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PATOLOGIA GENETICA (1° lez) 25-10-2007

- Dalla lezione precedente dovete aver presente una corretta definizione di infiammazione cronica: prima di tutto le cause,
non necessariamente questa deriva da un processo acuto cronicizzato ma può nascere come processo cronico di per se,
spesso è secondario a processi di tipo autoimmunitario.
- Le caratteristiche del processo: sono diverse le cellule implicate in un processo cronico rispetto a quello acuto dove
avete una prevalenza dei granulociti neutrofili e un’importante reazione vascolare di tipo rapido. Invece nel processo
cronico la reazione vascolare è molto minore, in compenso potete avere meno angiogenesi cioè formazione di nuovi
capillari e nuovi vasi. Poi le cellule presenti nel sito dell’infiammazione sono di tipo diverso: si tratta infatti in questo caso
di macrofagi e linfociti, i cui rapporti dipendono anche dal tipo di infiammazione, quindi dall’eziologia, sono comunque
presenti però possono variare i rapporti relativi, sono due tipi di cellule che interagiscono in modo importante.

- Caratteristiche istologiche del macrofago, ricordate che questo si divide e prolifera nella sede dell’infiammazione, che
esistono macrofagi residenti nei tessuti a prescindere dal fatto che ci sia o meno un’infiammazione in atto, che questi
macrofagi tissutali rispondono nell’infiammazione cronica allo stesso modo dei macrofagi che migrano e poi si
modificano a livello tissutale.
- E poi ricordatevi i caratteri dell’infiammazione granulomatosa che è un esempio di infiammazione cronica.
Caratteri del granuloma, possono variare a seconda della sua genesi se immunomediata o non immunomediata,
- in quest’ultimo caso non c’è l’infiltrato linfocitario che è segno dell’attivazione del nostro sistema immunitario che in
questo granuloma non viene stimolato,
- sono presenti macrofagi giganti, queste forme sinciziali con i nuclei distribuiti all’interno del citoplasma a differenza del
granuloma immunomediato dove queste cellule sinciziali assumono una forma particolare, vengono chiamate cellule di
Langhans, cellule epitelioidi costituite da una sola o poche cellule unite tra loro e che hanno una caratteristica
disposizione periferica di più nuclei.
La morfologia del granuloma può aiutare anche nella diagnosi, infatti questo contiene all’interno del materiale necrotico
che può essere caratteristico del processo in atto (ricordate l’es. della necrosi caseosa che è tipica del granuloma
tubercolare).

- Poi abbiamo visto la fibrosi che è uno dei possibili esiti dell’infiammazione cronica, che non sarà mai il ritorno alle
condizioni precedenti, l’organo oggetto dell’infiammazione cronica porterà i segni di questo processo: cicatrici a livello
delle lesioni superficiali cutanee e esiti fibrotici se riguardano gli organi interni. La fibrosi deriva dalla secrezione di
fattori di crescita che fanno proliferare e quindi aumentare di numero quelle cellule che producono collagene, e dalla
secrezione di citochine che aumentano la produzione del collagene da parte delle cellule, inoltre ci può essere anche l’altra
azione, sempre mediata dalle cellule tipiche dell’infiammazione cronica, che porta alla riduzione della clearance del
collagene e quindi della sua eliminazione. insieme queste tre azioni portano alla fibrosi. La fibrosi quindi è spesso un esito
dell’infiammazione che si è spenta, ma può anche convivere con la stessa quando è attiva. Abbiamo infatti detto che
l’infiammazione cronica è costituita insieme dal coesistere di danno e tentativi di riparo, per quanto la fibrosi peggiori
spesso la situazione limitando la funzionalità dell’organo (come nell’epatite cronica) già compromesso
dall’infiammazione. L’esito fibrotico è indipendente dall’eziologia.
- Per quanto riguarda la rapidità con la quale si sviluppa il processo dipende dalle cellule tipiche dell’infiammazione
cronica, nel caso di un’epatite cronica virale sono importanti i linfociti.

- Rigenerazione: nei mammiferi è la proliferazione cellulare, quindi macroscopicamente abbiamo la ricrescita


dell’organo, come dopo un’epatectomia che però microscopicamente non è uguale a prima ma bensì è un’espansione del
lobo ancora presente in seguito all’intervento, con le differenze che ne conseguono. Negli animali inferiori si ha invece la
ricrescita dell’organo con la sua morfologia e la sua anatomia. Quindi noi ci siamo concentrati sul riparo.

