento puramente estetico e di forma, ma inscindibilmente collegato
agli occhi dello spettatore, alla sua reale condizione, la morte. Alcuni
fotografi adottano tramite l’elaborazione in post produzione soluzioni atte
a rimettere in discussione il corpo come oggetto, o semplicemente, come
limite. Le creature asessuate di Matthew Barney (fig. 44 e 45), i volti senza
bocca né occhi di Aziz e Cucher (fig. 43)propongono soluzioni nuove,
diverse da quello che ormai è parte del bagaglio visivo dello spettatore
d’oggi. Un corpo post-organico1 attraverso il quale ampliare lo sguardo
del fruitore, oltre i limiti della fisicità.

1  Grazioli, op.cit., p. 314-315.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 44 Matthew Barney, Cremaster 4, 1995.

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Fig. 45

la fotografia della luce non visibile


Fig. 46 John Coplans, Autoritratto, 1985.

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La percezione del reale

Le mani del fotografo inglese John Coplans, in un suo autoritratto del


1985 (fig. 46) sono ingigantite dalla deformazione della lente, isolate,
quasi irriconoscibili. Non è più il caso di una scelta formale atta a eviden-
ziare un taglio fotografico, o una coscienza di mostrare solo una parte
di quello che è campo e fuoricampo. Le mani così diventano figura, di-
ventano qualcosa di diverso, perdono un valore oggettivo per diventare
qualcos’altro1. Non è solo corpo come rappresentazione, come mezzo o
forma, ma pone la domanda di che rapporto ci sia tra fisicità, rappresen-
tazione di essa e identità. “La fotografia diventa vero e proprio elemento
perturbatore, magari facendo leva proprio sul suo statuto indecidibile:
né indicale, né iconico, sia l’uno sia l’altro. Questo carattere, che fa il
fascino e la ricchezza degli usi a cui si presta la fotografia nella creazione
contemporanea, può costruire anche il carattere di dirompenza, non cir-
coscrivibilità, incongruità, dentro l’operare, artistico e non”2. Un concetto
già presente, ma che in una realtà dell’immagine assume consapevolez-
za, come scrive Barthes, “qualunque cosa essa dia a vedere e quale che
sia la sua maniera, una foto è sempre invisibile: ciò che vediamo non è
lei”3. Attraverso la posa, la luce, la composizione si crea un altro corpo,
essenzialmente riconoscibile e inscindibile dalla fisicità percepibile, ma
inequivocabilmente specchio di una realtà interiore, che pone fotografo e
soggetto fotografato a chiedersi cosa sia e da dove provenga la propria
identità, perlomeno visiva. “C’è da chiedersi quali siano i confini del cor-
po-proprio, e quali rapporti esistano tra questo e il mio io fenomenico”4,
scrive lo psicologo Riccardo Luccio in uno dei suoi articoli, intendendo
sottolineare le dinamiche tra corpo visibile e percepito e corpo visto dalla
mente (dietro agli occhi, fenomenico).
È forse questa la domanda sulla quale la fotografia contemporanea do-
vrebbe posare l’attenzione? Non vi è una risposta certa, sicuramente, in
modo consapevole e non, lo fa e continuerà a farlo.

1  Grazioli, Op. cit., pp. 337-340.

2  Ibidem, p.341.

3  Barthes, Op. cit., p. 8.

4  Riccardo Luccio, Universo del Corpo, in treccani.it, http://eee.treccani.it/enciclopedia/psicolo-


gia_(Universo-del-Corpo)/ (ultimo accesso 10.04.2014).

la fotografia della luce non visibile


Dall’alto al basso: il dagherrotipo
Fabbro (1850) e uno schizzo
realizzato per valutare il valore
di piano più simile (un piano
americano).

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Basi estetiche progettuali

Dopo questa analisti, unita allo stato dell’arte, è possibile definire i para-
metri estetico formali secondo i quali indirizzare la produzione durante
la sperimentazione. Il mio interesse si sofferma su caratterizzare la com-
ponente fisica in un ambito, quello della luce non percepibile, che risulti
tramite dell’incongruenza tra immagine percepita e immagine di sé, men-
tale; un’identità visiva più vicina ad una realtà della mente.
Le immagini a infrarosso permettono di veicolare questo messaggio e
quindi sono potenzialmente strumento utile e, come definito nella ricer-
ca, estremamente attuale e contemporaneo. Un tipo di elaborazione che
permette di catturare luce che in digitale sarebbe impossibile ricreare, e
quindi un processo diverso ma similare alle elaborazioni in post produzio-
ne finora attuate. È mia intenzione un ritorno agli albori della fotografia,
ai dagherrotipi, all’interrogarsi sulla propria figura. Proprio per questo la
composizione mostrerà il corpo nella sua interezza, su fondo neutro e con
uno sguardo diretto in camera, lasciando spazio ai nuovi elementi visibili
di dialogare col fruitore. Nella semplificazione degli elementi, è il corpo
nudo a prevalere, senza caratteri fraintendibili o fonti di distrazioni. La
mia scelta ricade sulla pellicola, mezzo fisico, come la barriera che s’im-
pone tra soggetto e identità d’esso.
Nella serie che andrò a realizzare vige una semplificazione atta a con-
centrare, a creare tensione, e non a impoverire l’immagine. Un risultato
semplice ma dal procedimento complesso, “il famoso disegno a china di
Mu-chi’, I sei cachi, venne forse realizzato in pochi secondi, ma lo studio
dil controllo che stanno dietro la sua apparente semplicità sono noti a
chiunque abbia tentato qualcosa di simile; centinaia, forse migliaia di
cachi hanno preceduto questi sei, perfetti. Uno dei motivi che rende indi-
menticabile questa immagine è proprio il suo sembrare facile e naturale”1.
È quindi il corpo che diventa immagine a parlare, a dialogare con lo
spettatore, dando spazio, forse, a nuove suggestioni.

1  Robert Adams, La bellezza in fotografia, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, p.17.

la fotografia della luce non visibile


LA FOTOGRAFIA
A INFRAROSSI:
BASE TEORICA

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Prima di esporre la parte sperimentale di questo progetto, è necessaria
una ricerca sulle basi teoriche della fotografia a infrarosso e della luce
non visibile. In questo modo è possibile identificare le soluzioni tecniche
teoricamente sostenute e più opportune per condurre la sperimentazione
empirica. Questa sezione non vuole essere un trattato scientifico di fisica
della luce, atto a ricercare le cause fisico-matematiche e le applicazioni
e gli sviluppi in questo ambito, ma, bensì, con un linguaggio e riferimenti
accessibili a fotografi e comunicatori, fornire una delucidazione sulle basi
scientifiche sulle quali questo progetto, e attraverso le quali verranno pro-
dotte le fotografie.

La luce visibile

Quella che viene comunemente considerata la luce, quella che i nostri


occhi vedono e che rappresenta il nostro percetto, non è altro che una
piccola porzione dell’energia prodotta dal sole. Tutta l’energia prodot-
ta in verità si libera in un vasto numero di particelle e onde che vanno
a comporre quello che è lo spettro elettromagnetico. Agli estremi dello
spettro troviamo, da una parte raggi estremamente carichi d’energia,
come raggi X e i raggi gamma, dall’altra le onde radio e le microonde.
Tra questi due estremi c’è una piccola parte di lunghezze d’onda che il
nostro occhio è in grado di percepire e, quella parte, è quella che viene
chiamato spettro visibile.

la fotografia della luce non visibile


Le frequenze visibili sono percepite come luce bianca, ma tramite la ri-
flessione o la scomposizione da parte della materia con la quali esse
interagiscono, si hanno i colori che vediamo. Questo aspetto verrà ap-
profondito più avanti, è interessante in questo momento evidenziare che
la macchina fotografica, o meglio, il supporto all’interno di essa (sia la
pellicola che il sensore digitare) è il grado di percepire una porzione su-
periore dello spettro elettromagnetico, oltre lo spettro visibile. Esso viene
definito come spettro fotografico e comprende le frequenze oltre i limiti
dello spettro visibile; se i due limiti vengono percepiti come, nelle fre-
quenze più alte, il colore rosso e in quelle più basse, il colore viola (ba-
sti pensare agli estremi di un arcobaleno, l’acqua in sospensione funge
da prisma scomponendo la luce bianca nell’intero quadro cromatico) le
lunghezze d’onda al di sopra di questi due colori, questi due estremi,
verranno chiamate rispettivamente, infrarossi e ultravioletti.

84 | 85
La lunghezza d’onda

Prima di continuare, è importante definire la lunghezza d’onda e la sua


unità di misura. La distanza tra la cresta di un’onda e la successiva è
definita come lunghezza d’onda. Ogni radiazione emessa dalla fonte di
luce ha una particolare e specifica lunghezza(ad esempio il sole, ma è
considerabile per tutte le fonti di luce). Essa ha una misura fisica in milioni
di millimetri: i manometri (nm). Un esempio concreto è evidenziabile nello
spettro visibile: la percezione dei diversi colori avviene proprio perché
ognuno di esso possiede una specifica lunghezza d’onda, e quindi intera-
gisce con la materia in modo diverso; se l’onda sarà più schiacciata (più
lunga), ad esempio, sarà in grado di passare nell’infinitesimo spazio tra
le molecole (viene assorbita dalla materia); mentre se sarà più grande,
verrà riflessa, percepita dal nostro occhio e interpretata dal nostro cervello
come un determinato colore.

La luce non visibile

Come definito precedentemente, lo spettro di luce che l’occhio non riesce


a percepire è molto ampio, essendo lo spettro visibile la porzione da
380nm a 730nm; d’interesse per questo progetto non è tutto lo spettro
invisibile ma, nello specifico, quello che viene definito, spettro fotografi-
co, più particolarmente gli infrarossi (730-3000nm). Gli ultravioletti, ossia
le lunghezze d’onda sotto i 380nm, hanno applicazioni che non sono
d’interesse per questa ricerca e quindi non verranno trattati, se non mar-
ginalmente.

la fotografia della luce non visibile


Gli infrarossi

Gli infrarossi sono le lunghezze d’onda oltre il limite visibile del colore
rosso. Sono divisibili in due categorie: infrarossi vicini e infrarossi lontani.
Nello spettro fotografico, e quindi visibili dal supporto, sono considerati
gli infrarossi vicini (near infrared) che si situano tra i 730 e i 1200 na-
nometri. Oltre questa soglia ci sono gli infrarossi lontani che la materia
percepisce unicamente come calore. Questa è la sensazione calda che si
prova sotto i raggi del sole o avvicinando la mano a un ferro da stiro. Il
riscaldamento a infrarossi, comune in molte case, sfrutta proprio queste
lunghezze d’onda. Anche se teoricamente è impossibile registrare foto-
graficamente queste particolari onde, è d’interesse per questo progetto
considerare che la soglia massima degli infrarossi vicini possiede già una
componente indicativa di penetrazione nei tessuti del corpo umano. È pro-
prio il fatto che gli infrarossi lontani penetrino il tessuto che fa percepire il
calore. Individuare il limite massimo fotografabile degli infrarossi vicini è
parte integrante della sperimentazione empirica di questo progetto: più la
luce riflessa è in profonditatà dei tessuti irradiati, maggiore sarà la qualità
di evidenziare caratteristiche fisiche oltre la barriera della pelle.

86 | 87
Il colore e la luce riflessa

Come anticipato precedentemente, i colori interpretati dal nostro cervello


e visti dal nostro occhio sono definiti da due variabili, la fonte di luce e le
lunghezze d’onda che essa contiene e la capacità intrinseca alla materia
di assorbirle o rifletterle. Vedremo successivamente come la materia e la
fonte luminosa, in un progetto come questo, sia di massima importanza;
individuare la materia che riflette la lunghezza d’onda interessata e la fon-
te di luce in grado di emanarla, unita al supporto in grado di catturarla,
sono alla base della riuscita della sperimentazione empirica.

