Sei sulla pagina 1di 26

in "MLN", Vol.

108,
in "MLN", 108,No.
n.11, (Italian
Italian Issue (Jan.,
Issue, Jan.)1993)
n.1993

Le allegorie di Tozzi

Eduardo Saccone

Si finisce allora per scambiare per realta


assoluta quel che e soltanto una
convenzione geniale che s'impone sempre
piu chiaramente.
Realtd di ieri e di oggi, p. 250

In un bellissimo e assai acuto scritto su Pirandello del 1918 Federigo


Tozzi tracciava con ammirazione il ritratto di uno scrittore che e per
molti versi agli antipodi di se stesso: per metodo e stile; ma poi
anche, curiosamente, un testimone solidale di una stessa crisi, o
semplicemente condizione della realta, alla quale reagisce con una
diagnosi e una prognosi che lo scrittore senese sembra condividere.
"I1 mondo umano concepito in una specie di gastigo," che Tozzi
scorge in Pirandello, dove "la natura umana [. . .] non ha mai trovato
una perfezione morale, ma tutt'al piu, soltanto sistemazioni illusorie
che non bastano a quietarla," e che sembrano richiedere come "ne-
cessario un cambiamento molto profondo," non pare molto diverso
da quello che il lettore incontra nelle pagine del Podere, di Tre croci, o
delle tante straordinarie prose e novelle del senese. La differenza
maggiore tra i due e, pero, certamente nella qualita della scrittura:
una prosa, quella di Pirandello, che Tozzi non critica, come fa invece
con decisione in un altro suo scritto importante, Come leggo io, nel
caso di molti altri scrittori, i quali "pigliano di squincio le parole; le
adoprano, cioe, non perche siano stati costretti a scegliere quelle e
non altre. Le adoprano con una psicologia approssimativa."2 No,

1 Federigo Tozzi, "Luigi Pirandello," in Realtd di ieri e di oggi, a cura di G. Fanciulli


(Milano: Alpes, 1928), pp. 260-61.
2 Ibid., p. 8.

MLN, 108 (1993): 87-112 ? by The Johns Hopkins University Press

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
88 EDUARDO SACCONE

Pirandello non scrive male secondo Tozzi; solo che la sua "non e una
prosa che prende vita dalle parole, ma sono le parole che prendono
vita da quel che e dentro. [. ..] Parole [...] raschiate, assottigliate,
rese quasi imponderabili; adoprate senza nessun riguardo .. ."3 I1
contrario esatto, si direbbe, di quanto e osservabile invece in Tozzi:
nel quale i significanti non solo sono in piena evidenza, richiamanti
l'attenzione su di se, ma piu in generale il visibile, l'evidenza messa
sotto gli occhi del lettore, si accende di uno splendore-e uno
spessore-iperreale. Per spiegarci meglio: se in effetti l'impressione
del Tozzi che legge Pirandello e spesso quella di "un addentellato
continuo di astrazioni verosimili," l"'impressione di un mondo a-
stratto," con personaggi che potrebbero apparire "addirittura larve
e immagini di supposizioni" se non si indovinassero poi nutriti di
una "diffusa spiritualita," e impossibilitati a "restare nei limiti delle
nostre sensazioni," che comunque "si cambiano immediatamente in
significati trascendenti,"4 l'impressione del lettore di Tozzi e semmai
di un eccesso di sensazioni, i cui limiti non sono mai veramente ecce-
duti, ma ripetutamente sospettati, interrogati, messi alla prova, sem-
pre contemplati con accanimento e devozione, con devozione ac-
canita. Detto altrimenti, la realta che le parole designano acquista si
in Tozzi un "contorno riconoscibile"5 (come non accade in Piran-
dello a suo avviso), ma cio ch'e riconosciuto e precisamente un'al-
terita: il contorno e quello di una "convenzione geniale che s'impone
sempre piu chiaramente"; il contorno, cioe, di un'allegoria.

Nell'Italia che scrive dell'aprile di quello stesso anno 1918 lo scrit-


tore pubblico, su invito dell'editore Formiggini, un corsivo non fir-
mato in cui dava notizia di Bestie, il suo primo libro importante che
dopo molte traversie editoriali era uscito finalmente da Treves
nell'ottobre 1917. Questo scritto, che si legge ora anche in Cose e
persone, il quarto volume delle opere di Tozzi edite da Vallecchi,6 ha
una notevole importanza, e non solo perche dichiara le intenzioni e
le mire dell'autore. Questo-come del resto l'altro corsivo dell'agosto-
ottobre 1919 pubblicato nella stessa rivista e relativo al romanzo Con
gli occhi chiusi, uscito da poco7-ha qualcosa del manifesto, e comun-

3 Ibid., p. 253.
4 Ibid., p. 251.
5 Ibid., p. 254.
6 F. Tozzi, Opere, IV, Cose epersone. Inediti e altre prose a cura di G. Tozzi (Firenze:
Vallecchi, 1981), pp. 331-332.
7 Ibid., pp. 332-333.

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M LN 89

que si preoccu
dell'opera nel
letteratura, pi
novella nel cas
gli occhi chiusi.
Nell'uno e nel
un modello di
parte dei prat
tutto o quasi t
fila che sono r
In altre parole
leggo io, ch'e
matografici"
"pavoneggiam
dell'opera, all
sufficiente a p
sociale" (p. 331
valore assoluto
novelle che si
ultimi anni, [d
come sono "di
un esame acut
renze sommar
soliti schemi t
"di definire il
"deplorevole s
vura del mest
parole pigliat
psicologia app
parola lavorat
affidato agli s
Boccaccio o de
mente trarre soltanto da una loro lirica intima e continua le carat-
teristiche di una prosa nuova" (p. 331). E in quello su Con gli occhi
chiusi, al "nuovo romanzo"-di cui questo sarebbe "il primo caso
inventato da me in Italia"-e rivendicato "un concetto lirico della
prosa" (p. 333). Infine, sempre nel corsivo su Bestie, leggiamo: "Per
mezzo di Bestie io ho inteso di dare un libro sinteticamente lirico, con

8 F. Tozzi, Realta di ieri e di oggi cit., p. 5.


9 "Come leggo io," Realta di ieri e di oggi cit., p. 5.
10 Ibid., p. 8.