- Il riparo non è la rigenerazione quindi il tentativo di recupero dell’organo e della sua morfologia, che è comunque
importante per la funzione, ma è comunque un processo che si ottiene solo mediante sovrapposizione di tessuto fibroso,
che potrà col tempo anche scomparire come a livello cutaneo o potrà lasciare un segno. Infatti anche questo è un possibile
esito dell’infiammazione cronica nella quale si ha guarigione e riparo.
- Poi abbiamo visto la guarigione delle ferite cutanee come esempio, dove in qualunque caso avremo la riparazione del
tessuto cutaneo per prima o seconda intenzione a seconda dell’entità del danno e della perdita di sostanza.

MALATTIE GENETICHE
Questo è un argomento estremamente stimolante perché si vede la patologia non solo a livello molecolare e di eziologia
ma anche le manifestazioni cliniche. si tratta di caratterizzare alcune malattie in base al processo genetico che le ha
determinate. Iniziamo con le definizioni:

MALATTIA GENETICA: alterazione più o meno estesa del materiale genetico che può determinare una
patologia clinicamente evidente.
Alterazione, quindi inserzione, delezione, frameshift compresi, a livello del cromosoma o di un gene etc. non ci esclude
nessun caso particolare. Può determinare perché non necessariamente si manifesta la malattia.

EREDITARIA: una caratteristica presente in un genitore da cui viene trasmessa mediante i gameti.

Quindi una malattia ereditaria, essendo per questa necessaria la presenza del materiale genetico, è una malattia genetica,
ma una malattia genetica può non essere ereditaria. La differenza è che la malattia genetica non è necessariamente
trasmessa dal genitore, per es. la trisomia 21 è una malattia genetica non ereditaria.

MALATTIA CONGENITA: malattia che si presenta durante lo sviluppo embrionale e fetale ed è già
presente alla nascita.

Le malattie congenite non necessariamente vengono ereditate, la trisomia 21 è congenita, non è ereditaria, è genetica.
Quindi ereditario, genetico e congenito non sono sinonimi, ad es. la sifilide congenita non è ereditaria.

- MALATTIE GENETICHE EREDITARIE

Prevedono la trasmissione di un’alterazione genetica presente in almeno uno dei genitori e quindi nei suoi gameti.
L’espressione o meno della malattia è legata all’interazione con altre alterazioni genetiche o con l’ambiente, perché anche
nel caso in cui la malattia venga trasmessa, l’espressione può variare in base a fattori geneticamente e non geneticamente
determinati. Per es. vediamo la β -talassemia minor, che non viene neanche considerata una malattia in quanto permette
in condizioni di buon compenso ematopoietico una vita normale senza bisogno di trasfusioni o interventi di tipo
terapeutico.

- Interazione con fattori non geneticamente determinati: una perdita ematica, non un’ulcera gastrica o duodenale (che può
anch’essa essere geneticamente (o non) determinata), ma un semplice incidente, quindi un’emorragia. Il sistema
ematopoietico del paziente non è in grado di compensare e quindi si ha la necessità di fare una trasfusione. In realtà l’es.
migliore sarebbe quello della perdita ematica cronica, che è una situazione normale, come le mestruazioni in una donna
affetta da β -talassemia minor con una mestruazione abbondante, la paziente può presentare un’anemia più grave di una
paziente non affetta perché non riesce a compensare perdita e produzione perché avrà comunque un eritrone espanso.
Stessa malattia,
- la β -talassemia major che ha un’elevata richiesta trasfusionale. Se per motivi geneticamente determinati questa è
associata a un’α -talassemia si manifesta il quadro intermedio che porta ad una richiesta trasfusionale molto minore
rispetto ad un paziente β -0. Quindi le interazioni possono essere peggiorative o migliorative.
- Un es. può essere quello di pazienti che hanno una discreta richiesta trasfusionale ma anche un deficit nell’assorbimento
del Fe++, che quindi svilupperanno più tardi gli effetti collaterali dovuti all’accumulo emaziale, accumulo di Fe++ che
sapete essere uno dei maggiori problemi del paziente politrasfuso. Quindi si può avere un fattore genetico, indipendente
dall’altro che può avere effetti migliorativi, oltre ai tantissimi e palesi effetti peggiorativi di cui non è necessario farvi
esempi.

