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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

I mostri umani nel


Vocabularius dictus Lactifer
di Jan VodÚansk˝

Jan VodÚansk˝ (Iohannes Aquensis), conosciuto anche come Jan


da VodÚany oppure come Jan Bos·k VodÚansk˝, nacque nella
località di VodÚany attorno allíanno 1460 nella famiglia di un
cittadino della classe media che avviò il figlio alla carriera ec-
clesiastica. Nel 1473 giunse a Praga per intraprendere gli studi
nella scuola presso la chiesa di SantíEnrico; nel 1480 il nome di
Ioannes de Wodnana si ritrova nellíelenco degli studenti iscritti
allíuniversità di Praga.1 Dopo una breve permanenza in un mo-
nastero di Praga, si stabilì dapprima a Jind¯ich˘v Hradec, dove
già nel 1478 era stato costruito un monastero francescano. In
seguito visse o a HoraûÔovice nel monastero francescano fondato
dopo il 1480 oppure nel monastero di BechynÏ, che venne di-
strutto durante le rivolte hussite per poi essere ricostruito di nuo-
vo da parte di Zdislav da äternberk e affidato nel 1491 ai fran-
cescani. Morì molto probabilmente a BechynÏ dopo il 1534.2

1
Cf. Liber decanorum facultatis philosophicae universitatis Pra-
gensis, II, in: Monumenta historica universitatis Carolo-Ferdinandeae
Pragensis, I, Praga 1832, pag. 142.
2
Cf. J. Truhl·¯, O ûivotÏ a spisech zn·m˝ch i domnÏl˝ch bos·ka Jana
VodÚanskÈho, in: »asopis musea kr·lovstvÌ ËeskÈho, 58, 1884, pag. 524ñ
547.

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Jan VodÚansk˝ fu soprattutto un predicatore e un autore di


scritti di carattere religioso. Richiestogli ìdai suoi fratelli e da
altri uomini istruitiî per loro beneficio, compilò anche un cor-
poso dizionario latino-ceco per il quale, così come si legge
nellíintroduzione ceca e in quella latina, attinse alla ricca e fe-
conda lingua latina e tradusse in ceco pressochÈ tutti i termini
necessari per comprendere appieno i testi dei sapienti che scris-
sero in quella lingua. Se pertanto i fratelli cechi e slovacchi leg-
geranno questo vocabolario, non solo comprenderanno ciò che
è contenuto negli scritti degli autori latini, ma potranno suc-
cessivamente continuare ad ampliare i loro pensieri in lingua
ceca, la quale è allo stesso modo ricca, eloquente e piacevole
allíorecchio come il greco o il latino.3 Il nostro autore poi con-
tinua sulla stessa linea nella parte successiva della sua intro-
duzione: tutte le lingue barbare nazionali gioiscono e si ralle-
grano del fatto che si possono avvicinare alla lingua latina come
se fosse la propria madre e la nutrice eletta dal Signore e at-
traverso essa aspirare alla gloria dei cieli. Per questo motivo
anchíegli considerò necessario dare ascolto alle preghiere dei
suoi fratelli e operare affinchÈ anche i Cechi avessero il loro
vocabolario, su cui avrebbero potuto di tanto in tanto, così come
gli altri popoli, appoggiare lo sguardo e assopirsi. Intitolò la
sua opera Lactifer (ossia ìPortatore di latteî), poichÈ si impe-
gnava a fornire non solo nutrimento ai più grandi, ma anche latte
ai più piccoli.4 E Jan VodÚansk˝ ancora una volta per conclu-
dere sottolinea líorientamento della sua opera nei versi che ter-
minano líintroduzione:

3
Cf. Jan VodÚansk˝, Vocabularius dictus Lactifer, fol. A 1rñ2ra (per
il testo latino vide supra, introduzione in ceco, nota 3).
4
Cf. Jan VodÚansk˝, Vocabularius dictus Lactifer, fol. A 2rañ2rb (per
il testo latino, vide supra, introduzione in ceco, nota 4). Cf. J. Truhl·¯,
O ûivotÏ a spisech zn·m˝ch i domnÏl˝ch bos·ka Jana VodÚanskÈho, pag.
536ñ537.

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Ad lectorem

Suscipe hec gratanter, que minor offero frater.


Ad laudem trino, lector, bissena tibi propino
pocula librorum doque potum vocabulorum.
Lactis quidquid suxi, ubere latino id duxi
tradere; hec visa, lima ducta sepe revisa
tribuo, nec lactis dulcor cedat quibusvis pactis.
Maneat taliter lac<ti>fer vocabularius semper.
Post mile quingen (datur) teno annoque octeno.

Secondo le informazioni presenti alla fine del vocabolario, Jan


VodÚansk˝ terminò la sua opera a HoraûÔovice nel 1508, per poi
pubblicarla a PlzeÚ nel 1511.5
Il Vocabularius dictus Lactifer è una delle ultime opere di una
serie di compilazioni lessicografiche medievali al cui inizio si
trovano le Etymologiae di Isidoro di Siviglia (Ü 636). Sulla base
dellíenciclopedia di Isidoro, dei glossari tardo antichi e di quelli
dellíAlto Medioevo, Papia compose nella prima metà dellíXI
secolo la sua opera Elementarium doctrinae rudimentum, che
costituì una fonte importante delle cosiddette Derivationes, vo-
cabolario scritto da Osberno nel XII secolo, e della omonima
opera di Uguccione da Pisa composta a cavallo tra il XII e il XIII
secolo. Da questi vocabolari attinse poi Giovanni da Genova per
la sua opera Catholicon terminata nel 1286 e anche gli autori dei
lavori lessicografici che operarono nel XIV e nel XV secolo.6

5
Cf. Jan VodÚansk˝, Vocabularius dictus Lactifer, fol. oo 8va: Do-
minica in conductu pasce anno Domini MCCCCoVIIIo terminatum est
hoc opus. Segue un distico in cui líautore riporta il suo nome, il luogo di
residenza e quello di origine: Iuxta Horaûdiowicz degit Janus, qui ista
dedit. / Genuit Aquensis civis hunc dans artibus divis.
6
Per i lavori di lessicografia della tarda antichità e del medioevo cf. ad
es. O. Weijers, Lexicography in the Middle Ages, in: Viator, 20, 1989,
pag. 139ñ153.

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Come modello per i primi tre libri del Vocabularius di Jan


VodÚansk˝, in cui sono contenuti in ordine alfabetico i nomi,
i verbi e gli avverbi, viene considerato il Vocabularius brevilo-
quus compilato dallíumanista tedesco Johannes Reuchlin (1455ñ
1522).7 Questa opera lessicografica fu pubblicata per la prima
volta a Basilea nel 1475ñ1476 e successivamente ancora molte
altre volte verso la fine del XV e líinizio del XVI secolo a Ba-
silea, Colonia, Strasburgo e Norimberga. Johannes Reuchlin fu
non solo un grande conoscitore del latino, ma dominava anche
il greco e líebraico e, oltre a una grande quantità di traduzioni
dal greco e dal latino, nel 1506 pubblicò anche un vocabolario
ebraico-latino dal titolo De rudimentis Hebraicis.8
Per la compilazione del vocabolario latino, Johannes Reuchlin
utilizzò uníenorme quantità di fonti i cui autori vengono citati
qua e là. Oltre ai lessicografi medievali (al primo posto Papia,
Giovanni da Genova e Guillelmus Brito), vengono citati ad
esempio Plinio il Vecchio, Orazio, Virgilio e Lucano tra i prosa-
tori e i poeti classici latini, soprattutto San Girolamo e SantíAgo-
stino per quanto riguarda le opere dei Padri della Chiesa, e anche
gli scritti di una serie di autori medievali, tra i tanti Isidoro di
Siviglia e Beda il Venerabile.9 A differenza delle opere les-
sicografiche precedenti, Johannes Reuchlin suddivise il suo vo-
cabolario in tre parti, in cui tratta per prima cosa i nomi (questa
parte occupa più dei due terzi dellíintero contenuto del voca-
bolario), e successivamente i verbi e gli avverbi, allo stesso tem-
po in ognuna delle sezioni scelse di ordinare alfabeticamente le

7
Cf. D. MartÌnkov·, St¯edovÏkÈ vokabul·¯e a SlovnÌk st¯edovÏkÈ
latiny v Ëesk˝ch zemÌch, in: Listy filologickÈ, 122, 1999, pag. 34ñ35. Su
Johannes Reuchlin cf. L. Geiger, Johann Reuchlin. Sein Leben und seine
Werke, Leipzig 1871.
8
Per le attività di Reuchlin nel campo della lingua greca e di quella
ebraica cf. L. Geiger, Johann Reuchlin, pag. 92ñ102 (traduzioni dal
greco), 103ñ145 (traduzioni dal greco), 103ñ145 (studi sullíebraico,
opere lessicografiche e di grammatica).
9
Cf. L. Geiger, Johann Reuchlin, pag. 69ñ71.

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voci. Spesso i singoli concetti vengono presentati con líaiuto di


sinonimi e la spiegazione linguistica (estesa in numerosi punti
anche allíetimologia) viene completata alle volte anche da un
commento esplicativo.
Jan VodÚansk˝ nei primi tre libri del suo vocabolario riprese
molto spesso il testo di Johannes Reuchlin in modo letterale o
con minimi cambiamenti e vi aggiunse solamente delle glosse in
ceco e i termini equivalenti dei lemmi. La dipendenza dal voca-
bolario dellíumanista tedesco però si manifesta non solo nellíe-
sposizione dei singoli concetti e nella concezione di questa parte
del vocabolario, ossia la divisione di tutte le parole in tre cate-
gorie grammaticali, ma anche in un altro approccio che entrambi
gli autori applicano nelle loro opere. Jan VodÚansk˝ già nella
sua introduzione in latino riporta che ad esempio nella lettera A
alla voce avus si citano altri termini in rapporto di parentela e
alla voce Africa riporta i nomi di dodici venti; nella lettera B alla
voce brachium espone i termini che indicano gli organi interni ed
esterni del corpo umano; nella lettera F alla voce Februarius
spiega i nomi di ciascun mese dellíanno; alla voce feria i singoli
giorni della settimana, ecc.10
Sebbene questo approccio si ritrovi effettivamente anche nel
vocabolario di Johannes Reuchlin, Jan VodÚansk˝ lo applicò
nella sua opera in un modo diverso. Alle volte riprese comple-
tamente o quasi alla lettera il testo di Reuchlin, come ad esempio
nel caso dellíelenco delle dieci Sibille oppure nellíesposizione
dei dieci nomi di Dio, dove vi aggiunse solo gli equivalenti ce-
chi.11 Altrove la versione del suo modello lo ispirò nellíinserire
in un unico punto la spiegazione dei concetti appartenenti allo

10
Cf. Jan VodÚansk˝, Vocabularius dictus Lactifer, fol. A 2vañ2vb.
11
Cf. Johannes Reuchlin, Vocabularius breviloquus, fol. G 1rb e fol.
E 3ra; Jan VodÚansk˝, Vocabularius dictus Lactifer, fol. T 5vbñ6ra e fol.
S 5vbñ6ra. Gli autori medievali si tramandavano la spiegazione dei dieci
nomi di Dio sulla base del testo di Isidoro di Siviglia, Etymol. VII,1,3ñ
17; qua e là la sua versione è conservata in Reuchlin pressochÈ senza
mutamenti, altrove si presenta più o meno ridotta.

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stesso campo tematico, nonostante questo però il suo testo si


differenzia da quello di Reuchlin. Ad esempio nel passo riguar-
dante le dodici tipologie di venti che si trova sotto la voce Afri-
cus in entrambi i vocabolari il nostro autore riprese da Reuchlin
solamente alcuni dettagli della prima lunga parte del suo testo e
successivamente solo la conclusione, dove cambiò líordine delle
frasi.12 Altri passaggi complessivi nel nostro Vocabularius sono
invece già il risultato dellíiniziativa di Jan VodÚansk˝ oppure
derivano da uníaltra fonte fino ad oggi sconosciuta. La spie-
gazione dei quattro liquidi corporei, riportata nel libro riguar-
dante i nomi che iniziano con la lettera F alla voce phlegma, non
si ritrova nel vocabolario di Reuchlin e non vi ritroviamo nep-
pure la breve sintesi sulle quattro interpretazioni delle Scritture
sacre che Jan VodÚansk˝ inserì sotto la voce theopologia
(= tropologia), nemmeno líenumerazione dei dodici segni zodia-
cali, che incluse nella lettera Z alla voce zodiacus. 13 I singoli
termini che il nostro autore raccolse in queste spiegazioni sinte-
tiche sono invece inserite indipendentemente nel vocabolario
di Johannes Reuchlin sotto le rispettive lettere dellíalfabeto,
ossia ad esempio nel caso dei liquidi corporei sotto la lettera C
(colera), M (melancholia) e P (phlegma),14 e allo stesso modo

12
Cf. Johannes Reuchlin, Vocabularius breviloquus, fol. B 2vañvb;
Jan VodÚansk˝, Vocabularius dictus Lactifer, fol. A 8ra. Anche la de-
scrizione dei dodici venti veniva ripresa dagli autori medievali vero-
similmente da Isidoro di Siviglia in una versione più succinta, Etymol.
XIII,11,2ñ14.
13
Cf. Jan VodÚansk˝, Vocabularius dictus Lactifer, fol. Q 5rañrb, X
6vb, Y 7vb. Cf. anche la spiegazione dei dodici mesi dellíanno nella
lettera F alla voce Februarius (fol. I 2vbñ3rb), dei tre settori della far-
macia (genus pharmacenticum, dieticum, cirnicum) nella lettera F alla
voce pharma (fol. Q 4va), nepos, nurus, consobrini e altri ancora nella
lettera A alla voce avus (fol. C 5rañrb).
14
Cf. Johannes Reuchlin, Vocabularius breviloquus, fol. h 6ra (co-
lera), fol. v 1va (melancholia), fol. A 7vb (phlegma); la voce sanguis
non è riportata qui.

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anche gli altri termini dei gruppi discussi precedentemente, seb-


bene la spiegazione di Jan VodÚansk˝ alle volte collida coi sin-
goli concetti presenti in Johannes Reuchlin e alle volte diverga
completamente.
Nonostante alcune differenze nei testi dei due autori, tuttavia
líipotesi di una diretta dipendenza della prima parte del Vocabu-
larius di Jan VodÚansk˝ dal vocabolario dellíumanista tedesco
è attualmente indubitabile. Al contrario di questo, la fonte es-
senziale per la seconda parte, una piccola enciclopedia sulla
natura articolata in nove libri, rimane incerta. Il contenuto delle
singole sezioni è il seguente:

ñ mostri umani (IV: De monstruosis hominibus, fol. ii


3vañ8rb)
ñ malattie (V: De infirmitatibus humani corporis, fol. ii
8rbñkk 4va)
ñ alberi (VI: De arboribus, fol. kk 4vañll 1vb)
ñ erbe (VII: De herbis, fol. ll 1vbñmm 2va)
ñ pietre (VIII: De lapidibus, fol. mm 2vañ8rb)
ñ uccelli (IX: De avibus, fol. mm 8rbñnn 6rb)
ñ quadrupedi (X: De animalibus, fol. nn 6vañoo 2rb)
ñ pesci (XI: De piscibus, fol. oo 2rbñ4vb)
ñ serpenti e vermi (XII: De serpentibus et vermibus, fol.
oo 4vbñ8vb).15

Dana MartÌnkov·, nel suo contributo sui vocabolari medievali


provenienti dalla Boemia, rifiuta la tesi secondo la quale anche
per questi libri Jan VodÚansk˝ avrebbe attinto al vocabolario di
Reuchlin completando questi estratti con appunti ricavati da altre
fonti e presuppone come fonte principale piuttosto uníopera per
la quale líenciclopedia di Tommaso di CantimprÈ De natura
rerum era stata una significativa fonte di conoscenze. Queste
affermazioni vengono comprovate dal confronto di due passi del

15
Líautore spiega la struttura della sua opera nellíintroduzione, cf. Jan
VodÚansk˝, Vocabularius dictus Lactifer, fol. A 2vbñ3rb.

