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Lezione 05/10

sapete che il rilievo di un prospetto si effettua praticamente e unitamente attraverso metodologie di rilievo
indiretto.
Parla di tutti i problemi Covid che li ha portati a cambiare il caso studio da castello a caserma Ederle
SCHEMA METODOLOGICO DEL LABORATORIO DI RILIEVO E RESTAURO
Io qui vi ho diviso il sistema in 3 punti, divisione personale, in questi 3 punti è schematizzato il lavoro del
corso.

1. Fonti indirette
-bibliografia
-fonti iconografiche
-ricerca archivistica

2. Analisi diretta della fabbrica


-rilievo fotografico (set fotografico di cui eseguire il fotoraddrizzamento, termine che a me non piace
preferisco chiamarlo foto-piano, vedremo che non sarà mai un foto-piano ma sarà invece un fotomosaico,
operazioni sul software rdf) e disegno dal vero (fatto in foto)
-rilievo architettonico (restituzione in scala 1:50)
-analisi mensoria (i prospetti della caserma Ederle sono molto semplici e non avranno le stratificazioni che
hanno gli edifici di castello, per cui l’analisi mensoria non avrà senso)
-analisi rapporti geometrico proporzionali (anche questa non sarà necessario fare, se non nell’edificio che
dà su calamosca)
Quindi questi ultimi due punti non sono da fare

3. Il progetto di restauro (2° modulo)

Il punto 1 ci verrà fornito da loro, così come le foto

-Elaborati
0-relazione di sintesi finale (da consegnare alla fine del modulo integrato)

1-inquadramento (analisi cartografica e delle relazioni alle diverse scale); noi vi affideremo dei dossier ma
potete ampliare con vostre ricerche sul web
Scala territoriale 1:10000(ctr), 1:50000(IGM), 1:2000, (catasti) 1:1000, 1:500
Per l’inquadramento useremmo: cartografia, planimetria catastale, foto aeree (dal sito sardegna foto
aeree), orotofoto e stralci degli strumenti urbanistici vigenti ad esempio il puc di Cagliari

2-analisi cartografica storica (vedere come l’area di studio è stata rappresentata, vedere quindi le relazioni
che di questa sussistevano nel passato per vedere se permangono ancora oggi.
Le scale usate saranno uguali all’inquadramento.
Confronto tra attuale e storico
Gli strumenti usati saranno: cartografia storica, catasti storici, foto aeree storiche, ortofoto storiche,
evoluzioni degli strumenti urbanistici (nel senso gli strumenti urbanistici oggi e quelli storici)

3-analisi del complesso architettonico (alle scale dell’intera caserma, da quella urbana a quella
architettonica)
Scendendo sempre di scala, andiamo a vedere da quella urbana a quella architettonica.
La scala al 200 è quella che tipicamente viene utilizzata sia in ambito urbano che in ambito architettonico
Cosa vuol dire in ambito urbano? È la scala utilizzata per il rilievo dei profili dell’edificato su strada degli
edifici nei centri di antica e prima formazione. Stiamo parlando dei PPR relativi ai centri storici, per i centri A
dei piani, oggi abbiamo i centri matrice che comprendono zone che non sono esclusivamente quelle A ma
che inglobano anche quelle B e la scala al 200 è proprio la scala tipica che ci serve sia per il rilievo che per il
progetto del rilievo.
A questa scala realizzeremo elaborati sia in 2d che 3d
Una pianta delle coperture molto semplice, perché sono quasi tutte coperture piane
Sezioni ambientali al 500 che vanno a intercettare anche l’intorno e poi sezioni dei profili al 200 che
intersecano solo il perimetro murario che individua l’area racchiusa interna dalla Caserma Ederle.
Evidenziare l’area di intervento nella planimetria, evidenziare l’edificio assegnato con un contorno rosso al
200 in pianta ed in sezione.
- al 200 scala dell’isolato, pianta, sezione e modello 3D
- modellare un 3D a scala 1:100 del nostro edificio.

4-analisi unità edilizia (rilievo al 50 del corpo di fabbrica assegnato)


Indagini preliminari, rilievo fotografico (fornito da noi) disegno dal vero (da foto), rilievo a vista, è molto
importante non confondere il disegno dal vero dal rilievo a vista. Il disegno dal vero è un disegno che si
esplicita nella prospettiva, la quale trova il suo significato anche nel metodo di rappresentazione utilizzato,
la prospettiva ci permette di rappresentare come noi percepiamo quel contesto, soprattutto ci permette di
studiare in che rapporto si trova il prospetto che stiamo studiando rispetto all’intorno, nel caso di Castello
ad esempio potevo avere uno slargo, una strada stretta, una piazzetta. Cambia quindi la percezione che noi
possiamo avere dal disegno dal vero, perché col rilievo del singolo prospetto non sappiamo quali sono i
rapporti tra il prospetto e il contorno, e questo andiamo a tradurlo col disegno dal vero. Per noi da
fotografia, che è un lavoro analogo, anzi è interessante come cambia la percezione del sito quando io mi
trovo nel sito e quindi disegno dal vero e come invece cambia la percezione quando io lavoro da remoto. Il
disegno dal vero presenta un’immediatezza rispetto a quello da foto, infatti in quest’ultimo siamo invitati a
soffermarci un pochino di più sui dettagli, mentre invece quando siamo dal vero siamo costretti a
velocizzare il lavoro perché non abbiamo la stessa comodità. Il disegno dal vero in questo senso applica
come un filtro, una sintesi, andando a enfatizzare alcuni elementi e qualità per noi più importanti rispetto
ad altri. I due disegni non sono quindi eguali. Il disegno dal vero può essere effettuato sia in prospettiva che
in proiezione ortogonale, anche se ha maggiore efficacia in prospettiva perché permette di rappresentare
meglio il modo di vedere dell’occhio umano, rappresentazione immersiva.
Rilievo a vista è un rilievo che si fa sempre in proiezione ortogonale, mai in prospettiva perché appunto
mirato a individuare leggere e rappresentare tutti quei rapporti di misura e proporzioni che sussistono a
vista senza misura in quel prospetto (griglia, quadrati, rettangoli)..
Questo lavoro ci serve per avere una base dell’eidotipo, schizzo in cui segniamo le misure, prendendo le
misure di alcune porte o finestre per poi scalare le foto da raddrizzare.
Queste sono le indagini preliminari, successivamente andremmo a studiare quello che ho chiamato
anatomia dell’unita edilizia, andremmo quindi a rappresentare in scala 1:200 o al 100, andando a
ridisegnare piante, prospetti e sezioni a partire dalle fonti storiche.
Modello 3D con solo prospetto assegnato del caso studio in scala 1:100 con infissi disegnati nellì1:50
Nell’1:50 disegniamo anche il degrado, nel 100 aggiungiamo gli infissi rispetto al disegno del 200
Infine progetto di rilievo in scala 1:50, stessa scala del restauro, e del restauro archeologico.

Per fare il rilievo di un prospetto esistono vari metodi, che vedremo tutti. Sappiate già che il rilievo del
prospetto è il risultato di un rilievo integrato, perché è impossibile riuscire a ottenere un rilievo di un
prospetto, sezione o una pianta attraverso una sola metodologia, dovremo sempre far ricorso a più
metodologie. In realtà se noi volessimo rilevare una pianta potremo anche utilizzare un solo rilievo diretto,
quindi la trilaterazione. Ma in realtà oggi, con le nuove tecnologie che ci forniscono degli strumenti molto
potenti, soprattutto per i prospetti, è maggiormente consigliato l’integrazione di diverse metodologie, sia
nel caso di rilievi diretti che indiretti.
Stazione totale, strumento che misura angoli e distanze e che alla fine restituisce un insieme discreto di
punti (da noi individuati) e li combina in un file dxf in cui sono inserite le coordinate 3D dei punti. E così via.
Una volta completato questo andremmo a fare una restituzione dei caratteri geometrico-morfologici
(architettonico) e delle discontinuità di superficie, queste possono essere dovute a vari fattori come
macchie d’umidità, distacchi d’intonaco, alterazioni cromatiche ecc. Proprio perché poi nel secondo modulo
andremo ad analizzarle col rilievo materico e del degrado, in questa scala al 50 era compresa anche l’analisi
mensoria che non faremo, così come per l’individuazione delle matrici storico-proporzionali.

Spiega elaborati, fa vedere foto mosaico, restituzione cad in cui rappresentiamo il degrado e l’ultimo la
sovrapposizione dei due elaborati precedenti.

Fa vedere un elaborato sviluppato non attraverso rdf ma un software chiamato ‘foto modellatore’
attraverso questi non otteniamo un fotomosaico ma un’ortofoto mosaico, la differenza è semplicemente
che quando io posso considerare un prospetto come un piano io posso utilizzare per il rilievo un software
come rdf, perché l’ipotesi è che il prospetto sia riconducibile a un piano.
In questo caso vedete che essendoci già un’impalcatura il prospetto risulta composto da più piani, l’effetto
corrisponde a quello di una nuvola di punti 3d come quelli ottenuti da uno scanner, con risultati
caratterizzati da una precisione molto elevata, ovviamente l’accuratezza dipende poi dal lavoro e dai set
fotografici scelti.

Lezione 12/10
Iniziamo oggi a introdurre la parte generale relativa proprio a questo modulo di rilievo e poi andremmo a
vedere come va realizzato il primo elaborato, abbiamo detto che i primi elaborati sono quelli che si fanno
nel sopralluogo, ma quali sono? Il primo è certamente un rilievo fotografico, funzionale al racconto, a una
narrazione del sito che stiamo studiando, un disegno dal vero e un rilievo a vista.
Non c’è bisogno di spiegare la teoria sul rilievo fotografico e sul disegno dal vero, che comunque io ritengo
siano da voi già acquisiti. Nello specifico voi avete già tutti gli strumenti per realizzare un elaborato,
soprattutto chi ha seguito con me al 1 anno.
Il disegno dal vero della Caserma Ederle prevede due scale di lettura, la prima è quella “architettonico-
urbana” in cui è presente il contesto, vie e piazzali all’interno del sito, ma anche alla scala architettonica,
ricercando dei punti di vista interessanti dei quali ridisegnare con le stratificazioni tipiche del paesaggio.
Quindi avremo questa doppia lettura del contesto e del paesaggio, andando a inserire proprio il nostro
complesso all’interno del contesto paesaggistico, e la scelta del punto di vista è determinante per la lettura
e il racconto del complesso.
Io qua vi ho messo due sostantivi.
Rilievo e Rilevamento. Questi due termini paiono come sinonimo ma in realtà presentano due significati
differenti. Il rilevamento è il semplice atto mensorio, cioè l’azione di andare a considerare un elemento, può
essere la pianta, un elemento costruttivo, decorativo, registrare alcune di misure di questo elemento e
trascriverle sull’eidotipo, quindi per rilevamento si intende solamente quella fase di presa e registrazione
delle misure, non stiamo facendo altro che trascrivere una misura. Perché questo non può essere inteso nel
significato generale di rilievo? Perché il rilievo, ovviamente non può prescindere dall’atto mensorio, e
quindi dalla registrazione della misura, ma è soltanto una piccola parte di un processo complesso che è il
rilievo architettonico. Il rilievo architettonico infatti non è solamente la presa e la registrazione di una
misura ma è una lettura, un’interpretazione dell’opera o del sito, o dell’elemento considerato. Quindi
presuppone proprio una trascrizione, questa non è altro che una traduzione, che trasporta diciamo, quelle
qualità che noi vogliamo mettere in evidenza dell’oggetto studiato e queste vengono tradotte, trasportate
sul foglio di carta, ad esempio un eidotipo, o un software, ad esempio cad, nel caso in cui andiamo a
trascrivere, come stiamo facendo noi, le qualità di un prospetto.
Si parte proprio dalla parola rilevare, rilevare un’opera significa, se prendiamo il dizionario, dal latino:
sollevare, rialzare, e ci sono tanti significati come: levare, rialzare, ritrarre, ricavare, individuare,
comprendere, arguire, notare, mettere in evidenza… Vedete che tutti questi termini fanno proprio
emergere dei significati tipici dell’azione del rilievo, prendiamo alcuni (comprendere, arguire), certamente
per capire un’opera dobbiamo comprenderla, comprendere significa andare a capire quali sono le parti in
cui si articola e si compone il nostro prospetto, ma più in generale l’opera e quindi una pianta oppure
l’edificio nel suo complesso, cioè se io non ho compreso si articola la complessità dell’edificio in esame mi
sarà molto difficile andare a individuare poi la traccia del piano di sezione verticale da considerare, proprio
perché dovrà andare a intercettare alcune parti determinanti dell’opera, e se io non ho compreso l’opera
questo procedimento non ha molto significato. Quindi comprendere, arguire, innanzitutto, quindi un
qualcosa su cui dobbiamo lavorare, anche perché senza questa comprensione a monte, attuata anche
attraverso le fonti storiche, quindi noi possiamo andare a eseguire un rilievo a vista (uno dei primi elaborati
che andremmo a realizzare) senza nessuna nozione preliminare, e questo ha un significato, perché con il
rilievo a vista noi andiamo a trascrivere solo gli elementi che riconosciamo, senza avere nessun filtro dato
ad esempio dalle fonti storiche, le quali mi possono dire quali sono le fasi costruttive in quel prospetto,
quello non è un dato necessario per svolgere il rilievo a vista.
Andando avanti oltre al significato di comprendere, rilevare significa anche levare, togliere di nuovo,
rialzare, cosa vuol dire? Vuol dire che stiamo con il rilievo ricostruendo, quindi con togliere di nuovo andare
a leggere tutte le parti costituenti il prospetto o l’opera in generale, rialzare, proprio come se la stessimo
ricostruendo, riedificando, e quindi rialzare ci dice che rilevare un’opera significa anche ricostruirla,
scomporla, ricostruirla nello specifico andare a leggere, ricostruire nuovamente tutte le parti che la
compongono, svelarla mettere in evidenza alcune qualità che ad esempio nelle immagini fotografiche non
vengono esaltate ma che noi nel disegno dal vero, o nel rilievo a vista, o anche nel rilievo materico andiamo
a svelare, nel senso delle componenti che magari a vista non avevamo percepito e quindi andiamo a
trascriverle. Scomporla nel senso che ovviamente dobbiamo articolare, una volta svelate le parti, queste
devono essere scomposte e ricomposte in questa ricostruzione e successivamente riarticolata in queste
parti, che ovviamente devono rispondere a tema a cui facciamo riferimento nel lavoro, nel nostro caso il
rilievo per il restauro. Abbiamo visto che esistono diversi ambiti di lavoro per il rilievo, cioè il lavoro non è
soltanto un rilievo di restauro ma esistono tanti differenti flussi di lavoro, temi, che vanno a caratterizzare
l’azione del rilievo.
Rilevare significa anche: ricavare, accertare, individuare, venire a conoscenza.. quindi rilevare un’opera
significa: ricercare, leggerla. Ricercare quelle informazioni di cui magari abbiamo visto o avuto notizia dalle
fonti indirette, quindi tracce di una certa fase costruttive o l’utilizzo di determinati materiali e quindi vado a
ricercare alcune informazioni, ma a prescindere dalle fonti storiche vado proprio a ricercare, fare questa
lettura e questa traduzione, perché fare questa lettura significa proprio, ricordiamocelo, riconoscerla.
Per disegnare qualcosa io devo conoscere l’opera e sappiamo che disegnare significa vedere, io posso
disegnare quello che vedo e vedo solo quello che riconosco. Quindi rilevare significa anche riconoscere,
notare, far notare, mettere in evidenza. Rilevare un’opera non significa descrivere pedissequamente e
contemporaneamente tutto, innanzitutto questo è impossibile, perché noi vediamo solo quello che
riconosciamo e possiamo disegnare solo quello che vediamo e riconosciamo. È ovvio che non possiamo
riconoscere tutto, perché già proprio nella fase di visione il nostro cervello esclude alcune informazioni
presenti nella realtà percepita e quindi nel passaggio realtà-occhio-cervello alcune informazioni vengono
proprio ommesse, quindi anche volendo disegnare tutto quello che esiste e vediamo sappiamo già che
quello che vediamo è quello che riconosciamo. Cioè ci saranno sempre qualità del fenomeno indagato che
noi non vediamo e quindi non saremo in grado di descrivere. Quindi stiamo già sbagliando se pensiamo di
poter descrivere in modo pedissequo tutte le caratteristiche e le qualità presenti nel nostro oggetto, perché
data questa impossibilità, non è neanche corretto, noi dobbiamo andare a discretizzare la realtà, nel senso
che proprio perché il nostro cervello lavora in un determinato modo, se ricordate non è vero che esistono
linee e punti nella realtà (come dicevano gli impressionisti) ma la linea e il punto esistono nel nostro
cervello, quindi dobbiamo ricondurre tutto a degli elementi di attrazione visiva che sono quelli secondo cui
il nostro cervello interpreta la realtà. Questo vuol dire che a seconda del contesto di lavoro dobbiamo
andare a ricercare quei caratteri e quelle qualità specifiche all’interno di quell’ambito di lavoro, nel nostro
caso saranno quelle qualità oltre ai caratteri architettonici, ai caratteri dovuti ai fenomeni di degrado e
alterazione presenti nei materiali e negli elementi in prospetto. Degrado esclusivamente dipendente da
fattori chimico-fisici o degrado di natura antropica, cioè ci sono dei fenomeni di ‘stratificazione’,
chiamiamoli, e quindi fenomeni di aggiunta di elementi nel nostro prospetto che costituiscono fenomeni di
degrado antropico, ad esempio nel castello tutti i cavi degli impianti in facciata, o la comparsa di
climatizzazione esterne, o la presenza di antenne e così via, sono tutti elementi di degrado antropico, nel
nostro caso dovremmo andare a mettere in evidenza tutti questi caso che ci condurrà quindi a effettuare il
così detto materico. Quindi dobbiamo sempre discretizzare l’oggetto del rilievo, mettere in evidenza quelle
caratteristiche e quelle qualità formali, dimensionali o materiche, come nel nostro caso, rispetto ad altre
caratteristiche che nel nostro ambito di lavoro risultano secondarie. Non dobbiamo semplicemente
riprodurre in maniera meccanica, come apparentemente farebbe la fotografia, in realtà neanche la
fotografia non è una semplice riproduzione meccanica del reale, perché nella fotografia si compie un atto
creativo, nel senso che già noi nello scegliere un certo orario del giorno, una luce, e un certo punto di vista
stiamo già dando una visione soggettiva di quell’opera, nel senso che non stiamo dando una semplice
riproduzione meccanica dell’oggetto ma lo stiamo reinterpretando. Quindi anche come il carattere
analogico, quello più simile alla realtà, sia nella fotografia c’è un atto creativo, e quindi una discretizzazione
dell’oggetto del rilievo. Quindi il rilievo non consiste in una serie di operazioni passive di misurazioni e
restituzione grafica, questa definizione la alleghiamo al rilevamento che ad esempio è quell’atto
indispensabile che compiamo negli strumenti, cioè se io prendo una stazione totale, nella discretizzazione
vado comunque a effettuare delle scelte, le quali sono ponderate che appartengono alle operazioni del
rilevare, quindi vado a scegliere i punti da rilevare di quell’oggetto, ma poi nella trascrizione delle misure
compio una serie di passaggi passivi di misurazione e restituzione grafica che minimizzano proprio l’aspetto
dell’interpretazione della lettura dell’opera; bisognerà poi andare a discretizzarlo, vedremo poi che esistono
dei processi di rilevamento che non presuppongo una lettura a priori, quindi una lettura critica, nel senso
che se con la stazione totale devo scegliere quali e quanti punti andare a misurare, e questo lo farò in
funzione della scala di restituzione, quindi a seconda della fase progettuale che stiamo considerando, in
alcuni casi quest’operazione a priori non viene svolta ma viene svolta a posteriori, sarà il caso specifico del
laser scanner 3D, che ci dà una restituzione molto dettagliata della realtà e quindi diventa un’operazione
quasi completamente passiva. Quindi cosa dovremmo fare oltre che esaltare alcune qualità nel rilievo?
Dobbiamo sicuramente andare a ricostruire, interpretare la vita dell’organismo architettonico, innanzitutto
dalle origini, quindi nel caso della Caserma Ederle troveremo che è un corpo di fabbrica edificato nel 1925 e
questa informazione è fondamentale per la ricostruzione della vita dell’organismo, nel senso che sappiamo
che dobbiamo ricostruire la vita di questo organismo semplicemente degli ultimi 100 anni e quindi andare a
evincere tutte le trasformazione accumulate su quell’organismo architettonico. Quindi se io ho un disegno
di progetto questa lettura sarà molto immediata e questo strumento, il disegno di progetto, sarà anche
utile, non sempre il disegno di progetto corrisponde a quello che verrà realizzato, innanzitutto perché
subentrano delle modificazioni nel processo progettuale, quindi non sono sicuro che quel disegno di
progetto corrisponda a quello usato per l’esecuzione, potrebbe invece essere quello relativo alla fase
precedente o iniziale, ma in ogni caso sappiamo bene come nel cantiere ci sono delle varianti che magari
nell’epoca non venivano registrate e quindi ci possono essere delle incongruenze tra il disegno del progetto
storico e quella che è la costruzione di quella fabbrica. Laddove abbiamo questi documenti ci aiutano, dove
questi non esistono, abbiamo una serie di informazioni, ad esempio nel caso della C. Ederle abbiamo visto
che in tanti corpi di fabbrica abbiamo distacchi di intonaco che ci consentono di leggere non soltanto
quante volte è stata intonacata la facciata ma anche i cromatismi, quindi risalire ai colori originali che quei
prospetti avevano. Quindi nel rilievo noi partiremmo dalle operazioni mensorie, quelle a cui dobbiamo fare
riferimento però ovviamente attraverso le fonti indirette, le letture e le interpretazioni che andremmo a
fare andremmo a ricostruire la vita di questo organismo, sia negli elaborati al 500 e al 200, per quanto
riguarda la caserma nel suo insieme, sia per quanta riguarda le restituzioni al 100(corpo di fabbrica) e al 50
(sul singolo prospetto).

