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FILIPPO IV - Aurelio Musi

I. LA FAMIGLIA

1. Il regno di Filippo III


2. Nascita e infanzia di Filippo IV
3. Il giuramento e la fanciullezza
4. Il primo matrimonio
5. La morte del padre

1. IL REGNO DI FILIPPO III

Filippo III regnò dal 1598 al 1621 e la sua politica internazionale fu caratterizzata da una linea
pacifista:la pace con l'Inghilterra e la tregua dei 12 anni con le Province Unite sono i due atti più
importanti. Durante il suo regno furono gettate le basi di cambi nella Corte e nella forma di
governo. La Corte fu ristrutturata creando un doppio livello: il primo comprendeva le Case Reali
(il personale specializzato) mentre il secondo l’amministrazione fondato su organi di governo
funzionali ( es. Consiglio di Stato e di Guerra e Suprema Inquisizione) e territoriali (es. Consiglio
di Taglia del Portogallo…). La Monarchia si identificò sempre di più con la confessione cattolica e
l’esaltazione della limpieza de sangre che la fece entrare in competizione con la Chiesa di Roma
in quanto gli interessi non coincidevano e che causò una perdita di influenza della chiesa nel
Governo spagnolo.
Il vero artefice della cosiddetta “rivoluzione nel governo” fu il valido di Filippo III, il Duca di Lerma
asceso al potere negli ultimi anni di vita di Filippo II, più interessato alla pratica che alla teoria del
potere e che si adoperò immediatamente per adottare una strategia fondata su matrimoni
importanti e per nominare suoi fedeli nelle Case Reali. Nel 1607 Filippo dichiarò bancarotta, due
anni dopo fu siglata la tregua nei Paesi Bassi e negli anni successivi Lerma favorì l’alleanza con
la Francia e il matrimonio della reggente francese Maria dè Medici (doppio matrimonio: Isabella
de Borbone- figlia di Lerma- con Filippo (primogenito di Filippo III- futuro Filippo IV e Luigi XIII
con l’infanta Anda). Nell'ambiente di Corte montò un crescente scontento verso il valido
tanto che il Lerma lasciò progressivamente al figlio, duca di Uceda, di esercizio del potere.
Nell’età di Filippo III la Corte divenne un sistema di potere e luogo di sviluppo della dialettica di
fazioni che influiva profondamente nelle decisioni politiche. La Corte sotto Filippo III fu la via
maestra dell Integrazione monastica (forme di integrazione diverse come legami matrimoniali,
elargizione di pensioni, attribuzione di titoli nobiliari, offerta di comandi militari, concessione di
patronati).
Le Case Reali furono un modello di articolazione politica che aiutò a mantenere uniti i territori
della Monarchia e a compensare l’assenza del re nei diversi territori. Si moltiplicò il numero degli
uffici e del personale impiegato nelle Case Reali. La funzione di mediazione tra il re e i suoi
sudditi era di fatto svolta dal valido duca di Lerma e questo peso nel reclutamento del personale
delle Case Reali (il monopolio del potere fu saldamente nelle mani dell'alta nobiltà castigliana).
Nel complesso, l’età di Filippo III gettò le basi del siglo de oro e spagnolo e diede inizio al
processo di trasformazione politica attraverso il predomino del valido ma fu anche il tempo dell
appannamento dell’egemonia mondiale conquistata con Filippo II.
Il passaggio da Filippo III a Filippo IV alimentò le attese per l’avvio di una politica più espansiva.

2. NASCITA E INFANZIA DI FILIPPO IV

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Nasce a Valladolid dove Filippo III con la moglie Margherita aveva trasferito la corte l’8 aprile
1605 .E’ la trasfigurazione poetica della teoria dei due corpi del re (elaborata dai giuristi inglese
nel Quattrocento): corpo fisico legato ai cicli biologici e alla parabola nascita-sviluppo-morte e
quello politico destinato a proiettare l’icona del dio in terra. 

La teoria afferma che l’essenza reale del sovrano trascende la persona individuale, si estende e
si identifica con la comunità per cui il principe è ≪persona comune≫.
La sua nascita viene interpretata non come segno del declino incipiente ma come auspicio della
ripartenza. La madre Margherita arciduchessa d'Austria ( sorella del futuro Ferdinando II
d’Asburgo) aveva sposato a 14 anni Filippo III. Prima di Filippo aveva avuto due femmine, Anna
(sposerà Luigi XIII) e Maria nata e morta nel 1703. Negli altri 5 figli solo tre raggiungessero l’età
adulta. La regina Margherita portò a compimento la cacciata dei moriscos e realizzò una più
stretta alleanza tra la Corona e papato e alcuni ordini religiosi. Regina dalle solite religiose
umane, straordinaria disponibilità nel assistere gli infermi ma anche bigottismo astuzia e forte
ascendente sul marito sovrano e malinconia che l’accompagno tutta la vita.
Forte influenza sull'educazione di Filippo III furono le correnti spirituali legate agli Agostiniani
Scalzi e predicatori della Cappella Reale questo a testimoniare lo stretto collegamento tra scelte
religiose e formazione di partiti dentro la Monarchia asburgica. Filippo IV venne battezzato il 28
Maggio 1605 portato in trionfo dal Duca di Lerma. Era un bimbo con lucenti occhi blu. La scelta
dei nomi battesimo di Filippo serviva a confermare il sentimento di ripresa del sogno imperiale e
della sua potenza. Felipe: continuità principio politico-dinastico condotto al suo apogeo da Filippo
II. Secondo nome fu Domingo: !"#$%"&!'$("##)*+(,!"$('-"!,./!'$"$("##/$0"("#12$/##)3!45,%,6,'!"7$
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3. IL GIURAMENTO E LA FANCIULLEZZA

Il 3 gennaio 1608, all’età di soli 3 anni e a pochi giorni dalla perdita della madre, Filippo compiva
il suo giuramento in S. Geronimo.
Margherita morì dando alla luce l’ultimo figlio con il sospetto non confermato che fosse stata
avvelenata dall’incenso acceso da Rodrigo Calderón scelto dal duca di Lerma come suo
segretario (nel 1612 dopo una congiura ordita dalla Regina Margherita e dal suo confessore,fu
rimosso dalla carica. Subì i contraccolpi della crisi del valido - di cui continuò a godere fiducia- e
venne accusato di assassinio e stregoneria con conseguente decapitazione nella Plaza Mayor
nel 1621 ).
La morte della madre fu un evento decisivo poiché non superò mai completamente il lutto
venendo accompagnato per tutta la vita da una depressione morbosa e dall’ossessione costante
della morte. I riti funerari della madre furono celebrati in tutti i reinos e furono molto articolati. Nel
1610 il piccolo Filippo fu colpito da una grave malattia la cui ripresa fu molto lenta e con
l’insistenza dei medici affinché il bimbo non si spostasse dalla sede della Corte. (In alcuni ritratti
si vede Filippo o l’infanta Anna d’Austria indossare amuleti o cinturon magico che doveva
assicura loro la sopravvivenza e la protezione delle malattie). La fanciullezza del principe
trascorse quasi tutta nella tristezza dell’Alcázar di Madrid; fu caratterizzata dal rigore e dalla
severità delle pratiche devote così come da un’educazione religiosa assai rigida. La devozione
bigotta del padre, la dura disciplina imposta così come la repressione di tutti gli istinti naturali del
fanciullo ne condizionarono i comportamenti. Gli unici divertimenti erano le declamazioni di versi
e la rappresentazione di commedie dai temi non scabrosi. Tra gli illustri compagni di giochi
c’era un bimbo destinato a una brillante carriera politica: Luis de Haro, il futuro favorito del
re dopo la caduta del conte-duca d’Olivares.

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4. IL PRIMO MATRIMONIO

Elisabetta (Fontainbleau 1602) era la seconda figlia del re di Francia, Enrico IV di Borbone, e di
Maria de’ Medici. prima di morire il padre aveva destinato Elisabetta a diventare moglie del
principe Vittorio Amedeo di Savoia ma Maria de’ Medici aveva in mente una più ambiziosa
strategia dinastica: voleva avvicinarsi agli Asburgo di Spagna conservando al contempo
l'alleanza con i loro nemici. La strategia matrimoniale dinastica di Maria si articolava in tre mosse:
la figlia Cristina doveva sposare Vittorio Amedeo di Savoia; Filippo, principe delle Asturie,
avrebbe sposato Elisabetta e Luigi l’infanta spagnola Anna. per la reggente non fu facile ma il
contratto matrimoniale fra Elisabetta e Filippo fu siglato nel 1611 anche se il matrimonio fuori
inviato di alcuni anni a causa della giovane età degli sposi. Durante il viaggio per raggiungere la
frontiera spagnola, Elisabetta che era appena tredicenne, contrasse il vaiolo ed essendo in
pericolo di vita si propose alla reggente di far partire l'altra figlia, Cristina, che avrebbe dovuto
sostituire Elisabetta in caso di morte ma ciò non accade grazie alla sua guarigione. Il matrimonio
si svolse nella cattedrale di Burgos il 25 novembre 1615 quando Elizabeth ( Isabel nella forma
spagnola) divenne la nuova principessa delle Asturie. Filippo aveva solo 10 anni (3 anni in meno
della moglie) ma il temperamento allegro a le bellezza quasi pienamente fiorita della moglie lo
affascinavano a tal punto che egli si eccitava al minimo contatto fisico e per questo fu presa la
decisione di tenerli separati (per ragioni di prudenza fisiologica). [Lei abitava al Pardo mentre
Filippo a Madrid]. Fu loro concesso di consumare il matrimonio solo nel novembre 1620 all’età di
18 anni Isabella e 15 Filippo. Importante: la natura passionale del ragazzo era in conflitto con la
ferrea educazione religiosa. Egli <aveva cavalcato senza freno per tutti i campi del piacere sotto
l’impulso di passioni smodate>.

5. LA MORTE DEL PADRE

Il primo marzo 1621 Filippo III cadde in una profonda depressione e insieme alla fragilità fisica si
unì la coscienza di aver fallito come re tanto che chiedeva a Dio di ridargli la vita per poter
governare diversamente. <Quando divenne chiaro che la vita del re stava veramente avviandosi
alla fine - ha scritto Elliot - il tetro palazzo dell’Alcázar divenne il centro di intense manovre
politiche>. L’’Alcázar era residenza del re e sede del governo. Il 31 marzo 1621 le campane di
MAdrid annunciarono la morte del re. Prima di morire fece testamento e chiese i sacramenti.
Lasciò disposizioni per i figli e a Filippo consegnò una busta chiusa. Chiese perdono a tutti per le
inadempienze nei suoi atti di governo e davanti al suo confessore disse che se Dio gli avesse
concesso di vivere egli avrebbe governato diversamente.Il confessore allora gli ricordò tutti i suoi
meriti (esempio il finanziamento della guerra contro i tedeschi e la cacciata dei moreschi) e così il
re morì contento avendo lasciato Filippo IV accompagnato con Isabella di Borbone sua sposa.
La morte di Filippo III, a 42 anni, metteva in moto il conflitto per il potere e accelerava la
necessità del ricambio del gruppo dirigente. Le ansie e le speranze del vecchio gruppo dirigente
convivevano con le ambizioni/aspettative di uomini nuovi desiderosi della fiducia del successore
del re. L’11 agosto 1621 il governo della repubblica di Genova impartiva all’ambasciatore
ordinario presso la Corte spagnola e all’ambasciatore straordinario, le istruzioni necessarie sul
cerimoniale, il linguaggio e lo stile da osservare al cospetto del successore Filippo IV. Erano
istruzioni molto indicative circa il clima che si respirava tra la morte di Filippo III e l’avvio della
successione: il dolore per la morte del padre era decisamente meno intenso rispetto l’
“allegrezza” suscitata dall’ascesa dell’erede al trono. Nelle aspettative dei sudditi Filippo IV
doveva riportare la Monarchia cattolica agli splendori del secolo precedente.

II. L’EDUCAZIONE DEL PRINCIPE

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1. Le impressioni di un ambasciatore
2. La biblioteca della Torre Alta dell’Alcázar
3. Il modello del “principe politico cristiano”
4. Musica, teatro, armi e libri

1. LE IMPRESSIONI DI UN AMBASCIATORE

Agli occhi dell’ambasciatore genovese in Spagna, Costantino Pinelli, Filippo si presentava come
un ragazzo collerico e capriccioso, timido, quasi chiuso in sè stesso e con la fobia per le
apparizioni in pubblico, prevalentemente dedito alla caccia e a rapporti passeggeri con il gentil
sesso. Poche potenzialità intellettuali e aspetti negativi attribuibili a carenze nel modello negativo.
(pg.32 per la lettera “originale”). Questo appariva quasi scandaloso all’ambasciatore dal
momento che la disciplina doveva formare l’habitus di tutte le professioni. La disciplina
Rappresentava il passaggio dalle virtù Native alle virtù dative, faticosamente conquistate con
l'acquisizione di tutti gli strumenti propri della professione esercitata. si presentava Quindi come
un’ars, Insieme di strumenti necessari per lo svolgimento adeguato della propria attività. per il
principe la disciplina era il fondamento della capacità di comando direttamente proporzionale alla
disponibilità all'obbedienza da parte dei sudditi.
L'ambasciatore, affermava inoltre che Filippo dipendeva in tutto dalla volontà del Duca di
Olivares per il quale egli nutriva un'antipatia quasi viscerale. la storiografia ha confermato solo in
parte questo ritratto di Filippo seppur ha confermato la sua scarsa conoscenza delle lingue e
documentato invece l'ottima conoscenza di alcune lingue moderne come il francese.
il 28 novembre 1623 ( a quasi 3 anni dall'ascesa al trono di Filippo IV) lo stesso Pinelli cambiava
in parte giudizio parlando di “ buonissimo ingegno e perspicace” Dove le responsabilità della
scarsa coltivazione erano attribuite direttamente al padre che lo aveva consegnato nelle mani di
cattivi maestri.

2. LA BIBLIOTECA DELLA TORRE ALTA DELL’ALCÁZAR

L’Indice de los libros que tiene su Majestad en la Torre Alta deste Alcázar de Madrid ( composto
dal bibliotecario Francisco de Rioja nel 1637) è una fonte preziosissima Per conoscere la
formazione culturale e l'apprendistato del Principe. La biblioteca comprendeva oltre 2000 corpi di
libri in volgare. Si tratta di una biblioteca grande anche se presenta l'assenza di opere in lingue
classiche e questo spiega l'ignoranza e la scarsa sensibilità del giovane Filippo. Le lingue
prevalenti erano il Castigliano, l’italiano, il portoghese e il francese. Le edizioni delle opere erano
recenti e dimostrano come né il padre né il figlio fossero appassionati bibliofili. La biblioteca
doveva rappresentare la sapienza del principe e quindi conteneva libri di musica, poesia, nuova
scienza, di governo, di teologia così come un repertorio delle leggi del regno. La biblioteca era
divisa in 40 materie ma nella formazione e nella cultura di Filippo prevale la storia (storia delle
Indie Occidentali, di Polonia, dei Regni di Aragona, Cina, Filippine, Etiopia..) Il secondo elemento
in evidenza è l’integrazione fra formazione umanistica e quella tecnico-scientifica e anche la
poesia in più lingue. Gli usi della biblioteca che ha tramandato informazione lo stesso Filippo nel
suo autoritratto. Egli si presentava come un lettore che preferiva leggere da sé e non sentire
leggere a voce alta. Così scriveva nel suo autoritratto: << con poco trabajo y gran inclinación me
puse en estado de poter discutir sobre todo lo universal [...]>>.L'obiettivo era < deleitarse
aprentiendo>. Si raccomandava altresì la conoscenza della musica e in effetti si legge anche che
<< sua Maestà canta e suona la musica>>. Per concludere, pur immaginando che Filippo
avesse solo in minima parte delibato i volumi della biblioteca, il confronto tra le fonti, l’autoritratto
e le impressioni di qualche ambasciatore ci restituisce l’immagine di un principe non certo
coltissimo ma munito di una interdisciplinare educazione sufficiente per i compiti di governo che
lo attendevano.

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3. IL MODELLO DEL “PRINCIPE POLITICO CRISTIANO”

Nel 618 Filippo all'età di 13 anni riceveva da Luis Cabrera de Cordoba delle avvertenze per la
sua educazione. nel 1619 Cabrera pubblicava La Historia de Felipe II. Era funzionario dello
Stato impegnato in missioni diplomatiche come in Portogallo, Italia e Fiandre e la storia per lui
era considerata la guida all'azione e la legittimazione dello Stato monarchico. la storia inoltre
doveva insegnare il calcolo politico e la capacità di previsione del futuro i modelli Imperiali romani
per Filippo dovevano essere Marco Aurelio, Adriano è più recente Massimiliano II d'Asburgo, il
principe umanista per eccellenza. La storia come educazione fondamentale per il principe era al
centro di alcune opere come quelle del gesuita Pedro de Ribadeneyra, il più importante
polemista contro L'Inghilterra e a favore della Armada spagnola, la cui opera principale - Il
principe Cristiano - era stata dedicata a Filippo III. In quest'opera Ribadeneyra, affermava come i
principi erano soggetti non solo la legge divina ma anche le leggi umana; solo una ferma
educazione cattolica Poteva portare alla certezza di un infallibile condotta Attiva di tutte le cose.
la formazione L'ascesa al trono di Filippo IV Si collocano sulla scia della riflessione spagnola sul
principe ideale e perfetto. La teoria politica si alimentava di influssi tacitiani e “Tacito español
ilustrado con aforismos” era il titolo dell'opera di Baltasar Alamos de Barrientos (1614) autore in
stretta relazione a 3 sovrani quali Filippo II, Filippo III e IV la cui carriera culminò con l’Olivares di
cui fu collaboratore. Il Tacitismo di Alamos de Barrientos doveva svolgere una funzione
eminentemente pratica: costituire una sorta di breviario per principi, consiglieri e ministri. Le
regole di Stato e la scienza della politica dovevano essere fondate sulla conoscenza storia e
sulla psicologia come analisi dei comportamenti. Se per Ribadeneyra la politica era subordinata
all’obbligazione morale e religiosa, Alamos attribuiva piena autonomia alla ragion di Stato. La
formazione di Filippo, quindi, si confrontava con due modelli: l’oscillazione tra ragion di Chiesa e
ragion di Stato caratterizzerà l’intero regno filippino.

Nel 1621 un’altra opera importante è quella di Francisco Quevedo “Grandes Anales de Quince
Dias. Historia de muchos siglos que pasaron en un mes” e si insinua in un contesto di
transizione, di aspettativa genuina e generalizzata di cambio politico per l’ascesa al trono di
Filippo IV con la lotta per il potere tra Zuñiga e il Duca di Olivares. Il rapporto del monarca con il
valido costituiva il tema dominante e il titolo voleva alludere al fatto che Filippo IV aveva
realizzato in 2 settimane quello che altri avevano realizzato in anni o secoli. Per Quevedo il
monarca doveva essere cristiano per definizione e suggeriva al nuovo sovrano di imitare il
linguaggio politico del Cristo. Grande Anales dovevano formare, istruire il nuovo monarca,
indicargli le differenze tra un buono e un cattivo politico. Anche con l’altra sua opera Politica de
Dios (sempre 1621) Quevedo proponeva un’utilizzazione pratica: guidare il principe nelle sue
azioni e nella sua relazione con il valido così da regnare al di sopra degli intrighi dei politici, al di
là del bene e del male.Qui Filippo III aveva ricevuto dalla Provvidenza il dono della saggezza
politica ed era perciò il monarca esemplare. Quevedo censurava elementi concreti della politica
del Lerma e di Filippo III:la negligenza del re, il suo disimpegno, il disdoro nella reputazione e
criticava gli errori della forma di governo.. Le questioni politiche centrali erano dunque, negli anni
in cui queste due opere furono composte, la corruzione e il clientelismo, il controllo delle decisioni
di un tr quasi eterodiretto, la ridefinizione delle virtù di un buon politico in antitesi a Filippo III.
Oltre Tacito e la sua considerazione della politica come moralità applicata, fu Giusto Lipsio a
influenzare dal punto di vista dottrinale l’opera di Quevedo. Quevedo lesse in traduzione
spagnola il De politicorum dove era espressa a chiare lettere anche una teoria della vita il cui
protagonista era l’individuo come essere politico e sociale.

Quella di Filippo IV fu dunque una formazione politica complessa, in cui entrarono, spesso in
relazione anche contraddittoria tra loro, elementi del tacitismo, neostoicismo, della Seconda

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Scolastica, dell’antimachiavellismo. Anche il rapporto col padre fu di natura conflittuale. Come
scriveva Stradling <quantunque Filippo IV amasse il padre, più rifletteva privatamente sul
passato, più doveva concludere che Filippo III aveva fallito l’obiettivo di un perfetto principe.>

4. MUSICA, TEATRO, ARMI E LIBRI

Uno <cientifico compositor> che alludeva all’elevata preparazione musicale del re sia al suo
interesse e apertura verso le più moderne sperimentazioni musicali.
Apprese l’arte di suonare la viola da gamba dal musicista fiammingo e futuro maestro della Real
Cappella, Mateo Romero da cui apprende la composizione trascrivendo in <musica armonica>
un gran numero delle sue poesie. Il rapporto con la musica si iscriveva nella temperie barocca
che aveva segnato il passaggio dall’ideale rinascimentale della sintesi armonica a un piacere
vissuto come rischio. il potere della musica come motore scatentante delle passioni e
destabilizzzante l’ordine armonico.Studiare e conoscere la musica, cantare e suonare
preferibilmente genere sacro, costituivano attività formative che dovevano far parte
dell’educazione del principe.
Anche il teatro faceva parte della Bildung del giovane Filippo. Era un assiduo frequentatore dei
die teatro di MAdrid. Nel palazzo della’Alcázar il Salón de comedias accoglieva l’esibizione di
attrici e attori famosi ed è qui che conobbe Maria Calderón, la sua futura amante.
l’ideale del successore di Filippo III, secondo il suo menotre l’Olivares, doveva essere glorioso e
trionfante come Carlo V e prudente come Filippo II; doveva quindi essere l'interprete di un
modello. Per fare di Filippo una maestà più che terrena era necessario modellarlo con più
disciplina ed educazione, trasformarlo in un principe colto. E’ vero, come sostiene Elliot, che la
sensibilità di Olivares per la sintesi tra armi e lettere fose assai acuta. E che l’esercizio delle armi
e la cura delle lettere fossero cadute in disgrazia negli ultimi anni di Filippo III. Nell’educazione
dell’arte di governo poi, non ha influito solo il suo futuro favorito, ma anche i consigli paterni. Fu
Filippo III a introdurlo al linguaggio dei despachos e di tutta la documentazione amministrativa
così come a farlo partecipare alle udienze degli ambasciatori. Da qui poi, l’Olivares, gli insegnò il
mestiere del re e a scrivere documenti ufficiali di una certa importanza. Fu così che Filippo Iv
dopo qualche anno dall’ascesa al trono, <giovane e poco incline al lavoro a tavolino>, era in
grado di leggere da solo le consultas in originale e presenziava e parlava alla riunioni consiliari.
Il bolognese Virgilio Malvezzi, uno degli esponenti di punta del Tacitismo italiano, ne tracciava un
importante ritratto <Andava a cavallo-scriveva-correva, torneava, sapeva bene usare le
armi[..]componeva musica, cantava>. Quindi Malvezzi esaltava l’ingegno e la prudenza, il fascino
e la maestà della presenza.
Dopo pochi anni dall’ascesa al trono e grazie a tutto questo, Filippo poteva così allontanare da sé
l'impressione negativa suscitata in gioventù espressa dalle parole dell’ambasciatore genovese.

III. LA REGINA ISABELLA DI BORBONE E I SUOI FIGLI

1. MADRE E FIGLI

il primo ritratto di Isabella di Borbone regina è di scuola spagnola e risale al 1630. La figlia di
Maria de’ Medici e Enrico IV era rappresentata da Diego Velasquez esile, con il perfetto ovale del
viso, il naso aquilino, gli occhi intensi ma velati di malinconia, neri grandi e vivaci: Isabella brillava
nella sua maestosità di regina di Spagna. Velazquez era arrivato a Madrid nel 1622 e nel 1627
era diventato pittore di camera e proprio grazie ai dipinti del pittore sivigliano, Martin Hume ha
ricostruito la biografia di Isabella. Secondo il giudizio di tutti i contemporanei, Isabella era
affascinante, di carattere gioviale e amante del teatro e di combattimenti taurini; amata e

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rispettata dai sudditi fino alla morte. Isabella realizzava l'ideale di regina per quella società in
quanto sapeva unire sapientemente al suo tratto affabile l’amore per il fasto, la passione per i
piaceri della Corte. Allo stesso tempo il popolo ne apprezzava la devozione alle opere religiose e
assistenziali. e faceva ancor più risaltare il contrasto fra la personalità della regina (che
conservava la grazia e reagiva con ordinata compostezza alle tante sventure) e la personalità
bipolare del marito (oscillante tra edonistici entusiasmi, abbandoni a una vita sregolata e
accumulo di depressione.)
La salita al trono di Filippo nel 1621 era stata funestata dalla morte immediata della primogenita
Maria Margherita, nata prematura. L’evento gettava un’ombra sulle cerimonie dell’incoronazione
e costituiva il primo segnale di un complicato rapporto fra la regina e il re.
Il 25 novembre 1623 nasceva Margherita Maria (la frequenza del primo nome era un omaggio
alla madre di Filippo, Margherita d’Austria), morta però prima di compiere un mese. Due anni
dopo toccava a Maria Eugenia che spirava prima dei 2 anni. Dopo un aborto, il 17 ottobre 1627
Isabella dava alla luce Isabella che visse solo ventiquattro ore. Finalmente il 17 ottobre 1629
nasceva il maschio, Baltasar Carlos. Il nome insolito proviene dal legame con la sua camarera
mayor, confidente della regina che le aveva raccontato la storia del suo primogenito. Il Signore le
aveva concesso la grazia di un figlio maschio. Pertanto in suo onore la camarera mayor
suggeriva alla regina di dare il nome di uno dei 3 santi re magi che adorarono Gesù nella
grotta di Betlemme.
Dopo altri aborti il 16 gennaio 1635 nacque Maria Antonia (morta prima dei 6 anni) e nel 1638
Maria Teresa. Con Maria Teresa la storia dei parti sfortunati si concluse felicemente: l’ultima figlia
era destinata a sopravvivere alla madre e a diventare moglie di Luigi XIV nel 1660.
[Era un destino che aveva già caratterizzato la storia dei fratelli di Filippo, nati dal matrimonio tra
Filippo III e Margherita arciduchessa d’Austria]
L’alta mortalità infantile dei reali asburgici era legata al tasso di consanguineità. E’ stato calcolato
che nel periodo compreso fra il 1527 e il 1661, dei 34 figli degli Asburgo 27 non sopravvissero.
Ovvero circa l’80% dei piccoli Asburgo non raggiunse l'adolescenza.