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Vocabularius di Jan VodÚansk˝ che coincidono in una certa


misura col testo di Tommaso di CantimprÈ.16
Gli esempi riportati confermano effettivamente che nella se-
conda parte del Vocabularius di Jan VodÚansk˝ si manifesta
líinfluenza di diverse fonti antiche e medievali (tra gli altri anche
Tommaso di CantimprÈ), non esclude però il vocabolario di Jo-
hannes Reuchlin come una delle fonti, a cui ricollegano alcune
spiegazioni simili, concordanze ortografiche delle voci scritte
e identici errori. Jan VodÚansk˝ avrebbe potuto estrarre dal vo-
cabolario di Reuchlin una lista essenziale di nomi, suddividen-
doli in nove libri e quindi completandoli a seconda dellíargo-
mento con termini e passi trovati in altri testi medievali. Questa
ipotesi è sostenuta dalla presenza di termini che si ritrovano in un
significato specifico solo nel vocabolario di Johannes Reuchlin e
in quello di Jan VodÚansk˝.17 Questa ipotesi però prevederebbe
che Jan VodÚansk˝ avrebbe dovuto avere a disposizione non
solo i vocabolari di Reuchlin e di Papia, ma anche una cospicua
quantità di altre fonti specialistiche. Che sia andata veramente
così, viene provvisoriamente confermato dallíanalisi delle fonti
del quarto libro del Vocabularius riguardante i mostri umani (De
monstruosis hominibus).

16
Cf. D. MartÌnkov·, St¯edovÏkÈ vokabul·¯e, pag. 36ñ37. Il primo di
questi passi tratta del popolo indiano dei Bramini e il secondo del bi-
sonte.
17
Ad esempio nel dodicesimo libro contenente le definizioni degli
insetti e dei rettili compare il nome del serpente anguipes, che non si
ritrova nÈ in Isidoro di Siviglia, nÈ in Tommaso da CantimprÈ e nem-
meno in altre trattazioni di zoologia, lo riportano però alcuni lessicografi
medievali e pure Johannes Reuchlin. In Giovanni da Genova e in Uguc-
cione da Pisa tuttavia si tratta di un aggettivo col significato di ìcolui che
ha i piedi di serpenteî (come esempio di creature simili vengono indicati
i Giganti), mentre per Johannes Reuchlin si tratta di un sostantivo che
indica un tipo di serpente coi piedi, sebbene nel passo successivo anche
lui affermi che è pure un attributo dei Giganti. Jan VodÚansk˝ lasciò il
riferimento ai Giganti, collocò la parola anguipes come un sostantivo tra

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Il quarto libro del Vocabularius riguardante


i mostri umani

ìPer questo motivo il Creatore di tutte le cose volle formare per


il genere umano degli esseri diversi, affinchÈ non gli venisse a
disgusto un mondo in cui tutto apparisse uguale. Perciò mi sono
assunto la responsabilità di compilare, per quanto ne fossi ca-
pace, una trattazione su questi diversi e svariati uomini, per unire
i fiori ad altri fiori e offrire ai lettori un poí di sapore, affinchÈ
anche loro possano godere assieme a me della varietà del mondo
creato da Dio, per poi pervenire a quellíunico fiore di campo,
nostro Signore Gesù Cristo (verso il cui profumo tutti noi ci
precipitiamo e in cui meravigliosamente è incluso ogni diletto)
e in esso rimanere in eterno.î Con queste parole Jan Bos·k Vod-
Úansk˝ chiude il quarto libro dellíultima parte del suo Voca-
bularius, 18 il cui argomento sono i mostri umani. Anche se il
termine ìmonstrumî significa qualcosa di non abituale, che si
discosta da una forma o dimensione ìnormaleî, qualche mani-
festazione terribile o qualche fenomeno che risveglia lo stupore
e líorrore, e conseguentemente poi un mostro umano o anima-

i nomi dei serpenti e rese il testo latino di Reuchlin serpens, qui habet
pedes col ceco had nohaty. Cf. Giovanni da Genova, Catholicon, s. v.
Anguipes (similmente Uguccione da Pisa, Derivationes, A 195,5): An-
guipes. Anguis componitur cum pes et dicitur anguipes, -dis..., id est
habens anguinos pedes, sicut fuerunt Gigantes, qui dicti sunt habuisse
anguinos pedes vel quia astuti sunt ad modum serpentis, vel quia serpe-
bant in terrenis tantum in eis confidentes; Johannes Reuchlin, Vocabula-
rius breviloquus, fol. c 2rb: Anguipes, o. t., dicitur serpens, qui habet
pedes. Unde per transumptionem Gigantes dicuntur anguipedes, quia ad
instar serpentis astuti erant et sapientes, vel quia serpebant in terrenis,
in quibus confidebant; Jan VodÚansk˝, Vocabularius dictus Lactifer, fol.
oo 5ra: Anguipes, o. t. Had nohaty.
18
Vide infra testo latino, pag. 26.

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lesco, una creatura repellente, raccapricciante,19 dal testo del


Vocabularius qui citato risulta che il suo autore non guardava
con disgusto o con terrore gli esseri umani definiti nel titolo
come mostri; sembra piuttosto che il suo scopo fosse quello di
divertire il lettore e, allo stesso tempo, di istruirlo sui più di-
sparati tipi di individui inconsueti, i quali, sia che vivessero
vicino a lui o in paesi lontani, fanno parte delle creature di Dio
e sono una componente colorita del mondo che circonda líuomo.
Qual era quindi il significato dei termini latini monstrum e
monstruosi homines nellíetà classica e nel medioevo?20 Questi
due termini in entrambi i periodi storici indicavano dei mostri
umani in quanto tali oppure il loro significato poteva anche
essere più ampio, come se ne deduce dal testo del Vocabularius?
E la parola monstrum si usava per indicare tutti gli esseri umani
che sembravano in qualche modo bizzarri e interessanti allíuomo
medievale? E al contrario, gli autori classici e medievali usavano
per questi curiosi individui umani sempre la denominazione di
monstrum?
I Greci e i Romani effettivamente definivano come mostri solo
quelle persone che dalla nascita erano affette da qualche grave e
innaturale deformazione corporea, quindi con un aspetto mo-
struoso, eventualmente anche le creature in cui si mischiavano
elementi animaleschi e umani, come fu ad esempio un ragazzo

19
In latino esistono, oltre al sost. monstrum, anche i termini portentum
e prodigium connessi alla pratica della divinazione, i quali avevano in
primo luogo il significato di segno divinatorio negativo, successiva-
mente sono passati a significare (assieme al sinonimo ostentum) anche
una manifestazione terribile, un essere deformato e raccapricciante.
20
Sul tema dei mostri umani esiste una ricca bibliografia. Cf. soprat-
tutto R. Wittkower, Marvels of the East, in: Journal of the Warburg and
Courtauld Institutes, 5, 1942, pag. 159ñ197; J. B. Friedman, The Mon-
strous Races in Medieval Art and Thought, Cambridge (Mass.) ñ London
1981; C. Kappler, Monstres, dÈmons et merveilles à la fin du Moyen Age,
Paris 1980; D. Williams, Deformed Discourse: The Function of the Mon-
ster in Medieval Thought and Literature, Exeter 1997; C. Lecouteux, Les
monstres dans la pensÈe mÈdiÈvale europÈenne, Paris 1999.

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che, secondo la testimonianza di Valerio Massimo, nacque con la


testa di leone.21 Simili individui nascevano secondo la loro im-
maginazione contra naturam, quindi in disaccordo con la natura,
contro líordinamento naturale, e spesso per questo motivo erano
percepiti come un avviso di qualcosa che avrebbe avuto luogo
nellíimmediato futuro, come avvertimenti divini.22 A differenza
di quegli medievali, gli autori classici utilizzavano per le popo-
lazioni esotiche o per i personaggi della mitologia23 raramente
líindicazione t≠raq e monstrum. Di solito si riferivano a loro
definendoli semplicemente come esseri umani (•nurvpoi, ho-
mines) o come popoli (∞unoi, populi, gentes), oppure, se scrive-
vano di loro a proposito delle varie cose insolite e straordinarie
che era possibile vedere in paesi lontani, li includevano tra le
meraviglie e le curiosità (ua’mata, miracula) di quelle regioni
remote. Questa attitudine è evidente soprattutto in Plinio il Vec-
chio, che nella sua enciclopedia Naturalis historia tratta di nu-
merose creature, prodigi o qualità dei fatti appartenenti al mondo
della fantasia, ma le considera di solito in maniera scettica e
mette in dubbio la loro esistenza;24 invece nei testi dedicati alla

21
Cf. Valerio Massimo, Facta et dicta memorab. I,6,5. Cf. anche
Fronto, Diff., pag. 520, che definisce come mostro il Minotauro: Ö mon-
strum est contra naturam, ut est Minotaurus.
22
Cf. Festo, De verb. signif., pag. 147,151, che presenta come esempio
un serpente con le gambe, un uccello con quattro ali e un uomo con due
teste, e Servio, In Aen. III,366: prodigium, portentum et monstrum modi-
co fine discernuntur, sed confuse pro se plerumque ponuntur. Varro sane
haec ita definit: ostentum, quod aliquid hominibus ostendit; portentum,
quod aliquid futurum protendit; prodigium, quod porro dirigit; Ö mon-
strum, quod monet. Cf. per lo stesso argomento più dettagliamente J. B.
Friedman, The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, pag. 111.
23
Come mostri sono definiti ad esempio il Ciclope Polifemo in Vir-
gilio, Aen. III,658, e i Giganti in Ovidio, Fasti, V,35.
24
Cf. ad esempio líatteggiamento diffidente di Plinio il Vecchio ver-
so líorigine della pietra lyncurium dallíurina della lince, Natur. hist.
XXXVII,53: Ego falsum id totum arbitror nec visam in aevo nostro
gemmam ullam ea appellatione.

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geografia menziona tra le diverse popolazioni le creature umane


che successivamente sarebbero state annoverate tra i mostri da
parte degli autori medievali, senza ostentare la benchÈ minima
incredulità che questi individui vivano veramente oppure senza
colorare la sua esposizione con qualche espressione di condanna.
Il più esteso passaggio dedicato a questa tematica è introdotto
dalla frase: Praecipue India Aethiopumque tractus miraculis
scatent, e il passaggio termina con líespressione: Haec atque
talia ex hominum genere ludibria sibi, nobis miracula, ingeniosa
fecit natura.25 È evidente quindi che il contenuto della descri-
zione di Plinio consiste in fatti e fenomeni particolari, stupe-
facenti oppure anche strani, i quali forse risvegliano stupore,
però non orrore e spavento. Plinio il Vecchio adopera solo ec-
cezionalmente líespressione monstrum nel caso di esseri umani,
ad esempio quando in un passaggio riguardante alcune popola-
zioni sciite cannibali commenta che a dir la verità può sembrare
incredibile, ma pure un tempo esistevano dei mostri simili, cioè
i Ciclopi e i Lestrigoni.26 Anche altri autori classici ebbero lo
stesso rapporto nei confronti delle popolazioni esotiche come lo
aveva Plinio.27 Le trattazioni medievali sugli esseri strani e de-
formati però furono influenzate, oltre che da Plinio, soprattutto
dalle opere di due autori della prima età cristiana, ovvero Agosti-
no e Isidoro di Siviglia.
Agostino, che nel sedicesimo libro della sua opera De civitate
Dei aveva ripreso una porzione del testo di Plinio, modificò
in due direzioni diverse líatteggiamento originale degli autori
antichi. Da un lato utilizzò per gli esseri umani e per le popo-

25
Cf. Plinio il Vecchio, Natur. hist. VII,21 e VII,32.
26
Cf. Plinio il Vecchio, Natur. hist. VII,9.
27
Cf. ad esempio Aulo Gellio, Noctes Att. IX,9, che riprende Plinio il
Vecchio: ... atque esse item alia aput ultimas orientis terras miracula,
homines, qui monocoli appellentur, singulis cruribus saltuatim cur-
rentes, vivacissimae pernicitatis...

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

lazioni poco abituali líespressione monstrosa hominum genera,28


dallíaltro espresse líopinione secondo la quale questi esseri ap-
partengono alle creature di Dio: ìÖ anche nellíipotesi che in un
luogo qualunque nasca un uomo, cioè un animale ragionevole
mortale, quantunque presenti ai nostri sensi una insolita tipologia
somatica di forma, di colore, di movimento, di voce o di carat-
teristiche in termini di forza, organi e proprietà, il credente non
deve dubitare che egli provenga dal primo uomo.î29 Anche se
líuomo non può comprendere le intenzioni di Dio, non dovrebbe
dubitare del fatto che Dio stesso sappia bene dove, quando e in
quale forma deve o doveva creare che cosa. Agostino per questo
invita il lettore, ad esempio, nei confronti delle persone con più
di cinque dita su una mano o su un piede, a non ritenere che Dio
si sia probabilmente sbagliato nel conteggio, come se non avesse
saputo perchÈ líabbia fatto! Per quanto grande sia la varietà
esistente al mondo, Dio sa cosa crea.30

28
Cf. Agostino, De civ. Dei, XVI,8. Líautore presenta ad esempio
persone con un solo occhio, persone con le piante dei piedi alla rovescia,
Ermafroditi, persone senza bocca che vivono solo grazie allíolfatto,
Pigmei alti solo un cubito, donne che partoriscono a cinque anni, Scio-
podi, persone senza testa con gli occhi sulle spalle e Cinocefali.
29
Agostino, De civ. Dei, XVI,8: Verum quisquis uspiam nascitur
homo, id est animal rationale mortale, quamlibet nostris inusitatam
sensibus gerat corporis formam seu colorem sive motum sive sonum sive
qualibet vi, qualibet parte, qualibet qualitate naturam: ex illo uno proto-
plasto originem ducere nullus fidelium dubitaverit.
30
Cf. Agostino, De civ. Dei, XVI,8: Deus enim creator est omnium,
qui ubi et quando creari quid oporteat vel oportuerit, ipse novit, sciens
universitatis pulchritudinem quarum partium vel similitudine vel diver-
sitate contexatÖ Pluribus quam quinis digitis in manibus et pedibus
nasci homines novimus; et haec levior est quam ulla distantia. Sed tamen
absit, ut quis ita desipiat, ut existimet in numero humanorum digitorum
errasse Creatorem, quamvis nesciens, cur hoc fecerit. Ita etsi maior
diversitas oriatur, scit ille, quid egerit, cuius opera iuste nemo repre-
hendit.

