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TESTO laboratorio
Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe1
(e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di
protezione del potere).
5 Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12
dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna
dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del «vertice» che ha manovrato, dunque, sia i
10 vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali
delle prime stragi, sia infine, gli «ignoti» autori materiali delle
stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte,
fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e
15 una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).2
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della CIA3 (e
in second’ordine dei colonnelli greci4 e della mafia), hanno prima
5 referendum: sul divorzio (1974), vinto dalle forze laiche e di sinistra con una
buona maggioranza, e perso dalle forze cattoliche (la DC) e di destra (l’allora MSI,
ispirato al fascismo).
6 di riserva: se il controllo degli interessi non fosse più adeguatamente garantito
entro le strutture democratiche.
7 quel generale…Miceli: figure dell’esercito accusate di aver collaborato alla
preparazione di un colpo di Stato.
comprensione e analisi
Il meccanismo della ripetizione L’articolo comincia con «Io so», punto e a capo:
Pasolini infatti afferma di sapere chi sono i responsabili della stragi che
stanno dilaniando l’Italia, ma di non avere delle prove che supportino la
sua verità. «Io so i nomi»: questa frase è ripetuta ininterrottamente
nove volte all’inizio di ogni capoverso, con minime varianti al decimo
(«Io so tutti questi nomi»), all’undicesimo («Io so. Ma non ho le
prove») e al dodicesimo («Io so perché sono un intellettuale»). Anche
in questo articolo, e in modo martellante, Pasolini parla in prima
persona, porta a testimonianza il proprio caso personale che, in quanto
tale, non può essere razionalmente confutato. Perciò privilegia
l’affermazione perentoria e reiterata. Le frasi sono brevi, la sintassi
semplificata, i nessi relativi si snodano in prolungate, ripetute
successioni («ciò che succede […] ciò che se ne scrive […] ciò che non
si sa o che si tace […]»; «che cerca […] che coordina […] che mette
insieme […] che ristabilisce la logica»). Il discorso insomma trae il
massimo effetto dal meccanismo della ripetizione disponendosi in una
griglia di studiate simmetrie, dove gli stacchi dei continui a capo isolano
le singole affermazioni come pietre miliari di un’argomentazione
irrefutabile. Il modo di argomentare procede per antitesi («Un
intellettuale dunque potrebbe […] ma non ha le prove», «Mi si potrebbe
obiettare […] Ma a tale obiezione […]») fino a culminare nella
contraddizione «inconciliabile» tra «Il coraggio intellettuale della
verità» e «la pratica politica», che è il nodo problematico dell’articolo.
Il mestiere dello scrittore L’articolo, se punta il dito contro chi dovrebbe denunciare
i responsabili delle stragi, mette anche in luce i fondamenti del mestiere
di scrittore: «Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore che cerca
di seguire tutto ciò che succede […] di immaginare tutto ciò che non si
sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani […] che ristabilisce la
logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero».
Pasolini ribadisce un’idea di scrittore che non si chiude nello
specialismo letterario degli addetti ai lavori, ma vive immerso nella
realtà. Realtà che egli non si limita a registrare, ma che vuole capire,
interpretare e denunciare. Dire la verità è l’imperativo categorico che
spinge Pasolini a scrivere anche le poesie, a costo di peggiorarne lo
stile. Dire la verità, senza sconti e attenuazioni, nei modi più diretti e
irruenti, con il radicale pessimismo di chi avverte, nell’indifferenza
generale, il baratro imminente. Di qui il tono polemico, inquisitorio,
apocalittico che caratterizza l’articolo e in genere gli Scritti corsari.
interpretazione
comprendere
1 L’articolo trae spunto da una serie di stragi che insanguinarono l’Italia. Una
di queste stragi, però, non è citata da Pasolini: quale, e perché?
A la strage di Piazza Fontana a Milano
B la strage della stazione di Bologna
C la strage di Piazza della Loggia a Brescia
D la bomba sul treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro
2 L’autore afferma di sapere chi sono gli autori delle stragi, ma di non poterli
denunciare. Perché?
A perché non ha le prove
B perché denunciare non è il compito di uno scrittore
C perché appartengono a famiglie potenti
D perché non li conosce
3 La mancanza di prove deriva, secondo Pasolini (scegli la risposta corretta e
spiegala)
A dall’imperizia dello scrittore, che non è stato capace di trovarle
B dal potere, che emargina gli intellettuali tenendoli lontano dalla verità
4 Contro chi lo scrittore rivolge la sua accusa?
A contro i servizi segreti italiani
B contro i servizi segreti americani
C contro la mafia
D contro l’intera classe politica
analizzare
interpretare
laboratorio
Dall’interpretazione alla riappropriazione
attualizzazione e valorizzazione
La verità della letteratura Negli anni in cui Pasolini scrive questo articolo, la società
italiana è percorsa da spinte opposte: da una parte una forte richiesta di
democrazia è avanzata dai movimenti degli studenti e delle donne e si
concretizza nella vittoria del Referendum in difesa della legge sul
divorzio; dall’altra si verificano una serie di attentati e di stragi, che
vedono il probabile coinvolgimento dei servizi segreti deviati. Si tratta
della cosiddetta “strategia della tensione” aperta dalla bomba alla Banca
dell’Agricoltura di Milano del 12 dicembre 1969, che provoca una vera e
propria strage.