2. FINALMENTE IL MASCHIO

Baltasar CArlos nacque il 17 ottobre 1629 a poco più di 8 anni dall’ascesa al trono di Filippo IV e
la sua nascita rappresentava il culmine della felicità di Filippo IV tanto da venir paragonato al sole
dell’emisfero: in ottobre si vide la primavera e la Spagna visse il suo giorno migliore. il principino
fu battezzato il 4 novembre e i padrini furono l’infanta MAria e don Carlos, zii del neonato principe
delle Asturie. Donna Inés de Zuñiga y Velasco, contessa di Olivares, lo consegnò agli zii. LA
contessa era la camarera mayor della regina Isabella e costituiva il tramite per il controllo
dell’Olivares sull’erede. Tutti i sudditi lo adorarono immediatamente e ci si affrettò a nominare
ambasciatori straordinari a MAdrid per esprimere il compiacimento per la nascita dell’erede.
Iniziarono a essere inviate istruzioni e parole entusiastiche come quelle del granduca di
Toscana , Ferdinando II de’ Medici: [..] il contento che noi habbiamo sentito della felice nascita
del principe di Spagna è stato uno de’ maggiori che potessimo ricevere al mondo...)(pg.52 per
lettera completa).
Il Granduca Ferdinando II richiamava poi, come nel caso delle autorità genovesi che avevano
inviato istruzioni all’ambasciatore straordinario presso il Re Cattolico, la decisione di inviare
anch’egli un ambasciatore straordinario nella persona di Michelangelo Baglioni <per più chiara
dimostrazione del nostro ossequientissimo affetto>.
Baltasar Carlos aveva 6 anni quando fu ritratto per la prima volta nelle vesti di cacciatore da
Velasquez. Con straordinario realismo, il pittore proiettava sul bambino, ritratto con espressione
calma e intelligente, il peso dei carichi che avrebbe dovuto sostenere da sovrano. La

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partecipazione a battute di caccia costituiva uno dei tratti importanti nella sua educazione e nel
suo percorso formativo. Altri dipinti a lui dedicati e emblematici dell’educazione del principe: El
principe Baltasar Carlos a caballo; El principe Baltasar Carlos cazador, El principe Baltasar
Carlos con un enano, El principe Baltasar Carlos en el picadero (riferimento alla sua passione
per le tauromachie).
Ritratto robusto, colorito, sano e simpatico, dopo una breve infermità contratta nell’infanzia,
l’erede si riprese e condusse una vita attiva come suo padre e dedicata in prevalenza allo sport.
A 14 anni aiutava il padre nel disbrigo degli affari di corte e gli venne affidato Juan de Isasi
Idiaquez come maestro il quale si attenne a una Instrucción per l’educazione del principe. In essa
era indicata categoricamente la storia come base formativa. La conoscenza storica come
magistra vitae secondo la concezione classica veniva così a rappresentare il centro del modello
formativo del padre come del figlio: Filippo IV avrebbe tradotto in spagnolo , ad esempio, la
Storia d’Italia di Guicciardini; Baltasar Carlos si sarebbe cimentato con componimenti in lingua
latina.

3. MARITO E MOGLIE

Il re, pur dedito ad amori occasionali, era profondamente innamorato della moglie. ERa
tremendamente infedele in quanto era un uomo che aveva un bisogno non reprimibile di
<trascorrere nel talamo non solo le notti, ma anche molte ore del giorno>. L’atteggiamento di
Isabella di fronte alle continue infedeltà di Filippo era improntato a rassegnazione. Certo non era
felice e la sua infelicità coniugale era di dominio pubblico tanto che veniva confermata dagli
ambasciatori veneziani.(Esempio, 1632, Mocenigo informava che <la regina non è certo contenta
di vedere il re continuamente dedito ai piaceri della carne e di trascurarla>. Proprio per queste
difficoltà nel rapporto col marito Isabella alimentava legami di amicizia assai stretti con la moglie
del conte-duca d’Olivares, Inés de Zuñiga y Velasco e con Luisa Manrique de LAra, IX contessa
di Parédes de Nava tanto da essere identificata come <su secreta valida>. L’amicizia tra le due
fu così profonda che una volta diventata monaca, rievocando la sua vita passata, Luisa confidava
al suo confessore e biografo la profondità di questa amicizia e i favori straordinari della regina.
Donna Luisa era la depositaria unica dei segreti della regina (Isabella dava molto peso al
<grande amore verso il marito> ma anche a <tutto il resto>).

8 aprile 1622: Palazzo Reale di Aranjuez.Il re compie 17 anni. L’intera corte assiste a una
commedia opera di Giulio Cesare Fontana. Autore del testo era il Peralta, don Juan de Tassis,
uomo geniale sospettato di essere attratto da altri maschi. Fu forse quella l’occasione per l’inizio
di una relazione con la regina, oggetto di dicerie in tutti gli ambienti. Si racconta che il conte,
innamorato di Isabella, dopo la rappresentazione, provocasse l’incendio del teatro per
salvarla dal fuoco e stringerla fra la sue braccia. Poco dopo l’episodio, però, il Peralta
venne assassinato e i sospetti caddero su Filippo e Olivares. (Piaciuto il momento gossip
amiche e amici? :) )

4. LA REGINA E LA POLITICA

Le regine spagnole disponevano di un potere a 3 livelli. In primo luogo dovevano svolgere la


funzione di madri, spose a tenera età per assicurare la continuità dinastica. In secondo luogo le
regine straniere <costituivano un collegamento formale e informale tra le due dinastie, mediando
tra la politica del paese di origine e quella del paese di adozione dando luogo ad una diplomazia
parallela che spesso si sovrapponeva a quella dell’ambasciatore ufficiale.> In terzo luogo, e
questo permetteva loro di allargare la loro sfera di potere, spesso ricoprivano la carica di
governatrici e reggenti in assenza del marito che delegava ad esse temporaneamente il governo

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del regno. Tutte e 3 queste funzioni furono esercitate da Isabella anche se con un ruolo prima
assai debole. I legami tra la dinastia francese e quella degli Asburgo ebbero breve durata perché
durante la guerra dei Trent’anni gli interessi dei due paesi entrarono in conflitto. Fu soprattutto
con lo scoppio della crisi catalana nel 1640 (Filippo dovette allontanarsi da Madrid per
raggiungere il teatro della rivolta e della guerra con i francesi) che Isabella assunse un ruolo di
primo piano nella gestione del governo dell’impero spagnolo.
Tra il 1621 e il 1640 la rigida etichetta borgognona consentì raramente interventi
significativi della regina negli affari politici. Gli spazi reale erano sensibilmente gerarchizzati e
vigeva una distinzione netta tra la Casa del re e quella della regina. L’etichetta, ad esempio,
stabiliva che i pranzi del re e della regina fossero di norma organizzati in spazi differenti in modo
che i due non potessero incontrarsi. (si capisce allora meglio come la presenza di Filippo ,
commensale alla tavola di Isabella e della contessa di Parédes, costituisse un unicum ed
esemplificasse un aspetto del potere femminile della regina che lo rendeva partecipe con un atto
della propria volontà durante un momento altamente simbolico della sua amicizia con la fedele
cortigiana.
I rapporti di Isabella con il valido di Filippo Iv, il conte-duca d’Olivares, protagonista della gestione
del potere tra 1621 e 1643, furono assai turbolenti. Anche perché egli sosteneva che <i frati
devono solo pregare, le donne solo partorire> e non ammetteva interferenze femminili negli affari
di Stato, nemmeno quelle della regina. L’etichetta e il cerimoniale di COrte tendevano quindi a
spostare in secondo piano l’attività politica della regina ma in generale si può comunque
affermare che gli Stati monarchici, fondati sul principio della legittimità dinastica, a differenza dei
regimi repubblicani e oligarchici urbani, riservarono alle donne una relativa partecipazione
politica.
La cosiddetta storia di genere, applicata a regine e regine-reggenti, significa ricostruire l’insieme
di strategie che formarono lo stile di governo al femminile. Nel caso di Isabella, gli atti e gli
episodi di una strategia politica informale sono quantitativamente superiori a quelli riferibili alla
politica formale. Si configurano soprattutto come strumenti per la formazione del network
clientelare della regina. LA sua rete fu assai complessa (più complessa di quella di Caterina de’
Medici ad esempio, reggente per i trent’anni della Francia durante le “guerre di religione, pg 58)
anche perché la regina poteva sfruttare tutti gli strumenti dell’integrazione dinastica affermatesi
durante l’età di Filippo III. Isabella controllava gli incarichi di palazzo e della sua Casa per creare
consenso intorno alla sua persona e costituire un suo partito in grado di fronteggiare la
conflittualità fazionale a Corte. Nel settembre 1627, per arginare l’influenza di Isabella in queste
nomine, Olivares scelse sua moglie Inés de Zuñiga per la carica vacante di camarera mayor di
Sua Maestà. L’obiettivo era controllare gli appartamenti reali e impedire qualsiasi tentativo di
opposizione al valido.
L’amicizia con la contessa di Parédes, a cui la regina confidava segreti intimi ma anche notizia di
questioni politiche, era un altro tassello importante della rete di Isabella. Colpisce il fatto che
molte fra le dame più importanti della Monarchia fossero collegate a Parédes. Si disse che ad
influire alla caduta dell’Olivares nel 1643 fosse proprio il network femminile intorno ad Isabella.

In sintesi si può dire che il potere informale di Isabella le consentì di aggirare alcuni vincoli e
rigidità, rappresentati soprattutto dall’etichetta borgognona che prevedeva la separazione tra la
Casa del re e quella della regina. La costruzione di tale potere fu costruito lentamente e fu
dipendente in larga misura da congetture politiche interne nonché dall’assenza del re che
accelerò la costruzione del potere stesso di Isabella che poté avvalersi del suo network .

5. MORTE E TRASFIGURAZIONE DI ISABELLA

Nel settembre 1644 Isabella si ammalò di difterite.


La Vergine di Atocha fu portata in processione fino al palazzo reale dove agonizzava la regina. Il
5 ottobre la regina fece testamento. Morì il giorno successivo prima di aver compiuto i 41 anni.

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Grande fu il turbamento di Filippo per la perdita. Appena informato della malattia, assente per
impegni bellici, avrebbe voluto far ritorno ma fu trattenuto a Saragoza. Ebbe la notizia della morte
durante il viaggio. Decise quindi di ritirarsi al Pardo da dove inviò la triste notizia. Molti di questi
documenti rivelano il dramma del sovrano. Scrisse a suor Maria de Agreda: <In una sola persona
ho preso tutto quanto avrei potuto perdere in questo mondo[...]. >
Un’altra testimonianza è nella lettera inviata alla contessa di Paradés: <In un solo giorno ho
perso la moglie, l’amica, il conforto in tutti miei travagli e se non ho perso il senno e la vita,
significa che debbo essere di bronzo. Mi confido con voi perchè conosco la vostra confidenza
con la regina e l’affetto che voi le portate.>

La morte prematura gettò l’Alcazar nello sconforto. Nella stessa notte il feretro fu condotto al
panteon dell’Escorial accompagnato dal principe Baltasar la cassa fu chiusa dopo il ritiro del
principe nel suo appartamento.
Come scrive Deleyto y Piñuela, la perdita della regina <era una calamità nazionale.[...] Non si
può dire senza iperbole che la Spagna avesse perso con lei una figura storica eminente, ma si
può dire che perse una donna memorabile [...].>
L’anno successivo alla destituzione di Olivares ebbe inizio la costruzione del mito di Isabella
grazie anche al confessore della regina, il frate Juan de Palma.
Certo il profilo biografico di Isabella ci restituisce la personalità complessa di una regina che fu
chiamata ad affrontare un periodo tormentato della storia imperiale spagnola -nella doppia
dimensione della sua vita privata e pubblica. Bella affascinante, dotata di una sensibilità non
comune, non esibiva la sofferenza ,a la viveva nel suo intimo spostando il dolore nella spinta
religiosa e nelle opere assistenziali. Nella sua vita pubblica, invece, fu costretta a fronteggiare la
concorrenza di una personalità scomoda come quella di Olivares entrando a far parte della
strategia di alleanze cortigiane tese all'allontanamento del valido.

CAPITOLO 4

1. IL VALIDO: UNA PROFONDA TRASFORMAZIONE POLITICA

Feros definisce il sistema politico inaugurato da Filippo III attraverso la figura del valido. Artefice fu il
duca di Lerma e diventò l'interlocutore privilegiato del sovrano nel rapporto di comunicazione con
gli apparati amministrativi. Egli creò un sistema di potere che affondava le sue radici nelle clientele;
tra il valido e i suoi protetti, la dipendenza era reciproca ed era destinata ad influire sulle dinamiche
di sviluppo, sopravvivenza e crisi del sistema. La figura del favorito era ambigua: potentissimo primo
ministro di fatto, anche se non di diritto, la sua forza e la sua debolezza derivano dagli alti e bassi del
rapporto di natura personale col re. Il valimiento fu lo sblocco inevitabile di un processo di
burocratizzazione e dunque fu anche la risposta ad esigenze di semplificazione politico
amministrativa e al tempo stesso la proiezione di una società dominata dai livelli più elevati delle
stratificazioni aristocratiche, dalle oligarchie dei grandes. L'ascesa dei favoriti era da porre in relazione
anche col contemporaneo venir meno del ruolo dei consigli e dei segretari, quella coppia si sostituirono due
nuove relazioni capaci di governare l'intero sistema Imperiale: quello tra re e validos, quella tra favoriti e
viceré. Il modello di un re che regna e di un ministro che governa ha fortuna e si diffonde in altre zone
europee in Francia con Richelieu, in Inghilterra con Buckingham ma in Spagna è meglio riconoscibile
l'essenza del valimiento. Il primo a costruirlo fu Infatti il Lerma, viceré di Valencia dal 1596 al 1598,
esponente dell'alta nobiltà anche se non possedeva la grandezza. Il sistema di governo del valido Conte-
Duca di Olivares riprese, nella la sostanza, quello del Lerma. Rispetto al governo precente e rispetto a
quello dei Sandoval, il clan familiare dell’Olivares fu ancora più basato sul nesso stretto valido-viceré. Gli
strumenti dell’amministrazione parallela furono le juntas. Le juntas erano formate da personale scelto
direttamente dal valido all'interno dei Consigli. Nel passaggio dai Sandoval all’ Olivares, la struttura del
clan si perfezionò. Il ricorso alla parentela fu più largo e investì la linea dei cugini e quella cognatizia. Il
clan controllò anche le funzioni centrali e periferiche dell'impero, consigli, viceregni, ambasciate ma anche

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cariche di Palazzo e uffici di Casa Reale. La trasformazione del sistema politico spagnolo è visibile, già
sotto Filippo II, attraverso il parziale svuotamento del Consiglio di Stato. La novità introdotta dal Lerma
fu il controllo della Corte: trionfavano i Grandes, La gerarchia statuale doveva rispettare la
gerarchia sociale, le poste in gioco erano: la distribuzione della Grazia regia e il controllo del valido
sugli apparati, non ricoprire vacanti, spingere l'aristocrazia a dipendere economicamente dalle
decisioni politiche, attraverso il controllo dell' indebitamento, delle strategie matrimoniali. Tutto
questo rappresentò la sostanza del “regime Olivares” tra i primi anni 20 e i primi anni 40.

2. ZUNIGA, PRIMO VALIDO DI FILIPPO IV E GLI INTRIGHI DI CORTE

A guidare la transizione da Filippo III a Filippo IV fu Baltasar de Zuňiga, eminenza grigia dell’Olivares e
suo mentore politico, bellicista convinto contro il pacifismo imperante nell'epoca di Filippo III e
realizzatore di strette relazioni con il Sacro Romano Impero e tra Roma e Vienna. Il suo apprendistato si
svolse presso la Casa del Monterey, la formazione politica fu quella tipica di un nobile della Controriforma,
militare, cortigiano e diplomatico e soprattutto, fu Ambasciatore a Bruxelles. L’ascesa dello Zuniga fu negli
anni tra il 1617 e il 1621, allorché egli divenne prima consigliere di Filippo III, quindi il privado di Filippo
IV, dopo la morte del padre e il conseguente passaggio del potere al figlio. Zuniga fu il protagonista della
transizione della lotta per il monopolio del potere nelle ultime ore di vita di Filippo III. Tre anni dopo la
struttura del potere era profondamente cambiata (citazioni Pinelli e Medici)
→ In quel periodo vi fu un cambiamento del sistema di potere, ovvero il sistema non era più
fondato sulla corruzione ma sul più raffinato e ramificato sistema delle clientele, delle alleanze e
delle amicizie e sull'ampliamento del Consiglio di Stato, formato da sodali del Conte-duca: “il
regime olivares” appunto. La corruzione era stato lo strumento più facile ma di breve durata; la
via della clientela, dell’amicizia, del controllo diretto delle cariche, si rivelava ora, il percorso che
garantiva al valido risultati più stabili in vista di un obiettivo più ambizioso, ovvero la costruzione di un
regime, senza lasciare spazi all'infiltrazione di oppositori.
L'offensiva di Zuniga e dei suoi alleati per controllare la successione di Filippo IV e consolidare il potere
dell'ultimo consigliere del padre fu intensificata. Tuttavia, il nuovo re desiderò affidare il governo al suo
amico Conte di Olivares che cosciente delle migliori e più affinate capacità dello zio declinò l'offerta a suo
favore. In realtà, pochi mesi prima della morte di Filippo III, in un ristretto consiglio di famiglia, fu messo
a punto la strategia. Nel gruppo familiare, composto dai suoi nipoti monterei e Olivares, Zuniga si era
assicurato la leadership e l'accordo dei parenti su di lui come capo visibile del nuovo governo. Filippo IV
nutriva verso di lui profondo rispetto, ma nel cuore era il conte di Olivares, che disponeva della sua più
stretta amicizia e confidenza. Veniva quindi a configurarsi un efficiente distribuzione di ruoli e un gioco
delle parti: il politico era lo zio, l'esperto in relazioni pubbliche il nipote. L'ambizioso obiettivo del nuovo
ordine era quello di superare, attraverso l'amicizia più stretta col monarca, il discreditato sistema del
valimiento imperante nel regno precedente quando un solo uomo monopolizza va tutte le risorse della
Corte della diplomazia. Per Olivares, il termine valimiento veniva ad essere sostituito con quello di
ministro privado, con mansioni di maestro di cerimonie e altre derivanti dell'amicizia col re. Ma il
controllo della grande politica apparteneva allo Zuniga. Olivares era il primo nella grazia regia, ma non
poteva sostituire il monarca né essere suo alter ego, godeva di maggiore presenza pubblica ma non di
rilevanza politica. Non a caso, per i diplomatici il principale interlocutore era lo Zuniga, a cui veniva
accreditato rinnovamento, buon governo, cambio rispetto al tempo anteriore.
Lo Zuniga usò la crisi monetaria del 1621 che colpì il Regno di Napoli per censurare il mal governo dello
Zapata, rimuoverlo e nominare al suo posto il duca d'Alba a lui fedele. Il suo progetto era quello di limitare
il potere dei viceré e rafforzare il vincolo diretto tra le élite dei reinos e la corte di Madrid. Nell'autunno
1621 moriva lo zio dello Zuniga, Presidente del Consiglio d'Italia e il nipote ne assunse la successione. Lo
scontro tra Zuniga e Olivares non tardò a manifestarsi. Nell'agosto del 1622 l’Olivares creava la Junta
Grande de Reformacion e mentre rafforzava il suo legame col suo sovrano, si accentuavano i contrasti tra
lui e la regina Isabella di Borbone. Di conseguenza, lo Zuniga si alleò con la regina, non approvò il
processo e la condanna a morte di Rodrigo Calderon, la sua esecuzione esemplare consumata nella Plaza
Mayor nel 1621 e L'assassinio del conte di Valle mediana accusato di aver sedotto La regina nella calle

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Mayor e 1622. Dunque, si registrava lo scontento di quella parte dell'aristocrazia che non era stata
ricompensata con privilegi dal nuovo sovrano. Nel settembre 1622 cominciava l'agonia di Zuniga che
sarebbe morto a 71 anni il 7 ottobre dello stesso anno.

3. LA STRUTTURA DEL POTERE NEI PRIMI ANNI VENTI


Filippo aveva 17 anni quando nel 1622 l'ambasciatore Costantino Pinelli metteva in evidenza come il
percettore di Filippo IV, lo Zuniga, fosse poco amato dal re e come il suo ingresso nel palazzo e la funzione
che svolgeva a Corte fossero stati favoriti dall’ Olivares. Nell'ottobre 1622 un'altra relazione
dell'ambasciatore genovese Giovan Battista Saluzzo confermava il ruolo decisivo svolto dal Conte Olivares
nell'associare al governo del Zuniga “la machina de negotij di tanta qualità”. Inoltre, l'ambasciatore
individuava la causa della dipendenza del re dalle decisioni di altri nella sua scarsa inclinazione al lavoro e
nell'insufficienza degli insegnamenti impartitigli sugli affari di governo. Ma al tempo stesso egli
riconosceva le potenzialità intellettuali del sovrano. Il Saluzzo forniva un quadro dettagliato della struttura
del potere nei primi mesi del regno di Filippo IV. A farne parte vi erano: Juan Hurtado de Mendoza,
sesto duca dell'Infantado, figlio del Marchese di Mondejar, Innico Lopez Hurtado de Mendoza,
viceré di Napoli dal 1575 al 1579, maggiordomo maggiore sotto Filippo III; Agostino Mesia, uno dei
più vecchi soldati; Don Pedro di Toledo, marchese di Villa-franca, generale della cavalleria spagnola,
governatore di Milano dal 1616 al 1618; Don Baltasar de Zuniga e il cardinale Zapata.
I privados da un lato si autorappresentavano come coloro che perseguitavano l'interesse pubblico, dall'altro
operavano per costruire un nuovo sistema di potere a partire dalla niente mento di quello precedente e
ampliando il numero anche dei posti a disposizione. In tale contesto, la posizione del sovrano appariva
abbastanza difficile scomoda. Innanzitutto, doveva realizzare un arduo equilibrio fra l'amicizia e
l'intimità con l'Olivares e il doveroso rispetto per la preparazione politica di Hurtado de Mendoza
fino alla sua morte nel 1622. Filippo IV, appena uscito dall'adolescenza, pertanto non ancora maturo,
apparve più incerto, a volte addirittura assente, nelle questioni e gli affari del nuovo corso.

