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LE MACCHINE

ELETTRICHE

Corso di Analisi dei Circuiti


e Macchine Elettriche

Ingegneria Biomedica

Prof. Ottorino Bruno


Ing. Luca Sani
Indice

Capitolo I
Le Macchine Elettriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.1 Le macchine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
1.2 Le macchine elettriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2.3 I trasformatori elettrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.2.1 I generatori elettrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2.2 I motori elettrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.3 Il bilancio energetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.4 Il rendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

Capitolo II
Motore In Corrente Continua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.2 Il collettore commutatore di Pacinotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.3 Gli avvolgimenti di una macchina a collettore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
2.4 L’espressione della forza elettromotrice indotta . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
2.5 I motori in corrente continua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.5.1 Motori con eccitazione indipendente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
2.5.2 Motore in corrente continua con eccitazione in serie . . . . . . 29
2.6 Alimentazione di motori in continua a tensione variabile . . . . . . . . . . . 32
2.6.1 Alimentazione con raddrizzatore (AC-DC) monofase . . . . . . 33
2.6.2 Alimentazione con raddrizzatore (AC-DC) a ponte . . . . . . . 34

Capitolo III
Motore Asincrono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
3.2 Principio di funzionamento di un motore in alternata . . . . . . . . . . . . . 41
3.3 Cenni costruttivi di un motore asincrono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.4 Principio di funzionamento del motore asincrono . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3.5 Le equazioni della macchina asincrona in condizioni di regime . . . . .
45
.
3.6 Il bilancio energetico nella macchina asincrona . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
3.7 I modi di funzionare della macchina asincrona . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
3.8 Determinazione dei parametri della macchina asincrona . . . . . . . . . . .
54
.
3.8.1 Prova a vuoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
3.8.2 Prova in corto circuito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
3.8.3 Misura delle resistenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

1
3.9 La caratteristica meccanica della macchina asincrona . . . . . . . . . . . . . 57
3.9.1 Regolazione di velocità agendo sulla resistenza rotorica . . . . 58
3.9.2 Regolazione di velocità agendo sull’ampiezza della tensione
di alimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
3.9.3 Regolazione di velocità a tensione variabile e a frequenza
variabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
3.10 Generazione dell’alimentazione a tensione e frequenza variabili. . . . .
60
.
3.10.1 Inverter di tensione monofase . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
3.10.2 Inverter di tensione trifase . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62

Capitolo IV
Motore Brushless . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
4.2 Principio di funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63
4.2.1 Vantaggi nell’uso del motore brushless . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
4.2.2 Svantaggi nell’uso del BDCM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

Capitolo V
Motore a Passo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
5.1 Caratteristiche generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
5.2 Motori a passo a riluttanza variabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
5.3 Motori a passo a magnete permanente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

Riferimenti Bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

2
Capitolo I

LE MACCHINE ELETTRICHE

1.1 Le macchine

Nella natura sono insite energie sotto forma potenziale o cinetica, come l'energia che si
sprigiona da un combustibile, quella liberata nelle reazioni nucleari, quella accumulata in un
bacino idroeletirico, o l'energia di un getto d'acqua o di un getto di vapore, che raramente
possono trovare una utilizzazione diretta. Più spesso è necessario trasformare una data specie
di energia in un'altra, allo scopo di renderne possibile, conveniente e razionale l'utilizzazione.
I sistemi fisici in cui avvengono trasformazioni di energia da una specie ad un'altra
prendono il nome di macchine.
Caratteristica particolare delle macchine è la presenza in esse di un ingresso e di una
uscita; l'ingresso è costituito dagli organi attraverso i quali la macchina riceve energia
dall'esterno sotto una data forma; l'uscita è costituita dagli organi attraverso i quali l'energia
viene restituita sotto una forma diversa. L'ingresso e l'uscita dunque consentono alla macchina
di scambiare energia con i sistemi esterni ad essa.
Gli organi di entrata, quelli di uscita e gli organi della macchina in cui avvengono le
trasformazioni assumono caratteristiche diverse a seconda delle forme di energia in gioco e
dei fenomeni fisici che nella macchina debbono aver luogo perchè si realizzino le richieste
trasformazioni.
Si prenda ad esempio una turbina a vapore: essa, come è noto, è una macchina che trasforma
l'energia termica del vapore in energia meccanica di rotazione resa disponibile all'asse. In
questa macchina il distributore è l'organo di entrata e questo, insieme alla girante
costituiscono gli organi in cui l'energia viene trasformata; l'asse di rotazione è l'organo di
uscita. I fenomeni fisici che si verificano in tali organi della turbina sono una espansione del
vapore (che inizia nel distributore e termina nella girante) con trasformazione dell'energia
termica del vapore in energia cinetica e contemporanea trasformazione di questa, nella
girante, in energia meccanica impressa all'asse.
Gli organi attivi di una macchina possono agire da fermi o per mezzo di determinati
movimenti. Le macchine che non hanno organi in movimento sono delle statiche, le altre sono
dette dinamiche e possono essere rotanti o alternative a seconda del tipo di movimento.
In rapporto alle funzioni cui sono destinate, le macchine si possono classificare nel seguente
modo: macchine generatrici (o generatori), macchine motrici (o motori), macchine
trasformatrici o convertitricí (trasformatori e convertitori), macchine utilizzatrici (o
utilizzatori ).
Le prime sono macchine chiamate a generare una data forma di energia (esempio: generatore
elettrico), attraverso una trasformazione di energia di forma diversa. Il nome di generatore è
improprio e va inteso solo nel senso indicato di generatore di una data forma di energia e non
nel senso di generatore di energia, la quale come è noto non può essere generata ma solo
trasformata da una specie ad un'altra.
Le seconde, cioè i motori, sono tutte quelle macchine la cui energia resa è di forma
meccanica (esempio: la citata turbina a vapore).

3
Le macchine trasformatrici adempiono alla funzione di trasformare le caratteristiche di
impiego di una qualunque forma di energia, senza cambiarne la specie: (esempio:
trasformatori elettrici, riduttori e moltiplicatori di velocità o di pressione, convertitori di
coppia ecc.).
Le macchine utilizzatrici infine sono quelle che compiono un determinato lavoro o una
determinata operazione tecnologica (esempio: pompe per il sollevamento dell'acqua,
montacarichi, macchine utensili, macchine da cucire, saldatrìci elettriche, forni elettrici, ecc.).
Le macchine utilizzatrici di carattere dinamico sono sempre accoppiate a motori, dei quali
utilizzano l'energia meccanica erogata all'asse.
In queste quattro distinte funzioni di generatrici, trasformatrici, motrici e utilizzatrici, le
macchine si collocano come altrettanti anelli nella catena di trasformazioni con le quali le
energie della natura gradualmente si tramutano dallo stato originario in lavoro utile.

1.2 Le macchine elettriche

Le macchine elettriche sono quelle in cui una almeno delle forme di energia, ricevuta e
resa, è di natura elettrica
In queste macchine la prima distinzione che bisogna fare riguarda il tipo delle correnti che
attraversano i circuiti che ad esse fanno capo. Secondo questa distinzione si possono avere
macchine a corrente continua e macchine a corrente alternata nella forma monofase o
polifase.
Un'altra importante classificazione delle macchine elettriche può farsi in rapporto alla
circostanza che l'energia elettrica sia presente all'ingresso della macchina oppure all'uscita: le
macchine nelle quali l'energia elettrica è quella resa si chiamano generatori elettrici; le
macchine nelle quali la energia elettrica è quella assorbita, mentre quella resa è meccanica, si
chiamano motori elettrici; le macchine nelle quali sia l'energia ricevuta che quella resa sono di
natura elettrica si chiamano in generale convertitori, e nel caso particolare in cui la corrente è
alternata tanto all'ingresso che all'uscita si chiamano trasformatori.
Un ultimo criterio di distinzione fra le macchine elettriche è quello di raggrupparle in
macchine rotanti e in macchine statiche. Al primo gruppo appartengono principalmente i
generatori ed i motori elettrici, al secondo invece i trasformatori e i convertitori elettrici.
Alcuni tipi di macchine rotanti a corrente alternata, funzionano ad una velocità, detta di
sincronismo, che è rigidamente legata al valore della frequenza di rete: a queste macchine si
dà il nome specifico di macchine sincrone; in altre invece la velocità di rotazione dipende
oltrechè dalla frequenza anche dall'entità del carico nel senso che variando il carico la
velocità si discosta più o meno dal valore di sincronismo: queste macchine vengono perciò
chiamate asincrone.

1.2.1 I trasformatori elettrici

I trasformatori sono macchine statiche a corrente alternata, funzionanti in base al


fenomeno della mutua induzione sono perciò costituiti da due circuiti fra loro
magneticamente accoppiati. L'accoppiamento magnetico tra i due circuiti deve naturalmente
essere il più stretto possibile; per questo motivo i due circuiti vengono avvolti attorno ad uno
stesso nucleo magnetico di piccola riluttanza nel quale si sviluppa un flusso che si concatena
quasi completamente con entrambi. L'avvolgimento che fa capo ai morsetti di ingresso prende
il nome di primario del trasformatore, l'avvolgimento che è collegato ai morsetti di uscita è
chiamato secondario.

4
Il funzionamento è peraltro in ogni caso perfettamente reversibile per cui l'ingresso o l'uscita,
oppure il primario o il secondario, non sono distinti da specifiche particolarità costruttive
bensì dal senso del flusso di energia che si vuol realizzare. Una effettiva distinzione
costruttiva deve essere fatta invece tra avvolgimento di alta tensione e avvolgimento di bassa
tensione, in quanto essi comportano un diverso numero di spire ed un differente grado di
isolamento.
Essendo basato su un fenomeno di mutua induzione il funzionamento del trasformatore può
realizzarsi solo in regime di corrente variabile.
Applicando ad uno dei due avvolgimenti (primario) la tensione alternata che si vuol
trasformare, si crea nel nucleo un flusso pure alternato che induce nelle spire dello stesso
avvolgimento una f.e.m. eguale e contraria (salvò le cadute di tensione) alla tensione
applicata; poichè lo stesso flusso si concatena anche con ciascuna delle spire del secondo
avvolgimento (secondario) in ognuna di queste si induce una f.e.m. analoga: l'effetto risultante
che si manifesta ai morsetti del secondo avvolgimento costituisce la tensione trasformata pari
in valore a quella applicata al primario moltiplicata per il rapporto fra i numeri di spire del
secondo e del primo avvolgimento; perciò semplicemente assegnando il giusto numero di
spire a questi avvolgimenti è possibile raggiungere i valori desiderati della tensione
secondaria.
Un aspetto importante del funzionamento a carico dei trasformatori è il fenomeno della
reazione. In queste macchine esso si manifesta in maniera semplicissima: per ogni valore di
corrente erogata al secondario viene richiamata al primario una corrente di reazione di valore
tale che la forza magnetornotrice complessivamente agente sul circuito magnetico si
mantenga costante, come costante rimane l'ampiezza del flusso, la quale ampiezza è imposta
dalla tensione di alimentazione.
Le tensioni e le correnti vengono così ad assumere, in ogni caso, valori che rispettano il
principio di conservazione dell'energia e cioè si verifica necessariamente l'uguaglianza, salvo
le perdite, fra le potenze all'uscita e all’ingresso.
Da questo fatto deriva che nei trasformatori le tensioni e le correnti non sono indipendenti, ma
vincolate alla condizione che ad un determinato rapporto esistente fra le prime corrisponda un
rapporto inverso fra le seconde.

1.2.2 I generatori elettrici

I generatori industriali di energia elettrica sono basati tutti sul fenomeno della induzione
elettromagnetica che, come è noto, consiste nella generazione di una f.e.m. in un sistema di
conduttori che si muove rispetto ad un campo magnetico in modo tale da tagliarne le linee di
forza, e cioè in modo che il flusso concatenato col sistema di conduttori subisca una
variazione.
A tal fine ogni generatore elettrico si compone di un sistema induttore destinato a creare il
campo magnetico, e di un sistema indotto, nel quale deve generarsi la f.e.m. che si vuole
utilizzare e questi due sistemi debbono potersi muovere l'uno rispetto all'altro.
L'induttore è sempre costituito da un sistema di poli magnetici, talvolta realizzati mediante
magneti permanenti, ma più comunemente eccitati per mezzo di un adeguato avvolgimento di
eccitazione (o induttore o di campo) percorso da una opportuna corrente continua detta
corrente di eccitazione.
Il sistema indotto assume disposizioni diverse a seconda che i generatori sono a corrente
continua o a corrente alternata; in entrambi i casi però trattasi di avvolgimenti distribuiti di
fronte al sistema induttore, opportunamente allogati su un loro supporto di materiale

5
magnetico.
Il moto relativo fra indotto e induttore si attua tenendo fisso uno dei due sistemi e mettendo in
rotazione l'altro: il sistema fisso costituisce lo statore della macchina, il sistema che ruota ne
costituisce il rotore.
Agli effetti del fenomeno di induzione è facile osservare che non è determinante il fatto che i
sistemi induttore e indotto appartengano allo statore o al rotore; nella realizzazione pratica,
alcuni aspetti particolari del funzionamento impongono che i generatori a corrente continua
abbiano il sistema induttore nello statore e quello indotto nel rotore; i generatori a corrente
alternata invece presentano comunemente l'indotto nello statore e l'induttore nel rotore.
Nelle forme costruttive normali, sia nelle macchine a corrente alternata che in quelle a
corrente continua, le f.e.m. che vengono generate nei conduttori attivi del sistema indotto
hanno sempre una forma periodica alternala: negli alternatori queste f.e.m. indotte possono
così venire utilizzate collegando direttamente l'avvolgimento indotto con i morsetti di uscita
della macchina; nelle dinamo, invece, per poter disporre all'uscita di una f.e.m. continua è
necessario interporre fra gli avvolgimenti indotti ed i morsetti della macchina uno speciale
organo raddrizzatore a contatti striscianti denominato collellore, per eseguire appunto il
raddrizzamento rispetto ai morsetti, delle f.e.m. alternate generate nei conduttori dell'indotto.
Per questa ragione le dinamo vengono comunemente costruite a indotto rotante e induttore
fisso, mentre negli alternatori viene preferita la costruzione inversa a indotto fisso e induttore
rotante.
Un fenomeno comune a tutte le macchine elettriche e che si manifesta all'atto in cui passano
dal funzionamento a vuoto al funzionamento sotto carico, cioè all'atto in cui esse cominciano
ad erogare potenza, è quello della reazione. Questo fenomeno è sostanzialmente dovuto al
fatto che quando una macchina eroga una certa potenza deve, per il principio della conser-
vazione dell'energia, necessariamente richiamarne all'ingresso una egual quantità, aumentata
delle perdite che accompagnano la trasformazione. Nei generatori elettrici la reazione a carico
si manifesta come una coppia resistente che si oppone alla rotazione: è contro questa coppia
che il motore primo è chiamato a spendere quella potenza meccanica che si ritroverà ai
morsetti di uscita della macchina, sotto forma elettrica.

1.2.3 I motori elettrici

I motori elettrici sono macchine rotanti che trasformano energia elettrica in energia
meccanica. Quindi le grandezze di ingresso sono la tensione e la corrente e quelle di uscita la
velocità angolare dell’albero motore e la coppia elettromagnetica sviluppata (Fig. 1.1).

Energia elettrica Energia meccanica


(V,I) (C em, ω m)

MOTORE
ELETTRICO

Fig. 1.1. Motore elettrico.