Vediamo un po' più in generale che tipo di rilievo possiamo avere, parliamo di rilievo principalmente in
funzione della scala ma anche dell’ambito di lavoro di riferimento. Io qui vi ho messo i principali tipi di
rilievo: territoriale, urbano, architettonico, archeologico.
È evidente già dai termini a cosa stiamo facendo riferimento. Il rilievo territoriale è quel rilievo che fa
riferimento alla cartografia, abbiamo qui in esempio un formato raster della CTR, che come sapete è in
scala territoriale 1:10000,1:5000,1:2000, è in scala geografica la scala superiore al 1:10000. Nel caso della
scala 1:10000 gli elementi che possiamo individuare riguardano gli isolati dell’edificato urbano, la viabilità
all’interno del comparto urbano e la conformazione dei singoli isolati. Quindi abbiamo la viabilità alla scala
territoriale e una lettura sempre presente a queste scale, quella delle curve di livello, quindi la lettura della
cartografia, che ci permette di evincere sia la acclività del terreno ma anche alcuni caratteri che poi
diventano quelli del paesaggio.
La scala al 2000 o 1000 può essere interpretata volendo come scala territoriale, in realtà quelle scale sono
in riferimento al piano catastale che può invece essere attribuita a quella urbana. Quelle scale (2000, 1000)
a seconda del loro grado di dettaglio possono quindi passare dall’ambito territoriale a quello urbano e
addirittura anche a una scala vicina a quella architettonica.
Il rilievo urbano è quello relativo ai profili su strada alla scala, (può andare dal 1000 sino alla più vicina scala
architettonica) le sezioni ambientali che andremmo noi a realizzare. Si chiamano profili stradali perché ci
danno sia la sezione della strada su cui gli edifici poggiano però ci dà anche la restituzione al 200 del
carattere urbano di questi prospetti. (a seconda della risoluzione degli fotomosaici si può ottenere una
sezione ambientale, profilo stradale, anche al livello del dettaglio della scala 100 o 50). Ovviamente il rilievo
urbano non è soltanto dei profili stradali, delle sezioni, ma va in riferimento a leggere anche le piante, che
hanno un grado di lettura e di interpretazione che rappresenta il disegno alla scala urbana, potrebbe
andare tranquillamente dalla scala del 500 a quella del 200.
Quando parliamo di rilievo urbano parliamo anche di disegno dal vero, disegno dal vero che presuppone
una rappresentazione in prospettiva oppure un rilievo a vista che presuppone una lettura delle misure del
corpo studiato che include una rappresentazione in proiezione parallela.
Il rilievo architettonico, in cui il dettaglio architettonico è molto più spinto rispetto agli altri, la scala
architettonica può partire anche da un’analisi preliminare al 200 partendo dagli elaborati grafici che ho a
disposizione andare a studiare al 200 alcune qualità e caratteri del contesto studiato. In genere la scala
architettonica va più sul 1:100, 1:50, per analisi che vanno più nello specifico sia per il rilievo che il progetto
architettonico improntato sul riuso, trasformazione, e ristrutturazione. Ricordiamo che la pianta è una
sezione orizzontale svolta a una determinata quota, ovviamente nel caso del restauro si realizzeranno più
sezioni orizzontali, proprio perché è necessario conoscere le relazioni tra i vari elementi, o perché vanno a
intercettare setti composti da murature anche cronologicamente differenti. Quindi nel rilievo architettonico
si va a segnare anche nell’alzato la quota della sezione. Proprio per esplicitare quelli che sono i caratteri che
sto intercettando con questa traccia. Ricordo che nell’alzato posso realizzare una restituzione e
rappresentazione attraverso i foto piani. Perché non viene fatto tutto con i foto piani? Perché con il
fotopiano vado a fare una restituzione dei soli elementi riconducibili a una superficie piana, questo perché
gli elementi non vengono deformati e posso misurare concio per concio. Mentre gli elementi curvi o
tridimensionali (ad esempio la volta) non possono essere restituiti attraverso il fotopiano. Se misurassi
elementi curvi potrei elaborare un ortofotomosaico, che parte da una nuvola di punti di cui conosco le
coordinate x,y e z e poi dovrei esportare un ortofotopiano su un piano di riferimento, di proiezione, che mi
permetterà di ottenere una restituzione dei caratteri materici e cromatici dell’elemento ma non di poter
misurare concio per concio l’elemento, di questo dovrei poi fare uno sviluppo. Quindi posso fare una
restituzione tramite fotomosaico degli elementi piani, tutti gli altri elementi curvi vengono ricavati a fil di
ferro, come si dice, con un livello di dettaglio pari alla scala di rappresentazione a cui stiamo facendo
riferimento.

Il rilievo archeologico è un rilievo che non fa riferimento alla scala perché fa riferimento all’ambito di studio
infatti all’interno del rilievo del rilievo archeologico si fa riferimento alla scala territoriale, urbana, e
architettonica. Ma in generale quando sarete chiamati a eseguire dei rilievi in un’area archeologica nello
specifico un’area di scavo, sarete chiamati a fare un rilievo delle unità murarie, murature e pavimentazioni,
elementi con i quali noi siamo abituatati a operare, ma sarete chiamati a fare un rilievo anche delle unità
stratigrafiche, ossia tutte quelle unità individuate e analizzate dall’archeologo a cui però noi siamo richiesti
operare e fare una discretizzazione, una rilettura e una trascrizione dell’unità stratigrafica. Quindi andare a
ridisegnare i contorni ad esempio di una lente di cenere, la quale potrebbe testimoniare che nell’area vi
fosse un focolare, o più in generale strati omogenei di altri materiali che vanno a depositarsi nell’area di
scavo e che prima di essere rimossi devono essere fotografati, documentati e rilevati e restituiti.
Normalmente il rilievo archeologico viene fatto alla scala 1:50, soprattutto quando parliamo dei rilievi
pertinenti alle aree di scavo, perché il rilievo delle unità murarie ma anche del pavimento viene effettuato
concio per concio, frammento per frammento. Nello specifico, qua vedete un’ortofoto dalla quale si
restituisce una pianta in scala 1:50 in cui vengono indicate le unità murarie, queste non vengono
interpretate come unità stratigrafiche, nel senso che non c’è una leggenda che va a interpretare le diverse
fasi costruttive, l’analisi dei materiali ecc, ma abbiamo quello che può essere interpretato un rilievo
architettonico in scala 1:50 in cui il pavimento e le pareti murarie vengono ridisegnate, concio per concio,
mattonella per mattonella. Il rilievo archeologico non serve solo a restituire piante, sezioni o alzati
dell’elemento studiato, ma serve anche per andare a restituire delle ipotesi di ricostruzione virtuali di
quello che poteva essere lo stato originario. L’atto di interpretazione che è quello che deriva da Paolo non
capisco la parola (54:30) perché ovviamente non possiamo pensare di essere unicamente noi i depositari in
oro della lettura di queste strutture, ma ovviamente dobbiamo essere i depositari di tutte le informazioni
che ci derivano da tutti gli attori del cantiere archeologico, quindi dobbiamo andare a reinterpretare ,
mettere insieme tutte queste informazioni per ricostruire delle ipotesi virtuali, ipotesi perché sappiamo che
l’architettura viene trasformata nel tempo, noi nella restituzione virtuale andiamo a realizzare una vista
ipotetica di quella che poteva essere l’immagine dell’elemento studiato in una sua determinata fase di vita,
inoltre in questi elaborati sarebbe opportuno indicare quali elementi sono ricostruiti (virtualmente)
basandosi sui trattati e documenti storici (operazione tramite anastilosi virtuale), e quali invece sono
ricostruiti in seguito a un rilievo dell’elemento che ancora è presente in opera, in sito. Quindi evidenziare
questa lettura anche attraverso una differenza cromatica nel render. Questo può essere qualcosa che
anticipa l’anastilosi vera e propria oppure potrebbe fermarsi così, dandomi una lettura di una specifica fase
costruttiva di questo sito. Un esempio se io non dovessi disporre dell’altezza di una colonna, potrei andare
a misurare il diametro e la base della colonna, scegliere un trattatista classico e basandomi sulle misure
effettuate e il trattato andare a ipotizzare l’altezza delle colonne dell’ordine architettonico adottato. Non
c’è nessuna certezza di questa misura ma ovviamente bisogna adottare delle regole e renderle note anche
graficamente. Quindi il rilievo archeologico è importantissimo non solo per la lettura e la ricostruzione
dell’esistente ma anche per la ricostruzione di ipotesi che vanno a simulare gli stati. L’obbiettivo non è
quello di dire che l’edificio era così com’è nell’immagine di ricostruzione, perché non sarebbe corretto nella
comunicazione, ma è una lettura che ci dà un’interpretazione, fornendo al nostro ricevente laddove
possibile un’interpretazione grafica fedele di quello che abbiamo ritrovato.

Il rilevamento nello specifico è utilizzato dalle professioni autorizzate e competenti, architetto, ingegnere,
anche il geometra e viene utilizzato in varie discipline tra le quali, il restauro, l’urbanistica come abbiamo
visto un piano particolareggiato, o attuativo, un piano per il recupero di un centro storico, l’analisi
architettonica, la storia dell’architettura, l’abbiamo visto prima, l’utilizzo delle trattatistiche, l’archeologia,
vertenze di carattere giudiziario, ad esempio cause tra vicini per i confini ecc, oppure il censimento dei beni
architettonici, realizzate a seconda del bene da censire.
Fotomosaico ossia più fotogrammi raddrizzati (fotopiano di ogni fotogramma) che vengono mosaicati, da
qui fotomosaico. Mentre il fotopiano è il raddrizzamento di un singolo fotogramma.
Nel cad andremmo a trascrivere tutte le discontinuità di superfici presenti in cui andremmo a rappresentare
tutti gli elementi di degrado e alterazione non soltanto quelle riferite a elementi architettonici.
Fotosimulazione dell’intervento di restauro, in cui andremmo a verificare i cromatismi storici o sceglierne
uno in considerazione del mio prospetto. In questo elaborato vado a ridisegnare il tutto, il ripristino di
alcuni elementi, o la scelta di un determinato tipo di infisso.

In un progetto di restauro, conservativo come in questo corso, ma anche di riuso e valorizzazione di


un’architettura è di fondamentale importanza che le fasi di restauro siano sempre precedute dal rilievo e
dall’analisi del manufatto, perché altrimenti si va a perdere quella lettura e quella interpretazione del
manufatto e di conseguenza potrei non riconoscere alcuni elementi del rilievo, quindi il progetto di restauro
deve sempre essere preceduto dal rilievo e dall’analisi, questo significa che l’analisi mensoria posso anche
non farla io, ma la lettura, l’analisi, il ridisegno degli elaborati devono essere esaminati attentamente e
ridisegnati.
Vediamo quali sono le fasi principali del flusso del lavoro del rilievo.
- cognizione dell’opera da rilevare e scelta delle tecniche di rilievo quindi andremmo a considerare quello
che è la caserma, le qualità che oggi rintracciamo, la storia dell’edificio e così via
- rilevamento considerare le varie scale e le tecniche del rilievo. In questo caso scala architettonica è l’1:50
del prospetto, qui la scelta della tecnica è un po' imposta nel senso che quando andremmo a effettuare il
rilievo avremmo fonti di rilievo solamente indiretto, nel rilievo materico e del degrado dovrò appoggiarmi a
un rilievo di fotogrammetria architettonica, cioè non posso pensare di andare a misurare anche attraverso
fonti di misura indiretta le singole discontinuità con una stazione totale. L’alternativa potrebbe essere
quella dello scanner 3D ma prevede costi e tempi molto maggiori di un rilievo con la fotogrammetria
architettonica che invece faremo noi. Anche nella professione raramente si utilizza lo scanner 3D per
rilevare gli esterni di un edificio, diversamente gli interni, ad esempio una chiesa voltata, vengono
tranquillamente rilevati con lo scanner 3D. Quindi la scelta delle tecniche di rilievo viene fatta in funzione
del bene da rilevare ma anche degli strumenti che si hanno in possesso e della scala di rilievo che ci viene
richiesta.
Dopo questa prima fase di lavoro, procederemo con il rilevamento, quindi la registrazione “passiva” delle
misure, l’atto mensorio, in cui progettiamo la presa e la registrazione delle misure, successivamente
andiamo a effettuare la rappresentazione grafica.
- rappresentazione grafica corrisponde all’atto più delicato e importante perché segue fasi che si compiono
in parallelo. Nel nostro caso la restituzione dal fotomosaico, dei caratteri architettonici e di tutte le
discontinuità di superficie, una volta trascritte dobbiamo andare a effettuare una lettura dell’opera
analizzando il manufatto e le singole parti attraverso le fonti.
La lettura dell’opera avviene tra il rilevamento e la rappresentazione grafica, una serie di analisi e letture
delle fonti storiche, rilievi storici in cui posso effettuare una lettura di tutte le fasi e le stratigrafie dell’opera
nel corso della sua vita. In cui la lettura delle fonti indirette vengono coadiuvate attraverso le fonti dirette,
quindi il rilievo diretto ossia toccare con mano l’opera, e quindi interpretando gli elementi che abbiamo a
disposizione, trascrivendoli nel rilievo.
-lettura dell’opera attraverso il rilievo, analisi del manufatto, documentazione storica, fonti d’archivio,
bibliografiche ecc
Ecco le fasi che compongono tutto il processo

-lettura
-interpretazione
lettura e interpretazione con il rilievo fotografico, disegno dal vero e rilievo a vista, con i quali effettuiamo
proprio un’interpretazione. Se nel disegno dal vero operiamo con una prospettiva per riportare le qualità
architettoniche analizzate nel rilievo a vista operiamo per una proiezione 2D, quindi proiezione ortogonale
o assonometria
-analisi ragionata e finalizzata al contesto di lavoro ai tipi di elaborati richiesti
-discretizzazione ossia riportare un oggetto reale e continuo a un oggetto virtuale, che rappresentiamo
graficamente, operando per discretizzazione ossia scegliere alcune qualità e escluderne altre, questo è
funzione al flusso di lavoro nel quale mi muovo e della complessità dell’opera e della scala
-misurazione (rilevamento) trascrizione grafica delle qualità formali, architettoniche ecc, interpretzione e
lettura degli elementi riconosciuti nel rilievo.