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
90 EDUARDO SACCONE

uno stile capace di definire i


adoprato" (p. 332).
Ma come bisogna intendere qu
la pag. 333: "E sostengo, sicuro
nuovo romanzo, per staccarsi d
pi tradizionali, che non posson
lirico della prosa, deve essere fa
molto agevolmente l'istrione, m
fila che sono reputate indisp
lasciare inalterati, cosi come so
porzione di realta guardata, tut
"forza lirica" di cui parla Toz
quanto si oppone o rompe con g
consolidate, in primo luogo di
in sensazioni di "stanchezza,"
incarnarsi specificamente in "u
pria legge fondamentale in fatt
stro tempo."'' Le nuove "percez
farsi promotrice la nuova let
nuove "maturazioni stilistiche
coincidono con nuovi stati d'animo."'2
A una novita 'psicologica,' dunque, corrispondera una novita 'stili-
stica.' Tozzi parla anche altrove di "una nostra realta piu spontanea e
piu sicura", che dovra prendere il posto di "innesti arbitrari e forse
fallaci";13 di un vocabolario diverso, "elaborato dalla nostra anima,
che abbia trovato finalmente una sincerita impulsiva."'4 Ma a scanso
di equivoci spontaneistici, in un altro scritto del 1919, Le nostre ombre,
si affretta a parlare di "costruzione istintiva della nostra realta."'5
Costruzione, lavoro, opera, cui e data ulteriore rilievo dalla massima
con cui quest'ultimo testo si avvia alla conclusione: "Ed e piu facile
essere eredi che lasciare una eredita."'6 I due corsivi, comunque,
non lasciano alcun dubbio sulla certezza dello scrittore: che egli
abbia inaugurato per davvero il suo "tempo di edificare," se e lecito
piegare ai nostri fini il famoso titolo di Borgese. Citiamo ancora:

11 Realta di ieri e di oggi cit. p. 54.


12 Ibid.
13 Ibid., p. 100.
14 Ibid., p. 101.
15 Ibid., p. 18.
16 Ibid., p. 19.

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M LN 91

E ho cambiato l
chie cose della n
sone."17

E sostengo, sicu
per staccarsi dai
possono ne men
fatto cosi. [.. .]
una nuova atten
messa; senza p
adoperarla, dive
deve essere uno
concorrono anc

E in Come legg
natura. II resto
questo deve t
7)-nel dire ben
E gli uomini ch
punto perche sc
ligenza e della p
(ibid.)

II che non significa poi altro che le parole non sono pigliate "di
squincio": non sono adoperate "con una psicologia approssimativa"
(p. 8). E non e questione di estetica o di purezza linguistica: "Tutte le
parole sono belle lo stesso se adoprate proprio nel momento pro-
pizio; come se fossero corde stonate o intonate" (ibid.). "Qualunque
parola puo essere adoprata se lo scrittore riesce a mettere dentro ad
essa un significato" (pp. 7-8). Per riassumere con le parole stesse
dello scrittore l'assunto del libro:

Per mezzo di Bestie io ho inteso di dare un libro sinteticamente lirico, con


uno stile capace di definire il valore schietto d'ogni vocabolo adoprato;
anche per allontanarmi da quella deplorevole sciatteria e incompetenza
che non fa onore ai nove decimi degli scrittori odierni. E ho cambiato la
solita mentalita, con la quale ora sono concepite parecchie cose della
nostra letteratura. A Bestie faranno seguito Cose e Persone."20

17 Cose e persone cit., p. 332.


8 Ibid., p. 333.
19 Realta di ieri e di oggi cit., p. 6.
20 Cose e persone cit., p. 332.

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
92 EDUARDO SACCONE

Una delle intuizioni piu acute d


elementi equivoci, su cui si dov
Debenedetti diede dell'opera dell
di Bestie, fu quella di insistere s
inassimilabili a una vocazione lirico-frammentista ovvero a un certo
filone-vociano in primo luogo22-al quale potevano pur far pen-
sare alcuni elementi formali e strutturali di questo come di altri libri
di Tozzi (Cose e Persone, Ricordi di un impiegato, Con gli occhi chiusi, etc.)
Alludo ovviamente all'apparente composizione a tratti (descrizioni,
aneddoti, scene) non continuati, e a un certo autobiografismo, in
evidenza o a livello tematico, o a quello dell'organizzazione del di-
scorso. Invece il corsivo autoriale si appella senza mezzi termini, e
aggiungero con perfetta ragione, a una tradizione epica, quella della
novella, di cui non a caso sono menzionati due praticanti eccellenti:
un capostipite, Boccaccio, e un moderno, Maupassant. Ma veniamo
al titolo, Bestie. L'ultima frase del corsivo, che ho gia citato, come del
resto l'edizione Vallecchi del 1981 di Cose e Persone, non lasciano
dubbi sul suo valore descrittivo prima, o piuttosto, che simbolico, o
per dire meglio allegorico. Detto altrimenti, il volume intitolato
Bestie raccoglie prose o racconti dove e questione, semplicemente, di
bestie appunto, almeno una ritrovabile in un modo o nell'altro in
ciascun pezzo o capitolo; cosi come gli imperfetti-non finiti ne
licenziati-Cose e Persone volevano essere descrizioni e cataloghi-o
se si vuole narrazioni, finzioni, finzioni narrative-rispettivamente
di oggetti e personaggi. L'arbitrarieta di questi contenitori pare evi-
dente, e perfino nell'unica opera compiuta, Bestie, essa mostra a volte
la corda: un certo lambiccamento, e come l'impaccio di una legge o
rima cui l'autore si e volontariamente assoggettato, e che ora e for-
zato (e si sforza ogni volta) di trovare. Voglio dire che, contraria-
mente a quanto ingegnosamente, ma per me non persuasivamente,
sosteneva il Debenedetti, la letterale "animalizzazione" di cui 1 "altro
da se" sarebbe sempre investito in Tozzi non constituisce affatto il
tema del libro, e neppure il suo principio formale. Cio non esclude
affatto l'"animazione insidiosa," giustamente messa in rilievo dal

21 Sia nelle lezioni raccolte in II romanzo del Novecento (Milano: Garzanti, 1971), che
nel saggio del 1963 "Con gli occhi chiusi," poi in G. Debenedetti, Ilpersonaggio uomo
(Milano: II saggiatore, 1970).
22 Si tenga presente, anche se solo per il suo valore di sintomo non esaustivo di una
situazione ben piu varia e complicata, la nota del 28 gennaio del Giornale di bordo di
Ardengo Soffici: "II romanzo, la novella, il dramma sono forme d'arte ibride, tran-
sitorie destinate a sparire per lasciar libero il campo al puro lirismo.-E all'auto-
biografia." [A. Soffici, Giornale di bordo (Firenze: Vallecchi editore, 1921), p. 25.]

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M LN 93

grande critic
gosciosa, molt
Ci tengo pero
trarieta del se
tarieta dell'art
di cui parlava l'
come solo ap
struzione istin
i sessantanove

Sessantanove,
la prosa # 48
m'odia. Pari e
(che iniziano r
mesi .. ." e co
che occupano
tra la mezza p
ma non semp
sorpresa-una
del mondo ani
pesce, un'altra
volta un anima
che prendere
# 61, p. 159).
una volta: solo
due volte inve
(# 4 e # 59), le
plurale in # 5
piccione (al s
singolare in #
Quest'ultima

23 Cfr. in partico
24 Realtd di ieri e
costituita dalla p
tagonista ["qualch
vento mi faceva ca
contraddizione ap
venicia "di cinab
intanto la materia
si movesse anche
antinomie (intern
co/coinvolgiment
anello di Moebius

