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L’evoluzione dello staccato dal Barocco ad oggi

Con l’evolversi del flauto vi è stata un’evoluzione naturale della tecnica


strumentale, che ha portato alla stesura di differenti trattati e metodi sullo
strumento e sulla prassi esecutiva.

Il primo fra tutti a scrivere un vero e proprio trattato


fu Jaques Hotteterre, detto “le Romain” (il romano).
Appartenente a una famiglia di artigiani costruttori di
flauti, Hotteterre iniziò ad apportare delle migliorie
tecniche al traversiere e, nel 1707, pubblicò il suo
primo trattato: “Principes de la Flûte Traversiere, de
la Flûte a bec et du Hout-bois”. Come si evince dal
titolo, il trattato è suddiviso in tre libri dedicati al
traversiere, al flauto dritto e all’oboe.

La parte riguardante il traversiere è divisa in nove


capitoli, con un’appendice contenente tavole di trilli
e posizioni. In questo elaborato mi concentrerò sul
capitolo VIII: “Des coupé de Langue, Port-de-voix,
Accents et doubles-Cadences”.

Hotteterre scrive che le articolazioni principali sono


[tu] e [ru]; il [tu] è quella più utilizzata, impiegata in
quasi tutto: “rondes” (valori lunghi),
”blanches” (minime), “noires” (semiminime) e per la gran parte delle
“croches” (crome). Quando quest’ultime si trovano sulla stessa linea, o
quando saltano, bisogna servirsi del [tu].

Anche nel caso in cui le crome salgono o scendono per grado congiunto si
utilizza il [tu], ma viene combinato con il [ru].

Successivamente, viene sottolineato che le due sillabe si utilizzano anche in


base al numero di crome che si susseguono. Quando il numero è dispari,
allora si pronuncia [tu-ru], seguendo sempre lo stesso ordine (Premier
Exemple). Se ci si trova davanti a un numero pari di crome, allora si
pronuncia Tu sulle prime due e successivamente [ru], alternando sempre le
due sillabe (Deuxiéme Exemple).

Nel trattato sono riportati i


seguenti esempi, nei quali
viene illustrato l’utilizzo delle

1
Inoltre Hotteterre fa notare che non sempre le crome dovranno essere
suonate uguali (également), bensì una più lunga e una più corta. Anche in
questo caso si deve fare riferimento al numero di crome presenti. Se sono
pari, saranno una lunga e una breve; in caso siano dispari, si farà
esattamente il contrario.

Questi due esempi mostrano


quanto detto sopra.

Un’altra cosa che fa notare Hotteterre è che si potranno trovare alcuni


momenti nel brano in cui l’unica sillaba da usare, per separare le crome, sarà
il [tu].

Alcuni esempi in cui viene usato


solo il Tu

2
In altri casi è possibile
pronunciare [tu] su
tutte le crome,
alternandolo poi con
il [ru] nel momento in
cui si incontrino delle
semicrome; questo
perché le crome sono
la suddivisione di
minime sui tempi forti. Le semicrome sono invece la suddivisione di crome,
così come avviene nei tempi di 6/8, 12/8 e 9/8. In questi tempi è necessario
eseguire le crome également e le semicrome puntate (inegale).

Il [ru] va usato nelle semicrome seguendo le stesse regole che vengono date
per le crome.

A queste regole date da Hotteterre ci sono delle eccezioni che lui stesso
sottolinea, servendosi di alcuni esempi.

Dagli esempi
riportati di fianco
capiamo che è
necessario
pronunciare [tu-ru]
sulle prime due
crome o
semicrome, in
numero pari.
Accade
frequentemente di
trovare, nella
musica barocca,
due crome poste
tra due
semiminime; così
come accade anche di trovare due semicrome tra due crome. Questa pratica
serve ad addolcire i passaggi e gli conferisce un gusto più elegante.

Bisogna stare attenti a non pronunciare la sillaba [ru] quando si iniziano i trilli
e non bisogna ripeterla due volte su due note vicine, questo perché deve
sempre essere alternata al [tu].

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Nei tempi composti è necessario alternare [tu-ru] nelle semiminime. Nel caso
in cui le minime siano precedute da una semiminima, per grado congiunto,
bisognerà porre il [ru] sulla nota lunga.

Hotteterre sottolinea che i colpi di lingua saranno più o meno articolati a


seconda dello strumento che si suona: saranno dolci nel traversiere, un po’
più forti nell’oboe e molto marcati nel flauto dritto.