Il rilievo è anche l’espressione del rapporto che viene a instaurarsi tra opera e rilevatore, cioè abbiamo un
processo di analisi basato su un equilibrio molto delicato, tra i dati derivati dalla nostra interpretazione,
quindi quando vado a scegliere quali elementi misurare e considerare i dati oggettivi ossia la misura
dell’elemento rilevata. Per cui uno stesso oggetto rilevato da me o da un altro darà luogo a un rilievo
differente, ovviamente il rilevamento (misura dell’oggetto) sarà lo stesso, ma tutte le fasi del rilievo vero e
proprio interpretate da ciascuno di noi non saranno mai le stesse, ovviamente il rilievo assume una propria
identità, una vita autonoma, assume dei significati che diventano altro rispetto all’oggetto reale.
Per quello dico che è meglio operare con i rilievi effettuati da noi, proprio perché cambia l’interpretazione.
Il rilievo e la sua rappresentazione sono figli del tempo e della cultura in cui vengono eseguiti, nel senso che
ogni rilievo effettuato anche a epoche differenti di uno stesso oggetto può cambiare, per via dei differenti
strumenti, ma anche per la differenza della concezione dell’epoca, nello specifico oggi possiamo
considerare rilevanti alcuni aspetti architettonici che nel 700 o in altre epoche erano considerati irrilevanti.
La cultura stessa ci pone un filtro di lettura sull’opera. Quindi il rilievo come entità autonoma assume un
valore intrinseco che va oltre la pura documentazione, manifestando una carica culturale peculiare di una
certa epoca, in cui è realizzato.
Slides con 4 tipi di rilievo differenti in cui si evince la differenza dei rilievi effettuati in epoche culturali
differenti, in cui vengono proprio trascritte quei canoni culturali e estetici tipici di quella culturale.
Stessa cosa nel rilievo del Piranesi, in cui lo stesso contesto assume significati differenti.
3° immagine, scanner 3D, ancora 4° immagine una restituzione 3D. Possiamo vedere la differenza della
lettura e dei rilievi, dovuti appunto alla differente epoca culturale.

Abbiamo diverse categorie di grafici del rilievo


-grafici dello stato attuale nei quali andiamo a riportare i caratteri geometrico-morfologici e di
discontinuità di superficie
-grafici cronologici sulla stessa basa posso restituire le fasi costruttive e di trasformazione presenti in
quell’architettura
-grafici storici elaborati riferiti sempre allo stesso oggetto studio ma eseguiti in anni precedenti, possono
essere rilievi, foto, anche vedute
-grafici di raffronto realizzati nel confronto tra il rilievo attuale e quello storico, in cui per sovrapposizione
meccanica dei due elaborati rendo immediata la lettura di nuove aperture o nuovi livelli, o comunque la
trasformazione del manufatto
-elaborati grafici di individuazione di eventuali matrici geometriche e proporzionali
-analisi mensoria (che quest’anno non faremmo)

Un elaborato che andremmo a farà sarà l’individuazione dei setti murari, attraverso elaborati catastali,
riportando la pianta e il prospetto al 200. Elaborato che abbiamo chiamato anatomia dell’unità edilizia,
quindi un inquadramento che individua la collocazione urbana, la pianta al 200, i prospetti, l’alzato, un
esploso caratterizzato da u dettaglio relativo alla scala al 200. Fa vedere esempi di elaborati che si faranno
nel 1 e 2 semestre.
La rappresentazione del rilievo non va vista come un fine ma come un mezzo, un mezzo attraverso cui
dobbiamo tradurre l’idea percepita o ricercata, quest’ultima vuol dire che va a ricercare quelle
caratteristiche tipiche del rilievo per il restauro. Tradurre d’altro canto, quando noi parliamo di traduzione,
traduzione dal reale e quindi l’oggetto che stiamo studiando al virtuale che noi poi analizziamo all’immagine
che restituiamo e andiamo a rappresentare, significa letteralmente trasferire qualcosa senza alterarlo.
Ovviamente questo è impossibile, se noi parliamo di traduzione, anche solo di una frase dall’inglese a
un’altra lingua è ovvio che esistono delle alterazioni o anche delle perdite, perdendo alcune connotazioni
fondamentali. Molte volte queste traduzioni che implicano quindi delle perdite o delle alterazioni, trovano
la loro forza proprio in queste alterazioni o perdite, questo vuol dire che proprio nella differenza tra il reale
e la rappresentazione grafica sta la differenza e quindi il significato che va ad aggiungersi, derivato proprio
dalla lettura soggettiva, dalla traduzione, che diventa un valore. Certamente dobbiamo cercare di ridurre al
minimo queste alterazioni, per tentare di ridurre al minimo lo scarto tra il reale e la rappresentazione
esistono delle convenzioni o codifiche, grafiche o rispondenti a specifiche norme, nel nostro caso il progetto
del rilievo e restauro. Quindi partendo dal fotopiano dobbiamo cercare di non perdere informazioni e via
via poi nella restituzione dobbiamo cercare di rappresentare tutti gli elementi nel contesto finalizzato alla
rappresentazione del rilievo per il restauro.
Questa selezione impone di dover effettuare delle attività critiche che diventano poi la ricchezza del rilievo
e di questa rappresentazione. Ovviamente discretizzare non dobbiamo farlo a sentimento e solamente in
funzione della nostra sensibilità, ma dobbiamo farlo anche in funzione della scala di rappresentazione
(grado di dettaglio). Quindi questa selezione è legata al grado di dettaglio della scala finale di
rappresentazione finale. Le scale di rappresentazione sono legate all’utilizzo, vediamo ora un esempio

Quindi parlando di scala di riduzione (penso voglia dire rappresentazione) le operazioni che andiamo a
condurre sono due, la prima è quella di discretizzazione e quindi andare a decidere quali elementi, quante
informazioni e quanto spingerci nella rappresentazione, la seconda è la caratterizzazione invece significa
come andiamo a tradurre graficamente queste informazioni, quindi quali sono le connotazioni grafiche che
andiamo a utilizzare per caratterizzare queste informazioni.
Partendo da un immagine di dettaglio in scala 1:5 io vedo una piccola parte dell’edificio ma ho un altissimo
livello di dettaglio, nella slides parla del dettaglio di un prospetto classico con colonne e il dettaglio sono la
restituzione delle foglie d’acanto. Ovviamente riducendo la scala di dettaglio, perdo questi particolari
acquisendo però una vista più ampia del prospetto e/o dell’edificio, perdo il dettaglio ma ancora a seconda
della scala di rappresentazione riesco a riconoscere sempre alcuni elementi, arrivando al 100 e al 200 in cui
comunque riesco a scindere e riconoscere gli elementi architettonici presenti. Nella scala al 100 ad esempio
perdo il dettaglio del decoro presente nel capitello, ma riesco comunque a riconoscere che tipo di capitello
è, nella scala al 200 perdo anche molti degli elementi, riesco a riconoscere gli elementi principali, ma perdo
una serie di informazioni, che a questo sono rappresentate inutilmente, per cui non ha nessun senso
andare a riportare al 200 il dettaglio del capitello, questo maggiormente al 500.
Cosa vuol dire quindi andare a rappresentare a scale diverse? Non vuol dire andare al cad e impaginare
l’elaborato una volta a una scala e un’altra volta a un’altra scala zoomando o meno, ma vuol dire riportare e
trascrivere informazioni differenti. In scala 1:200 avremmo certe informazioni, le minime, bucature, linee
marcapiano, la linea di gronda, linee marcapiano ecc.. tutte quelle informazioni relative ad altri elementi
più di dettaglio andranno rappresentati al 100 (infissi ecc) o al 50 (discontinuità di superficie e degrado).
Quindi la scala di rappresentazione non è da interpretare come uno zoom dello stesso disegno ma è proprio
un elaborato che si differenzia per le informazioni che esso contiene.
Un’altra cosa da calibrare è la caratterizzazione grafica, anch’essa in funzione della scala di
rappresentazione, posso scegliere per una caratterizzazione naturalistica, che va simulare l’aspetto reale del
materiale, per scale di dettaglio in cui mi è possibile rappresentare e trascrivere il dettaglio del materiale ad
esempio la rugosità dei conci in pietra, o una caratterizzazione astratta simbolica per scale come quelle al
100 in cui non vado a riportare nel dettaglio l’aspetto reale del materiale, ma rappresento la disposizione ad
esempio di una parete in laterizio e pietre con conci semplificati, in cui rappresento un semplice rettangolo
con altezza e larghezza che simbolicamente rappresenta il laterizio o il concio, anche la simbologia grafica
diventa più semplice, ad esempio avrò una campitura che mi indica quale sia la parete in laterizio o quella
in pietra. In realtà vedremo che la scala al 50 si presta a entrambi i tipi di convenzione.

Nel rilievo andiamo quindi a compiere questi passaggi


-osservazione
-selezione degli elementi significativi
-analisi degli aspetti storici, formali, dimensionali, costruttivi

Fase 1 ricognizione del sito da rilevare, rilievo fotografico, acquisizione del materiale cartografico e dei
rilievi esistenti, studio delle fonti indirette e quindi in dettaglio bibliografia, fonti d’archivio, articoli ecc
Fase 2 disegno e misurazione dal vero, diretto e/o da fotografia, rilievo dal vero a cui segue la misurazione
che si effettua con la realizzazione di un eidotipo con una trascrizione delle misure registrata con metodi
diretti e indiretti. I metodi diretti sono quelli che avvengono a contatto diretto con l’opera, nel caso del
rilievo di un prospetto il metodo diretto non avviene mai in quanto sarebbe necessario un ponteggio,
generalmente si utilizza la combinazione tra metodo diretto e indiretto, e quindi rilevare alcune misure che
andranno poi integrate alla fotogrammetria architettonica (su cui si basa il rilievo) per realizzare un
fotopiano o fotomosaico
Fase 3 restituzione grafica e rappresentazione dal fotomosaico al software cad.

Procedimento generale
-indicare il nome del rilevatore, luogo e data in cui viene eseguito il rilievo
-individuare punti di vista utili per gli schizzi preparatori e quindi andare a realizzare un inquadramento
planimetrico in cui segniamo i punti di vista ossia i punti in cui ci siamo collocati per il disegno dal vero
-per ogni prospetto, livello, sezione significativa e dettaglio da rilevare occorre disegnare uno schizzo in cui
andranno poi riportate le misure rilevate e quindi un eidotipo
-il grado di precisione delle misure dipende dalla tipologia degli strumenti, la scala di restituzione e dal
modo in cui il rilevatore esegue le misure
-più grande è la scala di rappresentazione, maggiore dovrà essere l’accuratezza della misura
-la scala di rappresentazione finale va in individuata in funzione delle dimensioni dell’oggetto rilevato, dalla
dimensione dei fogli e dal grado di dettaglio desiderato.

Entriamo nello specifico nel ruolo del rilievo a vista nell’analisi dell’architettura. Il rilievo a vista si
differenzia dal disegno dal vero, la prima differenza è che nel disegno dal vero disegno in prospettiva
mentre nel rilievo a vista utilizzo solamente proiezioni parallele, quindi proiezioni ortogonali o
assonometrie, perché voglio cogliere e trascrivere i caratteri principali dell’oggetto, e individuare
allineamenti, proporzioni e rappresentare una maglia modulare che magari riconosco in quel prospetto.
Quindi il rilievo a vista serve a comunicare, esprimere e conoscere, abbiamo quindi 3 livelli differenti di
comunicazione che coincidono anche con altri elaborati, infatti il parallelo tipico è quello con il disegno dal
vero.
Qua vedete alcuni esempi di rilievo a vista e quindi schizzi di studio preliminari o schemi geometrici degli
impianti presenti ad esempio il sistema di copertura. Il rilievo a vista è una disciplina autonoma a supporto
del rilievo architettonico, si trova in una posizione intermedia tra il rilievo architettonico e il disegno dal
vero, perché è uno dei primi elaborati che si realizzano, sta alla base della preparazione dell’eidotipo ma
allo stesso tempo prescinde dalle registrazioni delle misure, se non a vista.
Il ruolo del rilievo a vista nell’analisi dell’architettura
-abbiamo un confronto diretto con l’edificio, nel senso che andrebbe svolto dal vero
-comprensione della fabbrica in relazione al processo progettuale che sta alla base ossia che andiamo a
leggere alcuni elementi che stanno proprio alla base del progetto, quindi all’idea che il progettista aveva di
quell’edificio, ad esempio se le finestre sono allineate in verticale, il ritmo delle aperture e delle bucature, il
basamento a una data altezza che si rapporta con altri elementi ecc
-non una costruzione di una copia in senso passivo ma di una complessa interazione tra noi e
l’architettura, volta alla descrizione e comprensione delle matrici che riusciamo a individuare
-ricordiamo che riusciamo a disegnare solo quello che riusciamo a vedere e che sappiamo riconoscere

Strumenti del rilievo a vista: ovviamente, foglio, matita e/o penna e un supporto rigido. Il disegno deve
essere svolto a mano libera senza alcuna operazione metrica. I grafici devono essere ragionati e ben
proporzionati, stando attenti alle selezioni delle informazioni, limitate, (discretizzazione). Il tratto deve
essere pulito, chiaro e riconoscibile nel suo contesto. La gomma è sempre considerata uno strumento
accessorio nel senso che la gomma va usata solo quando una linea è veramente molto sbagliata, perché
anche un disegno non preciso ci aiuta a trascrivere e interpretare ciò che noi vediamo e riconosciamo nel
momento.

Il rilievo a vista l’abbiamo visto può diventare lo strumento di supporto su cui andiamo a inserire quote e
misure e quindi la base su cui andiamo a realizzare l’eidotipo e una base su cui faremo il progetto del
rilievo. Ma in generale è una sintesi grafica sul quale andiamo a leggere il proporzionamento generale del
nostro prospetto, noi lo faremmo nel prospetto ma può essere fatto anche in pianta. Dovremmo
individuare una maglia modulare, una griglia d’appoggio, che sarà quella da cui presumibilmente è partito il
progettista per disegnare quel prospetto. Quindi quali sono gli elementi principali da individuare? Questa
griglia modulare, può certamente partire dall’individuazione degli assi principali della composizione che noi
riconosciamo del prospetto, linee primarie, secondarie e terziarie, rapporti tra altezza e larghezza, vedere
se la maglia è quadrata o rettangolare, è quella lettura che facciamo prima del disegno dal vero e proprio,
nel senso che solitamente questa griglia modulare d’appoggio la utilizziamo anche nel disegno dal vero.
Quando andiamo a rappresentare, analizzare o leggere un’architettura, abbiamo diverse categorie di
elementi, cioè in quel contesto urbano (per noi caserma Ederle) andremmo a individuare elementi lineari,
piani e volumetrici. Cosa significa che nel caso che io individui un elemento lineare verticale, lo posso
rappresentare appunto con una linea verticale, (esempio colonna traiana) l’elemento lineare implica
sempre un rapporto con lo sfondo, perché di per sé stesso perde molti dei significati in quanto il suo
significato principale è quello dell’inserimento nel contesto urbano (ecco perché lo sfondo).
Gli elementi piani dovremmo andare a caratterizzare la composizione nel suo insieme e poi caratterizzare
pian piano alcuni dettagli non tutti di quelli che ovviamente riconosciamo.
L’analisi dei volumi invece consiste nell’andare a decomporre il volume architettonico come somma di più
volumi elementari.
Prendiamo ora come esempio questo prospetto, che ci consente di andare a vedere quali sono gli elementi
che noi andremo a considerare in un prospetto, caso simile ai prospetti della caserma Ederle.
La prima operazione da fare nel rilievo a vista è disegnare il contorno schematico, verificare la presenza di
assi di simmetria, inserire una griglia modulare che mi serve per articolare successivamente il prospetto in
diversi tasselli, ricercando dei moduli proporzionali. Si può anche inserire uno schema planimetrico in cui
inserisco le bucature, nell’alzato segno la quota della sezione orizzontale e successivamente caratterizzo il
mio rilievo a vista inserendo quelle che sono le bucature in parete e la copertura, poi vado a dettagliare altri
elementi come infissi o i materiali, l’accesso e vado a aggiungere sempre più dettagli, come il degrado in
parete, evidenziando gli elementi a vista ben evidenti, sempre senza prendere misura. In questo modo
abbiamo dato una caratterizzazione. Successivamente a questa si evidenziano distacchi materici, parti
deteriorate, elementi decorativi d’arredo. Lo stesso lavoro fatto nel prospetto si può fare anche in pianta e
vediamo come gli stessi elementi letti nel prospetto come gli assi di simmetria si riprendano anche in
pianta. La stessa lettura fatta nelle proiezioni ortogonali è ottenibile in assonometria, analizzando in questo
caso più prospetti, e quindi andare a restituire quell’ipotesi modulare individuata nel prospetto anche negli
altri prospetti. Lo stesso lavoro si può fare nello zoom degli infissi o degli accessi principali, è ovvio che
questo lavoro presuppone un rilievo sul posto ma è consentito farlo anche da fotografia.
Nei suoi materiali troviamo la scansione di un capitolo ‘il ruolo del rilievo a vista nell’analisi
dell’architettura’ in cui si riprendono i concetti appena visti. Questa parte del rilievo a vista è da fare da
quelle scansioni. Gli strumenti bibliografici che utilizzeremo ufficialmente saranno ‘Docci M. manuale di
rilevamento architettonico e urbano’ e ‘ Cesare Cundari, il rilievo architettonico, fondamenti e applicazioni’

Da per scontato che sappiamo cosa sia la trilaterazione, e che quindi sappiamo realizzare un rilievo diretto
di un prospetto e che da questo sappiamo realizzare piante, prospetti e sezioni.

Lezione 19/10
Le metodologie e le tecniche d’acquisizione del rilievo differiscono a seconda che si tratti di rilievo diretto e
indiretto. Nel rilievo diretto si ha contatto diretto con l’opera, la presa delle misure necessità del contatto
con il manufatto. Nel rilievo indiretto invece non si ha contatto con il fabbricato e le misure vengono
apprese tramite l’uso di uno strumento che trae energia esterna e avvengono appunto senza contatto.
Nonostante il distanziometro laser presupponga una fonte di energia esterna, viene comunque considerato
un tipo di metodologia appartenente al rilievo diretto.
Fanno parte delle tecnologie di rilievo indiretto strumenti come, la stazione totale, il laser scanner 3D,
mentre un altro tipo di energia è quella luminosa, in cui le radiazioni, le onde elettromagnetiche, dello
spettro luminoso che noi utilizziamo nel rilievo nella fotogrammetria architettonica, sono quella fonte di
energia che ci consente di andare a eseguire una tecnica di rilievo senza contatto grazie alla fotografia, e
questo sarà il metodo che noi utilizzeremo generalmente.
Il rilievo l’abbiamo visto non è soltanto un procedimento ma è una procedura che mira a ricostruire la vita
dell’organismo architettonico che stiamo studiando, quindi in funzione della finalità e del contesto
dobbiamo scegliere di volta in volta quali tipi di rilievo, di procedimenti e metodologie e strumenti usare.
Il rilievo diretto è quello che si utilizza ogni volta, questo significa che qualsiasi metodologia di rilievo io
decida di usare non parleremo mai di un unico rilievo ma di un tipo di rilievo integrato, nel nostro caso il
rilievo andava a abbinare un rilievo longimetrico (diretto) delle aperture in facciata, un rilievo con l’utilizzo
della stazione totale (indiretto) nei casi in cui la facciata non era direttamente raggiungibile, un rilievo
fotogrammetrico (indiretto), metodologia principale, la quale ci consente di riportare e restituire il degrado
e gli elementi presenti nel prospetto studiato. Il rilievo architettonico comprende diverse fasi e metodologie
operative. Due fasi proprio distinte, le principali, la fase di campagna e la restituzione.
La fase di campagna, la più importante, è quella che prevede proprio l’atteggiamento progettuale del
rilevatore, nel senso che la prima fase che noi dobbiamo compiere è proprio quella del progetto di rilievo.
La fase di campagna si divide in altre fasi successive.
-progetto del rilievo e quindi in base alla complessità dell’edificio studiato, della scala di restituzione
richiesta e degli strumenti di cui io dispongo, andrò a scegliere una metodologia di rilievo più adattata e
successivamente progettare la posizione dei punti di stazione ad esempio, o a progettare il ricoprimento
dell’intero prospetto studiato con i singoli fotogrammi, progettando i punti di presa e il numero dei
fotogrammi.
-redazione eidotipi
-tracciamento della poligonale
-rilievo delle piante
-rilievo degli alzati
-dettagli
infine la seconda fase del rilievo architettonico, la restituzione, tradizionale o come nel nostro caso
attraverso software cad.