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
94 EDUARDO SACCONE

quella conclusiva, sembra piu si


mente una sorta di circolarita a
un richiamo speculare, a un tem
che i due ordinali accoppiati, 6 e
l'invocazione o augurio con cui
Piglia la mia anima!" (p. 164)], a
protagonista rientra dalla cam
l'allodola che gli "e rimasta chiu
Dentro la sua anima l'allodola, che dovrebbe trovarvi secondo il
narratore "tanta liberta quanta non ne [ha] visto dentro l'azzurro," e
che "certo non [se ne andra] mai piu" (ibid.), sembra confondersi o
identificarsi con il suo cuore ("Sono le tue ali che tremano oppure il
mio cuore?"). La paura, l'angoscia cui fanno fronte insieme anima e
allodola provengono dalle "strette delle case e dei tetti" (p. 117), da
"queste case [che] mi si butteranno addosso" ("Dio mio, tutte queste
case!"), "la citta [che] si chiude sempre di piu," abitata da gente
minacciosa "che metterebbe me al manicomio e te dentro una gab-
bia" (p. 188). La minaccia e dichiarata senza equivoci: "Credo che sia
passata la morte, in cerca non si sa di chi" (ibid.). Ma l'unisono (io-
allodola) permette all'istante un atteggiamento fiducioso o, per dir
meglio, un gesto difensivo di speranza: "Oh, ma la chiuderemo die-
tro qualcuno di questi cancelli, in uno di questi vicoli senza sfondo,
insieme con la spazzatura!" (ibid.).
Con cio e dichiarato gia molto di quanto e in gioco nel libro, e a dir
vero in tutto Tozzi: il dialogo inesauribile-e impossibile-dell'io
con le figure dell'inaccessibile altro. E in effetti, continuando a leg-
gere nel testo, ci si accorge che il confronto e tra il polo, relativa-
mente costante se non stabile, costituito da un io (che narra), e la
molteplicita--la proliferazione stupefacente-di cose, persone, be-
stie. Ma bisogna anche, a scanso di equivoci, chiarire almeno due
punti. II primo riguarda la consistenza di questo io, che e giusta-
mente poco piu che un pronome, supporto fragilissimo e mobile di
un discorso dove cio che conta e il negozio tra entita, il racconto di un
accadimento che ha ovviamente bisogno, per la sua determinazione,
di un minimo di coordinate spazio-temporali. Quanto al tempo-ed
e il secondo punto che discende o si accorda col primo-quello di cui
qui e questione non e ne un presente, ne un passato, o un futuro
referenziali, ma un tempo allegorico, un tempo puramente nar-
rativo: il tempo della narrazione. In particolare, presente, passato e
futuro si alternano senza che nulla veramente cambi o importi:

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M LN 95

Mi ricordero se
matrimonio; for
volte, scrivevo
(p. 11

Mi ricordero se
e da' miei piedi
(p. 123)

Ma altrove:

Egli e tisico, con il viso giallo e incavato. [.. .] Ella si vergogna di mettersi
una rosa! [.. .] Si conobbero a una birreria, accanto al pubblico passeggio,
di domenica: i tavolini di pietra, rotondi, gli sgabelli di ferro verniciato,
l'orchestrina stonata, diretta dal maestro calvo. Si sposarono. Non escono
quasi mai insieme: ed ella e seguita da un canettaccio bastardo, spelac-
chiato e rattrappito, che dopo ogni trenta metri s'arresta per non cadere
su le gambe di dietro.
(p. 122)

Oppure:
Invidio quel ciabattino che suona cosi bene la chitarra quando non ha piu
voglia di farsi male alle dita con la lesina. Una ventina d'anni, una gamba
sola, e poca voglia di lavorare.
(p. 124)

I1 Migliorini e un uomo che lavora la terra a un tanto il giorno; cambia


padrone quasi tutte le stagioni, ed e bravo a potare le viti.
(p. 125)

Ah, si, ella mi ama tanto che mi viene da piangere! E, come se io non
l'avessi amata mai, sento tutt'insieme la voglia di vederla e di mettere la
testa sopra il suo petto. Ma perche soffro cosi, e non vado a trovarla? non
c'e piu la mia casa, i muri si spalancano; ed io mi metto fermo; cosi fermo
da sembrare che le cose si movano. II mio alito fa appannare i vetri della
finestra, ma lo specchio sembra un abisso che divora tutto.
(p. 139)

Ancora:

In fondo a un cassetto, che odora di stantio e di cose andate a male,


quante briciole ritrovo! Un pezzetto di canna, con la quale volevo fare uno
zufolo, un giornale illustrato, un coltello che non taglia piu, un manico di

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
96 EDUARDO SACCONE

lesina, tre bottoni e poi un cartoccino


filo bianco.

(p. 140)

Volerti dimenticare! E i discorsi che ti fo! E i miei sorrisi, e la voglia di


venirmi a inginocchiare, e la luce dei tuoi occhi! E il tempo con il quale
riempio la distanza tra me e te!
(ibid.)

Oggi sono rientrato nella chiesa della mia parrocchia. Lo scialbo bianco e
uguale a quindici anni fa: ho creduto riconoscere, su una colonna, vicino
a una panca, una scalcinatura che ogni domenica allargavo sempre di piu
con le unghie. E mi son ricordato dei fiori finti, a mazzolini, portati al
curato dalle due zitelle che andavano sempre insieme e facevano poca
elemosina; e tutti dicevano che erano avare. Oggi mi dispiace d'averle
odiate con feroce avversione, quasi sempre inciampando se mi voltavo a
perseguitarle con gli occhi. E tutte quelle ragazze, forse ora madri, e non
le riconosco, di cui ero un poco innamorato!
(p. 143)

Dovrebbe anche risultare evidente da quanto si e finora citato che


non e la memoria la musa di Tozzi, e proprio l'ultimo testo riportato,
che potrebbe prestarsi a un equivoco del genere, lo sfata non solo
con la sua assenza di pathos, affettivo o conoscitivo, ma con la mol-
tiplicazione dei segnali inesplicati (se non inesplicabili), "misteriosi,"
per ripetere la parola di Tozzi,25 nell'ultima parte del pezzo: che
possono tutt'al piu balbettare il linguaggio inarticolato dell'eu-
demonia:

Ma quanto piansi quando mi confessai per la prima comunione! Ora non


ho piu paura quando suonano le campane, ma mi piace ch'io volessi
mettere al collo di una di quelle ragazze un nastro uguale alla riga ch'era
per margine in ogni pagina del libro di preghiere della mamma. La voce
di quella ragazza mi faceva lo stesso effetto di quando mi guardava; ed io
ridevo che la mamma sapesse a pena leggere, ma mi pentivo tanto d'aver
ficcato pezzetti di cartasuga dentro il calamaio. Riesco fuori della chiesa,
sicuro che il suo scialbo sia piu fresco della primavera che inonda la
piazzetta sbilenca di San Donato; e, scesi gli scaloni, mi volto a dietro, in

25 "Ai piu interessa un omicidio o un suicidio; ma e egualmente interessante, se non


di piu, anche l'intuizione e quindi il racconto di un qualsiasi misterioso atto nostro;
come potrebbe esser quello, per esempio, di un uomo che a un certo punto della sua
strada si sofferma per raccogliere un sasso che vede e poi prosegue par la sua passeg-
giata" (Realtd di ieri e di oggi cit., pp. 5-6).