4. IL RE E IL SUO VALIDO

I rapporti tra Filippo e Olivares:


Il primo loro comune denominatore è rappresentato da: l’alternanza dei rapporti. Del resto, come in
qualsiasi amicizia, essa fu caratterizzata da momenti di collisione e momenti di conflitti. Il secondo fattore
di convergenza storiografica è il riconoscimento del valido conte-duca come l'effettivo capo della Corona.
Ciò non significa che egli si sostituì al suo sovrano, ma che l’Olivares gestì il potere utilizzando tutti gli
spazi possibili tra titolarità sovrana e delega. Fu l'artefice della svolta in politica estera dopo il
pacifismo di Filippo III, della politica imperiale della Spagna tra gli anni Venti e Trenta del Seicento,
il protagonista delle sue vittorie e sconfitte. Inoltre, fu anche l'ispiratore dei principali indirizzi di politica
interna della monarchia. Il terzo fattore di convergenza è il consenso sulla categoria di “ regime Olivares”
un sistema fondato su familismo, eliminazione degli avversari, clientelismo, pieno controllo dell' apparato
centrale e periferico del governo imperiale.
Alla prima fase, quella dell'apprendistato del sovrano largamente influenzato dal valido, segue una
seconda fase, dalla successione di Filippo IV fino al 1625, che ha al suo centro il Gran Memorial del
1624, destinato dall’Olivares al perfezionamento dell'educazione del re. Il Gran Memorial si ispirava
al principio del conoscere per governare. La nobiltà di servizio doveva trasformarsi in nobiltà di
merito. La vera ed effettiva classe dirigente doveva essere costituita da componenti delle Giunte,
formate da élite dei consigli corrispondenti. Secondo Olivares, non doveva tutto essere ridotto al
“estilo de Castilla”. Anzi era necessario rompere il monopolio castigliano, favorire e promuovere
matrimoni tra componenti della nobiltà e famiglie per realizzare una vera unità della Monarchia.
Nei primi cinque anni, re e ministro ebbero bisogno reciproco di fiducia. Tra i due vi fu quasi una divisione
del lavoro. Olivares operò costantemente per coinvolgere Filippo nei processi del governo, ma la
personalità del sovrano emerse lentamente, soprattutto dopo il 1626. La terza fase del rapporto fra il re e il

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suo valido si inaugura con l’annus mirabilis: quel 1625 che vide le vittorie spagnole a Cadice, Breda,
Genova e nelle terre d'oltremare. Fu l'anno in cui il re cominciava ad essere ufficialmente designato col
titolo di Felipe El grande, grande sovrano nell'arte della guerra e della pace. Tra il 1627 e il 1635 la politica
estera della monarchia fu impegnativa su vari fronti: la guerra nei Paesi Bassi, la successione di Mantova, il
teatro del Baltico. Nel 1621 si era riaperto il fronte di guerra tra la Spagna e le Province Unite. La Spagna
riuscì in questi anni a mettere a segno una serie di vittorie contro l'esercito olandese. Un altro fronte di
guerra arriva in Italia. Nel 1625 la Spagna Interviene a fianco dei cattolici della Valtellina contro i seguaci
della riforma. La Valtellina era un importante corridoio di comunicazione con i domini italiani. Dopo
complesse trattative, la Francia costrinse la Spagna a restituire la Valtellina ai Grigioni (pace di Monzòn,
1626). La questione danese si intrecciava con gli anni della seconda fase della guerra dei 30 anni. In
Danimarca regnava, all'epoca della guerra, il giovane sovrano Cristiano IV. e a creare uno stato
solido dal punto di vista finanziario grazie alla riscossione dei dazi sul canale del Sund e
all'esportazione di bestiame verso la Germania. Cristiano IV scese in guerra a fianco dei protestanti
contro l'impero ma Ferdinando II affidò il comando delle truppe Imperiali a uno dei più importanti
condottieri militari del tempo: Wallenstein.
Wallenstein sconfisse le truppe protestanti, invase la Danimarca, la costrinse a una pace; la pace di
Lubecca (1629). Con la pace, Cristiano IV rinuncio a ogni ingerenza nell'Impero. l'imperatore emanò
l'editto di Restituzione: in base a esso dovevano essere riconsegnati alla chiesa cattolica tutti i beni
confiscati dopo il 1552.
Nello stesso periodo entrò nel conflitto mondiale anche la controversa eredità nel Ducato di Mantova e nel
Marchesato del Monferrato, entrambi feudi imperiali. Alla fine del 1627 moriva Vincenzo II Gonzaga. Egli
lasciava una nipote, la Principessa Maria, figlia del suo fratello maggiore, Francesco II Gonzaga. La
successione per via femminile era legittima nel Monferrato ma non a Mantova. Il più forte candidato per
via maschile era il capo del ramo francese dei Gonzaga: Carlo duca di Nervers. La successione di Mantova
e del Monferrato era di cruciale importanza Europea per la posizione strategica della Regione. Il Ducato di
Mantova era collocato a sud-ovest del Ducato di Milano, Feudo dell'impero, ma spagnolo per legittimo
possesso ereditario. A separare Mantova dalla Marchesato del Monferrato era il territorio milanese. La
morte di Vincenzo scorse comunque di sorpresa Madrid. il duca di Nevers se si era invece molto
anticipatamente. Aveva mandato il figlio Carlo a Mantova dove sposò la Principessa Maria col consenso
dello zio, Vincenzo II Gonzaga, che morì qualche giorno dopo. Contro la successione del Nevers, Carlo
Emanuele prima e la Spagna avevano raggiunto un'intesa prima della morte di Vincenzo II Gonzaga,
ovvero le forze del Savoia e di Filippo IV avrebbero invaso Mantova e il Monferrato. Il pericolo di
un'intesa fra il duca di Nevers, luigi XIII e Carlo Emanuele di Savoia lasciava il Milano è il Ducato scoperti
sul fianco. Entrava allora in scena il conte Duca di Olivares per il quale il Nevers meritava una lezione. nei
progetti del conte-duca vi era l'ambiziosa idea di creare una posizione spagnola nell'Italia settentrionale
attraverso un Trionfo militare. La reputazione della Spagna era impegnata all' incerta avventura italiana.
Per l’Olivares si sarebbe risolta bene e l'Italia settentrionale era comunque un obiettivo di primo piano.
Tuttavia, i contraccolpi sull’Olivares furono pesanti. La presenza francese nell'Italia settentrionale non
poteva certo far piacere né a Vienna né a Madrid. Per Filippo IV, Mantova e il Monferrato dovevano
restare sotto il controllo dell’Imperatore. Pur convinto che la Francia meritasse una lezione, il sovrano
asburgico era comunque desideroso che si arrivasse alla pace sia nelle Fiandre sia in Italia. Ma
Olivares la pensava diversamente. Così la monarchia asburgica si trova impegnata su più fronti. La
monarchia spagnola si illuse sulla possibilità di un successo in Italia e il 13 ottobre 1630 l'imperatore
firmava con i francesi a Regensburg il Trattato di pace. La Spagna aveva speso 10 milioni di Ducati per la
guerra in Italia senza ricevere niente in cambio.
Nel 1627 Filippo IV dovette far fronte ad una grave malattia. La sua ripresa fu veloce, ma il sovrano
ne uscì fortemente provato. La malattia e il suo esito suscitarono gravi timori per la sua successione
e provocò intrighi a corte. Olivares centralizzò su di sé il controllo della malattia del re e impedì
l'accesso alla sua camera a tutti tranne che ai suoi Fedelissimi. Si accentuò il conflitto fra
l'aristocrazia e il progetto Olivarista di regenza durante l'infermità di Filippo.
Tra il 1629 e il 1632 si ebbe la prima vera incrinatura nei rapporti tra il re e il suo valido. Il motivo
principale fu la diversità disposizioni sulla strategia internazionale asburgica, in alternativa all'impegno

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verso il fronte italiano proposto da Olivares. Filippo era più favorevole a investire le risorse militari
sulle Fiandre. A tale fine il sovrano desiderava impegnarsi sul fronte bellico il suo ministro cercava di
rinviare il suo spostamento nelle Fiandre. Dunque, il desiderio di Filippo volto a ricoprire un ruolo
esplicitamente militare, destabilizza di continuo il rapporto fra il re e il valido.
Il 1641 fu un annus terribilis nella vita di Filippo. morirono Ferdinando e, nelle Fiandre, il cardinale
Infante: dei tre fratelli restò solo lui e così una crisi depressiva colpì il sovrano.
Evidentemente il rapporto fra Filippo e Olivares fu segnato da alti e bassi. Pesarono su quel rapporto la
dipendenza del sovrano dal più fermo e deciso carattere del valido; le vicende biografiche di Filippo,
colpito negli affetti familiari dopo la morte dei due fratelli, dalla malattia e dalla depressione; il
condizionamento delle congiunture internazionali. La malinconia di Filippo IV derivava anche dal
divario esistente fra le aspirazioni a seguire l'esempio e il modello del nonno Filippo II, personalità
volitiva, e la debole capacità a realizzare quelle aspettative. Dunque, si rendeva quanto mai necessario il
ricorso al valido per riempire il vuoto fra il modello e la realtà.

5. IL TRADUTTORE DI GUICCIARDINI

Nel 1632 Filippo iniziava la traduzione in spagnolo dei libri ottavo e nono della Storia d'Italia di Francesco
Guicciardini. Il lavoro era necessario e richiedeva straordinaria precisione per la migliore comprensione
degli affari della monarchia e perché l'opera di Guicciardini conteneva ammaestramenti per il buon
governo. Inoltre, era un tributo al lascito paterno, l'integrazione dei suoi insegnamenti per leggere e meglio
comprendere i despachos provenienti dalle diverse parti dei reinos. Leggere le storie era stata la linea
direttrice della formazione del re, accompagnata dall'esperienza diretta attraverso le udienze e il rapporto
con le magistrature della monarchia. il sovrano scriveva di suo pugno ai Tribunali su materia assai
importanti, Grazie anche all'assistenza di Giuristi esperti in diritto civile e canonico. Filippo sottolineava
anche il suo interesse particolare e la sua massima attenzione nella selezione del personale di governo, in
particolare di quello vicereale. Il re si era applicato allo studio anche del Francese parlando continuamente
con familiari che ben lo conoscevano. Si dedicò inoltre all'apprendimento dell'italiano poiché l'Italia
costituiva la parte principale della stimata monarchia. Ma perché Guicciardini? Perché era il più importante
storico d'Italia. La scelta dei libri VIII e IX era motivata dal fatto che la materia doveva essere conosciuta
da chi occupava un posto come quello di re. Soprattutto perché i libri raccontavano i processi storici come
le guerre, le leghe tra principi, movimenti Generali nell'Europa dell'epoca e gli eventi dei primi 12 anni del
regno filippino. Il re spiegava inoltre la sua predilezione per Guicciardini sia perché lo scrittore e la sua
famiglia erano stati onorati dei Re cattolici, sia soprattutto perché sentiva il soggetto della materia più
vicina ai suoi interessi. Ancor più efficace la testimonianza di Lope de Vega per il quale Filippo aveva
scelto di tradurre la Storia d'Italia perché essa parlava bene della Spagna. nel prologo alla traduzione
Filippo mostrava la sua ammirazione. per lo stile elegantissimo di Guicciardini e per l'equilibrio dei
giudizi.

6. IL NAUFRAGIO DEL CONTE-DUCA


Tra il 1640 e il 1642 Saavedra Fajardo pubblicava l’opera Idea de un principe politico cristiano, dedicata a
Filippo IV. Fajardo Aveva gravitato intorno alla corte romana e partecipato a varie missioni come
Ambasciatore spagnolo a Roma. Egli fu rappresentante spagnolo presso il duca Massimiliano di Baviera e
contribuì al successo della battaglia di Nordlingen. Riuscì ad integrarsi sia nell’inner circle del Duca di
Lerma sia nel regime Olivares. Nella sua opera si soffermava sul rapporto con i ministri. Già a partire dagli
anni Venti e Trenta il distacco di una parte dell'aristocrazia dalla Corona si era fatto preoccupante. La
corona reagiva con due modalità: la creazione di Accademie di nobili, per meglio controllarne la fedeltà
dinastica; la costituzione di una Giunta di obbedienza per castigare i recalcitranti. Ma era soprattutto il
rapporto fra alcuni aristocratici El Olivares e che erano diventati assai difficili.
Nel 1635 venne inaugurato nel palazzo del Buen Retiro il Salon de Reinos. La storia e le immagini
dovevano costituire strumenti di governo e di propaganda in un momento non felicissimo per le sorti
della monarchia. Gli affreschi con i ritratti di re rappresentavano i regni dell'impero e cena storica
dovevano illustrare la continuità della monarchia asburgica. Il Salone delle Virtù di Filippo IV doveva

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invece alludere alle doti di un governante degno di emulazione. La storia contemporanea, insieme con la
pittura e l'architettura, era utilizzata anche per promuovere la lealtà dei principali vassalli verso il re. Molti
generali, raffigurati nel Salon de Reinos, erano avversari dell’Olivares. Negli stessi anni Olivares si
muoveva anche su un'altra strada: la dominatio memoriae dei suoi oppositori passati e recenti.
Filippo IV, al principio del suo regno, aveva creato la Junta Grande de Reformación. Tra i suoi compiti
c'era anche quello di combattere contro ogni forma di attacco alla morale: concubinato, adulterio, stupro,
prostituzione e soprattutto sodomia. quest'ultima nel diritto Castigliano era considerata un crimine
atrocissimo. tra il 1636 e il 1639 furono celebrati molti processi per questo delitto equiparato alla lesa
maestà. la condanna comportava la privazione dei beni e l'infamia per i discendenti del condannato.
Era il 1635 quando molti Scritti e trattati condannavano gli “effeminati diletti” della nobiltà.La produzione
letteraria vedeva nelle tendenze omosessuali di esponenti dell'aristocrazia lo specchio della crisi di virilità
del regno. se confermate nei processi, la condanna comportava non solo la privazione dei beni e, in alcuni
casi, la morte, ma anche la menomazione della reputazione. Queste accuse avevano colpito persino il duca
di Lerma, per la sua presunta relazione con il suo gentiluomo di camera: Garcia de Pareja. Lo stesso Duca
di Sessa, Patrono di Lope de Vega, venne sospettato di omosessualità. ad essere condannati a morte erano
soprattutto gli esponenti della piccola nobiltà e i criados. Il processo per sodomia al Villamediana fu
condotto dall’ Olivares per screditarne la memoria e per lanciare un messaggio a quell’ala
dell'aristocrazia che stava tramando contro di lui. Ma era anche un avvertimento, allo stesso sovrano,
per i rapporti sessuali tra quest'ultimo e l’infante Baltasar Carlos.Il 19 giugno 1633 si celebrarono le
onoranze funebri per Suor Margherita de la Cruz, nipote di Carlo V e zia di Filippo IV.
Dal 1635 al 1637 il gesuita Agustin de Castro fu nominato predicatore di Corte.Egli si distinse
particolarmente in elogi al privato. iniziò così la campagna di opposizione.
Sempre nello stesso periodo Luis Velez de Guevara pubblicava La Corte del demonio, Si trattava di una
commedia caratterizzata dalla similitudine dei temi e dalle stesse circostanze che davano vita nel maggio
del ‘43 alla pubblicazione del Nicandro. Un mese dopo vi fu il ritiro forzato del Conte Duca. il Nicandro
era l'autodifesa per la politica seguita dal Olivares in Portogallo e in catalogna per il progetto dell'Unità
differenziata dell'impero. Per spiegare i disastri degli ultimi anni, Olivares chiamava in causa la crisi
generale. Filippo IV ne ordinò il sequestro. Poco dopo il conte Duca si trasferiva da Madrid a Taro. La crisi
e il naufragio del valido avevano molteplici motivazioni. In primo luogo, la congiuntura internazionale, che
aveva visto le sconfitte militari della Spagna Imperiale. In secondo luogo, giocava a sfavore del conteduca
il solco sempre più profondo che era venuto a crearsi fra lui e l'aristocrazia, maschile e femminile, e del
clero. Si è addirittura scritto di una “cospirazione delle donne” contro l’Olivares; le quattro donne
furono La regina Isabella, la Duchessa di Mantova, Ana de Guevara e Suor Maria de Agreda.
In terzo luogo, il naufragio fu anche dovuto al fallimento della sua politica interna; la mancata
realizzazione del progetto della Union de las armas; i tentativi falliti di riforma dell'amministrazione e del
sistema fiscale dello Stato, furono i fattori che più incisero sulla crisi del valido. Tuttavia, due giudizi
convergenti restituiscono il ritratto più convincente del Conte-duca. Secondo Elliott, egli fu insieme un
riformatore e un tradizionalista. Secondo Galasso, Egli Individua una sproporzione tra l'obiettivo e l'intera
struttura dell'impero, caratterizzata dall’inefficienza burocratica e dalla corruzione.

7. UN MONARCA DIMEZZATO? RE E MINISTRO NEI GIUDIZI DELLA


STORIOGRAFIA.

La dipendenza pressoché totale di Filippo dal valido fu poi decisamente ribadita da Pietro Giannone nell’
Historia civile del Regno di Napoli. Lo storico napoletano attribuiva proprio al malgoverno e alla cattiva
amministrazione la sollevazione delle province ed i regni in rivolta. Quello che veniva trasmesso, era
l'immagine di un re quasi dimezzato, incapace di adempiere alle sue funzioni e per il carattere debole
dipendente dei suoi ministri.
Infatti, l'Ottocento non si distaccava da questa rappresentazione. Il cervantista, Adolfo de Castro, dedicò
uno studio al conte-duca e a Filippo IV. Il valido era considerato, da Castro, la causa principale delle
perdite della Spagna in Oriente, nelle Fiandre e parte del Ducato di Lussemburgo, in Alsazia. Era lui il
responsabile della perdita di navi nell'atlantico e nel Mediterraneo. Aveva prelevato milioni di dobloni d'oro

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dal popolo spagnolo per distribuirli a governatori generali e ad altri ministri. I mali del valimiento erano
stati presentati e denunciati al re da Cavalieri perseguitati e per questo condannati a morte, imprigionati o
esiliati.
I primi decenni del Novecento si presentavano con due volti: il primo non cambiava la rappresentazione
del re dimezzato; il secondo invece annunciava i segnali della revisione.
Secondo Antonio Maranon, Olivares favoriva la sessualità sfrenata di Filippo per evitare alla Sovrana, la
moglie Isabella, uno sforzo fisiologico che avrebbe potuto pregiudicare la sua capacità di procreare.
Sul valimiento del conte-duca d’Olivares, secondo Feros, il vero artefice della “rivoluzione di governo” fu
il Duca di Lerma che introdusse un nuovo tipo di mediazione tra il re i suoi sudditi. Il conte-duca d'Olivares
non inventò un nuovo sistema ma si limitò a sviluppare quello del suo predecessore. Invece Elliott parla di
un vero e proprio “regime Olivares” dicendo addirittura che “Filippo il Grande” è creazione dell’Olivares.
Un altro storico, Stradling, ha sostenuto che Filippo IV non fu mero esecutore delle decisioni del suo valido
e che l'azione politica del sovrano è stata sottovalutata. su questa linea si muove anche Alvar Ezquerra. egli
difende Filippo IV dalla rappresentazione di un sovrano che non sa fare né a chi rivolgersi. Al contrario
Egli ritiene che gran parte del periodo governato da Filippo e Olivares sia stato prodigioso.
su un versante completamente opposto ritroviamo Rivero Rodriguez. Rivero Ritiene che le idee di
Olivares non fossero modernizzanti, né per seguissero la creazione di uno Stato moderno, ma
vagheggiavano la monarchia universale. Insomma, il conte-duca non rappresenterebbe la figura di un
grande statista tra i più notevoli del XVII secolo. Nella crisi degli anni 40, Olivares emergerebbe nel
mezzo del disastro come il responsabile di un vano e frustrato progetto di rigenerazione, impossibile
a realizzarsi per il contrasto tra l'ampiezza della sua visione e le angustie della società spagnola,
incapace di comprenderli. Così, il destino di Filippo IV appare ancora in prevalenza come quello di
un re dimezzato.

CAPITOLO 5

1. UN “POLIGAMO SULTANO”?
Il confronto fra i tre ritratti di Velasquez consente di scoprire un carattere ricorrente della personalità del
monarca: la sua spiccata sensualità.
Il Ritratto di Filippo IV giovane del 1624, quando è da circa 3 anni sul trono, è appena diciannovenne.
Esso esalta le labbra carnose in primo piano sul volto, i capelli castani chiari di fondo ma con sfumature
bionde, i baffi ben curati con le punte all'insù e la cura di un viso che vuole sedurre. Nel suo complesso
pare in contrasto con l'armatura che copre il busto simbolo del comando militare associato allo scettro. Ma
la funzione militare passa quasi in secondo piano rispetto alle esaltazione dell’esuberante giovinezza del re.
Diversa la scena del 1625 ne La resa di Breda: è l'annus Mirabilis di Breda. In essa Filippo il Grande
viene raffigurato con l'armatura che avvolge tutta la sua persona. Ad incoronarlo d’alloro sono Minerva e il
conte-duca, ma lo sguardo sensuale del sovrano non muta.
Esattamente dieci anni dopo, l'olio su tela Filippo IV in piedi trasporta lo spettatore in un clima difficile per
il governo dell'impero. Nel ritratto di Velazquez, lo sguardo intenso, i baffi con l'estremità all'insù, i capelli
con sfumature di colori diversi, l'abito ricco di vivacissimi ricami in argento, la costante del volto sensuale.
Nulla è cambiato, tuttavia la novità rilevante è invece costituita dalla mano destra che stringe alcuni fogli:
simbolo della partecipazione diretta del sovrano al lavoro dell'amministrazione e dell'assunzione
responsabile del governo della monarchia.
Vent'anni dopo, nel 1655, Velazquez dipinge il ritratto di un cinquantenne uomo maturo con le costanti
iconografiche degli anni precedenti ma con alcune sfumature. Lo sguardo, in apparenza placido e
pacificato, non nasconde tuttavia qualche vena malinconica. Le labbra sono ancora sensuali anche se non
più pronunciate e carnose come prima. La dimensione propagandistica dell'Opera, che deve raffigurare in
ammirabile sintesi i due corpi del re quello fisico e quello politico, non si allontana dalla politica realistica
di Velasquez. Essa contrasta con la fase più drammatica della vita privata e pubblica di Filippo.
Così la sensualità del re è stata declinata come mollezza, origine di un mito negativo, slittato verso lo
stereotipo. Da re “galante” a “sultano poligamo” il passo è stato breve.

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Filippo è il rappresentante della parabola di un paese che intanto in apparenza è ancora potente, ma si
ritrova nell'arco di pochi anni umiliato e degradato. Ogni tipo di donna era buono per il suo sport preferito:
quello erotico. Damigelle, mogli ancora con marito, vedove, donne di alto bordo e serve di palazzo,
borghesi, nobili, attrici e prostitute entravano senza distinzione nel letto del sovrano, che con disinvoltura
passava dall’ Alcazar ai bordelli con la complicità dell'amico e sodale Olivares, responsabile dei passatempi
amorosi di Filippo.

Gli accertati i rapporti extraconiugali di Filippo non sono pochi. Il primo amore di questo tipo fu per la
figlia del conte di Chirela, donna dal fascino e dalla bellezza non comune, era poco più di una fanciulla
quando suscitò l'interesse del ventenne re cattolico. Dal rapporto nacque un bastardo, Fernando Francisco,
che morì prematuramente. La disgraziata madre lo seguì nella tomba e la sua casa fu trasformata in un
convento.
Altre donne che non disdegnarono la seduzione del re furono: Costanza de Ribera y Orozco, dama d'onore
di Isabella e la Duchessa di Chevreux che appartenevano all'ambiente di corte e qualcuna di loro persino
alla Casa della regina.
Pare che gli amori extraconiugali del re non turbassero più di tanto la buona relazione con la moglie
Isabella. Qualche Ambasciatore, soprattutto francese, fece anche circolare la fama del re Avaro, che non
spendeva molto denaro nelle sue avventure erotiche e tirava sulle tariffe. Insomma, ardente amante ma non
liberale nei compensi alle sue donne. Le loro prestazioni transitorie erano pagate con poche Pistolas.
Addirittura, vi era la diceria che il re avesse stabilito una somma da pagare di circa 20 scudi.
La febbre erotica e la passione per gli incontri femminili erano condivise dal suo amico di vecchia data, il
duca Medina de las Torres. L'amicizia tra i due durò, fra alti e bassi, l'intero regno. Medina fu nominato
Sumiller Mayor e dominò l’Alcazar, fino al matrimonio con la contessa di Onate nel 1658. Durante gli
ultimi anni di vita di Filippo, Medina fu la figura principale che gli fu vicina. Don Ramiro de Guzman fu il
compaňero del re per un decennio e ne condivise la passione per la poesia, i viaggi, la pittura, e soprattutto
le donne. Tutti gli stereotipi, dicerie aneddoti, in realtà nascono su un fondo di verità. Il re ricercava,
sapientemente assecondato e guidato dal Olivares, i piaceri femminili e mostrava una sessualità assai
spinta. Era incapace di controllare i suoi istinti.

2. UN’IRRESISTIBILE ATTRAZIONE
La storia che coinvolse Filippo nel 1627 con la cantante Maria Ines Calderon non fu solo una storia di
sesso. La cantante veniva detta la Calderona. Era celebre più che per la sua bellezza, per il fascino della
sua voce penetrante e suggestiva, e per la sua Grazia.
Maria Calderon fu abbandonata davanti alla porta di casa di Juan Calderon, un teatrante che la adottò. In
breve tempo divenne una star, interprete e cantante. A 16 anni debuttò a Madrid al Corral de la Cruz, ed è
proprio lì che affascinò il re.
L'attrazione di Filippo per lei fu immediata. Ebbe inizio così un rapporto intenso. L'attrice era sposata.
Forse amante di De Guzman, duca di Medina della Torres, intimo amico del re. Non fu solo distrazione
amorosa, ma passione, sintonia e intesa emotiva. La calderona non abbandonò le scene, ma rifiutò altri
corteggiatori. Il re la esibiva in pubblico, le aveva persino concesso il balcone della Plaza Mayor per
assistere agli spettacoli alle feste. Tuttavia, l’ira di Isabella la fece espellere dalla piazza. Il re allora
l’avrebbe collocata nel “balcon de Manizapalos”. Dopo due anni, nel 1629 nacque un figlio, battezzato
come “hijo de la tierra”, il quale in quegli anni non fu riconosciuto. Da questo evento la Calderona terminò
la relazione e decise di entrare in un monastero benedettino. Fu abbadessa dal 1643 al 1646.
Il figlio fu riconosciuto dal Re Filippo nel 1642.Il figlio Juan era stato affidato ad una donna di umili
origini che si trasferì col bambino a Leon. La sua educazione fu seguita dal poeta Louis de Ulloa, grande
amico del conte duca. Forse quello tra Filippo e Maria Ines fu l'unico vero grande amore nella vita del
re.