- MALATTIE GENETICHE CONGENITE ED EREDITARIE

Le possiamo raggruppare principalmente in tre categorie. Disordini che originano da:

1.) ABERRAZIONI CROMOSOMICHE: possono essere alterazioni di numero e struttura dei cromosomi,
raramente sono ereditarie perché spesso sono così diffuse nel genoma da essere non vitali o letali prima
dell’età riproduttiva (la trisomia 21, malattia genetica molto frequente considerando la forte modificazione
nel genoma (1:700 nascite), alterazione insieme di numero e di struttura è raramente ereditaria).

2.) MUTAZIONI DI SINGOLI GENI AD AMPIO EFFETTO (disordini mendeliani): nel corredo genetico
abbiamo in questo caso in un gene una mutazione, indifferentemente dal tipo, sufficiente ad esprimere una
manifestazione della malattia. Tipico dei geni che si trasmettono secondo l’ereditarietà mendeliana. Questa
distinzione è soprattutto didattica, perché per la clinica si tratta solo di patologie che hanno un’ereditarietà
più semplice, ma con una stessa origine magari, rispetto ad altre. Tra queste sono importanti le malattie da
accumulo, relativamente rare, e disordini nel metabolismo.

3.) MALATTIE AD EREDITÀ MULTIFATTORIALE: in realtà sono le più importanti perché le più
diffuse. Utilizzando la definizione iniziale ci rendiamo conto che molte persone hanno mutazioni geniche
che possono essere causa di malattie ma non necessariamente lo sono, questo dipende da come si
combinano più fattori tra loro. Fattori non sempre genetici, queste malattie sono infatti disordini genetici di
base che possono essere fortemente influenzati da fattori ambientali o da alterazioni genetiche secondarie
indipendenti che di per se sarebbero silenti. Quindi la malattia è dovuta all’interazione, necessaria per la
patologia, tra questi fattori. Geneticamente determinata o influenzata da questi fattori è la suscettibilità nei
confronti di una malattia anche infettiva, o direttamente mediante l’espressione di proteine di superficie che
consentono l’adesione del patogeno, o indirettamente tramite modulazione del nostro sistema immunitario
che ne modifica la capacità di reazione nei confronti di un patogeno. Quindi la malattia ci è data da un
disordine genetico di base, immunologico, più il fattore ambientale, ossia il patogeno. Si stanno trovando
ultimamente diverse proteine che possono mediare l’adesione di patogeni anche virali, come per la
resistenza all’infezione da virus HIV per es. è stato provato che sia influenzata da una malattia genetica che
causa la carenza di una proteina strutturale, che quindi porta non ad un fenotipo malato ma a protezione.

Le mutazioni: potremmo definirle variazioni del genoma ereditabili, ma non necessariamente lo sono, quindi:
MUTAZIONI: modificazioni permanenti del DNA che possono essere ereditabili solo quando interessano le
cellule germinali, quando interessano quelle somatiche potrebbero portare a neoplasie.
Quindi alterazioni con una genesi simile portano a malattie completamente diverse.
In base alle modificazioni genetiche possiamo distinguere:
- MUTAZIONI GENOMICHE
- MUTAZIONI CROMOSOMICHE
- MUTAZIONI GENICHE

- Le mutazioni GENOMICHE sono più che altro mono e polisomie, ossia modificazioni del numero dei
cromosomi.

- Le mutazioni CROMOSOMICHE sono alterazioni della struttura di uno o più cromosomi