Nella seconda parte di questo VIII capitolo vengono spiegati altri tipi di
articolazioni, sui quali però non mi soffermerò poiché non riguardano lo
staccato in sé.

Il secondo trattato che ho deciso di


prendere in esame è sicuramente uno dei
più noti, si tratta del “Versuch einer
Anweisung die Flöte traversiere zu spielen”
di J. J. Quantz. Egli fu un celebre flautista e
compositore tedesco vissuto tra fine
Seicento e metà Settecento, noto anche
per questo importante trattato che fu scritto
nel 1752. L’opera è dedicata al re Federico
II di Prussia, appassionato flautista, con il
titolo intero di “Saggio di un metodo per
suonare il flauto traverso di Johann Joachim
Quantz, musicista da camera della Corte
Reale Prussiana, con numerose indicazioni
per il miglioramento del buon gusto nella
pratica musicale e illustrato da vari esempi”.
Il trattato è suddiviso in 17 capitoli e 7
sezioni, preceduti da una prefazione
dell’autore e da una dedica/captatio
benevolentiae al re.

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Mi concentrerò nell’esporre il capitolo VI, “Circa lo uso della lingua nel
suonare il Flauto”.

Quantz inizia parlando della differenza tra le sillabe [ti] e [di]. Dovendo
attaccare alcune note con forza e altre con dolcezza, sarà buona norma
utilizzare il [ti] per le note brevi, eguali e vivaci. Al contrario si pronuncerà [di]
quando si vorrà ottenere un effetto più dolce e grazioso. Anche negli adagi, e
nei tempi lenti in generale, è meglio usare il [di]; mentre il [ti] si usa per
marcare le note puntate. Viene fatta una considerazione riguardo la difficoltà,
per i tedeschi, nel pronunciare correttamente e distintamente le due sillabe.

A differenza di Hotteterre, Quantz spiega in modo molto dettagliato il modo


in cui va eseguito il colpo di lingua, normalmente associato al [ti].
E’ necessario spingere la lingua da entrambe le parti contro il palato
incurvando in alto la punta, appoggiare la lingua contro i denti per evitare
che il flusso d’aria venga bloccato.

Alcuni suonatori hanno l’abitudine di mettere la lingua fra le labbra per


formare il colpo di lingua ritirandola indietro. Tale abitudine va eliminata
poiché in questo modo non si può ottenere un suono pieno e tondo.

Nelle note brevi bisogna servirsi del [ti], poiché la lingua ha la possibilità di
ritirarsi in fretta dal palato. Pronunciando, senza suonare, per molte volte e
velocemente [ti-ti-ti-ti], si può constatare quanto viene detto da Quantz.

Nelle note più lunghe, non dovendo essere il colpo di lingua troppo forte, si
userà il [di]. Come nel [ti] la lingua si ritira subito, nel [di] questa tende a
rimanere libera nella bocca.

E’ necessario pronunciare il [ti] nelle crome che saltano; ma se trovano note


che salgono o scendono per grado congiunto, bisogna servirsi del [di], a
prescindere dal valore che abbiano (crome, semiminime, minime).

Quando si trovano segni di staccato sopra le


note va usato il [ti], per marcare
l’articolazione.

5
Nel caso in cui una nota
sia preceduta da
un’appoggiatura, tale
appoggiatura sarà
eseguita con la stessa
sillaba delle note
precedenti.

Generalmente bisogna fare una piccola separazione fra l’appoggiatura e la


nota che la precede, soprattutto se hanno lo stesso suono. Ciò dovrebbe
essere fatto affinché si possa sentire bene l’appoggiatura. Perciò la lingua
dovrà ritirarsi sul palato subito dopo avere eseguito la nota precedente
all’appoggiatura.

Il colpo di lingua semplice non produce un effetto bello nei passaggi veloci,
poiché le note risultano tutte uguali e secondo la prassi andrebbero eseguite
inuguali. Per questo motivo è possibile usare altre sillabe: il [ti-ri] per le note
puntate e il [didl] per i passaggi estremamente veloci.

Quando due o più note si trovano sotto una legatura


vanno eseguite con il medesimo colpo di lingua;
sarà sufficiente porre il colpo di lingua sulla prima
nota della legatura. Per queste note va usato il [di].

Quando vi è una nota staccata prima della


legatura, allora si pronuncerà [ti] sia per quella nota
che per quelle seguenti.

Se la legatura comincia nella seconda nota, e


quella sul battere è legata con quella sul levare,
bisogna eseguirle come descritto nell’esempio.

