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16/1/2021 La felicità - Buddismo e Società

È importante riuscire a vedere gli eventi e le situazioni in questa luce positiva. La forza, la saggezza e l’allegria che
accompagnano un atteggiamento del genere portano alla felicità. Tuttavia, considerare tutto in modo ottimistico e con
benevolenza non vuol dire essere degli sciocchi ingenui e permettere alle persone di approfittare della nostra generosità, ma
significa avere la saggezza e l’intuito per riuscire a muovere le cose in una direzione positiva considerandole nella loro luce
migliore, rimanendo allo stesso tempo con gli occhi ben puntati sulla realtà. La fede e gli insegnamenti buddisti ci
permettono di sviluppare questo tipo di carattere, un tesoro di valore incalcolabile, più prezioso di ogni altra ricchezza.
La quinta condizione per essere felici è il coraggio. Le persone coraggiose possono superare qualsiasi cosa. I codardi, al
contrario, non riescono a godere delle autentiche e profonde gioie della vita. È una vera sfortuna.
La sesta condizione per essere felici è l’apertura mentale. Chi sa comprendere ed è di mente aperta fa sentire le persone a
proprio agio. Le persone intolleranti e di vedute limitate, che rimproverano gli altri per le minime cose, che si agitano ogni
volta che sorge qualche problema, intimoriscono gli altri e li portano all’esasperazione. I responsabili, in particolare, non
devono comportarsi assolutamente così, ma devono essere aperti e sapersi relazionare con calore per far sentire le persone a
proprio agio. Chi possiede un cuore grande come l’oceano non solo è felice personalmente, ma rende felici anche le persone
intorno.
Le sei condizioni che ho appena menzionato sono in definitiva racchiuse nella singola parola “fede”. Una vita basata sulla
Legge mistica è una vita di felicità insuperabile.
Il Daishonin scrive: «Nam-myoho-renge-kyo è la più grande di tutte le gioie» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 124,
54). Spero che tutti voi assaporiate la verità di tali parole nella profondità della vostra vita mostrando una vivace prova
concreta di questa gioia.

Da un discorso di Daisaku Ikeda tenuto il 23 giugno 1996 presso il Centro culturale e naturalistico della Florida in
occasione della ventunesima riunione generale della SGI.

IL PRINCIPIO PER TRASFORMARE LA VITA

Come affermato nel primo capitolo, è importante ricercare la felicità assoluta piuttosto che quella relativa. Ma come
la possiamo raggiungere? La felicità assoluta non è qualcosa che ci viene dato dall’esterno. Basandosi sui princìpi del
Buddismo di Nichiren, il presidente Ikeda chiarisce che la si può ottenere solo attraverso la propria trasformazione
interiore.
Le nostre vite si aprono a un ampio spettro di possibilità: possono andare in una direzione positiva o negativa, verso
la felicità o l’infelicità. Qualche volta possiamo essere schiacciati dalla sofferenza o in balìa dei desideri e degli istinti,
altre volte possiamo sentirci tranquilli e soddisfatti o inclini ad aiutare le persone che stanno soffrendo, spinti dalla
compassione.
Il Buddismo esamina queste diverse possibili condizioni e le suddivide in dieci stati vitali chiamati dieci mondi. Tra
questi, il mondo di Buddità corrisponde al nostro potenziale più nobile e allo stato vitale più alto.
Nichiren Daishonin identificò la Legge che permea la vita e l’universo in Nam-myoho-renge-kyo e la materializzò nel
Gohonzon, l’oggetto di culto, stabilendo così un mezzo attraverso il quale tutte le persone possono manifestare la loro
innata Buddità.
Questo capitolo introduce gli elementi basilari della dottrina dei dieci mondi, il principio chiave per realizzare una
trasformazione interiore, e il significato del Gohonzon.
Il presidente Ikeda prende in esame il nucleo fondamentale del Buddismo di Nichiren: grazie alla recitazione di Nam-
myoho-renge-kyo con fede nel Gohonzon possiamo fare del mondo di Buddità la tendenza di base della nostra vita e
trasformare tutte le sofferenze in nutrimento per sviluppare uno stato vitale più alto. E possiamo non solo
trasformare la nostra esistenza ma anche aiutare gli altri a fare lo stesso, contribuendo al miglioramento e alla
prosperità della società.

