Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Anche nel caso in cui le crome salgono o scendono per grado congiunto si
utilizza il [tu], ma viene combinato con il [ru].
1
Inoltre Hotteterre fa notare che non sempre le crome dovranno essere
suonate uguali (également), bensì una più lunga e una più corta. Anche in
questo caso si deve fare riferimento al numero di crome presenti. Se sono
pari, saranno una lunga e una breve; in caso siano dispari, si farà
esattamente il contrario.
2
In altri casi è possibile
pronunciare [tu] su
tutte le crome,
alternandolo poi con
il [ru] nel momento in
cui si incontrino delle
semicrome; questo
perché le crome sono
la suddivisione di
minime sui tempi forti. Le semicrome sono invece la suddivisione di crome,
così come avviene nei tempi di 6/8, 12/8 e 9/8. In questi tempi è necessario
eseguire le crome également e le semicrome puntate (inegale).
Il [ru] va usato nelle semicrome seguendo le stesse regole che vengono date
per le crome.
A queste regole date da Hotteterre ci sono delle eccezioni che lui stesso
sottolinea, servendosi di alcuni esempi.
Dagli esempi
riportati di fianco
capiamo che è
necessario
pronunciare [tu-ru]
sulle prime due
crome o
semicrome, in
numero pari.
Accade
frequentemente di
trovare, nella
musica barocca,
due crome poste
tra due
semiminime; così
come accade anche di trovare due semicrome tra due crome. Questa pratica
serve ad addolcire i passaggi e gli conferisce un gusto più elegante.
Bisogna stare attenti a non pronunciare la sillaba [ru] quando si iniziano i trilli
e non bisogna ripeterla due volte su due note vicine, questo perché deve
sempre essere alternata al [tu].
3
Nei tempi composti è necessario alternare [tu-ru] nelle semiminime. Nel caso
in cui le minime siano precedute da una semiminima, per grado congiunto,
bisognerà porre il [ru] sulla nota lunga.
Nella seconda parte di questo VIII capitolo vengono spiegati altri tipi di
articolazioni, sui quali però non mi soffermerò poiché non riguardano lo
staccato in sé.
4
Mi concentrerò nell’esporre il capitolo VI, “Circa lo uso della lingua nel
suonare il Flauto”.
Quantz inizia parlando della differenza tra le sillabe [ti] e [di]. Dovendo
attaccare alcune note con forza e altre con dolcezza, sarà buona norma
utilizzare il [ti] per le note brevi, eguali e vivaci. Al contrario si pronuncerà [di]
quando si vorrà ottenere un effetto più dolce e grazioso. Anche negli adagi, e
nei tempi lenti in generale, è meglio usare il [di]; mentre il [ti] si usa per
marcare le note puntate. Viene fatta una considerazione riguardo la difficoltà,
per i tedeschi, nel pronunciare correttamente e distintamente le due sillabe.
Nelle note brevi bisogna servirsi del [ti], poiché la lingua ha la possibilità di
ritirarsi in fretta dal palato. Pronunciando, senza suonare, per molte volte e
velocemente [ti-ti-ti-ti], si può constatare quanto viene detto da Quantz.
Nelle note più lunghe, non dovendo essere il colpo di lingua troppo forte, si
userà il [di]. Come nel [ti] la lingua si ritira subito, nel [di] questa tende a
rimanere libera nella bocca.
5
Nel caso in cui una nota
sia preceduta da
un’appoggiatura, tale
appoggiatura sarà
eseguita con la stessa
sillaba delle note
precedenti.
Il colpo di lingua semplice non produce un effetto bello nei passaggi veloci,
poiché le note risultano tutte uguali e secondo la prassi andrebbero eseguite
inuguali. Per questo motivo è possibile usare altre sillabe: il [ti-ri] per le note
puntate e il [didl] per i passaggi estremamente veloci.