Che colore hanno gli infrarossi, data la loro appartenenza a onde lumi-
nose che non siamo naturalmente in grado di percepire? La risposta è
semplice, la loro rappresentazione colorimetrica è a sua volta un’interpre-
tazione, ma non riconosciuta dal nostro percetto: la risultante è una rap-
presentazione monocromatica, in bianco e nero. Esiste però il supporto a
infrarossi-colore. Esso possono essere pellicole pancromatiche (ossia che
catturano il normale spettro visibile) con l’aggiunta di frequenze monocro-
matiche a infrarosso, o più semplicemente pellicole a infrarosso alle quali
viene attribuito un colore in fase di sviluppo o elaborazione, questa prati-
ca viene chiamata “colore falso”(false color) essendo la risultante una pro-
posta cromatica completamente irrazionale rispetto ai canoni percepiti.

la fotografia della luce non visibile


La sensibilità allo spettro del supporto influisce quindi sulla fotografia ri-
presa. È quindi possibile che determinati supporti siano sensibili a diverse
lunghezze d’onda d’infrarossi, così come abbiano una sensibilità per al-
cune onde di colore visibile al limite inferiore degli infrarossi vicini (ros-
so, arancio e giallo); inoltre infiltrazioni di altre lunghezze d’onda molto
presenti in sorgenti luminose primarie (come il sole) possono infiltrarsi e
imprimersi comunque sul supporto, data la loro massiccia presenza fisica.
Questo avviene in particolare questo con i raggi ultravioletti. Queste con-
taminazioni possono causare la registrazione da parte della pellicola di
dati non voluti o inutili alle intenzioni del fotografo, a scapito delle onde
volute (gli infrarossi). La soluzione a questa problematica è l’utilizzo di filtri
in camera in grado di tagliare tutte le onde al di sotto di una determinata
lunghezza d’onda e quindi rendere il supporto sensibile a una specifica
lettura della luce.

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Impostazione tecnica

Fotografare attraverso una luce che solo la macchina fotografica riesce


a immortalare apre una serie di quesiti tecnici ai quali il fotografo deve
prontamente rispondere.
Prima fra tutte è l’esposizione: come si espone correttamente un supporto
ad una luce che un esposimetro, sensibile unicamente allo spettro visibile,
non riesce a misurare? Non solo l’occhio, ma anche i mezzi tecnici non
sono in grado di misurare la quantità di infrarossi nella totalità della luce
emanata dalla sorgente luminosa, non sono stati creati per questo. Inoltre
la quantità di onde è condizionata da diverse variabili: il sole condiziona-
to dall’atmosfera ci riporta quantità diverse di onde a seconda del momen-
to in una giornata, così anche l’utilizzo di filtri specifici riduce o amplia le
lunghezze d’onda catturabili. Lavorare con gli infrarossi significa operare
al di fuori della scienza della fotografia e affrontarla significa molto affi-
darsi alla sperimentazione, ai tentativi, per trovare un equilibrio corretto1.
Bisogna quindi valutere fonte luminosa, filtraggio e, in particolari modo, le
caratteristiche riportate dal supporto: tramite la curva sensitometrica della
pellicola è possibile definire una sensibilità; essa però sarà ancora una
volta indicativa e non di riferimento per un’esposizione corta del soggetto.

Altra caratteristica tecnica aleatoria è il punto di fuoco. Gli obbiettivi foto-


grafici possiedono un punto di messa a fuoco calibrato sullo spettro di luce
visibile e, quindi, su una determinata concomitanza di lunghezze d’onda.
Appartenendo l’infrarosso ad un altro spettro, la distanza espressa sulle
ghiere delle ottiche fotografiche non corrisponde. Vi sono obbiettivi che ri-
portano un riferimento per l’utilizzo delle pellicole a infrarosso, ma anche
in questo caso non sono riferimenti particolarmente utili, date la qualità
del filtraggio e la condizione di luce in grado di modificare continuamente
la lunghezza d’onda della luce interessata, modificando quindi anche il
punto di fuoco a infrarossi rispetto al quale la lente era stata calibrata.

1  Laurie White, Infrared photography Handbook, Amherst Media, Amherst, 1995, p.18.

la fotografia della luce non visibile


Possiamo notare come, attraverso la scomposizione della luce bianca da
parte di un prisma, i punti di arrivo delle lunghezze d’onda siano diversi e
come, l’infrarosso si collochi in un punto più lontano. Il fuoco nella fotogra-
fia a infrarossi dovrà essere stimato su base sperimentale e supportato da
una profondità di campo in fra di lasciare al soggetto a fuoco un margine
d’approssimazione discreto.

90 | 91
La materia

Ogni materia, fisica o organica, assorbe o riflette la luce in modo singo-


lare. La fisica sperimentale ha studiato questo fenomeno creando della
matrici di assorbimento riportanti le caratteristiche intrinseche a specifi-
che materie. Essendo l’infrarosso un’onda luminosa anch’esso è soggetto
a questa dinamica. Ad esempio si è denotato come la clorofilla rifletta
maggiormente i raggi infrarossi (rendendoli quindi ben visibili) rispetto
all’irradiamento di luce visibile, che conferisce rispettivamente toni chiari
al fogliame rispetto alla normale resa pancromatica di toni scuri. Essendo
il corpo umano la materia d’interesse per questo progetto, è interessante
capire se vi è una componente biologica e utile in grado di riflettere de-
terminate lunghezze d’onda appartenenti agli infrarossi vicini (e quindi
registrabili su supporto).

la fotografia della luce non visibile


Le fonti di luce

La quantità di infrarossi contenuti nella luce emanata dalle sorgenti lu-


minose è di fondamentale importanza. Maggiore saranno le lunghezze
d’onda utilizzabili e maggiore sarà il materiale impresso sul supporto.
Come capire la quantità di infrarossi all’interno di una sorgente luminosa?
In questo caso uno strumento utile per prevedere la presenza di infrarossi
è la specifica temperatura di colore emanata dalla fonte di luce.

La temperatura di colore è correlata alla percezione del bianco; l’occhio


umano adegua continuamente il suo valore di “cosa è bianco”, o meglio
di cosa è luce bianca. In realtà tutte le fonti luminose possiedono una serie
di lunghezze d’onda che ne caratterizzato uno specifico colore percepito.
Questa è detta temperatura di colore; l’unità di misura è il grado Kelvin
(K) e la luce bianca è situata attorno ai 5500 gradi (è anche la luce di-
retta del sole). Più la temperatura sale, più la tonalità sarà di tonalità blu,
rispettivamente più la temperatura scende più i toni si faranno rossi; La
luce di una candela è considerata calda perché ricca di tonalità rosse,
in verità la sua temperatura di colore, è molto bassa (2000K); il punto di
riferimento infatti, come detto è la luce solare (daylight).

candela

lampadina (tungsteno)
sole di mezzogiorno (daylight)

CALDA FREDDA

2000 K 3200 K 5500 K

92 | 93
La temperatura di colore può aiutarci a capire quali sorgenti luminose
sono maggiormente ricche di infrarossi; le temperature più basse, quelle
più calde, hanno tonalità rosse più presenti, questo è indice di una vici-
nanza della zona di luce non visibile oltre al rosso, gli infrarossi vicini.
Sono quindi più idonea e più ricche di lunghezze d’onda reperibili da un
supporto atto a registrare questa parte di luce non visibile.
Il sole varia la sua temperatura di colore a secondo del momento del-
la giornata, perché l’atmosfera influisce sulla scomposizione della luce
bianca modificandone la temperatura di colore. Al tramonto la posizione
del sole rispetto all’atmosfera fa si che le frequenze rosse aumentino e
che quindi la luce sia di una tonalità più vicina al rosso e al giallo: è il
tramonto.
Le condizioni di luce artificiale sono invece costanti e presentano tempe-
rature diverse (e quindi emanazione di infrarossi diverse) a seconda della
sorgente.

la fotografia della luce non visibile


La suddivisione principale la si può ridurre a due tipologie di luce artificia-
le: continua e discontinua.

Le luci continue emanano luce per tutto il tempo d’accensione; alcuni


esempi esplicativi sono le lampadine a incandescenza (tungsten) e le lam-
pade alogene: sono luci calde (di bassa temperatura in termini di gradi
Kelvin). Solitamente ad alte tensioni e a tempi prolungati dissipano parte
dell’energia luminosa in calore. Questi sono tutti indici di una forte pre-
senza di raggi a infrarossi.

La luce discontinua invece è una lampada che fa accendere e spegnere


continuamente un gas all’interno di essa (fluorescent), a frequenze non
percepibili dall’occhio umano. Il livello di consumo di questa tecnologia è
molto più basso così come il dispendio di energia. La temperatura di colo-
re può variare a seconda delle caratteristiche del gas contenuto all’interno
della lampada. Rappresentativi di questo tipo di lampade sono le fluore-
scenti (neon) e le lampade a vapori di sodio (utilizzate nei lampioni).

Possiamo notare che queste lampade non contengono nessuna frequenza


al di sopra del colore rosso, e come, nello specifico, le lampade al sodio
si limitino allo spettro visibile.

Un’ulteriore fonte luminosa è il Led. I led sono diodi che rispondono a una
bassa tensione emettendo luce propria. Essi non solo hanno un bassissimo
consumo energetico ma possiedo anche la capacità di emettere qualsiasi
tipo di frequenza luminosa, sia essa appartenente allo spettro visibile,
sia allo spettro fotografico. La risultante è una luce con potenzialmente
qualsiasi lunghezza d’onda e senza emissione di calore o dispersione
energetica.

94 | 95
la fotografia della luce non visibile
96 | 97
Ipotesi tecniche per la fase sperimentale

Date le basi teoriche sarà compito della sperimentazione chiarire la sor-


gente di luce più idonea al progetto. Essendo d’importanza, per gli aspetti
formali, lavorare in studio, sarà opportuno individuare tra luce continua
a incandescenza e led la più idonea al risultato voluto. Questo proces-
so sarà possibile una volta comprese le frequenze d’interesse. Verrà poi
scelto il filtraggio più idoneo in grado di isolare le lunghezze d’onda
interessate.
All’interno della parte sperimentale sarà inoltre considerato il supporto
più adatto (analogico o digitale) e il comportamento di esso a seconda
di parametri che verranno debitamente documentati attraverso un’analisi
sensitometrica. Verranno quindi formulati tempi di posa, esposizione e
andamento del punto di fuoco in modo da rendere il processo ripetibile e
metodologico.

la fotografia della luce non visibile


SPERIMENTAZIONE:
DATI TEORICI
E EMPIRICI

98 | 99
Primo approccio sperimentale

Un pomeriggio osservando alcune fotografie a infrarosso presenti in rete,


la mia attenzione si soffermò su una particolare immagine, nella quale la
modella presentava alcuni piccoli segni particolari; avrei poi capito che, a
comporre quei tratti quasi invisibili che non avevo mai visto in nessun altra
fotografia, non erano altro che le vene del suo corpo. La condizione par-
ticolare di luce, unita a un ancor più particolare settaggio dell’aparecchio
fotografico, insieme a una dose di casualità, aveva reso possibile quell’ef-
fetto; effetto che non appartenenva a un’elaborazione digitale, ma bensì a
luce, materia fisica e concreta. Affascinato da questa immagine ho inizia-
to una ricerca tentando di capire se vi era una metodologia per ottenere
e, forse, amplificare il risultato da me visionato, intuendone un interessante
applicazione estetica e formale. La mia ricerca portò al risultato che nes-
suno aveva ancora sperimentato metodologicamente questo fenomeno,
né l’aveva applicato intenzionalemente ad un progetto delineato da una
sequenzialità, una serie. Tutti i risultati presenti erano sperimentazioni non
documentate, casualità o errori piacevolmente inaspettati.
Ho deciso così di intraprendere questa tesi con lo scopo di rendere la
particolarità di queta tecnica, che mi aveva colpito, riproducibile e appli-
cabile in un progetto fotografico.

Ho deciso inanzitutto di documentarmi attraverso le fonti più autorevoli


in questo ambito; Il testo di maggior rilievo per questa parte di ricerca e
sperimentazione è Photography by Infrared (1946) di Walter Clark. È la
pubblicazione di uno studio approfondito sulla fotografia a infrarosso,
finanziato dai laboratori di ricerca Kodak e comprendente l’analisi sensi-
tometrica e spettrometrica di queste particolari lunghezze d’onda. L’altro
libro di testo essenziale per questo progetto è Infrared (1935) di Rawling,
nel quale sono presenti ulteriori delucidazioni sulla fotografia a infrarosso
e, in particolar modo, sulla sua applicazione negli svariati ambiti scien-
tifici. Questi testi risalgono agli anni Trenta e Quaranta perché, come
anticipato nello stato dell’arte, è in questi anni che la tecnica fotografica a
infrarossi è stata maggiormente affrontata e studiata, per poi progressiva-
mente diventare marginale rispetto ad altre tecniche. I testi più recenti più
recenti presenti in bibliografia sono dei manuali che trattano unicamente
le lunghezze d’onda a infrarosso più utilizzate e contengono nozioni di
base, tuttavia molto utili se unite ai dati raccolti sulle pubblicazioni prece-
dentemente citate. Infine ulteriori informazioni sono state rese reperibili
dalle schede tecniche dei materiali utilizzati presenti in rete.

la fotografia della luce non visibile


assorbimento / trasmissione [%]
regione d’interesse / massima trasmissione

100

90

80

70

60

50

40

30

Emoglobina
20

10

700 750 800 850 900 950 1000


lunghezza dʼonda [nm]

Si può notare come la trasmissione, e quindi la possibilità d’impressione su di un supporto fotografico, abbia i valori maggio-
ri tra i 900 e i 950 nanometri.