La fotogrammetria è una tecnica di rilievo che parte da un’immagine fotografica, come vedete in questa
immagine vediamo schematizzato un punto di vista dal quale viene scattata la foto, abbiamo l’immagine
fotografica, la quale vedremo non è altro che una schematizzazione prospettica del contesto studiato,
abbiamo poi un’oggetto reale sulla destra dal quale andiamo a trarre il fotopiano o fotomosaico. In realtà
vediamo che qui abbiamo tutti elementi tratti dalla
fotografia, perché partiamo dall’immagine
fotografica, otteniamo il fotomosaico, e dal
fotomosaico scalandolo con le misure rilevate al
piano terra, e orientandolo con le linee verticali e
orizzontali dell’edificio reale, riusciamo a ottenere
un modello 3D che dalla sua caratterizzazione
grafica possiamo definire al 100.

La fotogrammetria in generale deriva dalla


geometria prospettiva come base analitica,
quest’ultima antecedente alla scoperta della
fotografia.
Leonardo da Vinci utilizzava il vetro per disegnare le così dette sfere armillare, cioè prima della macchina
fotografica comunque si utilizzavano delle macchine prospettiche che ci consentivano di restituire

l’immagine in prospettiva dell’oggetto. (Legge un brano scritto da Leonardo in cui scrive il funzionamento di
questa macchina prospettica, slides 14, minuto 09:50) La parte importante di questa tecnica è che noi
abbiamo un oggetto, un secondo elemento, quello che Leonardo chiama vetro (il piano di
rappresentazione), e un punto di vista che deve rimanere fisso, qui riconosciamo gli elementi che stanno
alla base della prospettiva.
Prospettografo di Durer, anche questa una macchina prospettica.
Il velo di Leon Battista Alberti, e nella lezione di Alberti, in De Pictura, vediamo come lo strumento, il velo,
non è altro che un telaio con una griglia costruita con dei fili intessuti su un foglio trasparente, interposta
tra l’occhio dell’osservatore, la cui posizione viene sempre vincolata, e l’oggetto da rappresentare, quindi
vediamo gli stessi elementi, oggetto, piano di rappresentazione e punto di vista, ovviamente la prospettiva
è mono oculare, con centro di proiezione unico, questo per distinguerlo dalla versione nella quale la vista è
bi oculare, mentre in questo caso lo spazio rappresentato è mono oculare e fisso. Trascrivendo l’immagine
che vediamo attraverso questo foglio quadrettato, realizziamo la prospettiva dell’immagine inquadrata.
Una serie di esempi di macchine prospettiche simili a quelle dell’Alberti in cui il punto di vista viene tenuto
fisso tramite un mirino,

Mostra una macchina prospettica, che compare


nel giardino di Compton House, Peter
Greenaway, 1982, in cui vengono realizzati dei
ritratti utilizzando proprio una macchia
prospettica. In questo caso avremmo una griglia
divisa in 4 parti e poi vengono riportate sul
supporto le singole parti dell’oggetto inquadrato
sempre con punto di vista fisso. Arriviamo alle camere ottiche, esse potevano essere portatili o fissi, si
diffondono principalmente fra 600 e 700, in particolare nel 700 venivano usate dai vedutisti, questi che
utilizzavano le camere ottiche venivano visti come degli artisti di serie B, in quanto l’uso di apparecchiature
meccaniche per realizzare dei ritratti comportava un’abilità minore rispetto agli artisti potevano realizzare
una vera forma di pittura senza l’utilizzo delle camere ottiche. Qua vediamo un esempio delle opere dei
vedutisti, abbiamo un’opera di Canaletto, Il campo di Rialto, in questo caso l’opera del Canaletto realizzata
con la macchina prospettica approssima molto bene quella che è l’immagine fotografica. Per capire il
funzionamento dii queste camere ottiche dobbiamo ricorrere a quella che è la camera oscura. La camera
oscura è un dispositivo ottico costituito da una scatola oscurata nella quale viene realizzato un foro
chiamato stenopeico, molto piccolo, attraverso questo entrano i raggi luminosi che proiettano l’immagine
capovolta sulla parete opposta dell’oggetto che in questo caso si trova di fronte al piccolo foro.
Lo stesso principio della camera oscura viene ripreso dalla camera fotografica, dove il piccolo foro è quello
del diaframma e l’entità che permette di inquadrare la scena è definita dalle lenti dell’obbiettivo.
La camera è costituita da una lente convessa che costituisce l’obbiettivo della camera (lettera B) che
permette di mettere a fuoco l’immagine, all’interno della camera oscura si trovano uno specchio piano e
una lastra di vetro inclinati tra loro a 45°, appoggiando un foglio di carta sul vetro è possibile ridisegnare il
paesaggio inquadrato.

Alla galleria dell’accademia di Venezia sono custoditi una raccolta di vedute che il Canaletto realizza con la
sua camera portatile, si trattano di 8 fogli più un quaderno di schizzi, in cui Canaletto realizza non dei
semplici schizzi ma dei disegni prospettici preparatori che Canaletto poi utilizza per trascrivere l’opera finale
sul supporto. In questi disegni come vediamo ci sono appunti che riferiscono ad esempio spiegazioni o
dettagli come valori cromatici o materiali degli oggetti rappresentati.
Dal punto di vista metodologico Canaletto doveva utilizzare particolari sistemi di ripresa, egli doveva
mantenere il punto di vista fisso e poi doveva disegnare le diverse prospettive, necessarie a inquadrare
l’intera scena ruotando la camera ottica e quindi il quadro prospettico. Questo significa che mantenendo
fisso il punto di vista e ruotando la camera ottica e quindi il piano prospettico, si otterranno diversi punti
principali, uno per ogni direzione considerata mantenendo sempre un unico punto di vista. Il dipinto finale
quindi è il risultato della composizione delle diverse prospettive che il Canaletto va a realizzare.
Confronta un’opera del Canaletto, Campo SS. Apostoli, con un’immagine scattata da una macchina
fotografica, vediamo come l’immagine fotografica che simula il campo visivo umano (50mm) non riesce a
inquadrare la scena rappresentata dal Canaletto, con un obbiettivo un po' più grandangolare 35mm si
avvicina ma non riesce comunque a inquadrare tutta la scena, concludiamo dicendo quindi che sono
necessari più scatti diremmo oggi il Canaletto andava a ricoprire tutta la scena. Questo ci viene confermato
dal fatto che se noi consideriamo delle porzioni delle opere realizzate dal Canaletto andiamo a ritrovare le
stesse proporzioni che vediamo negli schizzi del suo taccuino. Quindi tutti gli elementi vengono trascritti nel
taccuino, i cui fogli vengono poi ricomposti in un’opera unica.
Abbiamo capito quindi che la fotografia può essere ricondotta a una prospettiva, vedremmo poi alcune
differenze, ma tutti gli elementi che intervengono nella presa fotografica sono gli stessi che intervengono
nella proiezione prospettica.
In un’incisione del Vignola rappresentante la finestra Albertiana, vediamo la prospettiva, in cui l’occhio
umano è il centro di proiezione, un oggetto posto oltre un quadro di proiezione, i raggi di proiezione che
partono dall’occhio umano passano nel quadro e vanno a intercettare tutti i vertici dell’oggetto che
vogliamo rappresentare, l’intersezione tra i raggi e il quadro compongono proprio l’immagine prospettica
dell’oggetto, proiettando con una proiezione ortogonale il punto di vista sul quadro prospettico otteniamo il
punto principale, la cui retta orizzontale rappresenta la linea d’orizzonte, ricordiamo invece che il piano di
riferimento orizzontale è detto
geometrale e l’intersezione tra
questo e il quadro prospettico
genera la linea di terra. La
fotogrammetria consente di
registrare e determinare le
caratteristiche e le misure di un
oggetto senza entrare in contatto
fisico, questo è fondamentale
laddove è impossibile entrare in
contatto con gli oggetti, infatti la
fotogrammetria è una tecnica di
rilievo utilizzata nel rilievo dei
prospetti, oltre questo la fotografia
ha il vantaggio di fornire un rilievo
simultaneo di molti punti, cioè noi
possiamo avere una mole di
informazioni dalle quali partire, ad esempio il fotomosaico, anche se nell’immediato non ci serve; ad
esempio se ci viene commissionata una restituzione del prospetto in scala 1:100 noi dal fotogramma
possiamo andare a selezionare le caratteristiche e le qualità dell’oggetto da restituire per la scala richiesta,
ma se in futuro dovesse servirci fare una restituzione 1:50 di tutti i dettagli materici o alterazioni cromatiche
non c’è bisogno di ripetere tutte le procedure di misurazioni perché disponiamo già del fotopiano e quindi
possiamo attingerle direttamente da esso, è buona raccomandazione nel momento in cui si procede con il
rilievo fotogrammetrico utilizzare delle buone macchine fotografiche, in quanto la scala di restituzione
finale è funzione della grandezza del fotogramma e nello specifico del pixel. Da uno stesso fotopiano io
posso quindi ricavare delle misurazioni che corrispondono alle diverse scale, anche di dettaglio, sempre che
la scala nominale del fotogramma sia quella adatta alla scala specifica del fotogramma. La fotogrammetria
viene classificata in base al tipo di presa utilizzata:
-Aerea dove la fotocamera è posizionata su una piattaforma aerea
-terrestre nel caso in cui la fotocamera sia a terra.
L’elaborazione è sempre un discriminante che classifica il tipo di fotogrammetria a seconda che andiamo a
utilizzare restitutori analitici o analogici. La fotografia utilizzata viene chiamata fotogrammetria tradizionale
quando l’immagine di partenza è disponibile su supporto fotografico tradizionale e quindi stampa su carta
fotografica, mentre parleremo di fotogrammetria digitale se l’immagine è registrata in formato digitale.

In quest’immagine vediamo descritto il funzionamento della fotogrammetria aerea, abbiamo l’acquisizione


dei singoli fotogrammi che avviene da una postazione spaziale aerea, la camera si trova a bordo
dell’aeromobile e l’oggetto inquadrato in questo caso è il territorio. La fotografia aerea trova la sua
applicazione per il rilievo del territorio, si eseguono dei progetti con strisciate di fotogrammi che vanno a
definire la rotta dell’aereo, la linea di volo, ciascun fotogramma dovrà avere una fascia di ricoprimento e
quindi avremo delle fasce di ricoprimento fra i diversi fotogrammi andando a ricoprire una certa porzione di
territorio che viene poi restituita alle scale tipiche del rilievo territoriale.
La fotogrammetria terrestre invece prevede il posizionamento della macchina fotografica a terra, le foto
vengono realizzate con la fotocamera posta su un cavalletto e gli oggetti rappresentati sono architetture o
spazi urbani, come andremmo a fare noi. Quindi andremmo a intercettare dal centro di proiezione tutti i
punti dell’oggetto osservato, questo viene rappresentato sul supporto digitale della macchina fotografica.
Parliamo ora di un terzo tipo di fotogrammetria la Close-Range Photogrammetry, a corto raggio, ossia un
tipo di fotogrammetria intermedio a quello aereo e terrestre in cui gli oggetti rappresentati sono posti a
una distanza inferiore ai 300 m, la quota minima dei 300m è quella imposta per la delimitazione della quota
di sicurezza per la ripresa da aeromobile; oggi queste riprese vengono effettuate con i droni a una quota
che da terra dista tra i 20 e i 30 m. Oggi la fotogrammetria con i droni trova ampio utilizzo per il rilievo delle
architetture e degli spazi urbani. La fotogrammetria non fa altro che consentirci il passaggio da
un’immagine prospettica a un’immagine in proiezione ortogonale. Nella fotogrammetria partiamo dalla
misurazione di coordinate di un punto in 2D appartenenti a un punto P dell’oggetto nelle immagini
fotografiche di partenza e siamo in grado di ottenere da queste coordinate 3D di quel punto. Alla base della
fotogrammetria c’è proprio la soluzione della trasformazione proiettiva, la quale presuppone che dalla
prospettiva si passi alla proiezione ortogonale, questo aspetto presuppone che la fotografia possa essere
considerata una proiezione centrale, quindi una prospettiva. In realtà questa equivalenza non è pienamente
soddisfatta in quanto esistono dei fattori che fanno deviare i concetti teorici da quello che avviene
realmente nell’immagine fotografica. Il primo di questi fattori è la distorsione degli obbiettivi, perché negli
obbiettivi abbiamo delle lenti che sono elementi fisici e di conseguenza non abbiamo un unico centro di
proiezione ma abbiamo i così detti punti nodali, i quali sono strettamente legati all’entità fisica delle lenti,
essi corrispondono a due punti posti ad una certa distanza l’uno dall’altro collocati lungo l’asse ottico del
sistema. In realtà vediamo come questo si risolve, considerando degli accorgimenti, e quindi insomma
questo si risolve prendo come centro di proiezione solamente il secondo punto nodale.
La rifrazione atmosferica è il secondo fattore che ci allontana dall’eguaglianza della fotografia dalla teoria
della prospettiva in quanto, se nella prospettiva noi andiamo a assumere tutti i raggi visuali come delle
rette, questo nella realtà non avviene in quanto, la traiettoria del raggio luminoso non è rettilinea, ma è una
traiettoria che va a descrivere una curva, cioè il mezzo attraversato non è omogeneo in quanto l’area è
composta da diversi indici di riflessione, i quali fanno sì che quando il raggio luminoso attraversa questi
indici di riflessione la sua traiettoria venga deviata e al posto di una retta lineare otteniamo delle curve
come traiettoria dei raggi luminosi nella fotografia che quindi non corrispondono alle rette considerate
nella prospettiva teorica.
Però se noi prendiamo gli elementi base della prospettiva andiamo a ritrovare gli elementi base che
caratterizzano la geometria della presa fotografica. Avremmo sempre un centro di presa O, centro ottico
del dispositivo che stiamo utilizzando che non è altro che un punto dell’obbiettivo della camera,
successivamente, una distanza principale P, ossia una distanza da O dal piano della lastra o in generale
dell’elemento fotosensibile, prescindendo dai fattori citati in precedenza possiamo dire che la distanza
focale di una fotocamera si mantenga fissa e quindi c’è questa similitudine tra la distanza in prospettiva e
quella in fotografia. Assumiamo quindi la distanza del punto principale rispetto al centro di proiezione
corrispondente alla distanza focale dall’obbiettivo, quindi p=f. Il punto di proiezione di O sul piano della
lastra è detto punto principale ed è indicato con P, dunque la distanza P-O=p che è uguale alla distanza
focale f, espressa in mm.
Prendendo in considerazione la geometria di questa
presa fotografica avremmo: il centro di presa O al
centro, sulla destra lo spazio oggetto ( spazio del
fenomeno osservato oggetto rappresentato), sulla
sinistra lo spazio immagine (spazio pellicola o del
piano fotosensibile considerato), come visto
precedentemente i raggi luminosi passando per
questo centro di presa O vanno a proiettare nella
lastra o nel piano fotosensibile l’immagine
dell’oggetto che stiamo osservando, l’asse ottico
della camera è sempre perpendicolare al nostro
piano fotosensibile e viene intercettato nel punto p
(nella lastra) che corrisponde al nostro punto
principale della prospettiva, oltre la distanza p che corrisponde a f, avremmo anche la corrispondenza di un
angolo che ci da la dimensione del quadro.
Tutti i raggi ottici che concorrono alla formazione
dell’immagine, passano per un unico punto O, la
proiezione di questo punto O sul piano fotosensibile
mi determina P (punto principale), la distanza O-P è
chiamata distanza principale o focale, qualsiasi
punto A in questa lastra verrà indicato con le sue
coordinate Xa e Ya, avremmo quindi una descrizione
di un oggetto 3D tramite una rappresentazione 2D.
Per una distanza focale di 24mm l’angolo di campo
è un angolo molto ampio, mentre per una distanza
focale di 50mm l’angolo di campo va a ridursi.

In sostanza riepiloghiamo gli elementi di base della presa fotografica, nella camera possono essere definiti i
seguenti elementi.
-centro di presa O: ossia il secondo punto nodale dei due presenti nella lente dell’obbiettivo, che
corrisponde al punto comune di convergenza di tutti quelle rette che definiscono i raggi proiettanti, quelli
che uniscono il punto O con i punti dell’oggetto osservato.
-asse della camera: quell’asse che corrisponde all’asse prospettico e all’asse del sistema ottico
dell’obbiettivo, che deve essere disposto perpendicolarmente al piano della lastra, o quadro fotosensibile.
-punto principale P: abbiamo visto essere l’intersezione dell’asse della camera con il piano del quadro
fotosensibile ed è anche proiezione di O sulla lastra.
-distanza principale P: distanza P-O, ossia distanza focale dell’obbiettivo considerato.