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Hanno dunque una funzione opposta a quella dei generatori, e da questi possono essere fatti
derivare semplicemente invertendo il flusso delle energie; generatori e motori elettrici sono
cioè macchine perfettamente reversibili e in linea teorica possono funzionare
indifferentemente in un senso o nell'altro.
Come nel caso dei generatori, un motore elettrico è costituito da una parte fissa, detta statore,
e da una mobile, il rotore, il quale può ruotare attorno ad un asse. Su entrambe le componenti
sono alloggiati dei dispositivi (avvolgimenti o magneti permanenti) atti a generare dei flussi
magnetici.
Poichè trasformano energia elettrica in energia meccanica, le grandezze di ingresso sono la
tensione e la corrente (V,I) e quelle di uscita la velocità angolare dell’albero motore (rotore)
e la coppia elettromagnetica sviluppata (ωm, Cem).

L’equazione che governa il moto del rotore è la seconda legge della dinamica applicata al
caso del moto rotatorio:

d ωm
Cm − Cr = J (1.1)
dt

Dove:

ωm = velocità angolare di un corpo rigido;


J = momento di inerzia;
Cm = coppia motrice, ossia la coppia elettromagnetica sviluppata dal motore
(Cem);
Cr = coppia resistente esercitata dal carico applicato all’albero motore.

Come nel caso dei generatori, esistono motori a corrente continua e motori a corrente
alternata monofasi e polifasi. I motori a corrente alternata possono essere del tipo sincrono o
asincrono e, a differenza dei generatori, sono i tipi asincroni quelli maggiormente impiegati
negli azionamenti industriali.
In qualunque tipo di motore elettrico, la coppia elettromagnetica nasce sempre
dall’interazione tra un flusso magnetico prodotto negli avvolgimenti di statore (Φs) e quello
originato negli avvolgimenti di rotore (Φr). Si considera la situazione riportata nella in Fig.
1.2, dove sono evidenziate le linee del campo magnetico di statore (tratto continuo) e quelle
del campo magnetico del rotore (tratto discontinuo).

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ΦR θ

Φs
ωm
S
N

S
N

Fig. 1.2. Posizione relativa dei campi magnetici di statore e di rotore. Con tratto
continuo sono indicate le linee di flusso del campo magnetico di statore. Con tratto
spezzato sono indicate le linee di flusso del campo magnetico di rotore.

Si possono individuare i poli magnetici statorici e rotorici (il nord è la regione da cui escono
le linee di flusso, il sud dove entrano). Tra poli magnetici di segno opposto si sviluppano delle
forze che danno origine alla coppia elettromagnetica. In generale vale la relazione:

Cem = k Φ s Φ r sin θ (1.2)

dove θ è l’angolo tra la direzione di Φs e quella di Φr.


La condizione fondamentale per avere una coppia con valor medio non nullo è che i due flussi
(Φs e Φr) devono ruotare in modo sincrono (ossia avere la stessa velocità angolare) rispetto ad
un sistema di riferimento comune.
I vari tipi di motori elencati precedentemente si distinguono per il diverso modo con cui sono
generati Φs e Φr e la velocità angolare con la quale entrambi ruotano.

Di ogni classe di motore occorre determinare:

a) il circuito elettrico equivalente;


b) la caratteristica meccanica, ossia l’andamento della coppia elettromagnetica in
funzione della velocità di rotazione dell’albero motore.
c)
Del carico applicato all’albero motore occorre conoscere l’andamento della coppia resistente
al variare della velocità angolare. Questa curva dipende dal tipo di carico, come si può vedere
in Fig. 1.3.

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Attrito Coulombiano Coppia gravitazionale

Dipende dalla ruvidità dei corpi a contatto. Coppia Non dipende dal senso di rotazione.E’ attiva in
tipica di macchine utensili (es: laminatoi). discesa. Tipica di macchine da sollevamento.

Attrito Viscoso

Tipica di cuscinetti meccanici (a bassa velocità si Coppie proporzionali alla velocità di


ritorna alla caratteristica dell’attrito coulombiano) rotazione.Tipica di macchine mescolatrici.

Attrito Ventilante

α
Cr ∝ n , α ≥ 2

Tipica di ventilatori e pompe. Tipica di avvolgitori.

Fig.1.3. Caratteristiche tipiche di coppia resistente

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1.3 Il bilancio energetico

Le trasformazioni di energia che avvengono nelle macchine sono sempre accompagnate


da fenomeni dissipativi che determinano la sottrazione di una parte dell'energia
trasformandola in calore che riscalda la macchina. I fenomeni che nelle macchine elettrìche
determinano dissipazione di potenza sono molti e a volte complessi. Fra i principali di essi
figurano per primi gli attriti e le resistenze meccaniche cui sono sottoposti gli organì in
movimento delle macchine rotanti, i quali danno luogo alle perdite meccaniche.
Altre cause di perdita sono i fenomeni di isteresi magnetica e la nascita di correnti parassite,
che si verificano entro i nuclei magneticí attraversati da flussi variabili; le dissipazioni
derivanti da questi fenomeni, data la loro origine, prendono il nome di perdite nel ferro. A
queste si aggiungono le perdite nel rame dovute all'effetto Joule negli avvolgimenti indotti.
Per le macchìne dotate dì uno specifico circuito di eccitazione, bisogna inoltre citare le
corrispondenti perdite per eccitazione, costituite appunto dalla potenza dissipata in tale
circuito.
Tutte queste perdite naturalmente non sono le stesse ai vari regimi di funzionamento cui
possono essere sottoposte le macchine. Esse sono suscettibili di variazioni: le perdite
meccaniche sono infatti legate alle velocità di rotazione, le perdite nel ferro sono legate sia
alle velocità che ai flussi e quindi alle tensioni, le perdite nel rame degli avvolgimentí indotto
e induttore sono notoriamente proporzionali al quadrato delle correnti che li percorrono.
Normalmente le macchine funzionano a valori prestabiliti di velocità e di tensione, per cui le
perdite meccaniche e quelle nel ferro e per eccitazione si possono ritenere pressochè costanti
al variare della potenza resa. Ciò non avviene invece per le perdite nel rame di indotto le quali
aumentano con il quadrato delle correnti di carico.
In ogni caso gli effetti delle dissipazioni interne di energia risultano sempre doppiamente
negatìvi. In primo luogo essi si risolvono in un impoverimento del flusso di energia, essendo
irrecuperabìle la parte trasformata in calore. Secondariamente, e questo però è il danno
maggiore, il riscaldamento che ne consegue pone un limite alla potenza della macchina in
rapporto alle sue caratteristiche costruttive e dimensionali, non dovendosi mai raggiungere
temperature dannose per le parti isolanti.
Per questa ragione il calore che si produce per i fenomeni dissipativi deve essere contenuto
entro valori che possano essere smaltiti con un accettabile sovrariscaldamento della macchina
rispetto all'ambiente. Ma il calore di dissipazione è proporzionale alla potenza perduta, e
questa cresce rapidamente al crescere della potenza erogata; perciò solo con una limitazione
di quest'ultima si può ottenere una limitazione del riscaldamento.
A questo riguardo ciascuna macchina viene caratterizzata precisandone la sua potenza
nominale, la quale rappresenta la potenza massima che la macchina può erogare in servizio
continuativo, senza superare in alcun suo punto i limiti di temperatura ammessi dalle Norme
CEI (Comítato Elettrotecníco Italiano); se una macchina viene utilizzata per una potenza più
elevata si dice che essa funziona in sovraccarico e il surriscaldamento che ne consegue ha
sicuramente, in tempo più o meno lungo, un effetto distruttivo degli isolamenti.
Per aumentare a parità di peso la potenza. nominale delle macchine si mettono in atto
efficienti sistemi di raffreddamento capaci di aumentare grandemente la possibilità della
macchina di smaltire il proprio calore di dissipazione entro i dovuti limiti di
sovrariscaldamento; d'altro lato si cerca di ridurre al minimo le cause stesse del riscaldamento
con accorgimenti costruttivi di vario genere e con l'impiego dei materiali più adatti.
Ciò nondimeno le cause di perdita non possono essere mai eliminate, e perciò insieme alle
due potenze, assorbita e resa, bisogna prendere in particolare considerazione per ciascuna

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macchina anche la potenza perduta.
Questa potenza è evidentemente data dalla somma di tutte le perdite presenti nella. macchima
ed è chiaro che nel corso della trasformazione che in questa avviene essa si sottrae alla
potenza assorbita, per modo che alla uscita si. dispone di una, potenza minore.

1.4 Il rendimento

Per giudicare della efficienza di una macchina, un elemento indicativo può essere costituito
dall'entità delle perdite; più significativo però a questo riguardo è il rapporto fra la potenza
resa (P) e quella assorbita (Pa), cioè il rendimento:

P P
η= = (1.3)
Pa P + Pp

dove Pp rappresenta la potenza dissipata in perdite.


La (1.3) può essere espressa anche nella seguente forma:

P Pa − Pp P
η= = = 1− p = 1− p (1.4)
Pa Pa Pa

Pp
dove p =
Pa

Il rendimento, che è sempre minore dell'unità, esprime la misura relativa della potenza resa
dalla macchina rispetto alla potenza assorbita. Nella pratica tecnica il rendimento delle
macchine viene comunemente espresso in forma percentuale ponendo:

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Capitolo II

MOTORE IN CORRENTE CONTINUA

2.1 Introduzione

Le macchine elettriche rotanti a collettore costituiscono la più vasta categoria di


apparati elettromeccanici di conversione dell’energia. Parecchi dei dispositivi
elettromeccanici a collettore sono ormai obsoleti e non vengono più utilizzati nelle moderne
applicazioni industriali, sostituiti da dispositivi statici e diodi controllati, che offrono il
vantaggio di un minore costo.
Tuttavia alcune macchine a collettore sono ancora largamente usate, e se pur esistono in
teoria, dispositivi elettromeccanici alternativi che potrebbero essere usati con successo,
mantengono ancora una loro validità di impiego, dovuta soprattutto all’affidabilità del
funzionamento ed alla facilità di regolazione intrinseca per alcune di esse.

2.2 Il collettore commutatore di Pacinotti


G
Si consideri (Fig. 2.1) una spira immerso in un campo magnetico costante B che ruoti
con velocità angolare uniforme " ω" .

ω
B

θ = ωt
N

B
A

Fig. 2.1. Spira rotante immersa in un campo di induzione B.

Il flusso concatenato con la spira varia con legge circolare:

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ϕ = B ⋅ S cos ωt. (2.1)

La tensione indotta VAB(t) vale:


VAB (t ) = − (2.2)
dt

e quindi (Fig. 2.2):

V AB (t ) = ωBS ⋅ senωt (2.3)

VAB

Fig. 2.2. Tensione indotta ai capi della spira.

La tensione indotta nella spira rotante è quindi una tensione alternativa a valor medio nullo.
Si supponga ora di modificare la costruzione meccanica degli anelli cui fanno capo i terminali
delle spire, e di collegare questi a due semianelli A’, B’ isolati tra loro; si appoggino quindi
due spazzole A, B sui due semianelli in maniera tale che ciascuna spazzola venga a contatto
alternativamente con il semianello A’ e quindi con B’ (Fig. 2.3). La tensione indotta tra i
semianelli ovviamente è sempre:

VA ' B ' = ω BSsenωt (2.4)

ed è una tensione alternativa; la tensione che si raccoglie alle spazzole vale invece (Fig. 2.4):

⎧VA ' B ' = ω BSsenωt per 0 < ωt < π


VAB = ⎨ (2.5)
⎩−VA ' B ' = −ω BSsenωt per π < ωt < 2π

13
ω
B

θ = ωt
N
B’ A’
B

B A

θ = ωt
ω

N A’

B A
B’

semianelli
spira
Fig. 2.3. Schema di principio di una macchina a collettore.

14
VAB

VAB

t
VA’ B’

Fig. 2.4. Tensione generata prelevata alle spazzole.

Si ottiene in tal modo una tensione raddrizzata a valore medio non nullo, a partire da
una tensione indotta di tipo alternativo. Il dispositivo meccanico che consente il
raddrizzamento della tensione, viene chiamato “collettore commutatore”.
Si può sintetizzare quanto detto nelle seguenti conclusioni.

1) la tensione indotta negli avvolgimenti delle macchine a collettore è di tipo alternativo


a valor medio nullo, la sua frequenza dipende dalla velocità di rotazione del rotore
rispetto al flusso di eccitazione esterno, l’ampiezza è anch’essa funzione lineare di
tale velocità;
2) il “collettore commutatore” permette di ottenere alle spazzole una tensione a valore
medio non nullo.

2.3 Gli avvolgimenti di una macchina a collettore

Fino ad ora si è esaminato il comportamento di una spira immensa in un campo


magnetico costante i cui estremi fanno capo ad un colettore commutatore costituito da due
semianelli; in questo paragrafo si vuole descrivere la costituzione reale degli avvolgimenti di
una macchina a collettore e valutare la forza elettromotrice che si induce in essi. Tutto ciò
senza avere la pretesa di esaurire l’argomento relativo agli avvolgimenti di una macchina in
corrente continua, ma soltanto per dare l’idea di come sono costituite le macchine a collettore.
Si prende quindi in esame il circuito di Fig. 2.5. Tra due espansioni polari (costituite o da
magnete ‘permanente’ o da un avvolgimento di eccitazione indipendente percorso da corrente
continua) è sistemato un toro su cui stanno avvolte alcune spire (otto nel caso in esame) che
costituiscono un avvolgimento chiuso in corto circuito. Ciascuna spira è collegato
elettricamente mediante un conduttore di rame detto “collegamento a bandiera” con un settore
del collettore commutatore. Quest’ultimo è costituito da tanti settori (detti “lamelle”) quante
sono le spire (otto nel caso in esame). Sul collettore sono disposte due spazzole.

15
Avvolgimento

A
ω Toro
e1
1
e2 2 8
Espansione Polare

N
3
e3 7 S
4 6

5
Collegamento a Collettore Commutatore
bandiera B

spazzole

Fig. 2.5 Macchina a collettore.

Se il rotore ruota con velocità angolare ω, le tensioni indotte nelle spire sono di tipo
alternativo e la loro forma dipende della legge con cui varia l’induzione lungo il traferro.
Ammesso per ipotesi che tale legge sia sinusoidale sono sinusoidali anche le tensioni indotte
con pulsazioni pari alla velocità angolare ω; è immediato osservare che la fase delle tensioni
indotte dipende dalla posizione angolare degli assi magnetici delle spire:

⎧e1 (t ) = EM sen ωt

⎪e" (t ) = EM sen(ωt − 2π )
⎪ 8
⎪#

⎨ 2(n − 1)π (2.6)
⎪en (t ) = EM sen(ωt − 8
)

⎪#
⎪ M
⎪e8 (t ) = EM sen(ωt − 2π )
⎪⎩ 8

In un piano di Gauss si possono riportare i vettori rappresentativi delle tensioni sopraddette


(Fig. 2.6); in tale figura è anche riportato la poligonale somma delle predette tensioni.

16
j

E6
VAB
E7
E4 E8
E6
E7

E1 r

E5
E3

E2
E8
E4
E3 ω
E2
E1
Fig. 2.6. Distribuzione delle tensioni indotte nell’avvolgimento di indotto.

Una prima considerazione immediata è che la somma delle forze elettromotrici indotte è nulla
e quindi nel circuito chiuso costituito dalle 8 spire non circola corrente. La tensione che si
raccoglie alle spazzole A e B può essere valutata scegliendo un qualunque percorso che
unisce le due spazzole e calcolando lungo tale percorso la somma delle forze elettromotrici
indotte lungo le varie spire.
Si supponga ora di avere un indotto con un numero estremamente grande di spire avvolto
(idealmente infinite) ed un collettore commutatore quindi con un numero estremamente
grande di lamelle ciascuna delle quali occupi un arco di periferia del collettore assimilabile
ad un segmento.
La poligonale, nel piano di Gauss, della forze elettromotrici indotte nelle varie spire, si può
assimilare ad un cerchio in questo caso e quindi si raccoglie alle spazzole una tensione
costante pari al modulo del settore VAB . Si è quindi ottenuto un dispositivo elettromeccanico
che, mediante l’adozione di un collettore commutatore, trasforma delle tensioni indotte di tipo
alternativo in una tensione continua.