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M LN 97

su, a guardar le
un branco di pa
(pp. 1

Piu frequentem
dominare, come del resto c'era da attendersi in un modo che e
fondamentalmente narrativo, come si diceva:

Una sera d'estate mi sedei a pie d'un greppo e cominciai a fumar sigarette
l'una dopo l'altra. Era molto scuro, etc.
(p. 134)

A diciannove anni mi venne l'idea che sarei morto tra qualche mese. [... .]
Con l'ebbrezza della mia adolescenza mi sentivo doventare amico di tutte
le cose. [.. .] La mia malinconia aumentava con la sera. [.. .] E siccome
non potevo mangiare, perche digerivo male, dicevo al contadino, etc.
(pp. 134-35)

Era una mattina d'estate, calda e accecante. Camminavo piano, e sempre


piu la natura mi pareva un sogno immenso della mia anima. [.. .] Sopra
un muricciolo, vidi un ramarro. Mi fermai, etc.
(p. 146)

Era di settembre e l'uva cominciava a maturare; [. . .] Ero in mezzo a una


vallata, [.. .] Le pesche erano mature, e pensavo di mangiarne almeno
una. Ma esitavo a muovermi. Tra due viti, vidi una ragnatela: etc.
(pp. 146-47)

M'era venuto il tifo, e la febbre cresceva sempre. [.. .] Una mattina avevo
fame dopo aver preso la solita cucchiaiata di medicina. E non veniva
nessuno. [.. .] Entro un'ape. Etc.
(pp. 147-48)

Era stato un temporale orribile, dopo mezzogiorno, d'agosto. [. . .] Due


fulmini caddero nel bosco, e io li vidi. [. . .] Finalmente i tuoni si fecero
sempre piu lontani; [. . .] Riaprimmo le finestre e poi le porte, per escire.
Allora, un contadino, venendo dalla strada, ci fece vedere una rondine,
ancor viva, che il temporale aveva abbattuta. Etc.
(pp. 148-49)

Con la mia moglie era un affar serio, ogni giorno di piu. [. . .] Una volta, la
minestra mi parve sciocca; anzi, era certamente. Glielo dissi. Mi rispose:
Perche non vai a trattoria? [. . .] Si slanci6; io mi riparai con un braccio
piegato. In questo mentre vedemmo, tutti e due insieme, non so come,

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
98 EDUARDO SACCONE

una formica che dall'orlo del fiasco s


Etc.

(p. 149)

Ma gia questa esemplificazione frammentaria, sbranata, e in funzione


di altro, e sufficiente a mostrate cio che veramente interessa al nar-
ratore: certo non aneddoti, episodi, o elementi di una qualche bio-
grafia, di un'autobiografia, quanto, piuttosto, degli exempla appunto,
di strutture che si ripetono nella pur ricca variazione; scene che,
cumulandosi, non estendono la nostra conoscenza, ma semmai la
intensificano, sfaccettando prospetticamente un'entelechia. Non e
l'unico, o l'individuo, che attiri l'attenzione di Tozzi, che possa im-
portare allo scrittore Tozzi, ma la ripetizione incessante, e l'inter-
minabile variazione, che ribadiscono e illustrano infinitamente le
difficolta dell'io. Queste consistono, o piuttosto si manifestano, in
prima approssimazione, in un senso angosciato (ma a volte anche
euforico) di separazione dalla realta (degli altri), o di sospetto, che
impedisce l'unisono, l'identificazione o il possesso della realta, cui a
volte il testo da il nome di dolcezza:

Dio mio, tutte queste case! Piui in la, piu in la! Arriver6 dove trovare un
poco di dolcezza!
(# 1, p. 117)

La mattinata e fresca come le rose umide; ma tuttavia non riesce a convin-


cermi che io possa odorarla. [. . .] Ma finalmente capisco perche mi ci
prenda questa dolcezza con la quale voglio prepararmi a scrivere alla mia
fidanzata. [. . .] E' una dolcezza che, se qualche volta pare stanca, tuttavia
si sente anche lontano lontano, tra le pieghe verdi dei colli dove non sono
stato mai.

(# 53, p. 154)

La situazione caratteristicamente tozziana puo forse essere riassunta


da questi passi, tratti dalla stessa prosa # 5:
La mia anima e cresciuta nella silenziosa ombra di Siena, in disparte,
senza amicizie, ingannata tutte le volte che ha chiesto d'esser conosciuta.
[.. .] Siccome mi riesciva di vivere, cosi, separato da tutti, ogni volta che
qualcuno mi guardava con quella sua curiosita acuta che m'offendeva, io
doventavo piu triste; e facevo la strada piu corta possibile. [.. .] La tri-
stezza stava sopra la mia anima come una pietra sepolcrale, sempre piu
greve; e mi sentivo schiacciato su la sedia. E avrei voluto morire. [. ..] La
mattina, quando incominciavano i soliti pettegolezzi e le chiacchiere-la
mia padrona, Marianna, non poteva fare a meno, magari con una parola

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M LN 99

sola, di farmen
collera; ed ero c
parevano chius
per forza dentr
(p. 121-122)

L'anima, "in disparte," "separata da tutti", che diventa sempre piu


triste, schiacciata, "ingannata tutte le volte che ha chiesto di esser
conosciuta", riconosciuta, sente l'attenzione degli altri come curio-
sita offensiva o minaccia, se non addirittura "feroce persecuzione":
sempre di nuovo confermata da ogni tentativo-malcerto, maldestro-
di rompere la campana di vetro che la soffoca, le sottrae l'aria neces-
saria per respirare, per vivere veramente. Lo spazio che l'accoglie, in
cui l'io risiede e si muove, e come fasciato di silenzio; ma ancora
minaccioso e minacciato, colmo di presenze interrompenti, solo
raramente sospese a loro volta-interrotte-da pause dell'ansia.
Queste sono costituite dai pochi momenti di evasione: evasioni, let-
teralmente, dalla citta alla campagna, e in sogni o allucinazioni, sogni
e allucinazioni di scritture in particolare. Ecco l'una e l'altra evasione
agenti nella prosa # 7:
Mi ricordero sempre dei bei prati verdi che cominciavano dalla mia anima
e da' miei piedi e finivano quasi all'orizzonte. Pareva che tutta la terra
stesse zitta per forza!
(p. 123)

I prati evidentemente sono, metaforicamente e metonimicamente,


estensione della sua anima, che ogni presenza umana, pur de-
siderata, puo interrompere e pero e preferibilmente evitata:
Vedevo i contadini lavorare, di lontano, sul terreno a poggetti: e mi pro-
ponevo di andarci a parlare. Ma, fatti pochi passi, non ne avevo piu voglia.
(ibid.)

Gia allora, nell'altro tempo in cui egli "forse [...] non era triste
quanto oggi; e nel suo cuore i sogni non erano come vipere che si
sentono buone" (ibid.),
io avevo in mente di trovare alberi, ed alberi erano da per tutto. Ma quel
cielo, tutto turchino uguale, che mi pareva fossesi chiuso soltanto pochi
momenti innanzi che io arrivassi, mi metteva un rimpianto di sogni.
(ibid.)

II cielo turchino si chiude; sembra riaprirsi alla fine della prosa, e

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
100 EDUARDO SACCONE

allora anche la presenza del pettir


dell'io, sembra positiva finalmente:26
Sul mio poggio, rivedevo i cipressi e le
il turchino, ed ero contento di vedervi un
ali.