Questa zona, evidenziata in rosso, rappresenta la regione d’interesse maggiore per la ricerca e la sperimentazione. Saranno
considerati tutti i valori che possiedono un’alta percentuale di assorbimento/trasmissione in questa particolare porzione di
grafico.

100 | 101
Il primo sforzo intrapreso è stato quello di unire tutto il materiale utilie in
un modo che fosse per la prima volta rappresentato nella sua completez-
za. Tabelle e grafici riguardanti ad esempio l’assorbimento e la trasmis-
sione si ritrovano con unità di misura e rappresentazioni molto diverse
tra loro, aderenti all’ambito dal quale proviene il testo interessato (dalla
fisica applicata all’astronomia). Ho cercato di inserire i dati estrapolati in
una rappresentazione grafica in grado di essere compresa dal pubblico
di riferimento e d’interesse per questo progetto: fotografi e comunicatori
visivi. Le unità di misura scelte sono uguali per tutti i grafici, per i quali è
stata scelta una rappresentazione di carattere qualitativa e più intuitiva.
Intenzionalmente sono stati realizzati per mostrare un dato e non per otte-
nere un riscontro di carattere matematico.
Al fruitore di questo documento sarà quindi più immediato il concetto
dei dati espressi e quindi maggiormente utile ai fini di un’applicazione
tecnica.

Avendo una visione complessiva più ampia e chiara, è stato di massima


importanza risalire, attraverso i testi analizzati, ai dati sensibili per il mio
intento, in particolar modo quelli presenti nell’applicazione medica della
fotografia a infrarossi, Essendo il mio scopo finale vincere la barriera
fisica della pelle e ed evidenziare, quindi, il reticolo venoso sottostante,
è basilare capire e mantenere come costante in ogni rappresentazione
teorica all’interno della sperimentazione, l’interazione che il sangue (nello
specifico l’emoglobina) possiede in rapporto all’infrarosso.

L’emoglobina all’interno del sangue è maggiomente sensibile all’infraros-


so e registrabile fotograficamente tra i 900 e i 950 nanometri. È quindi
possibile, riuscendo a isolare la giusta lunghezza d’onda, sfruttare questa
capacità fisica ed escludere la barriera della cute; teoricamente, quindi, la
pelle risulterebbe traslucida rivelando i vasi sanguinei. È necessario ado-
perare con questo intento un filtraggio adeguato e una sorgente luminosa
carica di queste determinanti lunghezza d’onda.
Bisogna considerare tuttavia altre importanti variabili di disturbo. L’emo-
globina intesa nei grafici di questa ricerca, è quella carica d’ossigeno,
che risulta nelle ricerche di Eggert del 1938 reattiva rispetto a quella
carica di monossido di carbonio invece invisibile. La miscela d’entrambe
costituisce una consistente diminuzione dell’efficacia delle lunghezze d’on-
da rilevate rispetto al risultato finale. Ma il sangue non è l’unico problema.
La pelle è composta da molta materia che impedisce ulteriormente la rifles-
sione degli infrarossi, in primo luogo l’acqua. L’acqua è una barriera per
gli infrarossi e ne scherma gli effetti fino a 1000 nm, lunghezza d’onda
non presente nello spettro fotografico e quindi appartenente una regione
non utile e non imprimibile su di un supporto.1

1 Clark, Op. cit., p. 229.

la fotografia della luce non visibile


assorbimento / trasmissione [%] regione d’interesse / massima trasmissione
In questo grafico sono rappresen-
100
tati assieme i tre filtri considerati e
90 impiegati nella pserimentazione:
93F 720, 89B e 93F. I dati riportati
80
sono estrapolati dalle specifiche
70 720
tecniche fornite dalle ditte di
89B
fabbricazione; rispettivamente
60
l’americana Polaroid e la tedesca
50 B+W.

40

30

Emoglobina
20

10

700 750 800 850 900 950 1000


lunghezza dʼonda [nm]
assorbimento / trasmissione [%]

regione d’interesse / massima trasmissione

100 Si può notare come il filtro 93F


abbia la percentuale più alta
90
di trasmissione nelle lunghezze
93F
80 d’onda d’interesse (nelle quali
l’emoglobina ha il massimo as-
70
sorbimento). Questo filtro inoltre
60 taglia una parte di frequenze
(sotto i 780nm) inutili e di disturbo
50
al risultato ricercato.
40

30

Emoglobina
20

10

700 750 800 850 900 950 1000


lunghezza dʼonda [nm]

102 | 103
Essendoci a livello teorico una molteplicità di variabili implicate, è stato es-
senziale capire fin da subito la fattibilità reale del progetto e il potenziale
risultato ottenibile con i mezzi a mia disposizione.

Identificate le lunghezze d’onda d’interesse per il progetto, il primo passo


è stato reperire una rosa di filtraggi adatta a provare un primo approccio
sperimentale. Come definito precedentemente, le lunghezze d’onda al di
sopra dei 900 nm sono ormai poco utilizzate dai fotografi, era quindi im-
possibile reperire del materiale nuovo. La ricerca ha da subito evidenziato
due possibili filtri reperibili nel mercato dell’usato: i filtri della ditta tedesca
B+W, rispettivamente 89B e 93F. I dati tecnici forniti dalle specifiche tec-
nice di costruzione e riportati nel grafico qua a lato, evidenziano come
questi due unici filtri agiscano nella zona d’interesse. Il particolar modo
il 93F che nella regione tra i 900 e i 950 nm ha la più alta percentuale
di trasmissione, escludendo al di sotto dei 780 nm ogni altra frequenza.
In questo modo a livello teorico questo filtro ha la maggiore capacità di
evidenziare i dati nella zona d’interesse, escludendo le frequenze che,
invece, potrebbero influenzare negativamente l’immagine ottenuta (ridu-
cendo il risultato voluto).

Una volta individuato e reperito il filtro ottimale, è stato necessario trovare


un altro filtro a infrarossi più comune e utilizzato, in modo da possedere
un elemento di controprova a dimastrazione dei possibili dati ottenuti em-
piricamente. È stato scelto il filtro Polaroid 720, ossia il filtro a infrarossi
più comune e diffuso sul mercato, in grado di tagliare ogni lunghezza
d’onda al di sotto dei 700 nm e ampiamente utilizzato come filtro ad
effetto nella fotografia paesaggistica (molto efficace nella prima gamma
degl’infrarosso vicini).

la fotografia della luce non visibile


Domenico al sole, RAW, ISO 1600, t 1s, f 1.8.

104 | 105
Prima di analizzare i possibili supporti adatti alla sperimentazione è stato
necessario capire se l’utilità del filtraggio ipotizzata potesse realmente
soddisfare le esigenze ricercate. È stato quindi necessario verificare se
un percorso teorico avesse un riscontro empirico reale e positivo rispetto
alle aspettative. Senza una conferma concreta di questo rapporto, tra
teoria e applicazione pratica, sarebbe stato auspicabile interrompere la
sperimentazione.
Applicato il filtro, a livello teorico, di maggiore efficacia, il 93F, ad una
fotocamera Nikon D800 priva di alcuna modifica e quindi sensitometri-
camente reattiva alle frequenze di luce visibile (con al suo interno un filtro
in grado di eliminare gran parte degli infrarossi recepibili digitalmente) è
stata scattata la prima fotografia del processo empirico di questo progetto:
Domenico al sole. La fonte di luce scelta è il sole ad un ora pomeridiana
vicino al tramonto (e quindi teoricamente più ricca di frequenze rosse e
infrarosse).
Il risultato è un’immagine che presenta molte problematiche ma al con-
tempo un incoraggiante punto di partenza che conferma i dati ipotizzati
a livello teorico. Dopo una tiratura in bianco e nero (B&W) e un’elabora-
zione del contrasto rispetto alla foto ottenuta direttamente dalla macchina
(RAW), le vene del corpo sono visibili e presenti nell’immagine. Il supporto
inadatto si pone a problematiche come un tempo d’esposizione lungo (1
secondo) nonostante un diaframma alla massima apertura (f 1.8) e a una
sensibilità molto alta (1600 ISO) che rende questa immagine poco nitida
e digitalmente fragile, poco idonea a manipolazioni.
Tutto questo è dovuto al fatto che la macchina utilizzata è stata costruita
per evitare le frequenze a infrarosso e, per immagazzinarne la maggior
quantità possibile, si rende necessario catturare una grandissima quantità
di luce così che possa essere recepita da quelli che, per un supporto di
questo tipo, potrebbero essere definiti come piccoli errori di progettazio-
ne. È stato dimostrato così che il filtro anti-infrarossi, che si chiama Hot
Mirror, installato in questa macchina, se irradiato da una grande quantità
di luce e se impostata un’alta sensibilità, riesce a catturare una quantità di
infrarossi sufficente a registrare un’immagine. Tuttavia la difficoltà nell’e-
secuzione, l’uso di un cavalletto e l’immobilità del soggetto, così come la
resa qualitativa in immagine appena sufficiente dovuta all’alta sensibilità
impostata, evidenzia la necessità di definire un supporto notevolmente più
performante.

Per ogni capitolo della parte sperimentale verrà prima affrontato l’ap-
proccio teorico per poi ricercare un riscontro empirico. In questo modo
la metodologia applicata avrà il supporto, appena verificato, di dati tan-
gibili. I dati riportati sarannò rappresentati secondo i riferimenti grafici
precedentemente definiti e le fotografie prodotte nella sperimentazione
seguiranno una nomenclatura intuitiva: il titolo della foto presenterà sem-
pre un elemento riconducibile alla sperimentazione in atto, così come ogni
riferimento tecnico utile, in didascalia.

la fotografia della luce non visibile


Domenico al sole, B&W.

Per ogni fotografia all’interno della sperimentazione saranno presentate sia una versione direttamente dalla camera (RAW, e.g
p.96), sia una versione in bianco e nero (B&W), elaborata in monocromia e nei rapporti di contrasto.

106 | 107
Domenico al sole, ingrandimento; si può notare come il filtraggio renda visibili le vene del corpo.

la fotografia della luce non visibile


assorbimento / trasmissione [%]
regione d’interesse / massima trasmissione

100

90

CCD
80 Tutto Spettro

70
Hot Mirror

60

50

40

30

Emoglobina
20

10

700 750 800 850 900 950 1000


lunghezza dʼonda [nm]

Si può notare come una macchina digitale avente un filtro Hot Mirror, sia sensibile unicamente allo spettro visibile (ad ecce-
zione di alcuni difetti di progettazione che possono avere un ritorno di luce oltre questo margine, se irradiati da una grande
quantità luminosa).
Una macchina digitale con un CCD (sensore) modificato a tutto spettro, invece, diventa sensibile a lunghezze d’onda dello
spettro non visibile e rende registrabile su supporto l’intero spettro fotografico.