6
Nella seconda sezione viene spiegato il corretto uso delle sillabe [ti-ri],
estremamente utili nei passaggi più veloci in cui le note devono risultare
inuguali.
Il RI si usa in quelle note che si trovano nel tempo “buono” (forte), mentre il
[ti] va in tutte quelle note sul tempo “cattivo” (debole). Generalmente, in
quattro crome, sulla prima e la terza si pronuncia [ri], sulla seconda e la
quarta [ti]. Ma, visto che non si può attaccare con il [ri], bisogna per forza
intonare le prime due note con il [ti], proseguendo sempre con l’alternanza
tra le due sillabe nelle altre note.
Gli esempi in figura mostrano in che modo vada usata la lingua con questi
tipi di note. Se al posto della prima nota si trova una pausa, come si può
vedere nell’ultima riga dell’esempio, si continua sempre con il [ti-ri].
7
Se la prima nota di una figura con tre note è seguita da un punto, nei tempi
di 3/4, 3/8, 6/8, 9/8 e 12/8, le prime due note saranno eseguite con il [ti]
mentre l’ultima avrà il [ri].
Si può utilizzare il [di], al posto del [ti], quando si incontrano note che non
sono puntate. La prima nota porta sempre [ti] e poi si prosegue con
l’alternanza [di-ri].
8
L’ultimo modo di utilizzare i colpi di lingua viene definito da Quantz il più
importante e prezioso, piche può essere usato in vari tipi di passaggi, sia
nelle note che saltano sia in quelle che si muovono per grado congiunto.
In questo caso la prima e l’ultima nota hanno [ti], la terza [ri]. In questo tipo di
articolazione la lingua si riposa e può lavorare più a lungo senza stancarsi
troppo, legando la seconda delle note.
9
Andando avanti nel tempo non troviamo dei veri e propri trattati in cui viene
esposto il modo in cui deve essere suonare il flauto. Troviamo piuttosto una
serie di metodi, o libri di tecnica, in cui vengono analizzati vari aspetti tecnici
del flauto. Tra Ottocento e Novecento, numerosi flautisti si sono dedicati alla
stesura di libri di tecnica che potessero aiutare i flautisti a migliorare le
proprie abilità.
Quanto appena detto per questo libro vale anche per molti altri scritti da
didatti/flautisti di quel periodo, si veda ad esempio Marcel Moyse o Mathieu-
André Reichert.
Per tornare ad avere dei metodi più “completi”, in cui vengono inseriti sia
esercizi che spiegazioni, bisogna fare un ulteriore passo in avanti nel tempo.
Uno dei maggiori didatti del Novecento e dei nostri tempi è l’inglese Trevor
Wye, nato nel 1935. Egli ha pubblicato sia dei metodi per principianti sia una
serie di volumi dedicati a singoli aspetti tecnici del flauto. Si tratta della
raccolta dei “Practice Books”, suddivisa e pubblicata in 6 volumi.
10
Di questi andrò a scrivere in particolare del
Volume 3, “Articolazione”, dedicato in gran
parte allo staccato.
11
Viene fatto un piccolo riassunto con le cose da tenere a mente per operare
uno studio accurato:
Alla fine di questa sezione viene riportato un rettangolo con un “Angolo dei
problemi”, in cui vengono dati suggerimenti per risolvere alcune possibili
problematiche riscontrate nello studio. Ad esempio: il problema è il
sincronismo tra il suono e le dita? Viene consigliato di studiare meglio la
tecnica digitale nel volume 2.