(p. 124)

Ma si tratta di un processo di identificazione, o di accostamento, di


accostamento per l'identificazione, sempre tentato e mai veramente
riuscito, se non-come si accennava-in un'altra separazione, nella
realta separata del sogno o dell'allucinazione, cui puo fino a un certo
punto essere assimilata l'affabulazione, appannaggio della persona,
dell'io narrante, del burattinaio-come si vedra-che muove i fili
del suo discorso.
"Io sono soffocato dal mondo; e, quando parlo, mi pare che la mia
anima riesca ad escirne fuora."-leggiamo sempre nella prosa # 7,
e, a proposito di questa realta dell'irrealta: "E perche posso sentire
odori che forse ne meno esistono?" (p. 123). Meno ellitticamente, e
in maniera assai piu ricca e complicata, ecco come la situazione
tozziana e sviscerata nella prosa # 24:
L'aria dava una sensazione di violenza. Nel cielo c'era una nuvola che
pareva una fiamma; e vapori bianchicci e torbidi, quasi pigiati da tutto
l'azzurro grande, un azzurro un poco violaceo e umido. Ma che m'impor-
tava, se io avevo perfino paura di guardare intorno a me?
(p. 138)

Ecco, pero, contro i segni, le intimazioni fortemente negative della


notte precedente ("destato tra un sonno e l'altro, avevo sentito por-
tar via le stelle e l'obbligo di non arrivare fino alla sera dell'indo-

26 E si noti che il pettirosso e l--alter ego immesso in una natura benefica-come


dipintovi, fermato nell'allegoria di un sogno, o nel sogno di un'allegoria. D'altra
parte, per portare un solo altro esempio specularmente antitetico, la lumaca che
compare improvvisamente alla fine della prosa # 5, funzionante di nuovo insieme
metonimicamente e metaforicamente ("Quando andavo a lavarmi le mani e il viso in
cucina, sotto la cannella, quasi sempre una lumaca aveva scombiccherato, con il suo
inchiostro luccicante, tutta la porta, p. 122), fornisce al solito senza patetismi, e anzi
con disincantata e lucidissima vista, il correlativo oggettivo del pronome di prima
persona. Ma e chiaro che lo scambio possibile, senza simpatia, non approda a una
riconferma dell'io-per esempio, si potrebbe qui anche interpretare, l'io scrittore-e
del suo privilegio e stabilita. Tutt'al contrario: l'io e la "bestia", la scombiccherante
lumaca, sono equivalenti; e lo stesso vale per ogni altra bestia, persona o cosa. Equiva-
lenti e pertanto intercambiabili: Bestie, Persone e Cose. I1 che dovrebbe anche convin-
cere dell'assurdita, piu che inadeguatezza, di ogni etichettamento del testo tozziano
con termini quali soggettivo o oggettivo.

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M L N 101

mani,") "ecco in
Ecco che io volev
le cose rifuggiss
tra io e altro, m
violenza violenza
no accostare, o p
egli si espone "a
Podere, "tutte le
(ibid.). L'apertur
esplicitamente in
"tristezza" che "veniva a oscurare definitivamente la sua anima"
(ibid.).27
E invece, "con gli occhi chiusi"?
Ma ora avrei voglia di scrivere una novella, i cui personaggi fossero burat-
tini di legno. Io credo che essi possano meglio di noi goder della luce e
dell'altre cose belle. Chi non ha visto quanto piacere hanno quando sono
mossi dai loro fili? Essi recitano volentieri; e sento tutto il baccano che
fanno entro la trama della novella. Inoltre, Rosaura non m'ha ingannato
mai; e il vestituccio se lo cambia pure che voglia io.
(ibid.)

II burattinaio e in controllo delle sue creature: che si muovono all'e-


stremita dei fili ch'egli manipola impedendo ogni inganno, ogni vio-
lenza, ogni tradimento. Ma questo e il desiderio prepotente-e gia
consapevole dell'impossibile costo-dell'io che sogna identificazioni
e fusioni, armonie e indifferenziazioni infantili: la comunanza per
esempio, ch'e identificazione, con i ragazzi dei contadini della prosa
# 22 ("O zufoli di canne e di buccia di castagno! O fruste agili e
flessibili, con le quali qualche volta ci segnavamo le gambe nude! O
ginocchi incrostati di sudicio, pieni di ferite e di lividi! O dormite
fino alla mattina, finche non m'avevano chiamato due o tre volte! E
chi dira la mia gioia quando, grattandomi i capelli con le unghie, la
mamma mi disse che m'avevano attaccato i pidocchi?" [p. 137]); o il
possesso dei "due carri verniciati di rosso" della prosa # 66, con tutto
cio che comporterebbe, "carri di concime o di uva, di granturco o di
grano, di saggine o di pomodori": avuti dal padre, e poi venduti

27 E non si dimentichi la frase straordinaria che segue, a proporre un intreccio di


separazioni e identificazioni, veicolate prima che dal tema da una sintassi piena di
contorsioni pronominali e verbali: "Ma io vi andavo incontro [alla sofferenza, o piut-
tosto ai suoi segni] come ad un cadavere che avessi dovuto seppellire dopo aver
desiderato di assomigliargli" (p. 138).

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
102 EDUARDO SACCONE

"perche avevo da pagare un debito


rosso, venduti da chi "non aveva m
durato molto," e di cui si era l
("impazzito per aver pensato subi
dere: effetto del mio bisogno di
sua "vita quale avrebbe dovuto ess
di appartenenza, l'abolizione dell'
mondo di senso perduto o interd
A me non era lecito escire dal mio
domenica, passeggiare con tutti gli
strada che gira attorno alle case, am
tutto, avere ancora i due carri vernic
tremare il cuore di gioia; le noci ma
di camicia; le cipolle strofinate sul
dolcissima aia costruita bene e spaz
verdi! Le prime pesche vendute, i vi
giato dai tini, ancora caldo e torbid
fanno ridere; la terra che sporca le m
cometa che fa paura! E il temporale
paese, che ci sono non si sa perche; c
di Grosseto e verso Siena; e si sperd
quindici chilometri; le strade che asp
visto questo bernoccolo di case! I mi
benche duro, i'ho mangiato.
(p. 162)

Tutta questa realta, familiare, amica, riconosciuta, e evidentemente


separata, alienata ormai dal soggetto: irriconoscibile e nemica.
Tutti quei fiori, che ho sognato! La mia anima, dunque, sapeva di qualche
funerale che io non so. La mia anima e stata a qualche funerale. In fatti,
tutt'oggi nella mia casa, vuota e deserta, c'era un senso di cose tragiche,
nascoste a me. Quand'io aprivo gli usci, avevo paura; e la carta delle pareti
aveva un'aria di silenzio quasi timido; non canzonatore o vispo, come altre
volte.

(p. 163)

E, come in tanti altri testi di Tozzi, gli oggetti (gli altri: cose, persone,
bestie) sembrano cospirare, accordarsi in una congiura, una per-
secuzione:

Tra le stanze c'era un'intesa e un accordo di non dirmi niente: qualche


parola che se la passavano quand'io voltavo le spalle. I miei libri facevano
di tutto perch'io non li prendessi in mano: le stoviglie nel salottino da

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M L N 103

pranzo erano mu
adoprarle ne meno
(ibid.)

Sicche, ripensando a "tutti quei fiori che ha sognato", deve doman-


darsi seriamente "per chi erano quei fiori": forse per il suo funerale.
E in un altro testo, la prosa # 64, "le cose della stanza doventano
pugnali che affondano nella mia anima: maniache che mi atten-
dono" (p. 160).
E' possibile, com'e possibile difendersi da questa realta insoppor-
tabile, da questa inimicizia spietata tra lui e le cose (si ricordi anche
nel Podere: "Ormai trovavasi di fronte alle cose, come una inimicizia.
Anche il suo podere era un nenico; [...] Da tutto, la dolcezza era
sparita.")28? Ecco unprogetto di alleanza significativo: con la madre.
Ma non e morta da venti anni?