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3. AMANTI MA NON FAVORITE
Il sovrano emanava un fascino particolare proprio per il contrasto tra la vita privata e la vita pubblica. Il
potere di attrazione era legato anche alla sua persona fisica, che si presentava di bello aspetto, anche se di
media statura. i versi di Manuel Machado descrivono l'immagine di un principe adolescente Galante ma
dai tratti ambigui, lo sguardo insicuro, il colorito pallido come la sera; del suo capello ondulato è stanco
l’oro e l'azzurro degli occhi codardo.
È probabile che fosse proprio la personalità non lineare, dal carattere ambiguo, oscillante tra piacere e
sofferenza ad emanare il fascino capace di sedurre le donne.
Quanto alle amanti, va ricordato che esse non interferirono mai nelle attività di governo di Filippo. Nessuna
di loro aspirò a potere politico o ascesa sociale e nessuna li ottenne. Le donne furono semplicemente gli
strumenti momentanei della sua passione dei suoi capricci. E vero per tutte le amanti di Filippo tranne una:
Maria Inés Calderon. Non fu una favorita, nel senso che ebbe un qualche ruolo nella vita politica della
Monarchia Asburgica ma il fatto di essere esibita senza remore da Filippo in pubblico, stanno a dimostrare
che l'influenza di Maria Inés sulla sfera emotiva del re fu assai rilevante e destinata a lasciare tracce non
superficiali.

4. I BASTARDI DEL RE

Dai molteplici rapporti extraconiugali di Filippo nacquero alcuni figli. Il primo in ordine cronologico fu
Fernando Francisco, nato dalla relazione con la figlia del conte di Chirela. Il re non nascose la sua
paternità. Il primo figlio illegittimo venne alla luce il 15 maggio 1626, quando aveva il sovrano aveva
compiuto appena 21 anni e il bimbo venne immediatamente trasferito alla Dimora di Baltasar Alamos, il
quale trascorse i primi 4 anni con la nutrice. Fu il conte-duca a suggerire l'affidamento di Fernando
Francisco a un hidalgo di Salamanca, Juan de Isasi Idiaquez. Dopo l'accettazione del sovrano Olivares
regolamentò l'intera esistenza del bastardo. Provvide infatti agli alimenti, al vestiario, all’assistenza medica
e persino alle distrazioni. il ragazzo morì all'età di 8 anni. Il suo cadavere venne segretamente trasferito
all’Escorial e sepolto nel suo Pantheon come figlio del re.
Il figlio naturale Juan nacque dal rapporto con la Calderona nel 1629 e fu riconosciuto dal re nel 1642. Da
Costanza de Ribera y Orozco nacque nel 1631 Alonso Enriquez de Guzman y de Orozco che visse fino al
1692. Nel 1646, dopo la morte dell’erede Baltasar Carlos, Filippo decise di legittimare Alonso e di
riceverla corte. Ma Alonso si rifiutò e preferì vestire l'abito domenicano. Il terzo illegittimo fu Carlos, del
quale non ci sono pervenute informazioni.
Nell'elenco dei maschi figurano poi: Fernando, che ricoprì la carica di governatore della Navarra
quindi di generale di artiglieria a Milano; Alfonso Antonio, nato dalla relazione di Filippo con una
dama della regina che divenne vescovo di Oviedo e Cuenca; Juan, che vestì l'abito dell'ordine
agostiniano con nome di Juan de Sacramento.
Tra le femmine nate fuori del matrimonio reale si conosce Ana Margarita che ha 12 anni entrò come
Monaca Agostiniana nel monastero dell'incarnacion a Madrid.
Tuttavia, Ad influire in misura Maggiore sulla decisione del riconoscimento del figlio naturale nel 1642
furono motivazioni di natura politica. Il 1642 fu l'anno della crisi del conte-duca. Baltasar Carlos, come
erede legittimo avrebbe assicurato la successione al trono e Juan sarebbe stato non solo il titolare della
difesa militare dei territori, ma anche responsabile della ristrutturazione della monarchia dopo la crisi e la
destituzione dell’Olivares come valido. Fernando Francisco al quale si erano rivolte le aspettative di
successione al trono era morto a 8 anni. Baltasar Carlos, il primo maschio tanto desiderato da Filippo e
Isabella non garantire la continuità della dinastia perché visse assai poco. così nel 1646 il re decise di
riconoscere il bastardo Alonso Ma anche in questo caso le aspettative di una successione andarono deluse.
Per le femmine la via fu univoca: la via del Convento fu quella privilegiata.
Sì alle soluzioni femminili che quelle maschili erano pienamente funzionali alle strategie della famiglia
reale asburgica. Esercito, amministrazione pubblica, carriere ecclesiastiche e curiali erano vie per
riaffermare e consolidare l'integrazione dinastica e il consenso verso la monarchia negli ambienti che
dovevano costituire la spina dorsale per la conservazione del corpo politico.

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CAPITOLO 6

1. Il sistema imperiale spagnolo


Si possono identificare cinque caratteri nel sistema Imperiale spagnolo.
- Il primo carattere è l'unità religiosa e politica. In una società complessa come quella dell'Antico
regime solo due fedeltà si declinano al singolare: Quella a Dio e quella al re. Una dinastia
come quella asburgica seppe unificare questi due sentimenti facendo leva sia sull'unità della
respublica christiana sia sull'unità dinastica. Il sovrano spagnolo presenta una doppia personalità
costituzionale: egli è il nesso di un vasto complesso di stati con i loro poteri locali, ma sovranità,
delle decisioni di politica interna in ognuno degli Stati e della politica estera dell'intera Monarchia.
- Il secondo carattere del sistema Imperiale spagnolo e la presenza di una regione-guida. Al suo
interno è la Castiglia a svolgere tale funzione. Da qui deriva la forza economica, sociale e politica
del sistema. La regione, a partire dall'età di Carlo V, è cresciuta in risorse demografiche in
estensione territoriale grazie ai possedimenti americani e anche grazie alla favorevole congiuntura
internazionale, assumendo un ruolo centrale nel mercato internazionale e nel commercio a lunga
distanza.
Filippo II localizza la capitale a Madrid, posta al limite tra vecchia e nuova Castiglia, e dà vita ad
un vero e proprio processo di castiglianizzazione, che investe sia le élite economiche dell'impero
sia le sue élite politiche. La Castiglia ha un rilievo come regione-guida anche dal punto di vista del
modello di governo. Esso si identifica con i caratteri di una maggiore centralizzazione del
potere sia all’interno dei diversi reinos sia nel sistema imperiale spagnolo e costituisce il
pendant del modello aragonese di tipo pattizio. I due modelli hanno caratterizzato la
dialettica politica a Corte.
- Il terzo carattere del sistema Imperiale spagnolo è l'interdipendenza tra le parti attraverso
la configurazione di sottosistemi. Sottosistema significa:
a) una serie di funzioni, tra loro coordinate, assegnate ad alcune parti, relativamente
omogenee, del sistema;
b) un sistema di potenza regionale;
c) uno spazio politico relativamente unitario

- il quarto carattere del sistema Imperiale e il rapporto tra concentrazione e partecipazione politica. è un
tema che rinvia la questione del rapporto tra dominio e consenso e fra integrazione rappresentanza e
resistenza.
- Il quinto carattere: l’egemonia nelle relazioni internazionali.
I due più importanti meccanismi e luoghi di inclusione nella macchina Imperiale furono l'apparato
amministrativo e la Corte. L'esercizio della sovranità e dell'egemonia asburgica nel sistema Imperiale si
avvalse di tutti gli strumenti di integrazione dinastica: circolarità delle carriere di magistrati ed uomini di
governo tra i vari domini della monarchia; forme di integrazione diverse come legami ma matrimoniali;
elargizione di mercedi e pensioni, attribuzione di titoli nobiliari dignità cavalleresche; la concessione di
feudi oppure di benefici ecclesiastici nella disponibilità della corona ecc…
Il progetto olivaresiano della Union de las armas fu pensato dal conte-duca anche per condurre ad uno
stadio più avanzato il sistema dell'integrazione dinastica e del rafforzamento della fedeltà alla monarchia
Cattolica. Tuttavia, su questo terreno Olivares riscontrò l'insufficienza dei suoi calcoli politici e militari.
alla dispersione di risorse si aggiunse la crisi economica e sociale della Castiglia che incise notevolmente
sulla tenuta complessiva del sistema Imperiale perché venne meno l'egemonia della Regione guida anche se
la Castiglia continua a configurarsi come il principale serbatoio di provenienza delle élite culturali e
politiche. Ma proprio dai ceti dominanti di questa regione doveva provenire la maggiore opposizione
interna alla potenza dell’Olivares, uno dei motivi che ne avrebbe determinato la fine politica. Quanto ai
sottosistemi, essi continuarono, anche sotto Filippo IV. Soprattutto durante la guerra dei 30 anni, i
sottosistemi consentirono alla monarchia spagnola di reggere l'urto delle potenze avversarie. Da questo

19
punto di vista, il sottosistema che è meglio resse all'urto fu l’italiano: il rapporto tra il Ducato di Milano, I
viceregni di Napoli, Sicilia e Sardegna configurò un vero e proprio sistema di potenza regionale in
particolare dopo l'apertura delle ostilità tra Francia e Spagna nelle 1635, per las asistencias, gli aiuti in
uomini, mezzi e risorse finanziarie provenienti soprattutto dal Regno di Napoli. La relazione fra Filippo IV,
viceré e governatori degli stati italiani dipendenti dalla Spagna, ebbe un peso decisivo nella determinazione
delle linee politiche della Monarchia.

2. SIMBOLICA DEL POTERE IMPERIALE: IL REY PLANETA


L'acclamazione di Filippo IV come il rey planeta risale al 1622. Fu da questa data che poesie
encomiastiche, opere teatrali e scritti di vario genere adottarono la metafora astronomica per esaltare Il
Sovrano della potenza più grande del mondo. La costruzione di un modello culturale attraverso testi
letterari doveva perseguire l'obiettivo di assoggettare lo spettatore a un'ideologia politica. Il “re sole” era un
appellativo già utilizzato dagli Austrias a partire da Filippo II. Dal tardo Rinascimento il sole, come
immagine del sovrano, rappresentava la sua distanza dai sudditi, il centro spirituale del mondo; il suo
collegamento con Apollo e “L'età dell'oro”.
Nel caso di Filippo IV nella figura del rey planeta, il monarca divinizzato doveva continuare a conservare
la distanza fra re e sudditi. Significato di Rey Planeta: asse centro spirituale del mondo, dio della Sapienza,
bellezza, imperio e Giustizia. nutriva il corpo sociale dello Stato e conservava, come il sole, la relazione
simbiotica con Il cosmo perché oscurava il resto dei soggetti.
All'immagine del Rey Planeta, si legava anche la riproposizione del mito di Astrea soprattutto nelle
commedie di Calderon. Astrea adottava diverse sembianze: era soprattutto divinità Imperiale, ma
donna fragile, che aiutava gli uomini ad essere perfetti governanti. Astrea e l’età dell’oro
interpretavano il desiderio nostalgico dell'uomo di recuperare la perfezione degli inizi che si
proiettavano verso un futuro fuori dal tempo.
In Lope e Villamediana Astrea veniva rappresentata nei loro drammi. La nostalgia veniva presentata come
la proiezione verso il futuro. In Calderon, Astrea appariva Come divinità allegra, profetica e imperialista. In
questo doppio volto: forte e fragile, si nascondeva l'allusione alla parabola dell'impero spagnolo giunta al
culmine della sua potenza.

Filippo IV
pp 119-136

3. Filippo e la Guerra
Filippo non ebbe nemmeno un solo giorno di pace e questo è un caso unico. Aveva sin
dall’infanzia ricevuto un’educazione militare e nel rapporto con l’Olivares mostrò spesso
l’aspirazione ad assumere un ruolo da protagonista e il comando militare sui fron= di guerra. Il
suo valido lo dissuase fermamente. Prima lo scontro dire@o con la Francia che per Filippo era
anche un confli@o religioso per la difesa della confessione ca@olica contro la diffusione del
protestantesimo, poi il fronte catalano. Tra Filippo ed il suo valido (Olivares) esistevano visioni
differen=: l’alterna=va Paesi Bassi o Italia, vide Filippo propendere per la prima opzione, mentre
Olivares era per la seconda opzione.
La successione di Mantova e del Monferrato era di fondamentale importanza nell’ambito
europeo per la posizione strategica della regione. La morte di Vincenzo II colse di sorpresa
Madrid mentre il Duca di Nevers si era mosso an=cipatamente mandando il figlio Carlo (duca di
Rethel) a Mantova per sposare la principessa Maria, lasciando così Madrid di fronte al fa@o
compiuto.
Il pericolo di un’intesa tra il duca di Nevers, Luigi XIII e Carlo Emanuele di Savoia, lasciava Milano
e il ducato scoper=.
Entrò quindi in scena il duca di Olivares che necessitava l’autorizzazione imperiale all’intervento

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militare spagnolo e il veloce intervento dell’esercito milanese. Il 29 marzo 1628 Gonzalo di
Cordoba invadeva il Monferrato, ma l’assedio spagnolo, nonostante i rinforzi da Genova e Napoli,
si protrasse a lungo senza grandi risulta=. Qualche risultato ci fu il 3 marzo del 1628 quando Carlo
Emanuele di Savoia fu sconfi@o a Susa, ma intraprese subito tra@a=ve con i francesi: la Francia
offriva ai Savoia alcuni territori del duca di Nevers nel Monferrato in cambio del diri@o di transito
delle truppe francesi fino al Monferrato, ma Gonzalo di Cordoba firmò l’accordo e tolse l’assedio
alla ci@adella for=ficata. I contraccolpi sull’Olivares furono pesan=, inoltre i suoi proge] su
Mantova e il Monferrato erano molto diversi rispe@o a quelli di Filippo IV, che preferiva
rimanessero so@o il controllo dell’imperatore di Germania e per lui il ricorso alle armi doveva
essere fa@o solo come ul=mo tenta=vo. Ma Olivares non era d’accordo e così la monarchia
asburgica si trovò ancora una volta impegnata su più fron=: nel 1630 un esercito francese guidato
da Richelieu entrò nuovamente in Italia. Ambrogio Spinola, comandante delle truppe spagnole,
strinse di nuovo l’assedio intorno a Casale. Il 18 luglio le forze imperiali assaltarono Mantova, ma
Casale si rivelò inespugnabile. Il 13 o@obre 1630 l’imperatore firmava con i francesi a
Regensburg il tra@ato di pace, con cui le truppe francesi si sarebbero ri=rate dall’Italia in cambio
dell’inves=tura imperiale del Duca di Nevers. La Spagna aveva speso dieci milioni di duca= per
questa guerra in Italia, senza avere nulla in cambio. Il conte di Olivares tu@avia comprese che la
pace in Italia era poco vantaggiosa per la Spagna.

Nel 1639 un altro confli@o vide contrapporsi nuovamente l’Olivares ed il re: il primo voleva
rafforzare i rappor= con l’Inghilterra ed allearsi con gli ugono] per provocare una guerra civile in
Spagna, il secondo era contrario a questa mossa. In questa congiuntura, le ques=oni di poli=ca
internazionale erano all’ordine del giorno. Nel Consiglio di Stato si sosteneva che la monarchia
asburgica fosse interessata da una guerra offensiva ed una guerra difensiva: la prima si
comba@eva in Catalogna, mentre la seconda in Italia e Fiandre. I regni italiani oltre a sostenersi
da soli, dovevano anche inviare rinforzi alla Catalogna ed in Portogallo.
Successivamente arrivarono le sconfi@e: nel 1643 a Rocroi, Luigi di Borgogna comandante delle
truppe francesi, o@enne una grande vi@oria contro gli spagnoli.

Dopo l’allontanamento dell’Olivares e 5 anni dopo, la sigla dei Tra@a= di Vescalia, la poli=ca
internazionale di Filippo e del suo nuovo primo ministro, De Haro, fu cara@erizzata da molteplici
sforzi, come la restaurazione del potere spagnolo in Catalogna, la con=nuazione della guerra
contro la Francia e i tenta=vi di conquiste in Italia e Portogallo.
Tu@avia, una serie di disastri condusse alla fine della supremazia spagnola nell’Olanda
meridionale e costrinse Filippo IV a concludere la Pace dei Pirenei nel 1659.
Quanto al Portogallo, l’alleanza tra quest’ul=mo l’Inghilterra del 1661 fece defini=vamente
crollare i sogni di Filippo

IV.Le rivolte
Filippo, che amava par=colarmente scrivere grazie alla sua formazione le@eraria, intra@enne una
corrispondenza con Luisa Enriquez Manrique de Lara, contessa di Parédes che divenne religiosa
con il nome di Suor Maddalena di Gesù. Con lei Filippo affrontava anche problemi di stato e
ques=oni internazionali. Il 5 maggio 1648 a un mese di distanza dal ritorno trionfale degli
spagnoli a Napoli, il re le scriveva dell’accaduto, dimostrando la sua gioia, ma anche un
sen=mento ambivalente tra la speranza di una veloce restaurazione all’interno dell’impero
spagnolo e la coscienza della ripresa lenta del potere monarchico. Lo stesso sen=mento pervase
tu] i ce= dirigen= dell’epoca, i quali riconobbero anche che tu] gli even= che si stavano
verificando, colpivano il cuore del sistema imperiale spagnolo oltre ai sistemi poli=co-sociali.

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L’uso del termine rivoluzione era tu@avia ambiguo ma si tese a definire come rivoluzioni quelle
che contemporaneamente si stavano verificando in Portogallo, Catalogna, Inghilterra, Palermo,
Napoli e fronda francese. La rivoluzione era qualcosa di già visto ma allo stesso tempo alludeva
ad una condizione di paura.
I nuclei compara=vi di queste “rivoluzioni” su cui si sono sofferma= gli storici nell’analizzare gli
anni ’40 del Seicento, sono la ques=one fiscale che interessava tu] i paesi coinvol= e che portava
ad una lo@a tra chi partecipava all’indo@o del sistema fiscale e gli esclusi; il rapporto sovrano-
suddi=, la ges=one del potere nello stato moderno in formazione, le forme di governo, modi di
reinvenzione dell’an=co e del classico. In merito a questo aspe@o, contes= e procedure
cos=tuirono parte integrante del processo poli=co di rivolte e rivoluzione. Il ricorso all’Historia
Exemplum, l’assunzione retorica dell’autorictas classica an=ca come fonte di legi]mazione
posi=va o nega=va per par=colari pra=che poli=che, furono alcune delle modalità a@raverso cui
l’an=co venne trascri@o e reinventato nel linguaggio poli=co contemporaneo.
Gli anni 40 determinarono una trasformazione profonda, cambiò nella conoscenza e nel
linguaggio l’approccio alla ques=one della rivoluzione e si mise in discussione la stabilità poli=ca
garan=ta dai sovrani. La paura dell’internazionalizzazione si diffuse sia tra le élite dirigen= sia tra i
suddi=. Ques= anni divennero quindi una sorta di laboratorio lessicale in cui i termini “guerre
civili, sollevazioni, tumul=, ecc…” , indicavano l’importanza dei due decenni centrali del XVII
secolo per il riequilibrio del con=nente europeo (ad esempio Maiolino Bisaccioni parlò della
guerra civile di Napoli e del caso inglese in cui vigeva la contraddizione tra l’assolu=smo di Carlo I
Stuart il controllo esercitato dal parlamento). Oltre che laboratorio lessicale, ques= anni furono
anni di laboratorio is=tuzionale con pra=che di modelli poli=ci.

La prima crisi rivoluzionaria degli anni 40 fu interna alla Spagna. Il 26 marzo del 1626, a 5 anni
dalla sua ascesa al trono, Filippo IV aveva visitato la Catalogna e vi era rimasto per 22 giorni,
concedendo molto ma senza successo. I viceré catalani erano deboli, inoltre in Catalogna le leggi
fondamentali del principato furono lo strumento di ba@aglia contro il conte duca e la base della
tesi dei giuris= che nel 1640 gius=ficarono la separazione dalla monarchia ispanica.
Il riconoscimento della =tolarità della sovranità era possibile solo se il monarca rispe@ava le leggi
del Regno. Così l’opposizione all’Union de las armas assunse due profili: quello economico delle
oligarchie mercanNli contro le guerre imperiali del Mediterraneo e quello cosNtuzionale.
L’azione poli=ca del ministero Olivares me@eva in discussione sopra@u@o questo profilo, ne è un
esempio il confli@o di giurisdizione che oppose viceré e Generalitat in materia di contrabbando.
Il 7 giugno 1640 la morte del viceré conte di Santa Coloma disar=colava l’intera amministrazione
catalana. Questo assassinio del viceré di Catalogna e quello del viceré di Sardegna, non vennero
considera= come fa] isola= ma specchio della sovversione dell’intero ordine cos=tuzionale. Poi
la rivolta si estese anche alle campagne catalane, assumendo una dimensione an=oligarchica e
an=signorile. Il 22 luglio 1640 venne nominato come viceré il vescovo di Barcellona, Garcìa Gil
Manrique. Spe@ò poi al nuovo viceré, Pedro Fajardo de Zuniga, penetrare con 30 mila uomini in
Catalogna, provocando la strage di Cambrils e l’alleanza della regione con la Francia.

Nel 1641 ci fu la proclamazione della repubblica soOo la protezione francese con la conseguente
restaurazione della figura di viceré nella persona di Urbain de Maillé, “creatura” di Richelieu.
Questa re-is=tuzione vicereale si confermò decisiva per la restaurazione dell’ordine poli=co dopo
la sovversione e il passaggio al nuovo re francese.
La caduta di Olivares, la marginalità della Catalogna per la potenza francese, l’inizio delle
traOaNve a Munster, la tensione tra la Francia e le isNtuzioni catalane, le prime sconfiOe militari
sul fronte aragonese, mutarono il quadro congiunturale nella regione.

22
Successivamente la crisi della Fronda (un movimento di rivolta e opposizione del Parlamento di
Parigi contro il cardinale Mazzarino e conseguentemente contro la regina Anna d'Austria,
reggente in nome del figlio Luigi XIV, che ebbe inizio nel 1648) favorì la ripresa del potere
spagnolo in Catalogna fino al 1651, in cui ci fu il ritorno di Barcellona e della maggior parte della
Catalogna all’obbedienza del re ca@olico.

La restaurazione portò all’esilio di cenNnaia di catalani, l’incremento della fiscalità, un aumento


della forza militare dei viceré, una repressione culturale.
MolN storici vedono in questa situazione di crisi catalana, l’incapacità della monarchia di
risolvere il problema delle nazionalità, dunque il fallimento della linea di centralizzazione e
contemporaneamente il fallimento del modello cosNtuzionale difeso dai catalani.

A differenza della Catalogna, Aragona e Valencia furono “oasi poli=che”, non inves=te da rivolte.
Per o@enere l’integrazione con la Cas=glia dei reinos spagnoli, il conte-duca aveva pensato tre
soluzioni: l’incorporazione graduale a@raverso alleanze matrimoniali, la negoziazione e la forza
militare, la provocazione di una rivolta popolare con il conseguente intervento dell’esercito come
pretesto per imporre le leggi cas=gliane.
La reazione portoghese alla dinamica di incorporazione nella monarchia ispanica fu complessa,
ma contribuì a rafforzare la coscienza difensiva peninsulare e a far nascere posizioni favorevoli ad
una maggiore integrazione tra i possedimen= americani di Cas=glia e quelli portoghesi.
Solo nel 1640 i giuris= portoghesi diffusero l’idea di un rei per dis=nguerlo dal rey spagnolo,
mentre prima i termini si integravano in egual modo.
Poi Filippo IV fu accusato di =rannia.
Le incertezze ta]che del governo vicereale giocarono un ruolo importante nella dinamica della
rivolta in Sicilia e a Napoli nel 1647-48.
Il parallelismo tra le due rivolte è indubbio, comuni obie]vi, forme simili di protesta, ma
contemporaneamente molte differenze come, ad esempio, il fa@o che la ro@ura tra “popolo alto”
e “popolo basso” avvenne prima a Napoli che Palermo.
A Napoli era par=ta come rivolta prevalentemente an=fiscale il 7 luglio 1647 guidata da Tommaso
Aniello d’Amalfi, de@o Masaniello, ma poi in realtà la rivolta ebbe molte cause: la crisi
economico-sociale del viceregno spagnolo che par=ta dalle campagne si trasferì alle a]vità
manifa@uriere e al commercio, la pressione fiscale che colpì i generi di prima necessità ed anche
il contesto internazionale che vide la Spagna impegnata su più fron= durante l’ul=mo periodo
della guerra dei Trent’anni.

La storiografia ha individuato tre frasi nello sviluppo della rivolta. La prima ebbe come leader
Masaniello, personalità di fascino capace di trascinare le masse, che aveva al suo fianco Giulio
Genoino che impressa la spinta poli=ca al moto che contribuì alla ba@aglia più stre@amente
legata all’asse@o della capitale, ovvero la parificazione tra la rappresentanza nobiliare e quella
popolare.
Ma fu sopra@u@o Masaniello il protagonista, il quale svolse un’importante funzione di raccordo
tra plebe e popolo struOurato e riuscì a mantenere la protesta nell’ambito della legalità
cosNtuzionale, conservando la fedeltà dei suddiN a Filippo IV.
Dopo l’assassinio di Masaniello, prese avvio la seconda fase del moto e alla fine di oOobre 1647
fu proclamata la “Real Republica Napolitana” con obbedienza al Re di Francia Luigi XIV: fu la
vera secessione dalla Monarchia del Re CaOolico.
Iniziò così la terza fase, cara@erizzata dalla radicalizzazione dello scontro militare tra le truppe
spagnole al comando del figlio illegi]mo di Filippo IV, don Giovanni d’Austria, e l’esercito dei

23
rivoltosi, guidato da comandan= popolari a Napoli che avevano partecipato alle campagne
militari spagnole in Catalogna e in Portogallo. Il francese Enrico di Lorena, duca di Guisa, venne a
Napoli e assunse il =tolo di “duce” della repubblica, senza avere il sostegno del primo ministro
Mazzarino, il quale non aveva nessuna intenzione di aprire un altro fronte della guerra nel Regno
di Napoli.
Tra dicembre 1647 e marzo dell’anno successivo la rivolta nelle province del Regno assunse
aspe] più violen= e costrinse mol= baroni a fuggire dai loro feudi.