Inferno e paradiso esistono dentro di noi

IL MODO IN CUI PERCEPIAMO IL MONDO ATTORNO A NOI È LARGAMENTE INFLUENZATO DALLA NOSTRA
CONDIZIONE INTERIORE. Nel brano seguente il presidente Ikeda spiega che il potente insegnamento del Daishonin ci

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permette di elevare il nostro stato vitale, di migliorare il nostro ambiente e realizzare delle vite davvero felici per noi stessi e
per la società intera, rendendo più prospero e felice il luogo in cui viviamo.

John Milton (1608-74) scrisse: «La mente è la sua propria dimora, e in se stessa “può fare un paradiso dell’inferno, e un
inferno del paradiso”».2 Questa affermazione, espressione del profondo intuito del poeta inglese, trova eco
nell’insegnamento buddista dei tremila regni in un singolo istante di vita (vedi box a p. 21). Il modo in cui vediamo il mondo
e percepiamo la nostra vita è determinato unicamente dalla nostra condizione vitale interiore. Nichiren Daishonin scrive:
«Gli spiriti affamati vedono il fiume Gange come fuoco, gli esseri umani come acqua e gli esseri celesti come amrita.3
L’acqua è sempre uguale, ma appare diversamente secondo la retribuzione karmica di ognuno» (Risposta al prete laico Soya,
RSND, 1, 431).
Per “retribuzione karmica” si intende la nostra condizione vitale presente, che è il risultato delle cause che abbiamo posto
nel passato attraverso parole, pensieri e azioni. Questa condizione vitale determina la nostra visione e il nostro sentire nei
confronti del mondo esterno.
Le stesse circostanze possono essere percepite come assoluta beatitudine da una persona e come intollerabile sfortuna da
un’altra. Mentre alcuni amano il luogo in cui vivono e lo considerano il posto migliore che ci sia, altri lo odiano e cercano
costantemente la felicità da qualche altra parte.
Il Buddismo di Nichiren è un insegnamento che ci permette di elevare il nostro stato vitale interiore, realizzando delle vite
veramente felici e il benessere della società. È il grande insegnamento dei “tremila regni effettivi in un singolo istante di
vita”, che ci consente di trasformare il luogo in cui viviamo nella Terra della Luce Eternamente Tranquilla.
La fortuna, il beneficio e la gioia che sperimentiamo vivendo in accordo con la Legge eterna [di Nam-myoho-renge-kyo]
non sono transitori. Così come i tronchi degli alberi aggiungono ogni anno un anello di crescita, le nostre vite accumulano
una fortuna che perdurerà nelle tre esistenze di passato, presente e futuro. Al contrario la ricchezza e la fama, così come i
divertimenti e i piaceri mondani, sono effimeri e inconsistenti.

Da un discorso di Daisaku Ikeda tenuto il 24 marzo 1988 in occasione della prima riunione generale della prefettura di
Wakayama al Training Center di Kansai, nella prefettura di Wakayama in Giappone.

La Buddità è il nostro sole interiore

QUI IL PRESIDENTE IKEDA ILLUSTRA BREVEMENTE I DIECI MONDI e il loro mutuo possesso, che nella filosofia
buddista classificano le diverse condizioni vitali. La pratica stabilita dal Daishonin, basata sulla fede nel Gohonzon, è il
mezzo per permettere a tutte le persone di manifestare lo stato vitale più alto e nobile, quello della Buddità.

La natura dinamica della vita, che muta costantemente di momento in momento, può essere descritta a grandi linee
utilizzando una classificazione in dieci stati, che il Buddismo chiama dieci mondi, costituiti dai sei cattivi sentieri (Inferno,
Avidità, Animalità, Collera, Umanità e Cielo) e dai quattro mondi nobili (Apprendimento, Realizzazione, Bodhisattva e
Buddità). La vita possiede sempre tutte e dieci queste condizioni potenziali.
Nessuno dei dieci mondi che si manifesta nelle nostre vite in un dato momento rimane fisso o costante. I mondi cambiano
istante dopo istante. La profonda visione buddista della natura dinamica della vita viene espressa nel principio del mutuo
possesso dei dieci mondi.
Nel trattato L’oggetto di culto per l’osservazione della mente, Nichiren Daishonin spiega in modo semplice e chiaro come il
mondo di Umanità contenga al suo interno gli altri nove mondi: «Osservando di tanto in tanto il viso di una persona, talvolta
lo troviamo gioioso, talvolta rabbioso, talvolta calmo; a volte mostra avidità, a volte stupidità, a volte servilismo. La rabbia è
il mondo d’inferno, l’avidità è il mondo degli spiriti affamati, la stupidità è quello degli animali, il servilismo è il mondo di
asura, la gioia è il mondo del cielo e la calma quello degli esseri umani» (RSND, 1, 317).
I nove mondi emergono e tornano in latenza continuamente dentro di noi. È qualcosa che possiamo vedere, sentire,
riconoscere nella nostra vita quotidiana.
È importante notare che la finalità degli insegnamenti buddisti è sempre stata quella di mettere in grado le persone di
manifestare lo stato nobile e infinitamente potente della Buddità. E questo dovrebbe essere sempre lo scopo della pratica
buddista. Con questo obiettivo alla base, istituendo il corretto oggetto di culto [il Gohonzon di Nam-myoho-renge-kyo], il