[... .] No; non e vero. E' viva ancora.


Ecco ancora le sue vesti, ch'ella si mettera. Ecco il suo armadio, le
bottiglie dei profumi, il suo cappello.
La porta della mia camera i'ha lasciata aperta lei; stasera non manger6,
se non c'e insieme con me.
Le faro trovare un gran piatto di fichi maturi: ne e ghiotta. II pane
fresco; e lo metter6, al suo posto, su la tavola. II suo bicchiere alto e
scannellato, di vetro un poco verde e con il fondo rossiccio di vino che non
si pu6 lavare di piu.
Ho imparato a vivere con la mia anima! Ora devo imparare a vivere con
la mia mamma.

Non abitero piu nessuna casa dove non sia anche lei: io la seguir6 con
un'obbedienza che i fanciulli non hanno.
Io non parlero che alla mia mamma.
Ed ella mi ricomprera un paio di piccioni; a cui tagliera le ali, perche
non mi volino via.

(p. 163)

Questa separazione a due, anzi a quattro includendo i due piccioni,


mostra proprio in quest'ultimo dettaglio delle ali tagliate come la
violenza dell'altro sia contagiosa: un veleno che inquina, contamina
l'intero spettro della realta. "So che una vipera ha morso uno che
m'odia. Pari e patta"-- l'intero testo della prosa # 48 (p. 151); e a
p. 150, prosa # 46, del canarino in gabbia nello studio del prete, dove
l'io che narra deve recarsi a dottrina-"cosi giallo che pensavo fosse

28 F. Tozzi, Opere I, I romanzi (Firenze: Vallecchi, 1961), p. 410.

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
104 EDUARDO SACCONE

colorito con i tuorli dell'uova che si


benedire le case"-e di cui il ragaz
con il mio libricciolo sotto il bracci
giorno glielo portai via; e, piuttosto
schiacciai con il tacco delle scarpe"
tratti di una reversibile mimesi: sadismo che si rovescia in ma-
sochismo.
Altrove e 1'esclusione che genera invidia, scatena insensata vendet-
ta:

Quell'estate era cosi calda che ne meno in cielo c'era posto per lei. Pareva
che il sole si levasse sempre piu grande, ed era impossible farsi un'idea di
quando sarebbe tramontato.
Siepi polverose, cipressi che parevano per seccarsi, alberi morti, sag-
gine e granturcheti doventati bianchi, fili di ragno cosi lucenti che pa-
revano di metallo che tagliasse le mani, usci screpolati, botti sfasciate, la
terra cosi dura che non la lavorava piu nessuno, i letti dei torrenti senza
libellule e con l'erba appassita, salci che non crescevano pii, gelsi con la
foglia piccola, vomeri lucenti, sassi che scottavan, nuvole rosse come fiam-
me, stelle cadenti!

Un paesaggio desolato, arido, senza vita: maledetto; quand'ecco:


Una cicala, sopra il nocchio d'un olivo, canta: la vedo. Mi ci avvicino, in
punta di piedi, stando in equilibrio dall'una zolla all'altra. La stringo. Le
stacco la testa.

(p. 138)

Ma piu spesso, come nella straordinaria prosa # 10, in evidenza e


l'identificazione straziata alla vittima, alle vittime: la serie di rospi
massacrati, a cominciare da quello ucciso dal Migliorini, che l'io
narrante ricorda:

Quello a cui con una frusta di salcio avevano fatto un nodo scorsoio e
l'avevano lasciato li ciondoloni; quello infilato, dal ventre, a una canna
aguzzata: la canna riesciva dalla bocca, e il sangue colava giu grosso e
scuro; quello a cui avevano schiacciato con i sassi tutte e quattro le zampe;
quello accecato con i tizzi della brace; quello sbudellato con un colpo di
falcino; quello schiacciato dalle ruote del carro, a posta; quello lanciato in
aria dando un colpo sopra una tavoletta messa in bilico; quello pestato dai
due fidanzati: questi sono i rospi che ho visto morire, silenziosi, con quei
loro occhi che di notte luccicano.

(pp. 127-28)

Identificazione, ma anche-in questo caso secondo quanto lo stesso


testo suggerisce-consolazione: "e la loro voce che mi pareva tran-

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M L N 105

quilla, ed e inve
perche la realta e
dall'ansioso io-che
spesso, sorpreso:

Quando tutto il co
denti il legno della
zanzara le cui ali p
(p. 124)

Ma non so definire l'effetto che mi produce Fonfo quando fa saltare in


cima alla gamba di legno, tenendola su piu alta del capo, la gazza spennac-
chiata, sudicia e sempre fradicia, perche entra nel catino dov'egli bagna il
cuoio.

(p. 125)

Quando smisi di guardarla, e girai gli occhi intorno, mi sentii smarrito e


per morire subito; ed avrei avuto bisogno di appoggiarmi: ma mentre cosi
aspettavo che mi passasse il malessere e di tornare bene in me per andar-
mene, mi rasent6, come se fosse mandato da quella stesa di nebbia cosi
alta, un vipistrello.
(pp. 128-29)

Segni: presenze inquietanti, enigmatiche, potenzialmente epi-


faniche. Come lo "scarabeo verde e d'oro, quasi trasparente come
vetro prezioso" della prosa # 28 (p. 140); la "rondine che corre
dinanzi al suono della campana" della prosa # 29 (ibid.); il "mag-
giolino morto" che interrompe il rigoglio della primavera nella pro-
sa # 32; o viceversa, di contro all'arsura di se stesso ("Troppa luce e
troppo sole [. ..] Ma tutto m'ero arso di me stesso, con una cenere
che mi faceva lacrimare"), il "pesce rosso" che guizza "nascondendosi
sotto le alghe" (p. 142); o ancora il ramarro dagli occhi "paurosi e
intelligenti," "sopra un muricciolo," nella prosa # 38 (p. 146); o la
gatta che, nella "bellezza della sera," "miagola e si spenzola dalla
grondaia" (p. 155, # 55).
"Quel che vedo e penso e come se lo leggessi" (p. 157, # 58). E in
effetti la realta, visioni e pensieri, e come un libro che propone
enigmi: atti, gesti, oggetti, avvenimenti che l'io che narra registra,
mette in scena, dispone, senza pretendere di intenderne con cer-
tezza, meno che mai di esaurirne, il senso. Atti, gesti, oggetti, avveni-
menti misteriosi, com'e detto in "Come leggo io," presi in carico
dallo scrittore tozziano: "Ma e egualmente interessante, se non di
piu, anche l'intuizione e quindi il racconto di un qualsiasi misterioso

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
106 EDUARDO SACCONE

atto nostro."29 I testi di Tozzi, in p


domande senza vere risposte: inv
paralleli. Giacomo Debenedetti sco
di quei "misteriosi atti, [del] mis
conferma della scrittura non naturalistica del romanziere senese,
del suo "innato antinaturalismo." Donde la formula famosa: "I1 na-
turalismo narra in quanto spiega. Tozzi narra in quanto non puo
spiegare."30 Si potrebbe forse discutere sulla locuzione congiuntiva,
sull'"in quanto", ma sarei d'accordo sul proposito o compito dello
scrittore Tozzi, che non e tanto di spiegare quanto di formare-
porre, disporre, articolare-verbalmente delle scene mentali senza
prevenzioni ideologiche o tematiche: anche se poi, inevitabilmente,
la risultante testualizzazione non potra sfuggire a un coagulo insie-
me tematico e ideologico. Certo e che con Bestie (e con Cose epersone, e
fino a un certo punto anche con Ricordi di un impiegato, Con gli occhi
chiusi, e con le Novelle) Tozzi sceglie la forma piu libera, quella-
come si diceva-di un catalogo, un collettore relativamente arbi-
trario, un volume: che a un certo punto si proporra, anzi diventera-
come si legge nella prosa # 56-"la vita stessa" ("Ecco che il mio libro
doventava la vita stessa," p. 156):31 un insieme di presenze,
personaggi, storie, che scorrono sotto gli occhi di un io che le registra
per noi. Che lo riguardano, evidentemente, anche se egli non in-
tende in che modo.