Filippo IV aveva inizialmente so@ovalutato la rivolta napoletana, pensava che sarebbe presto
rientrata e non avrebbe incrinato il rapporto di fedeltà tra i suddi= del Viceregno e il Re Ca@olico,
ma non fu così. Filippo Iv assunse il ruolo di mediatore con il popolo civile per cercare di
ristabilire un equilibrio. Si ebbero scontri militari sia nella capitale che nelle province, ma
nell’aprile del 1648, fu facile per le truppe spagnole riprendere possesso di Napoli e fu chiaro che
la rivolta fallì per cause molteplici: il fronte dei ribelli era piu@osto disomogeneo, alcuni
capipopolo erano piu@osto violen= ed anche i modelli poli=ci erano in contrasto fra loro in
quanto i fedeli al Re Ca@olico si scontravano con i radicali repubblicani. Altra causa di fragilità del
moto napoletano fu la divisione tra gli obie]vi poli=ci della capitale e le spinte provenien= dalle
province del Mezzogiorno.
Nobiltà e feudalità dopo il disorientamento iniziale, organizzarono propri eserci= e strinsero la
loro alleanza con la monarchia ca@olica. La Francia non sostenne i ribelli napoletani ed il quadro
internazionale rese rela=vamente più semplice alla monarchia la repressione della rivolta
napoletana e la restaurazione della fedeltà al re ca@olico.
Tu@avia, le cose non furono più come prima né nel Regno di Napoli né nell’intero sistema
imperiale spagnolo. Ciò nonostante, la monarchia spagnola seppe conservare la sua integrità
territoriale e tra i faOori di sopravvivenza ci furono l’unità della dinasNa, la lealtà e il servizio
a]vo della nobiltà, la missione spirituale della monarchia, la relaNva assenza di disordini
sociali e l’uniformità religiosa.

Cap 6 - ALLA GUIDA DEL SISTEMA IMPERIALE (pg.136-145)

5. IL GOVERNO DEI SOTTOSISTEMI: ITALIA, PAESI BASSI, AMERICHE

Altro fattore di sopravvivenza fu la stabilità di governo dei sottosistemi imperiali: Italia,


Paesi Bassi, Americhe.
La garanzia della stabilità nell’Italia spagnola durante il regno di Filippo IV tra il 1621 e il 1648 fu
possibile grazie al collegamento tra il sovrano e i suoi viceré (mediato dal sistema del valimiento)
e all’assunzione di una diretta responsabilità di governo da parte del sovrano. Questo legame
tra il sistemo del valimiento e le nomine vice-reali fu assai stretto anche nel regno di
Napoli.
Il viceré Lemos godé di un’ampia protezione a Madrid: aveva infatti sposato la sorella del Lerma.
Grazie al viceré Lemos (protagonista di riforme finanziarie e contabili del regno di Napoli) si
consolidò la tradizione politica del governo spagnolo nel Mezzogiorno. Tra i suoi obbiettivi
essenziali ci furono: il potenziamento dell’apparato nello spirito del lealismo ispano-dinastico,
l’attrazione della nobiltà verso la Corte e l’integrazione dinastica così come il sostegno
conservatore della Monarchia ai ceti privilegiati; il pieno sostegno a Chiesa, Clero e lo sviluppo di
un rapporto privilegiato tra viceré e mercanti-operatori d’affari stranieri.
Successivamente, con l’uscita di scena di Lerma e Uceda si rafforzò il partito olivaresiano a
Napoli grazie a Monterey, il quale fece acquisire al regno un rinnovato ruolo nella politica di
Madrid, tanto di essere considerato << vice regno di svolta>>. La pratica politica del Monterey
prevedeva:l’intervento sull’amministrazione, il ridimensionamento delle condizioni

24
privilegiate di Napoli rispetto le altre terre del Regno e il ricorso alla speculazione
finanziaria.
Il successore di Monterey, il duca Medina de las Torres (genero di Olivares) si pose come
obbiettivo prioritario quello di rilanciare l’integrazione dinastica. In una relazione da lui scritta nel
1640, il viceré Medina tracciava una sorta di identikit del regno di Napoli e suggeriva alcune
proposte. Il regno non poteva costituire solo la riserva finanziaria e la base di rifornimento militare
per le guerre che la Spagna conduceva sul continente, doveva anche garantire sostegno politico
e consenso sociale alla monarchia. Per Medina il popolo, che doveva essere sempre tranquillo e
soddisfatto, si articolava in due gerarchie: la “gente mas civil” e la plebe “mas bulgar”. Nella
nobiltà, invece, identificava due sfere: quella dei “Caballeros particulares” e quella dei “Barones
de mayor consecuencia”, i quali erano considerati un corpo sociale che entrava spesso in rotta di
collisione con gli interessi di Sua Maestà.
Gli anni del vice regno Medina coincidevano con la crisi dei rapporti tra Olivares e i membri più
autorevoli del Consejo de Estado che perseguiva l’obbiettivo di tutelare il dominio dell’aristocrazia
castigliana nell’impero.
La caduta del conte-duca tra il 1642 e il 1643 conduceva ad un nuovo indirizzo del governo di
Madrid che si esprimeva a Napoli con il viceré Almirante di Castiglia <<non perfettamente
allineato con Madrid>>. In questi anni il rapporto tra la dipendenza del viceré dalla politica
di Madrid e le sue funzioni specifiche nel contesto territoriale dell’isola fu un rapporto
assai complesso.
L’emergenza bellica aumentò il potere decisionale dei governatori. Le difficoltà della “guerra
difensiva” rendevano indispensabile il legame tra viceré e valido: la funzione di equilibrio e di
responsabile in ultima istanza del re nell’assunzione della decisione politica anche nell’epoca del
valimiento fu essenziale tanto che nel 1612 Filippo III pose formalmente il valido al di sopra dei
Consigli. In definitiva la profonda trasformazione del sistema imperiale implicata nel valimiento
non comportava una semplificazione, ma una maggiore complicazione della decisione politica sia
a livello centrale sia a livello periferico dell’impero.

Altro sottosistema imperiale: le Fiandre.


Le Fiandre furono territorio decisivo per la guerra contro l’Olanda. Dal 1621 al 1633 l’infanta
Isabella fu al vertice di un “governo delegato”: in pratica fu quasi un viceré. Dal 1634 al 1641 a
governare ci fu il fratello più giovane di Filippo IV, Ferdinando d’Austria: ritornò, dunque, la
soluzione dinastica con la scelta di una personalità di sangue reale. A differenza degli altri Paesi,
nei Paesi Bassi si può riscontrare un altro grado di stabilità politica grazie al compromesso tra il
governo centrale di Madrid e le élite e politiche delle Fiandre: un compromesso garantito dalla
convenienza reciproca di rispettare obblighi e interessi e fondato sulla religione cattolica.

Nelle Americhe:
Nelle Americhe tra Filippo III e Filippo IV i viceré indiani furono associati al progetto di unità
imperiale: la denominazione di <<imperatore delle Indie>> attribuita al sovrano confermava il
progetto di una civiltà di valori universali che doveva unire Vecchio e Nuovo Mondo. Nel
Viceregno del Perù, ad esempio, il viceré aveva molte funzioni:
governatore, capitano generale, presidente dell’Udienza, vice patrono Ecclesiastico.
La relazione tra Filippo IV e la società coloniale è stata denominata di <<assolutismo
imperfetto>>: il re riconosceva i gruppi etnici, stabiliva patti e compromessi in cambio, però,
dell’obbedienza dei sudditi. Si trattava di un sistema assolutista perché il re governava attraverso
viceré e governatori i quali detenevano molti poteri e dovevano altresì garantire l’obbedienza dei
sudditi.
Si parlò anche di un <<governo indiretto>> dei territori latinoamericani, con maggiori
responsabilità dei gruppi locali per consolidare la conquista delle Indie. Capitoli e municipi
furono i primi nuclei politici locali con due diverse funzioni: governatori indiretti e
mediatori tra il re e i suoi sudditi americani.
La stabilità del governo delle Indie, che si consolidò sotto Filippo IV, fu ottenuta attraverso lo
sviluppo del sentimento di appartenenza imperiale nelle popolazioni latinoamericane; il patto
coloniale come accordo e compromesso tra élite locali e autorità peninsulari; la giustizia come
spazio di partecipazione capace di integrare gli indigeni in un ordine coloniale, riti, produttori di
autonomia individuale e collettiva e infine la legittimazione del dominio, cioè l’autocoscienza dei
sudditi della Monarchia spagnola di essere parte integrante di un ordine giuridico, politico e
culturale.

25
VII - DECADENZA O DECLINO DI UN IMPERO? (da p. 146)
1. UNO SVILUPPO ECONOMICO – SOCIALE BLOCCATO
Il ‘600 segnò per la Spagna il fallimento del modello di espansione economica iniziato nel
secolo XV grazie anche al combinato disposto fra l’agricoltura castigliana e il commercio
catalano con la sua capacità di diffusione e penetrazione in tutto il mondo mediterraneo.
L’unificazione fra l’agricoltura castigliana e il commercio catalano con la sua capacità di
diffusione e penetrazione in tutto il mondo mediterraneo. L’unificazione fra i Regni di
Castiglia e Aragona, a seguito del matrimonio tra Isabella e Ferdinando (1469), pose in
relazione fra di loro due economie assai diverse: quella castigliana, caratterizzata in
prevalenza da un territorio molto esteso, dall’elevata densità della popolazione, dal
predominio del grande latifondo cerealicolo-pastorale, dalla carenza di formazioni
cittadine, dall’intreccio fra nomadismo e guerra, condizionante i comportamenti degli
abitanti; quella catalano-aragonese, caratterizzata dalla prevalenza di manifatture e
commercio, dalla presenza diffusa di centri urbani, da comportamenti più dinamici della
popolazione.
Lo sviluppo economico della Spagna intorno alla metà del XVI secolo, in coincidenza con
l’ascesa al trono di Filippo II e nei decenni successivi, sostenuto sia dalla favorevole
congiuntura internazionale, sua dall’incremento della produzione cerealicola e del
commercio sia dalla “rivoluzione dei prezzi”, sollecitata dall’afflusso di metalli preziosi
delle terre del Nuovo Mondo e dall’aumentata domanda di beni e servizi da parte di una
popolazione crescente.
L’inversione di tendenza alla fine del XVI secolo e la crisi generale del Seicento,
caratterizzata da contrazione demografica, intensificazione del ciclo carestia-epidemia-
carestia con i conseguenti effetti negativi sulle strutture agrarie, l’indebolimento di
manifatture, industrie, commercio, il peso della guerra, investirono in pieno la penisola
iberica, anche se in misura e forme differenti fra regione e regione.
La tensione fra la popolazione e risorse, il loro squilibrio, l’aumento della rendita signorile
pur in presenza di casi di indebitamento aristocratico, il peso della fiscalità, la
polarizzazione crescente della ricchezza caratterizzarono, nel corso del Seicento, non
solo la congiuntura economica della Spagna, a anche quella di molte altre parti
dell’impero. La sua organizzazione economico – sociale mostrò rigidità e scarsa capacità
di reagire ai mutamenti dell’epoca.
Tra i progetti di politica riformatrice si ripresenta negli anni Quaranta del Seicento una
proposta di riforma fiscale. Le proposte di riforma fiscale furono bloccate dai ceti
privilegiati e indussero Filippo a mettere in pratica i soliti metodi di emergenza: crescita
delle imposte, alterazioni monetarie, sospensione dei pagamenti ai creditori della
Corona.
Negli ultimi anni del regno Filippo IV, tra il 1660 e il 1665, il Medio General, un'imposta
unica, pagata in percentuale della rendita da tutti i sudditi, venne proposto al fine di

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dotare la Monarchia di un sistema tributario più solido e stabile, basato sul principio della
proporzionalità. Tuttavia, il freno della maggioranza dei ceti privilegiati e della scarsezza
di denaro della Corona bloccò tutto come in passato. La monarchia spagnola risultò vinta
non solo dai suoi nemici stranieri protestanti, ma anche, e in grado non minore, dai suoi
naturali, soprattutto castigliani più vicini al re.
2. IL GOVERNO DEL RE
Fu decadenza o declino? Una vulgata diffusa tende fortemente a limitare la durata
dell’egemonia mondiale della Spagna ai due decenni centrali del regno di Filippo II, più
precisamente tra la battaglia di Lepanto (1571) e la sconfitta della Invincible Armada
(1588). Solo con la pace dei Pirenei (1659) si ridussero i ruoli della Spagna in Europa e
sulla scena internazionale: non tanto per le perdite territoriali subite, quanto per il
riconoscimento della superiorità francese, premessa per la formazione della politica
imperiale di Luigi XIV.
Nemmeno lo spostamento della Spagna da potenza mediterranea a più limitata potenza
atlantica fu così netto. Va escluso dunque che il concetto di “decadenza” sia quello più
adeguato a definire la condizione del governo spagnolo anche durante la seconda metà
del Seicento. La Monarchia mostrò ancora segnali di vitalità sia dal punto di vista militare
sia dal punto di vista del territorio. Le capacità di resistenza dei sottosistemi ressero
ancora.
Una periodizzazione lunga e complessa, dunque, quella del sistema imperiale spagnolo.
Una prima fase di formazione tra anni Trenta e anni Cinquanta del Cinquecento. Una
seconda fase di apogeo in cui il sistema ha il suo baricentro mediterraneo e il cuore nella
regione-guida castigliana. Una terza fase ha inizio alla fine del Cinquecento: la Spagna è
ancora una grande potenza planetaria che ha perso solo un pezzo dei suoi vasti
possedimenti europei.
La categoria più rispondente alla realtà storica di questa formazione politica non è
dunque né quella di crisi né tantomeno quella di decadenza. Forse è quella di incipiente
declino delle ragioni del sistema: nel senso che la crisi della Castiglia, la regione
portante, e la dislocazione periferica di parti della formazione imperiale come il Regno di
Napoli, Sicilia e Sardegna, resero assai problematiche e complesse sia l’elaborazione sia
la concreta realizzazione della strategia politica di una grande potenza.
Per spiegare la crisi della Spagna come potenza mondiale è stato chiamato in causa il
concetto di soglia augustea. La soglia augustea designa una serie di riforme incisive,
grazie alle quali un impero conclude la propria fase espansiva e passa nella fase
dell’esistenza stabile e di lunga durata. La Spagna si arrestò sulla soglia augustea: il
motivo va ricercato “non tanto nel rapporto tra la madrepatria e le colonie quanto nella
dispendiosa competizione tra la Spagna e le altre potenze egemoniche europee. Più che
come potenza imperiale la Spagna è naufragata essenzialmente come potenza
egemonica. In altri termini la sua fine come impero fu dovuta al fatto che la lotta per il
predominio in Europa la privò delle risorse che altrimenti sarebbero potute tornare utili
alla periferia imperiale.” Ma la fine della supremazia in Europa non corrispose al tramonto

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dell’impero mondiale spagnolo, “che in America latina sopravvisse ancora per un secolo
e mezzo e nel Pacifico e nei Caraibi durò quasi due secoli e mezzo”. Anche perciò la
rappresentazione di questo periodo soltanto come un’epoca di decadenza non è
convincente. Ovviamente il contesto degli anni della crisi fu segnato dalle difficoltà
della Monarchia cattolica sia nella politica interna che in quella internazionale, e da
più parti si richiedeva un intervento diretto di Filippo IV soprattutto dopo le
sconfitte subite a Perpignan e Rosellon. Le sconfitte e le difficoltà belliche della
Spagna richiedevano una diversa strategia. Il ricordo a membri della famiglia reale
avrebbe dovuto rispondere all’esigenza di una migliore, più responsabile difesa dei
territori. Pertanto, veniva configurandosi una vera e propria divisione dei compiti: al figlio
maschio legittimo della coppia reale, Baltasar Carlos, la successione al trono; al figlio
naturale, don Giovanni, non solo la responsabilità del comando militare, ma anche la
ristrutturazione del sistema imperiale proprio per rispondere meglio ai bisogni della difesa
imperiale proprio per rispondere meglio ai bisogni della difesa, attraverso il superamento
del valimiento1.
3. LA MORTE DI BALTASAR CARLOS E LA CRISI DINASTICA
Nei primi anni Quaranta la questione catalana insieme con quella portoghese era al
centro delle preoccupazioni di Filippo. Pertanto, insieme col figlio Baltasar Carlos,
intraprese il viaggio verso Saragozza: l’obiettivo era il riconoscimento della successione
ereditaria al Regno di Aragona per il figlio.
Il 13 novembre 1645 Baltasar, sedicenne, venne riconosciuto erede delle Cortes di
Valencia. Il 3 maggio 1646 la cerimonia del giuramento come erede della Corona di
Navarra. Qui la famiglia si spostò a Saragozza. Il 5 ottobre, durante la celebrazione della
cerimonia per il secondo anniversario della morte della regina Isabella di Borbone,
Baltasar Carlos si sentì male. La malattia, probabilmente vaiolo, fu fulminante. Spirò il 9
ottobre 1646.
La morte del principe lasciò la Monarchia in preda ad una grave crisi dinastica: l’unica
possibile erede che restava viva era l’infanta Maria Teresa. Con la morte di Baltasar
Carlos veniva meno anche il progetto filippino, coltivato dopo l’allontanamento
dell’Olivares, della divisione delle funzioni tra la successione al trono per il figlio legittimo
e i compiti militari e politici affidati al figlio naturale.
Dopo il trauma, tuttavia, e negli anni successivi, il re avrebbe intensificato il rapporto con
don Giovanni d’Austria. In un contesto di contraccolpi che l’allentamento del controllo del
sovrano sui viceré e l’altro ministero delle province imperiali, nonché il malessere
nobiliare e i tentativi di congiure e rivolte al centro come alla periferia, avevano provocato
nell’assetto della monarchia tra il 1643 e il 1644; si rinnovava l’esigenza di una
riconfigurazione della struttura imperiale, del rapporto in particolare tra i viceré e i
Consigli, sia di una centralizzazione del governo militare: e don Giovanni poteva,
nell’idea di Filippo, realizzare il doppio obiettivo.

1 Senza aver bisogno dell’altrui favore.

28
Nel 1645 il re aveva conferito a don Giovanni il titolo di Principe del mar. Nel 1646 il figlio
era stato inviato a Cadice come governatore dell’armata e nell’ottobre del 1647 veniva
inviato a Napoli come comandante delle forze militari per reprimere la rivolta ormai
estesasi anche nelle province e ricoprire la carica vicereale.
Al governo della Sicilia tra il 1647 e il 1651, don Giovanni ebbe la possibilità di
frequentare una vera e propria scuola di formazione politica dopo quella militare. Ma
questi furono anche gli anni in cui cominciò ad incrinarsi la fiducia del re nei confronti del
figlio bastardo2. Don Giovanni ricoprì posti di potere fino al termine della vita del padre
nel 1665, ebbe un ruolo decisivo nel decidere la configurazione delle Case Reali dei
diversi territori della Monarchia e il loro rapporto con la genesi e la formazione delle
decisioni politiche. Fu dunque un anello importante in quella catena di comando che, pur
in avverse congiunture, mantenne il relativo equilibrio del sistema imperiale spagnolo.
4. IL SECONDO MATRIMONIO: LA REGINA MARIANA D’AUSTRIA E I SUOI
FIGLI
La morte di Isabella di Borbone e del figlio Baltasar Carlos rese quanto mai urgente la
preparazione di un secondo matrimonio del re. Tra il 1646 e l’anno successivo la guerra
dei Trent’anni si avviava ormai, anche a seguito delle trattative di pace iniziate due anni
prima a Munster e Osnabruck, alla sua conclusione, almeno per quanto riguardava il
contenzioso tra l’impero germanico, la Francia e i paesi nordici. Tuttavia, la previsione
della continuazione del conflitto fra la Spagna e la Francia induceva a rafforzare ancor
più di prima le relazioni ispano-imperiali e dei due rami degli Asburgo. Perciò Filippo IV
seguì la tendenza di famiglia. Il 6 gennaio 1647 annunciava al Consiglio di Stato la sua
decisione di contrarre matrimonio con Mariana d’Austria, figlia dell’imperatore Ferdinando
III, che a sua volta aveva sposato l’omonima Maria Anna, sorella del re. La motivazione
principale era la necessità di garantire la successione.
Il 7 ottobre 1649 venne celebrato il matrimonio religioso e il 15 novembre, dopo il primo
mese di luna di miele, fece la sua entrata trionfale a Madrid. Ciononostante, il nuovo
matrimonio rappresentava la “rinascita delle illusioni” per la dinastia e l’impero spagnolo.
Mariana e Maria Teresa, figlia nata dal primo matrimonio del re, erano coetanee. Anche
per questo la loro intesa era facile e incontrava le simpatie di Filippo (più anziano di loro
di quasi 30 anni).
Dal 1650 le preoccupazioni del re furono rivolte verso la gravidanza della regina, il 12
luglio nacque una femmina, Margherita Teresa. Successivamente ci furono ripetute

2 Una volta, come succede fra ragazzi, li=garono e l'erede al trono (Baltasar Carlos) lo insultò (don Giovanni)
chiamandolo "bastardo". Don Giovanni non ste@e zi@o, l'epiteto era troppo offensivo, e subito rispose: "Bastardo, va
bene, però tu sei figlio di Filippo II, e io invece sono figlio di Carlo V" Don Carlos ne fece un dramma, un po' perché
prendersela troppo era nella sua natura ombrosa e susce]bile, un po' perché forse in realtà s=mava più il nonno del
padre.
Pianse, si disperò, =ranneggiò i suoi camerieri e quando non ne poté più andò di filato dal re per parlargli della
faccenda. "Maestà", gli disse, "Don Giovanni ha de@o che Carlo V valeva molto più di voi, vi ha offeso, bisogna
punirlo". Filippo II lo guardò sorridendo e allargò le braccia e rispose: "Caro figliolo gli rispose, perché dovrei farlo?
Don Giovanni ha de@o la verità". - h@p://www.tu@ostoria.net/personaggi-storici.aspx?code=143

29
gravidanze non andate a buon fine, e addirittura, il pericolo di morte nel 1655 favorirono
lo stato di malinconia e depressione.
Il 6 dicembre 1655 era nata Maria Ambrogia de la Concepciòn. Epilettica, visse solo
quindici giorni. Dopo il parto, Mariana cadde gravemente inferma: per una paralisi lottò
tra la vita e la morte. Nell’agosto 1656 nacque e morì il giorno stesso una nuova
femmina. Il maschio finalmente vide la luce nel novembre 1657. Fu chiamato Filippo in
onore del padre e Prospero come emblema beneaugurante per la Monarchia. Il re aveva
52 anni. Nella cerimonia di battesimo, per comprovare le qualità virili del maschio, Filippo
Prospero fu vestito d'una tunica cortissima che lo lasciava nudo dalla cintura in giù. Ma, a
dispetto della sua esibita virilità, a meno di quattro anni Filippo Prospero morì. Un altro
figlio maschio, Ferdinando Tommaso, scomparve solo a sei mesi nell’ottobre 1659.
Erano in prevalenza effetti del matrimonio consanguineo, invece ben 6 figli bastardi di
Filippo arrivarono in buona salute alla maturità. La regina il 6 novembre 1661 partorì
Carlo. “Era il maschio che tutta la Spagna sognava, era il successore al trono, però
anche il principe destinato a concludere la storia intera della dinastia nella sua pessima e
sfortunatissima persona”. Le fattezze del neonato erano belle, ma pochi mesi dopo la
figura appariva esangue e triste. Patologie e deformità erano i segni di un grave
prognatismo, una malformazione dovuta a un abnorme sviluppo dell’osso mascellare
superiore sulla mandibola.
La prima infanzia dell’erede trascorse nelle stanze e nei sontuosi giardini dei siti reali.
Nella fase aurorale della giovinezza l’unica compagnia fu quella delle adolescenti
damigelle. Non mancano le satire anonime sull’aspetto di Carlo.
Quanto a Mariana, da piccola regina preoccupata unicamente di concepire un erede,
sarebbe diventata, per le condizioni psicofisiche del figlio e le motte di Filippo nel 1665, la
garante dell’intangibilità della Corona come reggente, anche se la sua guida si sarebbe
rivelata incerta, condizionata dal suo confessore, il Nithard, esposta anche agli intrighi di
Corte. Furono questi gli anni più tormentati per la fragile Monarchia cattolica.
Mariana fu sposa, sorella e madre, personificò la donna cortigiana al servizio degli
interessi famigliari; fu la guida e l’assistente del marito durante la fragile condizione
psicologica degli anni prima della morte; fu la reggente durante la minore età di Carlo; fu
regina con un re infermo, governò con luci e ombre senza esperienza precedente in un
ambiente ostile. Non una donna intrigante e destabilizzatrice ma protagonista di una
difficile tenuta e continuità della Monarchia al crepuscolo del sistema imperiale spagnolo.
5. MINISTRO MA NON VALIDO COME OLIVARES: L’ASCESA DI HARO
Il sistema politico, instaurato da Filippo III e ancor meglio sviluppato fino al 1643,
introdusse alcune novità strutturali destinate a cambiare sensibilmente la dinamica delle
istituzioni e la stessa dialettica sociale: il governo attraverso i favoriti o validos o privados,
a cui prima Filippo III poi Filippo IV affidarono gran parte delle funzioni e delle
prerogative della struttura consiliare, col conseguente svuotamento della sua natura
politica oltre che amministrativa; la concentrazione nel valido dei poteri di grazia e delle

