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Bibbia e Cinema di Peter Ciaccio

“Bibbia e cinema” è un’opera del pastore metodista Peter Ciaccio. Lo scopo del testo
è di:

evidenziare come non sia possibile comprendere la cultura nella quale viviamo, e dalla quale
molti di noi provengono, senza fare i conti con la Bibbia1.

Sin dal momento della sua invenzione, nel 1895, il cinema ha attinto al testo biblico
per creare i suoi prodotti, cioè proprio l’opera cinematografica. Definire l’arte un
prodotto commerciale risulta sempre scomodo; nelle parole dell’autore del testo è “un
tabù tutto italiano”2, soprattutto quando l’aspetto commerciale dell’industria incontra
il Sacro. Nei paesi cattolici persiste tuttora una diffidenza nei confronti dei film
biblici, ma non è questo il caso negli USA, in cui Hollywood comprese subito che
trasporre al cinema vicende e personaggi già conosciuti dalle masse avrebbe
assicurato un incasso certo. Allo stesso tempo, anche la Chiesa si rese conto dei
vantaggi garantiti dall’ essere più presente nei media.

Il primo “iper-genere” analizzato da Peter Ciaccio è il Jesus-film, ovvero le pellicole


in cui Gesù è il personaggio principale o il riferimento diretto. La biografia di Gesù si
è prestata a tutti gli esistenti generi cinematografici, dal musical all’horror. Ogni
regista deve però cimentarsi con l’aspetto più ostico del testo sacro: la reticenza.
Infatti:

La Bibbia è un testo assai reticente: si sofferma su particolari inconsueti, mentre omette dati
che noi riterremo imprescindibili per un libro scritto oggi, e i vangeli ne sono forse
l’esempio più lampante3.

Colmare i buchi di trama della Bibbia nella vicenda di Gesù rappresenta uno degli
ostacoli (o, forse, delle opportunità creative) maggiori per chi si cimenti nella
realizzazione del Jesus-film. Il regista può decidere di affidarsi a fonti extra-
evangeliche o alla sua immaginazione.

1
Peter Ciaccio, Bibbia e cinema, Torino, Claudiana, 2018, p. 5.
2
Ibidem, p. 15.
3
Ibidem, p. 24.
Tra i film citati appartenenti a questo genere ne ritroviamo ben due dell’italiano Pier
Paolo Pasolini. Il primo, intitolato “La Ricotta”, mette in scena un dato a tutti
evidente, ma che nessuno ha il coraggio di esplicitare, vale a dire il film è un prodotto
da vendere, anche un film sul divino.
Il secondo è invece “Il vangelo secondo Matteo” del 1964. Pasolini mette in scena
una delle opere cinematografiche più fedeli alla Bibbia. È evidente che l’autore
voglia esprimere la propria sofferenza personale attraverso la trasposizione della
Passione di Cristo. Ciò è rintracciabile nell’inserimento della madre di Pasolini
all’interno del cast col ruolo di Maria, che il regista posiziona ai piedi della croce,
commettendo una delle pochissime inesattezze bibliche del film (il particolare è
infatti giovanneo e non matteano). Un’altra prova dell’identificazione di Pasolini con
il Cristo è la scelta di una comparsa a lui somigliante nel ruolo di Simone di Cirene.
Tra gli altri film analizzati da Peter Ciaccio nel capitolo riguardante i Jesus-film,
vorrei soffermarmi su un titolo di enorme successo commerciale del 2004, “La
passione di Cristo” di Mel Gibson. Abbiamo già detto come la storia di Gesù si sia
adattata a tutti i generi cinematografici esistenti, persino al musical e alla parodia, ma
nessuno prima del regista australiano ne aveva realizzato un’opera horror. Nelle
parole dello scrittore:

La violenza mostrata a livelli pornografici, la macchina da presa che indugia sugli schizzi di
sangue e sulla carne lacerata, il montaggio che rallenta le frustate per aumentare l’attesa del
picco di dolore, i litri di sangue versati da Gesù ben oltre la quantità concessa a ogni essere
umano, un Cristo che si rialza quasi a chiedere ancora frustate, le mani inchiodate e poi la
croce rigirata con il condannato faccia a terra per chiudere i chiodi con un colpo di traverso,
i corvi che cavano gli occhi del ladrone cattivo, i bambini che chiamano Giuda per poi
rivelarglisi in realtà come demoni: tutto ciò porta a capire che “La Passione di Cristo” non è
un Jesus-film qualunque, ma segue pedissequamente i canoni di un genere preciso, che
ancora non aveva trovato il suo posto nella rappresentazione della vita di Gesù sul grande
schermo. Parliamo del genere horror4.