17
2.4 L’espressione della forza elettromotrice indotta

Si prenda in esame una macchina ad un paio di poli con le spazzole disposte a contatto
con le spire che giacciono sul piano neutro di macchina (o, il che è lo stesso, di inversione
delle f.e.m.) (Fig. 2.7).

B r
π

N dθ S
θ

Fig. 2.7. Macchina in continua unipolare.

Come già visto la tensione che si raccoglie alle spazzole A, B è data dalla somma delle forze
elettromotrici indotte in metà delle spire dell’avvolgimento, o, il che è la stesso, in metà dei
lati attivi disposti lungo la periferia compresa in una delle due semicirconferenze tra le due
spazzole. Si effettua quindi il calcolo della somma delle tensioni indotte nei lati attivi disposti
sotto il polo Nord. Si supponga che i lati attivi siano Na, e che quindi le spire siano NS = Na/2.
Ogni conduttore (lato attivo della spira) si muove con velocità v , immerso in un campo di
induzione B . Lungo il traferro si ammette che l’induzione B sia ortogonale alla superficie di
separazione aria-ferro (in base alla legge della rifrazione delle linee di forza) e quindi anche
ortogonale alla velocità con cui il conduttore si muove. Quindi in questo ultimo si genera una
f.e.m. che in modulo vale:

el = B ⋅ A ⋅ v (2.7)

dove con " A" si intende la lunghezza assiale di macchina


Poiché:

v = ωm r , (2.8)

si ottiene (Fig. 2.7)

el = BAωm r (2.9)
.

18
Il numero di lati attivi compresi in un angolo elementare " dθ" è dato da:

Na
dN = ⋅ dθ (2.10)

e quindi il contributo alla forza elettromotrice di tali conduttori è:

Na
de = eA ⋅ dN = BAr ω m dθ (2.11)

è sufficiente quindi integrare la (2.11) nel dominio composto di tutti i conduttori che
contribuiscono alla generazione della f.e.m.; ossia nell’angolo (0, π); si ottiene:

π Na
E=∫ BA r ω m dθ . (2.12)
0 2π

Si osservi ora che il flusso elementare che investe l’area elementare di periferia del traferro
compreso nell’angolo dθ, è dato da:

dφ = BArdθ , (2.13)

e quindi con un cambiamento di variabili la (2.12) diventa:

Na
E= ⋅ ωm ⋅ ∫ d φ (2.14)
2π S

ove la superficie S è una qualunque superficie che si appoggia sulle generatrici del cilindro
rotorico corrispondenti alle spazzole (in particolare la superficie S può coincidere con la
semiperiferia del cilindro). L’integrale che compare nella (2.14) altro non è che il flusso
concatenato con detta superficie S e nel caso in esame, quando cioè le spazzole sono situate
sul piano neutro, coincide col flusso polare φp. La (2.14) assume quindi la forma:

Na
E= ωm ⋅ φ p . (2.15)

Nella (2.15) la velocità angolare meccanica è espressa in radianti al secondo; se si indica con
n la velocità in giri al minuto si ottiene:

2 πn
ωm = (2.16)
60

e quindi la (2.15) assume la forma:

Na n
E= ⋅φ p (2.17)
60
.

19
La (2.17) è la classica espressione della forza elettromotrice indotta per una macchina a un
paio di poli.
Se ora consideriamo una macchina con “p” paia di poli, lungo la semiperiferia vi è “p” volte il
flusso φp (flusso uscente da un polo) e quindi la f.e.m. che si genera nella semiperiferia è dato
da:

Nan
E = p⋅ φp (2.18)
60

Inoltre, sempre se la macchina è a più paia di poli, bisogna tener conto delle coppie di vie
interne che collegano i morsetti esterni a cui si raccoglie la tensione. Se vi è più di una coppia
N N
di via interna, i lati attivi che contribuiscono alla f.e.m. non sono a , bensì a ove con “a”
2 2a
si intende le coppie di vie interne. In definitiva l’espressione generale della f.e.m. indotta è
data da:

P Na n
E= ⋅ φp (2.19)
a 60

Nella espressione (2.19) il flusso φp, come già detto è il flusso polare che dipende della
corrente di eccitazione della macchina che scorre negli avvolgimenti statorici. La relazione
che lega φp a tale corrente è data dalla legge di Hopkinson:

N ecc iecc
φp = (2.20)

ove Necc è il numero delle spire dell’avvolgimento di accitazione, iecc è la corrente di


eccitazione, ℜ la riluttanza del circuito magnetico visto dalle amperspire di eccitazione.
Sostituendo la (2.20) nella (2.17) e definendo:

p N a N ecc
M sr = (2.21)
a 2πℜ

si ottiene un’altra espressione della f.e.m. indotta che verrà molto usata in seguito:

E = ωm M sr iecc . (2.22)

20
2.5 I motori in corrente continua

I motori in corrente continua costituiscono attualmente, senza alcun dubbio, la categoria


più importante delle macchine elettriche rotanti a collettore. La loro funzione, negli
azionamenti elettrici industriali non è ancora stata sostituita da altri dispositivi, anche se in
tempi recenti sono state avanzate promettenti proposte relative all’uso di macchine in corrente
alternata (sincrone e asincrone) in grado di sostituire i motori in corrente continua a collettore.
Come si vedrà il maggior pregio di tali motori è la loro flessibilità e la facilità con cui
possono essere controllati in velocità e coppia. Il loro uso è tutt’oggi generalizzato soprattutto
in quei casi in cui è necessario un funzionamento con grandi escursioni di velocità ed in cui
sia richiesta una facile regolazione del funzionamento della macchina.
Si prenderanno in esame i motori in corrente continua con eccitazione indipendente o in
derivazione e con eccitazione in serie.
Da un punto di vista costruttivo non vi è alcuna differenza tra un generatore in corrente
continua (Fig. 2.8) ed un motore (Fig. 2.9); la stessa macchina può essere usata in entrambi i
modi, non si ritornerà quindi sui caratteri costruttivi e sulle equazioni di funzionamento della
macchina; si vuole soltanto puntualizzare che mentre nel funzionamento da generatore la
macchina si considerava chiusa su un carico puramente passivo (resistenza di carico “rc”), nel
funzionamento come motore la macchina deve essere chiusa su un bipolo attivo in grado di
fornire potenza elettrica che si potrà in generale schematizzare con un generatore di tensione
ideale ed una resistenza interna. Si supporrà che i motori vengono alimentati da un generatore
ideale di tensione di valore “V”. (Fig. 2.9).

V
rc
Cem
iecc
recc
ωm
vecc -

Fig. 2.8. Generatore in corrente continua ad eccitazione indipendente.

21
ia +

ri
VAB
Cem
iecc
recc
ωm
vecc -

Fig. 2.9. Motore in corrente continua ad eccitazione indipendente.

Prima di iniziare lo studio dei vari tipi di motori è utile calcolare in generale l’espressione
della coppia elettromagnetica sviluppata da una macchina in corrente continua. Ciò può essere
fatto mediante semplici considerazioni energetiche; detto infatti “Cem” la coppia
elettromagnetica sviluppata dalla macchina, considerata positiva nel verso di rotazione del
rotore, il bilancio energetico della macchina è descritto in Fig. 2.10.

Pec = vecciecc+ v ia

Fig. 2.10. Flusso di potenza in un motore in continua.

L’equilibrio descritto in Fig. 2.10, vale in modulo a segno e può essere espresso nella forma:

Pel = Pperdite + Pem + Pmecc (2.23)

ove con “Pec” si intende la potenza elettrica entrante nella macchina data da:

Pel = vecciecc + v ⋅ ia , (2.24)

con le converzioni per le tensioni e correnti date in Fig. 2.9; le perdite, nel modello di
macchina usato sono costituite dalle perdite nel ramo:

22
Pperdite = recc iecc
2
+ ra ia2 , (2.25)

la “potenza elettromagnetica” altro non è che la potenza necessaria a variare l’energia


immagazzinata nel campo magnetico:

dwem d 1
Pem = = ∑ Lhk ihik , (2.26)
dt dt h,k 2

ove Lhk sono i coefficienti di auto e mutua induzione dei circuiti di macchina; la potenza
meccanica “Pmecc” è, col suo segno la potenza all’asse data da:

Pmecc = cem ⋅ ωm (2.27)

avendo, come si è già detto considerato il senso positivo della coppia elettromagnetica,
concorde col verso di rotazione della macchina.

Si prendono ora in esame le equazioni che descrivono l’equilibrio elettrico della macchina:

⎧ d
⎪⎪vecc = (recc + dt Lecc )iecc
⎨ (2.28)
⎪v = ω M i + (r + d L )i
⎪⎩ m sr ecc a
dt
a a

Si moltiplichi la prima equazione per " i ecc " e la seconda per " ia " e si sommino quindi le
espressioni ottenute.

⎡ d d
iecc vecc + ia v = ⎡⎣ recciecc
2
+ ra ia2 ⎤⎦ + ⎢iecc Lecc iecc + ia La ia ] + [ωm M sr iecc ia ] (2.29)
⎣ dt dt

Si osservi la relazione (2.29): il termine a sinistra rappresenta ovviamente la potenza elettrica


fornita alla macchina sia dall’alimentazione sull’armatura, sia dall’alimentazione
sull’eccitazione; il primo termine entro parentesi quadra a destra del segno di uguaglianza
rappresenta le perdite nel rame della macchina; il secondo termine rappresenta la potenza
elettromagnetica che finisce in variazione dell’energia magnetica immagazzinando: infatti
l’energia magnetica può essere messa nella forma:

1 1
Wm = 2
Lecc iecc + La ia2 (2.30)
2 2

la potenza elettromagnetica è quindi data da:

d d d
Pelm = Wm = iecc Lecc iecc + ia La ia (2.31)
dt dt dt

espressione che coincide con secondo termine entro parentesi quadra alla destra

23
dell’uguaglianza della (2.29).
Ciò detto, il confronto tra la (2.29) e l’equilibrio delle potenze in gioco espresso dalla (2.23)
porta a concludere che la potenza meccanica è rappresentata dall’ultimo termine entro
parentesi quadra della (2.29), per cui vale:

Pmecc = ωm M sr iecc ia , (2.32)

e quindi

Cem = M sr ieccia (2.33)

2.5.1 Motori con eccitazione indipendente

Lo schema elettrica di tali motori è descritto in figura 2.11.

Vecc V
- + - +

ia
recc iecc

Cem r’

ωm

Fig. 2.11. Motore con eccitazione indipendente.

Nell’ipotesi che i parametri di macchina rimangono costanti al variare delle correnti in gioco,
le equazioni dell’equilibrio elettrico, in condizioni di regime sono date da:

⎧Vecc = recc iecc


⎨ (2.34)
⎩V = ωm M sr iecc + ra ia

ossia:

24
⎧ Vecc
⎪iecc = r
⎪⎪ ecc

⎨ V (2.35)
⎪ V − ωm M sr ⋅ ecc
recc
⎪ia =
⎪⎩ ra

La coppia sviluppata, ricordando la (2.33), è data da:

Vecc ⎡ V ⎤
Cem = M sr ia iecc = M sr ⋅ ⋅ ⎢V − ωm M sr ecc ⎥ (2.36)
recc ra ⎣ recc ⎦

La (2.36) rappresenta l’equazione dalla caratteristica meccanica del motore, ossia della legge
che lega la coppia sviluppata alla velocità angolare. Tale caratteristica teorica è data da una
retta (Fig. 2.12).

Cem
MsrVeccV
recc ra

ωm
V recc
VeccMsr
Fig. 2.12. Caratteristica meccanica di un motore ad eccitazione indipendente.

Di tali caratteristiche teoriche ovviamente ne esistono infinite, al variare del parametro “recc”,
oppure della tensione di armatura V. In Fig. 2.13 è tracciato l’andamento qualitativo di varie
caratteristiche meccaniche al variare di “recc” (a) e della V (b).

25
C em C em
(A)

R ecc (B)
V

ωm ωm

Fig. 2.13. Caratteristica meccanica al variare della resistenza di eccitazione (A) e


della tensione di armatura (B).

Le rette rappresentanti le caratteristiche meccaniche teoriche sono tracciate non solo nel
primo quadrante, ma possono essere prolungate nel secondo e quarto quadrante.
Vediamo ora il significato di questi prolungamenti: il tratto di caratteristica nel secondo
quadrante si ha per " ω m < 0" ; l’equilibrio delle potenze ricavate dalla seconda equazione
dalle (2.34) può essere così espresso:

Via = ωm M sr iecc ia + ra ia2 (2.37)

La corrente “ia” non cambia segno se ωm<0 come si può notare dalla seconda delle 2.35, anzi
aumenta in valore assoluto, il che significa che la potenza elettrica “via” è sempre positiva e
quindi assorbita dalla rete.
Il termine ω m M sr i ecc i a che rappresenta la potenza meccanica, si inverte di segno e quindi la
potenza meccanica non è più erogata all’asse, ma viene assorbita dalla macchina. In questa
situazione quindi la macchina assorbe una potenza elettrica dalla rete, assorbe una potenza
meccanica dall’asse e dissipa il tutto per effetto Joule sulla propria resistenza; la macchina
funziona da freno.
Per il tratto di caratteristica meccanica compreso nel quarto quadrante si ha che la velocità
angolare meccanica supera il valore recc/Msr:

recc
ωm > (2.38)
M sr

ciò significa che si inverte la corrente “ia” (basta osservare la seconda equazione delle (2.35))
e quindi si inverte la coppia elettromagnetica , come si può osservare dalla Fig. 2.11. Ciò
significa che diventano negative sia la potenza elettrica “Via” sia la potenza meccanica
" ω m M sr i ecc i a " ; la macchina quindi assorbe potenza meccanica dall’asse ed eroga potenza
elettiva alla rete in corrente continua; il funzionamento è da generatore.
L’esame di tutta la caratteristica meccanica teorica di questo motore è stato condotto più per
completezza di indagine che per effettivo interesse pratico della caratteristica in ogni sua
parte: infatti la macchina non verrà mai usata nel tratto di caratteristica corrispondente al
funzionamento da freno e neppure nel tratto di funzionamento come motore nell’intorno della
velocità nulla. La corrente infatti in tale modo di funzionare raggiunge valori proibitivi per
l’integrità della macchina; basti pensare che allo spunto la corrente assorbita è data

26
dall’espressione:

V
ia = (2.39)
ra

che è un valore molto grande, considerato che la resistenza di armatura è molto piccola; nel
funzionamento da freno poi il valore teorico della corrente è ancora maggiore.
Sorge a questo punto il problema di avviare il motore evitando che la corrente raggiunga
valori tali da danneggiare la macchina. A tal fine (Fig. 2.14) si inserisce una resistenza
addizionale " r ' " , in serie all’armatura della macchina che limiti allo spunto il valore della
corrente:

V
ia = (2.40)
ra + r '

Tale resistenza addizionale ovviamente viene gradatamente esclusa man mano che la velocità
aumenta e nasce quindi la f.e.m. nell’armatura di macchina in grado di equilibrare la tensione
esterna.
La legge che lega la corrente di armatura “ia” alla velocità angolare meccanica, quando vi è
una resistenza r’ in serie all’armatura, è dato da (vedi la seconda equazione delle 2.35)

V
V − ωm M sr ⋅
recc (2.41)
ia =
ra + r '

Tale legge rappresenta una famiglia di rette (al variare di r’) aventi tutte la medesima
intercetta sull’asse delle ascisse (Fig. 2.14):

recc
( ω m )i = 0 = (2.42)
a
M sr

27
- Vecc + - V +

ia

a4 a5
a3 r T1
a2 iecc
A C
r T2
a1
Cem r T3
B
ωm r T4

V recc ωm
VeccMsr

Fig. 2.14 Regolazione in avviamento di un motore ad eccitazione indipendente.

