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Supsi 2014
LA FOTOGRAFIA
DELLA LUCE
NON VISIBILE
Dossier di ricerca e sperimentazione
Quello che vediamo è vincolato dai limiti fisiologici del nostro occhio
e l’immagine che percepiamo di noi stessi è costantemente incompleta.
Questa tesi di Bachelor si concentra su una tecnica fotografica fin ora
affrontata solo marginalmente: la fotografia a infrarossi.
Attraverso un procedimento metodologico sperimentale, questo progetto
tenta di definire un nuovo e inedito modo di vedere la fisicità del corpo
umano e di noi stessi, mostrando tramite l’occhio meccanico ed eccezio-
nale della macchina fotografica, elementi tangibili e concreti appartenenti
a una realtà altrimenti invisibile. Attraverso una ricerca sulla rappresenta-
zione del corpo nella storia della fotografia vengono poste le basi per una
reinterpretazione di quest’ultima, immortalando corpi traslucidi attraverso
i quali traspare un disegno complesso, un tatuaggio naturale, composto
da vene e sangue che, indisturbato e nascosto, ci avvolge e accompagna
ogni giorno. I dati raccolti e la loro riproducibilità rendono il processo di
cogliere questo nuovo elemento, replicabile, aprendo, così, nuovi sguardi
e possibili applicazioni in tutti gli ambiti che comunicano attraverso im-
magini e suggestioni. Un libro fotografico, contenente la massimizzazione
del risultato ottenuto, accompagna questo dossier, con l’intenzione di su-
scitare nuovi quesiti e spunti per ulteriori ricerche in questo ambito inedito
e affascinante della fotografia.
INDICE
Introduzione 6
tema e intenzioni 7
domanda e ipotesi 8
ipotesi di progetto 9
possibili applicazioni 10
Stato dell’arte 12
La luce visibile 83
La lunghezza d’onda 85
La luce non visibile 85
Gli infrarossi 86
Il colore e la luce riflessa 87
Impostazione tecnica 89
La materia 91
Le fonti di luce 92
Ipotesi tecniche per la fase sperimentale 97
Griglia 185
Testo e immagini 187
Numero di pagina e occhiello 187
Carattere 189
6|7
Tema e intenzioni
8|9
Domanda
Come rivelare con l’utilizzo della fotografia caratteristiche del corpo uma-
no invisibili ad occhio nudo?
Ipotesi
Il prodotto finale della mia tesi sarà un dossier di ricerca che spieghi e
analizzi l’impiego delle frequenze a infrarosso da me individuate, appli-
cate al ritratto e alla rappresentazione del corpo. In questo documento
sarà presente una dettagliata ricerca formale e espressiva sul ritratto e i
limiti della rappresentazione del corpo, unita all’esposizione della speri-
mentazione che andrò a intraprendere, riportata metodologicamente e
resa riproducibile in altri contesti. Un libro fotografico conterrà, infine, i
risultati da me ottenuti in una serie fotografica che integri tutte le parti e
gli aspetti della mia ricerca. È mia intenzione creare dei prodotti che pos-
sano rappresentare un riferimento, un punto di partenza per ulteriori ri-
cerche, in un ambito della fotografia affrontato oggi solo marginalmente.
I risultati saranno orientati maggiormente all’ambito comunicativo piutto-
sto che a quello artistico: delle ipotesi di applicazione a fini comunicativi
delle foto realizzate saranno presenti nel dossier.
10
STATO DELL’ARTE
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Breve introduzione alla fotografia della luce non visibile
Fig.2
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La fotografia a infrarosso nella storia
Fig.4
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La risposta a uno sviluppo a colori di questa tipologia di supporto eviden-
zia con toni surreali gli elementi ritratti.
Questa caratteristica trova nuovamente un’applicazione in ambito militare
durante la Seconda Guerra Mondiale: allo sviluppo, la risposta a infraros-
so risulta “sbagliata” in termini di colore, permettendo di evidenziare, in
una fotografia aerea, eventuali soggetti mimetizzati al suolo. Questi ap-
paiono infatti sgargianti e diversi dal colore del terreno, che è sempre non
riconducibile a un colore naturale, tuttavia inscindibilmente costretto alle
caratteristiche biologiche della natura. La tecnica, definita anche come
“false-color infrared”, trova poco interesse da parte dei fotografi, fino agli
anni Sessanta. I suoi primi usi si hanno in concomitanza con l’avvento del
rock psichedelico. Le cover di diversi dischi di Jimi Hendrix (fig. 3), Do-
novan e Frank Zappa (fig.4) presentano fotografie realizzate a infrarosso
a colori. Proprio le caratteristiche surreali e innaturali di questo supporto
si accordano con l’estetica emergente in questi anni. Sono i primi casi di
ritrattistica nella quale l’infrarosso viene utilizza per la rappresentazione
del corpo. Passato questo momento storico vi è un disinteresse all’impiego
della fotografia a infrarossi in questi termini, dovuta anche all’evoluzione
estetico-formale dopo questo particolare momento e la fine del movimento
hippie.
Fig.6
18 | 19
Durante la Seconda Guerra Mondiale vengono però esplorate anche altre
caratteristiche del supporto a infrarosso, come ad esempio la possibilità
di fotografare in completa assenza di luce naturale, utilizzando un flash
a infrarosso, senza essere, quindi, visti dal soggetto; la luce invisibile
all’occhio umano illumina la scena e il supporto a infrarossi immortala il
momento. Questa applicazione viene subito accolta da alcuni fotogiorna-
listi, il più noto Arthur Fellig, in arte Weegee, ruba di nascosto attimi di
vita mondana nella New York di fine anni Quaranta. La sua serie più nota
è At the palace Theater (1945, fig. 5) nella quale vengono ritratti, a loro
insaputa, i pubblici delle affollate sale cinematografiche newyorchesi1.
L’infrarosso in bianco e nero applicato al paesaggio, date le sue carat-
teristiche più sobrie, rigorose e funzionali, mantiene una sua fascia di
utilizzatori; tra gli esponenti più significativi e illustri il fotografo italiano
Elio Ciol, con la sue serie Italia Black and White (fig. 6), l’inglese Martin
Reeves, con i suoi paesaggi del sul sud est asiatico (in particolare il libro
fotografico Angkor: Into The Hidden Realm) e gli statunitensi Ansel Adams,
con le sue celebri serie fotografiche attraverso i grandi parchi naturali
americani (fig. 7), e Minor White, le cui foto Cobblestone House, Avon,
New York in light and Film verranno riprodotte nel 1970 da Time-Life
incrementando, così, la considerazione e il valore artistico attribuito a
questo particolare supporto2.
L’utillizzo del bianco e nero a infrarossi prevalentemente da parte di una
nicchia della fotografia paesaggistica ha portato alla graduale diminu-
zione della fabbricazione e distribuzione sul mercato della pellicola a
infrarosso, definendo sempre di più la produzione a un limitato numero di
supporti disponibili: prima in bianco e nero e colore, poi successivamente
solo in bianco e nero.
2 Ibidem, p. 7.
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A partire dagli anni Novanta, l’avvento del digitale vede l’impiego di sen-
sori capaci di catturare tutto lo spettro luminoso. Dato che le aberrazioni
del risultato in immagine rispetto ai canoni richiesti dalla rappresentazio-
ne del reale sono una caratteristica delle frequenze di luce invisibili (spe-
cialmente delle frequenze a infrarosso) - e quindi non essendo di interesse
comune riuscire a riprodurle a discapito dello spettro visibile - le case
produttrici hanno deciso di applicare su tutte le macchine prodotte un filtro
interno che limiti lo spettro catturabile dal supporto digitale, escludendo
quindi ultravioletti e infrarossi. La rimozione di questo filtro e, quindi, un
approccio della fotografia che comprenda l’intero spettro luminoso è una
sperimentazione in atto da parte di una piccola nicchia di fotografi in
campo artistico, senza trovare ancora una codificazione precisa e una
metodologia definita, bensì solo dei singoli riscontri empirici.