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Ad Agostino si riallacciò in parte Isidoro di Siviglia, il quale


dedicò un capitolo ai mostri umani nella sua enciclopedia Ety-
mologiae. Invece di trattare di tutti questi individui particolari
e di popolazioni esotiche nel nono libro, dedicato tra líaltro
allíelenco delle lingue e delle popolazioni, ne menziona qui solo
alcune,31 mentre ne colloca la maggior parte nellíundicesimo
libro riguardante líessere umano, e questo nel capitolo intitolato
De portentis. Con questa nuova organizzazione, in cui líesposi-
zione sugli uomini per qualche verso strani veniva dopo quella
sullíanatomia umana, inaugurò un modello a cui si attennero
numerosi enciclopedisti medievali.32 Isidoro inizia la sua espo-
sizione con una riflessione con cui si riallaccia allíopinione
dellíetà classica secondo la quale la mostruosità è qualcosa con-
tra naturam. Sotto la probabile influenza di Agostino spiega però
che questi individui insoliti non nascono contro líordine naturale
delle cose, dato che sono stati creati dalla volontà di Dio; Dio,
che dai pagani viene chiamato alle volte anche Natura, deside-
rava líesistenza di una natura fatta in modo che fossero rappre-
sentate tutte le creature.33 Isidoro per buona parte riprende dagli

31
Nel nono libro delle Etymologiae Isidoro presenta le Amazzoni
(IX,2,64), i Titani (IX,2,134ñ135), il popolo dei Marsi che vivono in
Italia (IX,2,88), la popolazione africana dei Garamanti (IX,2,125), i
Trogloditi e i Pamfagi etiopici (IX,129ñ130), la popolazione indiana
degli Ittiofagi (IX,2,131), gli Antropofagi che si cibano di carne umana
(IX,2,132) e gli Antipodi (IX,2,133).
32
Tommaso di CantimprÈ descrive i mostri umani nel terzo libro, che
segue il primo dedicato allíanatomia dellíuomo e il secondo dedicato
allíanima; Vincenzo di Beauvais li presenta nel trentunesimo libro ri-
guardante il corpo, le malattie e la riproduzione umana.
33
Cf. Isidoro di Siviglia, Etymol. XI,3,1ñ2: Portenta esse Varro ait,
quae contra naturam nata videntur. Sed non sunt contra naturam, quia
divina voluntate fiunt, cum voluntas Creatoris cuiusque conditae rei
natura sit. Unde et ipsi gentiles Deum modo Naturam, modo Deum ap-
pellant. Portentum ergo fit non contra naturam, sed contra quam est
nota natura.

LXXXVIII

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autori dellíetà classica anche líanalisi etimologica della parola


monstrum e dei suoi sinonimi, compresa líaffermazione secondo
la quale tutte queste creature sono segni delle cose e degli avve-
nimenti del futuro, poichÈ Dio tramite gli individui deformati
vuole avvertire alle volte líuomo del disastro che lo minaccia.
Come esempio di un tale segno descrive un mostro che una don-
na aveva partorito per Alessandro Magno e che era presagio
della sua morte improvvisa e violenta.34
Nonostante Isidoro fosse nel medioevo una delle autorità prin-
cipali, non è privo di interesse il fatto che non tutti gli autori si
siano attenuti come modello al suo concetto di mostruosità uma-
na. Nella letteratura, sia enciclopedistica che in altra avente scopi
didattici, queste creature umane sono indicate solitamente (ma
non sempre) come monstra, invece nei geografi medievali, nelle
cronache di viaggi e in alcune altre opere si parla di loro piut-
tosto come mirabilia di regioni lontane. Mentre quindi Vincenzo
di Beauvais cita Isidoro in tanti luoghi quasi in maniera letterale
e utilizza comunemente i termini monstrum e portentum,35 per
autori come ad esempio Jacques de Vitry, Tommaso di Can-
timprÈ e altri ancora, la situazione è diversa. È vero che Jacques
de Vitry usa la parola monstruosus nella sua opera Historia
Orientalis, e cioè nel titolo del novantaduesimo capitolo, in cui,
come lui stesso spiega, si propone di descrivere i popoli barbarici
e la gente che vive in Oriente, i quali si distinguono significa-

34
Si trattava di una creatura che era composta da due parti: nella parte
superiore aveva il corpo di un uomo morto, in quella inferiore il corpo di
diversi animali vivi; cf. Isidoro di Siviglia, Etymol. XI,3,4ñ5.
35
Cf. i titoli di alcuni capitoli in Spec. nat. XXXI,119: De portentis,
XXXI,121: De portentis vel monstris fabulosis, XXXI,124: De quibus-
dam mulieribus barbaris et monstruosis, XXXI,126: De gentibus mon-
struosis et primo de Gygantibus et Cynocephalis. Neanche líattitudine di
Vincenzo però è univoca, perchÈ descrive altri esseri umani particolari,
citati spesso nel medioevo tra le creature mostruose, nei capitoli dedicati
alle usanze forestiere, cf. Spec. nat. XXXI,129: De quarundam gentium
moribus extraneis, XXXI,131: De barbaris moribus Indorum.

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tivamente dalle persone che vivono in altre parti del mondo,36


però nel testo successivo si limita esclusivamente allíindicazione
homines e inizia ogni singolo passaggio con líespressione sunt
alii, qui; non incontriamo più la parola monstrum. Il suo atteg-
giamento tollerante nei confronti di questi esseri umani diversi è
poi ben illustrato dal lungo passaggio in mezzo al capitolo: ìNel
caso in cui a qualcuno sembri incredibile ciò che ho descritto
prima e ciò che ho ripreso parzialmente per questa opera dalla
storia delle terre orientali e dallíopera Mappa mundi, parzial-
mente dagli scritti dei beati Agostino e Isidoro, e anche dai libri
di Plinio e di Solino, Ö non lo costringo a credervi Ö Tuttavia
però non vedo alcun pericolo nel fatto di credere a qualcosa che
non è contrario alla fede e alle buone abitudini. Mi rendo conto
tuttavia che tutte le creazioni di Dio sono meravigliose, anche se
in coloro che le osservano spesso e ripetutamente non risve-
gliano nessuno stupore. Pertanto i Ciclopi, che hanno un solo
occhio, sicuramente non si stupiscono davanti a coloro che ne
hanno due, tanto meno ci stupiremmo noi davanti a loro o da-
vanti ad altre creature che ne avessero tre. E poi, così come noi
consideriamo nani i Pigmei, loro ci considererebbero giganti nel
caso che qualcuno di noi fosse avvistato tra la loro gente, invece
nella terra dei giganti anche il più grande di noi sarebbe con-
siderato un nano. Per noi ad esempio i neri Etiopi sono brutti,
essi stessi però considerano che proprio quelli tra di loro che
hanno la pelle più scura sono i più belli. Nelle nostre terre non ci
sorprendono tante cose che, se i popoli orientali ne sentissero
parlare, non ci crederebbero o le considererebbero degne di stu-
pore...ì37

36
Cf. il titolo del novantaduesimo capitolo: De Amazonibus Ö, de
aliis barbaris et monstruosis populisÖ De miraculis quibusdam regio-
num occidentalium, e il testo con cui il capitolo comincia: Sunt praeterea
in partibus orientis quidam homines ab aliis mundi nationibus valde dis-
similes.
37
Jacques de Vitry, Hist. Orient. 92, pag. 215: Haec praedicta, quae
partim ex historiis orientalium et mappa mundi, partim ex scriptis beati

XC

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Allo stesso modo Tommaso di CantimprÈ utilizza la parola


monstrum oppure monstruosus solamente nel titolo del terzo
libro della sua enciclopedia, successivamente nellíintroduzione
dello stesso libro, dove spiega líargomento, e alla fine del libro
stesso, quando descrive un gigante col nome di Molosus,38 e allo
stesso modo troviamo raramente questa indicazione nel testo del
Vocabularius. 39 In parte si comporta similmente Petrus Ber-
chorius nel suo scritto Reductorium morale (II ñ De rerum pro-

Augustini et Isidori, ex libris etiam Plinii et Solini, Ö praesenti operi


adiunximus, si forte alicui incredibilia videantur, nos neminem com-
pellimus ad credendumÖ Et tamen credere quae contra fidem non sunt
vel bonos mores, nullum periculum aestimamus. Scimus enim, quod
omnia Dei opera mirabilia sunt, licet per usum et consuetudinem hi, qui
frequenter ea intuentur, nulla admiratione moveantur. Cyclopes enim,
qui omnes monoculi sunt, non minus forsan hos, qui duos habent oculos,
admirantur, quam nos ipsos, vel alios, qui tres oculos haberent, admi-
raremur. Sicut autem pygmaeos pro nanis habemus, ita ipsi nos gigantes
reputarent, si ex nostris aliquem inter ipsos aspicerent. In terra autem
gigantum qui maior est inter nos, nanus reputaretur ab ipsis. Nos autem
nigros Aethiopes turpes reputamus, inter ipsos autem qui nigrior est,
pulchrior ab ipsis iudicatur. Multa autem in regionibus nostris non
admiramur, quae populus orientalis si audiret, vel non crederet, vel mira
reputaretÖ
38
Cf. Tommaso di CantimprÈ, De nat. III,5,39: Molosus homo fuit
monstruosus, quem occisum Tyberis fluvius cooperire non potuit et mare
per multa spatia rubro sanguine infecit, ut dicit Adelinus. Huius tem-
plum et statua Rome facta est, que a nomine eius colosus dicitur.
39
La parola monstrum compare nel testo del Vocabularius, a parte nel
titolo del libro, solo in alcuni luoghi; líautore piuttosto utilizza, in ac-
cordo col modello di Tommaso di CantimprÈ e di Jacques de Vitry,
líespressione homines, populus oppure gens, ma pure inhabitatores op-
pure incolae. Nel Vocabularius troviamo líindicazione monstrum nel
caso di creature con due corpi (bicorpor), con due teste (biceps), con il
corpo di uomo e la testa di gru (bitidus), nel caso del Minotauro, della
Sfinge, delle persone coi piedi rivolti allíindietro (Antipodes) e nel caso
delle creature con il volto umano e con le membra animalesche (pilosi),
líindicazione portentum nel caso di una creatura umana con due occhi
per ogni lato della testa.

XCI

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

prietatibus); benchÈ nella conclusione del quattordicesimo libro


dedicato alla geografia abbia inserito un capitolo intitolato
De monstris, in cui presenta i Ciclopi, i Fauni, gli Ermafroditi,
i Cinocefali, gli Antipodi, i Centauri e il Minotauro,40 nei capitoli
precedenti descrive differenti esseri strani, animaleschi e anche
umani, perlopiù senza una minima valutazione e persino senza
indicarli come mostri. Si pone come scopo la descrizione di
ciascuna parte del mondo, come si evince ad esempio da uno dei
passaggi nel quattordicesimo libro: ìLa Scizia è un vasto paese,
abitato da numerose popolazioni barbaricheÖ Tratterò allora
delle usanze di alcune genti che hanno per patria le diverse regio-
ni di questa terraÖî41 Oltre allíaspetto e alle usanze dei popoli,
che conosciamo dalle descrizioni di altri autori dellíetà classica e
di quella medievale, Petrus Berchorius registrò nella sua opera
anche insoliti rapporti tra uomini e donne in alcune parti dellíIn-
dia: ì(Gervasio) dice anche che in Oriente nella terra di Giobbe
vide come le donne non facevano nulla, mentre gli uomini tes-
sevano e filavano e svolgevano i lavori femminili. Racconta
anche di essere stato in uníaltra terra dove le donne bevono con-
tinuamente il vino, mentre gli uomini se ne astenevano. Pompo-
nio racconta un fatto simile, cioè che una volta nellíAlto Egitto
le donne si occupavano del commercio e si dedicavano alla vita
pubblica, invece gli uomini eseguivano i lavori di casaÖ Pos-
siamo osservare oggi la stessa cosa tra molti coniugi, siccome
vediamo che le donne dominano sugli uomini e gli uomini ef-
feminati sono servitori delle proprie mogli. Vediamo poi questi
uomini tessere e occuparsi delle attività femminili, le donne poi
bevono il vino e i loro mariti digiunano. Isaia 3,12: ëE il mio
popolo ñ spogliato è dai suoi esattori ed è governato dalle don-
ne.íî42 BenchÈ si tratti infatti solo di diverse abitudini, in cui

40
Petrus Berchorius, Reduct. propr. XIV,74 (pag. 986ñ987).
41
Petrus Berchorius, Reduct. propr. XIV,48 (pag. 940a).
42
Petrus Berchorius, Reduct. propr. XIV,27 (pag. 925b): Item dicit se
in partibus orientis in terra, quae dicitur terra Iob, vidisse, quod mu-

XCII

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

solamente a fatica è possibile vedere qualcosa di mostruoso (e


difatti Petrus Berchorius non le considera tali, anche se la frase
conclusiva ñ una citazione dal libro del profeta Isaia ñ esprime
sufficientemente la sua opinione su simili rapporti invertiti), non
cíè da sorprendersi se alcuni autori medievali inserirono questi
uomini e queste donne dai comportamenti insoliti nei libri che
descrivono i mostri umani. E in effetti che cosa cíè di mostruoso
ad esempio nei Bramini indiani, che vengono descritti come
uomini santi da Tommaso di CantimprÈ e anche dal Vocabu-
larius per cui lui costituisce la fonte? Ancora prima dellíincar-
nazione di Cristo, essi affermavano la sua eternità assieme col
Padre e il loro insegnante Dindimo scrisse a Alessandro Magno
che Dio è il Verbo, e che il Verbo creò il mondo e attraverso di
lui tutto vive,43 eppure entrambi gli autori non esitano ad in-
cludere i Bramini nel libro dedicato ai mostri umani. Per quanto
riguarda il testo del Vocabularius, non si tratta di un caso isolato,
poichÈ come vedremo più avanti, Jan VodÚansk˝ considerò co-
me un fatto importante quello di introdurre nel suo libro anche
altre creature umane che gli autori precedenti probabilmente non
consideravano mostruose e pertanto non prestavano loro alcuna
attenzione. Nella sua scelta ebbero sicuramente un ruolo im-
portante le opere che gli servirono da fonte principale.

lieres quiescebant, homines vero filabant et nebant et opera muliebria


faciebant. In alia etiam terra fuisse se dicit, ubi mulieres vinum bi-
bebant, viri autem a vino abstinebant. Cuius simile ponit Pomponius
dudum fuisse in Aegypto superiori, in qua (ut ait) foeminae forum ac
negotia, viri pensa et domos curabantÖ Sic vere idem hodie inter mul-
tos coniuges conspicimus, quia mulieres viris dominari et viros effoemi-
natos propriis uxoribus famulari videmus. Unde isti proprie videntur
filare et se in mulieribus et officiis implicare; mulieres vero vinum po-
tant, ubi mariti earum ieiunant. Esa.3: ÑPopulum meum exactores sui
spoliaverunt et mulieres dominatae sunt eis.ì
43
Vide infra, paragr. 16 (Brachmane).