Fissato il valore " i max " che può essere supportato dall’armatura della macchina, allo spunto
sarà necessario inserire una resistenza r1' tale che la caratteristica (ωm, ia) passi per il punto (0,
imax), (retta a1); la macchina quindi spunta con una corrente accettabile, la velocità aumenta e
diminuisce di conseguenza la correnta “ia”. Quando la corrente ha raggiunto un valore
sufficientemente basso “imin” (punto B) si esclude parte della resistenza r1' (si chiude il tasto
T1) e rimane inserita una resistenza addizionale r2' in maniera tale da passare su una nuova
caratteristica (retta a2) così che la corrente “ia” raggiunge ancora il valor massimo consentito
“imax” (punto c). In maniera perfettamente analoga si chiudono successivamente i tasti T2, T3 e
T4 fino ad arrivare alla caratteristica finale (retta a4) con resistenza addizionale nulla.
Per invertire il verso di marcia occorre invertire il segno della coppia elettromagnetica. Ciò si
può ottenere invertendo una delle due correnti e quindi o la tensione di armatura o quella di
eccitazione.

Si parla di motore con eccitazione in derivazione, quando la V e la Vecc coincidono (Fig.


2.15). Lo studio di questa macchina è identico a quella con eccitazione indipendente: è
sufficiente sostituire in tutte le espressioni Vecc = V.
Un’ultima osservazione vi è da fare in merito al funzionamento di questo motore in c.c.: il
senso di rotazione del motore non dipende dalla polarità della tensione di alimentazione;
infatti (Fig. 2.15), se si invertono le polarità della tensione di alimentazione, si inverte sia la
corrente di campo che la corrente di armatura e quindi il segno della coppia elettromagnetica
rimane inalterato; l’espressione della coppia elettromagnetica dipende dal quadrato della
tensione di alimentazione e quindi è irrilevante il segno di “V”.
Per cambiare verso di rotazione del motore è necessario invertire soltanto la corrente di
campo.

28
+
V
-

ia
recc iecc

Cem r’

ωm

Fig. 2.15. Motore con eccitazione in derivazione.

2.5.2 Motore in corrente continuo con eccitazione in serie

Lo schema elettrico di tale motore è descritto in Fig. 2.16.

r’
+
ia

rm
V
Cem
iecc
ωm r’ecc

Fig. 2.16. Motore ad eccitazione serie.

Sempre nell’ipotesi che i parametri di macchina rimangono inalterati, l’equilibrio elettrico in


condizioni di regime è dato dall’equazione:

29
V = ωm M srη ia + ( ra + recc + r ') ⋅ ia (2.43)

ove con η (η= r’ecc / (r’ecc + rm) ) si intende l’aliquota della corrente di armatura che scorre
'
nell’avvolgimento di eccitazione e con “recc” si intende il parallelo tra la resistenza " recc " di
regolazione, posta in parallelo al campo e la resistenza di campo stessa rm. Ovviamente la
resistenza addizionale r’ posta in serie all’armatura è presente soltanto allo spunto della
macchina e ha il compito di limitare la corrente nella fase di avviamento.
La corrente “ia” quindi, nel caso in cui r’ sia nullo vale:

V
ia = (2.44)
ωm M srη + ra + recc

e la coppia elettromagnetica sviluppata assume la forma:

Cem = M srη ia2 , (2.45)

ossia:
ηV 2
Cem = M sr ⋅ . (2.46)
(ωm M srη + ra + recc ) 2

L’andamento teorico della caratteristica meccanica nel I° quadrante (Cem > 0 e ωm > 0) è
riportato in Fig. (2.17).

Cem

ωm

Fig. 2.17. Caratteristica meccanica di un motore ad eccitazione serie al


variare della tensione di armatura.

30
Anche in questo caso la caratteristica meccanica può essere prolungata nel IV° quadrante,
ottenendo il funzionamento da generatore o da freno a seconda del valore della velocità
angolare.
Tuttavia, la sola zona di funzionamento che interessa è quella relativa al funzionamento da
motore (I° quadrante) in quanto, nel funzionamento da fermo la corrente in gioco è troppo
elevata e danneggia irrimediabilmente la macchina ed il comportamento da generatore è di
tipo instabile come si può facilmente verificare da un semplice esame della forma della
caratteristica meccanica.
Addirittura il primo tratto della caratteristica meccanica nella zona di funzionamento da
motore non ha interesse in quanto la corrente di armatura è troppo elevata; allo spunto quindi
è necessario limitare la corrente ia con un’opportuna resistenza addizionale " r ' " .
L’andamento della corrente “ia” in funzione della velocità e per vari valori della resistenza
addizionate " r ' " è riportata in Fig. 2.18.

T1 T2 T3

+
r r r
ia
rm
V
Cem
iecc
ωm r’ecc
imax
-

imin a3
a1 a2

ωm

Fig. 2.18. Regolazione in avviamento di un motore ad eccitazione serie.

Allo spunto sarà necessario inserire una resistenza " r1' " (T1, T2 e T3 aperti) in maniera tale
che la corrente ia raggiunga il massimo valore ammissibile; via via che la macchina aumenta
in velocità la corrente ia diminuisce e, quando avrà raggiunto un valore sufficientemente basso
si potrà passare ad un’altra caratteristica a2 escludendo parte della resistenza (si chiude il
tasto T1), e così via, sino a giungere in condizioni di funzionamento a regime. La coppia
elettromagnetica, al varire della resistenza addizionale r’, assume andamenti analoghi alla
corrente di armatura. Anche in questa macchina l’inversione della polarità della tensione di
alimentazione non provoca l’inversione del senso del moto; infatti si inverte sia la corrente di
armatura, sia la corrente di campo e quindi la coppia elettromagnetica non cambia di segno.
Per invertire il senso di rotazione è necessario invertire il collegamento del campo col resto
del circuito.

2.6 Alimentazione di motori in continua a tensione variabile

31
I motori in corrente continua, controllati da convertitori a tiristori sono estremamente
diffusi in applicazioni industriali.
In passato gli azionamenti a velocità variabile erano ottenuti da gruppi Ward-Leonhard, con
soluzioni anche molto ingegnose e funzionali, ma di basso rendimento.
Si è visto dalle caratteristiche statiche che, per ottenere dai motori velocità inferiori a quella
di regime, va controllata la tensione (o la corrente) di armatura. In questo paragrafo sono
brevemente introdotti i raddrizzatori. Si tratta di una categoria di macchine elettriche statiche
che convertono energia elettrica con tensione e corrente alternate (AC), ancora in energia
elettrica in cui i parametri tensione e corrente sono adesso delle grandezze continue.
Questi dispositivi si sono sviluppati a partire dagli anni ’60 con lo sviluppo dei dispositivi a
semiconduttori (diodi, transistor, tiristori).

In particolare il diodo (Fig. 2.19.a) presenta la seguente caratteristica:

⎧tasto chiuso se VAB > 0


⎨ (2.47)
⎩tasto aperto se VAB ≤ 0

Il tiristore (Fig. 2.19.b) ha un ingresso supplementare, il gate (G). Il suo comportamento è il


seguente:

⎧tasto chiuso se VAB > 0 AND ig ≥ isoglia


⎨ (2.48)
⎩tasto aperto se VAB ≤ 0 OR VAB > 0 AND ig < isoglia

B B
G

(a) (b)

A A

Fig. 2.19. Diodo (a), Tiristore (b).

32
2.6.1 Alimentazione con raddrizzatore (AC-DC) monofase

Vediamo la logica di funzionamento dei convertitori, partendo dal caso più semplice,
quello del rettificatore monofase a semionda. Da ora in avanti si seguirà l’ipotesi di
raddrizzatore ideale, con caduta di tensione nulla in conduzione, con corrente inversa nulla e
con commutazioni in tempo zero.

Vin

VM
i D1
~ V in Vc
D2 R

π 2π ωt
(a) (b)

Vc

π 2π ωt

Fig. 2.20. Rettificatore monofase a semionda (a), tensione sul carico (b).

Nel caso in cui il carico fosse puramente resistivo l’andamento della tensione media sul carico
è riportato in Fig. 2.20.b e vale:

1 π V
Vcm = ∫
2π 0
V M sen( ωt )d ( ωt ) = M
π
(2.49)

Questo tipo di raddrizzatore ha alcuni difetti: è basso il valore medio di Vc, il ripple è elevato,
la corrente i assorbita in ingresso ha una componente continua e ciò potrebbe creare problemi
alla rete di alimentazione (es: ENEL). Inoltre la tensione media di uscita dipende dal carico, il
che non è certo un pregio: una prima soluzione che svincola la Vc dal carico consiste
nell’inserimento nel circuito di Fig. 2.20.a del diodo D2, detto di freewheeling, che porta ad
ottenere una tensione media sul carico quale quella che si sarebbe avuta con un carico
puramente resistivo.

Si valuta ora la logica di funzionamento del rettificatore monofase a semionda controllato


(vedi Fig. 2.21.a). Si nota subito la presenza del componente Th1, detto tiristore, che entra in
conduzione solo se viene acceso. La variabile di controllo è l’angolo di innesco (o di ritardo)
α, che rappresenta l’angolo elettrico di cui l’accensione del tiristore è ritardata, da quando il
componente è polarizzato direttamente e quindi potrebbe entrare in conduzione. In Fig. 2.21.b
si riporta l’andamento della tensione sul carico nel caso di carico ohmico-induttivo e di un
angolo α di accensione del tiristore.

33
V in

VM
i Th1
Vc R
~ Vin
D2
α π 2π α ωt

(a) (b)
Vc

α π 2π α ωt

Fig. 2.21. Rettificatore monofase a semionda controllato (a), tensione media sul carico con α ≠ 0 (b).

La tensione media sul carico vale ora:

π
1 V cos(α )
Vcm = ∫
2π α
VM sen(ωt ) d (ωt ) = M

(2.50)

2.6.2 Alimentazione con raddrizzatore (AC-DC) a ponte

I raddrizzatori più utilizzati sono quelli a ponte di tipo monofase o trifase. Si possono
classificare nel seguente modo:

a) ponte non controllato;


b) ponte semicontrollato;
c) ponte controllato.

Di seguito sono analizzate rapidamente le tre configurazioni nel caso di alimentazione


monofase.

Ponte non controllato

Un ponte si dice non controllato se è costituito da soli diodi (Fig. 2.22.a). In questo caso la
tensione di uscita Vc è unidirezionale e il valor medio non è variabile. Volendo ottenere ciò è
necessario inserire a valle un dispositivo, detto chopper, in grado di variare il valor medio di
una tensione continua.

⎧ E
⎪⎪Vi1 = sin (ωt )
2
⎨ (2.51)
⎪V = E
sin (ωt − π )
⎪⎩ i1 2

34
V i1

π 2π ωt
D1 D2
V i2
Vc
Vi1
Vi2 D4 D3
π 2π ωt

Vd2 Vd1
V d1 (b)

π 2π ωt
(a)
V d2
π 2π ωt

Vc

π 2π ωt

Fig. 2.22. Raddrizzatore a ponte monofase non controllato (a), andamento delle varie tensioni (b).

Nel semiponte superiore, in ogni istante conduce il diodo che corrisponde alla maggiore delle due
tensioni di ingresso:

Vd 1 = max (Vi1 , Vi 2 ) (2.52)

Nel semiponte inferiore, in ogni istante conduce il diodo che corrisponde alla minore delle due
tensioni di ingresso:

Vd 2 = min (Vi1 , Vi 2 ) (2.53)

La tensione di uscita Vc è:

Vc = Vd 1 − Vd 2 (2.54)

Le commutazioni dei diodi sono naturali. La seguenza delle commutazioni è riportata nella
tabella sottostante e in Fig. 2.22.b.

Intervallo D1 D2 D3 D3 V1d V2d Vc

35
0 ≤ ωt ≤ π on off on on Vi1 Vi2 Vi1 - Vi2
π ≤ ωt ≤ 2π off on off off Vi2 Vi1 Vi2 - Vi1

Il valor medio della tensione di uscita, tenendo conto che Vc è periodica con periodo pari a π,
è:

π
1 2 2
E sin ωtd (ωt ) =
π∫
Vcm = E (2.55)
0
π

Ponte semicontrollato

Un ponte si dice semicontrollato se è costituito da diodi e tiristori (o transistori o GTO). Una


configurazioni tipica di raddrizzatore a ponte semicontrollati è quella di Fig. 2.23.a.
In questo caso la tensione di uscita Vc è unidirezionale e il valor medio è variabile tra zero e
un valore VMax.

⎧ E
⎪⎪Vi1 = sin (ωt )
2
⎨ (2.56)
⎪V = E
sin (ωt − π )
⎪⎩ i1 2

La tensione di uscita Vc è sempre:

Vc = Vd 1 − Vd 2 (2.57)

Nell’intervalli in cui entrambi i tiristori sono interdetti, la Vc è nulla.

La seguenza delle commutazioni è riportata nella tabella sottostante e in Fig. 2.23.b.

Intervallo T1 D1 T2 D2 V1d V2d Vc


0 ≤ ωt ≤ α off on off on Vi2 Vi2 0
α ≤ ωt ≤ π on off off on Vi1 Vi2 Vi1 - Vi2
π ≤ ωt ≤ π + α off on off on Vi2 Vi2 0
π + α ≤ ωt ≤ 2π off on on off Vi2 Vi1 Vi2 - Vi1

36
V i1

α+π
α π 2π ωt
T1 D1
V i2
Vc
Vi1 α+π
Vi2 T2 D2
α π 2π ωt

Vd2 Vd1
V d1
(b)

α π 2π ωt
(a)
V d2
α π 2π ωt

Vc

α π 2π ωt

Fig. 2.23 Raddrizzatore a ponte monofase semicontrollato (a), andamento delle varie tensioni (b).

Il valor medio della tensione di uscita, tenendo conto che Vc è periodica con periodo pari a π,
è:

π
1 2 2E α
E sin ωtd (ωt ) =
π α∫
Vcm = cos 2 (2.58)
π 2

2 2
Si osserva che al variare di α (con 0<α<π) il valor medio di Vc è compreso tra E e 0, e
π
quindi è sempre positiva.

Ponte totalcontrollato

In Fig. 2.24.a è presentato il caso di un raddrizzatore a ponte monofase totalcontrollato (a) e


l’andamento della tensione sul carico (b). Un ponte totalcontrollato è costituito da soli
elementi controllati (non diodi). Valgono sempre le relazioni:

37
⎧ E
⎪⎪Vi1 = sin (ωt )
2
⎨ (2.59)
⎪V = E
sin (ωt − π )
⎪⎩ i1 2

e:

Vc = Vd 1 − Vd 2 (2.60)

La chiusura di tutti gli interruttori è ritardata di un angolo α rispetto all’istante in cui si avrebbe la
chiusura se fossero diodi. La seguenza delle commutazioni è riportata nella tabella sottostante e
in Fig. 2.24.b.