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grande insegnamento di Nichiren Daishonin ha stabilito un mezzo pratico per rivelare la nostra inerente Buddità. Per questo
motivo il Buddismo di Nichiren è una pratica per tutti.
La storia mostra come l’umanità sia ancora oggi intrappolata nel ciclo dei sei cattivi sentieri o sei mondi inferiori.
L’ideogramma giapponese che indica l’inferno (jigoku, letteralmente prigione di terra) contiene la parola “terra” (ji) e
implica il fatto di essere costretti, incatenati al livello più basso. L’umanità e la società potranno davvero rivitalizzarsi solo
quando le persone decideranno seriamente di liberarsi dalle catene dei mondi più bassi, elevando il proprio stato vitale.
Anche in questo mondo corrotto e pieno di difficoltà, il Buddismo riconosce nella vita umana il supremo e nobile potenziale
della Buddità.
Nonostante le nostre vite possano attraversare costantemente i sei cattivi sentieri, siamo in grado di attivare la forza vitale
senza limiti della Buddità pregando davanti al corretto oggetto di culto e raggiungendo la “fusione di realtà e saggezza”4.
È difficile descrivere a parole cosa sia la Buddità. Diversamente dagli altri nove mondi, non ha un’espressione concreta. È la
suprema e fondamentale funzione della vita che muove i nove mondi verso la creazione di un valore illimitato.
Un aereo, anche in giornate piovose o nuvolose, quando raggiunge un’altitudine di circa diecimila metri vola sopra le nubi
nella luce del sole e percorre agevolmente la sua rotta. Allo stesso modo, per quanto la nostra vita quotidiana possa essere
dolorosa o difficile, se facciamo risplendere il sole nel nostro cuore possiamo superare tranquillamente ogni avversità.
Questo sole interiore è lo stato vitale della Buddità.
In un certo senso, come afferma il Daishonin nella Raccolta degli insegnamenti orali, «[La via del] bodhisattva è un passo
preliminare per il conseguimento dell’effetto della Buddità» (BS, 113, 51). Il mondo di Bodhisattva è caratterizzato
dall’agire per la Legge e per il bene delle persone e della società. Senza basarci su tale pratica del bodhisattva non possiamo
conseguire la Buddità. La Buddità non è qualcosa che si ottiene attraverso una comprensione concettuale. La lettura di
innumerevoli scritture buddiste o di libri sul Buddismo non condurrà nessuno a una reale Illuminazione.
Inoltre, conseguire la Buddità non significa diventare persone diverse. Rimaniamo così come siamo, continuando a vivere le
nostre esistenze nella realtà della società dove prevalgono i nove mondi, in particolare i sei cattivi sentieri. Una filosofia che
possa definirsi veramente buddista non presenta l’Illuminazione o il Budda come qualcosa di misterioso o appartenente a un
altro mondo.
È fondamentale che noi esseri umani espandiamo la nostra “piccola” vita, elevando la nostra condizione vitale fino a
raggiungere uno stato infinitamente vasto e onnicomprensivo. La Buddità rappresenta lo stato vitale supremo.

Adattato dal dialogo La vita e il Buddismo, pubblicato in lingua giapponese nel novembre 1986.