Una volta fatti dei progressi sul semplice colpo di lingua è possibile passare
allo studio dello staccato doppio. T. Wye propone un metodo di studio che
può essere applicato a tutti gli esercizi sull’articolazione e lo studio delle
scale. Viene consigliato di praticare senza flauto l’articolazione per il doppio,
anche mentre si svolgono attività di routine come passeggiare, andare a fare
la spesa… Le indicazioni matronimiche poste al di sopra degli esercizi
costituiscono un “traguardo finale” che deve essere raggiunto gradualmente
giorno dopo giorno, anche se di base doppio e triplo staccato non devono
essere studiati troppo lentamente. Il consiglio che viene dato è quello di
esercitarsi su brevi passaggi veloci, in cui la [k] o la [g] devono risultare dei
riflessi. Come per la precedente sezione anche qui viene messo un esercizio
principale, da lavorare con tutte le varianti delle pagine seguenti, e un angolo
dei problemi conclusivo.
La sezione finale sullo staccato è dedicata al triplo. Qui non vengono scritte
molte cose poiché si dovrebbe già aver capito il metodo di studio nelle
pagine precedenti.
Alla fine di questa parte non troviamo l’angolo dei problemi ma si viene
indirizzati alla fine del volume, dove sono inseriti una serie di esempi sullo
staccato tratti dal repertorio.
12
Altri flautisti del XXI secolo hanno scritto e pubblicato dei libri in cui viene
trattato l’aspetto dello staccato.
Gli esercizi preparatori devono essere eseguiti solo mediante l’uso del
diaframma, pronunciando le sillabe [ha] o [he]. Bisogna fare molta attenzione
nell’emissione delle note sul registro acuto poiché non devono mai iniziare o
finire con l’ottava inferiore.
Alla fine del capitolo vi sono una serie di esempi, tratti da passi orchestrali, in
cui si possono mettere in pratica le cose apprese.
13
Nel libro “Dentro il Suono” di Giampaolo
Pretto, flautista veronese nato nel 1965, vi è
una sezione dedicata allo staccato.
Nello staccato si può aver bisogno di tante diverse articolazioni, quante sono
le pronunce fonetiche dei suoni che vogliamo rendere ancora più espressivi.
Nel primo caso l’intervento della lingua è molto veloce, ciò permette di
interrompere l’uscita dell’aria per un tempo brevissimo; il risultato sarà quello
che comunemente viene definito staccato-legato, in cui viene usata più aria
che lingua.
Nel secondo caso invece la lingua blocca l’uscita dell’aria per un tempo
maggiore, offrendo come risultato uno staccato più “percussivo” con note
più corte e separate tra loro. Questa tipologia di staccato si affida
maggiormente alla forza percussiva della lingua che ritorna velocemente
nella stessa posizione, lasciando uscire pochissima aria e producendo un
suono molto corto. Nella produzione dello staccato, la forza della
percussione operata dalla lingua sarà sempre inversamente proporzionale
alla quantità d’aria utilizzata.
14
Il primo esercizio proposto, per poter creare un suono di percussione
determinato, è basato sulle prima battute della “Partita in La minore” di J. S.
Bach. Viene richiesto di concentrarsi nell’uso di uno staccato semplice in cui
sia prodotto un “rumore intonato” dato dalla percussione della lingua contro
la parte labiale. Questo rumore dovrà contenere in sé alcuni elementi
fondamentali, tra cui:
15
Nel 2003 Gianni Lazzari, flautista e
didatta, pubblica il libro “Il Flauto Traverso:
storia, tecnica e acustica”. Si tratta di un
manuale completo che ha lo scopo di
fornire informazioni riguardo la storia del
flauto (dal Medioevo al Novecento), le
tecniche e i princìpi acustici dello
strumento. Proprio nella seconda parte del
volume (“I fondamenti della tecnica
flautistica”) vi è un capitolo dedicato allo
staccato.
Viene fatta un’accurata descrizione di ciò che accade all’interno della bocca
quando si staccano i suoni e una classificazione dei tipi di staccato. Lazzari
scrive che oltre un certo limite di velocità, il controllo dello staccato passa
interamente a carico della punta della lingua. Dovendo staccare delle
sequenze molto rapide, che superano la velocità di ripercussione della punta
della lingua, viene utilizzato in alternanza anche il dorso della lingua, il quale
si solleva chiudendo il passaggio dell’aria andando a toccare la parte
posteriore del palato. Il movimento completo della lingua risulta perciò
essere composto da un colpo anteriore di punta e un contraccolpo
posteriore di dorso, alcune volte seguito anche da un secondo contraccolpo
sempre di punta.