Intervallo T1 T2 T3 T4 V1d V2d Vc


α ≤ ωt ≤ π + α on off off on Vi1 Vi2 Vi1 - Vi2
π + α ≤ ωt ≤ 2π + α off on on off Vi2 Vi1 Vi2 - Vi1

V i1

α+π
α π 2π ωt
T1 T2
V i2
Vc
Vi1 α+π
Vi2 T3 T4
α π 2π ωt

Vd2 Vd1
V d1
(b)

α π 2π ωt
(a)
V d2
α π 2π ωt

Vc

α π 2π ωt

Fig. 2.24. Raddrizzatore a ponte monofase semicontrollato (a), andamento delle varie tensioni (b).

38
Il valor medio della tensione di uscita, tenendo conto che Vc è periodica con periodo pari a π,
è:

π +α
1 2 2E
Vcm = ∫ E sin ωtd (ωt ) = cos α (2.61)
π α π

2 2
Si osserva che al variare di α (con 0<α<π) il valor medio di Vc è compreso tra E e
π
2 2
- E quindi è sempre positiva.
π

A pari angolo di accensione α il valore medio della tensione sul carico è maggiore nel
ponte semicontrollato. Infatti nel caso del semicontrollato la presenza dei diodi elimina la
possibilità di avere tratti con tensione sul carico Vc negativa. Il vantaggio dell’uso di un ponte
totalcontrollato è però dato proprio dalla possibilità di cambiare il segno della tensione media
sul carico per valori dell’angolo α maggiori di π/2. Infatti un ponte semicontrollato lavora in
un solo quadrante del piano (C, ωm), mentre un totalcontrollato può lavorare su due quadranti
in quanto può invertire la tensione.

39
Capitolo III

MOTORE ASINCRONO

3.1 Introduzione

Da pochi anni il motore asincrono viene usato nel controllo del moto, nonostante la sua
semplicità costruttiva, il basso costo e la sua robustezza. La maggior parte dei motori per
applicazioni industriali sono ancora in continua, anche se da molti anni si prevede una loro
graduale sostituzione con motori in alternata. I motivi per cui i motori in continua sono ancora
i più diffusi sono sostanzialmente due:
• il costo dei convertitori di potenza per azionamenti in alternata è superiore a quello per
azionamenti in continua;
• il controllo di un motore in continua è molto semplice, per il disaccoppiamento tra il
flusso di campo e quello di armatura.
L’evoluzione dell’elettronica di potenza nel settore dei convertitori di tensione e frequenza e
l’uso di microprocessori per la realizzazione di tecniche di controllo non lineare stanno
sempre più indirizzando il mercato a scegliere il motore asincrono per azionamenti a velocità
variabile.

I vantaggi principali dei motori in alternata sono elencati di seguito.


1. Non c’è il commutatore meccanico, né le spazzole. Ciò significa che è possibile
raggiungere velocità maggiori a pari taglia. Inoltre è possibile avere maggiori tensioni di
armatura perché non c’è la limitazione dovuta alla tensione massima ammissibile tra
lamelle adiacenti del collettore.
2. Per la presenza del collettore la velocità del motore in continua è intrinsecamente limitata.
Per motori di taglia elevata non è possibile raggiungere prodotti potenza*velocità
maggiori di 2.6*106 (kW*rpm). Nel caso di motori a induzione tale limite è facilmente
superabile.
3. Il rendimento del motore a induzione nel caso di funzionamento a velocità variabile è
confrontabile e a volte migliore di quello di un motore in continua equivalente.
4. Il fattore di potenza è più elevato.
5. A pari coppia erogata l’inerzia è minore, pertanto la costante di tempo meccanica è
minore e la banda passante del motore a induzione è più larga.
6. Non c’è necessità di manutenzione, se non nei cuscinetti.
7. Il rotore a gabbia è estremamente robusto: il tempo di vita del motore a gabbia è di gran
lunga superiore a quello di qualsiasi altro motore.
8. A pari coppia le dimensioni sono inferiori.

In Tabella 1 vengono riassunte le caratteristiche di confronto tra il motore in continua e quello


a induzione per diverse taglie.

40
Taglia Grande Media Piccola
Tipo a gabbia motore a gabbia motore a gabbia motore
DC DC DC
Potenza (kW) 6000 6000 75 75 1.5 1.5
Velocità (rpm) 60 60 1500 1500 1500 1500
Rendimento (%) 95.1 92 93.5 88 75 83
Inerzia (kg m2) 30000 60000 0.75 0.673 0.0039 0.0098
Lunghezza (cm) 1500 1500 86.3 102.2 32.25 41.6
Larghezza (cm) 410 473 45 39 17 21
Peso (kg) - - 385 480 23 42.5

Tabella 8.1. Confronto tra motore a induzione e motore in continua

3.2 Principio di funzionamento di un motore in alternata

Il motore in alternata, come il motore in continua, è costituito da uno statore e da un


rotore, separati da un traferro. L’inventore del motore asincrono è stato Galileo Ferraris nel
1885, come conseguenza degli studi sul campo magnetico rotante. Il principio di movimento
del motore asincrono si basa sull’interazione tra il campo di traferro e le correnti indotte del
rotore (perciò fa parte della categoria di macchine a induzione). Se il rotore gira sotto l’azione
del momento esercitato da questa interazione, la macchina funziona da motore; se invece è
trascinato dall’esterno e supera la velocità del campo magnetico rotante, comincia ad erogare
energia elettrica e si comporta da generatore.
Vediamo lo schema elementare di funzionamento per un motore alimentato da grandezze
elettriche alternate (ac-motor).
Si consideri uno statore con alimentazione alternata trifase. Gli avvolgimenti delle tre fasi (A,
B, C) sono distribuiti, sfasati di tra loro di 120° elettrici e, attraversati da correnti trifase (Fig.
3.1), generano tre onde sinusoidali di forza magneto-motrice al traferro, sfasate nello spazio
di 120° elettrici e la cui ampiezza varia sinusoidalmente nel tempo.
In corrispondenza dell’istante t1 in Fig. 3.1 la fase A è percorsa da corrente positiva, mentre le
fasi B e C sono percorse da correnti negative: i versi delle correnti negli avvolgimenti
distribuiti di statore che creano un campo magnetico rotante e la polarità Nord-Sud del campo
magnetico risultante sono indicati in Fig. 3.2(a).
+ - + - + -
Va notato che in Fig. 3.2 A A , B B , C C rappresentano l’inizio e la fine di ciascuno dei tre
avvolgimenti.
In presenza di un campo magnetico di rotore (ad esempio creato dal magnete permanente) si
genera una coppia motrice che sposta la polarità Sud del rotore verso il Nord del campo
risultante di statore, con coppia massima se i due campi sono a 90°.
In corrispondenza dell’istante t2 in Fig. 3.1 il flusso magnetico è spostato di 60°, le fasi A e B
sono percorse da correnti positive, mentre la fase C è percorsa da corrente negativa; il campo
magnetico generato dalla distribuzione di correnti sinusoidali ruota nello spazio e il rotore si
sposta nello stesso verso, seguendolo (Fig. 3.2(b)). Analogo è il meccanismo di movimento in
corrispondenza dell’istante t3 in Fig. 3.1, che corrisponde alla situazione di Fig. 3.2(c).

41
A B C

1 2 3

Fig. 3.1. Andamento della corrente nelle tre fasi statoriche.

(a) (b) (c)


S S

S N

N N

Fig. 3.2. Principio di funzionamento del motore in alternata.

In pratica il campo magnetico generato dalle correnti di statore ruota nello spazio a una
velocità ωS, detta sincrona e il rotore si muove inseguendolo.
Questo principio di funzionamento può essere particolarizzato a tutti i motori alimentati in
alternata. Ciò che distingue i vari motori (sincrono, asincrono, brushless) è la diversa natura
del campo magnetico di rotore:

• il motore brushless segue una logica che si basa sull’inseguimento tra il campo di statore e
quello di rotore generato da un magnete permanente;
• il motore sincrono sostituisce il magnete del brushless con un avvolgimento di rotore
alimentato in continua, rotante alla velocità sincrona;
• nel motore asincrono il campo di rotore, come vedremo più in dettaglio, è indotto dallo
stesso campo statorico.

Per correnti trifase di uguale ampiezza si hanno forze magnetomotrici di uguale ampiezza
massima (FM). Con calcoli semplici (nell’ipotesi che l’origine dei tempi sia fissata nell’istante
in cui la fase A raggiunge un massimo positivo e l’origine per l’ascissa angolare θ sia
considerato in corrispondenza dell’asse della fase A), si arriva a dimostrare che l’onda di
forza magnetomotrice risultante in un punto con ascissa θ e all’istante t è

F(θ,t) = 1.5 FM cos(θ−ωt) (3.1)

3.3 Cenni costruttivi di un motore asincrono

42
La macchina asincrona è costituita nelle sue parti essenziali da uno statore e da un
rotore libero di ruotare. Sulla periferia interna dello statore sono ricavate le cave disposte in
maniera uniforme, su cui deve alloggiare l’avvolgimento trifase; ogni fase è costituita da spire
collegate tra loro in serie e disposte su cave contigue; nel caso più semplice ogni fase occupa
1/3 delle cave disponibili (Fig. 3.3) costituendo un avvolgimento con asse magnetico disposto
a 120° gradi elettrici rispetto alle altre fasi. Il principio e la fine di ogni avvolgimento
vengono portati alla morsetteria della macchina, costruita in maniera particolare per poter
effettuare facilmente sia il collegamento sia a stella che a triangolo dell’avvolgimento.

Fig. 3.3. Schema di principio di un motore asincrono.

Il rotore può essere di vari tipi; si possono effettuare fondamentalmente le seguenti


classificazioni:
1) rotore avvolto,
2) rotore a semplice o a doppia gabbia di scoiattolo.

Nella macchina a rotore avvolto, sulla periferica del rotore sono ricavate cave del tutto simili
a quelle statoriche nelle quali viene inserito un avvolgimento trifase.
Tale avvolgimento normalmente è collegato a stella e fa capo a tre anelli calettati sull’asse di
macchina (Fig. 3.4); su tali anelli appoggiano delle spazzole che sono comandate da un
opportuno cinematismo a due posizioni: nella prima le spazzole sono alzate dagli anelli e
questi vengono cortocircuitati da un opportuno spinotto; nella seconda gli anelli non sono
cortocircuitati e le spazzole appoggiano su di essi per poter inserire opportune impedenze.
L’utilità di questa soluzione risiede nella possibilità di variare dall’esterno la resistenza degli
avvolgimenti di rotore (ad es. con reostati) per ridurre le correnti di spunto in avviamento.

43
Fig. 3.4. Rotore avvolto.

Nella macchina a gabbia di scoiattolo, più compatta ed economica, l’avvolgimento rotorico è


costituito da una serie di barre inserite in opportune cave e cortocircuitate da due anelli
frontali. Non ci sono ovviamente in questo caso anelli e spazzole (Fig. 3.5).
Nel rotore a doppia gabbia, sono due le gabbie alloggiate nel rotore, una più esterna ed una
più interna, aventi caratteristiche diverse (l’una costituita da materiale a resistività più alta
dell’altra).

Barre conduttrici

Anelli

Fig. 3.5. Rotore a gabbia.

3.4 Principio di funzionamento del motore asincrono

Supponiamo di alimentare lo statore dell’asincrono con correnti trifase e lasciamo il


rotore libero di ruotare. Le barre conduttrici sul rotore sono attraversate da un campo
magnetico rotante. Per la legge dell’induzione magnetica si generano negli avvolgimenti
rotorici delle forze elettromotrici per effetto della velocità relativa tra flusso ed avvolgimenti
rotorici. Tali forze elettromotrici costituiscono, in condizione di regime, un sistema
simmetrico di tensioni che produce negli avvolgimenti rotorici un sistema equilibrato di
correnti, poichè questi ultimi sono chiusi.
Si genera così un campo magnetico rotante rotorico. I due campi rotanti sono sincroni e
quindi danno origine ad una coppia elettromagentica, che porta in rotazione il rotore. Per la
legge di Lenz, il sistema deve reagire in modo da minimizzare la causa che genera il
mutamento: tende cioè ad annullare il flusso concatenato che crea la forza elettromotrice
indotta sul rotore. Perciò il rotore deve spostarsi sino ad allineare il campo magnetico
generato dalle correnti indotte con il campo magnetico rotante. La causa prima del fenomeno
è la presenza di un campo magnetico rotante in moto relativo rispetto al rotore: il sistema non
può che reagire tendendo ad annullare la velocità relativa del campo magnetico rotante. Se
tale campo ruota con continuità, anche il rotore ruoterà con continuità, inseguendolo. Il

44
motore è asincrono, ovvero il rotore non riesce mai a raggiungere perfettamente il campo
magnetico rotante, altrimenti cesserebbe il moto relativo fra il campo induttore e il sistema
indotto e si avrebbe l’annullamento dell’azione motrice.
Il sistema indotto può solo seguire la rotazione del campo rotante induttore, ma con velocità
minore, in modo da mantenere un moto relativo di scorrimento: le correnti indotte devono
mantenere l’intensità necessaria e sufficiente per sviluppare la coppia motrice. Se la rotazione
venisse frenata dall’esterno la velocità di rotazione del rotore rallenterebbe e crescerebbe
l’intensità delle correnti indotte: è ciò che accade applicando coppie resistenti all’albero.
In questo fatto si rileva la differenza principale con il motore sincrono, in cui la velocità di
rotazione è fissa e uguale a quella del campo magnetico rotante, indipendentemente dal
carico.

Consideriamo ora la velocità di rotazione di un motore: per una macchina a p coppie polari la
velocità sincrona del campo rotante (è una velocità meccanica) è:

60 ⋅ f
nS = (3.2)
p

il che significa, ad esempio, 3000 giri/min per una macchina alimentata a 50 Hz e una sola
coppia di poli. La velocità effettiva del rotore è solo di poco inferiore a quella sincrona, per
cui i motori bipolari risultano spesso troppo veloci per la maggior parte delle applicazioni
pratiche. Quindi verranno costruiti motori asincroni con avvolgimenti multipolari, al fine di
limitare la velocità meccanica di rotazione.
La differenza tra la velocità effettiva del rotore e la velocità sincrona è detta scorrimento s,
indica il numero di giri per unità di tempo che il rotore perde rispetto al campo rotante ed è
definita da:

ns − nr ωs − ωm
s= = (3.3)
ns ωs

dove nr e nS indicano rispettivamente la velocità meccanica del rotore e la velocità sincrona


del campo magnetico rotante.
Es.: s=3%, significa che il rotore perde 3 giri su 100 giri del campo magnetico rotante.

Le tensioni indotte sul rotore avranno una pulsazione (e quindi una frequenza) proporzionale
allo scorrimento. Infatti la velocità con cui il campo rotante taglia i conduttori alloggiati sul
rotore è:

ωs − ωm = ωs ⋅ s ⇒ f rot = s ⋅ f s (3.4)

3.5 Le equazioni della macchina asincrona in condizioni di regime

La linea logica che sarà esposta per ricavare le equazioni della macchina asincrona e,
quindi, il relativo circuito equivalente, non è rigorosamente corretta, ma è didatticamente
efficace e facilita la comprensione del funzionamento della macchina.