108 | 109
La scelta del supporto

Verificata la fattibilità del progetto, la prima scelta è stata volta a determina-


re il supporto più idoneo per affrontare la sperimentazione.
Anche se nei fondamenti estetici e di forma si esprime una predilezione per
l’utilizzo del supporto analogico (la pellicola) si sono da subito presentate
delle problematiche che hanno messo in discussione la sua applicazione
nella sperimentazione all’interno di questo progetto. Come detto preceden-
temente, la pellicola a infrarosso attualmente ha una produzione estrema-
mente limitata. L’unico supporto analogico attualmente in produzione in gra-
do di imprimere le lunghezze d’onda nella regione d’interesse per questa
ricerca (850-980 nanometri) è il negativo bianco e nero Rollei/Agfa Infra-
red 400. Data la poca disponibilità di questo prodotto il costo del singolo
negativo è alto. Inoltre le specifiche sensitometriche per questo determinato
supporto non garantiscono la resa in immagine tra i 900 e 950 nanometri,
regione importante per il risultato finale voluto. Le variabili diventano anco-
ra più imprevedibili al momento dello sviluppo, processo attraverso il quale
l’immagine può ulteriormente variare. Nonostante si tratti di un normale
processo di sviluppo in bianco e nero, bisogna comunque considerare gli
alti costi implicati in questo processo e in una successiva scansione digitale.
L’alta produzione d’immagini durante una sperimentazione, e quindi gli alti
costi per l’acquisto di pellicola e per lo sviluppo, mi hanno fatto desistere
dall’utilizzo di questo supporto se non in una parte conclusiva del progetto,
applicata ipoteticamente alla serie fotografica definitiva.
La fotografia digitale è la soluzione ottimale per questa parte di progetto.
Ma come riuscire a rendere un sensore digitale (CCD) sensibile agli infraros-
si? Come accennato precedentemente, all’interno di ogni macchina digitale
è presente un filtro, di nome “Hot Mirror”, che ha il compito di limitare lo
spettro della camera alla luce visibile. Questo perché in una foto normale la
luce non visibile non rappresenterebbe altro che un disturbo. Il processo da
me intrapreso è stato quello di fare rimuovere da una Nikon D800 questo
particolare filtro, rendendo il sensore sensibile a tutto lo spettro di luce,
visibile e non. Una modifica unica che, paragonata al progesso analogi-
co, ha decurtato i costi previsti, fornendomi uno strumento adatto a questo
progetto. Nel grafico rappresentato a sinistra, possiamo vedere come l’Hot
Mirror, tagli ogni frequenza sopra i 720 nm mentre, una camera con CCD
modificato per tutto lo spettro di luce, sia sensibile fino a 980 nanometri;
garantendo così, la registrazione di dati, nella zona più importante per la
sperimentazione.
È stata scelta una Nikon D800 per il suo sensore full frame e la sua alta
risoluzione (36 Megapixel). Questa macchina professionale permette ca-
ratteristiche vicine a un medio formato digitale, un discreto ingrandimento
dell’immagine e una buona resa su ritratti a figura intera.

la fotografia della luce non visibile


Giulia al sole, B&W, ISO 200, t 1/80, f 8.

110 | 111
Dopo aver provato a modificare personalmente una macchina prosumer
(non professionale) Sony Alfa 350 e averne compreso la complessità e
delicatezza, la decisione è stata di affidare la modifica della Nikon D800
ad un laboratorio professionale specializzato. L’unico in grado di appli-
care le modifiche da me richieste a costi contenuti è stato il laboratorio
americano Life Pixel con sede a Mukilteo, nello stato di Washington.

Fatta tornare la camera dal processo di modifica a tutto spettro, è stata


scattata la fotografia Giulia al sole. Questa immagine presenta notevoli
differenze rispetto Domenico al sole; mantenuto lo stesso filtraggio (93F) e
le stesse condizioni di luce si presentano i seguenti
dati:

ISO Tempo Diaframma

Domenico al sole 1600 1s f 1.8

Giulia al sole 200 1/80 f8


Si può notare come la modifica a tutto lo spettro fotografico permetta al
sensore di sfruttare tutta la luce presente diminuendo drasticamente la ne-
cessità di alte sensibilità, diaframma aperto e tempo d’esposizione lungo.
Qualitativamente l’immagine e l’usabiilità della macchina si avvicina ad
una normale configurazione, consona ad un apparecchio non modificato
atto a catturare la luce visibile. Nello specifico il tempo di esposizione si
porta da 1s a 1/80 di secondo, questo rende possibile lo scatto a mano
libera e l’abbandono del cavalletto. Inoltre si ha un guadagno di 3 stop
di ISO (ad ogni stop si dimezza o aumenta del doppio tutta la luce imma-
gazzinata) e di ben 4 stop di diaframma.
Con una sensibilità così bassa e vicina alla sensibilità nativa della macchi-
na, la qualità dell’immagine e la potenzialità risolutiva della apparecchio
fotografico sono pienamente sfruttati. Il supporto diventa quindi adatto e
ottimale a questo progetto.
La sorgente di luce utilizzata in queste foto è il sole, mentre è nell’interes-
se di questo progetto capire una riproducibilità dell’effetto desiderato in
studio. Per questo motivo, a questo punto della sperimentazione, l’uso del
sole come fonte di luce viene abbandonato per identificare una sorgeten-
te artficiale più idonea ed efficace.

la fotografia della luce non visibile


energia relativa[%]
regione d’interesse / massima trasmissione

100
Tungsten 3200K
90

80

70

60

50

40

30

Emoglobina
20

10

700 750 800 850 900 950 1000


lunghezza dʼonda [nm]

Il grafico mostra come l’andamento di una lampada al tungsteno da 1000 watt (Tungsten 3200K) emani un’energia a lunghez-
ze d’onda invisibili all’occhio umano. Ritroviamo un valore vicino al 100% proprio nel punto di massimo assorbimento da parte
dell’emoglobina: questa caratteristica pone la luce al tungsteno come possibile fonte di luce primaria per la realizzazione del
progetto in studio.

112 | 113
Le sorgenti di luce artificiale

Trovare la tipologia di luce artificiale più idonea, efficiente ed efficace è di ba-


silare importanza per la creazione di immagini a infrarosso in studio. Un’im-
portante base la troviamo nella fotografia a infrarosso in ambito medico che
definisce le luci a incandescenza (tungsten) come migliore fonte per le lunghe
d’onda d’interesse.1
Proprio per questo verrà presa come sorgente luminosa di riferimento in rela-
zione alle altre fonti valutate empiricamente

Luce al tungsteno

Con tungsteno (in inglese tungsten) si intendono tutte le fonti di luce artificiali
calde con una temperatura tra i 3000 e i 3200 gradi Kelvin. La caratteristica
di queste fonti di luce è l’alta dissipazione di energia (calore) che spesso supe-
ra la capacità illuminante in termini di consumo energetico (watt). Sono quindi
lampade che emanano più calore che luce visibile; questo già può rendere
intuibile che vi è una dispersione di raggi invisibili e quindi la possibile pre-
senza di infrarossi. Le lampade tungsten utilizzate sono di due tipi: alogene
(quarzo) e a incandescenza. In entrambi i casi la dispersione di calore rispet-
to alla potenza in lumens (l’intensità luminosa visibile) è superiore.2
La potenza della lampada è proporzionale alla quantità di luce, di luce invi-
sibile e di energia che è in grado di produrre.

Nel grafico a destra vi è una curva riassuntiva dell’andamento di una lam-


pada al tungsteno (nel caso specifico una lampada al quarzo open face da
1000 watt). Si può notare come l’energia relativa sia alle massime percentuali
in una regione del grafico invisibile all’occhio umano. Essa è però anche la
regione di massimo interesse per le spettro fotografico di questo progetto.
Nonostante sembri già una soluzione ottimale, è importante indagare se non
vi siano altre fonti luminose più performanti. Il testo di riferimento è datato e
quindi non contempla fonti di luce polivalenti e efficienti come il più recente
led.

1 Clark, Op. cit., pp. 152-154.

2 Ibidem, p. 155.

la fotografia della luce non visibile


114 | 115
Lo schema luci scelto è atto a verificare empiricamente l’efficacia della
luce a tungsteno. I tre punti luce presenti sono costituiti da tre lampade
open face al quarzo (dirette, senza alcun elemento tra il bulbo luminoso e
il soggetto) di marca DeSisti da 1000 watt.

Key Light

camera

Key Light

Back Light

Nello schema soprastante sono riportate le distanze tra soggetto, lampade


e camera e i valori rilevati tramite esposimetro inerenti la quantità di luce
emanata (espressi in lux). La costruzione di uno schema luci è classica con
due luci frontali principali (key light) e un controluce (back light). Questo,
escluso il controluce, è lo stesso tipo di illuminazione utilizzato nello studio
medico attraverso la fotografia a infrarossi affrontato dai ricercatori a
metà degli anni trenta.1
Con la tipologia e la qualità di luce a disposizione è intenzione di questa
parte sperimentale verificarne gli effetti.

1 Clark, Op. cit., p. 235.

la fotografia della luce non visibile


Dimitri Tungsten 1, RAW, ISO 200, t 1/80, f 4.

116 | 117
Gli scatti scelti sono un primo piano del modello, Dimitri Tungsten 1, e
un piano americano, Dimitri Tungesten 2. Alla camera è applicato per
entrambi gli scatti il filtro 93F. Si può notare come alle lunghezze d’onda
selezionate dal filtro, la quantità di luce sia notevole, permettondo valori
di sensibilità, tempo d’esposizione e diaframma buoni (fornendo la possi-
bilità di scattare a mano libera). Anche il fondo è ben esposto nonostante
non venga colpito da alcuna luce diretta. Le vene del corpo sono subito
visibili nell’immagine direttamente estratta dalla camera; tramite un’elabo-
razione in monocromia e un aumento del contrasto in postproduzione la
presenza di questo fenomeno si accentua notevolmente.

la fotografia della luce non visibile


Dimitri Tungsten 1, B&W.

118 | 119
Dimitri Tungsten 2, B&W, ISO 200, t 1/80, f 4.

la fotografia della luce non visibile


energia relativa[%]
regione d’interesse / massima trasmissione

100

90

80

70
Led 5600K

60 Fluorescent 5600K

50

40

30

Emoglobina
20

10

700 750 800 850 900 950 1000


lunghezza dʼonda [nm]

Nel grafico sono rappresentati, in relazione all’emoglobina, gli andamenti rispetto all’energia relativa emanata di una fonte
di luce a led (Led 5600K) e una luce a fluorescenza (Fluorescent 5600K). I dati sono stati ottenuti dalle specifiche tecniche di
una lampada a quattro tubi daylight neon da 330w e di un pannello a led da 90 diodi daylight (850 lux a 1 m dichiarati).

120 | 121
La luce a led e la luce a fluorecenza

I led sono dispositivi che sfruttano materiali semiconduttori per produrre fotoni
tramite una reazione spontanea: il diodo emette quindi luce. Questo tipo di
luce non appartiene alle tecnologie precedentemente testate nell’ambito della
fotografia a infrarosso. Essendo a disposizione di questa sorgente luminosa,
affinché si possa ponderare la scelta di sorgente luminosa ottimale, è stata
verificata empiricamente la potenzialità di questo tipo di luce. La luce a fluo-
rescenza invece (i neon) è stata fin da subito segnalata, come una sorgente
di luce non idonea perché povera di raggi a infrarossi; è stata comunque ve-
rificata sperimentalmente e tenuta come controprova per le altre valutazioni.

Nel grafico a sinistra troviamo le energie relative emanate da una fonte di


luce a led (Led 5600), un pannello da novanta diodi daylight Manfrotto,
e una sorgente di luce a fluorescenza (Fluorescent 5600K), nello psecifico
quattro tubi daylight al neon di marca Lupo da 330 watt. I dati riportati pro-
vengono dalle specifiche tecniche delle due lampade utilizzate. Si può notare
come, dall’andamento del grafico, si possa già ipotizzare una bassa resa per
la luce a fluorescenza. La luce al led invece rientra nella regione d’interesse
del grafico, tuttavia con una bassa percentuale di energia relativa.

la fotografia della luce non visibile


122 | 123
La luce a fluorescenza non ha permesso di imprimere alcuna immagine
sul supporto (con la camera filtrata 93F). Vi è quindi la conferma empirica
che essa è una fonte di luce esente dalle frequenze a infrarosso d’inte-
resse. Questa verifica ha permesso di escludere quindi questa tipologia
di sorgente definitivamente dalla sperimentazione. La luce led invece ha
prodotto dei risultati, per questo è stato ottimizzato uno schema luce in
modo da raccogliere dati utili ad un’analisi qualitativa.

Fill Light

camera

Key Light

Lo schema luce scelto è composto da due punti luce: una luce principale
(key light) e una luce di riempimento (fill light) posta in asse camera. La
distanza tra luce, camera e soggeto è stata scelta in mdoo da ottenere
il migliore valero espositometrico. Le luci utilizzate sono due pannelli led
Manfrotto.

la fotografia della luce non visibile


Valentina Led, RAW, ISO 200, t 1s, f 1.6.

124 | 125
Gli scatti scelti sono Valentina Led e Dimitri Led realizzati col filtro B+W
93F. È da notare come la luce led abbia una direzione molto più marcata
della luce a tungsteno, rendendo le vene visibili e apparentemente più de-
finite e a fuoco. Nonostante questo i valori espositometrici e la quantità di
luce in relazioni ai valori d’esposizione impostati in camera segnalato una
presenza deille lunghezze d’onda a infrarosso nettamente inferiore ripset-
to al tungesto. È utile paragonare queste fotografie ai precedenti scatti.