- Le mutazioni GENICHE sono quelle che ci interessano maggiormente perché più facilmente vengono
ereditate e quindi creano un bacino di persone potenzialmente malate o comunque portatori che possono
trasmettere facilmente queste alterazioni, come non accade nel caso le modificazioni riguardino una vasta
porzione del genoma. Raramente invece queste non vengono ereditate.
Un es. di mutazione genica puntiforme legata ad una sostituzione, l’anemia falciforme in cui abbiamo
come risultato un’alterazione funzionale molto importante, tralasciando i fattori ambientali, molto
importanti nel caso dell’infezione malarica e quindi grande diffusione della malattia in zone che sono o
sono state endemiche per questa malattia.
Le mutazioni puntiformi possono essere sostituzioni, inserzioni o delezioni. Nel caso delle ultime si avrà frameshift, così
come è possibile anche negli altri due casi, e quindi non necessariamente daranno malattia perché il codice genetico è
degenerato, e poi perché possono rientrare tra le variazioni genetiche che rendono un individuo diverso dagli altri, come
per es. il sistema A,B,0 o Rh. Un’alterazione della reading frame può quindi far parte della normale variabilità individuale
che, secondo gli studi più recenti dipende dallo 0,1% dell’intero genoma, che percentualmente può sembrare una quantità
esigua, ma il numero di geni contenutovi è decisamente elevato.
Un altro caso in cui il frameshift potrebbe dar luogo ad una proteina alterata ma non necessariamente ad una totale
modificazione, è la delezione dell’intera tripletta, in cui quindi non c’è slittamento.
Una cosa relativamente recente, degli ultimi dieci anni, è che le mutazioni possono interessare si tutto il genoma, ma
possono dare luogo a malattie anche quando sono nelle sequenze non espresse, gli introni, che hanno un ruolo nella
regolazione ma anche nella produzione del RNA. Facile capire quando una malattia è data da una mutazione che si trova
nelle sequenze codificanti, ma se riguarda gli introni ci sono diverse possibilità: può essere silente, ma se è nelle sequenze
regolatrici della espressione genica possono portare a malattia senza necessariamente modificare il gene espresso. Quindi
se abbiamo una malattia che riguarda una proteina interessata nella funzione di un recettore, e andiamo a vedere la
sequenza del gene o a riprodurre il DNA mediante la tecnica della PCA, il gene ha la sequenza normale, riportata nelle
librerie che riportano le sequenze del genoma. Nella riproduzione infatti controlliamo solo le sequenze codificate, senza
comprendere promotori e sequenze regolatrici. Un’alterazione in quelle regioni porterà non a un difetto strutturale o a
un’anomalia della proteina ma a una sua iper o ipoespressione.
- Qua abbiamo un esempio caratteristico della β -0 talassemia, quindi una mutazione puntiforme di tipo non-sense nelle
sequenze codificanti, che porta a stop.
- Oppure importante una mutazione a monte o a valle del gene, dove si creano i loop di attacco di coattivatori o
corepressori del promotore, negli ormoni tiroidei, che funzionano mediante il loro recettore nucleare che è un fattore di
trascrizione ligando-dipendente. Se questo recettore che funziona da TFR non si può legare in quella zona, non si avrà
trascrizione del gene e quindi proteina, che in realtà non ha nessun problema diretto.
Queste evidenze riguardanti le mutazioni in sequenze non codificanti stanno aumentando, e si ritiene siano importanti
soprattutto nelle patologie multifattoriali quali il diabete e l’ipertensione.

- MUTAZIONI DI UN SINGOLO GENE A TRASMISSIONE MENDELIANA


Sono patologie in cui viene identificato il gene oggetto della mutazione e nella maggior parte dei casi danno una malattia
la cui espressione è prevedibile. Talvolta l’espressione può essere modulata da altri fattori, genetici o no. La gran parte di
queste mutazioni sono trasmissibili secondo le leggi di Mendel, e purtroppo molte volte sono recessive e non causano
grave patologie. Possono determinare in genere disfunzioni lievi, soprattutto di tipo metabolico, ma che sono compatibili
con una vita normale. È diverso per il fatto che molte sono recessive e quindi quando sono in eterozigosi non danno
malattia o danno una forma molto lieve, quando invece si ha la loro espressione, perché entrambi i geni sono malati, si ha
una malattia molto grave.
- La talassemia stessa paradossalmente se fosse dominante si estinguerebbe molto facilmente, invece la recessività
determina il fatto che ci sia un grosso bacino di portatori sani, che non manifestano i segni di malattia ma soltanto a volte
lievissimi disturbi.
Il risultato di una mutazione di un singolo gene importante può essere una proteina alterata o di una modificazione
dell’espressione della proteina, diminuzione ma anche aumento.
- Un esempio particolare è la sindrome di Ehlers-Danlos, dove si ha un’alterazione della formazione del tessuto
connettivo, si ha normale produzione e deposizione del collagene, che però non può formare i legami e quindi non può
assumere la sua forma finale, e quindi si ha un grosso deficit funzionale per un’alterazione nella capacità della proteina di
interagire con le altre.