45
Supponiamo che le induttanze degli avvolgimenti statorici e rotorici si possano suddividere
in due parti: una che tiene conto dal flusso disperso (Lsd e Lrd) ed una che tiene conto del
flusso che si concatena mutuamente tra statore e rotore (Lsm e Lrm) per cui vale la seguente
proprietà:

Msr2 = Lsm ⋅ Lrm (3.5)

Ciò detto, durante il funzionamento della macchina, alimentata sullo statore da una rete
prevalente e rotante ad una ben precisa velocità angolare “ωm” cui corrisponde lo scorrimento
“s”, lungo il traferro della macchina ci saranno due onde di induzione provocate
rispettivamente dalla terna di correnti statoriche (Bs(θ)) e dalla terna di correnti rotoriche
(Br(θ)).
Le due onde di induzione ruotano alla stessa velocità rispetto allo statore e conservano quindi
invariata la loro posizione, infatti l’onda Bs(θ) ruota alla velocità angolare ωs pari alla
pulsione di rete (nel caso di una macchina ad un paio di poli), mentre l’onda di induzione
Br(θ) ruota con velocità “sωs” rispetto al rotore, questo a sua volta ruota rispetto allo statore
alla velocità angolare “ωm” e quindi, componendo i moti relativi, l’onda di induzione Br(θ)
ruota rispetto allo statore alla velocità:

ωm + sωs = ωs (3.6)

Lungo il traferro quindi sarà presente complessivamente un’onda di induzione sinusoidale


Bt(θ) data dalla somma delle onde Bs(θ) e Br(θ) (Fig. 3.6).

Φs

Φt

Φr

Fig. 3.6. Posizione relativa del flusso di statore e rotore.

A ciascuna onda di induzione corrisponde ovviamente un certo flusso:

46
⎧Φ s = Bs dS
⎪ ∫

⎨Φ r = ∫ Br dS (3.7)

⎪⎩Φ t = ∫ Bt dS

ove ciascun integrale è esteso alla superficie cilindrica del traferro sottesa dalla rispettiva
semionda positiva di induzione. Tali flussi, concatenandosi con una singola spira, danno
luogo a flussi concatenati sinusoidali nel tempo; diremo Φ s , Φ r , Φ t i valori massimi dei
vettori rappresentativi di tali flussi sinusoidali.
Ciò premesso, l’equilibrio elettrico ad una fase statorica e rotorica può essere scritto nella
forma:

⎧ 
V = ( R + jω L )  + jω N K Φ t
I
⎪ s sd s S s
⎪ 2
⎨ 
(3.8)
⎪0 = jsω N K Φ t + ( R + jsω L ) I
⎪⎩ r r
2
s rd r

Dove con Ks e Kr sono indicati rispettivamente i fattori di avvolgimento di statore e rotore.


Alle (3.8) si può aggiungere l’ulteriore equazione data dalla legge di Hopkinson applicata al
circuito magnetico della macchina asincrona:

Φ
N s K s Is + N r K r Ir = R t (3.9)
2

ove R è la riluttanza del circuito magnetico.


Detto:

⎧ t
Φ
E
⎪ s = − jω N s K s ⋅
⎪ 2
⎨ t
(3.10)
⎪ E Φ
= − jω N K ⋅
⎪⎩ r ( s =1) r r
2

e posto:

E N K
τ=  s = s s (3.11)
Er ( s =1) N r K r

le (3.9) e (3.10) assumono la forma:

47

⎪  
⎪V = ( Rs + jω Lsd ) I s − Es

⎨0 = ( Rr + jsω Lrd ) Ir − s E r ( s =1) (3.12)
⎪ 
⎪− E = jω N s K s ⎛ I + I s ⎞
2 2

⎪ ⎜ ⎟
τ ⎠
s s
⎩ R ⎝

τ
Moltiplicando la seconda equazione delle (3.12) per ed effettuando la sostituzione:
s

I
Ir' = r (3.13)
τ

si ottiene:

⎧V = ( Rs + jω Lsd ) Is − E s



⎪ 2 Rr
⎨0 = τ ( + jω Lrd ) Ir − E s
'
(3.14)
⎪ s
⎪⎩− E s = jω Lsm ( Is + Ir' )

ove si è posto:

N s2 ks2
Lsm = (3.15)
R

Sostituendo l’ultima equazione della (3.14) nelle altre due precedenti otteniamo:

⎧V = [ Rs + jω Lsd ] Is + jω Lsm ( Is + Ir' )



⎨  + I' ) + ⎡ Rrτ + jωτ 2 L ⎤ I'
2 (3.16)
⎪ 0 = jω L sm ( I s r ⎢ s rd ⎥ r
⎩ ⎣ ⎦

Le 3.16) giustificano il circuito equivalente di Fig. 3.7.


Il processo logico ora descritto, oltre ad essere didatticamente efficace ha un ulteriore
vantaggio: è possibile tenere conto delle perdite nel ferro che ci sono nella macchina e che
non compaiono nelle equazioni (3.16). Le perdite nel ferro infatti fanno sì che flusso e forza
magnetomotrice non siano in fase tra loro ma siano leggermente sfasate per effetto
dell’isteresi nel ferro; tale fatto può essere espresso nella legge di Hopkinson ammettendo che
la riluttanza del circuito magnetico non sia uno scalare puro ma sia un operatore complesso R
il cui argomento è pari allo sfasamento tra forza magnetomotrice e flusso; in altre parole la
(3.9) può essere scritta nella forma:

48
N s2 K s2
LSm = (3.17)
R

e quindi il circuito equivalente che risulta dalle equazioni (3.16) ha un’impedenza trasversale:

Z m = jω Lsm (3.18)

che non è una pura reattanza, ma contiene anche una resistenza che tiene conto appunto delle
perdite nel ferro.Sotto queste ipotesi il circuito equivalente relativo alle equazioni (3.16) è
descritto in Fig. 3.7.

Rrτ2/s L rdτ
2
Rs L sd
. + . . .
Is Ia Io I’r
. .
V . xm Iµ
Es Rfe

-
Fig. 3.7. Circuito equivalente di un motore asincrono.

49
3.6 Il bilancio energetico nella macchina asincrona

In questo paragrafo si vuol esaminare il bilancio della potenza attiva e reattiva in una
macchina asincrona funzionante in condizioni di regime. Facciamo innanzitutto una
osservazione di carattere generale: la macchina asincrona, funzionante con gli avvolgimenti
rotorici chiusi in corto circuito, può essere considerato un elemento con due ingressi di
energia (Fig. 3.8): un primo ingresso di energia di tipo elettrico tra macchina e rete di
alimentazione ed un secondo ingresso di energia meccanica attraverso l’asse della macchina.

Pel

Pmec Cem

ωm

Fig. 3.8. Flussi di potenza nella macchina asincrona.

In ogni caso deve essere verificato l’equilibrio della potenza attiva.


Ciò premesso l’equilibrio energetico può essere facilmente ottenuto dalle (3.16) moltiplicando
la prima equazione per 3 Isv e la seconda per 3 Ir' v , dove Isv e Ir' v sono i complessi coniugati
dei corrispondenti fasori delle correnti di statore e di rotore1.

⎧3V Iv = 3R I 2 + 3 jω L I 2 + 3 jω M τ I 2 + 3 jω M τ I Iv


⎪ s s s sd s sr s sr r s

⎨ ' 2 ' 2 ⎛1 ⎞ ' 2 2 (3.19)


⎪−3 jω M srτ Is Ir = 3 jω M srτ Ir + 3τ Rr Ir + 3τ Rr ⎜ − 1⎟ Ir + 3 jω Lrdτ Ir
'v 2 2 2 '

⎩ ⎝s ⎠

R r τ2 ⎛ 1− s ⎞
Nelle equazioni (3.19) la resistenza è stata suddivisa in due parti: Rrτ 2 è Rrτ 2 ⎜ ⎟,
s ⎝ s ⎠
per motivi che saranno evidenti tra poco. Per semplificare la notazione si indicano con
V , I s , I r' rispettivamente i moduli dei fasori V , Is , Ir' .
Suddividiamo le (3.19) in due coppie di equazioni che forniscono l’equilibrio della potenza
attiva e della potenza reattiva:

1
Il fattore 3 è stato introdotto perchè sono valutate la potenza attiva e reattiva complessiva della
macchina trifase.

50
⎧3V I s cos ϕ s = 3Rs I s2 + 3ω M srτ senψ I s I r'

⎨ ⎛ 1 − s ⎞ '2 (3.20)
⎪3ω M srτ senψ I s I r = 3τ Rr I r + 3τ Rr ⎜ s ⎟ I r
' 2 '2 2

⎩ ⎝ ⎠

⎧⎪−3V I s senϕ s = 3ω Lsd I s2 + 3ω M sr τ I s2 + 3ω M sr τ I s I r' cosψ


⎨ (3.21)
⎪⎩−3ω M sr τ I s I r cosψ = 3ω M sr τ I r + 3ω Lrd τ I r
' '2 2 '2

Nelle (3.20) e (3.21) ϕs e ϕr rappresentano gli sfasamenti delle correnti Is e Ir' rispetto alla
tensione V valutati convenzionalmente positivi in senso antiorario, mentre l’angolo ψ è
definito come:

ψ = ϕs - ϕr (3.22)

La seconda equazione delle (3.21) può essere scritta in maniera diversa sommando ad
entrambi i membri la quantità: 6ω M sr τ I s I r' cosψ ; si ottiene così il bilancio delle potenze
reattive:

⎧⎪−3V I s senϕ s = 3ω Lsd I s2 + 3ω M srτ I s2 + 3ω M srτ I s I r' cosψ


⎨ (3.23)
⎪⎩3ω M srτ I s I r cosψ = 3ω M srτ I r + 3ω Lrdτ I r + 6ω M srτ I s I r cosψ
' '2 2 '2 '

Cominciamo ad esaminare il bilancio della potenza attiva data dalla (3.20).


Le varie quantità presenti possono così essere interpretate:

1) 3 V I s cos ϕ s rappresenta ovviamente la potenza attiva assorbita dallo statore,


positiva se assorbita dalla rete, negativa se erogata in rete.
2) 3Rs I s2 rappresenta le perdite per effetto joule negli avvolgimenti statorici.
3) 3ω M srτ I s I r' senψ viene chiamata potenza di traferro o potenza elettromagnetica. Tale
quantità a sua volta è uguale alla somma delle seguenti aliquote:
4) 3Rrτ 2 I r'2 perdite nel rame degli avvolgimenti rotorici.

⎛ 1 − s ⎞ '2
5) 3Rrτ 2 ⎜ ⎟ Ir rappresenta ovviamente l’ultima aliquota di potenza ossia la potenza
⎝ s ⎠
meccanica. Tale potenza è positiva se viene erogata all’utilizzatore, è
negativa se viene assorbita dalla macchina.

Dalle (3.20) e dall’analisi delle varie aliquote della potenza attiva si possono ricavare alcune
relazioni di validità generale qualunque sia il funzionamento della macchina. Infatti la
seconda equazione delle (3.20) può essere scritta:

51
3Rrτ 2 I r'2 Pcur
3ω M srτ I s I r' senψ = Pt = = (3.24)
s s

e quindi:

Pcur = sPt (3.25)

La (3.25) afferma che le perdite nel rame rotorico sono uguali al prodotto della potenza di
traferro per lo scorrimento cui funziona la macchina.
Un’altra considerazione di carattere generale può essere dedotta dalle (3.20); infatti,
introducendo la coppia elettromagnetica (Cem), si ha:

3 Rrτ 2 I r'2
Pmecc. = Cem ⋅ ωm = Cem (1 − s )ω = (1 − s ) = Pt ⋅ (1 − s ) (3.26)
s

da cui:
Pt = Cemωm (3.27)

La (3.27) afferma che la potenza di traferro è uguale alla coppia meccanica per la velocità del
campo magnetico rotante.
Il bilancio della potenza reattiva dato dalle (3.23) è più semplice del bilancio della potenza
attiva; le varie quantità possono così essere interpretate:

1) −3V I s sen ϕ s potenza reattiva assorbita dalla rete


2) 3ω Lsd I s2 potenza reattiva assorbita dalle induttanze di dispersione stotorica
3) 3ω Lrdτ 2 I r'2 potenza reattiva assorbita dalle induttanze di dispersione rotorica
4) 3ω M srτ I + 3ω M srτ I r'2 + 6ω M srτ I s I r' cosψ potenza reattiva necessaria a magnetizzare il
2
s

circuito magnetico della macchina.

52
3.7 I modi di funzionare della macchina asincrona

La macchina asincrona viene normalmente usata come motore, tuttavia questo non è
l’unico modo di funzionare di tale macchina, ci sono cioè delle condizioni di funzionamento
in cui essa può funzionare o da generatore o da freno.
Per decidere come funziona la macchina è necessario osservare il flusso di potenza elettrica
da e verso la rete ed il flusso di potenza meccanica. Si possono avere tre casi.

a) la potenza elettrica fluisce dalla rete verso la macchina, e la potenza meccanica


fluisce verso l’utilizzatore. In tal caso la macchina funziona da motore.
b) La potenza elettrica fluisce verso la rete e la potenza meccanica fluisce verso la
macchina . In queste condizioni la macchina funziona da generatore.
c) La potenza elettrica fluisce dalla rete verso la macchina ed anche la potenza
meccanica fluisce verso la macchina, questa è la condizione di funzionamento da
freno.

L’ultimo caso in cui la potenza elettrica fluisce verso la rete e la potenza meccanica verso
l’utilizzatore non è fisicamente possibile in quanto verrebbe a mancare la fonte di energia.
Il flusso di potenza meccanica si può dedurre dal segno della quantità:

1
Pmecc = 3R r τ 2 ⋅ ( − 1) ⋅ I'r2
s
quindi con
1
− 1 > 0,
s
ossia:

0 < s <1 (3.28)

il flusso di potenza meccanica è della macchina verso l’utilizzatore; mentre con

1
−1 < 0
s

ossia

⎧s > 1
⎨ (3.29)
⎩s < 0

il flusso di potenza meccanica avviene dall’esterno verso la macchina.


Per valutare poi il senso dello scambio di potenza con la rete è necessario calcolare
l’impedenza equivalente della macchina vista dalla rete facendo riferimento al circuito
equivalente e valutare il segno della parte reale. A tal fine, dalle equazioni di equilibrio della
macchina si ottiene:

53
⎡ ⎤
⎢ ω 2
M 2
⎥ 
V = ⎢ Rs + jω Ls + sr
⎥ Is (3.30)
Rr
⎢ + jω Lr ⎥
⎣ s ⎦

Mettendo in evidenza la parte reale e immaginaria dell’impedenza, la (3.30) diventa:

⎧⎡ R ⎤ ⎡ ⎤⎫
⎪⎢ ω 2 M sr2 ⋅ r ⎥ ⎢ ⎥⎪
s ⎥ + jω ⎢ L − ω Lr M sr ⎥ ⎪ I
3 2

V = ⎨ ⎢ Rs + ⎬ (3.31)
⎪⎢ ⎥ ⎢ s ⎛ Rr ⎞ 2 ⎥ s
2
⎛ Rr ⎞ 2 2 ⎪
⎢ ⎜ ⎟ + ω 2 2
L ⎥ ⎢ ⎜ ⎟ + ω L ⎥
⎪⎩ ⎣ ⎝ s ⎠
r
⎦ ⎣ ⎝ s ⎠
r
⎦ ⎪⎭

Il senso del flusso di potenza attiva si deduca dal segno della parte reale dell’impedenza
equivalente:

Rr
ω 2 M sr2 ⋅
R ( Z eq ) = Rs + s
2 (3.32)
⎛ Rr ⎞
⎜ ⎟ + ω Lr
2 2

s
⎝ ⎠

Si deduce immediatamente che per s > 0, si ha R(Zeq) > 0 e quindi il flusso di potenza attiva
avviene dalla rete verso la macchina, mentre per s < 0 se si trascura la resistenza statorica, il
flusso di potenza avviene dalla macchina verso la rete.

Le considerazioni ora svolte possono essere compendiate nelle seguenti conclusioni:

a) per 0 < s < 1 si ha Pel > 0, Pmecc > 0 ossia la macchina funziona da motore;
b) per s > 1 si ha Pel > 0, Pmecc < 0 ossia la macchina funziona da freno;
c) per s < 0 si ha Pel < 0, Pmecc < 0 ossia la macchina funziona da generatore (Fig. 3.9).