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La fotografia a infrarosso nel ritratto
Fig.10
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Alcuni fotografi hanno continuato a impiegare questa tecnica nel ritratto,
orientandosi all’utilizzo del bianco e nero rispetto al colore (o false color,
trattandosi d’infrarosso); uno dei più noti è il regista e fotografo olandese
Anton Corbijn che dagli anni Ottanta fotografa celebrità del mondo dello
spettacolo (fig. 9) collaborando con riviste del calibro di Vogue, Rolling
Stone e ELLE utilizzando proprio questa tecnica. Sua è anche la cover del
celebre disco degli U2 The Unforgettable Fire (1984, fig. 10) realizzata
con pellicola Ilford a infrarosso.
Le caratteristiche della gamma d’infrarossi vicina conferisce ai soggetti
fotografati un aspetto etereo e particolare. Viene infatti adoperata in al-
cune fotografie di moda per conferire alle modelle caratteristi plastiche
e sovrannaturali. A spiccare fra i più recenti lavori è la serie Inframen
(2013, fig. 8, 11, 12 e 13) del fotografo israeliano Nir Arieli, che ha
immortalato una serie di giovani ballerini con una pellicola a infrarosso
di medio formato, ricevendo un’accoglienza positiva da pubblico e critica
per le caratteristiche inusuali inerenti la rappresentazione della fisicità del
corpo maschile.
Anche il fotografo irlandese Richard Mosse sta sperimentando attualmente
l’uso di questa tecnica riproponendo uno sviluppo a colori di pellicola
Kodak a infrarosso.
Il suo lavoro Infra (2011, fig. 14 e 15) ritrae alcuni momenti di tragica
realtà del conflitto in Congo, in un contesto reso surreale e intangibile
dai colori (false color). Il suo scopo era proprio quello di rappresentare il
contrasto tramite un elemento formale, motivazione che l’ha portato l’anno
successivo a reinterpretare questa serie di fotografie con l’utilizzo di una
pellicola cinematografica 16mm (anch’essa a infrarosso), creando una
video installazione. Questo progetto, The Enclave, è stato selezionato e
presentato nel 2013 alla Biennale di Venezia.
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Fig.12
Fig.13
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Fig.15
1 S.O. Rawling, Infra-red photography, Blackie and Son Limited, Londra, 1935, p. 44.
2 Walter Clark, Photography by infrared (1931), John Wiley & Sons, New York, 1946, pp.
401-402.
Fig. 17
32 | 33
La capacità di reagire in maniera diversa con la materia della fotografia
a infrarosso, apre lo spettro di questa tecniche a tutte le applicazioni che
necessitano di evidenziare caratteristiche invisibili al normale spettro lumi-
noso (alla luce visibile). Di nuovo in ambito militare, si possono evidenzia-
re veicoli e strutture mimetizzate per la loro differente reazione (ossia per
il loro diverso assorbimento) rispetto al territorio circostante.1 Così anche
vi è una vasta applicazione in ambito astronomico, data l’emanazione
dei corpi celesti di onde luminose non visibili: microonde, ultravioletti,
raggi gamma e, naturalmente, infrarossi (fig. 16).2 Nello studio della bo-
tanica elemento cardine per l’utilizzo di questa tecnica è la clorofilla: essa
reagisce agli infrarossi permettendo un’indagine della stratificazione dei
tessuti biologici della pianta.3 Basti pensare nuovamente alle fotografie
paesaggistiche a infrarossi, nelle quali il fogliame risalta bianco e lumino-
so, in contrapposizione con le consuete rappresentazioni pancromatiche,
nelle quali le foglie risultano scure. Attraversare la materia è caratteristica
basilare in un’altra applicazione della fotografia a infrarosso: l’indagine
atta a identificare manomissioni e falsificazioni in ambito pittorico, storico
e calligrafico. Le vernici e gli inchiostri contemporanei utilizzano una divi-
sione del colore nero rispetto agli altri elementi cromatici. Tale inchiostro
o vernice, proveniente da un processo industriale anziché da una deriva-
zione naturale (e quindi senza un’alta componente organica e di acqua),
non è in grado di riflettere gli infrarossi e viene attraversato da essi (fig.
17).4 È quindi facile risalire, tramite una fotografia a infrarossi, sia essa di
un testo scritto o di un dipinto, a parti al di sotto (e quindi invisibili) di uno
strato applicato in un secondo momento (recente) all’opera. Questa tecni-
ca è quindi ampiamente applicata in ambito storico artistico, per capire
se vi sono elementi aggiunti o nascosti nelle opere pittoriche così come la
veridicità della datazione dichiarata.
3 Ibidem, p. 33.
4 Ibid., p. 35.
2 Ibidem, p. 244.
34
Fig. 18
Scansione a UV medica.
È possibile così valutare in
modo preciso lo stato della
superficie della pelle.
Fig. 19
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L’altra luce non visibile
3 Elio Grazioli, Corpo e figura umana nella fotografia, Mondadori, Milano, 1998, pp. 48-51.
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Corpo e figura umana nella fotografia
Fig. 21
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Dopo la pittura: una nuova coscienza
1 Jean-A. Keim, Breve storia della fotografia, Einaudi, Torino, 1976, pp.18-22.
2 Il dagherrotipo è uno dei primi procedimenti fotografici (il primo ufficialmente riconosciuto) cre-
ato da Louis Jaques Mandé Daguerre Si tratta di un’emulsione di argento (argento sensibilizzato
alla luce tramite vapori di iodio) su supporto di rame (lastre). La reazione necessita di un’espo-
sizione tra i quindici e i venti minuti ed essendo su un supporto fisico direttamente impresso, il
prodotto è unico e non riproducibile.
1 Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre), Mondadori, Milano, 2012, p.21.
3 Ibidem, p.6.
42
Fig. 22 Anonimo, Fabbro, prima del 1850.
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Il dagherrotipo: aspetti formali e evoluzione
Fig. 24
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Vi sono in breve tempo però sperimentazioni e ricerche in ambito formale
che portano a esiti e necessità diverse, basti pensare ai dagherrotipi di
David Octarius Hill1, che vedono l’attenzione del ritrattista spostarsi dallo
studio e dal soggetto posato, per ricercare una ripresa in ambienti natura-
li, concreti e reali (come la riva di un lago o un prato in un parco pubblico)
nei quali vengono immortalati soggetti scomposti, apparentemente intenti
a fare altro; è forse una prima e timida intenzione di cogliere l’attimo,
l’atteggiamento, la situazione e l’emozione istantanea espressa dal sog-
getto, allontanandosi così dalla rappresentazione accademica e svelando
l’incredibile potenzialità del supporto fotografico.
1 David Ocatvius Hill (Perth, 1802 - Edimburgo, 1870) è stato un pittore e pioniere della fotogra-
fia scozzese.
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Il soggetto diventa cliente, e come esso ha esigenze spesso diverse da
quelle dell’esecutore, dell’autore, del fotografo1; tutto questo è indice di
una realtà che cambia radicalmente. Nasce il ritratto commerciale, la fo-
tografia diventa una vera e propria industria e, ancora una volta, la figura
umana ne è protagonista.