Lo staccato semplice indica l’uso della sola punta, il doppio staccato indica
l’alternanza punta-dorso e lo staccato triplo indica la successione punta-
dorso-punta. La necessità di avere due tipi di staccato rapido (doppio e
triplo) nasce dal diverso effetto d’attacco prodotto dalla punta della lingua
16
rispetto al dorso. L’attacco di punta è più netto e accentuato, viene infatti
usato per sottolineare l’accento ritmico delle figurazioni melodiche. Lo
staccato doppio serve nelle sequenze di note in ritmo binario, mentre il triplo
è usato nelle sequenze in tempo ternario.
La [r], come è stato esaminato nelle pagine iniziali dell’elaborato, era molto
utilizzata in passato nei gruppi articolati polisillabici.
17
La vocale ha effetto sulla risonanza orale del suono e determina
principalmente il percorso che la punta e il dorso della lingua devono
compiere dalla posizione della lingua alla posizione di riposo per andare a
occludere il passaggio dell’aria. Si può notare che vi è una sostanziale
differenza confrontando la pronuncia delle sillabe [ti] e [ki], in cui la
mandibola è più chiusa, la lingua è sollevata e sia la punta che il dorso
effettuano un percorso minimo. Prendendo in esame le sillabe [ta] e [ka], è
evidente che la mandibola sia più aperta, la lingua abbassata e i percorsi
siano più ampi.
La [t] e la [k] sono consonanti sorde, la [d] e la [g] sono sonore. Nel parlato, le
consonanti sonore sono accompagnate dalla vibrazione delle corde vocali.
Nello staccato flautistico questo aspetto è molto importante perché
determina la tensione muscolare della lingua e la violenza dell’esplosione
dell’aria. Per far vibrare le corde vocali l’aria deve avere una pressione bassa
e scarsa velocità durante il passaggio glottidale; di conseguenza le
consonanti sonore sono meno “esplosive“ di quelle sorde e con il flauto
generano un attacco morbido.
18
Per ottenere l’effetto del frullato si fa riferimento alla [r] vibrante, sia nella
pronuncia italiana (vibra l’apice della lingua) che nella pronuncia francese
(vibra la parte del palato vicina all’ugola contro la parte posteriore della
lingua).
L’efficacia dello staccato non dipende solo dal buon uso della lingua ma
anche dalla tecnica d’imboccatura e dalle caratteristiche del foro dello
strumento. L’effetto più evidente sullo staccato risulta dal grado di chiusura
del foro d’imboccatura, quanto più è aperto tanto maggiori sono la pressione
e la dispersione d’aria richiesta. La tendenza degli ultimi anni a tenere più
scoperto il foro per aumentare la proiezione sonora ha dato vita a due
tendenze: avanzare il punto di occlusione della lingua per rendere i colpi più
esplosivi e accompagnare l’attacco dei suoni con “colpi di diaframma”.
20
I simboli della notazione dello staccato indicano quanto vanno separati e
accentati i suoni. La notazione è un sistema di riferimento musicale non
tecnico, in cui i simboli indicano approssimativamente il quanto e non il
come devono essere realizzati i suoni.
21
Lazzari dedica un breve paragrafo allo studio dello staccato, in cui sono
presenti elementi che sono stati già analizzati negli altri metodi di cui ho
trattato.
La parte conclusiva del capitolo è dedicata alle sillabe che venivano usate
nel passato, servendosi di molti riferimenti provenienti dal trattato di Quantz
e da quello di Hotteterre.
Bibliografia:
22