In generale dalla fotogrammetria possiamo ottenere due prodotti principali:


-prodotti immagine: quindi prodotti raster, derivanti dalle immagini originali trasformate
geometricamente. Nei prodotti immagine possiamo avere fotopiani/fotomosaici (ottenuti dal
raddrizzamento del singolo o più fotogrammi) o ortofotopiani/ortofotomosaici (non abbiamo più un
fotogramma che viene raddrizzato ma abbiamo un immagine 3D corretta che deriva da più fotogrammi che
inquadrano lo stesso punto, quindi parliamo di punti omologhi, l’ortofotopiano ci consente di partire da
un’immagine 2D e arrivare ad un modello 3D)
-prodotti numerici: prodotti vettoriali, digitali, in cui la restituzione passa attraverso la determinazione dei
punti oggetto rispetto a un sistema di riferimento tridimensionale.
Parliamo di fotopiano quando è dato dal raddrizzamento di un unico fotogramma, parliamo di fotomosaico
quando questo è dato dall’unione di più fotopiani, quindi mosaicando i foto raddrizzamenti di più immagini.
Nei prodotti numerici possiamo avere disegni architettonici e quindi vettoriali, in proiezione ortogonale
nello specifico alzati, prospetti e o sezioni, e poi i profili, profili rispetto a un piano di riferimento che può
essere sia di origine verticale che orizzontale.

3 sono i momenti principali in cui la fotogrammetria passa:


-acquisizione: il momento in cui effettuiamo la presa fotografica, in questa fase vengono assegnati l’oggetto
della presa attraverso le coordinate x,y,z. Il tipo e la posizione della camera a cui ogni posizione della
camera seguiranno degli specifici parametri lambda.
-orientamento: in cui si effettua la determinazione dei parametri di trasformazione, nello specifico questa
fase si esplica attraverso la conoscenza di un certo numero di punti oggetto inquadrando con la nostra
macchina dotografica delle porzioni o l’intero oggetto ai quali corrispondono delle coordinate x, y, z, (dei
punti dell’oggetto reale) ai quali corrisponderanno dei punti immagine che saranno invece in coordinate x,
y. Ovviamente avremmo in questa fase dell’orientamento che la stella dei raggi proiettanti di ogni
fotogramma viene collocata nello spazio nella stessa posizione che aveva nel momento della presa, è una
fase in cui viene ricondotto il centro di presa con la stella dei raggi proiettanti nella posizione esatta in cui la
fotocamera si trovava nel momento della presa.
-restituzione: non è l’altro che la realizzazione dell’elaborato finale.

In fotogrammetria si individuano tre tipi di grandezze:


-le coordinate 3D dell’oggetto reale i cui punti saranno individuati dalle coordinate x, y, z.
-le coordinate 2D dei punti dell’immagine fotografica, coordinate x, y.
- i parametri lambda legati al momento di presa e quindi alla macchina fotografica
I parametri lambda sono quei parametri che legano e mettono in relazione lo spazio bidimensionale
dell’immagine fotografica e lo spazio tridimensionale dell’oggetto reale, questa relazione è nota come
proiettività.
Noi sappiamo che ad ogni punto oggetto reale (x, y, z), corrisponde un punto immagine (x, y), ma in realtà
questo non è proprio così perché se è vero che a ogni punto oggetto reale corrisponde un punto immagine,
non è vero il viceversa ossia che a ogni punto immagine (x y) corrisponda un punto oggetto (x, y, z), perché
allo stesso punto immagine (x, y) possono corrispondere diversi punti oggetto di coordinate (x, y,z), (x, y,
z2), (x, y, zn), quindi un punto immagine p può essere determinato per infiniti punti oggetto reali p allineati
sulla stessa retta. Quindi allo stesso modo per gli oggetti, se io ho tre punti A, B, C sull’immagine fotografica
avrò un numero infinto di oggetti reali ai quali possiamo arrivare, che hanno coordinate x, y, z, tutte
differenti, quindi da una sola immagine 2D posso ricavare infinti modelli 3D, questo significa che da
un’unica immagine fotografica io non posso risalire alle coordinate dei punti reali ma che per fare questo
dovrò porre specifici vincoli a seconda che io abbia un fotomosaico o un ortofotomosaico.

Il primo concetto che dobbiamo introdurre è quello dei punti omologhi cioè se io inquadro un oggetto
tridimensionale e considero un punto p, ponendo due punti di presa fotografica, ossia due immagini
fotografiche, avrò due rappresentazioni del punto p, la prima p’ sulla prima immagine fotografica e il
secondo p’’ sulla seconda immagine fotografica, quindi i punti omologhi non sono altro che le
rappresentazioni di uno stesso punto da diversi fotogrammi, inquadrati da punti di vista differenti e quindi
con diverse coordinate. Con questa azione, avremmo due centri di presa, con i relativi assi ottici del
sistema, e i due punti p’ e p’’ il tutto appartenente alle due immagine fotografiche, in questo modo con due
fotogrammi diversi sono in grado di determinare le coordinate x, y, e z del mio punto oggetto reale,
l’intersezione dei due assi mi darà il punto p reale, a questo punto so esattamente a che distanza è posto il
punto p rispetto al punto di presa. Quindi per risalire alle coordinate 3D di un punto oggetto occorre avere
almeno due fotogrammi dell’oggetto e quindi se io ho due punti di presa, due centri di proiezione quindi
due immagini, dall’intersezione di tutti i raggi proiettivi di queste avremmo determinato in modo univoco
l’oggetto nelle sue tre dimensioni.
Dobbiamo introdurre un concetto, quello della scala media del fotogramma che normalmente chiamiamo
scala nominale o media. Si parla di scala media perché ovviamente il fotogramma non è semplicemente in
scala ma sono immagini prospettiche la cui scala varia da punto a punto, quindi parleremmo di scala media
del fotogramma o nominale. Facciamo quindi riferimento a questa scala nominale per andare a
determinare quale sarà la scala di restituzione finale cui io posso giungere a partire da quel fotogramma.
Iniziamo a definire alcune grandezze: vedete
prima di tutto l’altezza L di questa torre è
chiamata abbracciamento, l sarà invece la
dimensione massima del fotogramma, p
distanza focale, D distanza tra O e l’oggetto
inquadrato, la scala nominale del fotogramma
sarà data dal rapporto l/L, ma l/L è uguale a
p/D, questo ci fa capire come prendendo la
distanza focale un parametro dato per poter
agire sulla scala media del fotogramma l’unica
cosa che possiamo fare è variare la distanza D,
ossia la distanza tra noi e l’oggetto.
Quindi dobbiamo opportunamente effettuare
delle verifiche, nel caso in cui la scala nominale
non sia adatta alla scala di restituzione
richiesta dobbiamo modificare il valore D. Facciamo un esempio, innanzitutto dobbiamo considerare
sempre il valore convenzionale pari a 0.2mm il valore minimo rappresentabile, cioè noi non possiamo
andare al di sotto di questo valore perché l’errore di graficismo è quello che deriva proprio dallo spessore, il
limite apprezzabile dall’occhio e sappiamo che l’occhio come valore limite non può apprezzare grandezze
inferiori ai 0.2/ 0.3 mm, in questo caso come ricaviamo quindi la dimensione di un pixel che possa essere
adatto alla scala 1:50? Come posso io da quel fotogramma distinguere gli elementi, tenendo conto di
questo errore di graficismo? Semplicemente andremmo a moltiplicare il valore convenzionale (0.2mm) per
la scala in questo caso 50  0.2mmx50 = 1cm. Quindi 1cm è la dimensione reale che il pixel dovrà avere,
per essere certi che quel fotogramma sia adatto alla restituzione 1:50, allo stesso modo per le altre scale.
Quindi per verificare che il fotogramma abbia una scala nominale adattata alla scala di restituzione basterà
verificare la grandezza del pixel.

Una volta scattata l’immagine fotografica per verificare la scala media del fotogramma dobbiamo
individuare medio di abbracciamento di un pixel, quindi prima di tutto calcolare l’abbracciamento, ossia
verifico in quanti cm rientra il mio oggetto reale nel fotogramma e quindi misurare nella realtà la lunghezza
dell’elemento rappresentato, ad esempio ho un muro lungo 20m e questo sarà l’abbracciamento, poi vado
a dividere questa dimensione (in cm) per il numero dei pixel, ottenendo così la scala nominale del
fotogramma.
Ovviamente nella fotogrammetria architettonica, nelle prese terresti, tra la scala dei fotogrammi e la scala
di restituzione del disegno possiamo sempre assumere un rapporto compreso tra 2 e 3, quindi il valore
della tabella è quello ottimale, però nessuno ci vieta di andare a ricavare la scala nominale come 2 o 3 volte
quella del disegno. Quindi ad esempio se io devo rappresentare in una scala 1:100 un prospetto una scala
media del fotogramma che posso accettare può essere 1:200 che è quello che ottengo adottando il valore 2
in questa equazione. (Significa che la dimensione del pixel di conseguenza varia)
Ogni volta che noi ci accingiamo a fare un rilievo fotogrammetrico dobbiamo considerare la scala del
disegno, nel nostro caso quindi la scala 1:50, cioè a seconda della scala alla quale noi dobbiamo
rappresentare l’oggetto, andremo poi a calcolare la scala nominale del fotogramma necessario. Quindi
partiamo dalla scala del disegno finale, andiamo a calcolarci la scala dei fotogrammi e quindi a fissare la
distanza di presa fotografica. Quindi a seconda della scala finale andremo a scegliere la distanza in cui
collocarci per scattare quella foto. Vediamo però un esempio: supponiamo che l’abbracciamento, quindi la
quantità di oggetto per così dire, che rientra nel nostro fotogramma può essere ad esempio un tratto di
muratura lungo 40 metri, cioè io vado a misurare nella realtà che il muro che è rappresentato all’interno del
fotogramma ha una lunghezza di 40 metri. E supponiamo di avere una dimensione del sensore della
fotocamera in pixel pari a 2816 x 2112. Quindi la scala media del fotogramma sarà data dal rapporto della
lunghezza dei 40 metri, espressi in cm, diviso la dimensione massima del fotogramma, cioè quella che
corrisponde a 40 metri in quadrati. Quindi ricavo la dimensione del pixel in questo caso di 1,42 cm. Se
andiamo a confrontare questo valore con quello della tabella che abbiamo visto prima che ricordiamo,
viene ottenuta moltiplicando per 0,2 le scale di rappresentazione, vediamo che per il valore 1,42
corrisponde una scala che potrebbe essere quella 1:100. Ma abbiamo visto con quel fattore che va a
moltiplicare per 2 o per 3, questa dimensione potrebbe essere adatta anche per una scala al 50. Nel caso in
cui, e solo in questo caso, il prospetto considerato possa essere ricondotto a un piano, possiamo allora
andare a realizzare dei fotopiani, cioè dei raddrizzamenti di un unico fotogramma, ed è quella operazione
che andremo a condurre con RDF. Ogni qualvolta, nel prospetto considerato, ci siano degli scostamenti,
che superano il limite che noi abbiamo imposto, ad esempio noi imponiamo un limite accettabile di 10 cm,
che significa che se un oggetto, presente in quel prospetto, è aggettante di una dimensione maggiore di 10
cm non possiamo fare un unico fotopiano. Viceversa, tutti quegli elementi che hanno uno scostamento dal
piano di riferimento, cui noi approssimiamo il prospetto inferiore ai 10 cm, questo scostamento può essere
trascurato e quindi il prospetto ricondotto a un piano. Ma questo di 10 cm è un valore che prendiamo noi
nel laboratorio perché è un valore che dà poi errori accettabili.
Supponiamo che nel nostro prospetto ci sia una porta di ingresso che ha uno scostamento, rispetto al piano
di riferimento del prospetto di, esempio, 40 cm. È evidente che in questo caso non potrò andare a
considerare un unico piano di riferimento, ma dovrò andare a condurre un fotomosaico. Significa che dovrò
prendere, oltre che l’immagine totale del mio prospetto, dovrò andare a inquadrare con un fotogramma
solamente la porta di ingresso di questo edificio, proprio perché essendo discostata rispetto al piano di
riferimento di una grandezza maggiore dei 10 cm che abbiamo assunto noi come riferimento, dovremo
andare a realizzare un fotomosaico. Quindi il fotomosaico va realizzato ogni qualvolta abbiamo oggetti che
giacciono su piani diversi. Allo stesso modo potrebbe essere il parapetto di un balcone ad esempio, che
aggetta rispetto al piano di riferimento del prospetto, e quindi andrà realizzato con un suo fotopiano. È
evidente che quando noi andiamo a scalare i singoli oggetti, se non abbiamo fatto questa differenza,
otterremo delle dimensioni sbagliate sia per il parapetto del balcone che per l’infisso del vano porta. Cosa
dovremo andare a fare? Scalare il fotogramma dentro il quale c’è il prospetto, in base alle misure prese,
scalare separatamente il fotopiano dentro il quale c’è l’infisso o il parapetto. In questo modo avremo così
tre fotopiani che poi verranno mosaicati, e noi questo lavoro lo facciamo all’interno di un CAD, e avremo
semplicemente così un fotomosaico che è dato dalla giustapposizione di più fotopiani. Ma il fotopiano(?) lo
possiamo avere anche laddove ad esempio per le condizioni del contesto, non riusicamo a inquadrare in
un’unica immagine fotografica tutto il prosetto. Questo avviene quasi sempre, dovremo avere un oggetto
praticamente isolato affinché il suo prospetto rientri totalmente all’interno nelle dimensioni del
fotogramma. Pensate a un contesto come quello di castello, praticamente è impossibile andare a
inquadrare con una foto abbastanza frontale, tutto il prospetto di un unico edificio. Quindi in quel caso
occorrerà effettuare più scatti per andare a ricoprire l’intera superficie del prospetto. Anche in quel caso
parliamo di fotomosaico.
In realtà, oggi, non tanto per rilievo di prospetti ma proprio per il rilievo di oggetti che rappresentano una
complessità che non può essere ricondotta ad un piano, in questo caso vedete la rappresentazione di una
colonna, ovviamente in questo caso non possiamo ricondurre la superficie della colonna a un piano, quindi
non possiamo usare RDF. In questi casi si utilizzano dei software che seguono i così detti processi Image-
Based Modeling o SfM, che significa Structure from Motion. Partendo da un certo numero di fotogrammi,
che vedete vengono collocati nello spazio con l’orientamento, noi riusciamo a risalire alle coordinate 3d dei
singoli punti e quindi alla restituzione di una nuvola di punti basata sulla realtà (quindi Image-Based) che ci
dà dei profili che ci consentono di andare a modellare con un software come Rhino, il modello dell’oggetto
che stiamo rappresentando. È ovvio che partiamo da un modello che è quello della nuvola di punti, per poi
passare a un modello che è quello poligonale, quindi quello di mesh, sino ad arrivare a quello finale. E
vedete come a seconda della complessità dell’oggetto considerato, in questo caso in ogni fotogramma ci sta
la colonna per l’intera sua altezza, quindi basterà compiere un’orbita intorno a questa colonna per andare
ad avere i singoli punti con le coordinate x y z della colonna nei fotogrammi. Quindi ogni copia di
fotogrammi avrà dei punti omologhi che ci consentono di risalire alle coordinate x y z dell’oggetto reale.
Ricordatevi che ogni fotogramma ha soltanto due coordinate, quelle x e y. Se vogliamo vedere questo
processo applicato in un processo pratico, qua ho preso un lavoro dei vostri colleghi di anni passati, rilievo
della Porta di Altamira, Piazza Arsenale fronte Cittadella dei Musei. Abbiamo una fase di rilevamento che è
la prima, quella dell’eidotipo, dove non solo vengono prese delle misure dirette che serviranno poi a scalare
il modello finale, ma vengono anche indicati i singoli fotogrammi col numero del fotogramma necessari per
andare a effettuare il completo ricoprimento dei due prospetti della porta di Altamira. Quindi cosa
succede? Quando andiamo a considerare un fotopiano, abbiamo sulla sinistra l’immagine in prospettiva, in
questo caso tutto il prospetto rientra in una singola immagine. In questo caso non parliamo di fotopiano ma
di ortofoto, vedete abbiamo degli elementi aggettanti quindi per ogni punto reale x y z, dobbiamo
considerare due punti omologhi con coordinate x y. Però da una presa fotografica parliamo di fotopiano
quando questo può essere trasformato in proiezione ortogonale. Quindi abbiamo una immagine della presa
fotografica con delle aberrazioni prospettiche che ovviamente può essere convertita in fotopiano, con un
software RDF. È un tipo di lavoro utile soltanto per la determinazione delle coordinate x e y, perché se noi
partiamo da un unico fotogramma, ovviamente non possiamo risalire alla terza dimensione di ciascun
punto. Questo tipo di trasformazione si chiama Trasformazione Prospettica Inversa, o omografia, e per la
sua risoluzione richiede la conoscenza di almeno 4 punti di coordinate note, i cosiddetti punti di appoggio. È
importante capire come prendere questi 4 punti perché attraverso questi punti poi andremo a determinare
gli altri punti appartenenti allo stesso piano. Quindi qua vediamo una rappresentazione, proprio perché
dobbiamo avere sempre delle coordinate dei punti per cui passino delle rette orizzontali e verticali, e in
ogni caso, se io sto considerando degli elementi, devono essere disposti in questo modo e non magari
nell’altro. L’eliminazione della deformazione prospettica che noi facciamo con RDF non deve essere confusa
con l’eliminazione delle linee di fuga che noi facciamo con altri software grafici e pittorici come Photoshop.
Nel senso che possiamo deformare le immagini fotografiche ma l’eliminazione delle linee di fuga
prospettiche sono soltanto delle trasformazioni lineari e non sono eliminazione della deformazione
prospettica. Il risultato che otteniamo da quella trasformazione non è a scala costante e soprattutto non è
misurabile. Nella trasformazione prospettica del raddrizzamento fotografico, ottengo una proiezione
ortogonale di quell’immagine, dove il punto di intersezione delle due diagonali si mantiene esattamente al
centro del rettangolo. Se invece vado a compiere una trasformazione lineare il punto di intersezione delle
diagonali rimane in un rapporto linearmente proporzionale, quindi le diagonali diventano curve e il centro
non corrisponde più. Quindi non confondiamo la trasformazione prospettica da quella lineare.
Quindi la prima condizione per poter realizzare un fotopiano è che dobbiamo considerare un oggetto
assimilabile a un fotopiano. Tutti i punti che si trovano su quell’oggetto hanno coordinata z pari a 0, cioè
appartengono proprio allo stesso piano. In questo modo noi evitiamo quel problema di prima, non abbiamo
più un’infinità di punti disposti sulla stessa retta, ma andiamo a intersecare questa retta con un piano le cui
coordinate z sono uguali a 0. Quindi l’operazione di orientamento che prima necessitava di 2 fotogrammi,
può essere risolta con un solo fotogramma. Quindi z=0 vuol dire che l’oggetto che sto fotografando è
assimilabile a un oggetto piano. E questo è quello che avviene nella maggior parte dei casi, quando
consideriamo il prospetto di un edificio. Laddove abbiamo invece porzioni non riconducibili a un piano,
come nelle superfici curve, ovviamente non potremo usare un programma di raddrizzamento fotografico
come RDF ma dovremo fare ricorso a software fotomodellatori.
Per realizzare un fotopiano tramite raddrizzamento fotografico è sufficiente un solo fotogramma,
attraverso esso andremo a ricostruire questo oggetto piano che è il prospetto dell’edificio. Di norma per
poter assimilare un oggetto a un piano, si va sempre a verificare il rapporto fra lo scostamento dalla
planeità e la distanza di presa. Questo rapporto deve essere sempre < o = a 1/200. Lo scostamento dalla
planeità è una cosa che caratterizza l’oggetto e quindi noi possiamo ancora una volta giocare sulla distanza
dalla presa fotografica. Quindi da uno scostamento prestabilito, il balcone aggetta di tot cm o l’infisso è
arretrato di tot cm, affinché questo rapporto sia < di 1/200 dovremo andare ad agire sulla distanza della
presa fotografica. Questo non sempre è possibile farlo, ad esempio laddove abbiamo una sede stradale di
sezione abbastanza ridotta, ovviamente non posso pensare di andare oltre quella distanza. Quindi ad
esempio possiamo ritenere piano una facciata con sporgenze o rientranti di 10 cm se lo scatto fotografico è
ripreso da 20 metri di distanza. Questa è la condizione ideale, ma anche per distanze inferiori, come
castello, questo valore di 10 cm era tollerato anche per distanze inferiori. Quindi la proporzione che
dobbiamo fare è 1:200=10:x, in questo modo x ci darà la distanza della presa fotografica per poter tollerare
questo scostamento di 10 cm.
Qua vediamo il passaggio, partendo da un unico fotogramma che è un’immagine in prospettiva, col
fotoraddrizzamento riporto questo fotogramma a una proiezione ortogonale. Ricordiamoci sempre che per
fare questo dovremo sempre scalare il fotogramma in base alle dimensioni reali che noi abbiamo misurato
o preso, o trilaterazione, con misure dirette, o indirette. In questo caso sulla destra sono ancora presenti
tutte le aberrazioni prospettiche, nel senso che ovviamente abbiamo riportato in proiezione ortogonale con
un raddrizzamento fotografico, ma vedo le prospettive ancora di alcuni punti (finestre, vani). Quindi da un
oggetto tridimensionale in prospettiva bidimensionale, io posso ottenere un fotopiano quindi un’immagine
bidimensionale. Ma se suppongo che questo oggetto sia riconducibile a un piano, posso risalire a tutte le
misure x y dei punti che sono presenti in questo prospetto. Vedete in questo caso le aberrazioni
prospettiche di queste finestre. In questo caso se la distanza tollerabile era 10 cm e la porta è di 25, dovrò
andare a fotografare la porta frontalmente e a raddrizzare la porta per conto suo ottenendo un secondo
fotopiano che andrà mosaicato qua dentro. Stessa cosa per un elemento aggettante come questo
cornicione.
RDF è un software di raddrizzamento digitale, presuppone due diversi metodi, uno di raddrizzamento
analitico, l’altro di raddrizzamento geometrico, noi utilizzeremo prevalentemente il geometrico. Solo nel
caso in cui il geometrico per problemi specifici non desse risultati allora passeremo all’analitico. Qui vedete
un esempio di lavori fatti da studenti degli altri anni. Qui vedete due livelli della Torre dell’Elefante, ho
messo questo esempio proprio perché alcuni degli elementi non giacciono sullo stesso piano, ma su
posizioni differenti. Quindi in questa restituzione le due rappresentazioni (in prospettiva) sono sbagliate,
non descrivono lo spazio metrico, non posso risalire alla dimensione di questi elementi. Gli unici elementi
misurabili sono quelli appartenenti allo stesso piano.