MECCANISMI PRINCIPALI attraverso i quali si MANIFESTA LA MALATTIA:

Possono essere riassunti in quattro categorie (ma io sostengo si possano ridurre alle prime tre):
- DIFETTI ENZIMATICI
- ALTERAZIONI DEI RECETTORI DI MEMBRANA
- DIFETTI NELLE PROTEINE NON ENZIMATICHE
- DIFETTI CHE ALTERANO LA RISPOSTA AI FARMACI (possono rientrare facilmente nelle prime tre)

- DIFETTI ENZIMATICI, sono tra i più frequenti disturbi a trasmissione mendeliana e possono prevedere l’assenza di un
enzima o, più frequentemente, un’alterazione nella funzione o nell’emivita di un enzima. Un es. di alterazione enzimatica
a trasmissione prevedibile frequente in Sardegna è la G6PD carenza o favismo, che voi sapete manifestarsi principalmente
a causa dell’impossibilità da parte del globulo rosso di produrre nuovo enzima la cui attività decade rapidamente. Il
manifestarsi di patologie più o meno gravi dipende poi da varie mutazioni ulteriori, ma in genere quest’enzima che perde
velocemente la sua capacità, quindi solo negli eritrociti più anziani, mentre in quelli giovani e nei reticolociti l’attività
enzimatica è notevolmente più alta.

- ALTERAZIONI DEI RECETTORI DI MEMBRANA, categoria che è stata molto ridotta con la continua scoperta di
recente che molte di queste malattie sono in realtà multifattoriali e quindi non più a trasmissione mendeliana di mutazioni
di un singolo gene ma di più geni o in cui l’influenza dell’ambiente è fondamentale.

- DIFETTI NELLE PROTEINE NON ENZIMATICHE, proteine strutturali, o carriers intracitoplasmatici per es. anche in
questo caso l’espressione della malattia può variare molto da caso a caso, e può dipendere dalla mutazione contemporanea
di altri geni o dall’influenza dell’ambiente.

- DIFETTI CHE ALTERANO LA RISPOSTA AI FARMACI, ci soffermeremo molto poco su questi.

Qui vi ripropongo la tabella che c’è nel vostro libro per evidenziare quali patologie avranno una particolare importanza
nella vostra professione e quali sono da conoscere perché hanno magari dei meccanismi di espressione particolari. Per
quanto riguarda gli enzimi qui abbiamo diversi esempi: modificazioni con
DIFETTI ENZIMATICI
- Riduzioni della fenilalanina-idrossilasi, malattia abbastanza rara (insignificante in pratica clinica in Italia) ma importante
perché, grazie alla sua trasmissione di tipo mendeliano, si creano dei bacini di popolazione dove è più frequente che in
altre.
- Riduzioni della esoso-amminidasi, anch’essa abbastanza rara.
- Ricordate invece …………………che può dare immunodeficienza severa combinata, che studierete in immunologia,
legata a mutazioni puntiformi di un singolo gene con produzione di una proteina anomala.
- La regina delle patologie da inibizione o meglio da mancanza di un inibitore enzimatico è il Deficit di
α 1-antitripsina, che dovete conoscere benissimo perché lo troverete spesso nella pratica clinica, e ha la sinistra
caratteristica di dare manifestazioni patologiche a livello di diversi organi, apparato respiratorio, apparato gastroenterico,
in particolare sono noti i danni a livello epatico (la troverete nel test e all’esame probabilmente).
ALTERAZIONI DEI RECETTORI DI MEMBRANA
Ricordate l’ipercolesterolemia familiare. Vedrete che questo è abbastanza eterogeneo come gruppo di malattie, quello che
mi interessa è che ricordiate quelle legate alle mutazioni puntiformi con riduzione della sintesi o del legame delle LDL,
deficit del recettore della vit.D, patologie delle proteine con funzione di trasporto ,la cui importanza la vedete dal nome
delle patologie stesse. Compresa la fibrosi cistica.
DIFETTI NELLE PROTEINE NON ENZIMATICHE
- Proteine strutturali, collagene, abbiamo parlato di osteogenesi imperfetta e comunque sindromi che riguardano la
deposizione del collagene. Sindrome di Marfan, appartiene allo stesso gruppo.
- Poi abbiamo alterazioni della distrofina, che portano a distrofia muscolare tipo Duchenne o Becker.
- Alterazioni dell’emostasi, come l’alterazione del fattore VIII che porta ad emofilia di tipo A, in realtà non è l’unico,
perché nell’emostasi e nel suo controllo troveremo altre proteine mutate per un unico gene, a trasmissione mendeliana,
tipo la protrombina, relativamente frequente in Sardegna. Mentre restando alle malattie genetiche ereditarie che portano
ad un modificazione del processo emostatico ricordate la mutazione del fattore V della coagulazione (non molto frequente
in Sardegna ma importante e diffuso nel resto dell’Italia).
- Proteine regolatrici della crescita, entrambe molto importanti, proteina Rb, che conoscete, e la neurofibromina che
determina neurofibromatosi di tipo 1, in questo caso abbiamo tutta una serie di mutazioni che portano alla stessa
manifestazione clinica pur avendo un substrato genetico differente.
- Nella proteina Rb invece abbiamo sempre delezioni che portano al retinoblastoma ereditario se parliamo di malattie a
trasmissione mendeliana, abbiamo infatti altre disfunzioni della proteina che non hanno trasmissione mendeliana e che
portano a delle patologie di tipo diverso.