Quando si trova una legatura sopra alcune


note dello stesso suono, bisognerà eseguirle
usando dei “soffi” generati solo dal
“diaframma”. Ma se sopra queste note vi sono
anche dei puntini, sarà necessario eseguirle
con maggiore impeto.

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Nella seconda sezione viene spiegato il corretto uso delle sillabe [ti-ri],
estremamente utili nei passaggi più veloci in cui le note devono risultare
inuguali.

Innanzitutto viene evidenziato che bisogna esercitarsi nella pronuncia, senza


flauto, di una [r] molto sonora che possa quindi risultare come un effetto ben
distinto rispetto a quello che produce la sillaba [di].

La combinazione delle due sillabe va innanzitutto usata nelle note con i


punti, poiché devono essere espresse con maggiore vigorosità. Il [ti]deve
sempre risultare più breve rispetto al [ri], il quale deve essere lungo.

Il RI si usa in quelle note che si trovano nel tempo “buono” (forte), mentre il
[ti] va in tutte quelle note sul tempo “cattivo” (debole). Generalmente, in
quattro crome, sulla prima e la terza si pronuncia [ri], sulla seconda e la
quarta [ti]. Ma, visto che non si può attaccare con il [ri], bisogna per forza
intonare le prime due note con il [ti], proseguendo sempre con l’alternanza
tra le due sillabe nelle altre note.

Gli esempi in figura mostrano in che modo vada usata la lingua con questi
tipi di note. Se al posto della prima nota si trova una pausa, come si può
vedere nell’ultima riga dell’esempio, si continua sempre con il [ti-ri].

Nei tempi ternari


si osserveranno
le stesse regole.

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Se la prima nota di una figura con tre note è seguita da un punto, nei tempi
di 3/4, 3/8, 6/8, 9/8 e 12/8, le prime due note saranno eseguite con il [ti]
mentre l’ultima avrà il [ri].

Si può utilizzare il [di], al posto del [ti], quando si incontrano note che non
sono puntate. La prima nota porta sempre [ti] e poi si prosegue con
l’alternanza [di-ri].

Il [ti] verrà usato nel


caso in cui, dopo le
semicrome, vi siano
delle crome che saltano
e il [di] servirà per quelle
che vanno per grado
congiunto.

Nel caso in cui si rendesse necessario suonare alcuni passaggi con


maggiore agilità rispetto a quella offerta dal [di-ri], bisognerà eseguire con lo
stesso colpo le prime due note o le ultime due.

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L’ultimo modo di utilizzare i colpi di lingua viene definito da Quantz il più
importante e prezioso, piche può essere usato in vari tipi di passaggi, sia
nelle note che saltano sia in quelle che si muovono per grado congiunto.

In questo caso la prima e l’ultima nota hanno [ti], la terza [ri]. In questo tipo di
articolazione la lingua si riposa e può lavorare più a lungo senza stancarsi
troppo, legando la seconda delle note.

Nella terza e ultima sezione, Quantz analizza il doppio colpo, eseguito


mediante l’alternanza delle sillabe [di] e [dl]. Si utilizza la “doppia lingua”,
come scrive l’autore, solamente nei passaggi che richiedono maggiore
velocità. Bisogna esercitarsi molto nel pronunciare la sillaba [dl], la quale può
risultare difficoltosa vista la mancanza di una vocale nel mezzo. L’effetto non
deve assolutamente essere quello di [didel] o [dili].

Questo doppio colpo risulta essere l’opposto di [ti-ri], poiché l’accento di


quest’ultimo cade sulla seconda sillaba e nel [didl] esso cade sulla prima.

Quantz fornisce numerosi esempi ed esercizi, presenti nella IV tavola, per


abituare la lingua a pronunciare ed alternare correttamente queste sillabe.

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Andando avanti nel tempo non troviamo dei veri e propri trattati in cui viene
esposto il modo in cui deve essere suonare il flauto. Troviamo piuttosto una
serie di metodi, o libri di tecnica, in cui vengono analizzati vari aspetti tecnici
del flauto. Tra Ottocento e Novecento, numerosi flautisti si sono dedicati alla
stesura di libri di tecnica che potessero aiutare i flautisti a migliorare le
proprie abilità.

Uno dei libri più utilizzati ancora


oggi dai flautisti è sicuramente “17
Grands Exercises Journaliers de
Mécanisme pour Flûte” di P.
Taffanel e Ph. Gaubert.