Tutta la strada era piena di persone, come un incubo trasparente e


leggero, che si movesse anche ad un alitare di vento; come si moveva la
mia anima.
Alla fine dovevo supplicare questa gente che mi desse un poco di tre-
gua: la sentivo attorno alla mia giovanezza come insetti attorno ad un
lume acceso allora allora. Qualcuno mi perseguitava e mi faceva venire i
brividi; un altro voleva stare in casa con me, ed io non potevo mandarlo
via. Ecco che il mio libro doventava la vita stessa, la gente cioe che co-
noscevo!

(p. 156)

Vediamo ancora qualche esempio di questa procedura: esempi per


l'appunto, giacche il loro numero potrebbe senza difficolta mol-
tiplicarsi. Un occhio e una finestra.

29 Realt di ieri e di oggi cit., p. 5.


30 G. Debenedetti, I personaggio uomo cit., pp. 96-97.
31 Dove non si pu6 fare a meno di notare l'interessante inversione: dal libro alla
vita, invece che dalla vita al libro.

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M L N 107

E quella finestra c
quando il sole si l
Camollia.
Non ho mai saputo chi ci sta.
(p. 152)

Allora ecco, dopo la descrizione dell'esterno dell'abitazione e della


sua ubicazione, certamente non neutra ("e dalla parte degli orti tra le
mura e la chiesa di Fontegiusta; un orto dopo un altro che non
finiscono mai. A entrar la dentro bisognava anche attraversare un
andito sempre buio, con l'impiantito sempre molle; perche in fondo
c'e un pozzo e le donne vi vanno ad attingere l'acqua con le brocche e
le sbattono ai muri troppo stretti".) le ipotesi:
Ho pensato che fosse di quella vecchia che tiene in casa il nipote cieco
che fa l'impagliatore di seggiole; poi, di quella fruttivendola sorda; op-
pure della tabaccaia tisica o di quel maestro impazzito.
(ibid.)

Anche le ipotesi ovviamente non sono neutre, e, come dimostra quel


che segue nel testo, a quelle gia enunciate si aggiunge l'altra, l'im-
maginazione dell'interno della stanza.
E pure, quando sento cantare, e bisogna che il vento tiri da Siena, specie
la sera, e non so chi e, credo che sia dentro quella stanza; e allora me la
imagino con quei mobili vecchi ma riverniciati di verdolino e con le righe
attorno alle serrature e alle maniglie di ottone, rosse e fatte a mano: piu
larghe e piu strette, brutte. E, a una parete di fianco, un gran crocifisso
doventato leggiero come una galla perche i tarli i'hanno tutto vuotato; e,
infilato, tra i piedi, un ramicello di olivo che si e seccato e che non si pu6
smovere perche le foglie, color tabacco, cadrebbero subito e sporchereb-
bero il pavimento; che dev'essere spazzato ogni giorno e annaffiato con
l'acqua a pisciolo, facendoci quei disegni tutti intrecciati che si allargano
da se.
E questo farfallino grigio scommetto viene di la; perche ha le ali tinte di
polvere.
(p. 152)

Le immagini hanno-come si legge di una storia che gli "hanno


raccontato, una volta, [...] di una persona che non conosce"-
"un'evidenza piu pronta della realta."32 L'immaginazione in fatti
fagocita anche il benche minimo residuo di realta extra-testuale. I
fantasmi si svincolano cosi da ogni griglia biografica, ma denunciano

32 Cose e persone cit., p. 237.

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
108 EDUARDO SACCONE

chiaramente le disarmonie di una


questa sono infatti a un tempo dife
tisi, pazzia. Una realta tarlata, sv
"doventato leggero come una galla
peso a una parete della stanza miste
e in altri testi, descritta invece com
case di Siena, discendenti, minaccianti di crollare, che si man-
tengono in un equilibrio silenzioso, nonostante "il vocio delle donne
e dei ragazzi" (p. 157).
Una strada scende: anche un'altra scende e le viene incontro: si fer-
mano insieme. Dalla prima, a meta, se ne parte un'altra che scende per un
altro verso e ne trova subito un'altra, piu bassa, che fa lo stesso.
Su la prima se ne butta un'altra; poi la prima e la seconda, dopo la
fermata, se ne vanno giu insieme e a un certo punto incontrano quella piu
bassa di tutte. Alcune strade le tagliano e scendono. Le case hanno paura
a stare ritte tra questi precipizii e si toccano con i tetti pendenti. Ma anche
i tetti, a pendere cosi, non potrebbero cadere tutti giu? [...] Quanta
solitudine e quanto silenzio anche con il vocio delle donne e dei ragazzi!
E' un silenzio che sta ii come le case; quasi assurdo. E perche quel
cadere perpetuo dei tetti insieme con le strade?
(# 57, pp. 156-57)

Non c'e risposta; irrefutabili, pero, sono "le strida dei porci scannati
ognuno basta ad empire di sangue due secchi" (p. 157). Come indu-
bitabile e il senso, che circola in tutti questi testi, di estraneita: di-
stanza, separazione, esclusione, e persecuzione, cui il soggetto non
vuole tuttavia arrendersi.

Tutti quei fiori, che ho sognato!


La mia anima, dunque, sapeva di qualche funerale che io non so. La
mia anima e stata a qualche funerale.
In fatti, tutt'oggi nella mia casa, vuota e deserta, c'era un senso di cose
tragiche, nascoste a me. Quand'io aprivo gli usci, avevo paura; e la carta
delle pareti aveva un'aria di silenzio quasi timido. [. ..]
Tra le stanze c'era un'intesa e un accordo di non dirmi niente: qualche
parola che se la passavano quand'io voltavo le spalle. I miei libri facevano
di tutto perch'io non li prendessi in mano; le stoviglie nel salottino da
pranzo erano mute e cosi tristi che io non mi sarei arrischiato ad
adoprarle ne meno una; perche mi sarebbero cadute.
E ricordandomi, in vece, nettamente, qualche altra giornata quand'ero
stato tanto bene in casa mia, quando non m'ero ne meno accorto di
esserci!

(# 68, p. 163)

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M L N 109

Oppure:
Quanta solitudine e quanto silenzio anche con il vocio delle donne e dei
ragazzi! Quando le donne di Fontebranda cantano, con quella cadenza
d'una stanchezza tanto dolce!