Lux totali Tempo Diaframma

Valentina Led 502 lux 1s f 1.6

Dimitri Tungsten 460 lux 1/80 f 4

Con lo stesso filtraggio (93F) e a parità di sensibilità (ISO 200) possiamo


notare come la luce a led, nonostante sia stata posta la sorgente più vicina
al soggetto (e che fornisca un valore in lux superiore), abbia valori d’e-
sposizione rispetto al tungsteno che demarcano una presenza d’infrarossi
nettamente inferiore. In questo senso la luce a tungsteno si conferma come
migliore soluzione di luce artificiale per la fotografia a infrarossi, in parti-
colar modo in fatto d’usabilità.

la fotografia della luce non visibile


Valentina Led, B&W.

126 | 127
Dimitri Led, B&W, ISO 200, t 1s, f 1.6.

la fotografia della luce non visibile


energia relativa[%]
regione d’interesse / massima trasmissione

100

90

80

70

60

50

40

30
IR Led Light
Emoglobina
20

10

700 750 800 850 900 950 1000


lunghezza dʼonda [nm]

Nel grafico possiamo notare che la sorgente a infrarosso illtumina da 800 a circa 980 nanometri. La luce visibile è esclusa.
Questa luce risulta visibile unicamente ai supporti sensibili agli infrarossi. La curva rientra nella regione d’interesse anche se,
complessivamente, non possiede un’elevata percentuale di energia relativa.

128 | 129
La luce a led infrarosso

I diodi led sono in grado di emettere qualsiasi tipo di luce. Nello specifico
vi sono alcuni pannelli in grado di emanare unicamente frequenze infra-
rosse. Come ultima sperimentazione sulla fonte di luce artificiale è stato
adottato, appunto, uno di questi pannelli. Non è possibile raccogliere
valori espositometrici dato che gli esposimetri sono in grado di rilevare
unicamente i valori delle sorgenti di luce visibile. La valutazione è quindi
a livello empirica e puramente qualitativa. Nel grafico ritroviamo un’inter-
pretazione dei dati tecnici forniti dal produttore del pannello utilizzato, la
ditta americana Polaroid.

la fotografia della luce non visibile


130 | 131
Lo schema luci scelto è di tipo one light (una sola fonte di luce). La luce
principale (key light) è posta in asse camera. Le immagini prodotte sono
state scattate in completa assenza di luce visibile.

Key Light

camera

L’esposizione della fotografia Dina IR è stata valutata tramite la modalità


live view permessa dal supporto digitale utilizzato. La potenzialità di que-
sta fonte di luce è la capacità di scattare al buio e quindi di non essere
notato dal soggetto. Tuttavia si può notare come questo tipo di luce, a
bassima perdita d’energia sotto forma di calore, non presenti visivamente
particolari vantaggi rispetto al tungsteno. La luce al tungsteno con la sua
grande dissipazione di calore penetra fisicamente la pelle (infatti vi è del
calore percepito dal soggetto); probabilmente è per questo che i risultati
si mostrano più evidenti. La direzione del led a infrarossi, inoltre, crea un
effetto simile agli occhi rossi, d’interesse estetico non rilevante. Con questa
prova si esclude quindi l’utilizzo di una fonte a infrarossi, dato che non
rappresenta un vantaggio per la realizzazione di questo progetto. Non è
improbabile un utilizzo di questa fonte in combinazione col tungsteno per
la realizzazione della serie finale.

la fotografia della luce non visibile


Dina IR, RAW, ISO 200, t 1/60, f 1.6.

132 | 133
Dina IR, B&W.

la fotografia della luce non visibile


assorbimento / trasmissione [%]
regione d’interesse / massima trasmissione

100

90
89B 93F

80

70

60

50

40 Hot Mirror CCD


Tutto Spettro

30

Emoglobina
20

10

700 750 800 850 900 950 1000


lunghezza dʼonda [nm]

Nel grafico si può notare l’andamento dei filtri a infrarossi 89B e 93, utilizzato fino ad aadesso in tutta la sperimentazione (in
azzurro). Vi sono inoltre il filtro Hot Mirror e lo spettro coperto da un sensore modificato (CCD full spectrum). In una situazione
ideale, il filtro Hot Mirror elimina ogni lunghezza d’onda al di sopra dei 730 nm. Il sensore modificato invece permette di riceve-
re una trasmissione fino a circa 970 nm.

134 | 135
Filtraggio, fuoco ed esposizione

In questo capitolo verranno rivalutati empiricamente i filtri selezionati (


89B e 93F). Verrà inoltre definito l’andamento del fuoco rispetto alla di-
stanza misurata e l’esposizione, tramite i valori riportati sull’apparecchio
fotografico.

Nel grafico a sinistra possiamo ritrovare gli andamenti dei tre filtri pre-
cedentemente considerati, del filtro Hot Mirror di e di un sensore a tutto
spettro (CCD tutto spettro). Quest’ultimi sono la controprova per fornire
visivamente un paragone dello spettro di luce normalmente percepibile
rispetto a tutto lo spettro fotografico.

Prima di valutare i dati raccolti occorre sottolineare che l’utilizzo di una


macchina digitale ha permesso di risalire empiricamente in modo molto
più preciso e veloce a valori come l’esposizione corretta e il fuoco; questo
perchè lo schermo presente sulla macchina fotografica digitale percepi-
sce le informazioni raccolte dal sensore modificato. In questo modo se
l’immagine risulta a fuoco nello schermo, lo è anche al momento dello
scatto. È come se il piccolo monitor, tramite i dati ricevuti dal sensore, sia
un occhio in grado di vedere in tempo reale tutte le frequenze luminose
all’interno dello spettro fotografico. Trovata la giusta esposizione e il pun-
to di fuoco tramite questo dispositivo, sarà possibile, nell’eventualità che
si intenda adottare la pellicola, riportare i valori trovati sulla macchina
analogica, in accordo con i valori sensitometrici espressi dal produttore
del supporto.

la fotografia della luce non visibile


136 | 137
Lo schema scelto è composto da 4 punti luce. Tre lampade al quarzo open
face da 1000 watt e un fresnel da 650 watt. Il proiettore fresnel è una luce
continua a incandescenza con una lente in grado di direzionare la luce in
modo più preciso.
Due dei quarzi sono utilizzati pel la luce principale e di riempimento (key
light) e una come controluce (back light). Il fresnel è invece impiegato per
creare un punto luce sul fondo.
È stato aggiunto infine un riflettore bianco (WB) come luce di riempimento
(fill light).

open face 1000/ Key Light


fresnel 650/ fondo

camera

open face 1000/


W.B open face 1000/ Key Light
Back Light

In questa sperimentazione si è cercato di iniziare a valutare uno schema


luci a tungsteno per la realizzazione della serie finale.
Sono stati selezionati 5 scatti rappresentativi: il nome del modello (Stefa-
no) è accompagnato dal nome del filtro applicato. In Stefano Hot Mirror,
l’immagine presenta solo frequenze di luce visibile mentre in Stefano full
spectrum l’immagine contiene tutto lo spettro fotografico. Nelle immagini
successive successive è applicato un filtraggio a infrarossi fino al favorito
93F (Stefano 93F); di quest’ultima immagine è stata elaborata una versio-
ne in bianco e nero (B&W) con un intervento sui contrasti.

la fotografia della luce non visibile


Stefano Hot Mirror, RAW, ISO 200, t 1/100, f 5.6.

138 | 139
Stefano full spectrum, RAW, ISO 200, t 1/100, f 11.

la fotografia della luce non visibile


Stefano 89B, RAW, ISO 200, t 1/100, f 8.

140 | 141
Stefano 93F, RAW, ISO 200, t 1/100, f 5.6.

la fotografia della luce non visibile


Stefano 93F, B&W.

142 | 143
Ad una prima valutazione si può subito notare come la fotografia Stefano
93F presenti il risultato più efficace. È quindi il filtro 93F il più performante
per questo progetto. Le foto sono state scattate a parità di sensibilità (ISO
200), di tempo d’esposizione (1/100 s) e di distanza (3.1 m). È utile
analizzare i dati riscontrati.

Fuoco [m] Diaframma

Stefano Hot Mirror 3.10 f 5.6



Stefano full Spectrum 2.95 f 11

Stefano 89B 2.79 f8

Stefano 93F 2.66 f 5.6

L’interpretazione di questi dati empirici è immediata. La macchina modifi-


cata quadagna 2 stop di luce rispetto Stefano Hot Mirror (rappresentativa
di una macchina fotografica convenzionale); questo avviene perché in
Stefano full spectrum la macchina fotografica è sensibile a tutto lo spettro
fotografico e quindi registra una quantità di luce maggiore.
Il filtro 89B inizia a selezionare le lunghezze d’onda perdendo 1 stop. Il
filtro 93F è (come rappresentato anche nel grafico esposto precedente-
mente) ulteriormente selettivo e perde ancora uno stop di luce; in questo
caso l’esposizione della fascia di luce invisibile è uguale a quella imposta-
ta su una macchina fotografica non modificata; tuttavia le lunghezze d’on-
da implicate sono fondamentalmente molto diverse diverse: è la grande
quantità di luce, sia visibile che non, presente nelle lampade a tungsteno
a permettere questo fenomeno.
L’andamento della distanza del punto di fuoco cambia notevolmente. Non
vi è solo una differenza tra lo spettro invisibile e quello visibile, ma il
punto di fuoco cambia ad ogni lunghezza d’onda selezionata dal filtro.
Generalmente si può affermare che il valore diminuisce (il punto di fuoco
si avvicina) ad ogni aumento di lunghezza d’onda in nanometri. Come
è possibile quindi determinare l’andamento del fuoco nella fotografia a
infrarossi? Essendoci molteplici tipi di filtraggio una regola matematica è
inapplicabile. Si può di consuetudine avvicinare il punto di fuoco misurato
e utilizzare un diaframma che permetta una grande profondità di cam-
po in modo da eludere questa problematica. Per la riproducibilità delle
fotografie che saranno realizzate nel prodotto finale saranno riportate le
distanze e la misura del punto di fuoco così come i valori espositometrici
rilevati attraverso la macchina fotografica digitale modificata.

la fotografia della luce non visibile


144 | 145
Luce diretta e luce diffusa

In questa parte della sperimentazione la qualità di luce, il filtraggio e le


modalità di fuoco e esposizione sono definite. Occore valutare la qualità
di luce ottenuta attraverso la diffusione di sorgenti al tungsteno. Lo schema
luce scelto è one light (un solo punto luce, Key light). Sono state selezio-
nate due fotografia: una scattata con luce diretta e l’altra con un filtro
diffusore (Full Frost) applicato alla lampada.

open face 1000 watt

open face 1000 watt

Full Frost

camera

Le due lampade open face da 1000 watt impiegato sono state accese al-
ternativamente per i gli scatti, rispettivamente di con luce diffusa e diretta.
All’accensione della lampada diffusa, la perdita di 1 stop di luce dovuta
al filtraggio è stata compensata in camera aprendo il diaframma.
Le fotografie selezionate sono Giulia diretta, realizzata con il punto di luce
senza filtro diffusore, e Giulia diffusa realizzata con la luce filtrata Full
Frost. Si può notare in modo evidente che la luce diretta evidenzia mag-
giormente i vasi sanguinei. Una diffusione disperde in maniera eccessiva
la direzione della luce (già poco direzionata in questo tipo di lampade)
andando così a perdere gradatamente l’effetto voluto. Le fonte utilizzate
nella realizzazione del prodotto finale saranno quindi esenti da filtraggio.

la fotografia della luce non visibile


Giulia diretta, RAW, ISO 200, t 1/125, f 5.6.

146 | 147
Giulia diretta, B&W.

la fotografia della luce non visibile


Giulia diffusa, RAW, ISO 200, t 1/125, f 4.

148 | 149
Giulia diffusa, B&W.

la fotografia della luce non visibile


150 | 151
La temperatura di colore in camera

In Photography by Infrared di Walter Clark viene affermato che l’espres-


sione temperatura di colore, nella fotografia a infrarosso, può essere ap-
plicata unicamente alla sorgente luminosa di luce continua riferendosi allo
spettro di luce visibile.1 Per completare la parte sperimentale in termini di
fonte di luce artificiale è utile, impiegando una macchina digitale, che è
in grado di modificare la temperatura di colore del supporto, verificare
empiricamente questo dato.
Lo schema luci inpiegato è costituito da tre punti luce al tungsteno con la
stessa qualità di luce e temperatura di colore (3200 K). Si sono scelti i
due limiti (massimo e minimo) di temperatura di colore in camera, 2250
(massima luce calda) e 4750 (massima luce fredda) gradi Kelvin. Le foto
ottenute sono Dimitri 2250 K e Dimitri 4750 K.
Si può notare che nell’elaborazione monocromatica di entrambe le foto
(B&W) il risultato è similare. Il dato espresso teoricamente è quindi veri-
ficato sperimentalmente. Tuttavia in fase di elaborazione Dimitri 4750 K
è stato elaborato più semplicemente in termini di contrasto. Un’immagine
di temperatura fredda, nella fotografia a infrarossi digitale, è risultata
più facile da elaborare; in questo senso la temperatura per i file RAW
futuri verrà mantenuta tale (precedentemente si situava sui 3200K, ossia
la temperatura di colore delle lampade impiegate). Questo discorso non
applicabile alla fotografia analogica nella quale è assente il riferimento
sul negativo riguardante la temperatura di colore del supporto (daylight
o tungsten).