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prerogative nella concessione di privilegi; la sua organizzazione in un rigido
inquadramento di fazione, partito capace di controllare sia il profilo formale delle cariche
pubbliche sia il profilo informale della dialettica politica; la dipendenza della periferia, a
partire soprattutto dalla nomina, il destino e l’epilogo dei viceré e governatori, dal centro
controllato dal privado; il primato sociale dell’aristocrazia più prestigiosa, in particolare
dei Grandes, cresciuti di numero, oltre settanta, nei primi del Seicento.
Ma il sistema del valimiento non comportò una sorta di dittatura del valido, perché le
prerogative del sovrano rimasero sostanzialmente immutate. Con la caduta del conte-
duca e fino alla morte di Filippo IV si produssero ulteriori cambiamenti nella vita politica
spagnola e imperiale. Il personaggio politico più rilevante dopo l’allontanamento del
conte-duca fu Luis de Haro. Compagno di giochi del futuro Filippo IV, godeva di un
patrimonio straordinario e di una fitta rete clientelare, un complesso di persone fidate,
che permise al de Haro di amministrare il suo immenso patrimonio e difendere i suoi
interessi.
La crisi del di Olivares aveva innescato un acceso dibattito sulla continuità del valimiento.
Il re voleva però instaurare una diversa forma di governo. La crisi di Olivares nel 1642,
dovuta soprattutto agli scacchi subiti in politica estera (Mantova e Monferrato, Catalogna,
Portogallo), allo scontento dell’aristocrazia castigliana, parve favorire la nobiltà. Era l’ora
dei Grandes che impugnarono il valimiento del de Haro. Agli occhi dei suoi rivali la
continuità col vecchio “regime Olivares” era evidente. I Grandes cercarono allora di
promuovere azioni tese a controllare e condizionare le decisioni del re. Ma l’ascendente
del de Haro su di lui si consolidò.
Fu un periodo di notevole incertezza politica quello compreso tra il 1643 e il 1648, dovuto
maggiormente all’obiettivo perseguito da Filippo IV, di evitare la concentrazione di poteri
che era venuta a determinarsi col valimiento dell’Olivares. Pertanto, la strategia tesa alla
conservazione dell’equilibrio di fazioni e alla ricostituzione di un rapporto più armonico tra
viceré e i Consigli territoriali, fu voluta da Filippo per riportare il governo dell’impero al
primato della sovranità unica e indivisibile.
Perciò grazie al sostegno di Filippo, de Haro pose in atto una strategia su un doppio
binario: la ricomposizione della Camera del re, attraverso un suo maggiore controllo, e la
costituzione della Casa di Baltasar Carlos, la restituzione di privilegi ai Grandes, che
avviò un processo di più accentuata pressione giurisdizionale della feudalità. Il nuovo
modello di valido doveva invece promuovere l’autocoscienza dei suoi limiti e rafforzare
l’autorità monarchica.
Nel 1647 il valido dové affrontare l’opposizione di una fazione nobiliare a lui contraria, ma
la mano forte di Filippo IV ebbe la meglio e favorì una maggiore visibilità del valido come
mediatore, non come sostituto del sovrano. Nel pieno delle sue funzioni al 1648, de Haro
divenne il cortigiano modello, il referente degli inviati stranieri, il controllore
dell’amministrazione attraverso la collocazione dei suoi fedelissimi nei posti-chiave.
In sostanza l’equilibrio delle fazioni fu realizzato da Filippo attraverso tumultuosi cambi e
avvicendamenti. Un relativo assestamento si verificò con la caduta in disgrazia del

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Monterey. Haro fu nominato Grande, duca d'Olivares, Cavallerizzo Maggiore e non solo.
Il primo ministro morì nel 1661. Per il re, il suo valido doveva essere l’intermediario e
l’esecutore degli ordini regi, non l’unico ministro, e rivendicava a chiare lettere il fatto che
al sovrano spettava l’ultima parola. Certo il “regime” come al tempo del conte-duca non si
ricreò, ma non vi è dubbio che gli strumenti per l’ascesa e la conservazione del potere
del valimiento, adottati dal de Haro, furono assai simili a quelli del suo collega
predecessore.
Nell’incertezza del clima politico, la periferia conquistò un vivace protagonismo e, ancor
più rispetto al passato, i viceré, soprattutto italiani, guadagnarono nei blocchi di potere
madrileni uno spazio prima inimmaginabile. Favorita dal clima politico fu anche la
formazione e lo sviluppo di un consistente centro di potere italiano, capace di occupare
cariche di primo piano nei reinos spagnoli.
6. LA STRUTTURA DEL POTERE NELLE RELAZIONI DEGLI AMBASCIATORI
Il 28 settembre 1646 l’ambasciatore straordinario genovese presso il Re Cattolico, Anton
Giulio Brignole, inviava al governo della Repubblica una relazione in cui analizzava sia la
personalità del sovrano, sia il funzionamento delle istituzioni spagnole, sia i rapporti tra il
primo e le seconde. Era qui individuato con accuratezza un aspetto condizionante la
personalità e la condotta di Filippo IV. Egli non riusciva a risolvere la contraddizione tra la
spinta a liberarsi di una figura ingombrante e pericolosa per l’integrità del potere regio
come l’Olivares, e la necessità, una volta liberatosi, di disporre comunque di un garante,
di una tutela, di un supervisore delle sue decisioni. I temi principali in questa relazione
erano il rapporto tra Filippo IV e il sistema consiliare, l’antagonismo tra de Haro e
Castrillo (definito come una figura diversa per carattere dal valido, ma pari abilità), l’odio
del re per Olivares, l’immobilismo dell’amministrazione spagnola.
Il ritratto di Filippo IV era specificato con maggiori dettagli rispetto ai suoi colleghi
precedenti dall’ambasciatore Giacomo Saluzzo nel 1663, due anni prima della morte del
sovrano. I dettagli riguardavano il carattere “blando di natura, amico del giusto”. Ma
proprio questa eccessiva inclinazione alla bontà e alla giustizia, il re non riusciva,
secondo il Saluzzo, a esprimere la sua personalità e “a spiccar tale”, perché portato a
delegare tutto “a consulte per non errare, pur essendo d’intendimento”. Di particolare
interesse era poi la notazione sulle condizioni finanziarie del sovrano “misero e ristretto”.
Le ragioni erano da attribuire dall’ambasciatore alla sottovalutazione, da parte del
sovrano, delle dimensioni “di tutto quello che dona” e al mancato controllo dei profitti dei
ministri “molti de quali si sono non poco arricchiti”.
Il diplomatico genovese riconosceva tuttavia tre meriti a Filippo IV: il suo intervento
decisivo nella guerra col Portogallo, la promozione del matrimonio della figlia con
l’imperatore, la puntualità, la precisione e la meticolosità nell’eseguire qualunque cosa.
Ma è sullo stato della Monarchia che l’analisi del diplomatico era impietosa e ne
prefigurava il crepuscolo. Essa non era più quella di prima, ma andava al “declino”. Le
cause erano molteplici: il modesto profilo della classe dirigente, la carenza di quel valore
e prudenza di cui in passato sembravano abbondare, la conflittualità tra i personaggi più

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vicini al re, che avevano penato solo ai propri interessi e avevano mal governato le loro
Case; la dilapidazione del patrimonio, il disordine economico, la continua alterazione
della moneta da giorno a giorno, i ritardi dei pagamenti dei creditori. Le speranze di una
sua ripresa erano assai esili, e a rendere poco probabile la resurrezione contribuivano
due fattori: la condizione del re e della sua Casa; il ruolo di primo piano che stava
assumendo la potenza francese in Europa.
Il suo crepuscolo chiamava in causa la fragile struttura di una formazione politica
caratterizzata: dallo squilibrio permanente tra i costi dell’impero e la disponibilità di
risorse per mantenerlo; dalle dimensioni di una potenza che, durante il regno di Filippo II,
grazie anche alla favorevole congiuntura economica, era riuscita a massimizzare i
vantaggi del flusso di risorse provenienti dai reino europei e, soprattutto, dal Nuovo
Mondo, ma che tra Filippo III e Filippo IV, aveva invece dovuto pagare il prezzo della crisi
economica e sociale gravante in particolare sulla regione-guida dell’impero, la Castiglia.
In aggiunta la dilatazione delle sue dimensioni corrispondeva, ad un indebolimento, le
forze militari era in differenti condizioni, nel Cinquecento avevano potuto godere di
finanziamenti adeguati per il loro addestramento e la preparazione capace di sostenere
la guerra su molteplici fronti, ma nel corso del Seicento a causa della crisi, del deficit
endemico dei bilanci statali, dell’insufficienza, e nel sostentamento degli eserciti, si
trovarono impreparate ad operare nei tanti teatri di guerra con nemici sempre più
agguerriti.
L’impero però ancora per mezzo secolo dopo la relazione di Saluzzo, in un contesto
internazionale mutato e nella condizione del multipolarismo europeo, avrebbe puntato su
alcuni elementi di forza per sopravvivere: le colonie americane, la tenuta complessiva dei
sottosistemi; la macchina burocratica che, con tutti i limiti evidenziati nelle stesse
relazioni diplomatiche, grazie alla relativa efficienza della catena di comando, seppe
amministrare sia il centro sia la periferia del sistema; la forza militare riuscì ancora a
sostenere nel Mediterraneo, durante gli anni Settanta del Seicento, lo scontro con la
Francia e conservare l’integrità dell’Italia spagnola.

VIII - RELIGIONE E POLITICA p.174


1. LA BIOGRAFIA DI UNA MONACA FRA STORIA E AGIOGRAFIA
Due vite parallele, quella di Filippo e quella di suor Maria di Gesù, si incrociarono e il loro
rapporto epistolare sarebbe durato per oltre vent’anni, fino al 1665. Vite parallele perché
suor Maria era nata tre anni prima di Filippo e lasciò la terra pochi mesi prima del re. Il
sovrano incontrò la monaca, visitando il monastero di Agreda, del quale nel 1627 Maria
era diventata badessa, nel 1643. E ne fu immediatamente folgorato, tanto da chiederle di
iniziare una corrispondenza.
2. “IL MONDO IN UNA CELLA”
Furono 614 le lettere scambiate tra il 1643 e il 1665 tra la Agreda e il re: 314 inviate dalla
prima, le rimanenti da Filippo. La monaca era una grafomane: scrisse a papi, re, generali
di Ordini religiosi, vescovi, nobili e altri personaggi del suo tempo. Nelle sue lettere Maria

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di Gesù mostra il profilo della “divina madre”, cioè dell’autorità morale esercitata da
quelle monache a cui si affidarono i sovrani come guide spirituali.
Due sono le fasi diverse per contenuto, che scandiscono l’accentuazione tematica e i
toni, il tempo della corrispondenza. Nella prima fase, fino al 1648, centrali sono la forte
connotazione politica e la condanna del valimiento. Nella seconda fase, dalla fine degli
anni Quaranta alla morte della monaca, l’interesse religioso e dottrinale è dominante e la
Agreda sceglie uno stile più letterario. La corrispondenza epistolare racchiudeva la storia
intera del regno di Filippo IV nei suoi eventi più importanti e particolari più intimi.
Ciò che emerge da questa corrispondenza è che suor Maria, rispetto alla debolezza del
suo interlocutore, rivelava una forza straordinaria e si accreditava come la più
affascinante figura che registra la storia fra le donne che ebbero accesso nel dei principi.
Suor Maria riuniva in misura eccellente tutte le qualità necessarie al consigliere di un
principe ed era la testimone della dipendenza emotiva del re dall’autorevolezza
della sua guida, spirituale e non solo.
Tono e contenuti dei consigli della Agreda al re sono stati associati alla temperie
dell’arbitrismo nel tempo storico del declino della Spagna, all’orientamento cioè di quegli
scrittori politici che ragionavano sulle cause di quel declino e sui possibili rimedi per
affrontarlo. Suor Maria radicalizza il modello cattolico e nelle sue lettere si appella ad una
riforma dei costumi a partire dal modello del sovrano. La posizione della Agreda è netta:
si deve regnare senza privados e favoriti; i mali della Monarchia derivano in gran parte
dalla loro ambizione. Filippo è di parere diverso: la privanza è necessaria per il governo
della Monarchia.
È il 1646 e in questi anni suor Maria fornisce consigli a Filippo anche sulla questione
aragonese e sul conflitto tra Catalogna e Castiglia. Al radicalismo del re, che vorrebbe
estendere alla Catalogna la giurisdizione del Tribunale dell’inquisizione, la Agreda
oppone la sua mediazione, sconsiglia l’introduzione dell’Inquisizione e suggerisce un
maggior equilibrio al sovrano. Dopo l’inizio delle trattative di pace a Munster e
Osnabruck, suor Maria consiglia a Filippo di concludere la guerra con la Francia e di
dedicarsi con tutte le forze al portogallo. A partire dai primi anni Cinquanta le lettere della
monaca assumono un tono più intimo: la sua religiosità, i caratteri della sua spiritualità
prevalgono. La prosa si fa più raffinata e ricorrono le tematiche della Mistica Ciudad de
Dios3, a cui la monaca sta dedicando le sue energie intellettuali.
Dal 1650 inizia il periodo delle molteplici tragedie familiari del re e del complesso di colpa
per i peccati e la lussuria di gioventù che lo travagliava: tutto questo traspare dalla
corrispondenza. Ma gli anni Cinquanta e Sessanta del Seicento sono anche quelli che

3 Suor Maria di Gesù: in quest’opera si parla anche delle sue esperienze di bilocazione (evangelizzazione dei popoli
sudamericani con le sue apparizioni, visto che era una monaca di clausura non si poteva spostare, ma i popoli che
venivano raggiun= dai missionari erano già evangelizza= e ques= parlavano della dama azul, che venne iden=ficata
con suor Maria visto che era solita indossare un mantello azzurro) per questo finì 2 volte davan= all’Inquisizione.
Divisione testo: prima parte vita di suor Maria, seconda parte vita della Vergine Maria, con numerosissime citazioni
delle Sacre Scri@ure, segno della sua cultura.

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accelerano il processo di realizzazione dell’obiettivo immacolatista, papa Alessandro VII
nel 1661 proclama con una bolla il dogma dell’Immacolata Concezione ed elevò l’8
dicembre giorno liturgico dedicato all’Immacolata. Filippo IV, anche su influenza
dell’Agreda si era già mosso prima. Nel 1656 aveva proclamato l’Immacolata patrona
della Spagna e nel 1664 impose in tutti i territori della Monarchia l’8 dicembre come festa
di precetto.
3. FAZIONI, POLITICA, RELIGIONE
Sulle dinamiche della politica interna e della politica internazionale di Filippo IV i conflitti
tra fazioni ebbero una certa influenza, soprattutto durante le fasi di svolta e di
cambiamento nell’assetto del potere. I problemi politico-religiosi della Monarchia si
intrecciarono così con la dialettica di partiti e fazioni, come ben rispecchiato nella
corrispondenza della Agreda.
Una variabile particolarmente sensibile nello scenario della Corte e nei diversi
schieramenti dei suoi personaggi più influenti fu rappresentata dai confessori del re e da
altri esponenti ecclesiastici, impegnati, a vario titolo, nelle istituzioni della Monarchia. Due
esempi, fra i tanti, illustrano questo aspetto.
Frate Antonio de Sotomayor visse per quasi un secolo e fu confessore di Filippo III e
degli infanti dal 1616. Fedelissimo dell’Olivares, fu Consigliere di Stato dal 1627 al 1648,
Inquisitore Generale dal 1632. Cadde in disgrazia insieme col conte-duca. Costruì una
rete familiare e clientelare di tutto rispetto e attivò gli strumenti per l’ascesa sociale dei
suoi parenti. La dialettica di fazioni era trasversale allo stesso Ordine religioso.
Un altro domenicano, frate Juan de Santo Tomas, sul fronte opposto a quello del
Sotomayor, insieme con altri concessori legati alla Agreda ebbe notevole influenza nella
caduta di Olivares. Il suo successore fu, ancora un domenicano, Juan Martinez, che
aveva ricoperto lo stesso ruolo con la regina. Nella critica congiuntura, successiva
all’allontanamento di Olivares, il frate domenicano fece confluire a Saragozza molti
religiosi che si ritenevano portatori di rivelazioni riguardanti il futuro della Monarchia: così
l’elemento profetico veniva utilizzato a fini politici con l’obiettivo di orientare il sovrano
verso il suo governo personale.
Anche la politica internazionale e, soprattutto, il rapporto fra Filippo IV e la S. Sede
risentirono dell’influenza e del gioco delle alleanze sì e interne alla Corte madrilena sia
tra gruppi della Corte e partiti della Curia romana. Quattro furono i papi contemporanei al
regno di Filippo IV: Giorgio IX, Urbano VIII, Innocenzo X, Alessandro VII.
Una figura diventata sempre più importante nello stato ecclesiastico a partire dal papato
di Urbano VIII è quella del cardinale protettore. Questa figura si affianca all’ambasciatore
ufficiale a Roma, è un agente interno alla curia e al collegio. I Barberini furono a lungo
uno dei più abili gruppi di potere pressi la Corte pontificia durante il pontificato di Urbano
VIII, Maffeo Barberini.
Urbano VIII si sforzò di mantenersi neutrale nel conflitto tra le potenze cattoliche. Lavorò
attivamente in direzione della pace: durante lo scoppio della rivolta catalana

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sconsigliò Parigi dal perseguire una politica espansionistica ai danni della
Spagna; anche nella crisi portoghese del 1640 conservò un atteggiamento di
previdente equidistanza non riconoscendo ufficialmente il nuovo regno, ma
negando al tempo stesso alla Spagna la sconfessione dei ribelli.
Fu nel biennio 1641-’42 che entrò in crisi la strategia neutralista della S. Sede: la linea
precedente di politica estera mal si conciliava con gli interessi italiani del Papato. Negli
ultimi anni del pontificato di Urbano VIII il potere del partito filofrancese, capeggiato dal
Barberini, fu enorme. Francesco Barberini, il cardinale nipote, fu una figura in larga
misura assimilabile a quella di un ministro favorito o di un viceré. Il partito barberiano
favorì la politica di sostegno finanziario agli Stato antispagnoli, la tensione nei rapporti fra
S. Sede e alcuni domini italiani degli Asburgo come il Regno di Napoli, dove i Barberini
cercarono di promuovere iniziative tese a destabilizzare il dominio spagnolo. Nei primi
anni Quaranta la politica estera pontificia oscillò tra neutralità dichiarata e appoggio
concreto alla politica francese di espansione nel Mediterraneo. Nel 1644 moriva Urbano
VIII. L’ascesa al soglio pontificio di Innocenzo X, della famiglia Pamphili, favorevole alla
Spagna, aprì una nuova fase nei rapporti fra S. Sede e Filippo IV. Il re fu grato per il ruolo
pacificatore del pontefice in occasione della rivolta napoletana tra il 1647-’48.
Ma dopo la pace di Vestfalia il rapporto fra Innocenzo X e il sovrano spagnolo si fece
difficile. La denuncia papale del trattato, che aveva legittimato le potenze riformate, isolò
in realtà la S. Sede, fu tenuta in scarsa considerazione nel sistema delle relazioni
internazionali che presero atto della perduta centralità diplomatica pontificia.
I legami tra religione e politica internazionale della Spagna, negli ultimi anni del regno di
Filippo IV, poterono saldarsi ancor di più e meglio grazie al papa Alessandro VII,
sostanzialmente alleato della Monarchia asburgica, che egli sostenne contro il Portogallo
e nella diffusione del culto immacolatista, sia esprimendosi favorevolmente sull’opera di
suor Maria de Agreda, la Mistica Ciudad de Dios, sia proclamando il dogma
dell’Immacolata Concezione.
4. LA SFERA DELLA DECISIONE POLITICA
Per indicare il primo stadio dello Stato moderno in Europa è stata usata la formula Stato
giurisdizionale. A caratterizzarla sono tre elementi: l’unità territoriale, in cui però le parti
che la compongono hanno più importanza dell’insieme; il diritto comune e non unico,
perché proteso alla razionalizzazione e magari anche alla riforma dei diritti particolari, ma
non alla loro abrogazione; un governo che non genera uniformità con la presenza e la
forza dell’imperium, ma non utilizza la giurisdizione che consente in modo più elastico di
governare una realtà territoriale complessa, essenzialmente con l’intento di mantenere la
pace e tenere in equilibrio le forze concretamente esistenti.
Nel sistema imperiale spagnolo come in altre formazioni statali europee il centro della
sfera, il protagonista della decisione politica è sempre il sovrano. Nel contesto dello Stato
giurisdizionale, ossia nella condizione di più poteri concorrenti sul territorio, il sovrano
come fonte del diritto e della giustizia è l’unico punto di riferimento e garanzia per il bene
dei sudditi.

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Durante il regno di Filippo IV i soggetti che cercarono di condizionare la formazione della
decisione politica, sia come giurisdizioni formalmente riconosciute, sia come informali
poteri di fatto, tesero ad aumentare dopo la fine del “regime Olivares”. L’inizio della lunga
corrispondenza con Suor Maria de Agreda, il 1643, coincise non a caso con la caduta del
conte-duca e inaugurò la fase del maggior pluralismo di spinte, di protagonisti, spesso in
dialettica fra di loro, che tesero ad orientare il governo del sovrano.
Il sistema imperiale spagnolo, che nel 1665 lasciava in eredità al suo successore, non
era certo più quello lasciato dal nonno nel 1598. Ma il nipote avrebbe ancora potuto
affermare, come in una lettera alla Agreda: in ultima istanza decido io.

IX – LA MORTE DEL RE p.194


1. LA PACE DEI PIRENEI E GLI ULTIMI ANNI DEL RE
La pace dei Pirenei fu “cotanto svantaggiosa per la Spagna” e per Filippo IV, “costretto a
consegnare ai suoi naturali nemici il più caro pegno della sua Case”, presagendo i
pericoli e i futuri danni. Pace che nel 1659 aveva concluso il lungo conflitto tra Francia e
Spagna, iniziato nel 1635.
La cessione alla Francia di parte delle Fiandre e dell’Artois e, nei Pirenei, il Rossiglione,
perdite in territorio catalano assai inferiori, tutto sommato, rispetto a quanto avrebbe
potuto indurre a prevedere la crisi più che decennale nel cuore della Monarchia.
L’Italia fu la principale sconfitta dalla pace dei Pirenei. Gli Stati della penisola furono
esclusi dalla conclusione del trattato del 1659. Il papa, già penalizzato nella sua funzione
politico-diplomatica di sovrano pontefice della pace di Vestfalia, non fu neppure
ammesso alla conclusione del trattato dei Pirenei. Le potenze europee rivendicarono e
realizzarono piena autonomia del suo Stato.
Fu solo lo Stato sabaudo, con i suoi guadagni territoriali nel Monferrato, e le armi dei
duchi di Savoia, a dimostrare una capacità d’azione unica nel panorama delle realtà
italiane. Se si osserva la mappa politica dell’Europa mediterranea dopo le paci di metà
secolo XVII, il rapporto tra l’influenza della Monarchia di Spagna e quella della Monarchia
di Luigi XIV appare come un rapporto abbastanza equilibrato. La partita che si giocava in
Italia era ancora tutta da svolgersi.
Era nel teatro centroeuropeo e in quel sottosistema che la Spagna veniva più
direttamente colpita. I Paesi Bassi meridionali erano stati il fiore all’occhiello della
Monarchia asburgica e, come scritto in precedenza, uno dei sottosistemi strategici per la
conservazione e lo sviluppo del sistema imperiale spagnolo.
Il rapporto tra Madrid e Bruxelles era stato costruito attraverso un compromesso tra il
governo centrale e le élite politiche in Fiandra. Il governo arciducale, attraverso una
particolare formula di incorporazione, non era riuscito a creare un vero e proprio “nuovo
regno”, dotato di piena autonomia, ma aveva dovuto fare i conti con la doppia
dipendenza da Madrid, finanziaria e militare.