In questo libro non è


presente una sezione
dedicata allo staccato
ma si tratta di una serie
di esercizi che i flautisti
possono eseguire con
una serie di articolazioni,
servendosene anche per
migliorare il proprio
staccato semplice,
doppio e triplo.

Quanto appena detto per questo libro vale anche per molti altri scritti da
didatti/flautisti di quel periodo, si veda ad esempio Marcel Moyse o Mathieu-
André Reichert.

Per tornare ad avere dei metodi più “completi”, in cui vengono inseriti sia
esercizi che spiegazioni, bisogna fare un ulteriore passo in avanti nel tempo.

Uno dei maggiori didatti del Novecento e dei nostri tempi è l’inglese Trevor
Wye, nato nel 1935. Egli ha pubblicato sia dei metodi per principianti sia una
serie di volumi dedicati a singoli aspetti tecnici del flauto. Si tratta della
raccolta dei “Practice Books”, suddivisa e pubblicata in 6 volumi.

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Di questi andrò a scrivere in particolare del
Volume 3, “Articolazione”, dedicato in gran
parte allo staccato.

La prima cosa sullo staccato che viene


trattata è il colpo di lingua semplice,
considerato il più importante e fondamentale
per lo studio degli altri tipi di staccato.

Questo tipo di colpo va studiato non troppo


velocemente, in modo da poter trovare
“l’eleasticità”.

T. Wye spiega che l’esercizio (A) va studiato inizialmente usando


esclusivamente il diaframma ed eseguito in tutte e 24 le tonalità. Le note
dovranno essere forti, corte e veloci. E’ necessario ottenere, prima di andare
avanti, dei notevoli progressi su questo esercizio; ciò getterà delle basi solide
e accurate per una buona articolazione. Successivamente bisognerà
abbinare la tecnica diaframmatica acquisita a un buon colpo di lingua.

Di seguito a questi due primi esercizi vengono proposte numerose varianti


ritmiche utili a lavorarli.

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Viene fatto un piccolo riassunto con le cose da tenere a mente per operare
uno studio accurato:

• Non servirsi del doppio staccato in questa prima sezione

• Eseguire tutti gli esercizi sia piano che forte

• Sforzarsi di ottenere un suono pulito

• Incrementare gradualmente la velocità

• Studiare questa sezione per poco tempo ma spesso

• Eseguire gli esercizi in tutte le tonalità (possibilmente a memoria)

Alla fine di questa sezione viene riportato un rettangolo con un “Angolo dei
problemi”, in cui vengono dati suggerimenti per risolvere alcune possibili
problematiche riscontrate nello studio. Ad esempio: il problema è il
sincronismo tra il suono e le dita? Viene consigliato di studiare meglio la
tecnica digitale nel volume 2.

Una volta fatti dei progressi sul semplice colpo di lingua è possibile passare
allo studio dello staccato doppio. T. Wye propone un metodo di studio che
può essere applicato a tutti gli esercizi sull’articolazione e lo studio delle
scale. Viene consigliato di praticare senza flauto l’articolazione per il doppio,
anche mentre si svolgono attività di routine come passeggiare, andare a fare
la spesa… Le indicazioni matronimiche poste al di sopra degli esercizi
costituiscono un “traguardo finale” che deve essere raggiunto gradualmente
giorno dopo giorno, anche se di base doppio e triplo staccato non devono
essere studiati troppo lentamente. Il consiglio che viene dato è quello di
esercitarsi su brevi passaggi veloci, in cui la [k] o la [g] devono risultare dei
riflessi. Come per la precedente sezione anche qui viene messo un esercizio
principale, da lavorare con tutte le varianti delle pagine seguenti, e un angolo
dei problemi conclusivo.

La sezione finale sullo staccato è dedicata al triplo. Qui non vengono scritte
molte cose poiché si dovrebbe già aver capito il metodo di studio nelle
pagine precedenti.

Vengono date 6 direttive essenziali:

• Studiare il movimento della lingua anche senza flauto

• Colpire con la lingua nella parte anteriore della bocca

• Usare gli esercizi proposti come fossero esercizi sul suono

• Incrementare la velocità ogni giorno

• Studiare il triplo staccato poco per volta ma spesso

Alla fine di questa parte non troviamo l’angolo dei problemi ma si viene
indirizzati alla fine del volume, dove sono inseriti una serie di esempi sullo
staccato tratti dal repertorio.

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Altri flautisti del XXI secolo hanno scritto e pubblicato dei libri in cui viene
trattato l’aspetto dello staccato.