1 Clark, Op. cit., p. 138.

la fotografia della luce non visibile


Dimitri 2250 K, RAW, ISO 200, t 1/100, f 5.6.

152 | 153
Dimitri 2250 K, B&W.

la fotografia della luce non visibile


Dimitri 7450 K, RAW, ISO 200, t 1/100, f 5.6.

154 | 155
Dimitri 7450 K, B&W.

la fotografia della luce non visibile


156 | 157
Impostazione tecnica per la realizzazione del progetto

I dati sperimentali ottenuti sono essenziali per la realizzazione dello sche-


ma luci più efficacie e performante da utilizzare per la concretizzazione
del progetto finale. Definita il tipo e la qualità di luce dalla sperimentazio-
ne, ed evidenziando le lampade al tungsteno come migliori per il risultato
voluto, sono state scelte due lampade al quarzo open face.
Come verificato nel capitolo precedente, è la temperatura di colore della
sorgente luminosa ad influire sull’effetto voluto; sono stati applicati dei filtri
CTO Full ad entrambe le lampade, questi filtri riscaldano ulteriormente la
temperatura di colore della lampada (già di tipo caldo).

camera

CTO Full Open Face 1000 watt


Tungsten

Le lampade sono puntate a distanza ravvicinata e prive di diffusione.


L’intenzione è quella di ottenere la massima resa dell’effetto tramite la
qualità di luce emanata da queste lampade. Il set luci che accompagna
questo schema è una serie di riflettori ad ammorbidire le ombre presenti
e una lampada per il fondo bianco. Questo tipo di illuminazione è molto
usato nella realizzazione delle fototessera per le carte d’identità, dato il
suo carattere uniforme e non caratterizzante.

la fotografia della luce non visibile


158 | 159
Le intenzioni espresse nei fondamenti estetici e di forma di questo progetto
trovano un rafforzamento nello schema luci scelto. Vengono mantenute
qualità quali la semplicità e la neutralità del fondo per enfatizzare il fon-
do; inoltre si aggiunge una qualità di luce descrittiva che ha nel fruitore un
rimando a un tipo di fotografie che conosce, la fotopassaporto. Quest’ul-
tima è legata all’identità visiva, intesa come espressione di chi siamo,
essendo legata sui documenti alle generalità del soggeto. In questo caso
però l’identità visiva è diversa da quella percepita dai nostri occhi, tuttavia
è inclusa in questi parametri canonici e riconoscibili. Questo può rappre-
sentare un elemento ulteriore a rafforzamento della qualità del prodotto
e della sua particolarità: un’auto analisi su chi siamo rispetto a ciò che
vediamo.

Il taglio fotografico è stato scelto tramite una valutazione degli spazi, dei
mezzi tecnici e dei principi espressi. Un inquadratura tra il piano ameri-
cano e il piano medio rappresenta il giusto compromesso tra rappresenta-
zione completa del fenomeno che gli infrarossi producono e una visione
completa delle forme del corpo. Saranno eventualmente scelti piani più
stretti per la realizzazione del prodotto e per l’evidenziazione dell’effetto
registrato.

la fotografia della luce non visibile


M.

160 | 161
M. con maschera di contrasto

la fotografia della luce non visibile


G.

162 | 163
In M. e M. con maschera di contrastato (ossia la stessa foto con appli-
cato un contrasto maggiore) si può notare come la qualità del bianco e
nero non solo abbia i richiami desiderati, ma sia in grado di evidenziare
efficacemente le vene del corpo; la figura si stacca dal fondo tridimensio-
nalmente, questo aiuta a concentrare l’attenzione sulla fisicità del soggetto
fotografato. Il piano scelto in M. (tra piano medio e piano americano) risul-
ta visivamente più efficace che in G.(piano medio stretto) prevalentemente
per i dettagli presenti nel bacino e negli avanbracci, che risultano molto
presenti in tutti i soggetti fotografati. Per questo la scelta definitiva per la
realizzazione del progetto è il piano scelto in M. che, con lo schema luci
scelto, rappresenta la massimizzazione del processo sviluppato in questa
testi sperimentale.

Di seguito sono riportati i valori d’esposizione, sensitometria e distanza


per riprodurre il risultato ottenuto.

ISO Diaframma [ f ] Tempo[s]



160 5.6 1/125

Qunatità Distanza [m] Fuoco [m]


di luce [lux]

408 2.2 1.65


Lampade Potenza [watt] Filtraggio

2x Desisti 1000 CTO Full
Open Face T

È stata utilizzata una macchina fotografica Nikon D800 modificata full


spectrum, obiettivo Nikon Nikkor 85D (85 mm) e filtro B+W 93F.

la fotografia della luce non visibile


SPERIMENTAZIONE:
IL SOGGETTO

164 | 165
La pelle e il fototipo

Il soggetto rappresenta uno dei fondamenti di questa ricerca. La domanda


è come identificare i soggetti più idonei avendo avuto risultati fondamen-
talmente diversi nel corso della sperimentazione e costantemente influen-
zati (come visto nei capitoli precedenti) dalle caratteristiche fisiologico (se
non biologiche) dei soggetti scelti. Nella documentazione affrontata nella
fase di ricerca non viene identificato un principio di efficacia legata ai
diversi tipi di pelle; viene considerata unicamente la pelle come materia
fisica.1 Quali soggetti sono più idonei quindi a questo tipo di fotografia.
Molto ingenuamente si può pensare che più una pelle sia chiara più le
vene risultino visibili attraverso questa tecnica. È vero anche che il una pel-
le più chiara può raggiungere un rapporto di contrasto più alto(in questo
caso tra le vene e il corpo). Come anticipato però vi sono una moltitudine
di fattori fisici a costituire una serie di variabili. È quindi essenziale confer-
mare o smentire questa supposizione con dati tangibili.
Attingendo alla dermatologia si possono definire i tipi di pelle su una
scala da 1 a 6 e definiti fototipi.

Fototipo Pelle Occhi Sensibilità alla luce

1-2 chiara/bianca azzurri/verdi chiari molto elevata

3 chiara azzuri/verdi scuri media

4 olivastra marroni ridotta

5-6 scura/nera marroni/neri minima/nessuna

Questa scala è di riferimento per la sensibilità alla luce solare. È quindi


riferimento per capire e definire quale pelle sia più sensibile alla luce del
sole e quindi alle conseguenze di un’esposizione prolungata ad esso.
Il fototipo diventa quindi un possibile riferimento per catalogarizzare i
soggetti scelti per verificare le supposizioni teorizzate precedentemente.
Secondo quanto intuito, i fototipi tra 1 e 3 sono più idonei a evidenziare
le caratteristiche ricercate perché più chiare e sensibili alla luce; conse-
guentemente le tipologie da 4-6 risulterebbero meno efficaci se non com-
pletamente esenti dal risultato voluto (e.g fototipo 6 con nessuna sensibilità
alla luce). Con queste basi teorichi si può ricercare un riscontro empirico.

1   Clark, Op. cit., p. 158.

la fotografia della luce non visibile


fototipo 5/6 luce visibile

166 | 167
Verifica empirica

La sperimentazione vede come primo approccio lo schema luce definito


per il progetto, quindi quello che dai risultati della sperimentazione è ri-
sultato tecnicamente più efficacie, applicato ad un soggetto ritenuto dalle
considerazione precedentemente espresse, ipoteticamente più problema-
tico. Il soggetto scelto è un ragazzo keniota con un fototipo tra il 5 e il 6.
Alla luce visibile effettivamente la sua pelle risulta molto scura e impone
dei cambiamenti nell’esposizione dell’immagine per compensare (2 stop
di luce) i parametri impostati sui modelli di fototipo inferiore precedente-
mente fotografati (V. e G. pp.160-163). Si è scelto di iniziare con questo
soggetto per eventualmente utiliazzarlo come controprova per successivi
soggetti aventi fototipo più basso.

la fotografia della luce non visibile


fototipo 5/6 infrarossi (93F)

168 | 169
Il risultato attraverso il filtro 93F e quindi alle lunghezze d’onda a infra-
rossi, è sorprendente. Non vi è alcun riscontro con le teorie ipotizzate.
L’esposizione del soggetto non necessita compensazione d’esposizione
e le vene del corpo diventano visibili. Il fototipo non influenza quindi in
alcun modo il risultato cercato. È da considerare che la carnagione più
scura sia comunque meno adatta al contrasto ricercato in fase di post
produzione; tuttavia i parametri dei fototipi, deifniti su una luce visibile,
non corrispondono alla luce invisibile. Questo risultato stravolge gli intenti
in questo frangente della sperimentazione rendendo superflua qualsiasi
altra verifica attraverso le altre tipologia fototipiche. Ma se il colore della
pelle, il fototipo, non influisce sul risultato come è possibile identificare i
soggetti più idonei al progetto? Vi sono variabili così grandi che l’idoneità
del soggetto è imprevedibile; si può quindi dire che per ottenere dei risul-
tati più precisi ed efficaci per la realizzazione di un progetto di questo
tipo,occorre disporre di un buon numero di soggetti dai quale selezionare
i più efficaci.
Si può comunque intuire dai risultati finora ottenuti che la visibilità della va-
scolarizzazione è compromessa da tutte le materie ricche di acqua come
la massa adiposa (il grasso). Il volto, meno vascolarizzato, risulta sempre
meno evidente. Gli occhi scuri più vascolarizzati risultano più chiari e i
chiari viceversa. Infine, peli sono materia che blocca la penetrazione della
luce (come per la luce visibile).

Controprova e sviluppi di ricerca

I valori espositometrici usati per il fototipo 5/6, sono gli stessi impostati
e riportati nelle fotografie precedentemente fatte con questo schema luce
( M. e G.).
In M. il risultato è più visibile che in G., nonostante abbiano un fototipo
vicino (ripettivamente 2 e 3).
I soggetti con un risultato meno evidente, solitamente lamentavano proble-
mi di vascolarizzazione molto comuni (ad esempio mani e piedi freddi).
Questo fattore unito agli elementi fisici visibili sopra elencati, rappresen-
tano gli unici indizi nell’individuazione di un soggetto adatto al risultato
finale desiderato. Queste affermazioni necessiterebbero di uno studio a
livello statistico per un’eventuale conferma o smentita definitiva; quindi di
un campione rappresentativo formato da un grande numero di soggetti.
Determinati questi elementi è comunque impossibile definire la massimiz-
zazione del risultato. La casualità e l’imprevedibilità sono una costante da
prendere in considerazione in questa tecnica fotografica.
Questo fattore apre un possibile sviluppo della ricerca così come possibili
interpretazioni per successivi progetti: la differenza di reazione di ogni
individuo (indipendente dal suo fototipo e modellata da una moltitudine
di variabili) rende unica e estremamente personale la propria immagine
a infrarossi. In questo senso una serie molto ampia sarà a livello formale
coerente ma allo stesso tempo molto diversa da soggetto a soggetto.

la fotografia della luce non visibile


DEFINIZIONE
DEL PROGETTO

170 | 171
L’impostazione tecnica, estetica e del soggetto sono stati quindi definiti. È
dunque il momento di identificare la forma del progetto e dei prodotti di
questo lavoro di tesi.

Il dossier di ricerca e sperimentazione

La sperimentazione contenuta in questo dossier di ricerca rappresenta il


prodotto più rilevante di questo progetto. Essa è un possibile punto di ri-
ferimento per i fruitori che intendono intraprendere, applicare e indagare
ulteriormente questa tecnica. Sono inoltre contenuti risultati non verificati
dai testi di riferimento consultati e quindi inediti e d’interesse. È quindi utile
ricercare per questo dossier una forma idonea e graficamente adatta per
valorizzare i dati raccolti.