XCIII

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Il quarto libro e le sue fonti principali

Già da un superficiale confronto col dizionario di Johannes


Reuchlin emerge chiaramente che il Vocabularius breviloquus
costituì una fonte fondamentale per Jan VodÚansk˝ non solo per
i primi tre libri, ma pure per la spiegazione dei mostri umani.
Non fu però líunica fonte: del centinaio di nomi che rappre-
sentano il contenuto del quarto libro del Vocabularius sono pre-
senti nel Vocabularius breviloquus solo quarantanove termini,
oltretutto il nostro autore riprese la versione di Reuchlin (o al-
meno una parte) solo in venticinque voci; uníinfluenza diretta
dellíumanista tedesco è identificabile quindi in circa un quarto di
tutti i nomi relativi alle anomalie fisiche e spirituali di cui tratta
questo libro.44
A far propendere per la tesi che vorrebbe il vocabolario di
Reuchlin come fonte diretta testimoniano soprattutto i termini
che le opere medievali riguardanti i mostri umani non segnalano
e che compaiono solo eccezionalmente in altri testi medievali e
solitamente con una spiegazione differente. Alcuni di questi
termini non vengono ricordati nemmeno dai lessicografi me-
dievali, e anche nel caso in cui compaiano in altri glossari com-

44
Entrambi gli autori concordano più o meno completamente nella
spiegazione dei termini acilus, Antipos, Antipodes, Andabate, cillones,
Minotaurus, Panocii, Rutili, Ruteni, Satiri e strabi. Il testo di Reuchlin,
seppur senza la spiegazione dellíetimologia, è stato ripreso da Jan Vod-
Úansk˝ ad es. per i termini Antropofagitte e buphtalmon. Si ritrova solo
una porzione del testo di Reuchlin nei termini Arimaspi, bicorpor, biceps
e pilosi, al contrario il testo originale di Reuchlin è stato ampliato da Jan
VodÚansk˝ sulla base di altre fonti nel caso dei termini bifax, bitidus,
biformis, Brachmane, daniste, mancus, Pigmei, Titanes e gigantes. I re-
stanti termini si incontrano in entrambi gli autori, sebbene abbiano spie-
gazioni diverse e qualche volta anche una forma ortografica diversa (ad
es. Cyclops ◊ Ciclops, hippocentaurus ◊ hypocentaurus, Ichthyophagi
◊ Ictiophagi, Marsi ◊ Narsorum genus, Ophiophagite ◊ Ophiafagi, Pan-
phagi ◊ Pamfagi, varicosus ◊ vatricosus).

XCIV

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posti in Boemia presentano uníaltra forma ortografica. Ne è un


esempio líespressione buphtalmon, indicante un uomo con occhi
grandi come un bovino.45 Altre parole si ritrovano anche in im-
portanti lessicografi medievali oppure in testi dedicati allíenu-
merazione dei mostri umani, líinfluenza diretta del vocabolario
di Reuchlin però è comprovata dallíaspetto ortografico dei ter-
mini oppure da dettagli nella spiegazione su cui convergono solo
Johannes Reuchlin e Jan VodÚansk˝. Ad esempio Uguccione da
Pisa definisce i cannibali come anthropophagi, Reuchlin per
questo termine utilizza le varianti Antropophagi e Anthropo-
fagite e nel quarto libro del Vocabularius già troviamo solo la
variante Antropofagitte.46 Qualche volta invece Jan VodÚansk˝
ha solamente completato la versione di Reuchlin sulla base di
testi di altri lessicografi medievali. Ad esempio definisce le per-
sone dal naso aquilino come acili e aquili: il primo termine si
ritrova in Papia e in Johannes Reuchlin mentre il secondo in
Uguccione da Pisa.47
Oltre ai vocabolari di Reuchlin, di Uguccione e di Papia Jan
VodÚansk˝ era molto probabilmente a conoscenza anche degli
scritti di alcuni grammatici e lessicografi tardo antichi. Ad esem-
pio il termine monogrammi, che Cicerone utilizzava per gli dei
e che non compare nÈ nelle opere lessicografiche del medioevo
e nemmeno in Johannes Reuchlin, deriva dal vocabolario lin-
guistico e esplicativo De compendiosa doctrina, opera composta
tra il IV e il V secolo da Nonio Marcello, secondo la cui spie-
gazione si tratterebbe di un tipo di persone macilente e senza
colore.48 I termini varus e varicosus compaiono anche in Uguc-
cione e in Reuchlin, ma in questo caso nel Vocabularius di Jan
VodÚansk˝ ritroviamo una spiegazione che coincide col testo di

45
Vide infra, paragr. 15.
46
Vide infra, paragr. 7.
47
Vide infra, paragr. 2.
48
Vide infra, paragr. 52.

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Nonio Marcello. Mentre i lessicografi medievali spiegano questi


termini ricorrendo allíagg. curvus, ìstortoî, Nonio Marcello
e Jan VodÚansk˝ restringono le loro caratteristiche con le espres-
sioni crura vitiosa, plantae obtortae oppure pedes obtorti (vi-
tiosi), ossia in tutti questi casi indicano coi termini varus, va-
t(r)ax e va(t)ricosus coloro che hanno le ìgambe storteî.49
Accanto ai nomi e alle descrizioni di particolarità e di malfor-
mazioni fisiche che Jan VodÚansk˝ riprese da opere lessicogra-
fiche, una parte consistente dei suoi mostri umani è rappresentata
da figure della mitologia greca e da popoli esotici. Líautore del
Vocabularius attinse per le descrizioni dei personaggi mitologici
principalmente dallíopera di Boccaccio De genealogia deorum,
così come dimostrato dalla coincidenza di alcuni punti tra le due
opere quando parlano dellíincontro di Ulisse col Ciclope Poli-
femo oppure líasserzione secondo la quale il padre di tutti gli
dei, compreso il dio Pan, fu Demogorgone.50 Al contrario di ciò,
la descrizione di popoli inconsueti che vivevano nei territori a
nord, a est e a sud dellíallora mondo conosciuto e che si distin-
guevano per un aspetto oppure per un comportamento bestiale
è stata ripresa da parte di Jan VodÚansk˝ da altre fonti.51 Anche
se si tratta in gran parte di citazioni o parafrasi letterali di en-
ciclopedisti medievali, di autori di glossari e di cronache di viag-
gio, alla base della maggior parte delle conoscenze che il me-
dioevo aveva sui vari individui strani e sulle diverse popolazioni
esotiche vi è la descrizione di Plinio il Vecchio, che Agostino
e Isidoro ripresero e per loro tramite poi anche altri autori me-
dievali.

49
Vide infra, paragr. 98.
50
Vide infra, paragr. 24 e 72.
51
Tra la ricchissima bibliografia sullíetnografia greca cf. sopratutto
K. E. M¸ller, Geschichte der antiken Ethnographie und ethnologischen
Theoriebildung, IñII, Wiesbaden 1972ñ1980; E. Bianchi, Teratologia e
geografia. Líhomo monstruosus in autori dellíantichità classica, in:
ACME, 34/2, 1981, pag. 227ñ249; Ch. Jacob, GÈographie et ethnogra-
phie en Grèce ancienne, Paris 1991; J. S. Romm, The Edges of the Earth

XCVI

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Nemmeno Plinio però è colui che nellíantichità fu allíorigine


di queste cognizioni. Questo accurato collezionista di informa-
zioni non fece altro che raccogliere e riordinare le conoscenze
che aveva attinto prevalentemente dagli scritti dei geografi, degli
storici e dei poeti greci e latini:52 già Omero menziona i minu-
scoli Pigmei che combattevano con le gru, 53 in Esiodo com-
paiono i Macrocefali dalle teste gigantesche,54 in Erodoto gli
Acefali, i quali, al contrario, sono totalmente privi di testa,55 e gli
Arimaspi con un solo occhio che combattevano con i grifoni per
líoro.56 Ctesia di Cnido, storico greco e medico del re persiano
Artaserse II, dedica un ampio passaggio ai Cinocefali, cioè alle
persone con testa di cane.57 Il cronista di viaggio greco Scilace di
Carianda, che per conto del re persiano Dario I esplorò la terra
fino alla foce dellíIndo, descrive gli Sciopodi, a cui le loro enor-
mi piante dei piedi servono da parasole durante la calura estiva,58

in Ancient Thought (Geography, Exploration and Fiction), Princeton


1992; G. Schepens ñ K. Delcroix, Ancient Paradoxography: Origin,
Evolution, Production and Reception, in: O. Pecere ñ A. Stramaglia
(vyd.), La letteratura di consumo nel mondo greco-latino, Cassino 1996,
pag. 373ñ460; M. Dorati, Le ìStorieî di Erodoto. Etnografia e racconto,
Pisa ñ Roma 2000; M. Beagon, Introduction (Pliny and the ìHistoria
naturalisî), in: The Elder Pliny on the Human Animal (Natural History,
Book 7), Oxford 2005, pag. 1ñ57.
52
Molte di queste opere oggi sono perdute e le conosciamo solamente
da frammenti e da citazioni di autori successivi.
53
Cf. Omero, Il. III,6. Vide infra, paragr. 73 (Pigmei).
54
Cf. Esiodo, Fr. 62.
55
Cf. Erodoto, Hist. IV,191. Vide infra, paragr. 1 (Acefali).
56
Cf. Erodoto, Hist. III,116, IV,13 e IV,27. Vide infra, paragr. 24
(Arimaspi).
57
Cf. Ctesia di Cnido, Fr. 45, in: FGrH III, n. 688, pag. 501ñ504.
Vide infra, paragr. 22 (Cinocefali).
58
Scilace informò del suo viaggio nellíopera Periplus, che si è con-
servata solamente nei frammenti e nelle citazioni di autori successivi;

XCVII

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grazie allíinviato di Tolomeo II in India, a Megastene sono noti


gli Astomi senza la bocca e gli Amicteri senza il naso.59 Oltre ai
testi di Omero e allo scritto di Erodoto, delle opere degli autori
citati non si sono conservati che frammenti o citazioni in testi
posteriori, come nel trattato di geografia ad opera di Strabone,
nellíopera storica di Diodoro Siculo o nellíenciclopedia dellíeru-
dito romano Plinio il Vecchio; da qui possiamo osservare il loro
percorso attraverso le opere specialistiche e quelle della lette-
ratura dellíetà classica e medievale fino al Vocabularius.
Per quanto gli autori medievali avessero attinto pure dallíen-
ciclopedia di Plinio alcuni concetti sulle malformazioni fisiche
che colpivano non i popoli, bensì i singoli individui, altre no-
zioni hanno origine in fonti greche e latine di diverso spessore.
Già Aristotele nella sua opera De generatione animalium com-
menta le differenti anomalie riguardanti la quantità e la qualità
dello sviluppo fisico oppure la collocazione degli organi esterni
o interni, descritte in base a uníinterpretazione esclusivamente
biologica.60 Al contrario di questo, gli storici e gli annalisti Tito

sugli Sciopodi cf. De aet. Scyl., pag. 257. Vide infra, paragr. 88 (Scio-
podes).
59
Cf. Megastene, Fr. 27, in: FGrH III, n. 715, pag. 631ñ633. Il nome
greco Ú Astomoi, che è giunto in latino come Astomi, è formato dallíalfa
privativum e dal sost. stÕma, ìboccaî, il nome greco  Amyktµreq è for-
mato dallíalfa privativum e dal sost. myktµr, ìnasoî. Di questi individui
parla anche ad esempio Strabone, Geogr. II,1,9.
60
Cf. Aristotele, De gener. animal. IV,3, 769b13ñ16 (creature ibride),
769b25ñ27 (con più gambe o con più teste), IV,4, 770b31 (aventi
un maggior numero di dita o al contrario un solo dito), 770b33ñ35 e
772b26ñ27 (di entrambi i sessi), 770b36ñ37 (nascita di un capretto con
un corno posizionato sulla zampa), 772b13ñ17 (aventi dita, mani o piedi
più grandi), 771a1ñ9 e 773a5ñ6 (anomalie degli organi interni), 773a15ñ
29 (orifizi degli organi genitali o del retto ostruiti). Su questi passi in
Aristotele cf. ad es. D. Lanza, La struttura della teoria genetica nel ÑDe
generatione animaliumì, in: D. Lanza ñ M. Vegetti (a cura di), Opere
biologiche di Aristotele, Torino 1971, pag. 815; P. Louis, Monstres et
monstruositÈs dans la biologie díAristote, in: J. Bingen ñ G. Cambier ñ

XCVIII

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Livio, Tacito e Valerio Massimo, così come Giulio Ossequiente


nella sua raccolta De prodigiis, riprodussero i più disparati
e inconsueti eventi, fenomeni e creature (monstra, ostenta, por-
tenta, prodigia) come presagi che annunciavano ciò che sarebbe
dovuto succedere nellíimmediato futuro e come segni che rive-
lavano il volere degli dei e le loro intenzioni verso gli esseri
umani.61 I piccoli degli animali e degli uomini nati con un mag-
giore o minore numero di parti del corpo, i neonati ibridi a metà
tra uomo e animale oppure i neonati aventi alcune parti del corpo
prematuramente sviluppate (denti, capelli bianchi) oppure che
già presentavano delle capacità innate (il dono della parola già
dalla nascita) erano considerati un avvertimento per la casa e il
luogo in cui erano nati, se non addirittura una minaccia per líin-
tero apparato statale di Roma, e per questo spesso soppressi
senza pietà.62 Le anomalie fisiche meno evidenti, come ad esem-
pio un maggiore o minore numero di dita nelle mani o nei piedi,
una grandezza esagerata o ridotta del corpo oppure alcune parti
del corpo inaspettatamente sviluppate al contrario erano inter-
pretate come mere curiosità fisiche.