2 Ibidem, p.36.
Fig. 27
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La fotografia antropologica e scientifica
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Se è questo che succede nelle parte più remote del mondo, in Europa e in
America la fotografia si tramuta in mezzo per la divulgazione scientifica,
ad appannaggio di scienziati e medici, così come di enti governativi e
polizia. Anche in questo caso la composizione e gli aspetti formali sono
a scapito dell’intenzione di riportare un fatto concreto e reale. Nonostan-
te questo è la passione che guida questi pionieri (in gran parte medici,
psichiatri e scienziati) ad esplorare attraverso l’obbiettivo il corpo in tutte
le sue forme, con un particolare interesse verso il diverso e le deformità,
sia di carattere fisico che mentale. La diffusione del medium fotografico è
quindi tramite di conoscenza, alla portata di tutti, in grado di diffondere
anche il brutto, il non visto e il diverso. Volti su fondi neutri, spogli essen-
ziali, così da denotarne la fisicità e in molti casi, impressionanti difetti e
malattie, si susseguono; a volte messe in scena, in tutti i casi i corpi dei
soggetti sono ripresi nella loro interezza; cataloghi di volti, sguardi in
camera e espressioni neutrali, immobili nel tentativo di non compromette-
re la propria figura con un gesto o un’espressione mal interpretabile dal
fruitore dell’immagine finita. Un metodo scientifico che intrinsecamente
cela una formalità di ripresa, che forse solo oggi possiede un individua-
bile qualità estetica. È questo fervore scientifico che induce nuovamente
ad interrogarsi sul rapporto tra corpo e anima; tra visibile, percepibile
e realtà interiore. Il corpo viene ripreso come una macchina, attraverso
ogni strumento, come l’encefalogramma e l’elettrocardiogramma, fino alla
radiografia, ma i quesiti si orientano, oltre l’oggettività materiale.
È la ricerca di un’anima che guida il corpo e che va oltre esso. Nelle
sequenze di Muybrige (fig. 28) la ricerca è attraverso il movimento ma,
è il ruolo del corpo nello spazio o il tentativo di immortalare un’aspetto
impercettibile come il tempo? In una dimensione istantanea esprimere un
concetto oltre il corpo, metafisico, impalpabile diventa una conseguenza
e un obiettivo; serie che diventano cronografi per vedere il tempo, vedere
oltre la fisicità rappresentative di uno sguardo che segnerà la storia del
ritratto.
1 László Moholy-Nagy, Pittura Fotografia Film (1987), Einaudi, Torino, 2010, p. 31.
Fig. 30
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Il lavoro sul taglio fotografico scardina l’immagine fino ad allora tradizio-
nale evidenziando il carattere frammentario del fotogramma; asimmetrie
e costruzioni innaturali (o perlomeno da punti di vista inediti) propongono
ora un’ esclusione rispetto ad una circoscrizione di ciò che si intende far
vedere. L’armonia è interna alla foto come prodotto compiuto e raramente
la si ricerca nel soggetto (fig. 30).
La ricerca della forma, e il corpo sfruttato come mezzo per ottenerla in-
staurerà un dialogo con le avanguardie e le correnti artistiche di inizio
novecento. I collage di Hausman ridurranno volti a elementi di un insieme
grafico, così come estremizzazioni geometri nelle composizioni di Dirtikol
(fig. 29), e Moholy-Nagy, nella essenzialità di forme e colori del Bauhaus;
la distruzione e deformazione della fisicità nella corrente surrealista ricer-
cheranno un’interpretazione della psiche e dell’irreale riducendo il corpo
a insieme di parti scomponibili; manichini visti attraverso lenti grandango-
lari, deformi e ai vertici opposti della rappresentazione figurativa e fedele,
che aveva conferito alla fotografia il merito di rappresentazione sincera.
Ma la sincerità di questo supporto è ormai compromessa inesorabilmente
dalla scelta del quadro (lo era anche prima, forse, più inconsapevolmen-
te). Nonostante, parallelamente dal punto di vista storico, all’interno delle
correnti nazionaliste che dilagano in Europa, si proponga una visione del
corpo naturalistica e estremizzata ai valori ideologici del fisico, denotan-
done attraverso la composizione e i soggetti la forza fisica e le qualità
innate del popolo della nazione fotografata (in particolari modo in Russia,
Italia e successivamente in Germania), il fotogramma rimane una scelta
determinante; il simbolismo prevale, ma è ottenuto grazie a scelte formali,
non solo di messa in scena ma anche d’inquadratura. L’immagine è atta
a manipolare la percezione, ingannare e, specialmente, comunicare un
valore ben preciso e calcolato dal fotografo.
La fotografia, e la fotografia dei corpi, non sarà più il testimone fedele,
ma bensì strumento per comunicare unicamente una soggettiva e interpre-
tabile porzione di realtà.
Fig. 32
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Significative le parole d’accompagnamento alle foto scattate nel campo
di concentramenti di Dachau (fig. 32) inviate nel quarantacinque, dalla
fotoreporter americana Lee Miller alla redazione del giornale con cui co-
operava, “vi supplico di credere che è la verità”1. Non si tratta più delle
foto dei viaggiatori del XIX secolo, ma di riportare verità su scala mon-
diale; è creare un’opinione. È di centrale importanza che, nelle immagini
di conflitti e realtà disagiate, la figura dell’essere umano diventi iconolo-
gicamente rappresentativa. Ma come? In che modo? Si tratta di soggetti
spesso inermi di fronte ad una realtà che gli sta crollando addosso. Si
potrebbe aprire un dibattito di carattere etico, di etica dell’informazione,
ma non è il caso di questa ricerca. È interessante invece comprendere
quali aspetti formali e estetici possono emergere da una fotografia che
intende o tenta, per arrivare al reale, di spogliarsi d’estetismo; di cogliere
il vero senza manipolazioni. Come detto in precedenza, nel momento in
cui l’immagine viene bloccata in una quadro questo processo è impossibi-
le e le scelte fatte diventano irreversibili e inevitabilmente estetico-formali.
Basti pensare al dialogo tra il reportage e la corrente del neorealismo nel
cinema degli anni cinquanta. I campi lunghi, la predilezioni degli spazi,
fornisce ai corpi una forza distinguibile e calcolata. Sono proprio gli spazi
a parlare, distrutti e segnati dalla guerra, ma sono i corpi ad inciderli, con
volti del popolo che ha subito fame e miseria; sguardi spesso rivolti alla
camera, carichi di tensione e accentuati da una un ulteriore tensione nella
composizione. Vi è quindi una componente estetico-formale apprezzabile
in tutte le foto di reportage, o almeno, in quelle più importanti e significa-
tive? Difficile rispondere con certezza a questa domanda.
Il fotografo americano Roberts Adams scrive, a proposito della famosa
foto di Robert Capa, Miliziano spagnolo colpito a morte (fig. 26), “qual-
cuno potrebbe forse sostenere che in termini puramente percettivi, giu-
dicando unicamente la composizione questa fotografia è un piacevole
assemblaggio di forme. Difendere l’immagine su questo piano è però una
forzatura, ed equivale a negare la fondamentale, primaria importanza del
soggetto. Il punto è che l’oggetto che cade è un uomo”2.
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Fig. 33
Fig. 34
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La fotografia di nudo e il corpo nell’arte contemporanea
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Fig. 36
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Significativo è il caso del fotografo americano Robert Mapplethorpe e la
sua serie Robert Mapplethorpe: The Perfect Moment (1989, fig. 37), nella
quale il fotografo esplora ritratti con un’ottica di trasgressione e rottura
nei confronti della censura morale, proponendo soggetti atti a pratiche
bondage e sadomaso; la più controversa della serie è un autoritratto nel
quale l’autore posa con una frusta in cuoio che gli penetra l’ano. È proprio
questo scatto che mobilitò l’opinione pubblica, additando la fotografia
come oscena; la American Familiy Association chiese la chiusura dell’e-
sposizione al Contemporary Arts Center di Cincinnati con il supporto da
parte delle enti governative defindeno il materiale contenuto all’interno
d’essa sensazionalista e immorale. Avvenne un boicottaggio da parte dei
musei nazionali che si rifiutarono di accogliere nelle loro sedi la serie. La
decisione di esporre le opere del fotografo nel Contemporary Arts Center
di Cincinnati, costò al museo una denuncia per oscenità. oscenità. Por-
tata in tribunale, l’esito del processo fu di particolare importanza perché
il museo e il suo direttore furono dichiarati non colpevoli. Venne definito
dalla corte che ogni opera presente in un museo, si definisca artistica a
prescindere dal contenuto oggettivo di essa.1 È forse questo che definisce
la differenza tra nudo artistico e pornografico? È forse lo statuto di opera
d’arte da parte della critica e quindi la sua condivisione tramite le istituzio-
ni museali a definire questo sottile e controverso divario?