Lezione 26/10 (01:05:30)

Caserma Ederle…
Quando si fanno le foto per organizzare un fotopiano come solitamente si fa per un fotomosaico dobbiamo
sempre stare attenti (questo ve lo dico perché questa fase la diamo per scontata perché già stata fatta dai
tutor) a “concatenare i fotogrammi”. Ci devono essere quindi delle aree di ricoprimento fra i singoli
fotogrammi: in questo disegno vediamo come in corrispondenza di ciascun fotogramma, che viene
evidenziato da un colore diverso, avremo delle aree di sovrapposizione. In questo modo creiamo il
ricoprimento che ci serve, oltre per la costruzione del fotomosaico, anche per concatenare le diverse
misure. Normalmente noi con un rilievo diretto, quindi con un distanziometro o una rotella, riuscivamo a
prendere le misure soltanto degli elementi più bassi. Ma poi andando a scalare in funzione di queste
dimensioni rilevate potevamo andare a ricavare le dimensioni, nel raddrizzato, degli elementi presenti nel
livello superiore. In questo senso, andando a concatenare tutti i diversi fotogrammi, una volta scalato in
funzione delle dimensioni del primo livello, otterremo le dimensioni del secondo livello e così via. Lo stesso
ricoprimento va sempre fatto anche in orizzontale. Qua ovviamente, al piano terra possiamo prenderci
tutte le dimensioni, però è sempre importante, per il corretto ricoprimento dell’intero prospetto, andare a
sovrapporre i singoli fotogrammi, non solo per formare il fotomosaico, ma anche per concatenare i singoli
scatti. Quando andiamo a realizzare il fotomosaico noi utilizzeremo nello specifico il software RDF. (…)
Qui vedete come in una foto, che è riconducibile, a meno di alcuni elementi che si riferiscono alle
trasformazioni relative all’ottica della fotocamera ma anche ad altre aberrazioni (indice di rifrazione), ci sia
il passaggio: a sinistra lo scatto originario e a destra il fotopiano. Questo è quello che si può realizzare con
RDF: vedete qua che vengono introdotte alcune misure proprio per far vedere che il fotopiano è stato
anche scalato e orientato (orientato vuol dire che noi andiamo a prenderci l’orizzontale, e quindi daremo
un’orizzontale e una verticale al nostro fotogramma) e poi andiamo a considerare delle misure che
serviranno per scalare il nostro fotogramma. Vi ricordo che facciamo sempre riferimento a una scala
nominale del fotogramma proprio perché il fotogramma è una rappresentazione prospettica. Ricordiamo
anche che non sempre è possibile usare RDF, nel nostro caso sarà sempre possibile, non sempre infatti è
possibile realizzare dei fotomosaici con RDF. Ma, in ogni caso, anche se io avessi un unico fotogramma,
come nell’esempio che vediamo illustrato, non tutte le parti che compongono il prospetto all’interno di un
unico fotogramma sono riconducibili a un piano. Vediamo che ci sono valori di scostamento, che ricordate,
noi la scorsa volta abbiamo assunto come valore limite di scostamento il limite di 10 cm, ci sono delle parti
che qui vedete, non sono evidenziate, si discostano certamente, o perché aggettanti o arretrate, rispetto a
quello che è il piano di riferimento. Quindi tutte le parti evidenziate in rosso potranno essere elaborate con
un unico raddrizzamento, mentre invece per ogni singola parte arretrata o aggettante, dovremo andare a
fare altri raddrizzamenti e poi scalare queste singole parti. Quindi il fotomosaico non si fa solamente in quei
casi in cui l’intero prospetto non rientra all’interno di un unico fotogramma, in quel caso ovviamente
saremo costretti a mosaicare per realizzare il ricoprimento dell’intera facciata, ma anche nei casi in cui
avremo degli scostamenti che appunto sono maggiori di questo valore di 10 cm. Vi ricordo corrisponde a
una distanza della presa fotografica di 20 metri, rispetto al prospetto considerato. Quindi dobbiamo
scomporre la facciata in piani, poi per ogni singola porzione, ad esempio quella del vano egli infissi,
certamente saranno arretrati di una dimensione maggiore di 10 cm rispetto al piano principale di
riferimento, cosi come gli elementi di questi due balconcini saranno invece aggettanti di una dimensione
superiore. Quindi andiamo a scomporre la facciata in diversi piani e per ciascuna di queste porzioni
andremo a realizzare un singolo fotoraddrizzamento.
Mi sono reso conto che nella lezione della scorsa volta, arrivati a questa slide (schizzi con quote e
trilaterazioni porta di Altamira), vi avevo messo una breve carrellata di due esempi di fotomodellazione,
quindi di flussi di lavoro relativi alla esportazione di ortofoto, (vi ricordo che se il fotopiano presuppone che
l’oggetto da considerare sia riconducibile a un piano o alla composizione di più piani, nel caso invece
dell’ortofoto, noi non facciamo più l’ipotesi che poneva la terza dimensione uguale a 0 e quindi lo spazio
che noi rappresentavamo poteva essere ricondotto a un piano con le sole coordinate x y, vuol dire che se
l’oggetto reale ha delle dimensioni i cui punti reali sono caratterizzati da le tre coordinate x y z, noi
impostiamo che la z sia nulla, quindi che tutto l’oggetto sia bidimensionale, e in queste ipotesi proviamo a
ricavare un fotopiano che presuppone che tutti i punti abbiano solo due dimensioni. Per questo motivo
andiamo a considerare proprio gli elementi che si discostano da questo piano, perché varia la z e andiamo a
imporre la z uguale a 0 nelle singole porzioni.). In generale esistono anche altri flussi di lavoro, tipicamente
sono quelli dei software cosiddetti fotomodellatori o del cosiddetto Image-Based Modeling o delle
cosiddette tecniche Structure from Motion, tutti termini che ci riconducono a una corrispondenza che
partendo da oggetti reali costituiti dalle 3 coordinate x y z ci restituiscono poi nel nostro rilievo delle nuvole
di punti, ciascuno caratterizzati dalle 3 coordinate x y z. Qua vediamo degli esempi di due software
commerciali, vedremo Metashape e poi Zefir. In questo caso mi interessa sottolineare che, anche avendo
oggetti non riconducibili a un piano, noi possiamo comunque esportare degli ortofotomosaici, proprio
perché tutti i punti che restituiamo si connotano per una terna di coordiante x y z, quindi non abbiamo più
bisogno di porre questa z uguale a 0. Ovviamente dovremo andare a considerare i cosiddetti punti
omologhi (l’abbiamo visto la scorsa volta) cioè che ogni punto dev’essere presente almeno in una coppia di
fotogrammi (solitamente si prende un numero superiore alla coppia). Questa fase è ovviamente molto
delicata perché influisce completamente nella resa finale, non è certamente un processo automatico quello
del rilievo fotografico, ma il fatto che lo stesso punto sia rappresentato in due fotogrammi ci consente di
realizzare l’intersezione di quelle due rette, e quindi di determinare in modo univoco quel punto con le
coordinate x y z. Il flusso di lavoro è sempre lo stesso anche con RDF: abbiamo nelle fasi iniziali l’eidotipo,
nel quale vengono riportati i singoli fotogrammi, ma anche tutte le misure dirette realizzate sul posto;
abbiamo una fase (fatta dai colleghi degli altri anni per la peculiarità del lavoro) di restituzione
fotogrammetrica con il software Metashape, vedete qui alcune fasi (in basso le singole anteprime dei
fotogrammi utilizzati, in alto nello spazio di lavoro l’allineamento dei singoli fotogrammi, e i rettangolini
azzurri che sono i singoli fotogrammi posizionati nello spazio con le coordinate x y z, ossia la posizione che
occupava la fotocamera al momento della presa, e vedete proprio una prima nuvola sparsa che descrive
nelle 3 coordinate i punti del prospetto di Altamira); vedete ancora la nuvola densa che si viene a generare,
passaggi comuni a tutti i software, e poi costruzione delle mesh. Questi sono passaggi semi automatici, nel
seno che apparentemente automatici ma prevedono un grosso lavoro dell’operatore. A partire da questa
mesh poligonale (in questo caso formata da triangoli), si passa alle texture, quindi ad associare le
coordinate RGB presenti nei singoli fotogrammi al modello di superficie realizzato; l’ultima parte riguarda
l’esportazione dell’ortofotomosaico, in questo caso noi dobbiamo valutare il diverso orientamento delle tre
porzioni di questo prospetto della porta di Altamira. Se andiamo a considerare un unico piano, noi
possiamo certamente esportare su questo piano l’ortofotomosaico, però sappiamo già che le uniche
dimensioni per la grandezza saranno quelle della porzione parallela al piano di proiezione considerato, ad
esempio io considero un piano B, esporto su quel piano il mio ortofotomosaico, tutte le dimensioni sulle
porzioni di prospetto A e C non saranno misurabili. Al fine di fare una restituzione di una grandezza (?)
ovviamente devo scomporre ciascuna porzione in altrettante parti e quindi considerare tre piani di
proiezioni differenti ed esportare 3 ortofotomosaici. Quindi qua vedete le tre parti A B e C dove ogni singolo
concio e ogni singolo elemento può essere ovviamente misurato, ovviamente queste fughe all’interno delle
feritoie non appartengono al piano principale di riferimento e quindi non vengono contemplate nella
restituzione. Vedete che in questo caso le abbiamo lasciate vuote senza rappresentare nulla. Qua vedete la
complessità del rilievo realizzato (caratterizzazione), abbiamo diversi elementi, ad esempio i conci lapidei o i
laterizi che devono essere caratterizzati singolarmente oltre a tutte le discontinuità di superficie derivate da
degrado. E infine la solita sovrapposizione fra fotopiani e il vettoriale.
In questo secondo esempio riprendiamo il rilievo della parte bassa di Palazzo Boyl, prospetto che si affaccia
sulla piazzetta Lamarmora, all’intersezione delle vie dei Genovesi e Lamarmora, e la complessità in questo
caso era data dalla presenza di una impalcatura. Anche in questo caso i vostri colleghi hanno deciso di
ricorrere a tecniche Structure from Motion, quindi una modellazione tridimensionale che parte da 3DF
Zephyr PRO, e anche qui vedete le diverse fasi che abbiamo appena visto, quindi progetto di rilievo con lo
studio della posizione delle prese fotografiche; la seconda fase quella degli scatti che vengono realizzati, in
questo caso era necessario salire su livelli superiori, per fotografare gli elementi obliterati dall’impalcatura;
terza fase la nuvola sparsa, poi nuvola densa, e infine modello di mesh e quello texturizzato. Qui vedete un
esempio di prese fotografiche, una porzione del prospetto di palazzo Boyl. Qui vediamo tutto l’esito finale,
in questo caso le parti dell’impalcatura sono state proprio cancellate, quindi ce le abbiamo rappresentate
proprio in negativo. Tutti i punti ricavati da questo prospetto si caratterizzavano per le coordinate x y z.
Tornando a RDF è importante ricordarci che quando noi realizziamo la fotografia, abbiamo delle aberrazioni
che sono definite proprio dalla prospettiva che caratterizza l’immagine fotografica, e vedete che andando a
considerare con una foto frontale i singoli elementi un ulteriore fotoraddrizzamento, andiamo a realizzare
questa composizione delle due parti in un unico fotomosaico. Quindi laddove non fosse possibile avere una
foto frontale, ad esempio nel nostro caso per un piano alto, ovviamente andremo certamente a lasciare
l’infisso nella posizione che vediamo qua sulla sinistra per quanto riguarda l’immagine raster, ma poi
andremo a restituire graficamente in vettoriale il nostro infisso ricollocandolo nella posizione corretta.
Quindi non sempre è possibile fare questo passaggio perché in questo caso una parte dell’infisso è
obliterata. A quel punto posso considerare solo questa parte, andarla a raddrizzare e collocarla nella
posizione giusta, però è evidente che mi mancherà una porzione che sta qua in alto, corrispondente a
questa fascia.
Abbiamo concluso con questa parte relativa alla parte più pratica del laboratorio. 01:24:00