G. Nachtergael (vyd.), Le monde grec. PensÈe, littÈrature, histoire, do-


cuments, Bruxelles 1975, pag. 277ñ284; F. Gasti, Líantropologia di
Isidoro. Le fonti del libro XI delle Etimologie, Como 1998, pag. 111ñ
113; D. Lenfant, Monsters in Greek Ethnography and Society in the Fifth
and Fourth Centuries BCE, in: R. Buxton, From Myth to Reason?, Ox-
ford 1999, pag. 200.
61
Sui segni di presagio nella Roma classica cf. ad es. F. Luterbacher,
Der Prodigienglaube und Prodigienstil der Rˆmer, Burgdorf 1904 (ri-
stampa Darmstadt 1967); E. de Saint-Denis, Les ÈnumÈrations de pro-
diges dans líoeuvre de Tite-Live, in: Revue de Philologie, 16, 1942, pag.
126ñ142; R. Bloch, Les prodiges dans líantiquitÈ, Paris 1963; J. CÈard,
La nature et les prodiges, Genève 1996; D. Engels, Das rˆmische Vor-
zeichenwesen (753ñ27 v. Chr.), Stuttgart 2007; H. äedinov·, TÏlesnÈ
anom·lie v antick˝ch a ranÏst¯edovÏk˝ch pramenech, in: Isidor ze
Sevilly, Etymologiae XI ñ Etymologie XI, Praha 2009, pag. 20ñ25.
62
Su queste creature e su come venivano trattate cf. A. AllÈly, Les
enfants malformÈs et considÈrÈs comme Ñprodigiaì à Rome et en Italie

XCIX

03uvod-it.pm6 99 4.12.2014, 15:12


I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Jan VodÚansk˝ attinse le descrizioni di alcune singole ano-


malie fisiche (eventualmente anche di alcune capacità incon-
suete) dai vocabolari dei lessicografi della tarda età classica e del
medioevo; per gli altri elementi caratteristici nellíaspetto fisi-
co umano fece ricorso anche al settimo e allíundicesimo libro
dellíenciclopedia di Plinio il Vecchio, da cui riprese ad esempio
la menzione di un essere mostruoso con gli occhi sui due lati
della testa che sarebbe vissuto in Egitto oppure il racconto
dellíeroe fiabesco Orione, il cui scheletro lungo quarantasei cu-
biti a quanto pare venne ritrovato successivamente a un terre-
moto nellíisola di Creta.63
La descrizione effettuata dagli autori dellíetà classica non si
conservò sempre nella versione originale nel medioevo. È pos-
sibile osservarlo anche per il testo del Vocabularius, in cui tra le
fonti classiche conservate compaiono dei passaggi tratti da Plinio
il Vecchio i quali hanno subito un certo numero di mutamenti
significativi. Jan VodÚansk˝ riprese la descrizione di persone
senza testa, con gli occhi sulle spalle e con buchi sul petto al
posto del naso e della bocca verosimilmente da Jacques de Vitry
oppure da Tommaso di CantimprÈ, ma, a differenza di questi due
autori, aggiunse la loro denominazione in latino e in ceco; in
realtà si tratta di un testo originale di Plinio il Vecchio, che però
riguardava non un popolo solo, bensì due. Plinio conobbe il
primo di questi popoli, una gente senza nuca e con gli occhi sulle
spalle, dalla descrizione fattane da Ctesia, mentre la conoscenza
del secondo, che viveva in India e al posto del naso aveva so-
lamente dei fori, gli giunse dagli scritti di Megastene.64

sous la rÈpublique, in: Revue des Ètudes anciennes, 105, 2003, pag.
127ñ156; dello stesso autore Les enfants malformÈs et handicapÈs à
Rome sous le principat, in: Revue des Ètudes anciennes, 106, 2004, pag.
73ñ101.
63
Vide infra paragr. 30 (Erio), paragr. 82 (portentum binis oculis).
64
Cf. Plinio il Vecchio, Natur. hist. VII,23: Ctesias scribit Ö quos-
dam sine cervice oculos in umeris habentesÖ (da qui derivano Solino,

03uvod-it.pm6 100 4.12.2014, 15:12


I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Nel Vocabularius troviamo anche la descrizione di altri indi-


vidui che hanno la faccia piatta senza naso e in più il labbro
inferiore così prolungato che quando batte forte il sole lo uti-
lizzano per coprirsi tutto il volto durante il sonno. A questa realtà
corrisponde non solo il nome latino di questi individui labeones
derivato dal sostantivo latino labeo (event. labeosus), ìdalle
grandi labbraî, ma anche líequivalente ceco pyskacûi (labbro-
ni).65 Già Plinio nella sua enciclopedia menziona la gente dalle
grandi labbra allíinterno del passo dedicato allíanatomia umana;
fa qui notare, però, solo il fatto che, proprio in base alle parti del
corpo umano più pronunciate, si fossero già creati alcuni co-
gnomi romani, come ad esempio Brocchus, ìDentatoî (lett. ìdai
denti digrignatiî), oppure Labeo, ìLabbroneî.66 Líimmagine
però di un labbro allungato così tanto da coprire tutto il viso
compare a quanto sembra solo a partire da Isidoro di Siviglia.67

Collect. 52,32, Agostino, De civ. Dei, XVI,8, Isidoro di Siviglia, Etymol.


XI,3,17, Bartholomaeus Anglicus, De propr. XVIII,46), e Plinio il Vec-
chio, ibid. VII,25: Megasthenes gentem inter Nomadas Indos narium
loco foramina tantum habentemÖ Jacques de Vitry fu probabilmente il
primo a unificare in maniera erronea la descrizione di Plinio dei due
diversi popoli.
65
Vide infra, paragr. 48 (labeones).
66
Cf. Plinio il Vecchio, Natur. hist. XI,159: Labra, a quibus Brocchi,
Labeones dicti... Labeo era il cognome ad esempio della famiglia romana
dei Fabii e degli Antisti, Brocchus della famiglia romana dei Furii e degli
Annei. Anche il Vocabularius dictus Lactifer menziona le persone dalla
bocca grande e dai denti sporgenti, vide infra, paragr. 19 (bronchi). Cf.
anche Papias, Rudim., s. v. Bruchus, secondo cui si tratta di gente avente
il labbro superiore gonfio.
67
Isidoro di Siviglia, Etymol. XI,3,18, però presenta in una descri-
zione simile due tipologie diverse di gente: In ultimo autem Orientis
monstruosae gentium facies scribuntur. Aliae sine naribus, aequali to-
tius oris planitie, informes habentes vultus. Aliae labro subteriori adeo
prominenti, ut in solis ardoribus totam ex eo faciem contegant dor-
mientes.

CI

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Líinfluenza di Tommaso di CantimprÈ e di Jacques de Vitry,


che evidentemente servirono a Jan VodÚansk˝ come fonti prin-
cipali, è riscontrabile nella descrizione di diversi mostri. Tro-
viamo una versione pressochÈ identica nei tre testi ad esempio
nel caso della descrizione di una gente che il Vocabularius de-
finisce gibbosite; queste persone hanno sulla schiena delle grandi
gobbe (cf. lat. gibbus, ìgobbaî), che assorbono tutto ciò che
potrebbe contribuire allíingrossamento del corpo, e per questo
i gobbi sono di figura minuscola.68 Invece dalla descrizione del
popolo degli Epifagi, i cui membri anche se alti otto piedi sono
privi di testa e per questo hanno gli occhi sulle spalle, è evidente
che Jan VodÚansk˝ attinse soprattutto dallo scritto di Tommaso,
dato che Jacques de Vitry non accenna a una tale gente.69
Durante il medioevo anche le differenti versioni latine dei
racconti di ciò che accadde a Alessandro Magno funsero come
fonti per le descrizioni di alcuni popoli inconsueti. La descri-
zione delle stranezze relative agli esseri umani, agli animali, alle
piante, ai minerali e agli eventi naturali in tutte queste versioni
del romanzo di Alessandro fu influenzata dalla letteratura greca,
da quella latina e da quella medievale, pertanto non sorprende
che vi si trovino le descrizioni di popoli indiani particolari che
sono già noti dalle opere dei geografi e degli storici greci ñ i Ci-

68
Vide infra, paragr. 40. Cf. sullo stesso argomento Jacques de Vitry,
Hist. Orient. 92, pag. 217, il quale aggiunge che sono persone piccole
quasi come i nani: Quidam autem tantas in dorsis habent strumas, quod
quicquid in augmentum corporum cedere debet, gibbus absorbet et pro-
pter hoc parvi sunt velut Nani, e líidentico testo di Tommaso di Can-
timprÈ, De nat. III,5,27. Anche Giovanni dei Marignolli, Chron. Bohem.,
pag. 508, li presenta nel passaggio inserito nella sua cronaca riguardante
i mostri.
69
Vide infra, paragr. 28 (Epiphagi). Tommaso di CantimprÈ presenta
un testo quasi identico, cf. De nat. III,5,37: Homines preterea in insula
Brixantis fluvii, qui absque capitibus nascuntur, quos epiphagos ap-
pellant Greci, octo pedum altitudinis; et tota in pectore officia capitis
gerunt, nisi quod oculos in humeris habent.

CII

03uvod-it.pm6 102 4.12.2014, 15:12


I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

nocefali, gli Ittiofagi, le Amazzoni, i Trogloditi, i Bramini e altri.


Le citazioni su altri gruppi di esseri umani fino allora sconosciuti
sono probabilmente basate sulle impressioni che líesercito di
Alessandro ebbe nellíosservare líaspetto e le abitudini degli
abitanti della Persia e dellíIndia, che una volta inserite in una
forma letteraria acquisirono un aspetto più o meno di fantasia. A
questo gruppo appartengono ad esempio gli individui con sei
mani di cui fanno menzione entrambe le traduzioni latine e la cui
conoscenza giunse fino al Vocabularius attraverso Tommaso di
CantimprÈ.70
Anche i resoconti dei missionari, dei mercanti e di altri viag-
giatori nelle terre dellíOriente servirono come fonte per le infor-
mazioni sui più disparati popoli esotici che si distinguevano per
un aspetto e un comportamento strani. BenchÈ nelle fonti di
origine boema si fosse conservata la traduzione latina di quel
tempo dei resoconti di viaggio di Marco Polo e di John Man-
devill,71 non è possibile provare una loro diretta influenza sul
testo di Jan VodÚansk˝, al contrario è inconfutabile che il nostro
autore attinse più volte al diario di viaggio di Odorico da Por-
denone. Líinfluenza del suo testo si manifesta nel nome e nella

70
Vide infra, paragr. 89 (sexmanuti); cf. Iulius Valerius, Res gestae
Alex. Maced. III,17,440: ... tunc taurelephantes et cum his homines senis
manibus portentuosi, himantopodes etiam et cynoperdices multaque
formarum humanarum genera invisitata; Archipresbyter Leo, Historia
Alex. Magni (Historia de preliis), J 1, 17,3 (ed. F. Pfister): Erant ibi
pardali et tigrides et scorpiones atque elefanti et homines silvatici ha-
bentes sex manus; similiter et feminae eorum; Tommaso di CantimprÈ,
De nat. III,5,17: Homines alii sunt silvestres, sex manus per singulos
habentes.
71
La traduzione in ceco dellíopera di Marco Polo (ed. J. V. Pr·öek,
Marka Pavlova z Ben·tek Milion, Praha 1902) è conservata nel mano-
scritto della Biblioteca del Museo Nazionale III E 42. La traduzione in
ceco dellíopera di Mandevill (ed. F. äimek, Cestopis t. zv. Mandevilla.
»esk˝ p¯eklad po¯Ìzen˝ Vav¯incem z B¯ezovÈ, Praha 1911) fu curata
attorno al 1400 da Vav¯inec da B¯ezov· a partire dalla versione tedesca
di Otto von Diemeringen.

CIII

03uvod-it.pm6 103 4.12.2014, 15:12


I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

descrizione dei Dandinayte e dei Lamori, in cui Jan VodÚansk˝


riprese la spiegazione di Odorico e basandosi su questo trasfor-
mò i nomi delle località negli appellativi di questi popoli canni-
bali.72 Nel caso del popolo chiamato dal nostro autore Homani la
descrizione fu realizzata accorpando i testi di due autori: Jan
VodÚansk˝ riprese da Tommaso di CantimprÈ la descrizione del
popolo dei Comani, i cui membri si nutrivano di carne cruda e di
sangue equino, e collegò erroneamente líaffermazione presente
nel diario di viaggio di Odorico da Pordenone secondo la quale
queste genti vivevano nelle isole Nicobare, benchÈ in realtà Odo-
rico descrivesse un popolo completamente diverso.73 Líinfluenza
del diario di Odorico si manifestò in modo interessante nel ter-
mine herniotici, che in Jan VodÚansk˝ indica gli individui di
sesso maschile di qualsiasi popolo orientale, a cui i testicoli
escono dallo scroto e pendono fino alla metà della tibia. Come
dimostrato dallíequivalente ceco kylawczy, Jan VodÚansk˝ si
accorse molto probabilmente che questa descrizione riguardava
le persone colpite dallíernia; ciò nonostante non usò il termine
classico (i lessicografi medievali Uguccione da Pisa e Johannes
Reuchlin presentano líernia sotto il termine classico hernia
e líindividuo colpito da questa affezione viene indicato con líe-
spressione herniosus), ma creò per queste genti il nuovo nome di
herniotici. Odorico da Pordenone, il cui testo fu parafrasato da
Jan VodÚansk˝, però in realtà non aveva descritto líernia, bensì
un tipo di elefantiasi.74

72
Vide infra, paragr. 26 (Dandinayte) e 47 (Lamori).
73
Vide infra, paragr. 43 (Homani).
74
Vide infra, paragr. 44 (herniotici); cf. Odorico da Pordenone, Re-
latio, 7,3: Ex hac India recedens et transiens ... ad mare occeanum ego
veni. Prima autem terra, quam inveni, vocatur Ornes... In ea tantus et ita
immensus est calor, quod virilia, id est testiculi hominum, exeunt ex
corpore et descendunt usque ad dimidium tibiarum. Ideoque gens illius
contrate si vivere volunt, sibi faciunt unam unctionem, qua illa ungunt.
Nam aliter omnes penitus morerentur, et sicut sunt uncta, in quibusdam
saculis illa portant circumcirca se cingentes.

CIV

03uvod-it.pm6 104 4.12.2014, 15:12


I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Líautore del Vocabularius solo eccezionalmente completa il


testo con conoscenze personali; nonostante la sua poca origi-
nalità, líedizione di questa piccola opera può fornire il suo
contributo al tema dei mostri umani con alcuni concetti nuovi,
e questo per diversi motivi.

Il numero dei mostri presenti


nel testo del Vocabularius

In confronto con le altre fonti, Jan VodÚansk˝ concentra nel suo


testo un numero quasi due volte maggiore di mostri umani ri-
spetto agli autori precedenti.75 Il primo motivo di questo numero
accresciuto è però molto semplice: alcuni individui particolari
sono qui rappresentati sotto più denominazioni, di solito cono-
sciute già dallo scritto di Plinio oppure dalle opere di autori
successivi, e il contributo dellíautore del Vocabularius consiste
solo nel fatto di aver riportato accuratamente tutte queste de-
nominazioni. Nel suo testo sono descritte quindi le persone senza
testa sotto il termine di Acefali, Blennii e Epiphagi, le persone
con un solo occhio sotto il termine di Arimaspi, Ciclopes e co-
cletani, le persone dalle grandi orecchie vi appaiono sotto due
termini, cioè Flacci e Panocii, le persone con un solo ma gi-
gantesco piede, che fornisce loro ombra quando batte forte il
sole, sono descritte coi termini Monosceli e Sciopodes, e gli
uomini piccoli appaiono qui sotto tre voci, e cioè come gnani,
Pigmei e pomiliones.

75
Plinio il Vecchio presenta nella sua opera circa cinquanta popoli,
che successivamente nel medioevo furono inclusi nei trattati sui mostri
umani; Isidoro di Siviglia nel nono libro delle Etymologiae parla di nove
di questi popoli e nellíundicesimo libro presenta allíincirca quaranta
mostri; in Jacques de Vitry e in Tommaso di CantimprÈ troviamo la
descrizione di circa cinquanta tra popoli e mostri; il nostro Vocabularius
invece riporta quasi cento nomi.