1 Daniel Girardin, Christian Pirker, Controverses, Actes Sud/Musée de l’Elysée, Losanna, 2003,
pp. 200-201.
Fig. 39
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Come una piccola Maya desnuda, Nudi di ragazze (s.d, fig. 38) di Alice
Boughton aveva, alla fine Ottocento, sconcertato la massa e innalzato
dibattiti etici e morali, quasi cent’anni dopo, Teenage Lust (1981, fig. 39)
di Larry Clark (come molte sue opere, e come opere di molti altri) verrà
accolto con lo stesso fervore e lo stesso sconvolgimento. È vero che nell’e-
sempio citato, il sesso inteso come atto sessuale è al centro delle tematiche
del fotografo e non coinvolge un più sottile e interpretabile secondo piano
di lettura. È l’intrusione nel privato a turbare il pubblico, nel sesso, e in
alcuni casi nel sesso considerato deviato dalla morale di matrice catto-
lica occidentale. Lo sviluppo dei soggetti è inscindibilmente legato agli
aspetti culturali; nei dipinti i Hokusai ritroviamo una visione del sesso e
della nudità completamente opposte e impensabili dai suoi contemporanei
occidentali. Così è anche per la fotografia, sono le imposizioni culturali
e sociali a guidare fino ad oggi cosa si può o non si può far vedere. Di
prepotenza entra la necessità di capire perché il nudo fotografico sia
prevalentemente legato alla donna. La struttura patriarcale e maschilista
europea (nella quale è compresa anche quella americana) influenza la
scelta del soggetto. La fotografia diventa mezzo di liberazione dai vincoli
etici e morali; fotografe fotografano altre donne, e la fotografia diventa
strumento per veicolare una rivolta, atta a cambiare la visione e i pesi
attribuiti al corpo. È la libertà dal significato del corpo che guida le serie
di Newton (fig. 40 e 41), nelle quali donne e uomini vengono fotografati
nella loro completa fisicità, rappresentativi di tutte le fisionomie, corporatu-
re e morfologie. In una realtà come quella attuale, nella quale l’avvento di
internet, ha reso accessibile ogni tipo d’immagine, si parla addirittura di
era della pornografizzazione1. La quantità di nudo alla quale il pubblico
è sottoposto, attraverso ogni media e ogni settore (dalla pubblicità, alla
moda, all’editoria) rende arduo il compito del fotografo di restituire para-
metri reali e concreti per creare qualcosa di nuovo e di non fraintendibile.
La mercificazione del corpo, o meglio, dell’immagine d’esso assottiglia
ancor di più il margine tra nudo artistico e pornografia. Come definire al-
lora una fotografia che vuole comunicare, rispetto a un’immagine priva di
profondità di contenuto? È forse il caso dell’autoritratto di Mapplethorpe
esplicativo per risolvere questa controversia o è solo un’importante con-
quista, parte di una condizione ancora in fase di ricerca e definizione?
1 Marco Menicocci, Pornografia di massa. Dalla Rivoluzione Culturale alla Porn Culture, Altravi-
sta, Padova, 2008, p.16.
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Fig. 41
Fig. 43
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Come detto, le soluzioni formali sono ormai più variate, sregolamentate o
viceversa, estremamente fedeli a canoni già intrapresi, tanto da diventare
vere e proprie citazioni, tornando però a lavorare sul soggetto e a cosa,
esso porta oltre l’immagine. Ad esempio La Morgue (fig. 42), serie di
ritratti di deceduti a causa di morti violente di Rudol Schäfer, ripresi con
una classicità assoluta che lascia il soggetto solo all’interno del quadro,
elemento puramente estetico e di forma, ma inscindibilmente collegato
agli occhi dello spettatore, alla sua reale condizione, la morte. Alcuni
fotografi adottano tramite l’elaborazione in post produzione soluzioni atte
a rimettere in discussione il corpo come oggetto, o semplicemente, come
limite. Le creature asessuate di Matthew Barney (fig. 44 e 45), i volti senza
bocca né occhi di Aziz e Cucher (fig. 43)propongono soluzioni nuove,
diverse da quello che ormai è parte del bagaglio visivo dello spettatore
d’oggi. Un corpo post-organico1 attraverso il quale ampliare lo sguardo
del fruitore, oltre i limiti della fisicità.
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Fig. 45
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La percezione del reale
2 Ibidem, p.341.
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Basi estetiche progettuali
Dopo questa analisti, unita allo stato dell’arte, è possibile definire i para-
metri estetico formali secondo i quali indirizzare la produzione durante
la sperimentazione. Il mio interesse si sofferma su caratterizzare la com-
ponente fisica in un ambito, quello della luce non percepibile, che risulti
tramite dell’incongruenza tra immagine percepita e immagine di sé, men-
tale; un’identità visiva più vicina ad una realtà della mente.
Le immagini a infrarosso permettono di veicolare questo messaggio e
quindi sono potenzialmente strumento utile e, come definito nella ricer-
ca, estremamente attuale e contemporaneo. Un tipo di elaborazione che
permette di catturare luce che in digitale sarebbe impossibile ricreare, e
quindi un processo diverso ma similare alle elaborazioni in post produzio-
ne finora attuate. È mia intenzione un ritorno agli albori della fotografia,
ai dagherrotipi, all’interrogarsi sulla propria figura. Proprio per questo la
composizione mostrerà il corpo nella sua interezza, su fondo neutro e con
uno sguardo diretto in camera, lasciando spazio ai nuovi elementi visibili
di dialogare col fruitore. Nella semplificazione degli elementi, è il corpo
nudo a prevalere, senza caratteri fraintendibili o fonti di distrazioni. La
mia scelta ricade sulla pellicola, mezzo fisico, come la barriera che s’im-
pone tra soggetto e identità d’esso.
Nella serie che andrò a realizzare vige una semplificazione atta a con-
centrare, a creare tensione, e non a impoverire l’immagine. Un risultato
semplice ma dal procedimento complesso, “il famoso disegno a china di
Mu-chi’, I sei cachi, venne forse realizzato in pochi secondi, ma lo studio
dil controllo che stanno dietro la sua apparente semplicità sono noti a
chiunque abbia tentato qualcosa di simile; centinaia, forse migliaia di
cachi hanno preceduto questi sei, perfetti. Uno dei motivi che rende indi-
menticabile questa immagine è proprio il suo sembrare facile e naturale”1.
È quindi il corpo che diventa immagine a parlare, a dialogare con lo
spettatore, dando spazio, forse, a nuove suggestioni.
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Prima di esporre la parte sperimentale di questo progetto, è necessaria
una ricerca sulle basi teoriche della fotografia a infrarosso e della luce
non visibile. In questo modo è possibile identificare le soluzioni tecniche
teoricamente sostenute e più opportune per condurre la sperimentazione
empirica. Questa sezione non vuole essere un trattato scientifico di fisica
della luce, atto a ricercare le cause fisico-matematiche e le applicazioni
e gli sviluppi in questo ambito, ma, bensì, con un linguaggio e riferimenti
accessibili a fotografi e comunicatori, fornire una delucidazione sulle basi
scientifiche sulle quali questo progetto, e attraverso le quali verranno pro-
dotte le fotografie.
La luce visibile
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La lunghezza d’onda
Gli infrarossi sono le lunghezze d’onda oltre il limite visibile del colore
rosso. Sono divisibili in due categorie: infrarossi vicini e infrarossi lontani.