Uno di questi è il francese Philippe


Bernold, nato nel 1960, il quale ha
pubblicato nel 2005 un libro intitolato “La
Technique d’Embouchure”.
Nella prefazione viene detto che spesso i
flautisti lavorano aspetti del flauto in modo
sbilanciato poiché pongono maggiore
attenzione nello studio della tecnica
digitale che in quello del suono. Per questo
motivo Bernold tenta di colmare questo
divario tramite la stesura di un libro che
esamini diversi aspetti. L’opera è suddivisa
in 4 capitoli, l’ultimo dei quali è dedicato al
modo in cui devono essere attaccate le
note.

Gli esercizi preparatori devono essere eseguiti solo mediante l’uso del
diaframma, pronunciando le sillabe [ha] o [he]. Bisogna fare molta attenzione
nell’emissione delle note sul registro acuto poiché non devono mai iniziare o
finire con l’ottava inferiore.

Successivamente vi sono una serie di esercizi per esercitarsi nello staccato e


nell’attacco delle note nelle diverse tessiture.

Alla fine del capitolo vi sono una serie di esempi, tratti da passi orchestrali, in
cui si possono mettere in pratica le cose apprese.

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Nel libro “Dentro il Suono” di Giampaolo
Pretto, flautista veronese nato nel 1965, vi è
una sezione dedicata allo staccato.

Pretto espone la differenza tra colpo di lingua


e staccato. Il primo, nella produzione di alcuni
attacchi, deve essere morbido e dolce per
consentire al suono di iniziare con le stesse
caratteristiche. Diversamente,
nell’articolazione dello staccato, vi è spesso
bisogno di una maggiore definizione del
suono e del colpo di lingua affinché si riesca a
produrre una pronuncia chiara.

Bisogna sempre considerare che il suono


deve poter viaggiare, arrivando con qualità
anche a decine di metri da chi suona.

Nello staccato si può aver bisogno di tante diverse articolazioni, quante sono
le pronunce fonetiche dei suoni che vogliamo rendere ancora più espressivi.

Per definizione lo staccato consiste nella semplice esecuzione di più note


separate tra loro. Tale separazione può essere fatta con il colpo di lingua che
divide i suoni, oppure tramite una porzione di tempo leggermente più lunga
che rende i suoni più separati tra loro.

Nel primo caso l’intervento della lingua è molto veloce, ciò permette di
interrompere l’uscita dell’aria per un tempo brevissimo; il risultato sarà quello
che comunemente viene definito staccato-legato, in cui viene usata più aria
che lingua.

Nel secondo caso invece la lingua blocca l’uscita dell’aria per un tempo
maggiore, offrendo come risultato uno staccato più “percussivo” con note
più corte e separate tra loro. Questa tipologia di staccato si affida
maggiormente alla forza percussiva della lingua che ritorna velocemente
nella stessa posizione, lasciando uscire pochissima aria e producendo un
suono molto corto. Nella produzione dello staccato, la forza della
percussione operata dalla lingua sarà sempre inversamente proporzionale
alla quantità d’aria utilizzata.

Pretto consiglia, in caso il problema sia la debolezza del colpo di lingua, di


eseguire un determinato passaggio staccato senza suono. Togliendo
completamente l’aria si è costretti a far lavorare maggiormente la
percussione della lingua. Quest’ultima, libera dal dover produrre un suono,
sarà in grado di tonificarsi: la lingua è un muscolo e come tale può essere
allenato.

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Il primo esercizio proposto, per poter creare un suono di percussione
determinato, è basato sulle prima battute della “Partita in La minore” di J. S.
Bach. Viene richiesto di concentrarsi nell’uso di uno staccato semplice in cui
sia prodotto un “rumore intonato” dato dalla percussione della lingua contro
la parte labiale. Questo rumore dovrà contenere in sé alcuni elementi
fondamentali, tra cui:

• Direzione dell’aria più in alto o più in basso nel caminetto a seconda


dell’ottava che si vuole suonare

• Massima apertura labiale

• Gola molto aperta e rilassata

• Nessuna pressione interna aggiunta, che soffocherebbe il suono

Lo scopo principale dell’esercizio è quello di far acquisire al “rumore


intonato” tutti gli elementi necessari all’articolazione del brano, eccetto il
suono. Gradualmente si inserirà il suono, il quale non sarà più conseguente
all’articolazione ma parte integrante dello staccato.

Viene esposta una “Fase n. 2” per effettuare il passaggio dallo staccato


semplice a quello doppio e triplo.