CV

03uvod-it.pm6 105 4.12.2014, 15:12


I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Il secondo motivo del numero accresciuto di termini è però già


un effetto dellíatteggiamento personale dellíautore. Come già
detto sopra, Jan VodÚansk˝ annovera nel gruppo dei mostri uma-
ni gli individui con particolarità o difetti corporei che gli altri
autori medievali fino a quel momento di solito non considera-
vano mostruosi e di conseguenza non avvertivano la necessità di
trattare di loro in modo speciale. Si ispirò senza dubbio in questo
senso a Jacques de Vitry e a Tommaso di CantimprÈ, i quali
avevano inserito tra i mostri umani le persone colpite da dis-
grazie che soffrono a causa delle conseguenze di alcune malattie,
come erano ad esempio le persone con la gobba76 oppure con il
gozzo ingrossato. Jan VodÚansk˝ chiama questi ultimi gurgu-
liones (cf. lat. gurgulio, ìgolaî) e dice di loro che hanno il gozzo
prolungato fino alla pancia, tanto da sembrare uníanfora o uníe-
norme zucca.77 Secondo questo modello furono inseriti nel testo
senza misericordia anche gli acili (aquili), ovvero le persone dal
naso adunco, aquilino, poi il buphtalmon, cioè una persona dagli
occhi grandi, dallíaspetto bovino, che viceversa nellíantica Gre-
cia era considerata bella (il sinonimo greco di questa parola boÂ-
piq, ìdagli occhi boviniî, in Omero è un epiteto della dea Era),
gli herniotici, cioè le persone che soffrono di ernia, gli strabi
ovvero persone dagli occhi strabici, i cillones, cioè persone con
la testa lunga e stretta, i tortilabiones, quindi persone con le
labbra deformate, oppure i vari e i vatricosi, persone con le gam-
be storte. Pare proprio che líautore del Vocabularius fosse parti-
colarmente attento alle questioni estetiche e che valutasse lía-
spetto della popolazione umana con uno sguardo molto severo.
Non meno intransigente era però anche la sua attitudine verso
qualità spirituali differenti oppure nei confronti delle eccentricità

76
Sui gobbi, che Jan VodÚansk˝ chiama gibbosite, vide infra, paragr.
40.
77
Vide infra, paragr. 38 (gurguliones). Cf. il testo quasi identico di
Jacques de Vitry, Hist. Orient. 92, pag. 217, e Tommaso di CantimprÈ,
De nat. III,5,26, i quali però parlano in questo caso di alcune donne che
vivono in Borgogna.

CVI

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

di comportamento. La diversità nel modo di alimentarsi di alcuni


popoli lontani attirò líattenzione già degli antichi Greci in tale
misura da far sì che inventassero dei nomi che esprimevano il
loro atteggiamento nei confronti degli strani gusti dei barbari. In
questo modo dalle opere di autori greci ci sono noti i Lotofagi,
che si nutrivano esclusivamente di fiori di loto, gli Ittiofagi,
che pescano i pesci, gli Ofiofagi, per cui il cibo principale sono
i serpenti, i Chelonofagi, che mangiano le tartarughe, gli Elefan-
tofagi, che si nutrono di carne di elefante, gli Ippofagi, che si
alimentano con la carne di cavallo, gli Strutofagi, che mangiano
esclusivamente gli struzzi (oppure i passeri), i Panfagi, che man-
giano tutto ciò che trovano, e infine i cannibali ovvero gli
Antropofagi.78 E anche se gli stessi Greci non consideravano
propriamente mostruosi questi popoli (forse con líeccezione
dellíultimo), gli autori medievali li guardavano come gente, le
cui abitudini alimentari esulavano dalla norma corrente, e ri-
tenevano necessario menzionarli proprio nelle opere dedicate ai
mostri umani. Le differenze nel modo di alimentarsi destarono
líinteresse anche dellíautore del Vocabularius, che oltre ad al-
cuni di quei popoli sopra citati annoverò nel suo libro anche gli
individui che si nutrono solamente del latte di cavalla (Lagiges,
Lactifagi), 79 la gente che vive del solo profumo dei fiori e dei

78
Tutti questi nomi hanno alla base il verbo greco wage¡n, ìmangiare,
nutrirsiî, assieme con i sostantivi lvtÕq, ìlotoî, ≈xu’q, ìpesceî, –wiq,
ìserpenteî, xel„nh, ìtartarugaî, Øl≠waq, ìelefanteî,  ppoq, ìcavalloî,
stroyuÕq, ìstruzzoì, ìpasseroî, •nurvpoq, ìuomoî, e il pron. p£n,
ìtuttoî. Erodoto, Hist. IV,106, chiama i cannibali Androw°goi; in que-
sta denominazione è utilizzato il sost. grec. §nµr, gen. §ndrÕq, ìuomo,
essere umanoî.
79
Vide infra, paragr. 49ñ50. Líetimologia della parola Lagiges non
è chiara; il nome Lactifagi è un ibrido composto dal sost. latino lac, gen.
lactis, ìlatteî, e dal verbo originariamente greco wage¡n, ìmangiareî. Il
fatto che alcuni popoli si nutrano soprattutto (oppure esclusivamente) di
latte attirò già líattenzione degli autori dellíetà classica: in Claudio
Tolomeo, Geogr. VI,14, troviamo il nome del popolo scito Galakto-
w°goi; la base di questo nome è costituita dal sost. grec. g°la, gen.
g°laktoq, ìlatteî, e ancora dal verbo wage¡n, ìmangiare, nutrirsiî.

CVII

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

frutti di bosco (Odoripete),80 un popolo che si ciba di carne cru-


da e di sangue di cavallo (Homani),81 oppure il popolo scito che
beve latte mischiato a sangue di cavallo (Bisalte).82 Anche per un
altro popolo scito, i Geloni, registrò solamente il fatto che quan-
do questa gente ha sete beve il sangue di cavallo (a questo com-
portamento corrisponde pure il nome ceco Krwopigczy, ìBevi-
sangueî),83 anche se gli autori dellíantichità e alcuni del medioe-
vo vedevano la particolarità di questo popolo piuttosto nel fatto
che i suoi membri scuoiassero la pelle dei loro nemici e che da
questa confezionassero indumenti per se stessi e coperte per i
loro cavalli.84
A causa del loro comportamento insolito, Jan VodÚansk˝ in-
serì tra i mostri umani anche gli Andabati, che lottavano con gli
occhi chiusi, sebbene questo nome indicasse nellíetà classica un
gladiatore che lotta con un casco senza gli orifizi per gli occhi.85
Anche il fatto che alcuni individui dormissero con gli occhi aper-
ti, similmente alle lepri, risvegliava nellíautore del nostro testo,

80
Vide infra, paragr. 61.
81
Jan VodÚansk˝ riporta erroneamente il nome del popolo Comani, di
cui parla ad esempio Tommaso di CantimprÈ, De nat. III,5,31. Vide
infra, paragr. 43.
82
Vide infra, paragr. 14. Cf. Servio, In Verg. Georg. III,461: ÑBisaltae
quo moreì: populi Scytharum, qui fugientes equorum sanguine aluntur
lacte permixto.
83
Vide infra, paragr. 39.
84
Cf. Pomponio Mela, De chorogr. II,14: Geloni hostium cutibus
equos seque velant, illos reliqui corporis, se capitum; similmente
ad esempio Solino, Collect. 15,3, e Petrus Berchorius, Reduct. propr.
XIV,48 (pag. 940b): Gelonia Scythiae erat provincian Ö, cuius incolae
quando hostes poterant superare, solebant excoriare et eorum cutibus
sibi vestes et equis suis tegmina facere, et sic solebant ad terrorem suo-
rum hostium se ornare et cutibus hostium cum capillo uti solebant pro
baltelibusÖ.
85
Vide infra, paragr. 6 (Andabate).

CVIII

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

a quanto pare, un certo disgusto.86 Aveva una particolare repul-


sione nei confronti degli usurai, che chiama daniste, e fa derivare
il loro nome dal verbo dare, ìdareî. Questo nome, secondo la
sua considerazione, nacque per antifrasi, poichÈ questa gente non
dà, ma prende; e per questo dice di averli inseriti tra i mostri,
perchÈ prestare i soldi e costringere il denaro, che ha uníesi-
stenza creata artificialmente, a produrre altro denaro è una cosa
assolutamente mostruosa.87

I nomi latini dei mostri nel testo


del Vocabularius

Il secondo contributo del Vocabularius sono i nomi latini di


quasi tutti i mostri descritti, quindi una caratteristica che nelle
opere precedenti non era esattamente così scontata;88 líintro-
duzione dei nomi però era diventata una necessità per líautore,
dato che volle mantenere in questo libro líordinamento dei ter-
mini secondo líalfabeto.
Jan VodÚansk˝ riprese dal testo di Plinio o da quello di Isi-
doro oppure dalle opere di autori medievali successivi sia i nomi
greci che quelli latini creati dagli autori dellíetà classica per
i popoli esotici, presentando spesso, così come già detto più
sopra, la stessa particolarità sotto diversi nomi. Ad esempio,
sotto la voce Flacci e Panocii, registra i dati di un popolo esoti-
co, i cui membri hanno delle orecchie così grandi che con queste
si possono coprire tutto il corpo; per questo dà loro il nome ceco

86
Líautore chiama questi individui Betamones; vide infra, paragr. 17.
87
Vide infra, paragr. 27.
88
Tocca in misura minore Plinio e Isidoro, però soprattutto Jacques de
Vitry e Tommaso di CantimprÈ, i quali non presentano pressochÈ nessun
nome e si limitano esclusivamente alle espressioni homines quidam op-
pure alii, qui, con cui introducono ogni nuova descrizione.

CIX

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

di Ussaczy (Grandorecchi).89 Durante líetà classica troviamo il


termine latino flaccus, che originariamente si usava a proposito
delle orecchie flosce, ad esempio in Cicerone e in Plinio il Vec-
chio,90 questi autori però constatano solamente che le orecchie di
alcune persone risvegliano in un certo qual modo (per forma,
grandezza o altri elementi simili) líattenzione di coloro che gli
stanno vicino, cosa che portò persino alla formazione di uno dei
cognomi romani.91 È evidente che entrambi gli autori non con-
sideravano orecchie del genere tanto terribili da indicare come
mostri gli individui che le avevano, così come per loro non erano
mostri le persone di cui si è già parlato, che presentavano labbra
pronunciate (labeones), denti sporgenti (brocchi), le persone
strabiche (strabi) oppure quelle con le gambe storte (vari); lo
conferma anche il fatto che tutti questi termini si ritrovavano tra
i cognomi romani. Allo stesso tempo, Plinio il Vecchio, per in-
dicare un popolo barbarico dalle orecchie gigantesche che gli
servivano come copertura, in un luogo non fornisce nemmeno
una denominazione, in un altro per lo stesso popolo utilizza il
nome poco chiaro di Phanesii, che probabilmente aveva ricavato
in maniera imprecisa da Pomponio Mela.92 Il nome Flacci si
cominciò a utilizzare per un tale popolo solo dal medioevo, e in
quel periodo quindi si arricchì tutto il gruppo delle denomina-
zioni che si erano formate a partire dallíetà classica su questi

89
Vide infra, paragr. 35 (Flacci) e 71 (Panocii).
90
Cf. Cicerone, De nat. deor. I,80; Plinio il Vecchio, Natur. hist.
XI,136: Aures homini tantum immobiles. Ab his Flaccorum cognomina.
91
Flaccus, ìDalle orecchie pendentiî, fu il cognome delle famiglie
romane dei Cornelii e dei Fulvii. Si chiamava così anche il poeta Orazio.
92
Cf. Plinio il Vecchio, Natur. hist. VII,30: Ö alios auribus totos
contegi; ibid. IV,95: Phanesiorum aliae, in quibus nuda alioqui corpora
praegrandes ipsorum aures tota contegant. Anche Solino, Collect. 19,8,
riprese il nome Phanesii: Esse et Phanesiorum, quorum aures adeo in
effusam magnitudinem dilatentur, ut reliqua viscerum illis contegant nec
amiculum aliud sit, quam ut membris membra vestiant.

CX

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

individui: già Scilace di Carianda scrive che il lontano popolo


orientale degli  Vtol¯knoi, ìGente con le orecchie come canestri
di viminiî, si riparava con le sue grandi orecchie dalla calura del
sole;93 Strabone chiama simili individui  Envtoko¯teq, quindi
ìGente che dorme nelle proprie orecchieî, perchÈ dice che que-
sta gente aveva le orecchie lunghe fino ai piedi, quindi vi si ad-
dormentava dentro.94 Troviamo nel geografo latino Pomponio
Mela il termine Panotii, la cui etimologia non è chiara; a prima
vista, sembrerebbe che questa parola sia formata dal pronome
greco pa` n, ìtuttoî, e dal sost. oy\ q , gen. ÊtÕq, ìorecchioî,95
quindi come se esprimesse che tutto ciò che percepiamo di qual-
che persona sono soprattutto le sue orecchie; secondo altre ipo-
tesi, però, questo nome è collegato al sost. dorico phnµ, ìstof-
faî, e indica quindi gli individui che adoperano le loro grandi
orecchie come indumento per coprire la loro nudità.96
Con alcune varianti troviamo la descrizione di persone con le
orecchie grandi in numerosi testi e le loro raffigurazioni sono
presenti in diversi manoscritti medievali, così come pure in un

93
Cf. De aet. Scyl., pag. 257. Il nome  Vtol¯knoi è formato dal sost.
o›q, gen. ÊtÕq, ìorecchioî, e l¯knon, ìcanestro di viminiî.
94
Cf. Strabone, Geogr. XV,1,57; II,1,9. Il nome  Envtoko¯teq è com-
posto dalla preposizione Øn, ìinî, dal sost. o⁄q, gen. ÊtÕq, ìorecchioî,
e dal verbo ke¡mai, ìmi sdraio, mi riposoî (cf. sost. ko¡toq, ìsonnoî).
95
Così nel medioevo scompongono questo nome Bartholomaeus An-
glicus, De propr. XVIII,46 (nella variante di Panthios), e Giovanni da
Genova, Catholicon (nella variante di Panocii), i quali già indicano
come mostri questa gente particolare.
96
Cf. Pomponio Mela, De chorogr. III,6,56: Ö esse Ö Panotios,
quibus magnae aures et ad ambiendum corpus omne patulae ñ nudis
alioquin ñ pro veste sintÖ; v. supra anche Solino, Collect. 19,8. Per
líetimologia del nome cf. A. Silberman, Notes complÈmentaires, in:
Pomponio Mela, Chorographie, Paris 1988, pag. 287ñ88, nota. 4.
A proposito di un popolo con grandi orecchie cf. più dettagliatamente
C. Lecouteux, Les Panoteens. Sources, diffusion, emploi, in: …tudes
Germaniques, 35, 1980, pag. 253ñ266.