Nello spettro fotografico, e quindi visibili dal supporto, sono considerati
gli infrarossi vicini (near infrared) che si situano tra i 730 e i 1200 na-
nometri. Oltre questa soglia ci sono gli infrarossi lontani che la materia
percepisce unicamente come calore. Questa è la sensazione calda che si
prova sotto i raggi del sole o avvicinando la mano a un ferro da stiro. Il
riscaldamento a infrarossi, comune in molte case, sfrutta proprio queste
lunghezze d’onda. Anche se teoricamente è impossibile registrare foto-
graficamente queste particolari onde, è d’interesse per questo progetto
considerare che la soglia massima degli infrarossi vicini possiede già una
componente indicativa di penetrazione nei tessuti del corpo umano. È pro-
prio il fatto che gli infrarossi lontani penetrino il tessuto che fa percepire il
calore. Individuare il limite massimo fotografabile degli infrarossi vicini è
parte integrante della sperimentazione empirica di questo progetto: più la
luce riflessa è in profonditatà dei tessuti irradiati, maggiore sarà la qualità
di evidenziare caratteristiche fisiche oltre la barriera della pelle.
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Il colore e la luce riflessa
Che colore hanno gli infrarossi, data la loro appartenenza a onde lumi-
nose che non siamo naturalmente in grado di percepire? La risposta è
semplice, la loro rappresentazione colorimetrica è a sua volta un’interpre-
tazione, ma non riconosciuta dal nostro percetto: la risultante è una rap-
presentazione monocromatica, in bianco e nero. Esiste però il supporto a
infrarossi-colore. Esso possono essere pellicole pancromatiche (ossia che
catturano il normale spettro visibile) con l’aggiunta di frequenze monocro-
matiche a infrarosso, o più semplicemente pellicole a infrarosso alle quali
viene attribuito un colore in fase di sviluppo o elaborazione, questa prati-
ca viene chiamata “colore falso”(false color) essendo la risultante una pro-
posta cromatica completamente irrazionale rispetto ai canoni percepiti.
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Impostazione tecnica
1 Laurie White, Infrared photography Handbook, Amherst Media, Amherst, 1995, p.18.
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La materia
candela
lampadina (tungsteno)
sole di mezzogiorno (daylight)
CALDA FREDDA
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La temperatura di colore può aiutarci a capire quali sorgenti luminose
sono maggiormente ricche di infrarossi; le temperature più basse, quelle
più calde, hanno tonalità rosse più presenti, questo è indice di una vici-
nanza della zona di luce non visibile oltre al rosso, gli infrarossi vicini.
Sono quindi più idonea e più ricche di lunghezze d’onda reperibili da un
supporto atto a registrare questa parte di luce non visibile.
Il sole varia la sua temperatura di colore a secondo del momento del-
la giornata, perché l’atmosfera influisce sulla scomposizione della luce
bianca modificandone la temperatura di colore. Al tramonto la posizione
del sole rispetto all’atmosfera fa si che le frequenze rosse aumentino e
che quindi la luce sia di una tonalità più vicina al rosso e al giallo: è il
tramonto.
Le condizioni di luce artificiale sono invece costanti e presentano tempe-
rature diverse (e quindi emanazione di infrarossi diverse) a seconda della
sorgente.
Un’ulteriore fonte luminosa è il Led. I led sono diodi che rispondono a una
bassa tensione emettendo luce propria. Essi non solo hanno un bassissimo
consumo energetico ma possiedo anche la capacità di emettere qualsiasi
tipo di frequenza luminosa, sia essa appartenente allo spettro visibile,
sia allo spettro fotografico. La risultante è una luce con potenzialmente
qualsiasi lunghezza d’onda e senza emissione di calore o dispersione
energetica.
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la fotografia della luce non visibile
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Ipotesi tecniche per la fase sperimentale
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Primo approccio sperimentale
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90
80
70
60
50
40
30
Emoglobina
20
10
Si può notare come la trasmissione, e quindi la possibilità d’impressione su di un supporto fotografico, abbia i valori maggio-
ri tra i 900 e i 950 nanometri.
Questa zona, evidenziata in rosso, rappresenta la regione d’interesse maggiore per la ricerca e la sperimentazione. Saranno
considerati tutti i valori che possiedono un’alta percentuale di assorbimento/trasmissione in questa particolare porzione di
grafico.
100 | 101
Il primo sforzo intrapreso è stato quello di unire tutto il materiale utilie in
un modo che fosse per la prima volta rappresentato nella sua completez-
za. Tabelle e grafici riguardanti ad esempio l’assorbimento e la trasmis-
sione si ritrovano con unità di misura e rappresentazioni molto diverse
tra loro, aderenti all’ambito dal quale proviene il testo interessato (dalla
fisica applicata all’astronomia). Ho cercato di inserire i dati estrapolati in
una rappresentazione grafica in grado di essere compresa dal pubblico
di riferimento e d’interesse per questo progetto: fotografi e comunicatori
visivi. Le unità di misura scelte sono uguali per tutti i grafici, per i quali è
stata scelta una rappresentazione di carattere qualitativa e più intuitiva.
Intenzionalmente sono stati realizzati per mostrare un dato e non per otte-
nere un riscontro di carattere matematico.
Al fruitore di questo documento sarà quindi più immediato il concetto
dei dati espressi e quindi maggiormente utile ai fini di un’applicazione
tecnica.
40
30
Emoglobina
20
10
30
Emoglobina
20
10
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Essendoci a livello teorico una molteplicità di variabili implicate, è stato es-
senziale capire fin da subito la fattibilità reale del progetto e il potenziale
risultato ottenibile con i mezzi a mia disposizione.
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Prima di analizzare i possibili supporti adatti alla sperimentazione è stato
necessario capire se l’utilità del filtraggio ipotizzata potesse realmente
soddisfare le esigenze ricercate. È stato quindi necessario verificare se
un percorso teorico avesse un riscontro empirico reale e positivo rispetto
alle aspettative. Senza una conferma concreta di questo rapporto, tra
teoria e applicazione pratica, sarebbe stato auspicabile interrompere la
sperimentazione.
Applicato il filtro, a livello teorico, di maggiore efficacia, il 93F, ad una
fotocamera Nikon D800 priva di alcuna modifica e quindi sensitometri-
camente reattiva alle frequenze di luce visibile (con al suo interno un filtro
in grado di eliminare gran parte degli infrarossi recepibili digitalmente) è
stata scattata la prima fotografia del processo empirico di questo progetto:
Domenico al sole. La fonte di luce scelta è il sole ad un ora pomeridiana
vicino al tramonto (e quindi teoricamente più ricca di frequenze rosse e
infrarosse).
Il risultato è un’immagine che presenta molte problematiche ma al con-
tempo un incoraggiante punto di partenza che conferma i dati ipotizzati
a livello teorico. Dopo una tiratura in bianco e nero (B&W) e un’elabora-
zione del contrasto rispetto alla foto ottenuta direttamente dalla macchina
(RAW), le vene del corpo sono visibili e presenti nell’immagine. Il supporto
inadatto si pone a problematiche come un tempo d’esposizione lungo (1
secondo) nonostante un diaframma alla massima apertura (f 1.8) e a una
sensibilità molto alta (1600 ISO) che rende questa immagine poco nitida
e digitalmente fragile, poco idonea a manipolazioni.
Tutto questo è dovuto al fatto che la macchina utilizzata è stata costruita
per evitare le frequenze a infrarosso e, per immagazzinarne la maggior
quantità possibile, si rende necessario catturare una grandissima quantità
di luce così che possa essere recepita da quelli che, per un supporto di
questo tipo, potrebbero essere definiti come piccoli errori di progettazio-
ne. È stato dimostrato così che il filtro anti-infrarossi, che si chiama Hot
Mirror, installato in questa macchina, se irradiato da una grande quantità
di luce e se impostata un’alta sensibilità, riesce a catturare una quantità di
infrarossi sufficente a registrare un’immagine. Tuttavia la difficoltà nell’e-
secuzione, l’uso di un cavalletto e l’immobilità del soggetto, così come la
resa qualitativa in immagine appena sufficiente dovuta all’alta sensibilità
impostata, evidenzia la necessità di definire un supporto notevolmente più
performante.