L’articolo di Pasolini, come abbiamo visto, è basato sull’iterazione, cioè sulla
ripetizione martellante di «Io so» per ben nove volte, in frasi brevi e
scandite, e insiste sulla prima persona singolare: l’autore si propone dunque
come intellettuale-testimone, che pur non avendo prove o indizi, conosce la
verità grazie alla sua intuizione di scrittore. Essere scrittore vuol dire per
Pasolini formulare nessi, smascherare verità nascoste, collegare in una
narrazione fatti apparentemente slegati, ipotizzare insomma il “romanzo
delle stragi”. La verità, cui allude l’autore, riguarda non solo i diretti
esecutori e i mandanti degli attentati e dei tentativi di colpo di Stato, ma
soprattutto le responsabilità del potere politico nell’occultare e depistare
ogni tentativo di svelamento della verità.
L’intellettuale dà scandalo rifiutando le regole della politica e oltrepassando
i luoghi della discussione culturale: Pasolini infatti non milita in un partito (il
suo “comunismo” è disorganico e solitario) e la sua “mozione di sfiducia” a
un’intera classe politica è radicale e totale. Le sue verità romanzesche sono
sentite come più efficaci delle ricostruzioni degli storici contemporanei e dei
silenzi dei politici.
L’articolo di Pasolini si fonda sulla fiducia nelle capacità conoscitive della
letteratura e sulla coscienza della responsabilità dell’intellettuale, che deve
prendere posizione e “leggere” il presente. Oltre a Pasolini, anche Leonardo
Sciascia ha interpretato la violenza terroristica e quella mafiosa attraverso le
lenti della scrittura. In Nero su nero Sciascia scrive che la letteratura è «la
più assoluta forma che la verità possa assumere». L’autore siciliano indaga
la verità in tutti i suoi libri-inchiesta: particolarmente esemplari sono La
scomparsa di Majorana (1975), che è una suggestiva ricostruzione della
scomparsa del geniale scienziato Ettore Majorana, e L’affaire Moro (1978),
dedicato al rapimento e all’uccisione di Moro. In questi due brevi libri, al
confine tra il saggio, il pamphlet e il romanzo, lo scrittore scava nelle pieghe
dei documenti storici e delle testimonianze epistolari alla ricerca di quelle
allusioni enigmatiche, di quelle piccole spie che permettano di gettare una
luce inattesa sugli eventi indagati. Si tratta per lo più di tracce nascoste che,
nonostante la loro apparente irrilevanza, hanno la forza di una rivelazione.
Alla fine la verità diventa accessibile proprio tramite «una rivelazione, una
esperienza metafisica, una esperienza mistica», che fornisce all’autore,
«oltre la ragione, la razionale certezza» della credibilità della ricostruzione
proposta nel libro. Così, per Sciascia come per Pasolini, la letteratura può
accedere al “vero” o almeno proporre una propria verità plausibile per
spiegare ciò che accade.
Anche nei romanzi Sciascia va alla ricerca di una verità scomoda: così ad
esempio nel giallo Il Contesto (1971) ha cercato di dare risposte (aperte e
narrative) all’enigma del coinvolgimento di apparati dello Stato in attentati
sanguinosi.
riappropriazione
Anche Saviano costruisce la sua pagina sull’iterazione della formula «Io so»
ma, a differenza di Pasolini, afferma di avere le prove. Tali “prove” non
sono tuttavia documenti, ma dati di realtà direttamente visti, vissuti in prima
persona e filtrati dalle emozioni. Gomorra così riprende e al tempo stesso
corregge l’articolo di Pasolini. Non è più in nome della verità della
letteratura ma è in virtù della diretta testimonianza personale, visiva,
performativa, corporea che l’intellettuale può legittimare il suo «Io so».
Non solo gli scrittori ma anche altri artisti e intellettuali hanno voluto
indagare i misteri della storia recente. Nell’ambito della graphic novel
Francesco Barilli e Matteo Fenoglio hanno raccontato nei propri fumetti i
fatti, le indagini, i depistaggi e i procedimenti giudiziari relativi agli anni
turbolenti in cui è vissuto Pasolini. In Piazza Fontana, Piazza della Loggia e
“Non è di maggio” (Edizioni Becco Giallo, 2010-2012) le parole (di Barilli) e
le immagini (di Fenoglio) illustrano il complicato excursus giudiziario relativo
alle stragi: indagini ostacolate da depistaggi e seguite da una dozzina di
procedimenti che non hanno, finora, portato ad alcuna condanna.
Per ciò che riguarda il cinema degli ultimi anni, l’influenza di Pasolini agisce
in modo esibito nel film del regista Marco Tullio Giordana, Romanzo di una
strage (2012), che già fin dal titolo si ispira all’articolo pasoliniano e tenta
una ricostruzione narrativa dell’attentato del 1969.
conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si
sa e che si tace, che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i
pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico,
che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia
e il mistero». Questa citazione contiene la definizione di intellettuale
formulata da Pasolini. Riesci ad individuare nel panorama di oggi qualche
figura intellettuale che possa riconoscersi in questa definizione? Come si
è evoluta da Pasolini ai giorni nostri la figura pubblica dell’intellettuale?
Dialoga su questi temi con i compagni e il docente, riflettendo anche
sulla fine tragica di Pasolini, assassinato il 2 novembre 1975. Le cause, i
modi e gli eventuali mandanti del delitto a tutt’oggi restano ignoti:
prima di partecipare alla discussione in classe, documentati su questo
ennesimo “mistero” della storia italiana.