Raffaele, parte fotoraddrizzamento in un caso applicato. 01:28:00

Il flusso di lavoro di cui parliamo è quello dello Structure from Motion, cioè ottenere un modello da delle
immagini prese però in movimento, infatti questa stessa tecnica potete trovarla anche indicata come
Image-Based Modeling. Questa tecnica consiste nell’avere tutta una serie di immagini in cui è possibile
individuare dei punti omologhi, cioè dei punti che possono essere visibili in tutti i fotogrammi. Da qui è
possibile ottenere tramite delle trasformazioni matematiche la posizione nello spazio. Affinché questo
avvenga ovviamente ci dev’essere una sovrapposizione delle immagini, cioè ci devono essere delle parti
presenti in tutte le immagini affinché questi punti siano visibili da tutte le immagini. Si parla quindi di
overlap delle immagini. Affinché questo avvenga ci deve essere una certa cortezza nella modalità con cui
vengono prese le immagini. Quelle che vi propongo qui sono delle istruzioni che trovate nel manuale di
Metashape. Una delle prime indicazioni è che quando noi dobbiamo prendere delle foto di una facciata,
che è appunto il nostro caso tipico, è bene evitare di stare fermi in un punto, e girare su sé stessi per
prendere le immagini da più angolazioni diverse, ma è meglio appunto cambiare la posizione, da qui
appunto Structure from Motion, cioè ci deve essere appunto il movimento, in modo che i punti siano visibili
con angolazioni e posizioni diverse, per facilitare poi i calcoli necessari al software per individuarli nello
spazio. Un’altra possibilità è quella in cui volessimo fare il rilievo di un ambiente interno: anche qui in
questo caso è meglio evitare di girare su noi stessi, ma è sempre meglio effettuare delle sorte di orbite
vagando nell’ambiente prendendo delle foto da una certa distanza. Altro caso ancora è quello in cui si
possa girare attorno all’oggetto che noi vogliamo fotografare, che può essere un manufatto molto piccolo
ma anche un intero edificio, e anche in questo caso è meglio cercare di avere più foto dell’oggetto e quindi
non abbiate paura quando fate questo tipo di lavoro di scattare molte foto perché poi è sempre meglio
avere più immagini che possono essere selezionate e quindi filtrate in una seconda fase. Una volta che noi
abbiamo queste foto, ad andiamo ad aggiungerle al software. Qui lo facciamo con Metashape. I flussi di
lavoro sono abbastanza facili, infatti qui abbiamo un menù di lavoro con tutti i vari passaggi che noi
seguiremo, ma questo vale per la maggior parte dei software di questo tipo. Una precisazione nella fase di
aggiunta delle foto: un errore che spesso si fa è pensare che tanto fa tutto il software, quindi più foto gli
carico, più roba ha su cui lavorare, e quindi il risultato è migliore. In realtà questo è vero fino a un certo
punto: se ho un manufatto complesso e faccio 10 foto ottengo un risultato migliore se di foto ne faccio 20.
Però è anche vero che le foto devono essere fatte con un certo criterio, un errore che si fa molto spesso è
dare in pasto al software delle immagini che sono molto simili, però queste foto danno al software delle
informazioni che sono praticamente le stesse col problema che, sovraccaricando il processo di calcolo del
software, questo potrebbe andare in confusione e creare una sorta di effetto di disturbo: due punti che
dovrebbero combaciare il software non riesce ad allinearli perfettamente e quindi si viene a creare un
piccolo distacco fra questi punti. Così si ottiene una nuvola pulita della parte che ci interessa sovrapposta a
tutta una serie di punti non allineati, che vengono definiti “rumore”, e questa è una cosa che si può evitare
cercando di non dare foto troppo uguali tra loro, per questo vi consigliavo, come dice il manuale, di
cambiare posizione in quel modo. Dovete avere un overlap almeno del 60%, ma se lo fate anche del 100%,
se la posizione e l’angolatura da cui prendiamo la foto è abbastanza diversa, darà molte più informazioni al
software. Una volta caricate le foto la prima fase è quella di allineamento delle foto. Come vi ha già detto il
professore questa fase consiste nel cercare dei punti omologhi che vanno a creare la cosiddetta nuvola
sparsa e ci permette quindi di identificare la posizione della foto, quindi del punto di presa, ma anche
l’angolazione con cui questa viene fatta, infatti ciò che vedete qui nella preview del software è un quadrato
azzurro che indica il fotogramma, e questa lineetta nera che vedete nella parte posteriore è semplicemente
la normale del piano. L’individuazione di fotogramma e normale è automatica. Ciò che dobbiamo fare poi è
passare alla nuvola densa, cioè a partire da quei punti chiave che noi siamo riusciti a individuare con la
nuvola sparsa, possiamo avere adesso una facilitazione di calcolo e andare a individuare molti più punti, per
un edificio si può arrivare anche a diversi milioni di punti che generano la nostra nuvola densa. Qui vediamo
appunto una nuvola densa, cosa possiamo notare? Purché le foto sono state fate per ottenere i prospetti
principali, noi otteniamo una nuvola molto più pulita nel prospetto principale e vedete che nella parte
superiore e in quella inferiore c’è del rumore, sono tutti quei punti che creano disturbo ma che nella
maggior parte dei casi non ci interessano. Questi punti se riusciamo a individuarli in modo abbastanza
preciso possono essere eliminati per ottenere un miglior risultato. Il passaggio successivo è quello di creare
la mesh. Una mesh è una rappresentazione semplificata, quindi una approssimazione di una superficie reale
e può essere ottenuta tramite dei poligoni: i principali tipi di mesh possono essere triangolari o
quadrangolari. Nei software di fotogrammetria si lavora per lo più con mesh triangolari. Ovviamente più le
mesh sono dense, maggiore sarà il livello di dettaglio di approssimazione che noi riusciamo a ottenere della
superficie. Nel caso di software di fotogrammetria voi dovete solo scegliere la qualità dell’elaborato finale e
questo sarà direttamente proporzionale al numero di triangoli che si verranno a creare. Maggiore è il
numero di triangoli maggiore è la qualità, ma maggiore sarà anche il tempo di calcolo, da pochi minuti per
mesh molto semplici a diverse ore per mesh molto complesse. Ciò che otteniamo è la cosiddetta mesh
neutra, cioè una mesh a cui non è ancora associato un colore, abbiamo quindi delle coordinate spaziali x y
z, ma non delle coordinate colore RGB. Il passaggio successivo è assegnare il colore alla nostra mesh, e
questo si fa tramite la costruzione delle texture. E qui vediamo il nostro modello con le texture applicate. Il
modello che abbiamo ottenuto adesso, non ha ancora informazioni in misure e di orientamento. Una delle
cose principali che facciamo in sopralluogo è verificare l’orientamento delle linee verticali e orizzontali che
ci permette di ruotare il modello finale, e avere tutta una serie di misure di riferimento che ci permettono di
scalare il modello. Come avvengono scalatura e rotazione del modello? Avviene tramite l’aggiunta di
marker, cioè sono dei punti di cui conosciamo la posizione o assoluta, quindi rispetto a un certo sistema di
riferimento, o relativa, quindi tra un punto e l’altro sappiamo qual è la distanza e il loro orientamento, e in
un caso come questo vediamo come possiamo definire 3 punti, posizionati come dovrebbero essere
posizionati gli assi di riferimento, quindi un asse x e un asse y. Ora quindi le scelte sono due: o dare delle
coordinate vere, che noi conosciamo, dei vari punti, ad esempio prendo il punto 1 del mio sistema e lo
metto come origine (quindi 0;0), quindi 2 e 3 di conseguenza; un altro metodo è quello di andare a definire
la scale-bar, cioè una volta che abbiamo dei punti di riferimento, andiamo a imporre un vincolo di distanza
tra i due punti. Poiché il modello che otteniamo rispetta già le proporzioni reali, a noi interessa
semplicemente dargli una misura, in questo caso tramite la scale-bar possiamo dire al software che la
distanza tra il punto 1 e 2 è ad esempio di 10 metri. Una volta fatto questo noi andiamo a dirgli di prendere
come riferimento il punto 1, come origine, e la distanza assegnata. Una volta che diamo aggiorna il nostro
modello viene scalato e orientato. Una volta fatto questo possiamo procedere alla costruzione
dell’ortofoto. Il vantaggio di lavorare con questo software è che tutte le profondità, tutte le aberrazioni
prospettiche, che si creano ad esempio con RDF, in questo caso vengono annullate dal software perché il
software ha tutte le informazioni spaziali anche per la terza dimensioni, quindi per la profondità z che
invece nel software RDF vengono prese pari a 0. Per creare l’ortofoto dobbiamo scegliere su quale piano
dev’essere proiettato, nell’esempio che vi ha fatto vedere il professore della porta (Altamira) avevamo 3
piani e quindi dovevamo scegliere su quale piano lavorare. Il piano può essere assegnato tramite: la vista
corrente, che è il passaggio più veloce ma anche il più impreciso, perché vorrebbe dire orientare la camera
manualmente; possiamo usare i marker, perché noi li abbiamo messi secondo un orientamento x y; oppure
possiamo usufruire dei piani x y, y z, x z, perché il modello è già orientato, superiori o inferiori, quindi le due
parti dello stesso piano rispetto al sistema che abbiamo definito. In questo caso noi scegliamo di lavorare
con i marker e allora indichiamo al software che ad esempio l’asse orizzontale è dato dai punti 1-2, quindi in
automatico quello verticale sarà dato dai punti 1-3. Fatto ciò, per generare la nostra ortofoto, dobbiamo
scegliere la precisione della nostra immagine. Per il nostro tipo di lavoro diamo la precisione di 1 pixel pari a
1 cm. Possiamo avere anche una qualità molto superiore alle nostre necessità. Fatto questo la nostra
ortofoto viene generata. Qua siamo quindi all’esportazione per essere utilizzata in altri software, nel nostro
caso dobbiamo esportarla per essere utilizzata in AutoCAD per le restituzioni. Anche in fase di esportazione
di viene chiesta la precisione con cui vogliamo venga creata l’immagine. Ovviamente nella fase precedente
possiamo esportarla a una qualità molto superiore per poi ridurla a questo punto in base ai vari utilizzi. Una
qualità molto superiore significa ovviamente un’immagine molto più pesante. Qui vedete la nostra ortofoto
e questo è il livello di dettaglio che noi siamo riusciti a ottenere con questo procedimento. Vedete che
molte parti, soprattutto quelle un po’ più ostiche come quelle della vegetazione, hanno una qualità molto
inferiore rispetto a delle superfici pressoché piane che hanno quindi un livello di dettaglio molto maggiore.
Se passiamo a un altro software, 3DF Zephyr, che è sempre della stessa tipologia quindi un software di
fotogrammetria, vediamo che l’interfaccia può sembrare molto diversa rispetto a quella di Metashape, però
vediamo che se andiamo qui, i comandi sono sempre gli stessi. Quindi una volta caricate le foto avremo la
generazione di una nuvola sparsa, la generazione di una nuvola densa e poi la creazione di mesh con
relative texture. Come vedete, per quanto i software possano essere diversi tra loro, le funzioni base che ci
permettono di passare dalla fotografia a una mesh con texture e quindi poi ottenere la nostra ortofoto,
sono pressoché identiche.
Le prove gratuite presentano limitazioni: non è possibile esportare gli elaborati ottenuti o l’ortofoto.