Per ogni capitolo della parte sperimentale verrà prima affrontato l’ap-
proccio teorico per poi ricercare un riscontro empirico. In questo modo
la metodologia applicata avrà il supporto, appena verificato, di dati tan-
gibili. I dati riportati sarannò rappresentati secondo i riferimenti grafici
precedentemente definiti e le fotografie prodotte nella sperimentazione
seguiranno una nomenclatura intuitiva: il titolo della foto presenterà sem-
pre un elemento riconducibile alla sperimentazione in atto, così come ogni
riferimento tecnico utile, in didascalia.
Per ogni fotografia all’interno della sperimentazione saranno presentate sia una versione direttamente dalla camera (RAW, e.g
p.96), sia una versione in bianco e nero (B&W), elaborata in monocromia e nei rapporti di contrasto.
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Domenico al sole, ingrandimento; si può notare come il filtraggio renda visibili le vene del corpo.
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CCD
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Hot Mirror
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Emoglobina
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Si può notare come una macchina digitale avente un filtro Hot Mirror, sia sensibile unicamente allo spettro visibile (ad ecce-
zione di alcuni difetti di progettazione che possono avere un ritorno di luce oltre questo margine, se irradiati da una grande
quantità luminosa).
Una macchina digitale con un CCD (sensore) modificato a tutto spettro, invece, diventa sensibile a lunghezze d’onda dello
spettro non visibile e rende registrabile su supporto l’intero spettro fotografico.
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La scelta del supporto
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Dopo aver provato a modificare personalmente una macchina prosumer
(non professionale) Sony Alfa 350 e averne compreso la complessità e
delicatezza, la decisione è stata di affidare la modifica della Nikon D800
ad un laboratorio professionale specializzato. L’unico in grado di appli-
care le modifiche da me richieste a costi contenuti è stato il laboratorio
americano Life Pixel con sede a Mukilteo, nello stato di Washington.
Si può notare come la modifica a tutto lo spettro fotografico permetta al
sensore di sfruttare tutta la luce presente diminuendo drasticamente la ne-
cessità di alte sensibilità, diaframma aperto e tempo d’esposizione lungo.
Qualitativamente l’immagine e l’usabiilità della macchina si avvicina ad
una normale configurazione, consona ad un apparecchio non modificato
atto a catturare la luce visibile. Nello specifico il tempo di esposizione si
porta da 1s a 1/80 di secondo, questo rende possibile lo scatto a mano
libera e l’abbandono del cavalletto. Inoltre si ha un guadagno di 3 stop
di ISO (ad ogni stop si dimezza o aumenta del doppio tutta la luce imma-
gazzinata) e di ben 4 stop di diaframma.
Con una sensibilità così bassa e vicina alla sensibilità nativa della macchi-
na, la qualità dell’immagine e la potenzialità risolutiva della apparecchio
fotografico sono pienamente sfruttati. Il supporto diventa quindi adatto e
ottimale a questo progetto.
La sorgente di luce utilizzata in queste foto è il sole, mentre è nell’interes-
se di questo progetto capire una riproducibilità dell’effetto desiderato in
studio. Per questo motivo, a questo punto della sperimentazione, l’uso del
sole come fonte di luce viene abbandonato per identificare una sorgeten-
te artficiale più idonea ed efficace.
100
Tungsten 3200K
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Emoglobina
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Il grafico mostra come l’andamento di una lampada al tungsteno da 1000 watt (Tungsten 3200K) emani un’energia a lunghez-
ze d’onda invisibili all’occhio umano. Ritroviamo un valore vicino al 100% proprio nel punto di massimo assorbimento da parte
dell’emoglobina: questa caratteristica pone la luce al tungsteno come possibile fonte di luce primaria per la realizzazione del
progetto in studio.
112 | 113
Le sorgenti di luce artificiale
Luce al tungsteno
Con tungsteno (in inglese tungsten) si intendono tutte le fonti di luce artificiali
calde con una temperatura tra i 3000 e i 3200 gradi Kelvin. La caratteristica
di queste fonti di luce è l’alta dissipazione di energia (calore) che spesso supe-
ra la capacità illuminante in termini di consumo energetico (watt). Sono quindi
lampade che emanano più calore che luce visibile; questo già può rendere
intuibile che vi è una dispersione di raggi invisibili e quindi la possibile pre-
senza di infrarossi. Le lampade tungsten utilizzate sono di due tipi: alogene
(quarzo) e a incandescenza. In entrambi i casi la dispersione di calore rispet-
to alla potenza in lumens (l’intensità luminosa visibile) è superiore.2
La potenza della lampada è proporzionale alla quantità di luce, di luce invi-
sibile e di energia che è in grado di produrre.
2 Ibidem, p. 155.
Key Light
camera
Key Light
Back Light
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Gli scatti scelti sono un primo piano del modello, Dimitri Tungsten 1, e
un piano americano, Dimitri Tungesten 2. Alla camera è applicato per
entrambi gli scatti il filtro 93F. Si può notare come alle lunghezze d’onda
selezionate dal filtro, la quantità di luce sia notevole, permettondo valori
di sensibilità, tempo d’esposizione e diaframma buoni (fornendo la possi-
bilità di scattare a mano libera). Anche il fondo è ben esposto nonostante
non venga colpito da alcuna luce diretta. Le vene del corpo sono subito
visibili nell’immagine direttamente estratta dalla camera; tramite un’elabo-
razione in monocromia e un aumento del contrasto in postproduzione la
presenza di questo fenomeno si accentua notevolmente.
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Dimitri Tungsten 2, B&W, ISO 200, t 1/80, f 4.
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Led 5600K
60 Fluorescent 5600K
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Emoglobina
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Nel grafico sono rappresentati, in relazione all’emoglobina, gli andamenti rispetto all’energia relativa emanata di una fonte
di luce a led (Led 5600K) e una luce a fluorescenza (Fluorescent 5600K). I dati sono stati ottenuti dalle specifiche tecniche di
una lampada a quattro tubi daylight neon da 330w e di un pannello a led da 90 diodi daylight (850 lux a 1 m dichiarati).
120 | 121
La luce a led e la luce a fluorecenza
I led sono dispositivi che sfruttano materiali semiconduttori per produrre fotoni
tramite una reazione spontanea: il diodo emette quindi luce. Questo tipo di
luce non appartiene alle tecnologie precedentemente testate nell’ambito della
fotografia a infrarosso. Essendo a disposizione di questa sorgente luminosa,
affinché si possa ponderare la scelta di sorgente luminosa ottimale, è stata
verificata empiricamente la potenzialità di questo tipo di luce. La luce a fluo-
rescenza invece (i neon) è stata fin da subito segnalata, come una sorgente
di luce non idonea perché povera di raggi a infrarossi; è stata comunque ve-
rificata sperimentalmente e tenuta come controprova per le altre valutazioni.
Fill Light
camera
Key Light
Lo schema luce scelto è composto da due punti luce: una luce principale
(key light) e una luce di riempimento (fill light) posta in asse camera. La
distanza tra luce, camera e soggeto è stata scelta in mdoo da ottenere
il migliore valero espositometrico. Le luci utilizzate sono due pannelli led
Manfrotto.
124 | 125
Gli scatti scelti sono Valentina Led e Dimitri Led realizzati col filtro B+W
93F. È da notare come la luce led abbia una direzione molto più marcata
della luce a tungsteno, rendendo le vene visibili e apparentemente più de-
finite e a fuoco. Nonostante questo i valori espositometrici e la quantità di
luce in relazioni ai valori d’esposizione impostati in camera segnalato una
presenza deille lunghezze d’onda a infrarosso nettamente inferiore ripset-
to al tungesto. È utile paragonare queste fotografie ai precedenti scatti.
Lux totali Tempo Diaframma
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Dimitri Led, B&W, ISO 200, t 1s, f 1.6.
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60
50
40
30
IR Led Light
Emoglobina
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10
Nel grafico possiamo notare che la sorgente a infrarosso illtumina da 800 a circa 980 nanometri. La luce visibile è esclusa.
Questa luce risulta visibile unicamente ai supporti sensibili agli infrarossi. La curva rientra nella regione d’interesse anche se,
complessivamente, non possiede un’elevata percentuale di energia relativa.