Il libro fotografico

I risultati ottenuti attraverso la massimizzazione a livello empirico delle


basi tecniche sono un’ulteriore prodotto che prevede un supporto diverso.
Delle foto selezionate verranno scelte due serie composte da tre fotografie
e saranno raccolte in un libro fotografico; in esso saranno quindi presen-
tati i risultati più efficaci prodotti attraverso i dati raccolti empiricamente e
conseguenti ai fondamenti estetici indagati e affrontati nella fase di ricer-
ca. Delle immagini prodotte è utile identificare le basi formali per definire
le due sequenze di immagini da includere.
Essendo questo prodotto un oggetto non vincolato dal dossier di ricerca è
necessario identificare un titolo diverso rispetto al dossier affinché l’identi-
tà del prodotto sia coerente con il processo effettuato ma non vincolato ad
esso. Il formato e la grafica che verranno definite, inoltre, in questo caso
saranno atte a valorrizzare nel miglior modo le immagini scelte.

la fotografia della luce non visibile


172 | 173
La prima serie composta da tre fotografie corrisponde alle basi estetiche e
formali espressse dal dossier di ricerca. Il taglio scelto è quindi tra il piano
americano e il piano medio definito precedentemente. Tre fototessere di
un’identità visiva invisibile all’occhio umano. In quest’ottica posizione e
espressione del soggetto sono neutre lasciando focalizzare l’attenzione
sulla propria fisicità e sul tatuaggio naturale che le vene del corpo com-
pongono su di esso. In tutte le fotografie sono state lasciati elementi come
tatuaggi e piercing; questo perché essi non sono altri che elementi reali
presenti sul soggetto così come le vene che vengono mostrate e non è
l’intenzione di queste fotografie non mostrarli. La post produzione di que-
ste immagini consiste unicamente nell’ottimizzare l’immagine attraverso il
contrasto.
Il rapporto di contrasto scelto sarà in relazione con l’ingrandimento scelto
per la stampa e alla massimizzazione del risultato ricercato.
I tre dei soggetti fotografati scelti sono quelli che visivamente risultano più
efficaci e coerenti.

la fotografia della luce non visibile


174 | 175
La seconda serie di tre fotografie invece seguirà un taglio completamente
diverso. Attraverso un bilanciamento non canonico dell’immagine e una
grandezza scalare diversa (più vicina, tra il piano medio e il primo piano)
si intende focalizzare il fruitore su una situazione “sbilanciata”, instabile
così come si può intendere il limite del nostro spettro visivo e ciò che non
vediamo. Piani più ravvicinati inoltre forniranno una focalizzazione dell’ef-
fetto ottenuto fornendo una sequenzialità più suggestiva, in particolare in
una serie composta da poche immagini e su di un supporto cartaceo del
tipo scelto; questo taglio si presta di più a un libro fotografico che a un
ingrandimento stampato. È stato quindi specificatamente realizzato nell’ot-
tica della realizzazione di questo prodotto.

la fotografia della luce non visibile


POSSIBILI
APPLICAZIONI
E SVILUPPI

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Applicazioni e sviluppi in ambito comunicativo

La tecnica definita in questo dossier fornisce uno strumento nuovo per


fotografi e comunicatori visivi. Non solo può rappresentare un punto di
partenza per ulteriori sviluppi di ricerca, ma tramite la riproducibilità
delle caratteristiche contenute nelle immagini proposte, si aprono nuove
valenze estetiche in tutti gli ambiti comunicativi. Queste immagini hanno
la caratteristica di possedere un elemento fisico e concreto normalmente
invisibile, reso però visibile.
Il carattere delle immagini è inedito e d’effetto. Nelle pagine successive
viene esemplificata un’applicazione in ambito comunicativo di alcune im-
magini contenute in questo dossier.
La campagna dell’Onu contro il razzismo What do you see, more than
meets the eye (2014) si è prestata efficaciemente a questa manipolazione.
È necessario sottolineare che questa non è altro che una semplificazione
dei processi realmente necessari alla creazione di una campagna di que-
sto tipo. Il claim è però idoneo a fornire una prima e qualitativa esempli-
ficazione dell’applicazione della tecnica a infrarossi definita e applicata
in questo ambito.
La campagna scelta è costituita da una serie di ritratti fotografici di sogget-
ti appartenenti alle diverse minoranze presenti nelle comunità occidentali.
Uniti ad essi vengono proposte al fruitore tre scelte da barrare (come
fosse un questionario). Le tre scelte corrispondono a l’occupazione reale
del soggetto fotografato seguito da due stereotipi razzisti. Il claim “cosa
vedi? Più di quello che vedono i tuoi occhi” indirizza l’attenzione del
pubblico a riflettere sui preconcetti presenti nei confronti delle minoranze.
Il pensiero quindi in questo caso va oltre l’immagine concreta, che è sem-
plicemente la rappresentazione di un comune essere umano.
La manipolazione effettuata è stata quella di di rimuovere parte del claim
e lasciare unicamente What do you see (cosa vedi) due delle foto realizza-
te nelle quali sono presenti un ragazzo caucasico ed un ragazzo di colo-
re. In entrambe le fotografie, a richiamare l’attenzione dello spettatore non
è il colore della pelle, ma è in primo luogo l’insolito reticolo venoso, che
appare molto evidente e visibile. Un’elemento organico e fisico comune in
tutte le razze ed etnie. Un elento di unione, quindi, che porta chi guarda
a riflettere su quali siano invece gli elementi che accomunano i soggetti (e
quindi il fondamento errato degli stereotipi razziali presenti nella nostra
società). È una semplificazione che necessiterebbe di un approfondimento
curato e sviluppato in maniere precisa e coerente, ma in questo caso, que-
sta preogativa non rientra in questo progetto. L’esempio scelto è da inten-
dersi quindi unicamente come uno spunto, uno stimolo atto a evidenziare
le potenzialità che i risultati di questa ricerca possono suscitare.

la fotografia della luce non visibile


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la fotografia della luce non visibile
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Sviluppi personali

I risultati ottenuti rappresentano per me una base di partenza per la crea-


zione di una serie personale tramite questa tecnica.
La differenza singolare tra ogni soggetto a prescindere dall’apparenza
esteriore visibile, evidenziata in questa sperimentazione, porta il mio inte-
resse a sviluppare una serie costituita da un grande numero di immagini
(tra le 17 e le 23 fotografie) in modo da presentare un campione vasto tra
fisionomie diverse e differenti età.
Idealmente è mia intenzione allestire, attraverso una serie ingrandimente
che riportino le figure a dimensioni reali, un’esperienza all’interno di uno
spazio. In questo modo le figure immortalate, diverse tra loro, ma unite
dal disegno di vene lungo tutto il corpo, costituirebbero uno spunto di
riflessioni per il fruitore, portato così a interrogarsi sulla tematica che mi
ha spinto allo sviluppo di questo lavoro di tesi: l’identità.

la fotografia della luce non visibile


PROGETTO
GRAFICO:
DOSSIER

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Data la valenza di tesi sperimentale, è necessario identificare una forma
grafica efficacie e coerente con il contenuto di questa tesi. Come le foto-
grafie sviluppate e i concetti definiti dei fondamenti estetici espressi nella
ricerca, l’impaginazione segue una struttura semplice e pulita, priva di
elementi di disturbo o distrazione rispetto al contenuto. Le fotografie sono
la base di tutto il processo e quindi estremamente rilevanti e integrative
alla parte di testo.
La carta scelta è semilucida in modo da valorizzarle. L’unico vincolo di
questo prodotto è il formato: A4.
Tutte le scelte effettuate sono giustificate nei limiti del tipo di tesi elaborato,
orientato sul tema principale, la fotografia a infrarossi, e non sulla crea-
zione di un prodotto editoriale. Non vi è una ricerca qualitativa o qua-
titativa a sostegno delle scelte, nonostante ciò si è cercato di sviluppare
motivazioni coerenti e esaustive affinché le azioni fatte risultino ponderate
e fondate.

la fotografia della luce non visibile


INTRODUZIONE Tema e intenzioni

La fotografia oggi è un medium inscindibile dalla nostra quotidianità.


Dall’avvento dell’era digitale, i mezzi a disposizione per la creazione di
immagini sono in continua evoluzione e permettono ogni giorno di propor-
re nuove soluzioni formali e tecniche, rispondendo ai bisogni espressivi
dei comunicatori.

Il percorso formativo che ho intrapreso mi ha portato a interrogarmi su


come la figura umana venga rappresentata fotograficamente in relazione
all’evoluzione estetico-tecnologica odierna.
L’identità del singolo è legata fortemente alla propria fisicità, ma l’aspetto
esteriore non rappresenta l’individuo nella sua complessità. Questo mi
ha portato a ricercare una tecnica che potesse in qualche modo trovare
un elemento tangibile e concreto che non appartenesse alla “normale”
percezione visiva del corpo.

Con stupore ho individuato una possibile soluzione tecnica in una branca


della fotografia che non appartiene al vasto mondo dell’elaborazione di-
gitale e della post-produzione fotografica: la fotografia a infrarosso. Con
l’utilizzo di una determinata frequenza di questa gamma di luce invisibile
all’occhio umano, applicata al ritratto, è possibile individuare caratteristi-
che fisiche altrimenti impercettibili: ad esempio rendere la pelle traslucida.
Il risultato è unico nel sul genere, data l’impossibilità dell’elaborazione
digitale di creare luce non catturata dal supporto utilizzato. È quindi una
soluzione espressiva avente un aspetto tecnico che richiede una ricerca
non ancora sviluppata e adottata a livello estetico; uno strumento nuovo
per fotografi e comunicatori visivi, capace di abbattere il limite fisico del
corpo, elemento centrale in relazione all’identità, e quindi esplorarne nuo-
vi canali comunicativi.

6|7 la fotografia della luce non visibile

184 | 185
Griglia

La griglia presenta una leggera asimmetria che direziona la lettura dall’im-


magine posta a sinistra verso la parte di testo (ad aprire sempre a destra).
Numero di pagina e occhiello seguono questa direzione. Entrambi sono
allineati alla posizione delle gabbie di testo.

la fotografia della luce non visibile


Fig. 23 Vi sono in breve tempo però sperimentazioni e ricerche in ambito formale
che portano a esiti e necessità diverse, basti pensare ai dagherrotipi di
Henry Peach Robinson, Here They David Octarius Hill1, che vedono l’attenzione del ritrattista spostarsi dallo
Come, 1859. studio e dal soggetto posato, per ricercare una ripresa in ambienti natura-
li, concreti e reali (come la riva di un lago o un prato in un parco pubblico)
nei quali vengono immortalati soggetti scomposti, apparentemente intenti
a fare altro; è forse una prima e timida intenzione di cogliere l’attimo,
l’atteggiamento, la situazione e l’emozione istantanea espressa dal sog-
getto, allontanandosi così dalla rappresentazione accademica e svelando
l’incredibile potenzialità del supporto fotografico.

L’evoluzione tecnica è in fermento, nascono nuovi procedimenti chimici


atti a semplificare il processo di ripresa. È a partire dal 1850 che la foto-
grafia viene commercializzata a tutti gli effetti grazie a un sistema a più
obbiettivi, ideato da André Eugène Disdéri, capace di realizzare dalle
quattro alle otto pose per seduta, alla nuova emulsione di collodio, in gra-
do di abbassare i tempi di posa da venti a due secondi, e alla capacità
di stampa dalle lastre di rame alla carta. I vincolanti limiti, che fino a una
decina d’anni prima, restringevano l’accessibilità e la maneggevolezza
del mezzo tecnico erano dunque in grande misura risolti. Il ritratto diventa
pratica comune e la varietà dei soggetti aumenta esponenzialmente. Le
fotografie diventano carte da vista, sono mezzo di coesione familiare e
sociale, spesso complementari a lettere e documenti. Tutti si fanno fotogra-
fare e si scambiano fotografie2.
È intuibile, quindi, che la ricerca formale spazia in grande misura, data
Fig. 24 la moltitudine e la diversità dei soggetti a cui la fotografia si apre. Dalla
messa in scena forzata e ostentata, a composizioni casuali e frettolose,
Nadar, Portrait of Cleo de Mero- verso ricerche che si allontanano sempre di più dai canoni delineati dalla
de, 1894. precedente storia dell’arte e dalle accademie. Nadar in Francia (come un
Henry Peach Robinson in Gran Bretagna, fig. 23) esplora e reinterpreta i
suoi modelli, solitamente soggetti di spicco della società, attribuendo loro
contesti e oggettistica inusuali, arbitrarie rispetto alla rappresentazione
classica e alle consuetudini iconografiche (fig.24 e 25). D’altro canto, lo
stesso Nadar affermerà di trovare riluttanza da parte di molti dei suoi sog-
getti nell’assecondare le sue esigenze, guidate dalla volontà di fotogra-
fare la persona e non il suo status; quest’avversione scaturisce non solo a
causa di motivazioni narcisistiche e di timore rispetto a una privazione di
valore sociale, bensì nell’intenzione, di colui che viene ritratto, di ottenere
subito un prodotto, in breve tempo, una semplice foto.