Una trovata geniale del film fu la questione della lingua. I personaggi parlano infatti
la lingua che avrebbero dovuto parlare ai tempi della storia, cioè l’aramaico e il
latino. Seppur con qualche errore (il romano avrebbe dovuto essere quello classico,
non quello ecclesiastico) il risultato è molto d’impatto.
Definendo i Jesus-film abbiamo detto che essi hanno Cristo come personaggio
principale o come riferimento diretto. Finora abbiamo trattato solo i film appartenenti
al primo gruppo di questo iper-genere, e abbiamo visto che il risultato non è sempre
dei migliori. Tra i film che non citano Gesù in maniera diretta ma che ne sono
4
Ibidem, p. 47.
chiaramente ispirati troviamo, con sorpresa, “E.T l’extraterrestre” film di enorme
successo di Steven Spielberg. Il protagonista dell’opera infatti:

viene dal cielo, cambia la vita delle persone che incontra, compie atti miracolosi, sana
relazioni conflittuali e, infine, è catturato e ucciso dal potere locale, ma risorge e, addirittura,
“ascende”, dicendo all’amato amico-discepolo Elliot come ultima battuta: “Io sarò sempre
qui”5.

Tra gli altri Jesus-film citati troviamo anche “La forma dell’acqua” di Guillermo del
Toro, aggiudicatosi un premio Oscar nel 2018.

Ma non è solo la biografia di Gesù ad ispirare i registi del mondo. La Bibbia è infatti
ricca di episodi da cui sono state tratte importanti opere cinematografiche. Prima fra
tutti è la storia di Mosè, che ispirò anche un film d’animazione della Dreamworks nel
1998. Le musiche e i disegni rendono quest’opera un piccolo gioiello del genere,
abile di rendere attuale e apprezzabile anche dai più piccoli una storia millenaria.
Un altro film biblico degno di nota è “Noah” di Darren Aronofsky, che sfrutta
l’atmosfera catastrofica del diluvio universale per realizzare un film cupo, con tratti
fantastici e quasi horror. Essendo la storia di Noè relativamente breve, il regista deve
trovare una soluzione per riempire i buchi di trama e allungare la storia in modo da
produrre un film lungo due ore. La storia diventa così una lotta tra la famiglia di Noè
e i discendenti di Caino, la cui sconfitta è necessaria per favorire la prosecuzione
della stirpe buona dei Set.

Nel terzo capitolo del libro Peter Ciaccio analizza il genere più rappresentativo della
storia del cinema: il western. Un genere la cui epoca d’oro perdurò per trent’anni,
dagli anni ’30 agli anni ’60, lasciando un’impronta indelebile nella storia della
settima arte. Ciaccio si spinge fino a dire che “senza Bibbia non ci sarebbe il
Western”6. Fin dalla sua scoperta nel 1492 l’America è stata associata alla Terra
Promessa, un luogo pronto ad ospitare uomini in fuga e in cerca di fortuna, uniti
intorno a un unico progetto politico di cui parla la Costituzione. Inoltre, la bellezza e
grandiosità dei paesaggi naturali dell’America, quali il Grand Canyon o la Monument
Valley spinsero la produzione massiccia dei film western. È doveroso sottolineare
che i film western non sono delle trasposizioni di episodi biblici con sfondo ma che
piuttosto:

5
Ibidem, p. 49.
6
Ibidem, p. 73.
È piuttosto lo spirito della Bibbia ad aleggiare, la certezza sapienziale che il giusto
prospererà e il cattivo morirà, la fiducia nell’esito finale dell’esodo, perché la terra è stata
promessa e, se non sarò io, saranno i miei figli ad abitarla7.