128 | 129
La luce a led infrarosso
I diodi led sono in grado di emettere qualsiasi tipo di luce. Nello specifico
vi sono alcuni pannelli in grado di emanare unicamente frequenze infra-
rosse. Come ultima sperimentazione sulla fonte di luce artificiale è stato
adottato, appunto, uno di questi pannelli. Non è possibile raccogliere
valori espositometrici dato che gli esposimetri sono in grado di rilevare
unicamente i valori delle sorgenti di luce visibile. La valutazione è quindi
a livello empirica e puramente qualitativa. Nel grafico ritroviamo un’inter-
pretazione dei dati tecnici forniti dal produttore del pannello utilizzato, la
ditta americana Polaroid.
Key Light
camera
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Dina IR, B&W.
100
90
89B 93F
80
70
60
50
30
Emoglobina
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10
Nel grafico si può notare l’andamento dei filtri a infrarossi 89B e 93, utilizzato fino ad aadesso in tutta la sperimentazione (in
azzurro). Vi sono inoltre il filtro Hot Mirror e lo spettro coperto da un sensore modificato (CCD full spectrum). In una situazione
ideale, il filtro Hot Mirror elimina ogni lunghezza d’onda al di sopra dei 730 nm. Il sensore modificato invece permette di riceve-
re una trasmissione fino a circa 970 nm.
134 | 135
Filtraggio, fuoco ed esposizione
Nel grafico a sinistra possiamo ritrovare gli andamenti dei tre filtri pre-
cedentemente considerati, del filtro Hot Mirror di e di un sensore a tutto
spettro (CCD tutto spettro). Quest’ultimi sono la controprova per fornire
visivamente un paragone dello spettro di luce normalmente percepibile
rispetto a tutto lo spettro fotografico.
camera
138 | 139
Stefano full spectrum, RAW, ISO 200, t 1/100, f 11.
140 | 141
Stefano 93F, RAW, ISO 200, t 1/100, f 5.6.
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Ad una prima valutazione si può subito notare come la fotografia Stefano
93F presenti il risultato più efficace. È quindi il filtro 93F il più performante
per questo progetto. Le foto sono state scattate a parità di sensibilità (ISO
200), di tempo d’esposizione (1/100 s) e di distanza (3.1 m). È utile
analizzare i dati riscontrati.
Full Frost
camera
Le due lampade open face da 1000 watt impiegato sono state accese al-
ternativamente per i gli scatti, rispettivamente di con luce diffusa e diretta.
All’accensione della lampada diffusa, la perdita di 1 stop di luce dovuta
al filtraggio è stata compensata in camera aprendo il diaframma.
Le fotografie selezionate sono Giulia diretta, realizzata con il punto di luce
senza filtro diffusore, e Giulia diffusa realizzata con la luce filtrata Full
Frost. Si può notare in modo evidente che la luce diretta evidenzia mag-
giormente i vasi sanguinei. Una diffusione disperde in maniera eccessiva
la direzione della luce (già poco direzionata in questo tipo di lampade)
andando così a perdere gradatamente l’effetto voluto. Le fonte utilizzate
nella realizzazione del prodotto finale saranno quindi esenti da filtraggio.
146 | 147
Giulia diretta, B&W.
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Giulia diffusa, B&W.
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Dimitri 2250 K, B&W.
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Dimitri 7450 K, B&W.
camera
Il taglio fotografico è stato scelto tramite una valutazione degli spazi, dei
mezzi tecnici e dei principi espressi. Un inquadratura tra il piano ameri-
cano e il piano medio rappresenta il giusto compromesso tra rappresenta-
zione completa del fenomeno che gli infrarossi producono e una visione
completa delle forme del corpo. Saranno eventualmente scelti piani più
stretti per la realizzazione del prodotto e per l’evidenziazione dell’effetto
registrato.
160 | 161
M. con maschera di contrasto
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In M. e M. con maschera di contrastato (ossia la stessa foto con appli-
cato un contrasto maggiore) si può notare come la qualità del bianco e
nero non solo abbia i richiami desiderati, ma sia in grado di evidenziare
efficacemente le vene del corpo; la figura si stacca dal fondo tridimensio-
nalmente, questo aiuta a concentrare l’attenzione sulla fisicità del soggetto
fotografato. Il piano scelto in M. (tra piano medio e piano americano) risul-
ta visivamente più efficace che in G.(piano medio stretto) prevalentemente
per i dettagli presenti nel bacino e negli avanbracci, che risultano molto
presenti in tutti i soggetti fotografati. Per questo la scelta definitiva per la
realizzazione del progetto è il piano scelto in M. che, con lo schema luci
scelto, rappresenta la massimizzazione del processo sviluppato in questa
testi sperimentale.
Lampade Potenza [watt] Filtraggio
2x Desisti 1000 CTO Full
Open Face T
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La pelle e il fototipo
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Verifica empirica
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Il risultato attraverso il filtro 93F e quindi alle lunghezze d’onda a infra-
rossi, è sorprendente. Non vi è alcun riscontro con le teorie ipotizzate.
L’esposizione del soggetto non necessita compensazione d’esposizione
e le vene del corpo diventano visibili. Il fototipo non influenza quindi in
alcun modo il risultato cercato. È da considerare che la carnagione più
scura sia comunque meno adatta al contrasto ricercato in fase di post
produzione; tuttavia i parametri dei fototipi, deifniti su una luce visibile,
non corrispondono alla luce invisibile. Questo risultato stravolge gli intenti
in questo frangente della sperimentazione rendendo superflua qualsiasi
altra verifica attraverso le altre tipologia fototipiche. Ma se il colore della
pelle, il fototipo, non influisce sul risultato come è possibile identificare i
soggetti più idonei al progetto? Vi sono variabili così grandi che l’idoneità
del soggetto è imprevedibile; si può quindi dire che per ottenere dei risul-
tati più precisi ed efficaci per la realizzazione di un progetto di questo
tipo,occorre disporre di un buon numero di soggetti dai quale selezionare
i più efficaci.
Si può comunque intuire dai risultati finora ottenuti che la visibilità della va-
scolarizzazione è compromessa da tutte le materie ricche di acqua come
la massa adiposa (il grasso). Il volto, meno vascolarizzato, risulta sempre
meno evidente. Gli occhi scuri più vascolarizzati risultano più chiari e i
chiari viceversa. Infine, peli sono materia che blocca la penetrazione della
luce (come per la luce visibile).
I valori espositometrici usati per il fototipo 5/6, sono gli stessi impostati
e riportati nelle fotografie precedentemente fatte con questo schema luce
( M. e G.).
In M. il risultato è più visibile che in G., nonostante abbiano un fototipo
vicino (ripettivamente 2 e 3).
I soggetti con un risultato meno evidente, solitamente lamentavano proble-
mi di vascolarizzazione molto comuni (ad esempio mani e piedi freddi).
Questo fattore unito agli elementi fisici visibili sopra elencati, rappresen-
tano gli unici indizi nell’individuazione di un soggetto adatto al risultato
finale desiderato. Queste affermazioni necessiterebbero di uno studio a
livello statistico per un’eventuale conferma o smentita definitiva; quindi di
un campione rappresentativo formato da un grande numero di soggetti.
Determinati questi elementi è comunque impossibile definire la massimiz-
zazione del risultato. La casualità e l’imprevedibilità sono una costante da
prendere in considerazione in questa tecnica fotografica.
Questo fattore apre un possibile sviluppo della ricerca così come possibili
interpretazioni per successivi progetti: la differenza di reazione di ogni
individuo (indipendente dal suo fototipo e modellata da una moltitudine
di variabili) rende unica e estremamente personale la propria immagine
a infrarossi. In questo senso una serie molto ampia sarà a livello formale
coerente ma allo stesso tempo molto diversa da soggetto a soggetto.
170 | 171
L’impostazione tecnica, estetica e del soggetto sono stati quindi definiti. È
dunque il momento di identificare la forma del progetto e dei prodotti di
questo lavoro di tesi.