1  David Ocatvius Hill (Perth, 1802 - Edimburgo, 1870) è stato un pittore e pioniere della fotogra-
fia scozzese.

2  Grazioli, Op. cit., pp. 17-19.

46 | 47 la fotografia della luce non visibile

Fig. 41

Fig. 40 Helmut Newton, Dalla serie Big Nudes, 1980.

72 | 73 la fotografia della luce non visibile

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Testo e immagini

Le immagini invece seguono una propria griglia che nella pagina a sini-
stra parte dal margine interno della gabbia di testo e arriva al margine
esterno della pagina. Rispettivamente a destra parte dal margine interno
per arrivare oltre il margine della gabbia di testo ma in egual misura ri-
spetto alla distanza della pagina di destra.

È stato scelto di dividere le parti di immagini e le parti di testo. In questo


modo le fotografie contenute, spesso collegate direttamente alla parte di
testo, assumono il giusto valore e sono visibili e apprezzabili dal lettore.

Numero di pagina e occhiello

Occhiello e numero di pagina rimangono elementi fissi e immutati in tutto


il dossier. Si è scelto di inserire la numerazione di entrambe le pagine
sull’allineamento in basso alla gabbia di testo sinistra (pagina sinistra).
L’idea è dare un senso di unione (come se si trattasse di una pagina unica)
tra immagini e testo, da sinistra verso destra.

la fotografia della luce non visibile


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Carattere

È coerente con le intenzioni di questo progetto, la scelta di un font non


graziato. Ho selezionato tre opzioni di caratteri bastoni: Roboto, Futura
e Helvetica Neue. La scelta è ricaduta su Futura per la sua qualità di leg-
gibilità e il tipo di contrasto. Il carattere utilizzato è unico e a cambiare
sono unicamente i pesi scelti (rispettivamente per il corpo, i titoli, le note,
ecc.). Questo carattere è adottato in tutti i prodotti di questa tesi, in modo
da conferirne un’identità unica e coerente.

la fotografia della luce non visibile


PROGETTO
GRAFICO:
IL LIBRO
FOTOGRAFICO

190 | 191
Il libro fotografico ha lo scopo di mostrare i risultati più significativi ottenuti
nel processo di sperimentazione, racchiusi in due serie di tre fotografie.
Questo prodotto mantiene l’identità visiva del dossier di ricerca e speri-
mentazione tramite la copertina e il carattere tipografico scelto (Futura).
L’impaginazione invece è centralizzata a valorizzare le foto.
Il carattere delle foto realizzate (e la qualità tridimensionale del bianco
e nero ottenuto) ha una maggiore efficacia se l’immagine ha una dimen-
sione maggiore, per questo motivo si è scelto un formato più grande
(27cmx40cm).

la fotografia della luce non visibile


S.

1 | ULTRA CORPO I

192 | 193
Testo e immagini

La presenza di testo è ridotta all’essenziale. Trova uno spazio margi-


nale all’interno della griglia del documento.

Le foto occupano prevalentemente lo spazio e le immagini sono taglia-


te al vivo. L’idea è quella di conferire in questo modo una forza al sog-
getto, non racchiudendolo in un passepartout e di lasicare lo sguardo
del lettore esplorare l’immagine attraverso l’intera pagina. Il richiamo
è quello di una carta fotografica, in questo senso anche il peso della
carta scelto influisce in questa direzione.

Essendo questo un prodotto che può risultare indipendente dal dossier,


è stato scelto un titolo diverso.
L’immagine presenta un’identità oltre al corpo visivamente percepito;
da qui il titolo ultra corpo

la fotografia della luce non visibile


ULTRA
CORPO
Carlo Alberto Rusca

SUPSI 2014

1 | ULTRA CORPO I

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Numero di pagina

È stato scelto di non inserire né un indice né una numerazione di pagi-


na. Questo perché il basso volume di pagine, unite al grande formato
di stampa, permettono di avere un prodotto consultabile dal fruitore per
intero, in modo facile e veloce; senza, quindi, la necessità di riferimenti
che, in questo caso, avrebbero unicamente svolto un ruolo di disturbo nel
visionamento delle fotografie.

la fotografia della luce non visibile


BIBLIOGRAFIA
E FONTI

196 | 197
In ordine alfabetico (cognome).

Robert Adams, La bellezza in fotografia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995.

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Prato, Padova, 2001, pp. 25-28.

H. P. Autenrieth, A. Aldrovandi, P. Turek, La ripresa della fluorescenza ultravioletta: problemi e


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la fotografia della luce non visibile


SITOGRAFIA

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In ordine di data d’ultimo accesso.

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Nir Arieli, http://www.nirarieli.com (ultimo accesso 2.5.2014).

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Richard Mosse, http://www.richardmosse.com (ultimo accesso 3.5.2014).

Edoardo Agresti, http://www.blog.edoardoagresti.it (ultimo accesso 4.5.2014).

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la fotografia della luce non visibile


IMMAGINI

200 | 201
Fig.5 Weegee, At the palace theater, 1945.
Fig.6 Elio Ciol, Dalla serie “Italia Black and White”, 1985.
Fig.7 Ansel Adams, Thunderhead over Tuolumne, 1967.
Fig.8 Richard Mosse, Infra, 2011.
Fig.9 Anton Corbijn, Tom Waits, 1980.
Fig.10 Anton Corbijin, U2, 1984.
Fig.11 Nir Arieli, Dalla serie “Inframen”, 2013.
Fig.12 Nir Arieli, Dalla serie “Inframen”, 2013.
Fig.13 Nir Arieli, Dalla serie Inframen, 2013.
Fig.14 Richard Mosse, Dalla serie “Infra”, 2011.
Fig.15 Richard Mosse, Dalla serie “Infra”, 2011.
Fig.19 Leslie Wright, Honeysuckle, 2014
Fig.20 Honoré Daumier, Il vagone di terza classe, 1862.
Fig.21 Hippolyte Bayard, Autoportrait en noyé, 1840.
Fig.22 Anonimo, Fabbro, prima del 1850.
Fig.23 Henry Peach Robinson, Here They Come, 1859.
Fig.24 Nadar, Ritratto di Cléo de Mérode, 1894.
Fig.25 Nadar, Sarah Bernhardt, 1855.
Fig.26 Anonimo, 1880 ca.
Fig.27 Timothy H. O’sullivan, Una messe di morte, Gettysburg, 1863.
Fig.28 Eadweard Muybridge, Starting for a run (shoes), 1887.
Fig.29 Frantisek Drtikol, Composizione, 1927.
Fig.30 Edward Weston, Anita nuda, 1925.
Fig.31 Robert Capa, Miliziano spagnolo colpito a morte, 1936.
Fig.32 Lee Miller, Buchenwald, 1945.
Fig.33 Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe, 1862-863.
Fig.34 Jean Désire Gustave Courbet, Origine du monde, 1866.
Fig.35 John Ernest Joseph Bellocq, Nudo alla finestra, 1908.
Fig.36 Robert Mapplethorp, Dalla serie “X portfolio”, 1978.
Fig.37 Robert Mapplethorp, Dalla serie “Perfect Moment”, 1989.
Fig.38 Alice Boughton, Nudi di ragazze, sd.
Fig.39 Larry Clark, Teenage Lust, 1981.
Fig.40 Helmut Newton, Dalla serie Big Nudes, 1980.
Fig.41 Helmut Newton, Dalla serie Big Nudes, 1980.
Fig.42 Rudolf Schafer, Dalla serie “La Morgue”, 1992.
Fig.43 Aziz+Cucher, Dalla serie “Dystopia” Maria, 1994.
Fig.44 Matthew Barney, Cremaster 4, 1995.
Fig.45 Matthew Barney, Cremaster 4, 1995.
Fig.46 John Coplans, Autoritratto, 1985.

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Parte delle immagini presenti in questo dossier sono state scaricate da
google immagini (www.google.com) e da Flickr (www.flickr.com), ad ec-
cezione di

fig.11, 12 e 13 da www.nirarieli.com;

fig.8, 14 e15 da www.richardmosse.com;

fig. 5, 21, 22, 25, 26, 27, 29, 30, 31, 32,
38, 39, 40, 41, 43, 44, 45 e 46 da Elio Grazioli, Corpo e figura umana
nella fotografia, Mondadori, 1998;

fig.37 da Daniel Girardin, Christian Pirker, Controverses, Actes Sud/Mu-


sée de l’Elysée, Losanna, 2003;

fig. 16 e 17 da S. O. Rawling, Infra-red photography, Blackie and Son


Limited, Londra, 1935.

Le illustrazioni da p. 84 a p. 99 sono riportate da Laurie White, Infrared


Photography Handbook, Amherst Media, Amherst, 1995.

Tutte le immagini (grafici, illustrazioni, fotografie e fotomontaggi) presenti


da p. 101 a p. 194 sono state prodotte dall’autore.

202
PIANO DI LAVORO

204 | 205
Nelle pagine seguenti è riportato il piano di lavoro da me seguito in
questi mesi. È mia intenzione fornire, a chi fosse interessato ad affrontare
ed ampliare questa ricerca, un’idea delle tempistiche da me adottate in
questo progetto.

la fotografia della luce non visibile


Maggio Giugno

Ricerca sul tema e lettura delle fonti bibliografiche

Stesura dei temi: stato dell'arte

Stesura dei temi: fondamenti estetici e di forma

Stesura dei temi: basi teoriche

Stesura dei temi: introduzione

Stesura dei temi: sperimentazione

Risultati sperimentali, correzioni e mofifiche finali

Sviluppo del layout finale

Definizione e stampa del dossier

Presentazione

RICERCA
SPERIMENTAZIONE
Filtri e frequenze

Fonti luminose naturali

Modifica del supporto digitale

Ricerca dei modelli

Fonti luminose artificiali

Scelta del soggetto: definizione

Set luci definitivo

Realizzazione serie finale

Post-produzione

Sviluppo del layout: libro fotografico

Definizione e stampa del libro fotografico

conseg

206 | 207
Luglio 7 16 Agosto 28 Settembre 8

gna intermedia incontro con la commissione consegna finale discussione

la fotografia della luce non visibile


RINGRAZIAMENTI

208 | 209
Non sarebbe stato possibile realizzare questo progetto senza la preziosa
collaborazione di alcune persone, compagni e amici che intendo sincera-
mente ringraziare.

Ringrazio la mia famiglia, mio padre Efrem e mia madre Tiziana, per il
completo sostegno e appoggio durante questi mesi frenetici, e, in maniera
particolare, mia sorella Elisa, figura per me da sempre fondamentale, con
la quale ho potuto costantemente confrontarmi e crescere.

Ringrazio il fotografo, artista e amico Paulo Greuel che ha saputo consi-


gliarmi efficacemente in ogni momento di questo percorso, fornendomi
visioni (di curvature della terra) che hanno radicalmente cambiato per
sempre il mio modo di vedere e di fotografare.

Ringrazio i miei compagni di classe che, nonostante il breve percorso sco-


lastico trascorso assieme, si sono messi completamente a mia disposizione
dimostrando una grande sensibilità, umanità e amicizia, che ha lasciato
in me un senso contrastante di gioia e di malinconia nel doverci dividere
così presto.

Ringrazio i miei modelli, che si sono prestati completamente ad ogni mia


esigenza e tempistica, volontariamente e senza alcun compenso e in molti
casi non avendo nessuna idea del risultato finale. Li ringrazio per la fidu-
cia dimostrata nei miei confronti e per l’impegno e la disponibilità data
a me sempre nel modo più spontaneo e curioso, sintomi d’intelligenza,
altruismo e bontà.

E infine ringrazio il mio relatore, Reza Khatir. Un fotografo, un maestro e


un amico, che ha deciso di intraprendere con me, senza esitazione, que-
sto viaggio incerto e rischioso. Ha saputo guidarmi e sostenermi in ogni
fase e in ogni mio dubbio con la sua più grande qualità, unica e innata,
quella di volersi, ogni giorno, ancora stupire.

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ALLEGATI

210 | 211
In allegato a questo dossier:

- un dvd contenente la versione digitalizzata del dossier di ricerca e spe-


rimentazione.

- una copia del libro fotografico ultra corpo contenente due serie di tre
fotografie, rappresentative della massimizzazione dei risultati ottenuti in
questa ricerca e sperimentazione.

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