Bisogna innanzitutto concentrarsi sul fatto che il dorso della lingua si


avvicina al palato molle generando un suono che si trova a metà tra la [g] e la
[r], cioè tra le consonanti gutturali e quelle liquide. Esercitando a lungo i vari
suoni della prima ottava a generare questo particolare tipo di “staccato di
rimbalzo” si otterrà una definizione nel [ta] dello staccato principale, assieme
a un ricco staccato “passivo” generato dal movimento semi-involontario del
dorso della lingua.

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Nel 2003 Gianni Lazzari, flautista e
didatta, pubblica il libro “Il Flauto Traverso:
storia, tecnica e acustica”. Si tratta di un
manuale completo che ha lo scopo di
fornire informazioni riguardo la storia del
flauto (dal Medioevo al Novecento), le
tecniche e i princìpi acustici dello
strumento. Proprio nella seconda parte del
volume (“I fondamenti della tecnica
flautistica”) vi è un capitolo dedicato allo
staccato.

La prima informazione che ci viene data è


la definizione musicale del termine
“staccato”, il quale assume
principalmente un significato esecutivo:
sta ad indicare che i suoni vanno eseguiti
separati e con un attacco accentuato.

Quanto i suoni debbano essere separati e


accentuati nell’attacco ci viene suggerito
dai simboli della notazione musicale.

In funzione discorsiva, lo staccato rientra nel campo dell’articolazione. Nella


funzione espressiva, contribuisce a rendere il carattere generale di un brano
o le occasionali variazioni espressive principali. La parola “staccato” ha un
significato tecnico e, negli strumenti a fiato, il termine diventa sinonimo di
“colpo di lingua”. Per estensione viene usato in riferimento a tutta la tecnica
che controlla l’attacco, la durata e la separazione dei suoni.

Successivamente vengono dedicati dei paragrafi all’attacco e alla


separazione dei suoni ma, per rimanere in linea con la tematica centrale
dell’elaborato, mi concentrerò sui paragrafi che trattano colpi di lingua,
sillabe di riferimento e notazione dello staccato.

Viene fatta un’accurata descrizione di ciò che accade all’interno della bocca
quando si staccano i suoni e una classificazione dei tipi di staccato. Lazzari
scrive che oltre un certo limite di velocità, il controllo dello staccato passa
interamente a carico della punta della lingua. Dovendo staccare delle
sequenze molto rapide, che superano la velocità di ripercussione della punta
della lingua, viene utilizzato in alternanza anche il dorso della lingua, il quale
si solleva chiudendo il passaggio dell’aria andando a toccare la parte
posteriore del palato. Il movimento completo della lingua risulta perciò
essere composto da un colpo anteriore di punta e un contraccolpo
posteriore di dorso, alcune volte seguito anche da un secondo contraccolpo
sempre di punta.

Lo staccato semplice indica l’uso della sola punta, il doppio staccato indica
l’alternanza punta-dorso e lo staccato triplo indica la successione punta-
dorso-punta. La necessità di avere due tipi di staccato rapido (doppio e
triplo) nasce dal diverso effetto d’attacco prodotto dalla punta della lingua
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rispetto al dorso. L’attacco di punta è più netto e accentuato, viene infatti
usato per sottolineare l’accento ritmico delle figurazioni melodiche. Lo
staccato doppio serve nelle sequenze di note in ritmo binario, mentre il triplo
è usato nelle sequenze in tempo ternario.

Nella didattica degli strumenti a fiato, per esemplificarlo, si sono da sempre


utilizzati dei riferimenti alla pronuncia di consonanti o sillabe
dell’articolazione verbale. La pronuncia di determinate consonanti richiede
posizioni della lingua ed esplosività d’aria analoghi ai colpi di lingua, mentre
le vocali delle sillabe indicano il sollevamento generale della lingua sia al
momento dell’attacco sia a riposo tra un colpo e l’altro. Le consonanti e le
sillabe sono facilmente trascrivibili, in modo da esemplificare la varia
casistica di applicazione dello staccato. Il sistema ha un’efficacia pratica
anche se risulta impreciso e riduttivo poiché lo staccato ha molte più
sfumature di quante consonanti adatte a rappresentarlo.

Nella pratica flautistica moderna si utilizzano le consonanti [t] e [d] per lo


staccato semplice, aggiungendo nel doppio e triplo staccato la [k] e la [g].

La [r], come è stato esaminato nelle pagine iniziali dell’elaborato, era molto
utilizzata in passato nei gruppi articolati polisillabici.