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Nelle Fiandre dal 1621 al 1633 l’infante Isabella Clara Eugenia (sorella maggiore di
Filippo II) fu al vertice di un “governo delegato”: in pratica, era quasi un viceré. Il modello
era quello di una struttura centralizzata attraverso l’istituzione della Commissione di Stato
e di Guerra, composta da spagnoli, limitata dal Consejo de Flandes come camera di
compensazione. Dal 1623 in Belgio tutti gli affari importanti furono affidati alla
Commissione: il Consiglio di Stato e gli Stati Generali ebbero scarso rilievo.
Fu da questo squilibrio istituzionale e costituzionale che partì nel 1632 il piano di
sollevazione contro la Spagna di una parte della grande aristocrazia. Ma nel 1633 la
congiura fallì e iniziò la repressione. Dopo la rivolta nobiliare il primo presidente Pierre
Roose ristabilì il completo dominio sui tre consigli Collaterali. I Paesi Bassi accettarono
sostanzialmente il progetto olivaresiano di Union da las armas per quattro buoni
motivi: l’assenza di alternative alla Spagna; la conservazione del potere
aristocratico, garantita dalla Monarchia cattolica; la forza di dissuasione del potere
militare asburgico; il rispetto spagnolo per il particolarismo provinciale.
Dal 1634 al 1641 governatore fu il cardinale Ferdinando d’Austria, fratello più giovane di
Filippo IV: ritornò dunque la soluzione dinastica con la scelta di una personalità di
sangue reale. Ferdinando reclamò una riforma teso a ridimensionare il regime del primo
ministro. Ma nel 1641 al potere dei Paesi Bassi giunse un’altra creatura di Olivares,
Francisco de Melo. Fu affiancato da una Giunta straordinaria.
Bruxelles non entrò mai in conflitto con la Corona. I motivi individuati dalla storiografia
sono in sostanza tre: la lealtà dinastica, l’assenza di una significativa apposizione, la
funzione delle relazioni clientelari. A differenza della Catalogna, del Portogallo e dei
Regni di Napoli e di Sicilia, nei Paesi Bassi è riscontrabile un altro grado di stabilità
politica. Ciò fu dovuto al compromesso tra il governo centrale di Madrid e le élite politiche
delle Fiandre: un compromesso garantito dalla convenienza reciproca di rispettare
obblighi e interessi e fondato sulla religione cattolica, il riconoscimento delle autonomie
locali da parte della Monarchia in cambio della lealtà fiamminga alla dinastia asburgica.
Questo delicato e difficile equilibrio, che aveva tenuto insieme i Paesi Bassi spagnoli,
venne meno col trattato dei Pirenei. Nonostante gli sforzi della diplomazia asburgica
l’integrità dei possedimenti centroeuropei di Filippo IV fu colpita.
I termini del trattato prevedevano, con la fine della guerra, il matrimonio tra la figlia
maggiore di Filippo, Maria Teresa, e Luigi XIV. Nella pratica dinastica i legami tra principi
francesi e spagnoli erano stati “moneta corrente”. Nel diritto pubblico spagnolo era
assente una norma relativa all’esclusione delle donne. I matrimoni venivano dunque
celebrati con una clausola di rinuncia in base alla quale la sposa perdeva il diritto a
reclamare la corona in cambio di una dote concordata fra suo padre e lo sposo.
I negoziatori francesi suggerirono l’introduzione nel contratto matrimoniale del 1659 una
clausola supplementare: la rinuncia di Maria Teresa alla successione al padre era
un’obbligazione vincolata esclusivamente al pagamento come dote della somma
considerevole di 500mila ducati. Essa non fu saldata dal re di Spagna e pertanto entrò

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in gioco la “exceptio non adimpleti contractus”. Sarebbero così venute meno, secondo i
negoziatori francesi, le altre obbligazioni contrattuali.
I negoziatori spagnoli, a loro volta insisterono sul carattere limitato della clausola. Il
monarca non avrebbe mai sottoscritto un testo come quello implicante la “revisiòn” che
minacciava l’integrità territoriale dei territori della Monarchia.
Tenute insieme tutte le variabili indicate, i trattato dei Pirenei fu in ogni caso l’esito
proporzionato nonostante tutte le difficoltà della Monarchia asburgica, e coerente rispetto
ai tre capisaldi che avevano caratterizzato la politica estera del de Haro: le priorità
peninsulari della Spagna che, nonostante le delusioni per la mancata riconquista del
Portogallo, erano comunque salvaguardate; la sicurezza degli aiuti imperiali per la
conservazione dei domini italiani; la conclusione del conflitto franco-spagnolo con una
pace onorevole per Filippo IV. Nel 1661 moriva Filippo Prospero e poco dopo, il 6
novembre 1661 nasceva l’erede Carlo.
Poco dopo la nascita di Carlo, Filippo firmava un contratto segreto che conteneva la
promessa di matrimonio della figlia Margherita Teresa all’imperatore Leopoldo I. Il
contratto obbligava l’imperatore a mandare il suo secondo figlio a Madrid dove avrebbe
ricevuto un’opportuna educazione, necessaria premessa alla fondazione di un nuovo
ramo degli Asburgo nei Paesi Bassi spagnoli.
1. IL TESTAMENTO
Filippo fece redigere il primo testamento nel 1658. Tra il 1663 e l’anno successivo il
compito ad affidato ad una Giunta di Governo. Il documento testamentario del 1665,
redatto poco prima della morte del sovrano, confermò nella sostanza, le linee generali di
quello precedente.
La riscrittura fu comunque resa necessaria per il fatto che tra il 1658 e il 1665 si erano
prodotte non poche novità nella vita politica e familiare della dinastia: la sigla del trattato
dei Pirenei, la morte del ministro de Haro, la morte di Felice Prospero e del fratello
Fernando Tommaso, la nascita del futuro Carlo II, il matrimonio di Maria Teresa con Luigi
XIV e l’accordo per l’unione tra l’imperatore germanico e l’infanta Margherita.
La Giunta fu creata da Filippo forse anche per evitare in futuro, dopo la sua morte, il
consolidamento di una forma di governo come quella del valimiento; di sicuro perché
così disponeva la normativa e, soprattutto, per dare più forza alla legittimazione della
reggenza della moglie, Marana d’Austria, e precisarne i limiti.
Nel testamento Filippo lasciava a Carlo in eredità tutti i regni e i señorios, inclusi i territori
come il Portogallo e le sue colonie, in cui godeva solo di diritti nominali. In caso di sua
premorienza, i diritti passavano all’infanta Margherita Maria e ai suoi discendenti. Ad
occupare il trono di Spagna erano chiamati i discendenti dell’imperatrice Maria, sorella di
Filippo IV, sposata nel 1631 con Ferdinando III d’Austria, dal cui matrimonio era nato il
futuro imperatore Leopoldo I. L’infanta Maria Teresa, andata in sposa a Luigi XIV, veniva
così esclusa dalla successione.

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Le volontà di Filippo determinavano anche i lasciti per i figli naturali. Altra clausola
importante del testamento era la composizione della Giunta di Governo che avrebbe
dovuto affiancare la reggente, Mariana d’Austria, in attesa della maggiore età di Carlo II.
Era lo specchio delle novità intervenute nella lotta politica e nello scontro di fazioni a
Corte. Filippo. Escludendo alcuni personaggi della Giunta, intendeva porre termine alle
loro carriere politiche: si trattò, in particolare, dell’ex viceré di Napoli, Medina de las
Torres, ma anche di don Giovanni d’Austria.
Tra il 1670 e il 1675, data in cui Carlo II, uscito dalla maggiore e assunse i pieni poteri, la
vita politica a Corte fu dominata da un nuovo favorito della regina Mariana, il Venezuela.
Il vero golpe di don Giovanni fu nel 1677 “il primo pronunciamento della storia spagnola
moderna”. Esso fu realizzato chiamando a raccolta e all’attacco tutto il partito cortigiano
di don Giovanni.
Erano ben collegati con don Giovanni anche alcuni viceré come quello di Napoli e il
marchese di Los Velez. Tra il 1677 e il 1679, anno della sua morte, il figlio di Filippo IV
governò di fatto la Spagna in un periodo assai critico sia per la sua politica interna sia per
la politica estera: nel 1678 la pace di Nimega sancì la perdita della Franca Contea e di
alcune città delle Fiandre.
La storiografia moderna ha rivisto criticamente il profilo di don Giovanni. È stato scritto
che alla sua visione imperiale della Spagna mancavano le basi. Egli aveva rifiutato le
condizioni di pace di Luigi XIV che si sarebbero rivelate più favorevoli alla Spagna
rispetto a quelle del trattato di Nimega. Certo fu un militare più che un uomo di governo,
ma la sua attività di infaticabile viceré itinerante fu impressionante sia come quantità che
come qualità.
Nel complesso il testamento assumeva per Filippo due significati. Doveva, in primo
luogo, sancire il rafforzamento della successione spagnola contro le pretese francesi.
Rappresentava, in secondo luogo, il tentativo di resistenza di una dinastia, sul viale del
tramonto, al multipolarismo europeo attraverso un legame ancora più stretto con l’impero
germanico, volto a bilanciare la tendenza imperialista della Francia di Luigi XIV.

IX. LA MORTE DEL RE

3.La morte

Filippo morì il 17 settembre del 1665.


Il re aveva diversi problemi fisici, sia al fegato che ai reni, ma soffriva anche di forti depressioni
dovute agli eventi familiari e alle diverse perdite avute e alle preoccupazioni dovute da problemi
dinastici, preoccupato infatti che il gracile Carlo non avrebbe saputo regnare a dovere.
La fragilità del re si ripercuoteva anche sul corpo politico che, nonostante fosse in grado di
conservare la sovranità e la successione dinastica, era un corpo martoriato dalle sfavorevoli
congiunture economiche (recessione) che caratterizzò gran parte del regno di Filippo IV.

Il trattamento del corpo del sovrano si svolgeva in tre fasi: velatura, imbalsamazione ed
esposizione del corpo in camera mortuaria.

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Il corpo veniva vestito con un cappotto di seta nero, un cappello, una parrucca, un fazzoletto,
scarpe e un crocifisso d’argento. Non mancavano anche i simboli della Monarchia ad
accompagnare il re nel suo ultimo viaggio, come la corona, lo scettro e il Tolson d’oro e le corone
ungheresi e boeme.
Il cadavere veniva vegliato da 6 uomini vestiti in nero, il quale colore si abbinava alle pareti della
camera mortuaria in tela e sulle cui scale si trovano 8 candelabri.
Gli organi del re venivano conservati distintamente: il cuore veniva conservato infatti in un
cofanetto d’argento con coperchio d’oro, gli occhi e l’intestino in un altro cofanetto riposto nella
cappella del Castello.

Rispetto ai suoi predecessori, Filippo IV (da cui comunque non tralasciò le pratiche tradizionali
funebri) optò tuttavia per una maggiore visibilità alla Corte della sua devozione e volle un
cerimoniale più pomposo.
Il corpo rimase in vista fino alla notte del 19 in una stanza del suo palazzo adornata con i migliori
pezzi del re e dipinti pregiati e il trono fu ricoperto da un tappeto persiano e la parte inferiore da
una trapunta d’oro, mentre la testa del sovrano era coperta da una maschera di seta colorata.
L’abito era molto pomposo ed era adornato dal collare del Toson d’Oro – sicuramente un modo
molto distante dalla semplicità in cui erano vestiti i suoi predecessori Carlo V o Filippo II.
Con Filippo IV si reintrodusse la pratica dell’imbalsamazione (pratica andata fino ad ora in disuso
nel medioevo) e la pratica di seppellire il cuore e le viscere nel convento francescano di San Gil.
In una tela anonima del XVII, Felipe IV, muerto, Filippo IV è ritratto con l’abito dell’Ordine
Terziario con un mantello francescano e un cappello grigio scuro; anche qua non manca il Tolson
d’Oro e fra le mani una croce ornata di pietre preziose – chiaramente il ritratto su questa tela non
corrisponde a come fu vestito e adornato per l’esposizione del cadavere nel 1665.
Probabilmente, questa “rivisitazione” doveva trasmettere ai sudditi una sorta di semplicità e di
buon esempio cristiano.
Per quanto riguarda il trasporto del corpo all’Escorial (N.d.R. è uno dei suoi palazzi, lo leggerete
dopo), si perfezionarono anche le regole di etichetta rispetto ai suoi predecessori ed erano
ispirate da un simbolismo religioso: il corteo funebri si muoveva di notte per giungere all’alba e la
tumulazione del corpo avveniva alle 12 esatte del giorno quando il sole si trovava allo zenit ed
esattamente alle 12 si riunivano tutte le cariche religiose più importanti. L’intento era quello di
modellare queste “pie pratiche” sulla morte del Cristo.
Il rito funebre era ricco di icone, con il re bellicoso che si rifaceva a Giove, o il Monarca-sole astro
dei pianeti, oppure il Re dei Re che portava nel suo sangue secoli di dinastie.
Tuttavia, si tendeva ad esaltare un Re pacifico, una sorta di luogotenente di Dio sulla terra.
Inoltre, venivano esaltati diversi miti, come quello della Corte in festa (immagine del re e del
governo dei reinos) e quindi di un sovrano che regnava sopra il tempo, oppure il mito di Filippo il
Grande che fece il discorso sul potere universale dei Re, tutti miti che si erano sciolti, negli ultimi
anni di Filippo, nell’invocazione sacra del potere.

4. Le esequie nel territorio dell’impero

Le cerimonie riguardanti i funerali degli esponenti della Monarchia spagnola erano prescritte e
minuziosamente descritte in appositi manuali che ne definivano l’organizzazione sia
amministrativa che artistica delle stesse. I funerali erano pubblici e normalmente avvenivano
dopo uno o due mesi dalla morte dell’esponente monarchico: il primo giorno si celebravano i
Vespri dei defunti e il giorno successivo tre messe. Per partecipare a tali cerimonie, bisognava
avere ricevuto un invito. Durante il sermone, veniva celebrata la vita del Monarca sottolineando le
virtù principali.
I riti erano gli stessi in tutto il territorio spagnolo – questo al fine di uniformare riti e tradizioni in
tutto il vasto territorio, così come voluto dal Monarca delle Asturias.

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Ai tempi di Filippo IV questi riti erano già conosciuti, ma raggiunsero il punto più alto durante il
suo operato grazie ad un ulteriore accrescimento grafico/artistico, alla vasta retorica e sapienza.

La prassi da seguire durante i riti funebri era già stata delineata ampiamente da Filippo II e il
modus operandi era il medesimo durante l’impero di Filippo IV.

All’interno della Casa Reale vi era una serie di persone a cui veniva assegnato un ruolo e dei
compiti da svolgere durante tali cerimonie. Il maggiordomo aveva, per esempio, responsabile
della tappezzeria e della gioielleria, il cappellano della celebrazione liturgica e in carico per la
nomina del prelato officiante e del predicatore, il sovrintendente era responsabile per la
costruzione del tumulo mentre il maestro maggiore era il responsabile amministrativo.

Se durante il regno di Filippo III le immagini iconografiche più comuni erano gli scheletri con la
falce, vediamo che nel regno di Filippo IV si accantonano queste immagini allegoriche per dare
più rilevanza al trionfo e alla gloria cristiana e alla concezione del sovrano come “figlio di Dio”.
Questa esaltazione del rey planeta la si trova anche nell’espressione architettonica i cui dettagli
si trovano descritti in ben tre libri. Uno dei più importanti si trova a Madrid, ma troviamo dei
geroglifici anche in Messico e a Napoli – in ogni opera si possono vedere delle scene che
descrivono e esaltano in modo facilmente riconoscibile la vita e le glorie del defunto sovrano.
Non si tratta di riti funebri fini a sé stessi, ma il fine era l’esaltazione del monarca e quindi una
forte propaganda politica, ma anche come di una sorta di propaganda religiosa e militare, in
quanto il Monarca veniva rappresentato come difensore della fede, della religione anche nelle
vittorie militari.

La grandezza dell’impero veniva inoltre rappresentata anche con l’utilizzo di 4 statue


rappresentanti le Casate di Austria, Castiglia, Aragona e Borgogna – le stesse erano collocate
nelle impalcature che sostenevano la bara, mentre 4 bassorilievi alla base ricordavano le arti di
Filippo IV come le arti, la musica, la poesia e il Granduca aveva il compito di guidare la
processione, seguito dai magistrati di Firenze in abito da lutto. Diversi riti si svolgevano anche a
Milano in cui il catafalco era sormontato da un’alta guglia-obelisco oppure a Roma nella Chiesa
di S. Giacomo degli Spagnolo. A Genova invece i funerali mostravano delle immagini che si
ispiravano agli affreschi degli eleganti palazzi cittadini sottolineando i legami dell’aristocrazia
genovese e la Monarchia spagnola, a Palermo i riti erano descritti dettagliatamente da Matranga
(Le solennità lugubri e liete) e il culmine del rito funebre avveniva nel Mausoleo al centro del
Duomo – anche a Napoli i riti erano sontuosi e barocchi e avvenivano nel monastero di Santa
Chiara, il cui responsabile delle esequie era Marcello Marciano e il cui compito era quello di
esaltare il rey planeta in tutta la sua gloria.

5. La parabola della monarchia universale

Se con Filippo II vi sono pochi sfarzi (si ricordi Filippo II deceduto e avvolto da un semplice
lenzuolo), come abbiamo visto troviamo invece durante il regno di Filippo IV sfarzi ed eccessi.
Questo perché? La Monarchia di Filippo II era forte di un fondamento cattolico che garantiva
forza ed egemonia - non era necessaria troppa propaganda. Con Filippo IV, invece, notiamo il
dominio degli Spagnoli nel mediterraneo, ma l’Atlantico era dominato invece da potenze
protestanti. La Monarchia aveva bisogno di colmare questo vuoto, questa “caduta”, doveva
fornire un’immagine di sicurezza e di unità in qualche modo, quindi anche tramite la forte
propaganda durante i riti funebri.

L’attributo rey planeta a Filippo IV ridisegna il significato universale della Monarchia spagnola, in
cui la Corte stessa è al centro dell’impero, il cui sole irradia con i propri raggi tutti i propri territori.

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Questo è chiarissimo anche nelle opere d’arte del tempo in cui Filippo IV viene spesso
rappresentato come eroe, salvatore, curatore dei mali dei propri sudditi.
Tutto questo si rispecchia anche nell’arte, come nell’opera di Maino “La recuperación de Bahia
de todos los Santos” in cui al primo piano si vede Filippo IV raffigurato come salvatore, armato
mentre sostiene il bastone del comando e la palma della vittoria dopo avere liberato Bahia dagli
olandesi – probabilmente il pittore prese spunto dall’opera di Vega “El Brasil restituido” che si
concludeva con l’esercito olandese che chiedeva clemenza a Filippo IV. Lo scopo del dipinto di
Maino era quindi quello di un Re che combatte e al contempo si prende cura dei propri
sudditi. Si cercò in ogni modo di fare apparire l'apparato monarchico in continuità con quello dei
predecessori, capace di esprimere ricchezze, creatività e fornire un contributo per la difesa della
dinastia. Anche la relazione tra Re e viceré è un rapporto decisivo per garantire unità ed
equilibrio tra centro e periferia - e quindi anche le esequie reali devono costituire lo specchio
della continuità della dinastia. Questo tuttavia non basterà perché assisteremo dopo la guerra dei
Trent’anni e le paci di metà del Seicento ad un inesorabile declino della potenza spagnola.

LA CORTE

1.Corte del Re, corti dei viceré

Filippo IV era considerato un uomo sensibile e di grande cultura – anche se per alcuni studiosi
dell’epoca, come per Rubens, Filippo IV avrebbe potuto regnare meglio se avesse creduto più in
sé stesso. Infatti, tendeva a delegare il potere a Olivares, uno dei suoi ministri più potenti, le cui
vedute spesso si allontanavano da quelle del sovrano. Solo dopo essere stato allontanato,
Filippo ha iniziato ad acquisire più sicurezza nel proprio potenziale.

Se fino a qualche anno fa per “Corte” si intendeva, spesso in modo impreciso, sia all’apparato
dello Stato che alle cerimonie e ai riti, ora gli storiografi sono abbastanza unanimi nell’affermare
che Corte e Stato sono in relazione reciproca, una il complemento dell’altro.
La Corte è costituita quindi da:
- Casa Reale
- La pompa e il cerimoniale
- Il personale di governo

È un luogo di potere ed espressione della Monarchia e al contempo un insieme di regole formali


che hanno a che fare con la disciplina e la Monarchia il cui centro era Madrid (“Solo Madrid es
corte”), il cui apparato contava nel 1623 oltre ben 2000 persone tra damigelle, funzionari del Re,
addetti alla vestizione, maggiordomi, diplomatici – a questo si aggiungono inoltre le Corti vicereali
nei differenti territori della Monarchia, città-capitali guidate dai reinos in assenza del Re. In questo
contesto si assiste alla nascita del cosiddetto viceré barocco i cui moduli hanno a che fare con in
nesso strettissimo tra carriera e famiglia, raccomandazioni, favori, grazie e sotto cui nacquero le
lobby i cui strumenti furono l’identificazione e la delegittimazione dell’avversario. I viceré
cercarono in qualsiasi modo di accrescere il loro potere, sia regionalmente che
internazionalmente, come per es. il Lemos.
La promozione e la diffusione della cultura costituiscono una novità rilevante all’epoca del Lemos
attraverso la creazione dell’Accademia degli Oziosi, della diffusione della musica profana e sacra,
sia attraverso il controllo dell’educazione.
Attraverso la Corte del viceré, coloro che ne beneficiano solo il suo entourage arrivato a seguito
del viceré stesso così come i criados locali. Le Corti oltre oceano, come per esempio in Messico,

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furono inoltre luoghi di trasmissione delle mode e delle culture delle corti europee, tramite le quali
si diffondeva la cultura barocca.

2. I palazzi

L’ Alcazar era stato l’antico palazzo durante la conquista musulmana e fu rimpiazzato


successivamente dall’attuale Palazzo Reale. Durante il regno di Filippo IV, furono importate nel
palazzo alcune modifiche dall’architetto Juan Gomez de Mora. La sezione centrale includeva la
Corte del Re e della Regina e i loro alloggiamenti e si apriva sui giardini del Manzanare. Dal 1621
al 1643 fu inoltre la sede degli Olivares. Ricco di affreschi del XVI secolo e ritratti dello stesso
secolo, si accedeva alla Torre Dorada in cui il Re aveva il suo studio. A sud-ovest abitava la
Regina mente i figli alloggiavano nella parte orientale e nella torre Bahon; nella Torre Alta si
trovava inoltre la biblioteca di Filippo IV.
Il Palazzo non era solo la sede della Monarchia, ma era anche il centro politico-amministrativo
dell’Impero - un complesso architettonico che trovava la propria sintesi nei Re cattolici ritratti sulle
pareti del palazzo ed esaltati nelle loro glorie militari.

Filippo II invece avviò la realizzazione dell’Escorial a pochi km da Madrid in onore di San Lorenzo
(la battaglia di San Quintino si era infatti svolta nel suo giorno).
Dai cronisti di allora fu definita l’ottava meraviglia del mondo in cui il Re offrì a Dio “un cielo in
terra”. Filippo IV, dopo circa 50 anni, completò l’opera mantenendo i tratti originali di “monastero”,
ma dandogli in aggiunta un’impronta più da “Casa Reale”.
Il palazzo è circondato da laghetti, piccoli viali, eleganti pergole – un luogo selvatico e delizioso
allo stesso tempo. La chiesa al suo interno è provvista di un altare con dei ricami in oro e legni
pregiati mentre la sagrestia è composta da opere di Tiziano tra cui “La Gloria” situata nell'angolo
nordorientale del chiostro e commissionata da Carlo V.
Non è da trascurare la biblioteca, ricca di testi greci e arabi, una bibbia antica, una raccolta di
piante - da cui si prosegue verso la “chiesa vecchia” in cui si trovano ulteriori e numerose opere
di Tiziano.

Segue il Pantheon de los Reyes iniziato nel 1617 e progettato da Gomez de la Mora e portato a
termine sotto Filippo IV nel 1654.

Continuiamo con il Pardo, situato non troppo distante dall’Escorial: anche questo fu fatto
costruire da Carlo V su una fortezza preesistente attorno al 1550 e fatto ristrutturare e abbellire
successivamente da Filippo II e da suo figlio. E’ stato poco sfarzoso, sicuramente in contrasto
con tutte le altre dimore- Il Pardo si raggiunge attraversando un ponte di legno. Troviamo alcuni
quadri di Jeronimus Bosch e altri quadri che rappresentano le imprese fatte in Levante di Carlo V.
La principale funzione del Pardo era la caccia, trovandosi la fortezza infatti nelle vicinanze della
Buitrera collocata a circa un miglio dal palazzo. Filippo IV amava la caccia ed era un abilissimo
tiratore con armi da fuoco.

Alcazar, l’Escorial e il Pardo sono stati lasciati in eredità dai sovrani precedenti a Filippo IV – il
buen ritiro fu invece una creazione di Filippo IV. Esso fu costruito tra il 1633 e il 1648.
Sorgeva su una struttura preesistente con un grande parco – Filippo lo fece ampliare in
occasione del giuramento della nascita del neonato Baltasar Carlos. Si volevano emulare gli
antenati di Filippo IV dando al palazzo una forte impronta reale, dare un alloggio adeguato ad
ospiti illustri e stimolare il Re nei momenti di malinconia dovuti alla morte dell’infante Don Carlos,
fornendogli uno spazio gradito, che rimaneva tuttavia sotto il controllo del valido (N.d.R. il valido
era il conte-duca Olivares).
La supervisione fu affidata all’italiano Gian Battista Crescenzi e il palazzo, per la prima volta,
veniva concepito in maniera italiana, ovvero prevedeva la successione di grandi gallerie con sale

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intercomunicanti. Al piano nobile erano collocate sale di carattere pubblico dei Sovrani, al piano
basso gli alloggi estivi dei Sovrani, dei membri della Corte e del conte-duca. Fu inaugurato nel
dicembre del 1633. Simbolicamente il palazzo era una sorta di residenza polifunzionale che
rispecchiava la complessa situazione psicologica delle vite di parallele di Filippo e di Olivares in
cui si alternavano momenti di equilibrio e squilibrio, euforia, delirio e onnipotenza e allo stesso
tempo devozione al cattolicesimo e l’osservanza dei propri precetti morali.
Il Buen retiro era, tuttavia, soprattutto il regno delle passeggiate, della caccia, dell’equitazione,
delle feste e delle rappresentazioni musicali e teatrali. Vi era anche una ricca galleria d’arte con
diverse opere internazionali, acquisite grazie a Olivares mobilitando i diversi viceré e
ambasciatori.
La forza e la continuità della dinastia erano attraverso il ricordo della mitologia e della storia –
questo si vede soprattutto nel Salon de reinos, il vertice dell’esaltazione dinastica attraverso i
ritratti di re goti, di Navarra e Aragoba, dell'effigie di Carlo V e di scene di battaglie.
Il buen retiro è forse il lascito più importante lasciato dalla Casa d’Austria alla vita di Madrid.
Anche sotto i viceré i palazzi andarono perfezionandosi nel tempo, come per esempio il palazzo
Reale di Napoli (progettato da Domenico Fontana) che nasceva per dare spazi adeguati alla
dignità e magnificenza del viceré. Il Largo di Palazzo, dinanzi all’edificio, era polifunzionale e
serviva come passaggio per i soldati spagnoli, per celebrare le festività napoletane e per esaltare
la Monarchia.