(# 57, p. 157)

O ancora:

La mia anima e cresciuta nella silenziosa ombra di Siena, in disparte,


senza amicizie, ingannata tutte le volte che ha chiesto d'esser conosciuta.
E cosi, molte volte, escivo solo, di notte, scansando anche i lampioni.
[. . .]
Siccome mi riesciva di vivere, cosi, separato da tutti, ogni volta che
qualcuno mi guardava con quella sua curiosita acuta che m'offendeva, io
doventavo piu triste; e facevo la strada piu corta possibile. [. ..]
Specialmente la sera soffrivo troppo, e non accendevo il lume per non
vedere le mie mani: la tristezza stava sopra la mia anima come una pietra
sepolcrale, sempre piu greve; e mi sentivo schiacciato su la sedia. E avrei
voluto morire.

(# 5, pp. 121-22)

Solitudine, silenzio, morte; oppressione, soffocazione dell'anima da


parte di un mondo (bestie, persone, cose), di cui il soggetto lamenta o
denuncia "la feroce persecuzione" (p. 122). "Furioso di vivere" e
insieme desideroso di "non essere nato,"33 quest'io oscilla apparen-
temente tra due poli, tra cui non sembra praticare alcun compro-
messo: non per altro, come si vedra, che perche non c'e sostanzial-
mente alcuna differenza tra l'esito dell'uno e quello dell'altro. Da un
lato c'e quella che una volta e chiamata la "messe della mia anima":
una condizione assoluta in cui quest'ultima puo illudersi o desidera
di essere "capace di fare quel che fa la primavera; e che ogni cosa che
io pensassi potesse nascere da me."34 In altri termini una vita da cui
l'altro, l'autonomia e la differenza dell'altro, fosse abolita: "tutta
un'altra vita, quasi impossibile; che nasceva dentro di me; una vita
che ora mi pare addirittura un sogno."35 Vale a dire un'irrealta: nella
quale l'altro non e piu ne udito ne visto, non puo essere ne udito ne
visto:

33 "E percio non credo piu a niente. E non mi fido ne meno della dolce erba verde,
che ha il torto di non sentire come me questo brivido che mescola la mia nascita con la
mia morte. lo sono furioso di vivere, e vorrei non essere nato" (Cose, in Cose e persone
cit., # 113, p. 201).
34 Cose, in Cose e persone cit., p. 178.
35 Persone # 21, in Cose e persone cit., p. 241.

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
110 EDUARDO SACCONE

[.. .] Non udivo affatto la sua voce


Che mi diceva? Ella parlava soltant
forse, ne meno per lei. E i sentimen
che vedere con le cose che diceva.

(Persone, # 21, p. 240-41)

[.. .] Tra me e la gente, c'e questa limpidezza sicura. In tutta la giornata


non ho fatto nulla; e credo di non aver ne meno parlato. Non sento
amicizia per nessuno, e nessuno la sente per me. Non so se sono giovine o
vecchio; non mi ricordo da dove vengo e non saprei dirmi dove voglio
andare.

(Persone, # 20, p. 240)

Abolito l'altro, privo di qualsiasi coordinata che l'orienti, il soggetto


assoluto, separato, si muove in un silenzio dove anche la "limpidezza
sicura" si rivela dunque come cecita:
Un vecchio, cieco, mi rasenta. E' piccolo, con la testa come una mazza di
ferro, dentro le spalle e piegata giu. Gli pende su le gambe un bastone
legato all'occhiello della giubba. Fa una fila di annodature al nastro del
berretto, che tiene sotto il braccio. Cammina strascicando le scarpe a
brandelli.
M'avvedo di essere come lui, che passa e non vede niente.
(Persone, # 20, p. 240)

Cecita, separazione, o follia.


E poi a un tratto la mia anima si richiuse, lasciando ricadere chi sa in
quale profondita invisibile quel che soltanto era nato per poche ore.
Ma da quella volta io credo meno a me stesso, preche non ho piu la
sensazione di vedere con i miei occhi.
Ora avrei soltanto piacere che questa donna non esistesse: fosse soltan-
to un effetto della mia immaginazione.
E, se la ritrovero un'altra volta, credero di essere pazzo.
(Persone, # 21, p. 241)

All'altro estremo si situa, puramente e semplicemente, la morte del


soggetto. Nell'uno e nell'altro caso, ad essere abitata e una realta
spettrale.
Io sono morto una domenica, quando la gente cominciava ad escire di
casa ed erano gia passati per la strada dalla caserma i militari che an-
davano a suonare. E da quel giorno non m'e importato piu niente di quel
che gli altri fanno. Ma ho ricevuto il senso di un silenzio, che mi fa amare
la solitudine. Anche gli altri con me hanno fatto lo stesso; e parlano di me
come se gia non esistessi piu. Ho sentito parecchie volte questo desiderio

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
M LN 111

di escludermi per
(Persone,

In un caso e nell
sione: temuta, d
gli estremi.

E in vece sono se
questo meriggio d
sensazioni mi allo
(Cose, #

"Malfatto della r
te "queste imagi
(Persone, p. 237)
identiche e interminabili attorno a cui la sua anima

si affatica da anni e anni; come se tirassi su una fune che non finisse
mai, o girassi una ruota pensando di vedere dove comincia e dove finisce.
Sono spazi interminabili, fatti innanzi e in dietro; credendo sempre di
giungere a qualche punto. Io durerei per tutta l'eternita.
Alla fine, per farmi smettere, si sfasceranno le cose che tocco; anche la
mia casa si sgretolera perch'io mi decida ad allontanarmi e riposarmi. Ma
io so che mi sara impossibile. Io sono troppo abituato a queste storie
vertiginose, che cominciano e finiscono soltanto nell'eternita. Sono treni
che passano in corsa, e io non posso mai salire.
(Persone, p. 237)

Storie vertiginose e infinite, interminabili: enigmatiche, allegoriche,


in quanto alludenti o parlanti sempre di altro, il non essere di cio che
rappresentano, secondo la definizione di Benjamin. Allegorie di una
realta assoluta che sfugge: mascherata da "un'evidenza piu pronta."
Corteggiate, contemplate, amate, come i "due vasi di geranii," solo
possesso di Filomena in Persone, davanti ai quali il personaggio crede
di trovarsi

nella possibility di rifarsi da capo, in un modo definitivo. Senza rim-


pianti, aveva avuto volentieri in vece la sensazione del tempo che le pre-
parava forse qualche sorpresa e forse il modo di farla contenta.
E percio amava quei fiori di geranio come se fossero state le promesse
alla fiducia che sentiva in se.

(p. 238)

Dinanzi a quei gerani Filomena "sta ore intere a sognare, senza


avvedersene, finche non si fa buio" (ibid.)

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms
112 EDUARDO SACCONE

Nei testi di Federigo Tozzi ogn


insiste-e potrebbe, questa, esser
della lettura di Tozzi: di come egli
noi leggiamo le sue letture di q
tissimo, scrostato, scalcinato, u
muro, fredda, silenziosa," che s'i
#27.
Ombra e sole, il muro e l'al di la del muro:

E di la, a pochi metri di distanza, il sole chiaro e caldo; e le farfalle che


quando si son prese in mano bisogna ucciderle!
(p. 140)

The Johns Hopkins University

This content downloaded from


151.100.101.44 on Tue, 27 Oct 2020 10:00:15 UTC
All use subject to https://about.jstor.org/terms

Potrebbero piacerti anche