L’autore ci propone una serie di spiegazioni, corredate di disegni, che


aiutano il lettore a comprendere ciò che accade anatomicamente all’interno
della bocca in relazione alla pronuncia di differenti vocali e consonanti.

Quando viene indicata la vocale, la posizione della lingua va intesa in


relazione alla posizione e all’apertura vocalica:

• [i] anteriore chiusa

• [e] anteriore semichiusa

• [a] centrale aperta

• [o] posteriore semiaperta

• [u] posteriore chiusa

Posizione della lingua per le vocali [a], [i] e [u]

Anche la mandibola partecipa all’apertura vocalica, ma non deve mai


accompagnare il movimento dei colpi di lingua.

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La vocale ha effetto sulla risonanza orale del suono e determina
principalmente il percorso che la punta e il dorso della lingua devono
compiere dalla posizione della lingua alla posizione di riposo per andare a
occludere il passaggio dell’aria. Si può notare che vi è una sostanziale
differenza confrontando la pronuncia delle sillabe [ti] e [ki], in cui la
mandibola è più chiusa, la lingua è sollevata e sia la punta che il dorso
effettuano un percorso minimo. Prendendo in esame le sillabe [ta] e [ka], è
evidente che la mandibola sia più aperta, la lingua abbassata e i percorsi
siano più ampi.

Le consonanti [t], [d], [k] e [g] sono occlusive poiché interrompono


completamente il flusso dell’aria, la quale “esplode“ successivamente in
modo più o meno brusco quando la lingua si abbassa o si ritrae.

La [t] e la [k] sono consonanti sorde, la [d] e la [g] sono sonore. Nel parlato, le
consonanti sonore sono accompagnate dalla vibrazione delle corde vocali.
Nello staccato flautistico questo aspetto è molto importante perché
determina la tensione muscolare della lingua e la violenza dell’esplosione
dell’aria. Per far vibrare le corde vocali l’aria deve avere una pressione bassa
e scarsa velocità durante il passaggio glottidale; di conseguenza le
consonanti sonore sono meno “esplosive“ di quelle sorde e con il flauto
generano un attacco morbido.

In italiano la [t] e la [d] sono consonanti dentali, ovvero pronunciate con la


punta della lingua che tocca i denti. La [k] e la [g] sono velari, il dorso della
lingua tocca il velopendulo.

Posizione della lingua per le consonanti dentali e velari

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Per ottenere l’effetto del frullato si fa riferimento alla [r] vibrante, sia nella
pronuncia italiana (vibra l’apice della lingua) che nella pronuncia francese
(vibra la parte del palato vicina all’ugola contro la parte posteriore della
lingua).

a)I movimenti della lingua durante la pronuncia della [r]


apicale.

b) I movimenti dell’ugola durante la pronuncia della [r]


posteriore (uvulare).

Come detto precedentemente, l’uso delle consonanti è un sistema di


riferimento riduttivo perché le piccole variazioni della posizione della lingua e
dell’esplosività hanno un’influenza sull’effetto prodotto nello staccato.

Nell’attuale tecnica flautistica, la regione orale anteriore interessata


dall’occlusione della lingua è ampia, e va dal portare la lingua tra le labbra
alla regione alveolare alta (tra alveoli e prepalato).

Il punto in cui viene effettuato il colpo di lingua determina la lunghezza del


percorso interno che l’aria deve compiere tra il suo rilascio e la fuoriuscita
dal foro delle labbra. Quanto maggiore è il percorso, tanto più lento risulta
l’attacco del suono. Alla lentezza e alla debolezza di un colpo di lingua
arretrato si può cercare di ovviare aumentando l’esplosività del colpo stesso.

Il flauto ha un attacco piuttosto lento ed è perciò preferibile portare la lingua


a staccare quanto più vicino possibile al foro delle labbra o tra le labbra
stesse.

Il gusto attuale richiede che sequenze staccate di valori e di figurazioni


melodiche omogenee siano articolate con una serie di colpi di lingua
omogenei. In questi casi si usano sequenze di [t] o [d]. Quando la velocità
non consente l’uso del semplice colpo di lingua allora si passa al doppio o al
triplo, rispettando il principio di omogeneità. Si unisce quindi la [k] alla [t] e la
[g] alla [d]. Le consonanti velari vanno rafforzate per ottenere un effetto il più
simile possibile alle dentali. Persistendo una differenza tra i due tipi di
consonanti, vengono evitate le velari sia per la prima nota di una sequenza
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sia per le note che cadono negli accenti forti, a meno che l’articolazione non
sita troppo veloce e/o complicata.