3. Il cerimoniale

Il cerimoniale fu introdotto da Carlo V e aveva lo scopo di perfezionare la condotta e il decoro dei


cortigiani per meglio controllare l’aristocrazia e, facendo ciò, Carlo V voleva in tal modo far
accettare ai sudditi fiamminghi il proprio figlio, Filippo II, come loro principe, esaltare la grandezza
del sovrano e allo stesso tempo limitare o regolare le proprie apparizioni pubbliche.
Filippo IV mantenne a grandi linee lo stesso apparato, ma poiché lui non cambiava spesso
residenza come i suoi predecessori (viveva infatti per 9 mesi l’anno nell’Alcazar), i suoi sudditi
poterono vederlo con più frequenza. Il re si faceva quindi vedere spesso in pubblico ma nella vita
privata era molto restio ad apparire e spesso mangiava da solo e raramente presenziava ai
banchetti assieme alla regina – il cerimoniale quindi era una sorta di protocollo che regolava le
apparizioni del re in pubblico, la “Giunta per l’Etichetta” si era riunita infatti diverse volte durante il
suo regno per riformare o revisionare il cerimoniale. Questo fu anche il motivo per cui, visto il
formalizzarsi sempre più persistente del cerimoniale, si decise di stampare i cerimoniali e
diffonderli.
Nel 1651 venne infatti redatta l’Etiqueta para la entrada con palio de los Señores Reyes después
de su exaltación al trono in cui erano prescritti tutti i passaggi dell’entrata del sovrano nella
capitale con la salida publica il cui il sovrano visitava il santuario della vergine di Atocha; la prima
entrata del Re nella Corte era tesa a dimostrare la dinastia era forte e unita dopo la morte del
predecessore. Successivamente, dopo le esequie, il re si ritirava nell’appartamento reale del
monastero di san Geronimo onorando il defunto. Dopo, si trasferiva nel buen retiro in cui riceveva
i rappresentanti della città vestiti in lutto - l'etichetta prescriveva inoltre l’ordine della sfilata
trionfale che attraversava la città.
Vi era anche un cerimoniale apposito per accogliere gli ambasciatori, in cui il sovrano proferiva
giusto alcune parole di cortesia solo a fine udienza. Un appuntamento con il sovrano poteva
essere concordato solo attraverso il suo valido o i segretari personali.
Il perfezionamento dei cerimoniali avvenne anche nelle corti dei viceré e tra i maestri di
cerimoniali più conosciuti si annovera Miguel Diez Aux, attivo per ben 40 anni presso la corte
napoletana sotto diversi viceré, i quali erano supportati nelle loro attività da diversi segretari (uno
di giustizia, di guerra, di scrittorio e della cifra).
Miguel Diez sottolineava l’importanza del cerimoniale politico nelle nascite e nei funerali, durante
le visite dei diplomatici e nelle inaugurazioni degli edifici religiosi. Soprattutto a Napoli la carica

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del viceré era ben evidenziata anche nei cerimoniali, atta ad evidenziare il potere del viceré come
massimo responsabile del proprio territorio.

4. La sensibilità religiosa cortigiana

Sotto il regno di Filippo IV la Cappella Reale era il luogo privilegiato degli scontri a Corte, la quale
era sede della resistenza di gruppi di persone persino capaci di influenzare le manovre politiche
interne e internazionali della Monarchia ed era inoltre atta a svolgere la funzione ad esprimere gli
interessi nello svolgimento dei compiti relativi alle mansioni religiose.
Le nomine dei predicatori della Cappella Reale erano fortemente influenzate dal conte-duca
(N.d.R. Olivares) ed erano rilevanti per sottolineare l’importanza e l’influenza politica che aveva i
conte-duca e per far accettare il proprio progetto di Union de las Armas e quindi sostenere
l’unione ed interesse comune tra Corona e Olivares stesso.
Si configurò meglio anche il ruolo dei Predicatori Reali, il cui ruolo poteva variare da un regno
all’altro, con alcune differenze sotto i regni dei predecessori di Filippo IV. Non mancarono
sicuramente alcune differenze, come per esempio gli incondizionati appoggi che gli oratori
offrivano a Olivares e al suo governo, convertendosi così in oratori e diffusori di correnti, di
opinioni e tendenze politiche. Il Predicatore era quindi una sorta di uomo privilegiato per la
trasmissione, al sovrano, di interessi determinati, tra cui anche la predicazione del Vangelo,
creando di fatto una élite ecclesiastica. Vi furono predicatori gesuiti come Aguado e de Castro,
Salazar consigliere di Olivares o altri agostiniani come Lainez e Salmeron.
La loro predica serviva inoltre a rafforzare la fede attraverso la diffusione della parola divina,
cercando di creare un modello comune nella Spagna degli Austrias.
La Monarchia ispanica come Monarchia cattolica implicava sia un progetto politico che sociale.
La religione e la politica erano infatti due realtà distinte della stessa realtà, ovvero il potere dei
predicatori ecclesiastici che esercitavano sia sulla religione ma anche sulla vita sociale e
politica, una realtà storica che troviamo appunto nella Spagna Barocca.

5. Il re mecenate

Filippo IV fu considerato uno dei sovrani più colti della sua epoca. Interessato alle arti e al teatro,
come testimoniò anche Calderon. Fu infatti uno dei maggiori collezionisti di pittura del XVII
secolo e alla sua corte giravano più di 200 artisti tra letterati, filosofi e scrittori e, anche grazie a
lui, Madrid divenne capitale della cultura e dell’arte. Tuttavia, un forte contributo alla cultura
venne dato anche dal suo valido, Olivares, uomo colto e appassionato di libri. Era un mecenate
di artisti ed egli stesso introdusse a Corte Francisco del Rioja, grande esperto di letteratura greca
e latina, oppure Juan de Fonseca, appartenente all’Accademia Sivigliana, senza tralasciare
Diego de Velazquez, che sarebbe diventato pittore ufficiale palatino.
Olivares, nella politica culturale, seguì di fatto la stessa linea utilizzata nella creazione del suo
regime: familismo e clientelismo, metodi in stile “clan” che lo stesso Elliot ha definito “mafia
sivigliana”.
Tuttavia, a differenza di Lerma, l’Olivares promuoveva l’arte non tanto per sé, quanto per il suo
Re: Filippo IV doveva essere Grande non solo nelle arti ma anche nella guerra. Il fine era lo
stesso, ovvero perseguire gli interessi della Corona.
Un’altra personalità importante, oltre al re e a Olivares, il terzo mecenate era il conte di Monterey,
già entrato a corte nel 1621. Fu ambasciatore a Roma e poi viceré a Napoli, amico di Velasquez,
ebbe una certa rilevanza nei cicli pittorici del Buen Retiro e contribuì all’interesse spagnolo per
l’arte italiana del Cinquecento e Seicento.
Nel 1635 fu inaugurato il Salon de reinos, adornato con 12 quadri che rappresentavano le 12
imprese belliche di Filippo IV – essi non rappresentavano tuttavia le battaglie ma quanto i
preparativi delle rese come quella di Breda.

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Velasquez era considerato il pittore di Corte, molto vicino al Re e di cui effettuava i ritratti.
Vent’anni dopo l’inaugurazione del Salon de reinos, Velasquez stava ritraendo il re con fare
maestoso - era una sorta di celebrazione dei recenti successi della Monarchia come la fine della
guerra d’Olanda, la pace di Vestfalia e la ripresa di Barcellona.
La promozione culturale avveniva anche tramite i viceré, come il duca di Alcalà, viceré di Napoli,
anche lui mecenate e appassionato di libri; contribuì a far conoscere in Spagna Artemisia
Gentileschi e Caravaggio. Era un collezionista di oggetti antichi e fece fluire in Spagna diverse
raccolte di statue, monete e medaglie. Diversi viceré, pur di compiacere al sovrano, non
esitarono inoltre ad appropriarsi indebitamente da privati ed enti ecclesiastici, di opere da
regalare al sovrano.

6. Il re si diverte

Filippo IV era solito far organizzare feste a corte, spettacoli teatrali, partecipava a numerose
parate e manifestazioni equestri - nonostante fosse un Re cattolicissimo, non disdegnava
comunque gli svaghi terreni.
Vi furono diversi eventi, descritti anche da Olivares, in cui il re partecipò in tutta la sua
magnificenza, come la parata di carnevale del febbraio del 1623.
Era inoltre molto patito di teatro portando infatti una rivoluzione nell’arte scenica a corte la cui
sintesi era una mescolanza di pittura, danza, musica e testo drammatico e tra cui autori si
annoverano de Vega e Mendoza – solo nel 1623 ebbero luogo 3 eventi di questa portata per
inaugurare il palazzo di Aranjuez.
Anche nel palazzo del Buen Retiro l’attività teatrale era continua, attività sostenuta da due
scenografi toscani quali Lotti e del Bianco. Lotti stesso nel 1629 mandò in scena La selva sin
amor, una sorta di dialogo cantato bucolico. Gli allestimenti di questi spettacoli erano tuttavia
molto costosi, in netta contrapposizione con la politica di Olivares che tendeva a promettere
risparmio e austerità.
Non mancarono inoltre le diverse parate equestri come quella del febbraio del 1623, a cui era
presente si il Re che la Regina e per la quale arrivarono i migliori cavalli dall’Andalusia; la
cavalcata terminò davanti al balcone su cui sedeva la regina assieme all’infanta Maria.
Un altro rilevante evento a cui partecipò il re fu un autodafe (n.d.r proclamazione solenne della
sentenza dell'inquisitore spagnolo, cui seguiva la cerimonia pubblica dell'abiura o della condanna
al rogo dell'eretico, eseguita dal braccio secolare) bel 1624. L’evento iniziò alle 7 del mattino, con
il re e la regina che lasciano il palazzo seguiti dall’intera Corte. La processione partì dalla Calle
Mayor e, durante la processione, il re dovette giurare dinanzi al cardinale di proteggere in
qualsiasi modo la religione cattolica e il suo confessore, il Sotomayor, esortò i condannati a
pentirsi dei reati: 7 furono messi al rogo la stessa notte, mentre altri 4 furono incarcerati a vita.
Secondo lo storico Hume, questo fa capire come il re avesse appunto il compito di difendere la
religione ad ogni costo.
Da non dimenticare la Corrida, per la cui preparazione veniva formata addirittura una Giunta
apposita che aveva compito di organizzare l’evento e disporre la Plaza Mayor in modo adeguato
allo svolgimento dello spettacolo. Il re e la famiglia occupavano il primo piano della Casa
Panederia, affacciati alle finestre, tutto intorno vi erano i posti riservati alla Corte e ai
rappresentanti della città.
Tutti questi eventi, dalle rappresentazioni teatrali all’autodafe avevano un unico scopo: fare
spettacolo, erano parte integrante della vita di Corte.
Anche nani e buffoni facevano parte della tradizione asburgica già dai tempi di Filippo II ed erano
compagni di giochi dei figli dei sovrani, come per Baltasar Carlos, figlio di Filippo IV che trascorse
l’infanzia con Francesco Lezcano, detto il Lezcanillo – tuttavia, anche alcuni buffoni fecero parte
della vita adulta di Filippo IV come Calabosillos o Pablo de Valladolid.
I nani e buffoni sono rappresentati ampiamente in diversi quadri del rinomato Velasquez come ne
Las Meninas.

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XI LO STATISTA TRA PUBBLICO E PRIVATO

1.Tradizione storiografica e antispagnolismo

Nell’età di Filippo IV, ci furono diversi critici che criticavano e attaccavano frequentemente la
Monarchia e la casata Asburgica. Si creò una sorta di antispagnolismo che vedeva la Monarchia
come impero del male, oppressiva, corrotta e vedeva in Filippo IV come il sovrano del Male.
Uno storico dell’epoca, Traiano Boccaini, criticò fortemente la Monarchia spagnola tramite le sue
opere quali “Ragguagli e “Pietra”, contrapponendola al rigoroso ed esemplare modello di Venezia
e al proprio governo e riteneva che la Monarchia spagnola, già ai tempi di Filippo III, avesse
avuto una grande ascesa solo per “un colpo di fortuna”. Lui non criticava l’esercito del Re
Cattolico, ma la reputazione stessa della Spagna e i propri metodi e pratiche di gestione del
governo.
A quanto pare, l’ascesa della Monarchia si era fermata perché era diffidente anche verso i
fedelissimi e si concentrava più ad organizzare macchinazioni che ad organizzare il proprio
esercito. Oltre a ciò, secondo Boccaini, l’ascesa della casa asburgica era dovuta anche al fatto
che la politica economica così come lo spreco delle risorse non era tra le priorità della Monarchia
stessa – senza dimenticare il parassitismo di una grande parte del ceto e la lentezza burocratica.

Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, si annoverano altri antispagnolisti come
Tommaso Campanella, leader della rivolta calabrese del 1599. Nelle sue opere, come in
“Monarchia di Spagna” del 1600, critica come Boccaini, il malgoverno, la cattiva amministrazione
della giustizia, parassitismo del ceto, diseguaglianze sociali e avidità sfrenata.
Secondo il filosofo, la monarchia era come un “mostro” composto da paesi disuniti e lontani
minacciati costantemente dalle flotte olandesi e il declino sotto Filippo IV era dovuto da una forte
contrazione demografica, lo spopolamento del Vecchio Continente, dalla crudeltà dei
conquistatori, cattivo utilizzo delle risorse e la fiscalità esagerata.

Anche Alessandro Tassoni, nella sua opera “Filippiche contro gli Spagnoli”, criticò aspramente la
Spagna e le proprie politiche e lodò Carlo Emanuele I di Savoia, un vero modello politico grazie
alla relativa indipendenza dalla Spagna.

Tuttavia, furono gli intellettuali dell’Illuminismo che posero al centro della polemica antispagnola
la figura di Filippo IV e del suo ministro Olivares.
Pietro Giannone e Ludovico Muratori differenziavano tuttavia entrambe le personalità e
specialmente Muratori dava la colpa del declino a Olivares e giustificava Filippo IV attribuendogli
solamente un’eccessiva dipendenza dai suoi ministri e, in merito a Filippo III ne apprezzava la
bontà e la clemenza.
Nell’età dei Lumi, Voltaire fu forse uno dei più critici nei confronti di Filippo IV, ritenendolo
politicamente incapace, despota, militarmente non preparato – giudicò il suo governo oltre la
legge e non con la legge, quest’ultimo un modello assolutistico accettato dagli Illuministi.
Voltaire non concepiva il fatto che Filippo IV volesse continuare in tutti i modi la guerra tra
Spagna e Francia dopo il 1648 – forse per aumentare la propria fama o gloria. Continua
sostenendo che prima di allora nessuno o pochi conoscevano il re di Spagna. Voltaire tendeva a
svalutare eccessivamente il re di Spagna per contrapporlo nettamente alla civiltà aurea di Luigi
XIV o alla regina Cristina di Svezia che, al contrario del “re debole e morente”, godeva di una
forte indipendenza ed era capace di tenere alto il prestigio della Corona.
Anche Montesquieu non era da meno e criticò ferocemente la Spagna (e anche il Portogallo)
ritenendo i due Paesi sotto tutela in Europa ed erano dominati dall’oscurantismo, fanatismo
religioso, crudeltà, arroganza e inerzia.
Tuttavia, circa un secolo dopo, anche la storiografia spagnola non fu troppo gentile nei confronti
di Filippo IV, anche se qua la critica era più generale e si riferiva alla Corte del tempo e quindi

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non solo nella persona del Re – come per esempio lo storiografo Joaquin Sanchez de Toca il
quale affermò che le turpi bassezze e nefandezze sanguinarie della Monarchia, si erano
finalmente dissolte un secolo dopo – di negativa opinione fu anche l’inglese Hume nel 1907 il cui
antispagnolismo dell’autore si concentrava sulla dissolutezza della Corte.
La Francia di Luigi XIV e l’età dei Lumi hanno sicuramente contribuito ad associare la Spagna al
paradigma della decadenza in contrapposizione ai valori dei paesi più sviluppati dell’Occidente –
critica e antispagnolismo si trovano inoltre a fine Ottocento, in cui l’antispagnolismo è
diventato uno dei valori negativi dei Risorgimenti e di tutto ciò contro cui le popolazioni
lottavano per acquistare l’indipendenza.
La generazione del ’98 ha notevolmente contribuito a cambiare i termini del problema Spagna e
della Spagna come problema. Alcuni intellettuali spagnoli, come Pidal, Ortega y Gasset e Castro
analizzarono la Spagna del XIV secolo.
Pidal per esempio ha identificato l’impero spagnolo con la storia universale, ovvero come
un’identità incrinata durante il ripiegamento del secolo successivo (“Spagna vertebrata), mentre
per Ortega y Gasset avrebbe sofferto di una storica “insufficienza costituzionale”.
Per ultimo, Castro ha contestato la Spagna “vertebrata” di Pidal e quella “invertebrata” di Ortega
y Gasset, infatti per Castro la tipicità della Spagna era il fatto di essere dentro e non contro
l’Europa e quest’ultima interpretazione e posizione sembrano essere le più convincenti e
suscettibili di ulteriori approfondimenti.

2. Lo statista

Nella seconda metà del Novecento, troviamo una Spagna pienamente integrata nella compiuta
storia d’Europa.
La storiografia, in questo secolo, è stata più “generosa” nei confronti della storia spagnola. Gli
storiografi hanno infatti fatto una distinzione più netta tra Filippo IV “persona” e Filippo IV
“statista”, in cui Filippo IV viene paragonato a Filippo II ma come più umano, meno fortunato – si
è creato così il giusto equilibrio tra uomo e statista.
Forse non era prettamente un re guerriero, ma era sicuramente ben inserito nel sistema di Corte.
Nonostante fosse “controllato” da Olivares, questo non gli ha impedito di governare in modo più
indipendente possibile e decidere così gli orientamenti della Monarchia. Filippo IV aveva un forte
rispetto per le istituzioni e, a differenza di Luigi XIV innovatore, il sovrano spagnolo tendeva più
per la conservazione politica.
La sua fervenza religiosa, la fede e l’angoscia per il peccato originale non hanno affatto indebolito
il secolo culturale in cui è vissuto, ma anzi hanno influenzato il secolo francese.
Anche quando cadde Olivares, Filippo IV seppe tuttavia governare, nonostante i numerosi
tormenti che lo affliggevano, ovvero le profonde contraddizioni delle sue convinzioni religiose e la
coscienza di essere schiavo dei peccati della carne e dell’ossessione per la morte, soprattutto
dopo la morte dei suoi genitori, di sua moglie e di ben 10 dei suoi figli.
Per Pedro de Ribadeneyra, le sconfitte militari non erano dovute ad una scarsa gestione
dell’esercito e delle risorse, ma erano dovute alla Provvidenza, era Dio che aveva deciso così e
bisognava accettare i fatti così com’erano. Quindi vittorie e sconfitte facevano semplicemente
parte del disegno divino.

3. Il re malinconico

Tra il XVI e il XVII secolo ci fu una larghissima parte della letteratura spagnola dedicata al tema
del sogno, c’era un sottilissimo confine tra quella che era la realtà e immaginario reale o
verosimile. Le percezioni e gli usi narrativi dei sogni venivano spesso politicizzati. Vi era questo
sentimento di “general desconsuelo” connessa alla coscienza del declino della Monarchia di
Filippo IV.

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La sensibilità barocca, “la vita è sogno” raggiunge l’apice durante il regno di Filippo IV e in questa
realtà cresce e si accentua il ruolo della tristezza, tristezza evidente che si nota anche nell’ultimo
ritratto di Filippo.
Egli aveva già avvertito la morte di Baltasar Carlos come una aetas senescens (N.d.R. “età
dell’invecchiamento) - tuttavia, è soprattutto nelle ultime lettere scambiate con la Agreda (N.d.R.
Maria di Gesù di Ágreda, nata María Coronel y Arana ,Ágreda, 2 aprile 1602 – Ágreda, 24
maggio 1665), è stata una religiosa e mistica spagnola, appartenente all'ordine delle monache
Concezioniste francescane con il nome Maria di Gesù di Ágreda.) in cui la fusione tra pubblico e
privato, e quindi tra statista e uomo, si fa sempre più drammatica.
In una delle lettere, Filippo comunica di avere deciso di far trasferire i resti della moglie e di
Baltasar Carlos all’Escorial – questo per sentirsi vicino ai suoi cari ma anche per contemplare
meglio la finitudine della vita – è fortissima la presenza della morte anche in un’altra lettera in cui
commenta la guerra in Portogallo e le difficili congiunture che si trovano in essa.
Nel marzo del 1665 ci fu l’ultima lettera della Agreda in cui si trovano le preghiere incessanti della
monaca affinché il sovrano, ormai morente, possa migliorare le sue condizioni di salute.

EPILOGO

Filippo era così religioso che, nel suo testamento, aveva raccomandato ai posteri di anteporre
sempre la religione dinanzi alla politica.
Egli stesso, tuttavia, non operò esattamente in questo modo quando era ancora in vita: anzi,
spesso privilegiò gli interessi dello Stato alla fede religiosa. Si era persino alleato all’Inghilterra e
alla Francia per avere la meglio sulla guerra in Portogallo e aveva persino firmato degli accordi
con i Mori del Nord Africa.
Sono state analizzate tre fasi della vita di Filippo IV:

1. Formazione: cara@erizzata da traumi infan=li e rigida educazione

2. Scambio ineguale tra il re e Olivares, in cui spesso Olivares è stato dipinto come
una personalità molto forte a cui il re era assogge@ato (ma secondo l’autore del
libro, i contemporanei sbagliavano in questa interpretazione)

3. Allontanamento di Olivares e graduale raggiungimento dell’equilibrio e di una


maggiore sicurezza da parte del Sovrano.

È importante notare che nella 1 e nella 2 fase, hanno inciso sulla vita sia pubblica che privata di
Filippo IV i rapporti con i suoi due ministri, mentre nella 3 fase, quella fase di tristezza e
malinconia fu invece influenzata e alleviata dal suo rapporto con suor Maria de Agreda.

Ciò che forse ha avuto delle influenze negative sulla persona è stato probabilmente il confronto
con suo nonno, Filippo II che fu capace di creare un forte e potente impero capace di creare un
sistema militare e politico per le formazioni imperiali successive.

L’immagine di Filippo IV è stata proiettata in tre specchi:

1. Lo specchio di Filippo II

2. Lo specchio di Olivares

3. Lo specchio di Luigi IV

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Tutti e tre gli specchi sono deformanti, perché:

1) Le personalità di Filippo IV e di suo nonno furono del tu@o differen= e anche il contesto
sociopoli=co fu differente. Durante il regno di Filippo II si ebbero infa] delle congiunture
economiche favorevoli mentre durante il regno di Filippo IV ci fu una dura recessione e
inoltre, durante il regno di Filippo II nella seconda metà del Cinquecento, era l’unica
potenza mondiale mentre gli altri Sta= europei si stavano formando.

2) Il secondo specchio deforma e sminuisce la personalità di Filippo IV assorbendola in quella


del suo conte-duca Olivares

3) Il confronto con Luigi XIV tese ad esaltare il Re Sole; l’Assolu=smo vero e proprio però non
si realizzò mai completamente in nessun paese europeo. La centralizzazione del potere
pubblico fu un proge@o, ma non un sistema né tantomeno un regime.

Secondo Musi, quindi, non dovremmo farci condizionare o sedurre da questi “specchi” per potere
comprendere a pieno la vita di Filippo IV.
Nel corso del libro, l’autore ha cercato di tentare di firmare l’oscillazione tra nobiltà e miseria nella
rappresentazione dell’età filippina. La nobiltà era proiettata da una parte nel siglo de oro mentre
la miseria era rappresentata dal decadimento della dinastia regnante. La malinconia, uno dei
tratti fondamentali della personalità di Filippo, regge questo equilibrio (questo sguardo
malinconico lo vediamo anche nel suo ritratto del 1626 conservato al Prado. Alla National Gallery
è rappresentato invece un Filippo IV degli anni ’30, in piena maturità, con i baffi e abiti splendidi.
Tuttavia, questa malinconia e questo “sprofondamento” di Filippo IV è anche metafora di una
monarchia che stava decadendo e sprofondando sempre più in basso.

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