DIFETTO ENZIMATICO
Iniziamo a vedere il concetto di difetto enzimatico: a seconda del tipo di disfunzione che porta all’assenza come alla
riduzione o all’aumento dell’attività dell’enzima e può dare accumulo del substrato o formazione di intermedi tossici. Se
noi partiamo dal nostro substrato che porta all’intermedio di tipo 1 per azione dell’enzima 1, che a sua volta da luogo
all’intermedio di tipo 2 per azione dell’enzima 2, e grazie all’enzima 3 si ha poi il prodotto finale, se abbiamo una
mutazione che diminuisce l’attività dell’enzima 1 non si avrà la formazione dell’intermedio 1 e quindi si ha accumulo del
substrato.
- Questo è quello che accade nelle malattie da accumulo, dove è il substrato che determina la malattia, e non direttamente
l’enzima mutato o mancante, ma l’effetto del suo mancato intervento in quel metabolismo. Ma possiamo anche avere una
disfunzione dell’enzima coinvolto nella terza fase per es. e quindi un accumulo dell’intermedio 2. La maggior parte delle
vie metaboliche o dei processi di biotrasformazione non prevede un’unica via, ma partendo da degli intermedi o dal
substrato a seconda della velocità con cui avvengono queste reazioni, vediamo che il substrato intermedio può prendere
una via o un’altra. La mancata o ridotta attività dell’enzima 3 fa si che l’intermedio 2 prenda una via che in origine era
secondaria e portare alla produzione di intermedi tossici, che portano alla manifestazione della malattia. Quindi in
entrambi i casi abbiamo patologie che dipendono non dalla proteina alterata direttamente, ma a reazioni collegate
indirettamente con questa. Questo può determinare una difficoltà nel risalire a quale mutazione determina la malattia.
Stessa cosa se abbiamo la mutazione di un enzima che porta ad un aumento della sua attività, quindi se si tratta
dell’enzima 3 avremo un accumulo del secondo intermedio di reazione, e lo stesso risultato si può ottenere per inibizione
dell’enzima 3 o per attivazione dell’enzima alternativo che porta a M1.

- Variazioni genetiche della capacità di metabolizzare gli xenobiotici sono alla base di molte patologie, soprattutto
avvelenamenti, o anche variazioni nella risposta dell’organismo a determinati tossici. È noto che ad es. la capacità di
metabolizzare l’alcol è determinata dall’azione di un enzima che porta alla formazione di un intermedio molto tossico che
può essere più o meno rapidamente eliminato, non si tratta ovviamente di una malattia quanto di una variabile individuale.
Lo stesso principio può valere per la trasformazione di xenobiotici in tossici che non vengono poi eliminati, a volte
l’attività di questi enzimi può portare al prodotto finale tossico, quindi una mutazione può avere anche effetti protettivi
che ovviamente si manifesta solo in condizioni particolari quando c’è l’esposizione a quel prodotto tossico, altrimenti non
si avrà l’espressione clinica che ci possa far capire che quell’individuo ha una mutazione in quell’enzima.

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