Nel libro vengono


inseriti numerosi
esempi, tratti da
metodi o da brani,
che mostrano
quanto appena
spiegato.

L’efficacia dello staccato non dipende solo dal buon uso della lingua ma
anche dalla tecnica d’imboccatura e dalle caratteristiche del foro dello
strumento. L’effetto più evidente sullo staccato risulta dal grado di chiusura
del foro d’imboccatura, quanto più è aperto tanto maggiori sono la pressione
e la dispersione d’aria richiesta. La tendenza degli ultimi anni a tenere più
scoperto il foro per aumentare la proiezione sonora ha dato vita a due
tendenze: avanzare il punto di occlusione della lingua per rendere i colpi più
esplosivi e accompagnare l’attacco dei suoni con “colpi di diaframma”.

Questa seconda tendenza deriva dalla scuola francese ed è evidente nei


numerosi esercizi dedicati proprio ai “colpi di diaframma”.

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I simboli della notazione dello staccato indicano quanto vanno separati e
accentati i suoni. La notazione è un sistema di riferimento musicale non
tecnico, in cui i simboli indicano approssimativamente il quanto e non il
come devono essere realizzati i suoni.

• LEGATURA: solo la prima nota della legatura


viene staccata. Quando l’ultima nota di una
legatura porta il punto il significato varia a
seconda della posizione in cui si trova. Se è
posto al di sopra della nota, questa dovrà essere eseguita corta.
Se è scritto di fianco, allora bisognerà usare un
“portato“.

• STACCATO GENERICO: durante il Barocco la


mancanza di indicazioni e simboli lasciava
libertà all’esecutore, il quale poteva porre le
legature in base alla prassi dell’epoca e al suo gusto personale. Oggi, la
mancanza di indicazione, va interpretata
con una tenuta di suono media.

• TENUTO: il trattino posto sopra le note


indica che il suono va tenuto per l’intera
durata del valore scritto e sostenuto da
un’emissione costante e omogenea. La
separazione dei suoni può essere più o meno netta, ma non accentata.

• STACCATO-LEGATO (mezzo staccato): il


trattino e la legatura indicano sia la massima
tenuta ed emissione omogenea dei suoni sia
la loro più morbida separazione
possibile.

• PORTATO: il punto insieme alla legatura


indica uno staccato-legato da eseguire
con grande intensità espressiva, con
morbidi accenti di soffio o con il vibrato.

• PUNTATO: i punti posti al di sopra, o al di


sotto, delle note indicano una riduzione di
durata e l’introduzione di pause per il
restante valore.

• MARTELLATO (marcato o spiccato): è


indicato con piccoli cunei o “v” sopra le
note. La teoria non è chiara riguardo la
durata delle note, gli ultimi manuali
indicano un quarto del valore.

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Lazzari dedica un breve paragrafo allo studio dello staccato, in cui sono
presenti elementi che sono stati già analizzati negli altri metodi di cui ho
trattato.

La parte conclusiva del capitolo è dedicata alle sillabe che venivano usate
nel passato, servendosi di molti riferimenti provenienti dal trattato di Quantz
e da quello di Hotteterre.

In questo elaborato ho cercato di analizzare i vari aspetti dello staccato e la


sua evoluzione nel tempo, confrontando vari testi e riportando esempi utili
alla trattazione. Numerose sono le tecniche riguardanti lo staccato utilizzate
in altri generi musicali, come ad esempio il jazz, ma ho voluto attenermi
all’ambito classico per poter approfondire a livello teorico ciò che potrò
applicare nel flauto e nel traversare durante i miei studi.

Bibliografia:

• Hotteterre, “Principes de la Flûte Traversiere, de la Flûte a bec et du Hout-


bois” (Imprimerie de J. B. Cristophe Ballard)

• Quantz, “Trattato sul Flauto Traverso” (Libreria Musicale Italiana Editrice)

• P. Taffanel et Ph. Gaubert, “17 Grands Exercises Journaliers de


Mécanisme pour Flûte” (Edition Musicales Alphonse Leduc)

• T. Wye, “Practice Books” Vol. 4 - “Articolazione” (Riverberi Sonori)

• Bernold, “La Technique d’Embouchure” (Gerard Billaudot Editeur)

• Pretto, “Dentro il Suono” (Riverberi Sonori)

• Lazzari, “Il Flauto Traverso: storia, tecnica, acustica” (EDT)

Micaela Baldwin, I anno Triennio

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