Lezione 9/11

Abbiamo visto che in generale le tecniche di misurazione le dividiamo in due principali categorie: tecniche
di misurazione con contatto (rilievo diretto) e tecniche di misurazione senza contatto (rilievo indiretto), a
seconda dei tipi e delle tecnologie che vengono utilizzate. Questo esplicita meglio quello che si intende con
diretto nel senso che la misura diretta, esempio la trilaterazione, può essere svolta quando è consentito un
contatto diretto con l’architettura da rilevare. Esistono poi tutta una serie di casi in cui purtroppo non è
possibile avere un contatto diretto per motivi differenti, il primo è quando l’opera non è fisicamente
raggiungibile, in altri casi pur essendo raggiungibile abbiamo condizione di precarietà, esempio un’opera in
stato di rudere non sicura, fra le tecniche di rilevazione saranno contemplate le tecniche senza contatto. Le
misure senza contatto sono quindi quelle indirette e sono basate sull’utilizzo di una sorgente di energia
esterna. Ovviamente non possiamo mai pensare di esaudire un rilievo utilizzando un'unica tecnica di
misurazione. Parleremo sempre di metodologie di rilievo integrato, nel senso che per poter studiare
un’architettura, dobbiamo sempre far ricorso all’integrazione di più tecniche. All’inizio di ogni rilievo, una
volta effettuato il sopralluogo e una volta capito quali sono le tecniche più adattate per le specifiche
esigenze, è prassi andare a progettare tutto lo svolgimento di rilevamento in funzione di questi obbiettivi.
Ricordiamoci che fra gli obbiettivi non c’è soltanto quello legato alla complessità dell’opera, che è un dato
fondamentale, perché ci porta ovviamente a utilizzare tecniche più raffinate perché ci serve una quantità di
dati maggiore rispetto a un’opera facilmente schematizzabile, ma è funzione anche della scala di
restituzione, quindi negli obbiettivi mettiamo anche quello che il committente ci chiede, riferito alla
specifica fase di rilevamento. Fra le tecniche di misurazione senza contatto possiamo annoverare quello
della fotogrammetria architettonica e quindi quello del fotoraddrizzamento che ci crea dei fotopiani o della
fotomodellazione con tecniche Structure from Motion che ci consentono di esportare da delle nuvole di
punti degli ortofotomosaici. Fra le tecniche di misurazione senza contatto certamente una di quelle oggi
maggiormente utilizzate è quello della Stazione Totale. Nelle tecniche di misurazione senza contatto la
differenza fondamentale fra questi due sistemi è che nella fotogrammetria architettonica con la creazione
di un fotomosaico andiamo a registrare tutta una serie di dati e di informazioni a prescindere dalla scala di
restituzione, nel senso che una volta esportato il fotomosaico possiamo introdurre una discretizzazione
differente a seconda della scala di restituzione che ci serve. Ci viene chiesta la restituzione in scala 1:100, se
poi in una fase successiva ci viene chiesta una restituzione al 50, ovviamente non abbiamo bisogno di
ripetere tutti i processi di fotoraddrizzamento ma semplicemente andremo a trattare i fotomosaici
elaborati con una caratterizzazione grafica adatta al 50. Quindi uno dei vantaggi della fotogrammetria
architettonica è che partendo sempre dallo stesso prodotto riusciamo ad ottenere delle informazioni che
magari nell’immediato non ci servono ma già pronte laddove successivamente si rendesse necessario
andare a restituire quel rilievo in una scala differente. Questo non avviene con le tecniche come quella della
Stazione Totale per la quale invece è necessario a priori andare a operare una discretizzazione del prospetto
che vogliamo rilevare. Significa andare a identificare la posizione dei punti che andremo a misurare e la
quantità di punti, quindi questa quantità di punti sarà funzione non solo della complessità dell’opera ma
soprattutto della scala di restituzione. È evidente che il numero di punti necessari per una scala al 200 dei
profili esterni su strada sarà un numero di punti molto limitato rispetto a una restituzione al 100 o al 50. È
evidente che se noi utilizziamo l’integrazione di queste due tecniche, i punti che registriamo con la Stazione
Totale equivalgono a quelle misure che andiamo a eseguire con il rilievo diretto. Avete visto come nella
fotogrammetrica architettonica ci servono delle misure per scalare il fotopiano finale che otteniamo, cioè
dare delle dimensioni reali al nostro prodotto finale. Questo lo possiamo fare ad esempio prendendo delle
misure dirette delle aperture in parete dei nostri prospetti inferiori, in generale se non andiamo delle
aperure andremo a posizionare dei target con l’ausilio di una livella, quindi andremo a disporre una maglia
di target ortogonale, tramite la quale andremo sempre a registrare delle misure che andremo a mettere nel
nostro software. In generale non è detto che il piano terra sia direttamente accessibile, esempio negli scorsi
anni al Ghetto degli Ebrei, non potevamo accedere alle finestre, motivo per cui abbiamo utilizzato la
stazione totale. Nel nostro caso per la Caserma Ederle non si presenta questo problema. In generale queste
due metodologie vengono spesso coniugate.
Abbiamo diverse strumentazioni per il rilievo che utilizzano il raggio laser come sorgenti di energie esterne,
nel caso più generale il laser è la sorgente di energia esterna più utilizzata. Innanzitutto, i distanziometri
laser che sono degli strumenti che ci consentono di fare le stesse operazione che facciamo con un metro e
quindi sono equiparati, per l’uso tradizionale delle operazioni di rilievo diretto, a degli strumenti analoghi a
quelli con contatto. Ci consente di prendere delle distanze come ad esempio la quota di un solaio senza
doverci arrivare fisicamente però per il loro utilizzo vengono destinati per le operazioni tipiche del
rilevamento diretto. Un secondo tipo di strumentazione è quella della stazione totale, la quale non è altro
che l’abbinamento di un teodolite ottico-meccanico con la tecnologia laser. Sono tutte dotate di un
distanziometro e di un registratore che va poi ad elaborare dei dati che vengono appunto registrati.
Normalmente le stazioni totali sono tutte quante no-target(?) nel senso che non hanno bisogno di un
prisma riflettente per il rilevamento dei punti ma possono benissimo misurare i punti direttamente sulla
superficie dei manufatti. Infine, l’ultima strumentazione che ci consente di fare dei rilievi indiretti è lo
Scanner 3D, costituito da una stazione di misurazione nella quale sono incorporati una sorgente di luce
laser e un sistema per la lettura del “ritorno”, come avviene nella stazione totale, cioè riflesso e con la
tecnologia time of line rileggono il tempo impiegato dal raggio riflesso a ritornare alla stazione emittente.
Significa che in base al tempo che ci mette questo raggio laser per arrivare e tornare dalla superficie
vengono calcolati tutti quei parametri che ci servono per individuare le posizioni del punto. La differenza
fondamentale tra stazioni e scanner è che mentre nella stazione dobbiamo andare a condurre una
discretizzazione del manufatto che stiamo studiando a priori, quindi dobbiamo fare un progetto che
prevede un’interpretazione funzionale non soltanto alle peculiarità ma anche alla scala di restituzione, nello
scanner questo processo viene fatto dopo. Nel 3D si studiano certamente, come nelle stazioni totali, i vari
punti di stazione quindi le posizioni che lo strumento dovrà assumere al fine di poter rilevare tutte le parti
che stiamo studiando, ma anche qui nello scanner questo viene fatto dopo, nel senso che abbiamo una
mole di dati talmente elevata che normalmente è sovrabbondante, certamente questo avviene nel rilievo
di un prospetto che presenta una complessità geometrica tale da giustificare l’utilizzo di uno scanner 3D.
L’utilizzo di uno scanner 3D è necessario quando vogliamo rilevare geometrie complesse come ad esempio
nel rilievo di sistemi voltati, allora in quel caso lo scanner 3D è quello strumento che innesca quel processo
che ci consente poi di poter estrarre dalla nuvola di punti tutti i profili necessari per la modellazione e la
generazione delle geometrie delle varie parti che compongono questi sistemi voltati. Qua vediamo
un’immagine di una stazione totale che come vedete poggia su un tripiede, non è altro che la combinazione
di vari dispositivi elettronici che ci consentono di individuare la posizione dei punti che stiamo andando a
rilevare all’interno di un sistema di riferimento, che può essere locale o globale, mentre nel rilievo di un
prospetto non abbiamo necessità di inserirlo in un sistema di riferimento globale ma utilizzeremo sempre
dei sistemi di riferimento locali che nello specifico prendono come origine (questo perché solitamente è
necessaria una sola stazione) o nel centro ottico dello strumento o nel punto di stazione a terra. Con la
stazione totale andiamo a determinare angoli e distanze. Sapete che se per un certo punto ne conosciamo
la distanza dall’origine del sistema, poi conosciamo due angoli riferiti agli assi del mio sistema, possiamo
determinare la posizione nel punto dello spazio. Poi nelle operazioni successive, quando scaricheremo tutti
i dati, queste coordinate polari possono essere trasformate in coordinate cartesiane, quindi da angoli e
distanze passiamo a termini di riferimento quindi ogni punto avrà coordinate x y z. Il formato finale sarà
quello di un vettoriale DXF, che potremo distribuire nei diversi layer. Ogni punto potrà essere caratterizzato
da un codice alfanumerico che ne specifica il tipo ad esempio (quote di gronda, aperture in parete ecc).
Potrò così articolare i diversi layer in funzione dell’utilizzo che ne dovrò fare. Qui vediamo le diverse parti
della stazione. Normalmente abbiamo un manico utile per il trasporto dello strumento, abbiamo poi questa
alidada all’interno della quale è montato il nostro cannocchiale, all’interno di questa parte del
cannocchiale, partendo dall’alto avremo un collimatore, che non è altro che un mirino, per l’individuazione
del punto. Con le viti dei piccoli spostamenti (horizontal motion screw, vertical motion screw) andremo poi
a centrare il mirino del cannocchiale sul punto ricercato. Ovviamente dobbiamo mettere a fuoco, qua
vedete c’è il vano batteria, poi tutto il display, che è l’interfaccia utile a mettere tutti i comandi, e infine nel
basamento vediamo le tre viti che servono per la messa in stazione proprio dello strumento. La messa in
stazione avviene grazie all’ausilio di due bolle, una prima bolla e una bolla sferica, e poi una seconda livella
che ci serve proprio per affinare ulteriormente la messa in stazione andando a effettuare delle rotazioni. In
prima approssimazione nella messa in stazione useremo la livella sferica, soprattutto andando ad agire sulle
gambe del trepiede, dopodiché andremo a centrare la bolla della livella torica. Qua vediamo le diverse parti
della nostra stazione, questa in rosso è la parte del cannocchiale all’interno del quale si trova il
distanziometro. Vedete che abbiamo due assi, uno x x’ e l’altro z z’, sono i due assi attorno ai quali lo
strumento può compiere delle rotazioni orizzontali e verticali. Di conseguenza avremo due cerchi graduati,
uno che misura gli angoli orizzontali, l’altro quelli verticali. La parte in verde costituisce l’alidada, dove sono
presenti le viti dei piccoli spostamenti (variabili da modello a modello). Abbiamo poi il basamento, sul quale
si poggia tutto lo strumento e nel basamento ci sono le tre viti calanti e la livella sferica, che serve per
mettere in prima approssimazione, in bolla, lo strumento. Importantissimo è il tastierino elettronico che
costituisce proprio l’interfaccia con il display e dei tasti alfanumerici tramite i quali possiamo immettere
delle misure, o da cui possiamo leggere i valori che stiamo misurando.
Oltre a queste parti, nel rilievo con stazione totale è sempre presente un prisma riflettente, che viene
fissato su una palina graduata perché dobbiamo misurare la quota del punto che stiamo collimando
corrispondente al centro del prisma riflettente rispetto al punto di riferimento che potrebbe essere una
quota presa sul terreno. Possiamo vedere come tutte le parti del teodolite corrispondano, a parte la
tecnologia, alla stazione totale. Vediamo una schematizzazione funzionale del teodolite, cannocchiale sugli
assi, cerchio verticale, e basamento con viti calanti. Abbiamo una corrispondenza, a parte i dispositivi
elettronici, di tutte le parti nei due sistemi. Qui vediamo una schematizzazione dello strumento con un
cannocchiale. Quando noi andiamo a collimare un punto, quella che noi misuriamo è la distanza inclinata.
Questa convive con la distanza ridotta (o orizzontale) che non è altro che la proiezione sul piano orizzontale
della distanza inclinata. Abbiamo poi due angoli, che sono due angoli misurati rispetto agli assi x e z. In
questo caso angolo azimutale e zenitale (oppure orizzontale e verticale). L’angolo zenitale viene misurato
rispetto all’asse z, quindi è l’angolo fra il nostro asse di collimazione e il nostro sistema di riferimento in
generale. Quindi andremo a misurare due angoli e una distanza, tramite i quali andremo a individuare la
posizione del punto nello spazio. Una squadra di rilevamento per questo tipo di lavoro è costituita da tre
persone, al minimo due. La terza annotta i vari punti rilevati. Sappiamo che prima di eseguire un rilievo
dovremo eseguire un eidotipo sul quale individueremo i punti che stiamo andando a collimare.
Quando andiamo a utilizzare lo strumento dobbiamo andare sempre a fare riferimento al punto di stazione,
schematizzato da questo cerchietto rosso, un punto sul terreno che va materializzato sul terreno con un
chiodo proprio perché questo punto dovrà essere collimato da altre posizioni che costituiscono i vertici
della nostra poligonale, ad esempio per il rilievo di un edificio, andremo a realizzare una poligonale
d’appoggio ai cui vertici potremo posizionare le stazioni o anche le basi della nostra trilaterazione.
Normalmente il rilievo con stazione totale, per una pianta, si può fare dall’integrazione delle misurazioni
effettuate con la stazione totale più quelle della trilaterazione. Raramente negli ambienti interni viene usata
la stazione totale, in caso di interni monumentali come una chiesa sì. Nel caso dello strumento in
dipartimento la stazione totale non misura distanze inferiori a un metro, quindi è evidente che se il vano è
molto piccolo non è possibile utilizzarlo. Oltre al punto di stazione dovremo andare a considerare altri
parametri. Il primo è quello della messa in stazione dello strumento: significa disporre su una verticale il
centro ottico dello strumento, che normalmente corrisponde al centro ottico del cannocchiale con il punto
a terra considerato come punto di stazione. Un altro parametro che andremo a utilizzare è proprio questa
altezza del centro ottico, nel senso che l’origine del sistema di riferimento strumentale corrisponde con
questo centro ottico ma può essere poi riportato, grazie all’inserimento del valore di questa altezza (altezza
strumentale), a un sistema di riferimento con le coordinate x y e z pari a 0 nel punto di stazione che
prendiamo appunto come origine. L’altro punto che andremo a considerare è quello del quale vorremo le
coordinate, quindi il punto che dobbiamo andare a misurare. In questo caso si utilizza anche la palina e
anch’essa ovviamente dovrà essere messa sulla verticale rispetto al punto e questo lo possiamo fare grazie
a una livella sferica che è posizionata su di essa. Anche in questo caso dovremo andare a immettere il
valore strumentale, che è l’altezza del target, quindi oltre all’altezza del centro ottico della stazione
dovremo mettere anche quella del target. Questo per ricondurre le misure prese su questo punto, al punto
che invece si trova a terra. In questo modo avremo le coordinate del punto a terra rispetto ad un sistema di
riferimento che ha origine nel nostro punto di stazione. Per il rilievo di un prospetto è sufficiente solo una
stazione. Nel caso di più stazioni queste vanno inserite in un unico sistema di riferimento locale.
Qua vedete l’operatore con una stazione totale, a terra vedete un paletto che viene identificato sia con una
tacca incisa, in questo caso anche cromaticamente nel punto che viene preso come riferimento, perché
sarà quel punto sul quale io andrò a poggiare per esempio la mia palina quando andrò a battere da un’altra
stazione. Oltre che con i picchetti il punto può essere materializzato anche con dei chiodi di questo tipo,
soprattutto nel caso di pavimentazioni. In questo caso è presente anche un alloggiamento che accoglie
proprio la punta della palina.
Prendiamo il caso generale, in azzurro il punto preso in stazione e vogliamo misurare la posizione del punto
indicato col colore verde. La prima cosa da fare è posizionare lo strumento nel punto di stazione e, una
volta messo in stazione lo strumento, andare a traguardare e collimare il punto considerato. Quindi per
mettere in stazione lo strumento dobbiamo centrare la livella sferica e la livella torica in modo da far
coincidere l’asse z dello strumento con l’asse verticale, e passare così per il centro ottico dello strumento.
Prima centriamo la livella sferica, agendo sulle viti, e con le viti calanti centriamo la livella torica. Centrate le
due livelle, lo strumento è in stazione. Col mirino ottico o col filo a piombo dobbiamo verificare che la
posizione di questo asse passi esattamente per il punto a terra. Il punto traguardato potremo anche
collimarlo direttamente, se ad esempio questo punto è il vertice di un concio lapideo, ma in generale
potrebbe essere un punto del terreno e quindi questo punto è necessario che venga materializzato e su
questa materializzazione andremo poi a poggiare la nostra palina col riflettore e così andremo a collimare
dalla stazione il punto sul riflettore. Normalmente abbiamo delle stazioni no prism e quindi potremo andare
a collimare direttamente il punto a terra. In generale dovremo sempre immettere, tra i parametri, quello
dell’altezza strumentale (hs) cioè la distanza dal centro dello strumento rispetto al punto a terra, l’altezza
del target (ht) cioè la distanza, che andiamo a leggere direttamente sulla palina che è graduata, tra centro
del riflettore e punto traguardato. Andiamo così a collimare poggiando l’occhio sul nostro cannocchiale,
centrando nel mirino il centro del riflettore e andremo così a misurare la distanza inclinata (D i). Abbiamo
subito quindi un angolo zenitale che è l’angolo formato tra distanza inclinata e l’asse verticale z e un angolo
azimutale che sarà invece misurato sul cerchio orizzontale. Questa tratteggiata è la distanza ridotta che si
ottiene proiettando la distanza inclinata su un piano orizzontale, in questo caso piano orizzontale che passa
per il centro dello strumento.
Qua vedete una schematizzazione dello strumento con i due cerchi: abbiamo il punto rilevato, la distanza
inclinata (quella presa sull’asse di collimazione), la distanza ridotta (che riporta sul paino orizzontale la
distanza inclinata) e abbiamo poi due angoli, uno verticale rispetto all’asse z e uno orizzontale rispetto
all’asse x. Qua vedete i due cerchi dell’angolo verticale e dell’angolo orizzontale, e sono i due cerchi che
abbiamo visto nello schema del teodolite meccanico. Qua vedete la stazione totale, ci sono dei morsetti e
delle viti che ci consentono di andare a scegliere la lunghezza di ogni singola gamba del treppiede. Qui nel
dettaglio vedete la livella torica. Oltre alla stazione vera e propria andremo sempre a utilizzare un treppiede
(legno, più stabile, o alluminio, più leggero), riflettore per le brevi distanze (con due assi che identificano il
centro) o il prima universale, e infine due paline (note anche come aste telescopiche). Ecco due esempi di
cavalletto in legno e alluminio. E qui vedete nel dettaglio la famosa livella sferica della palina che devo
andare a centrare affinché il centro del target sia sulla verticale del punto che sto andando a traguardare.
Se io devo andare a fare un rilievo di un prospetto con stazione totale abbiamo detto che il numero di punti
sarà funzione anche della scala di restituzione. Quindi andremo a individuare dei punti come ad esempio il
punto di colmo, se visibile, le quote della linea di gronda, i vertici delle aperture in parete. Conducendo un
rilievo in scala 1:200 posso approssimare le aperture come rettangolari, quindi per ogni finestra mi basterà
rilevare i due vertici opposti di ciascun rettangolo. Se invece faccio un rilievo al 50 non posso schematizzare
tutte le aperture a dei rettangoli quindi dovrò andare a misurare i singoli vertici, per capire ad esempio se i
quattro lati del vano finestra sono paralleli. Andiamo a identificare quindi il nostro punto di stazione,
mettiamo in stazione lo strumento, quindi mettiamo in verticale, e così vado a collimare col cannocchiale
tutti i punti che nel mio eidotipo ho già identificato come punti necessari per effettuare il rilevamento.
Registriamo nello strumento tutti gli angoli orizzontali e verticali e le distanze dei diversi punti, che saranno
poi convertite in coordinate x y z nel sistema cartesiano, che normalmente ha origine nel punto di stazione,
quindi stazione che avrà quota 0, perché nel caso di un prospetto ovviamente ci interesserà avere una
relazione con un sistema locale e non globale. Normalmente nel rilievo di un prospetto mettiamo lo 0 in
corrispondenza della quota del piano stradale che non è detto sia perfettamente orizzontale, e quindi
andremo a battere altri punti nella sede stradale per determinare l’inclinazione della linea di terra. Fatto
ciò, il lavoro che si fa dopo la fase di campagna, si scaricano i dati dopo averli elaborati e convertiti in
questo caso in DXF, ci scarichiamo un DXF sul quale possiamo lavorare con qualsiasi software CAD. Se
vogliamo misurare un punto che sta su una muratura e ad esempio questo punto non è fisicamente
raggiungibile, andiamo direttamente a collimare questo punto senza l’utilizzo di un prisma, proprio perché
tutti gli strumenti sono no prism quindi arrivato al punto il raggio laser viene riflesso e in base al tempo di
ritorno vado a determinare la distanza e i due valori angolari che ho registrato. Supponiamo invece di avere
un qualsiasi tipo di ostacolo, voglio prendere un punto, in questo caso a terra, è evidente che se vado a
collimare non posso intercettare il punto considerato. In generale laddove è presente un ostacolo di
qualsiasi io posso far ricorso ad una palina. Per collimare questo punto dovrò utilizzare un’altra stazione,
ma cercando di mantenere un numero minimo possibile di stazioni, perché aumentare il numero di stazioni
non fa altro che aumentare l’errore quindi è buona norma avere il numero di stazioni minimo
indispensabile. Per collimare questo punto basterà posizionare la palina nel punto preciso, collimare al
centro del nostro target e avendo messo l’altezza del riflettore, così che tutte le coordinate vengano
ricondotte al punto a terra. Fatte le diverse operazioni potrò andare al PC e scaricare in file DXF, su questo
faremo delle operazioni CAD come ad esempio l’unione dei punti che costituiscono i vertici della
schematizzazione del nostro rilievo, oppure ancora possiamo usare la stazione, la fotocamera, e infine sul
PC il nostro DXF derivato dalla stazione e i nostri fotogrammi che andranno elaborati con i software dedicati
che abbiamo già visto.
I passaggi del metodo sono sempre gli stessi. La prima è appunto l’analisi grafica preliminare: sia con rilievo
diretto che indiretto, dovremo realizzare un eidotipo sul quale andremo a individuare tutti i punti da
rilevare. Una volta realizzato l’eidotipo andremo a scegliere i punti di stazione e andremo a impostare la
poligonale, cioè nel caso di più stazioni andremo a scegliere e materializzare tutti i vertici della nostra
poligonale. Dopodiché andremo a compiere il nostro rilevamento, quindi quel rilievo strumentale che
consentirà registrare di tutti i nostri punti nel nostro sistema di riferimento. Il lavoro è del tutto analogo a
quello che compiamo con la trilaterazione, nel senso che con questa andavamo a individuare una serie di
vertici di una poligonale e da questi si andavano a prendere tutte le distanze dei punti caratteristici, in
questo caso i vertici del perimetro esterno. Questi vertici potrebbero essere anche i vertici di una
poligonale strumentale, e saranno dei punti di appoggio che andranno a infittire lo schema. In questo caso
vedete le misure fatte con la trilaterazione. Partendo dal punto A, andrò sicuramente a collimare tutti i
vertici della poligonale che riesco a vedere da A, dopodiché collimerò tutti i punti. Normalmente andremo a
prendere dei punti a terra che ci danno la quota del terreno, in corrispondenza di questi vertici, e poi dei
punti posti a una certa quota, che solitamente si fa con un rilievo integrato, appunto con misure dirette.
Quando prendo misure di interni raramente si usa la stazione, ma andiamo a fare semplicemente una
trilateraizone. Ipotizziamo di fare il rilievo esterno con una stazione totale, io scelgo alcuni vertici della
poligonale, ad esempio 4 punti di stazione. La prima cosa da verificare, oltre alla possibilità di poter
misurare il maggior numero di punti visibili su quel perimetro, è che da ogni stazione ne veda almeno altre
due. In questo caso, due stazioni non sono collegabili, quindi non posso utilizzare questi vertici, ma
considerarne un altro così da poter prendere tutte le misure in andata e in ritorno da ciascuna stazione.
Questi quindi potrebbero essere dei vertici che posso usare e che andrò a materializzare, e idem faccio con
dei punti intermedi che mi servono però per delle misure di punti che non riesco a rilevare dagli altri vertici,
per andare così a infittire tutta la maglia delle distanze. Posso anche sempre prendere altri punti di
appoggio che non fanno parte direttamente della mia poligonale, ma che mi servono come punti di
riferimento esterni di controllo, ad esempio qui potrei avere l’area di sedime di fabbrica di un altro edifico,
e prendendo questi come punti di appoggio che mi servono anche per rilevare la posizione di un altro corpo
di fabbrica, ma più in generale mi serviranno appunto come punti di controllo e di appoggio del mio
sistema. Quindi scelgo dei punti che sono più difficile ad esempio da smarrire, ad esempio negli altri casi
viene tolto uno dei paletti, smarrendo così un punto della poligonale. In generale conviene sempre avere
degli appoggi esterni.
Qua vedete uno screenshot di un dettaglio di un rilievo di stazione totale, ciascun punto è caratterizzato da
un simbolo che scegliamo noi all’inizio settando noi vari parametri nella stazione, ma soprattutto vediamo
due valori numerici, il primo in alto è il valore numerico che corrisponde al punto rilevato, quello in basso è
la quota rispetto all’origine del sistema di riferimento. Nel caso generale alla quota di una delle stazioni che
abbiamo preso come riferimento. Qua vedete l’insieme di punti che caratterizzano il rilievo del rudere della
Chiesetta di Santa Barbara a Solanas e vedete che se andiamo a fare uno zoom questa col numero 100,
indicata con un cerchietto e un puntino, e 0.00, indica che la stazione 100 ha quota 0.00. Quindi tutte le
quote di tutti i punti saranno misurate rispetto a questo 0. Quando si danno numeri alle stazioni si scelgono
sempre numeri interi, se io so che avrò un numero di punti da collimare inferiore alle 3 cifre, saprò che il
numero 1 indica il punto dal quale questo viene collimato (es 155 vuol dire che sono stati presi dalla
stazione 100, perché la prima cifra è la 1), se collimo dalla stazione 200, avrò punti 201, 202 ecc…
Ovviamente se da una stazione collimo più di 99 punti, metterò 1000 nella stazione.
I valori dei punti sono molto precisi, che verranno assunti sempre in funzione della scala di restituzione. In
questo caso per i punti traguardati viene scelto il punto con una crocetta, mentre per le stazioni un
cerchietto. Sono tutti parametri prestabiliti a priori. Scaricato il DXF nel CAD, andremo a unire i punti in
questo caso per ricavare la pianta del nostro rudere. Tutte le parti tratteggiate in questo caso sono parti
delle strutture murarie, che erano interrate. È un rilievo fatto prima di qualsiasi operazione di scavo, quindi
un’analisi preliminare che serve per pianificare e organizzare lo scavo dell’area. In questo caso essendo
un’operazione preliminare, manteniamo costante lo spessore murario nel CAD, che andremo a verificare
successivamente con lo scavo. Quello che ci interessava era avere una base sia per dare un’interpretazione
delle strutture emergenti sia per avere una base sulla quale pianificare tutte le operazioni scavo.
Ovviamente abbiamo tutte e 3 le coordinate più la quota rispetto allo 0 locale. Vedete anche come nella
superficie del vano absidato ci siano moltissimi punti, proprio per studiare la geometria dell’abside, e in
questo caso, con una maglia fittissima, abbiamo visto che descrivevano un semicerchio.

01:10:00 Spiegazione tema d’anno, esempi tavole


Riepilogando il primo passaggio per il tema d’anno è l’analisi grafica preliminare, con tutti i limiti posti dalla
pandemia……

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