Nella conquista della frontiera gli Americani dovettero ovviamente battersi con le
popolazioni che abitavano originariamente quei luoghi. È semplice trovare un
parallelismo tra la vicenda americana e la conquista della Terra Promessa narrata nel
libro di Giosuè. L’autorità americana (che sia uno sceriffo o un eroe solitario) deve
imporsi in una Terra di “selvaggi” in cui non esiste nessuna figura che faccia
rispettare la legge. Ovviamente questa nozione è falsa e serve soltanto a giustificare
la violenza degli Americani contro le popolazioni indigene del continente, ma il
successo di centinaia di film western con questa tematica fu più che sufficiente per
imporre questa menzogna come verità nella mente di tutti gli occidentali fino ad oggi.
Una delle molte opere che tratta questo argomento è “Ombre Rosse” di John Ford,
del 1939, presenta moltissimi rimandi alla caduta di Gerico, narrata nel Libro di
Giosuè. Alcuni esempi sono: le trombe che preannunciano la vittoria degli americani,
la prostituta bandita dal suo villaggio, le mura invincibili che si abbattono.
Come abbiamo già detto, la figura dello sceriffo o dell’eroe è fondamentale nei film
western. Essa è in tutto riconducibile alla figura del giudice dell’Israele pre-
monarchico, come, ad esempio, il protagonista del film “Sfida infernale” di John
Ford, un criminale realmente esistito a cui nell’opera vengono attribuite le
caratteristiche di un eroe, fino ad elevarlo a mito. Il mito di Wyatt Earp, questo il
nome del personaggio, ispirò almeno quindici film tra il 1939 e il 1994, andando ad
unirsi alle leggende che compongono l’epopea del popolo americano.
Sia nella Bibbia che nei film western troviamo due prospettive opposte nel raccontare
il rapporto con il nemico. La prima è quella di cui abbiamo già parlato, in cui
l’indiano o l’individuo non appartenente al popolo israelita è disprezzato dal
protagonista (uno dei film più esemplificativi dell’odio razziale è “Sentieri selvaggi”
del 1956, ancora di John Ford. L’altro filone rivede il rapporto con il
nemico/straniero, esemplificato nella Bibbia con il libro di Ruth, in cui una straniera,
Ruth appunto, trova la sua terra nella Terra Promessa e suo nipote sarà nientemeno
che re Davide. Nel cinema, invece, questa narrativa si sviluppa a partire dalla fine
degli anni Sessanta, in un gruppo di film riuniti in un gruppo chiamato “western
revisionisti”. Tra questi citiamo: “Soldato blu”, “Il piccolo grande uomo”, “Un uomo
chiamato cavallo” e “Corvo rosso, non avrai mai il mio scalpo”.

7
Ibidem, p. 74.
Il western ebbe un enorme successo anche in Italia, grazie alle opere di Sergio Leone,
ma in esse lo spirito religioso è molto meno presente, quasi assente del tutto.
L’ideologia che sta dietro i film di Leone è invece quella marxista, e di Dio non si fa
menzione.
Ultimo film western menzionato in questo capitolo è “Django unchained”, opera del
2012 di Quentin Tarantino. Il tema biblico a cui si ispira il film è quello del
vendicatore messianico, ruolo assegnato all’ex schiavo Django, che insieme al suo
compagno di viaggio esplora l’America alla ricerca di schiavisti da uccidere per
portare avanti la sua missione.

Dopo gli anni sessanta il cinema ha mostrato poco interesse per le trasposizione
bibliche, concentrandosi maggiormente sul cinema europeo, meno connotato
religiosamente. Appartiene a questo periodo l’opera del regista statunitense Paul
Schrader “Trascendental style in film”, testo fondamentale per chiunque voglia
studiare il rapporto tra la Bibbia e il cinema. Esso sostiene infatti che l’opera
cinematografica possa rimandare al trascendentale, essendo essa parte
dell’iconografia. Schrader ci spiega cosa intende per stile trascendentale:

I personaggi assolutamente estraniati dal loro ambiente: Giovanna D’arco, la strega Marthe di “Dies
irae”, Johannes il folle di Dio in “Ordet”. Questi […] non riescono ad avere un contatto umano con
la realtà che li circonda […]. Questa scissione (l’Altro all’interno di un mondo fisico) è
caratteristica nello stile trascendentale8.