Generatore Motore Freno


0 1 S
Fig. 3.9. Regioni di funzionamento della macchina asincrona.

3.8 Determinazione dei parametri della macchina asincrona

Rimane a questo punto il problema di identificare il circuito equivalente della macchina


asincrona sfruttando le prove di laboratorio che si possono effettuare.

Le prove che normalmente vengono effettuate sono tre:

54
1) la prova a vuoto,
2) la prova in corto circuito,
3) la misura della resistenza statorica e, (se possibile) della resistenza rotorica.

3.8.1 Prova a vuoto

Tale prova viene normalmente effettuata alimentando lo statore con una terna simmetrica
di tensioni pari al valore della tensione di targa della macchina (Vn) e lasciando il rotore
libero di ruotare senza coppia resistente. Si misura la potenza attiva (Po) e la corrente di linea
assorbita (Io).

⎧ P0
⎪cos ϕ0 = 3V I
⎪ n 0

⎪⎪ Vn
⎨Z = (3.33)
⎪ 3 I0
⎪ X S = Z senϕ0

⎪⎩ RS 0 = Z cos ϕ0

Il valore di R S0 ricavato da tale prova non corrisponde ovviamente alla resistenza statorica in
quanto la potenza P0 misurata dai wattmetri è data dalla somma di tre aliquote: perdite nel
rame statorico, perdite nel ferro, perdite meccaniche.

P0 = PcuS + Pfe + Pmecc (3.34)

In definitiva, dalla prova a moto si ricava:

1) la corrente a vuoto I0 in modulo e fase;


2) la reattanza complessiva statorica XS.

3.8.2 Prova in corto circuito

La prova in corto circuito viene effettuata alimentando lo statore della macchina


asincrona con una tenzione ridotta (Vcc), tale da far scorrere la corrente nominale e bloccando
il rotore.

Si controlla nel caso della prova che la corrente assorbita sia uguale alla corrente nominale In,
e si rileva la potenza di corto circuito Pcc. Si determinano quindi le grandezze:

55
⎧ Pcc
⎪cos ϕcc = 3V I
⎪ cc n

⎪⎪ Vcc
⎨ Z cc = 3 I (3.35)
⎪ n

⎪ Rcc = Z cc ⋅ cos ϕcc ≅ Rs + Rrτ 2



⎪⎩ X cc = Z cc ⋅ senϕcc ≅ ω Lsd + ω Lrdτ
2

3.8.3 Misura delle resistenze

La misura della resistenza statorica si effettua mediante un ponte di Wheastone tra due
morsetti statorici, dopo aver fatto funzionare la macchina per un congruo periodo di tempo al
fine di portare gli avvolgimenti alla temperatura di normale funzionamento.
La resistenza di una fase (se la macchina è collegata a stella) o dell’equivalente a stella di una
fase è data da:

R12 s
Rs = (3.36)
2

dove R12s è la resistenza misurata tra due morsetti di statore.


Analoga misura si effettua tra due anelli di rotore (per le macchine asincrone a rotore
avvolto), si ottiene quindi la misura della resistenza di una fase rotorica:

R12 r
Rr = (3.37)
2

dove R12r è la resistenza misurata tra due morsetti di statore.

Le tre prove ora descritte permettono di identificare i parametri del circuito equivalente di
macchina.

56
3.9 La caratteristica meccanica della macchina asincrona

Si riprende in esame il circuito equivalente di Fig. 3.7 che viene qui riportato per
comodità:

Rrτ2/s L rdτ
2
Rs L sd
. + . . .
Is Ia Io I’r
. .
V . xm Iµ
Es Rfe

-
Fig. 3.10. Circuito equivalente di un motore asincrono.

La potenza di traferro è data, utilizzando la (3.25), da:

Pcur Rτ2
Pt = = 3 r ⋅ I r'2 , (3.38)
s s

e quindi la coppia elettromagnetica, nel caso di macchina ad un paio di poli vale:

3τ 2 Rr '2
C= ⋅ Ir (3.39)
ωs

Viene valutata la caratteristica meccanica con un procedimento approssimato, supponendo


costante e pari alla tensione di rete, la forza elettromotrice indotta negli avvolgimenti statorici
dal flusso di traferro. Ciò significa mantenere costante la tensione di capi dell’impedenza
trasversale del circuito equivalente della macchina asincrona:
La potenza di traferro assume in questa ipotesi la forma:

3E 2 Rr 3E 2 Rr s
Pt = ⋅ =
Rr2 2 (R + s 2 X rd2 )
2
s τ 2 (3.40)
τ + τ 2 X rd2 r
sr

Il valore dello scorrimento per cui si verifica la coppia massima è dato da:

57
Rr
s* = ± (3.41)
X rd
L’andamento della caratteristica meccanica è riportato nella figura seguente:

Cem

0 ωs ωm
S 1 s* 0

Fig. 3.11. Caratteristica meccanica.

I punti caratterisitci della caratteristica meccanica sono:

Co = coppia di spunto (o di avviamento), corrispondente a s = 1;


CM = coppia massima;
s* = scorrimento per cui si ha la coppia massima;
ωs = pulsazione di sincronismo (corrispondente a s = 0).

Per poter modificare la caratteristica meccanica, e quindi la velocità della macchina, si può
intervenire sui seguenti parametri:

a) resistenza rotorica (Rr);


b) ampiezza della tensione di alimentazione (V);
c) frequenza della tensione di alimentazione (fs).

Si esaminano rapidamente le varie possibilità.

3.9.1 Regolazione di velocità agendo sulla resistenza rotorica

Una tecnica poco usata, ma possibile in asincroni a rotore avvolto, è di controllare la


velocità con l’uso di resistenze addizionali di rotore. Aumentando la resistenza rotorica, in
base alla (3.41) aumenta il valore dello scorrimento (s*) per cui si ha la coppia massima e
quindi aumenta anche la coppia di spunto, mentre non si modifica il punto di sincronismo (ωs)
(Fig. 3.12)

58
Cem

Rr

ωm
ωs

Fig. 3.12. Regolazione variando la resistenza di rotore.

3.9.2 Regolazione di velocità agendo sull’ampiezza della tensione di alimentazione

Il metodo più banale consiste nel variare la tensione di alimentazione, mantenendo


costante la frequenza.

Cem
V
Cres

ωs
ωm
∆ωr

Fig. 3.13. Regolazione variando l’ampiezza della tensione di alimentazione.

Si vede in Fig.3.13 che è possibile ridurre la velocità del motore diminuendo il modulo della
tensione statorica applicata. Il problema di questa tecnica è che riducendo il modulo della
tensione statorica si riduce molto anche la coppia motrice: Pertanto il range di regolazione
risulta alquanto limitato. Sarebbe possibile ottenere sensibili variazioni di velocità, a pari
coppia resistente, solo se il motore presentasse una caratteristica statica molto pendente vicino
alla velocità sincrona, il che significherebbe avere motori di basso rendimento, con elevata
resistenza di rotore.

3.9.3 Regolazione di velocità a tensione variabile e a frequenza variabile

I metodi di regolazione più diffusi operano mantenendo il rapporto V /fs costante, cioè
mantenendo costante il valore di flusso al traferro (che differisce di poco dal flusso di statore).
Poiché la coppia motrice è proporzionale al prodotto tra il flusso di statore e la corrente
rotorica, se il flusso di statore è costante la coppia dipenderà dalla sola corrente rotorica:
conviene perciò un funzionamento con flusso massimo per ottenere coppie più elevate a pari
corrente rotorica.
Diminuendo la frequenza statorica di alimentazione fs, a pari V, il flusso aumenta; poiché i

59
motori lavorano vicino alla saturazione, una diminuzione della frequenza non comporta
grandi benefici, perché il flusso non può crescere oltre il valore massimo. Effettuare una
regolazione a flusso costante significa operare in modo che tutte le variazioni di frequenza
siano accompagnate da variazioni proporzionali di tensione.
Si verifica facilmente che la coppia massima non cambia se il rapporto tensione/frequenza è
costante, mentre la coppia di spunto è inversamente proporzionale alla frequenza di
alimentazione e cresce se ωi si riduce. Il funzionamento a flusso costante permette una
dinamica pronta e un buon rendimento energetico, perché il motore lavora sempre con il suo
flusso nominale, a basso scorrimento e con coppia di spunto vicina al suo valore massimo.

Cem
Cmax

Cspunto Pendenze
uguali
ωm
ωs2 ωs1
Fig. 3.14. Regolazione a V/f costante.

3.10 Generazione dell’alimentazione a tensione e frequenza variabili

Un primo problema pratico da risolvere per effettuare una regolazione a flusso costante
è come alimentare un motore asincrono in modo da poter variare indipendentemente il
modulo della tensione di ingresso e la sua frequenza. Supponiamo di avere la disponibilità di
una sorgente di alimentazione in alternata a tensione e frequenza costante (es.: rete ENEL).
Per ottenere una tensione con modulo e frequenza variabile si utilizza uno schema costituito
da un → raddrizzatore più invertitore continua/alternata (inverter) come in Fig. 3.15.

R
L + S
C T
-
Raddrizzatore Filtro Inverter

Fig. 3.15. Alimentazione con modulo e frequenza variabile.

Vediamo rapidamente i principi di funzionamento degli invertitori (o inverter).

3.10.1 Inverter di tensione monofase

L’inverter è un convertitore da una forma d’onda di tensione (corrente) continua a una


alternata e a frequenza variabile. Vediamone il principio di funzionamento nel caso semplice
ed elementare di inverter monofase di tensione.

60
Ci sono due schemi fondamentali:

A) Controfase

Vc
Vc
T1
+ E/2
T1on
- E/2 C
T2off
+
- E/2 Zcarico T1off
T2 T2on t
-E/2
B

Fig. 3.16. Inverter monofase controfase.

L’accensione e lo spegnimento dei tasti T1 e T2 in opportuna sequenza assicura una tensione


di uscita alternata, alla frequenza voluta.
In pratica i tasti si realizzano con coppie diodi di potenza - componenti di interruzione.

(a) Vc (b)
A D1 T 1 D2 T2
E/2
iz
T1 D1
C
T2 D2 t
iz
B -E/2

Fig. 3.17. Inverter monofase: realizzazione dei tasti (a) e forme d’onda su carico ohmico-induttivo (b).

La realizzazione di Fig. 3.17 consente all’inverter di alimentare correttamente anche carichi


non puramente ohmici. In Fig. 3.17(b) è indicato il componente in conduzione nel caso
ohmico-induttivo. Nell’ipotesi di corrente di carico iz positiva (direzione in Figura) essa
scorre attraverso T1 se acceso o attraverso D2 se T1 non conduce. La corrente di carico
commuta da T1 a D2 quando T1 si spegne.

B) A ponte

Chiudendo in sequenza le coppie T1,T2 e T3,T4 si ottiene la forma d’onda di Fig. 3.18b.

61
(a) (b)
Vc T1
Vc T2
E
T1 T3
+
E -
T4 T2
Zc t
-E
T3
T4

Fig. 3.18. Inverter monofase a ponte.

Va notato che a pari energia di alimentazione l’ampiezza della prima armonica della Vc è
doppia nel caso a ponte e che la struttura controfase permette una regolazione in frequenza,
ma non in ampiezza, perché uno dei tasti deve essere sempre chiuso.
La struttura a ponte consente invece una regolazione anche sull’ampiezza della prima
armonica della tensione, perché è possibile, con opportuna logica, ottenere tensioni sul carico
a tre livelli ed è quindi possibile variare l’ampiezza della prima armonica di tensione sul
carico, variando il tempo di conduzione. (Fig. 3.19).

Vc T1
T2
E
T1
T3

T4
T2 t
-E
T3
T4

Fig. 3.19. Inverter monofase a ponte: regolazione di ampiezza a tre livelli.

3.10.2 Inverter di tensione trifase

L’inverter trifase può essere banalmente pensato come un insieme di tre inverter monofase,
pilotati in modo da avere in uscita tre tensioni sfasate di 120° tra di loro (Fig. 3.20).

+
T1 T2 T3 R
S
V
T
T4 T5 T6
-

Fig. 3.20. Schema semplificato di inverter trifase.

62
Capitolo IV

MOTORE BRUSHLESS

4.1 Introduzione

E’ stato introdotto negli anni 80’ con lo sviluppo dell’elettronica di potenza. Il nome
brushless significa ‘senza spazzole’, e sta ad indicare il fatto che questo tipo di macchina non
presenta il collettore e le spazzole che sono invece tipiche del motore in corrente continua. In
questo modo vengono eliminati i difetti principali di questo ultimo.

a) A causa del contatto strisciante tra spazzole e collettore è richiesta una manutenzione
periodica (sostituzione delle spazzole e delle lamelle del collettore) e non è possibile
impiegare tale macchina in ambienti esplosivi.
b) Il rotore ha un elevata massa e quindi la dinamica meccanica è lenta.

4.2 Principio di funzionamento

Il motore brushless è costituito da un rotore su cui alloggiano dei magneti permanenti (è


il circuito induttore) e da uno statore su cui sono disposte, ad esempio, tre fasi (è il circuito di
indotto) come in Fig. 4.1. Sono in commercio anche motori brushless (d’ora in poi indicati
con l’acronimo BDCM- Brushless DC Motor) a due avvolgimenti di statore.

S
3 2

Fig. 4.1. Motore Brushless.

Se si alimentano le tre fasi di statore con tre correnti alternate di frequenza f, opportunamente
sfasate, si avrà in ogni avvolgimento un campo magnetico alternativo. La risultante dei tre
campi sarà un campo magnetico costante in modulo e ruotante con una velocità angolare:

63
f
ωmecc = (4.1)
p

(con p si indica il numero di coppie polari).


Quindi se si fotografa la situazione in un certo istante, si avrà la seguente disposizione del
campo magnetico statorico ΦS (Fig. 4.2).

ΦR θ

Φs
ωm
S
N

S
N

Fig. 4.2. Posizione relativa dei campi magnetici di statore e di rotore. Con tratto
continuo sono indicate le linee di flusso del campo magnetico di statore. Con tratto
spezzato sono indicate le linee di flusso del campo magnetico di rotore.

Si possono individuare i due poli magnetici del campo di statore (si assume per ipotesi p
=1):

- il Nord (N) è la regione dello statore da dove escono le linee di flusso;


- il Sud (S) è la regione dello statore da dove entrano le linee del flusso magnetico.

Poichè sul rotore si ha un bipolo magnetico (N-S), i due campi magnetici (di statore e di
rotore) interagiscono: si creano così delle forze di attrazione tra i poli di segno opposto
(Nstatore - Srotore e Sstatore – Nrotore). Il rotore viene allora ad essere soggetto ad una coppia (di
natura elettrica) che è espressa dalla relazione:

Cm = Φ S Φ R sin θ (4.2)

64
dove: ΦS = intensità del flusso di statore, ΦR = intensità del flusso di rotore e θ è l’angolo
compreso tra le direzioni medie dei due campi.
Per effetto di tale coppia il rotore tenderà a ruotare con una certa velocità angolare (ωm) in
modo da raggiungere l’allineamento tra i due campi . Nel caso in Fig. 4.2 il rotore ruota in
senso orario.
Dalla (4.2) si osserva che la coppia è massima quando i due campi magnetici sono ortogonali
fra loro e nulla quando questi sono allineati.
Quindi per mantenere il rotore in rotazione è necessario avere una certa coppia. Per ottenere
ciò il campo magnetico di statore deve essere sincrono e sfasato (la condizione ottima è che
siano ortogonali) rispetto a quello di rotore.
E’ chiaro che, per mantenere lo sfasamento mentre la macchina ruota, occorrerà commutare
la corrente negli avvolgimenti di statore, in modo dipendente dalla posizione del rotore:
quindi a monte ci dovrà essere un inverter, comandato da un segnale che rileva la posizione
rotorica (ad esempio un encoder). Lo schema completo di un brushless è rappresentato in Fig.
4.3.
L’inverter è un convertitore statico che trasforma una tensione continua in tre tensioni
alternate di cui è possibile regolare la frequenza e l’ampiezza.
In questo caso l’inverter ha la stessa funzione che aveva il sistema spazzole-collettore nel
motore in continua: da ciò nasce il nome di motore in continua senza spazzole.