CXI

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

portale del nartece della basilica di VÈzelay; per questo è al-


quanto sorprendente che solo poche opere medievali presentino
il nome di questo popolo, nonostante a loro proposito alcuni
autori raccontino ancora altri dettagli: ìNelle terre orientali na-
scono persone che secondo i racconti sono alte quindici piedi, le
quali hanno il corpo candido come il marmo e orecchie grandi
come canestri di vimini; di notte se le stendono sotto di loro e si
coprono con queste, e nel caso scorgano un uomo, le alzano
e fuggono attraverso gli ampi deserti.î97
Gli autori precedenti però nella descrizione dei mostri non
riportano molti altri nomi e per ora non è ancora chiaro da qua-
le fonte provengano oppure se per caso non siano invenzioni
dellíautore stesso. Così troviamo nel testo del Vocabularius la
descrizione di un popolo indiano particolare, i cui membri, che
superano líaltezza di cinque cubiti, si distinguono per il fatto che
non sputano, non soffrono mai di mal di testa, di mal di denti o di
occhi e per il fatto che i loro corpi si induriscono sotto il sole. Jan
VodÚansk˝ riprese la maggior parte di questi dati da Plinio, ag-
giunse però il nome latino di Obdurelli, alla cui base vi è líagg.
latino durus, ìduro, forte, resistente, durevoleî; al nome latino
e anche alla descrizione di questo popolo corrisponde il nome
ceco Tielotwrdczy (Durelloni).98
Da Plinio, che in questo caso ancora una volta si ispirò allíau-
tore greco Ctesia, proviene anche la conoscenza di certe donne
indiane che partorivano solo una volta nella vita e i loro bambini

97
Liber monstrorum, I,43. Altri autori ancora aggiungono: ìÖ in
modo da sembrare che volinoî (Epistola de rebus mirab. 26,4). Una
poesia anonima del XII sec., Isidorus versificatus, De monstr., v. 5ñ6,
racconta che questa gente si copre con le proprie orecchie così come con
due scudi: Sunt homines, quorum circumdatur undique binis / auribus
indutum corpus ut a clipeis.
98
Vide infra, paragr. 65. Cf. Plinio il Vecchio, Natur. hist. VII,22:
Multos ibi quina cubita constat longitudine excedere, non expuere, non
capitis aut dentium aut oculorum ullo dolore adfici, raro aliarum cor-
poris partium, tam moderato solis vapore durari.

CXII

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

incanutivano appena nati.99 Jan VodÚansk˝ chiamò queste donne


Parturientes e da Jacques de Vitry oppure da Tommaso di Can-
timprÈ ricavò in più il concetto secondo cui, se i loro figli arri-
vavano ad uníetà avanzata, i loro capelli diventavano neri.100 Dal
libro di Tommaso di CantimprÈ líautore del Vocabularius riprese
anche la descrizione di una gente i cui occhi brillavano come
lanterne; vi aggiunse il nome latino Nitiocles, quindi un termine
composto dal verbo latino nitere, ìlucidare, splendereî, e dal
sost. oculus, ìocchioî, e il nome ceco Bliskawcy (Splendoni).101
In modo alquanto illogico venne inserito il nome latino dei can-
nibali, che avevano líabitudine di seguire le tracce odorifere
lasciate dalle vittime prescelte. I nomi cechi Cûenichawczi (An-
nusoni) e Sledniczy (Seguitoni) sono una caratteristica precisa
della loro ìattivitàî, non corrispondono però al termine latino
Olidiones (Puzzoni), che deriva dal verbo olere, ìpuzzareî,
e dallíagg. olidus, ìpuzzolenteî, e che quindi in realtà esprime il
fatto che a puzzare fossero questi cannibali e non le tracce di

99
Cf. Plinio il Vecchio, Natur. hist. VII,23: Ctesias scribit et in qua-
dam gente Indiae feminas semel in vita parere genitosque confestim
canescere.
100
Vide infra, paragr. 78. Cf. Tommaso di CantimprÈ, De nat. III,5,5:
Sunt matres, que semel parientes canos partus proferunt, qui tamen diu
viventes in senectute nigrescunt. Si è qui proceduto alla fusione di due
tipi diversi di persone descritti da Solino, Collect. 52,28: Apud Ctesiam
legitur quasdam feminas ibi semel parere natosque canos ilico fieri. Esse
rursum gentem alteram, quae in iuventa cana sit, nigrescat in senectute,
ultra aevi nostri terminos perennantem. Il nome Parturientes è il part.
pres. del verbo parturire, ìessere incintiî, ìpartorireî. Fozio, Biblioth.
72,50, in: FGrH III, n. 688, Fr. 45, pag. 510, cita un passaggio da Cte-
sia; qui si riporta che queste persone avevano i capelli bianchi fino ai
trentíanni, successivamente cominciavano a diventare neri.
101
Vide infra, paragr. 58. Cf. Tommaso di CantimprÈ, De nat. III,5,35:
Homines quidam sunt orientis statura mediocri et eorum oculi lucent ut
lucerne. Oltre a Tommaso, cf. anche le versioni B e D dellíopera Epistola
de rebus mirab. 26,5, pag. 44ñ45 (ad es. D: Est et alia insula, in qua
nascuntur homines, quorum oculi sicut lucerna lucent).

CXIII

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

coloro che venivano inseguiti; si è quindi qui prodotta una for-


mazione errata del nome latino.102
Jan VodÚansk˝ presenta nuovi termini latini anche nella de-
scrizione di popoli che avevano un proprio nome in Plinio e
negli altri autori dellíetà classica, ma che nel medioevo erano
stati dimenticati. Plinio ad esempio scrive di persone senza bocca
(Astomi),103 che si nutrivano solamente di odori aspirati attra-
verso il naso. Questa gente quindi non mangiava nÈ beveva nul-
la, e in cambio annusava líodore delle radici e di diversi frutti
e fiori di bosco, di cui portavano con sÈ una provvista durante le
lunghe camminate, perchÈ sarebbero morti se avessero dovuto
respirare uníaria cattiva. Jan VodÚansk˝ riprese il testo di Plinio
in misura significativa, diede però a questa popolazione il nome
latino di Odoripete, cioè un nome creato dal sostantivo latino
odor, ìodoreî, e dal verbo petere, ìinseguire qualcosaî, ìcercare
di ottenere qualcosaî. In confronto a Plinio il Vecchio, che tro-
vava come segno più caratteristico di questo popolo il fatto che
non avessero la bocca, per líautore del Vocabularius aveva quin-
di più peso il suo modo di alimentarsi.104
Oltre a questa gente priva di bocca, líautore del Vocabularius
descrive ancora un altro popolo che, nonostante avesse la bocca,
questa però era così piccola e stretta da costringere i suoi membri
a prendere solamente del cibo liquido, che sorbivano con líaiuto
di una cannuccia. Il nome Ostilliones, con cui Jan VodÚansk˝
chiama questa popolazione, è collegato probabilmente al sostan-
tivo latino ostiolum, ìpiccola porticinaî, mentre il nome ceco
Strzebawczy (Assorboni) esprime il modo con cui veicolavano il
cibo nel corpo.105

102
Vide infra, paragr. 62. Già Tommaso di CantimprÈ, De nat.
III,5,12, menziona questa gente.
103
Cf. Plinio il Vecchio, Natur. hist. VII,25.
104
Vide infra, paragr. 61. Cf. Tommaso di CantimprÈ, De nat. III,5,16:
Homines alii sunt, qui solo odore cuiusdam pomi vivunt. Quos si longius
ire contigerit, ipsum pomum secum deferunt; aliter enim morerentur, si
pravum sentirent fetorem.

CXIV

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Jan VodÚansk˝ diede un nome latino e uno ceco anche ad un


altro popolo di cui Jacques de Vitry e Tommaso di CantimprÈ ri-
portano una descrizione parziale. Si tratta di una categoria di abi-
tanti dellíIndia superiore che consideravano come eccezionale
prova di devozione uccidere i propri genitori, i propri fratelli, le
proprie sorelle o i propri amici che erano privi di forze a causa
dellíetà o di malattie, e farne un banchetto; coloro che si ri-
fiutavano di compiere qualcosa del genere, erano guardati con
grande disprezzo. Líautore del Vocabularius diede a questo po-
polo líincomprensibile nome latino di Dandinayte e viceversa il
comprensibilissimo nome ceco di Samogedcy (Automangioni),
e aggiunse che alla richiesta di spiegazione sul perchÈ lo fa-
cessero, questa gente rispondeva che era estremamente crudele
lasciare che i vermi mangiassero i corpi dei propri amici, dato
che le loro anime avrebbero sperimentato poi un supremo tor-
mento.106 È possibile qui intravedere líinfluenza di Girolamo, il
quale nel suo libro Adversus Iovinianum menziona il popolo dei
Messageti e dei Derbici, che avevano líabitudine di uccidere
e mangiare i parenti vecchi o malati, perchÈ ritenevano che fosse
meglio che li gustassero loro piuttosto che diventassero una pre-
libatezza per i vermi.107 Gervasio di Tillbury in relazione a ciò fa
notare uníaffermazione tratta dallíopera di Aristotele Topica, che
riporta nella seguente versione: ìPresso i Triballi è buono sacri-

105
Vide infra, paragr. 66. Cf. Tommaso di CantimprÈ, De nat. III,5,11.
106
Vide infra, paragr. 26. Cf. Tommaso di CantimprÈ, De nat. III,5,2:
Sunt et homines alii, qui parentes proprios nimio confectos senio ma-
ctare et carnes eorum ad epulas preparare immensam putant pietatem et
magnam religionem. Renuentes vero tanquam impios detestantur; quasi
in modo identico Jacques de Vitry, Hist. Orient. 92, pag. 213, Onorio di
Autun, De imagine mundi, I,11. Cf. anche De monstris Indie, v. 9ñ13:
Quidam dilectos genitores atque propinquos / multis iam fessos annis
senioque gravatos / mactant, ne macie carnes vicientur obese. / Carnibus
hic epulas gaudent sibi sumere gratas. / Hoc quoque non sceleri, magis
ascribunt pietati.
107
Cf. Girolamo, Adv. Iovin. II,7.

CXV

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

ficare il proprio padreî invece della versione più precisa: ìAnche


sacrificare il proprio padre è considerato buono da qualche parte,
ad esempio presso i Triballi, in generale però non lo è.î108 È evi-
dente che le differenze tra le abitudini dei diversi popoli, inclusa
líusanza di alcuni popoli indiani di mangiare i propri parenti
anziani, furono commentate già dagli autori dellíetà classica;
Erodoto dedica a questa questione un passaggio più esteso: ìDu-
rante il suo regno, Dario fece chiamare i Greci presenti alla sua
corte, e chiese loro a che prezzo mangerebbero la carne dei loro
padri morti; essi risposero che non lo avrebbero fatto in nessun
caso. In seguito Dario fece chiamare alcuni Indiani della tribù
dei Calati, che al contrario mangiano i propri genitori, e in pre-
senza dei Greci Ö chiese loro a quale prezzo permetterebbero
che i loro padri venissero arsi dopo la morte. Essi gridarono ad
altissima voce e lo pregavano di non essere blasfemo. Così suc-
cede se si tratta di abitudini e penso che Pindaro lo abbia e-
spresso correttamente in una sua poesia, ovvero che líabitudine è
la regina di tutti.î109

I nomi cechi dei mostri nel testo


del Vocabularius

Il terzo contributo del testo del Vocabularius sono gli equivalenti


cechi che líautore creò facendoli corrispondere alla descrizione
di ogni singolo mostro. Alle volte sono una precisa traduzione
dei termini latini, altre volte invece líautore devia dallíoriginale
nome latino (eventualmente greco).

108
Cf. Gervasio di Tillbury, Otia imper. II,3, e Aristotele, Top. 115b. I
Triballi furono un ceppo dei Traci, che venne sottomesso da Alessandro
Magno.
109
Erodoto, Hist. III,38. Cf. anche Pomponio Mela, De chorogr. III,7;
Strabone, Geogr. IV,5,4.

CXVI

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

In totale accordo col nome latino e con la descrizione del


mostro, Jan VodÚansk˝ creò i nomi cechi dei krzywohubczy
(bocchestorte), krziwonosczy (gambestorte) e ssestirukowe (sei-
mani) per le espressioni latine tortilabiones, acili (aquili) e Sex-
manuti,110 i nomi cechi Lidogedcy (Mangiauomini) e Bezhlawczy
(Senzatesta) per i nomi originariamente greci di Antropofagitte e
di Acefali,111 oppure líespressione potwora dwu tiel (bicorpone)
per il latino bicorpor.112 Il termine Antipodes compare nel suo
testo due volte, per la prima volta come indicazione delle per-
sone che vivevano dallíaltra parte del mondo rispetto a noi e che
quindi si appoggiavano con i loro piedi ìcontroî i nostri; líautore
li chiamò in ceco Protinoûczy (Piedicontro). Però già Plinio il
Vecchio menziona degli individui che secondo Megastene ave-
vano le piante dei piedi rivolte allíindietro e su ciascuna avevano
otto dita; per questo particolare popolo líautore del Vocabularius
creò il nome pienamente logico di Zadonoûczy (Piedindietro).113
Alcuni nomi cechi corrispondono solo in modo parziale al
termine latino o a quello originariamente greco ed è dunque evi-
dente che líautore si è davvero attenuto soprattutto alla descri-
zione dei mostri. Chiama il Minotauro, di cui correttamente dice
che si trattava di un mostro umano con la testa di toro, col nome
ceco di Bykohlawecz (Testatoro), e tuttavia è immaginabile che
conoscesse il mito di Minosse e Pasifae dalle Metamorfosi di
Ovidio e che quindi avrebbe potuto intuire che la prima parte del
nome latino di questo mostro formava il nome di Minosse.114
Altri equivalenti cechi non sono più, nemmeno parzialmente,
delle trasposizioni dai termini latini, ma derivano esclusivamente
dalla descrizione del mostro. Ad esempio il ceco Cûtyrzwocûczy
(Quattrocchioni) è la traduzione letterale del nome latino del

110
Vide infra, paragr. 97, 2 e 89.
111
Vide infra, paragr. 7 e 1.
112
Vide infra, paragr. 10.
113
Vide infra, paragr. 4 (Antipos) e 5 (Antipodes).
114
Vide infra, paragr. 55. Cf. Ovidio, Metam. VIII,131-137; 155-176.