Il libro fotografico
176 | 177
Applicazioni e sviluppi in ambito comunicativo
182 | 183
Data la valenza di tesi sperimentale, è necessario identificare una forma
grafica efficacie e coerente con il contenuto di questa tesi. Come le foto-
grafie sviluppate e i concetti definiti dei fondamenti estetici espressi nella
ricerca, l’impaginazione segue una struttura semplice e pulita, priva di
elementi di disturbo o distrazione rispetto al contenuto. Le fotografie sono
la base di tutto il processo e quindi estremamente rilevanti e integrative
alla parte di testo.
La carta scelta è semilucida in modo da valorizzarle. L’unico vincolo di
questo prodotto è il formato: A4.
Tutte le scelte effettuate sono giustificate nei limiti del tipo di tesi elaborato,
orientato sul tema principale, la fotografia a infrarossi, e non sulla crea-
zione di un prodotto editoriale. Non vi è una ricerca qualitativa o qua-
titativa a sostegno delle scelte, nonostante ciò si è cercato di sviluppare
motivazioni coerenti e esaustive affinché le azioni fatte risultino ponderate
e fondate.
184 | 185
Griglia
1 David Ocatvius Hill (Perth, 1802 - Edimburgo, 1870) è stato un pittore e pioniere della fotogra-
fia scozzese.
2 Grazioli, Op. cit., pp. 17-19.
Fig. 41
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Testo e immagini
Le immagini invece seguono una propria griglia che nella pagina a sini-
stra parte dal margine interno della gabbia di testo e arriva al margine
esterno della pagina. Rispettivamente a destra parte dal margine interno
per arrivare oltre il margine della gabbia di testo ma in egual misura ri-
spetto alla distanza della pagina di destra.
190 | 191
Il libro fotografico ha lo scopo di mostrare i risultati più significativi ottenuti
nel processo di sperimentazione, racchiusi in due serie di tre fotografie.
Questo prodotto mantiene l’identità visiva del dossier di ricerca e speri-
mentazione tramite la copertina e il carattere tipografico scelto (Futura).
L’impaginazione invece è centralizzata a valorizzare le foto.
Il carattere delle foto realizzate (e la qualità tridimensionale del bianco
e nero ottenuto) ha una maggiore efficacia se l’immagine ha una dimen-
sione maggiore, per questo motivo si è scelto un formato più grande
(27cmx40cm).
1 | ULTRA CORPO I
192 | 193
Testo e immagini
SUPSI 2014
1 | ULTRA CORPO I
194 | 195
Numero di pagina
196 | 197
In ordine alfabetico (cognome).
Walter Clark, Photography by infrared (1931), John Wiley and Son, New York, 1946.
Andrew Davidhazy, Infrared and ultraviolet photography, Rochester institute of technology, Ro-
chester, 2011.
Daniel Girardin, Christian Pirker, Controverses, Actes Sud/Musée de l’Elysée, Losanna, 2003.
Elio Grazioli, Corpo e figura umana nella fotografia, Mondadori, Milano, 1998.
Jean-A. Keim, Breve storia della fotografia (1976), Einaudi, Torino, 2001.
Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre), Mondadori, Milano, 2012.
Marco Menicocci, Pornografia di massa. Dalla Rivoluzione Culturale alla Porn Culture, Altravi-
sta, Padova, 2008.
Linda Pagnotta, Volti e figure: il ritratto nella storia della fotografia, Apax, Firenze, 2009.
Antonella Russo, Storia culturale della fotografia italiana, Einaudi, Torino, 2011.
198 | 199
In ordine di data d’ultimo accesso.
200 | 201
Fig.5 Weegee, At the palace theater, 1945.
Fig.6 Elio Ciol, Dalla serie “Italia Black and White”, 1985.
Fig.7 Ansel Adams, Thunderhead over Tuolumne, 1967.
Fig.8 Richard Mosse, Infra, 2011.
Fig.9 Anton Corbijn, Tom Waits, 1980.
Fig.10 Anton Corbijin, U2, 1984.
Fig.11 Nir Arieli, Dalla serie “Inframen”, 2013.
Fig.12 Nir Arieli, Dalla serie “Inframen”, 2013.
Fig.13 Nir Arieli, Dalla serie Inframen, 2013.
Fig.14 Richard Mosse, Dalla serie “Infra”, 2011.
Fig.15 Richard Mosse, Dalla serie “Infra”, 2011.
Fig.19 Leslie Wright, Honeysuckle, 2014
Fig.20 Honoré Daumier, Il vagone di terza classe, 1862.
Fig.21 Hippolyte Bayard, Autoportrait en noyé, 1840.
Fig.22 Anonimo, Fabbro, prima del 1850.
Fig.23 Henry Peach Robinson, Here They Come, 1859.
Fig.24 Nadar, Ritratto di Cléo de Mérode, 1894.
Fig.25 Nadar, Sarah Bernhardt, 1855.
Fig.26 Anonimo, 1880 ca.
Fig.27 Timothy H. O’sullivan, Una messe di morte, Gettysburg, 1863.
Fig.28 Eadweard Muybridge, Starting for a run (shoes), 1887.
Fig.29 Frantisek Drtikol, Composizione, 1927.
Fig.30 Edward Weston, Anita nuda, 1925.
Fig.31 Robert Capa, Miliziano spagnolo colpito a morte, 1936.
Fig.32 Lee Miller, Buchenwald, 1945.
Fig.33 Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe, 1862-863.
Fig.34 Jean Désire Gustave Courbet, Origine du monde, 1866.
Fig.35 John Ernest Joseph Bellocq, Nudo alla finestra, 1908.
Fig.36 Robert Mapplethorp, Dalla serie “X portfolio”, 1978.
Fig.37 Robert Mapplethorp, Dalla serie “Perfect Moment”, 1989.
Fig.38 Alice Boughton, Nudi di ragazze, sd.
Fig.39 Larry Clark, Teenage Lust, 1981.
Fig.40 Helmut Newton, Dalla serie Big Nudes, 1980.
Fig.41 Helmut Newton, Dalla serie Big Nudes, 1980.
Fig.42 Rudolf Schafer, Dalla serie “La Morgue”, 1992.
Fig.43 Aziz+Cucher, Dalla serie “Dystopia” Maria, 1994.
Fig.44 Matthew Barney, Cremaster 4, 1995.
Fig.45 Matthew Barney, Cremaster 4, 1995.
Fig.46 John Coplans, Autoritratto, 1985.
fig.11, 12 e 13 da www.nirarieli.com;
fig. 5, 21, 22, 25, 26, 27, 29, 30, 31, 32,
38, 39, 40, 41, 43, 44, 45 e 46 da Elio Grazioli, Corpo e figura umana
nella fotografia, Mondadori, 1998;
202
PIANO DI LAVORO
204 | 205
Nelle pagine seguenti è riportato il piano di lavoro da me seguito in
questi mesi. È mia intenzione fornire, a chi fosse interessato ad affrontare
ed ampliare questa ricerca, un’idea delle tempistiche da me adottate in
questo progetto.
Presentazione
RICERCA
SPERIMENTAZIONE
Filtri e frequenze
Post-produzione
conseg
206 | 207
Luglio 7 16 Agosto 28 Settembre 8
208 | 209
Non sarebbe stato possibile realizzare questo progetto senza la preziosa
collaborazione di alcune persone, compagni e amici che intendo sincera-
mente ringraziare.
Ringrazio la mia famiglia, mio padre Efrem e mia madre Tiziana, per il
completo sostegno e appoggio durante questi mesi frenetici, e, in maniera
particolare, mia sorella Elisa, figura per me da sempre fondamentale, con
la quale ho potuto costantemente confrontarmi e crescere.
210 | 211
In allegato a questo dossier:
- una copia del libro fotografico ultra corpo contenente due serie di tre
fotografie, rappresentative della massimizzazione dei risultati ottenuti in
questa ricerca e sperimentazione.