Chiarisce maggiormente Peter Ciaccio:

Gli elementi di trascendenza individuati da Schrader hanno origine molto probabilmente


nell’interazione che avviene nella mente di chi ha letto o ascoltato un testo biblico e che poi vede un
film9.

L’autore di “Bibbia e Cinema” continua lo studio parlando della Scuola Scandinava.


Il primo regista appartenente a questa scuola che viene analizzato è Carl Theodor
Dreyer, autore scandinavo di diverse opere a tematica religiosa: La passione di
Giovanna D’Arco (1928), Dies Irae (1943) e Ordet – La parola (1955). Quest’ultimo
affronta il tema del senso e dei limiti della fede.

8
P. Schrader, op. cit. (pp. 103-104).
9
Peter Ciaccio, Bibbia e Cinema, Torino, “Claudiana”, 2018, p. 88.
Il secondo regista scandinavo è Ingmar Bergman, le cui opere sono fortemente
influenzate dalla Bibbia e le tematiche di fede. Il suo film “Il settimo sigillo” presenta
diversi riferimenti biblici: ovviamente il titolo, il richiamo alla sacra famiglia e alla
fuga in Egitto e la condivisione di fragole e latte, due cibi che nella primitiva
tradizione cristiana scandinava andavano a sostituire il pane e il vino.
Il film “Come in uno specchio” (titolo che si riferisce a un versetto della Bibbia)
narra la storia di Karim, una donna malata di mente che “sente le voci” ed è convinta
di aver visto il volto di Dio in un ragno trovato in soffitta.
Ai due registi sopracitati si deve tra l’alto la creazione di Dogma 95, un movimento
cinematografico con a capo il regista danese Lars Von Trier, uno degli artisti più
provocatori del nostro secolo. Lo scopo del collettivo è quello di rinnovare la scena
cinematografica che, secondo Von Trier, avrebbe prodotto solo immondizia negli
ultimi dieci anni. Il dogma presenta diverse regole rigidissime da seguire; così rigide
che neanche lo stesso fondatore de Dogma 95 riuscì mai a seguirle tutte nella
realizzazione dei suoi film.
Il primo film di Lars Von Trier dopo l’annuncio (anch’esso scandaloso) della
fondazione del Dogma 95 è “Le onde del destino”. La protagonista dell’opera è una
donna dalla fragile condizione psicologica, che passa i pomeriggi a “dialogare” con
Dio in chiesa mentre il marito sulla piattaforma petrolifera dove lavora. Quando il
marito rimane vittima di un incidente sul lavoro che lo paralizza, Bess inizia ad avere,
d’accordo col marito, rapporti occasionali con altri uomini, spesso violenti e
degradanti. La condotta sessuale della donna sconvolge la comunità, che la caccia
dalla chiesa. Quest’ultima non permetterà neanche di celebrare il suo funerale quando
la donna verrà stuprata e uccisa. La morte della donna causa l’inspiegabile guarigione
del marito, facilmente assimilabile a un miracolo causato dalle sofferenze patite dalla
protagonista.
Il regista russo Andrej Tarkovskij diresse diversi film, tutti di carattere spirituale. La
sua produzione venne ostacolata dalla politica dell’Unione Sovietica e per questo fu
costretto a fuggire negli Stati Uniti. Il primo film analizzato da Ciaccio è “Sacrificio”,
un’opera omaggio al regista svedese Bergman. La storia narra di un uomo di successo
ateo che, minacciato dalla previsione di un disastro nucleare offre a Dio il figlioletto
(temporaneamente muto a causa di un’operazione) in cambio della salvezza
dell’umanità. Il giorno dopo, vedendo che non è avvenuta nessuna tragedia, il
protagonista brucia la sua stessa casa, sacrificandola così a Dio. Il film si conclude
con il figlioletto che dirigendosi al padre dice: “In principio era il Verbo. Perché,
papà?”. I rimandi alla Bibbia sono diversi: il sacrificio della prole (presente in
Abramo e in Iefte) e il mutismo, cui significati sono molteplici.
Krzysztof Kieslowski è un regista polacco. Le sue opere che maggiormente esplorano
il tema religioso sono “Decalogo”, una miniserie di dieci film per la TV e “La trilogia
dei colori”.
Il “Decalogo” è una rivisitazione in chiave laica dei Dieci comandamenti. In essi
spesso non è semplice ritrovare la morale cristiana, ma scavando a fondo nel
significato dell’opera si comprende che il “Decalogo” appartiene a un sistema in cui
difficilmente si distingue il singolo comandamento, ma essi piuttosto convivono. E
ancora di più:

Pur essendo profondamente laico, “Decalogo” si presenta quasi come un’opera omiletica, perché
prende sul serio i comandamenti, li analizza e tenta di farli vivere nella contemporaneità10.

Unico regista italiano che va ad unirsi alla lista di autori citati da Peter Ciaccio nella
seconda parte del testo è Federico Fellini. Nel suo capolavoro “8 ½”, interpretato
magistralmente da Marcelo Mastroianni, un uomo (un regista) è combattuto tra
l’attrazione per le cose terrene e il desiderio di elevarsi a qualcosa di più significativo
e spirituale. Nel finale del film Guido scrive alla moglie estasiato, poiché colpito da
un “lampo di felicità” è risorto a una nuova vita, una vita che gli restituisce la dignità
per potersi mostrare a Dio.

Woody Allen è il massimo esponente della religione e cultura ebraica nella storia del
cinema. Il film che analizzeremo è “Crimini e misfatti” del 1989, in cui la tematica
principale è l’anti-sapienza, cioè la consapevolezza che nonostante tutto, ci sono
buoni che soffrono e cattivi che prosperano. Il film è ispirato a “Delitto e Castigo” ed
è la storia di un medico che, scoperto il tradimento della moglie, ordina il suo
omicidio al fratello. Preso dai sensi di colpa non sa cosa fare e vorrebbe confessare,
ma ha paura di mettere nei guai il fratello. Alla fine del film, però, tutto cambia
improvvisamente. Il protagonista della vicenda e un regista (interpretato dallo stesso
Woody Allen) discutono sulla realizzazione di un film ispirato alla storia vissuta da
Judah, che lui presenta come finzione ma che è ovviamente la verità. Judah propone
che nel film l’assassino non sconti nessuna pena, a favore di una filosofia dell’anti-
sapienza. Ciò turba il regista che deve però arrendersi all’ingiustizia. L’unica
consolazione è l’amore umano e la scelta di amare, che creano la felicità e il senso
della vita.

10
Ibidem, p. 114.
Martin Scorsese ha fatto della redenzione uno dei temi più presenti nella sua
produzione cinematografica, in particolare nel film “Toro Scatenato” del 1980 con
protagonista Robert De Niro. Nella scena finale del film, De Niro recita un passaggio
del film “Fronte del porto” in cui un ex-pugile interpretato da Marlon Brando
rimprovera il fratello per aver rovinato la sua carriera per arricchirsi. Nel dialogo
troviamo un chiaro riferimento al tradimento di Caino nei confronti di Abele, così
come l’assenza di Dio nell’aiutare il protagonista. Lo spirito religioso può essere
ritrovato soprattutto nell’animo dei personaggi di Scorse che sono “miserabili che
hanno cercato redenzione”11 e che:

Sono come personaggi biblici che si rovinano perché cessano di credere nell’azione redentrice di
Dio, scegliendo di operare la redenzione in prima persona, come Charley Cappa che vuole salvare
l’amico fraterno Johnny Boy, causandone forse la morte, come Aronne che costruisce il vitello
d’oro, scatenando l’ira del Signore, come Giuda che tradisce l’amico Gesù e, così facendo, tradisce
Dio12.

11
Ibidem, p. 126.
12
Ibidem, p. 127.

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