CXVII

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

popolo etiope dei Quadriptalmi, che vivevano cacciando leoni


e pantere,115 ma in nessun caso si tratta della traduzione del la-
tino bifax indicante, secondo Jan VodÚansk˝, delle creature con
due facce, una davanti e una dietro, come era ad esempio il dio
romano Giano.116 Anche il nome ceco di chlupacûi (pelosoni)
corrisponde letteralmente al latino pilosi, con cui Jan VodÚansk˝
indica i demoni notturni dal volto di uomo e dal corpo di ani-
male, che fornicavano soprattutto con le donne (si chiamavano
anche Incubi o Panisci), però un altro nome ceco, suloûniczy
(concubinoni), già deriva con certezza dallíattività principale che
questi mostri svolgevano.117 E similmente líespressione ceca
obogijho pohlawij cûlowiek (uomo di entrambi i sessi) non
è letteralmente la traduzione del nome Ermafrodita; líautore del
Vocabularius riprese parzialmente questa descrizione da Isidoro
di Siviglia, inclusa uníimprecisa etimologia, che egli rese ancora
più oscura. Secondo Isidoro questa parola, che in realtà è un
composto dei nomi greci degli dei Hermes e Afrodite, è formata
dalle parole Hermes (nel Vocabularius nella variante herma),
che starebbe a significare ìmaschileî, e Afrodite (nel Vocabula-
rius già nellíincomprensibile variante di frodi), che vuol dire
ìdonnaî; indica un androgino che aveva il seno destro come un
uomo e quello sinistro come una donna.118

115
Vide infra, paragr. 81. Il nome latino Quadriptalmi è un ibrido
formato dal numerale lat. quattuor, ìquattroî, e dal sost. grec. œwual-
mÕq, ìocchioî, latinizzato come optalmos. Líautore del Vocabularius ha
qui erroneamente fuso la descrizione di due popoli diversi fatta da So-
lino, Collect. 30,6.
116
Vide infra, paragr. 12: Bifax, bifacis, quasi duos habens obtuitus,
videlicet ante et retro, sicud Ianus dicitur bifrons, ad duas partes re-
spiciens. Cûtyrzwocûczy.
117
Vide infra, paragr. 74. Il modello fu verosimilmente il testo di
Bartholomaeus Anglicus, De propr. VIII,82, oppure di qualche altro
glossario medievale, cf. ad esempio Giovanni da Genova, Catholicon,
s. v. Pilosus.
118
Vide infra, paragr. 42. Cf. Isidoro di Siviglia, Etymol. XI,3,11.

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Esistono i mostri umani?

È evidente che gli autori classici e medievali si trovavano díac-


cordo sulla problematica dei mostri umani in un punto, e cioè sul
tipo di considerazione che avevano degli individui umani che
erano nati corporalmente così deformati da risvegliare una sen-
sazione di stupore oppure addirittura di ripugnanza. Pare che non
avessero alcun serio dubbio sulla loro esistenza ñ in base alla
loro testimonianza osservavano spesso di persona i mostri de-
scritti, o perlomeno ne avevano sentito parlare da testimoni at-
tendibili ñ e per questo non sorprende che anche líautore del
Vocabularius annoveri nel suo testo alcune di queste persone
deformate: si dice che in Italia fosse possibile osservare nellían-
no 389 un mostro umano con due teste (biceps),119 in Gallia
nacque ancora attorno allíanno 1044 un mostro diviso a partire
dalla cintola in due corpi femminili (bicorpor),120 in Borgogna
vivevano persone con il mento allungato fino allíombelico (gur-
guliones), 121 in Puglia persone con la pelle di colore rossastro
(Rutili)122 e in Francia furono visti gli ermafroditi; nel caso di
questi esseri di entrambi i sessi, líautore del Vocabularius ag-
giunge persino líaffermazione che gli ermafroditi vivevano pure
in Boemia, dato che lui stesso si era incontrato con due di loro.123
Anche il testo di un altro autore collegato allíambiente boemo
conferma la credenza della società del tempo in questi mostri
umani; si tratta dellíitaliano Giovanni dei Marignolli, il quale
aveva composto su incarico di Carlo IV, re di Boemia e im-

119
Vide infra, paragr. 11. Si tratta di un mostro già descritto da Cice-
rone, Livio, Agostino, Vincenzo di Beauvais e altri autori.
120
Vide infra, paragr. 10.
121
Vide infra, paragr. 38.
122
Vide infra, paragr. 85.
123
Vide infra, paragr. 42.

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

peratore del Sacro Romano Impero, una concisa cronaca ceca, in


cui troviamo pure un breve passaggio dedicato alla tematica dei
mostri umani.124 Giovanni dei Marignolli nellíintroduzione si
basa sul breve trattato di Agostino sui mostri umani presente
nella sua opera De civitate Dei, in cui però inserisce delle osser-
vazioni personali compresa líaffermazione di aver potuto vedere
di persona alcuni dei mostri descritti: ìDavvero anche in questa
terra tra di noi ne sono nati alcuni [mostri] e ce ne sono tanti in
tutto il genere umano, così come lo prova líesempio di diversi
gobbi, dellíuomo che ha sei dita e di numerosi altri. Così ad
esempio il nobilissimo imperatore Carlo IV portò dalla Toscana
una ragazza con un volto pieno di peli e molto pelosa su tutto il
corpo, come se fosse stata la figlia di un lupo; eppure in Toscana
non esiste gente così, neanche sua madre era così, neanche gli
altri figli, ma erano uguali a noi. Esattamente come quel mostro
che abbiamo visto durante i nostri giorni in Toscana attorno
a Firenze che era nato da una madre bella, che aveva due teste
perfettamente formate, quattro braccia, due petti uniti fino
allíombelico ñ lì si univano perfettamente e una qualche gamba
usciva dal fianco che poi aveva due piante dei piedi...î. Parti-
colarmente degna di attenzione è poi la conclusione della de-
scrizione di questo mostro: ìÖ Fu battezzato come due persone
e sopravvisse sette giorni.î125

124
Nellíanno 1338 il papa Benedetto XII incaricò Giovanni dei Mari-
gnolli di uníambasceria presso il gran khan dei Tartari. Giovanni dei
Marignolli giunse nellíanno 1342 a Pechino, dove vi passò alcuni anni.
Nel viaggio di ritorno attraversò la Cina meridionale, líIndia e Ceylon
fino ad Avignone, dove ritornò solo dopo quindici anni nel 1353. Cf.
M. Bl·hov·, Kroniky doby Karla IV., Praha 1987, pag. 580.
125
Giovanni dei Marignolli, Chron. Bohem., pag. 508: Ö sicut inter
nos aliquando nata sunt pauca (sc. monstra) in illis partibus, et in toto
genere humano sunt multa, sicut ponit exemplum de variis gibbosis, de
homine habente sex digitos et de aliis multis. Sicut imperator nobi-
lissimus Karolus quartus portavit de Tuscia puellam in facie omnino
pilosam et in toto corpore maximis pilis, sicut esset wulpis; non tamen

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I mostri umani nel Vocabularius dictus Lactifer di Jan VodÚansk˝

Qualche paragrafo più avanti poi Giovanni dei Marignolli


racconta di aver visto coi propri occhi anche un ermafrodita e un
gigante molto brutto e puzzolente, a cui egli non arrivava con la
testa neanche alla vita.126 Non tanto mostruosa, ma perlomeno
strana, considerava anche la gente selvaggia che viveva nei bo-
schi: ìEsistono degli uomini silvestri, nudi e pelosi, che abitano
con figli e mogli nei boschi e non compaiono in mezzo alla gen-
te. Raramente ho potuto vedere qualcuno di loro perchÈ si
nascondono nel bosco ogni volta che sentono della gente pas-
sareÖî127 Questo testo di Giovanni dei Marignolli è uníaltra
testimonianza del fatto che il medioevo non classificava tra i
mostri umani solamente le persone deformate fisicamente e i
popoli di regioni straniere con altre abitudini, ma anche coloro
che vivevano ai margini della società di allora. Secondo Gio-
vanni dei Marignolli erano persone che vivevano nude in ma-
niera selvatica nei boschi (homines silvestres), secondo líautore
del Vocabularius invece si trattava di persone pelose come fiere
che abitavano nei fiumi (Ertales).128
Ma come era líatteggiamento degli autori medievali nei con-
fronti dellíesistenza di individui particolari e dei popoli esotici,
a proposito dei quali riprendevano informazioni dai geografi
e dagli storici latini e greci? Credevano che queste persone fos-
sero vissute veramente, oppure che vivessero ancora, da qualche

per se in Tuscia est talis populus, nec mater sua fuit talis, nec alii filii,
sed nobis similes. Sicut illud monstrum, quod vidimus eciam diebus
nostris in Tuscia in districtu Florencie nasci de pulcra matre, habens
duo capita, perfecte formata, quatuor brachia, duo pectora usque ad
umbilicum perfecta forma ibi coniungebantur et unus quasi pes ex latere
procedebat, et post duos tantum pedes habebant et tamquam due persone
baptizati fuerunt et supervixerunt diebus septem.
126
Cf. Giovanni dei Marignolli, Chron. Bohem., pag. 509-510.
127
Giovanni dei Marignolli, Chron. Bohem., pag. 509.
128
Vide infra, paragr. 29. Cf. anche Tommaso di CantimprÈ, De nat.
III,5,20, e Jacques de Vitry, Hist. Orient. 92, pag. 214.

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parte in India, in Etiopia o in Scizia, oppure si accontentavano


solamente di citare delle autorità attendibili, come erano Ago-
stino e Isidoro di Siviglia? Il testo del Vocabularius a questa
domanda non dà una risposta; Jan VodÚansk˝ non fornisce al
lettore nessuna indicazione che spieghi se i mostri da lui descritti
fossero veri oppure se si trattasse solamente di prodotti della
fantasia poetica. Totalmente diverso è líapproccio di Giovanni
dei Marignolli, il quale attraversò paesi lontani, compresa líIndia
e la Cina. BenchÈ líautore non dubiti, così come abbiamo già
visto, della possibilità dellíesistenza di singoli mostri, non ri-
teneva verosimile che esistesse un intero popolo contrassegnato
da una qualsivoglia deformazione, come ad esempio gli Scio-
podi, che secondo i racconti utilizzavano il loro unico piede
come ombrello da sole: ìRispetto a qualcun altro che è letto
e conosciuto, ho dedicato, così come credo, più impegno a in-
vestigare le meraviglie del mondo, e ne ho attraversato le più
importanti regioniÖ, e non ho mai potuto verificare se ci siano
davvero nel mondo tali popoli Ö E non esiste nessun popolo
così, se non, come ho già detto, qualche mostro, neanche quelli
di cui si racconta falsamente che si facciano ombra con un piede;
non sono un popolo, ma siccome tutti quanti gli Indiani girano
nudi, portano sempre in mano su un bastoncino di canna una
piccola tenda Ö e ogni qualvolta lo vogliano, la aprono contro il
sole e la pioggia. Per questo motivo i poeti si sono immaginati un
piede.î129 Giovanni dei Marignolli quindi in questo punto per
esperienza personale parafrasa líaffermazione di Agostino, il

129
Giovanni dei Marignolli, Chron. Bohem., pag. 509: Ego Ö qui plus
dedi operam, ut puto, quam alius, qui legatur vel sciatur, ad investigan-
dum mirabilia mundi et transivi per principaliores mundi provincias Ö;
nunquam potui investigare pro vero tales gentes esse in mundoÖ Nec est
aliqua nacio talis, nisi ut dixi monstrum, nec illi, qui finguntur uno pede
sibi umbram facere, sunt nacio una, sed quia omnes Yndi communiter
nudi vadunt, portant in arundine parvum papilionem semper in manu Ö
et extendunt contra solem et pluviam, quando volunt. Istud poete fin-
xerunt pedem.

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quale dice ìnon bisogna credere nellíesistenza di tutte le razze


umane di cui si racconta.î130

È chiaro che bisogna concepire il contenuto dei termini latini


monstrum e monstruosi homines in uníampia scala di significati
e sfumature, a partire dallíindicazione di una persona caratte-
rizzata da una semplice piccola diversità nellíaspetto esteriore
oppure nel comportamento, attraverso anomalie maggiori, fino
a differenze in tale misura stupefacenti da risvegliare nellíos-
servatore o nellíascoltatore uníimpressione di incredulità o per-
sino di terrore davanti a qualcosa di orrendo e di mostruoso.
Líatteggiamento degli autori classici è in questo senso meno
complicato rispetto allíapproccio degli autori medievali: il mo-
stro umano è un essere dallíaspetto innaturale, metà animale
metà uomo, oppure un mostro che ricorda líessere umano solo in
alcuni lati; da quanto è stato detto più sopra, deriva che anche
alcuni autori medievali possedevano una visione simile su ciò
che è mostruoso. Invece altri, nella loro brama di cose curiose,
inserivano tra i monstra non solo le persone deformate, gli ap-
partenenti a popolazioni esotiche e lontane e i personaggi della
mitologia greca, ma ogni persona che solo minimamente deviava
dalla norma abituale: era sufficiente una gobba sulla schiena, un
naso storto, il fatto di avere un corpo più peloso oppure la pre-
dilezione nellíaccumulare soldi sfruttando i propri vicini.
Se qualche autore medievale ha però inserito una certa razza
umana o un essere umano particolare in un libro riguardante i
mostri umani, non è tuttavia assolutamente sicuro che egli lo
considerasse tale. In questo caso allora certamente non trove-
remmo in Tommaso di CantimprÈ in mezzo ai ìmostriî umani
la descrizione di Ercole, di cui viene detto che tutto il mondo

130
Cf. Agostino, De civ. Dei, XVI,8.

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ammirava la sua grandezza e la sua forza,131 e nel Vocabularius


non sarebbe presentata Pamphile, che per prima inventò il modo
di tessere il cotone per confezionare vestiti, motivo per cui Jan
VodÚansk˝ le dà il nome ceco di Prwnij bawlnoprzedka (Pri-
ma filatrice di cotone).132 Una visione esclusivamente negativa
degli esseri umani particolari era impedita anche dalle spiega-
zioni moralizzanti in numerose opere medievali: ad esempio
nellíopera Gesta Romanorum, la popolazione dalle orecchie così
grandi da potersi coprire tutto il corpo è immagine di coloro che
di buon grado ascoltano la Parola di Dio e così difendono la loro
anima e il loro corpo davanti al peccato; le persone con uníunica
grande gamba ma veloce sono coloro che si distinguono per un
unico e perfetto amore e velocemente corrono verso il regno
celeste; la popolazione con sei mani rappresenta coloro che nella
fatica e nella sofferenza si sforzano di giungere alla vita eterna; e
la gente con quattro occhi sta a significare coloro che temono
Dio, il mondo, il diavolo e il corpo: rivolgono un occhio verso
Dio nel tentativo di vivere una vita buona e di assicurarsi come
poterGli piacere, il secondo lo rivolgono al mondo, per sapere
come fuggirne, con il terzo guardano il diavolo, per riuscire a
resistergli, con il quarto si concentrano sul corpo, per trovare un
modo per dominarlo e raggiungere líintegrità dellíanima.133 Non
solo persone ìorrendeî, ìmostruoseî, ma anche ìstraneî, ìinso-
liteî, ìparticolariî, ìdegne díattenzioneî, così bisogna inter-
pretare il senso medievale del termine latino monstruosi homi-
nes, affinchÈ, assieme allíautore del Vocabularius, ìpossiamo
godere della varietà del mondo creato da Dioî.

131
Cf. Tommaso di CantimprÈ, De nat. III,5,34: Herculis magnitu-
dinem miratur mundus, miratur et arma eius. Qui post devictum mundum
bellis ac sanguine erexit in signum victorie columpnas mire magni-
tudinis in occiduis Tyrreni maris; ac post omnia moriturum se videns,
flammis se tradidit comburendum.
132
Vide infra, paragr. 67.
133
Cf. Gesta Romanorum 175, pag. 575ñ576.

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