In un certo senso è una macchina sincrona, perché appunto i campi di rotore e di statore sono
sempre mantenuti sincroni e sfasati tra loro per creare la coppia motrice.

Inverter six-step

Sensori di
velocitá, di
BDCM posizione e
del flusso
rotorico

Misure di
I statorica

Microprocessore

Fig. 4.3. Struttura tipica di un azionamento brushless.

Esistono in commercio due tipi di BDCM:

1. Trapezio (BLDM)
2. Sinusoidale (PMSM)

La differenza è solo costruttiva e dipende dalla disposizione dei magneti e dalle distribuzioni
degli avvolgimenti di statore: in sintesi, nel primo caso la forza elettromotrice indotta avrà
una forma trapezoidale, nell’altro caso sinusoidale.

65
Le tecniche di controllo saranno diverse nei due casi: in particolare nel caso trapezio
l’inverter a monte verrà alimentato due fasi alla volta, nel caso sinusoidale verranno
alimentate insieme le tre fasi.

4.2.1 Vantaggi nell’uso del motore brushless

• Il campo di rotore si deve ad un magnete permanente, quindi nel rotore non ci saranno
perdite apprezzabili. Le uniche perdite saranno nello statore, che però è ben raggiungibile e
facile da raffreddare. E’ una considerazione importante: a pari peso il motore migliore è
quello in grado di fornire più coppia, cioè quello in cui è possibile inviare maggiori
correnti. Il limite superiore della corrente che può essere inviata in un avvolgimento è
dovuto alla temperatura massima che l’isolante dell’avvolgimento può sopportare, perciò
la coppia massima a regime è determinata da considerazioni di tipo termico. La coppia di
picco è invece limitata dalla corrente massima che l’inverter può sopportare.

• Si evita il sistema spazzole-collettore con notevoli vantaggi. Infatti nel motore in continua
il problema di ottenere alte coppie in velocità (es: robot che solleva o sposta un pezzo) è
male affrontato, perché lo scorrimento delle spazzole sulle lamelle del collettore porta, per
fenomeni induttivi, al mantenimento di archi elettrici che saranno sempre più intensi
quanto più elevata è la corrente (alte coppie) e quanto più cresce la velocità.

ia
Spazzola
Verso di
1 rotazione
del collettore
ia
Arco
1

Lamella del collettore

Fig.4.4. Spostamento del contatto spazzola-collettore durante il moto.

Spesso un robot industriale deve compiere un ciclo di lavoro ripetitivo: ad esempio lo


spostamento di un pezzo da un banco di lavoro a un altro (pick and place). In tal caso il
motore compie sempre lo stesso numero di giri a carico, abbandona il pezzo trasportato, si
riposiziona e riprende un nuovo pezzo. Ci sarà perciò uno scintillio dovuto a una
sovracorrente per ogni presa di carico e sempre sulla stessa lamella: quindi un’usura più
rapida del collettore rispetto al caso di un ciclo di lavoro non ripetitivo. E’ il motivo che ha
portato a una delle prime applicazioni industriali del BDCM nelle macchine transfert sulle
linee di produzione della FIAT UNO.
L’assenza di spazzole è quindi vantaggiosa non solo per problemi di manutenzione e di usura,
ma anche perché elimina un sistema pesante, ingombrante e costoso.

• Problemi di peso ed inerzia: il BDCM ha rotori molto leggeri (a volte cavi) e i magneti (in
Samario-Cobalto o in Neodimio-Ferro-Boro) sono incollati solo su di uno strato sottile
superficiale. Ciò riduce di molto il peso ed anche il momento di inerzia del motore.

• Ovviamente non è possibile deflussare il campo, come nel caso del DCM; si può

66
comunque pensare a un deflussaggio elettronico in cui si provvede a variare l’angolo φ tra
flusso statorico e rotorico, agendo sulle correnti di statore, cioè anticipando o ritardando
l’accensione delle fasi statoriche.

4.2.2 Svantaggi nell’uso del BDCM

• Necessità dell’inverter: al costo del motore va aggiunto quello di inverter, sensori e sistema
di controllo.
• Presenza di magneti permanenti del tipo a terre rare, con elevati costi e possibilità di
smagnetizzazioni in alta temperatura (300° per il Sa-Co, circa 100° per il Fe-Ne-Bo).

67
Capitolo V

MOTORE A PASSO

5.1 Caratteristiche generali

I motori a passo sono alimentati da impulsi elettrici ed eseguono per ogni impulso una
rotazione angolare ben definita in una direzione prefissata, esercitando sostanzialmente una
conversione da un segnale numerico di ingresso ad una rotazione continua dell’albero di
uscita. Fino a non molti anni fa era l’unica macchina usata nel campo degli azionamenti,
insieme al motore in continua. Il principio di funzionamento dei motori a passo può
ricondursi alla tendenza delle parti mobili a disporsi per ogni condizione di alimentazione
degli avvolgimenti, nelle posizioni di massima energia al traferro, cioè di minima riluttanza.
In realtà si tratta di un motore di scarsa efficienza, in quanto deve spendere energia sia per
generare il campo, che per interagire con esso, con una generazione di coppia del tipo a
riluttanza. Un motore a passo quindi può essere usato per piccole potenze, ma non appena la
potenza cresce (e supera il KW) diventa inefficiente, in quanto il suo volume aumenta troppo.
Tuttavia può essere considerato come attuatore di posizione, che governa l’apertura di
elettrovalvole di motori idraulici e quindi in senso lato può essere utilizzato in applicazioni di
grande potenza.
Per piccole taglie resta comunque una soluzione molto semplice ed economica: si usa oggi nel
controllo di posizione di macchine utensili, nelle periferiche di calcolatori, nell’industria
tessile, nella fabbricazione di circuiti integrati, nel posizionamento di antenne, plotter x-y,
telecamere, etc.

Caratteristiche peculiari del motore a passo sono:


• l’angolo di passo: angolo nominale di cui ruota il motore soggetto a un impulso (varia in
genere dal centesimo di grado fino a 30°),
• l’errore sul passo: differenza tra il valore teorico e quello effettivo dell’angolo di rotazione,
• la frequenza massima (fA) di alimentazione impulsiva senza carico: la massima frequenza
di impulsi con cui il motore scarico può essere comandato in modo da fermarsi e invertire
il senso di rotazione senza perdere il sincronismo,
• la coppia massima (CM) sviluppata: la coppia massima erogata dal motore quando la
frequenza di alimentazione tende ad annullarsi,
• la coppia di tenuta: la coppia esterna che si può applicare al motore diseccitato senza che
entri in rotazione.

Vediamo di analizzare la caratteristica di funzionamento del motore a passo in funzione della


frequenza degli impulsi di alimentazione (Fig. 5.1).

68
Coppia

CM Curva di pull-out

c
a
b
fA fC Step/s
Curva di pull-in

Fig. 5.1. Regioni di funzionamento del motore a passo.

La regione (a) è di avviamento, limitata superiormente dalla curva di pull-in, che definisce la
frequenza limite di spunto (variabile con la coppia resistente, cioè con il punto di lavoro).
La regione (b) rappresenta il settore in cui a motore avviato è possibile accelerare la sequenza
di impulsi di ingresso senza perdere il passo e non è raggiungibile partendo da motore fermo.
Le regioni (b) e (c), limitate superiormente dalla curva di pull-out, rappresentano la zona di
frenata in cui è possibile fermare il motore in un solo passo. Va notato che è una regione più
ampia di (a), per l’azione favorevole dell’attrito. Per frequenze superiori a fC il motore non
risponde, cioè non si ha più funzionamento oltre la caratteristica di pull-out.
Una possibile classificazione dei motori a passo si basa sulla diversa geometria costruttiva e
distingue due tipologie di base:

- a riluttanza variabile;

- a magnete permanente.

5.2 Motori a passo a riluttanza variabile

Sulla superficie interna dello statore (è la parte fissa della macchina) sono presenti nS
denti uniformemente distribuiti. Su ogni coppia di denti diametralmente opposti è presente un
avvolgimento che costituisce una fase della macchina. Quindi sullo statore si ha un numero di
fasi pari:

ns
q= (5.1)
2

Il rotore è di ferro dolce epresenta sulla superficie esterna un numero di denti nr pari a:

nr = ns ± 2 (5.2)

Per spiegarne il principio di funzionamento si prende in esame il motore rappresentato in Fig.


5.2.a con nS = 6, nr = 4 e q = 3, con le fasi contraddistinte dalle lettere A, B e C.
Si parte dalla configurazione rappresentata in Fig. 5.2.a. Si alimenta solo la fase A con una
corrente costante iA = I (iB = iC = 0). Nasce un campo magnetico le cui linee di flusso sono
dirette dal polo N (le linee sono uscenti dal polo Nord) al polo Sud. Queste linee di flusso
seguono un percorso di minima riluttanza e quindi tendono a passare atraverso i denti del

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rotore che sono prossimi alla fase A, anzichè muoversi lungo il diametro che congiunge i due
denti della fase eccitata (Fig. 5.2.b).
A causa di ciò i denti di rotore interessati dal flusso magnetico vengono magnetizzati
(fenomeno di polarizzazione magnetica) e quindi si creano dei poli magnetici indotti: dove le
linee di flusso entrano si crea un Sud, da dove escono si crea un Nord (Fig. 5.2.b).
I poli magnetici di statore e di rotore interagiscono: si creano delle forze di attrazione tra poli
di segno opposto e quindi una coppia elettromotrice (Cem) che fa ruotare il rotore di un angolo
θ, detto passo angolare (osservare il movimento del punto P) in modo da allineare i poli di
segno opposto (Fig. 5.2.c). Il principio di funzionamento è a minima riluttanza: quando la
corrente di eccitazione percorre l’avvolgimento statorico A, il rotore si dispone in modo da
offrire la minima riluttanza magnetica (cioè la massima induttanza e il massimo flusso).

Α iA Α

C Β N
B C
S

P P

N
B C Β
C S

Α Α
iA
(a) (b)
iA Α Α

N C C
Β Β
S θ iB N

P S
P N

N
S iB
Β
θ
C C
S Β

Α Α
iA
(c) (d)

Fig. 5.2. Motore a passo a riluttanza variabile.

Si può dimostrare che per piccole variazioni di θ, la coppia motrice vale:

70
1 dL
Cem = iA2 (5.3)
2 dt

Se adesso si diseccita la fase A e si alimenta la B (iB = I, iA = iC = 0) si avrà una situazione


identica a quella descritta precedentemente e al termine del transitorio il rotore avrà compiuto
un altro passo angolare (Fig. 5.2.d). Alimentando in sequenza le varie fasi il rotore compie un
moto continuo (Fig. 5.3). Ogni volta che varia la fase alimentata il rotore si sposta di un
passo. Se cambia il verso di alimentazione (da A-B-C a C-B-A) delle fasi statoriche, cambierà
il verso di rotazione del motore. Da notare che se la sequenza di alimentazione delle fasi è (A-
B-C), ossia in senso antiorario, si ha una rotazione del rotore in senso orario.

Correnti nelle fasi statoriche


iA
t
iB
t
iC
t
Posizione del rotore


θ

Fig. 5.3. Sequenza di alimentazione delle fasi. Sequenza A-B-C-B.

Quindi il motore presenta un’opportuna logica di controllo in modo da alimentare le fasi nella
sequenza corretta (Fig. 5.4). Un parametro importante del motore è la frequenza massima di
funzionamento del motore: tra un impulso e l’altro deve trascorrere un certo tempo per
consentire al rotore di compiere il passo polare. Se tale limite non è rispettato c’è il rischio
che il motore perda il passo.

Motore a Passo
A

Logica di B
Controllo C

Fig. 5.4. Schema completo di un motore passo passo.


Il fatto che il numero dei denti di rotore differisce da quello di statore secondo la relazione

71
(5.2) garantisce che non si potrà mai verificare la situazione in cui i denti di statore sono già
allineati a quelli della fase che deve essere alimentata (se si verificasse ciò ovviamente non si
avrebbe la rotazione angolare e il motore sarebbe in stallo).

Si determina il passo angolare (θ). Si definiscono le seguenti grandezze:

⎧ 360
⎪ θ s =
⎪ ns
⎨ (5.4)
⎪θ = 360
⎪⎩ r nr

L’angolo di passo è:

θ = θs − θr (5.5)

Nel caso in esame con ns = 6 e nr = 4 si ha θ = 30°, quindi ad ogni impulso il rotore compie
una rotazione di 30°.

Quello descritto è il funzionamento del motore a singolo passo, poichè si alimenta una sola
fase alla volta. Nel funzionamento detto a multipasso si alimentano più fasi
contemporaneamente. Modulando in modo opportuno le correnti nelle singole fasi si riesce a
farsì che il campo magnetico risultante sia posizionato in modo intermedio tra le fasi e quindi
è possibile far compiere rotazioni inferiori al passo angolare. Ad esempio, ritornando al caso
in esame, alimentando contemporaneamente le fasi A e B con due correnti uguali, il campo
risultante è posizionato nella mezzeria tra i due denti e quindi il motore ruoterà di un angolo
pari a metà del passo angolare.
Per ottenere un passo angolare ridotto (inferiore al 1/100 di grado) occorre avere un
numero elevato di fasi e applicare la strategia di controllo multipasso).

5.3 Motori a passo a magnete permanente

Il rotore è un magnete con pr poli. Lo statore contiene 2 fasi (A, B) avvolte in modo da
creare lo stesso numero di poli del rotore. Il numero dei denti di statore è:

ns = 2 pr (5.6)

Nel caso in Fig. 5.5 si ha pr = 4 e quindi ns = 8.


Si parte dalla situazione di Fig. 5.5.a in cui è alimentata la fase A e i poli di rotore sono
allineati a quelli della fase A. Se adesso si diseccita la fase A e si alimenta la fase B in modo
da creare una successione di poli di statore come rappresentato in Fig. 5.5.b. il rotore ruoterà
di un passo angolare (θ) in modo da allineare i sui poli a quelli di statore. Se adesso si
diseccita la fase B e si alimenta la fase A in modo da creare la situazione illustrata in Fig.
5.5.c. il rotore compie un nuovo passo angolare nello stesso verso. Se la corrente nella fase A
avesse avuto segno opposto, il rotore sarebbe ruotato ancora di un passo angolare, ma in verso
opposto.

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Il passo angolare in questo caso è definito:

360
θ= (5.7)
ns

Nel caso in esame θ = 45°.

Fig.5.5. Motore a passo a magnete permanente.

E’ un motore che, rispetto a quello a riluttanza variabile, mantiene la posizione da spento a


causa di una piccola coppia dovuta al magnetismo residuo dello statore.
Va notato che, se controllato a ciclo chiuso con sensori di posizione del flusso rotorico,
questo tipo di motore si comporta con la stessa logica di funzionamento del brushless DC
motor.

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Riferimenti Bibliografici

Parte del materiale raccolto è stato preso dai seguenti libri:

[1] Oliveri e Ravelli: ‘Elettrotecnica - volume secondo – Macchine elettriche’, Edizioni


CEDAM.

[2] Landi, A.: ‘Lezioni di Motion Control’, ETS Pisa, 1998.

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