Tremila regni in un singolo istante di vita

Gli insegnamenti del Budda Shakyamuni trovano il loro apice nel Sutra del Loto, che rivela che tutti gli esseri viventi
possono conseguire la Buddità.
Basandosi sul Sutra del Loto, il Gran Maestro T’ien-t’ai (538-97), fondatore della scuola buddista T’ien-t’ai in Cina,
classificò in modo sistematico la totalità della vita attraverso la dottrina dei tremila regni in un singolo istante di vita. “Un
singolo istante di vita” si riferisce alla vita in ogni momento. I “tremila regni” sono il risultato dell’integrazione di quattro
concetti che riguardano aspetti diversi della vita: i dieci mondi, il loro mutuo possesso, i dieci fattori e i tre regni
dell’esistenza (10×10×10×3 = 3000).
I dieci mondi sono dieci stati vitali: Inferno, Avidità, Animalità, Collera, Umanità, Cielo, Apprendimento, Realizzazione,
Bodhisattva, Buddità. Sono anche chiamati i regni dell’inferno, degli spiriti affamati, dell’animalità, di asura, dell’umanità,
degli esseri celesti, degli ascoltatori della voce, dei risvegliati all’origine dipendente, dei bodhisattva e dei Budda.
Il mutuo possesso dei dieci mondi indica che ognuno di essi li contiene in sé tutti e dieci.
I dieci fattori sono dieci aspetti comuni a tutti gli esseri viventi dei dieci mondi: aspetto, natura, entità, potere, azione, causa
interna, relazione, effetto latente, effetto manifesto, coerenza dall’inizio alla fine.
I tre regni dell’esistenza sono il regno dei cinque aggregati (forma, percezione, concezione, volizione, coscienza, che si
uniscono a formare l’individuo), il regno degli esseri viventi e il regno dell’ambiente. Questo concetto spiega l’esistenza e
l’ambito di attività degli esseri dei dieci mondi.
Il principio dei tremila regni in un singolo istante di vita rivela la natura della vita e dell’universo nella sua interezza, e cioè
che tutti i fenomeni e tutte le forze dell’universo esistono in ogni singolo istante di vita.
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Basandosi sul Sutra del Loto e sul principio dei tremila regni in un singolo istante di vita, Nichiren Daishonin espresse nella
forma del Gohonzon (oggetto di culto) di Nam-myoho-renge-kyo la suprema verità della vita e dell’universo alla quale si
era risvegliato, e stabilì un insegnamento buddista pratico che permette a tutti gli individui di trasformare completamente la
propria vita influenzando positivamente anche le persone intorno, l’ambiente e l’intera umanità.
Poiché l’insegnamento di Nichiren non si ferma alla teoria ma si prefigge di trasformare concretamente le nostre esistenze e
il mondo intero, esso è noto come il Buddismo dei “tremila regni effettivi in un singolo istante di vita”.

Stabilire il mondo di Buddità come tendenza vitale di base

IN QUESTO BRANO, BASANDOSI SUL PRINCIPIO DEL MUTUO POSSESSO DEI DIECI MONDI, IL PRESIDENTE
IKEDA INTRODUCE L’IDEA che ogni persona ha una tendenza vitale di base formata dalla ripetizione di pensieri, parole
e azioni. Chiarisce poi che “conseguire la Buddità” significa fare del mondo di Buddità la propria tendenza vitale di base
che, nonostante le sofferenze dei nove mondi, farà sempre sorgere da dentro di noi compassione, speranza e gioia.
Nel trattato L’oggetto di culto per l’osservazione della mente, Nichiren Daishonin offre un esempio dei «nove mondi
presenti nel mondo di Buddità» (RSND, 1, 316) citando il passo del Sutra del Loto in cui Shakyamuni afferma: «Così, da
quando ho conseguito la Buddità a oggi, è trascorso un tempo estremamente lungo. […] io sono sempre vissuto qui e la mia
vita non si è mai estinta. […] in origine ho praticato la via del bodhisattva e la durata della vita che ho acquisito allora non
si è ancora esaurita» (SDLPE, 314 [SDL, 298]). Una vita vissuta facendo del mondo di Buddità la propria tendenza di base
è un’espressione concreta di quanto affermato in questo passo.

Un modo di considerare il principio secondo il quale ognuno di noi è un’entità del mutuo possesso dei dieci mondi è vederlo
in termini di tendenza vitale di base. Pur possedendo tutti i dieci mondi, le nostre vite spesso tendono a un particolare stato
vitale piuttosto che a un altro: per esempio, alcuni sono inclini al mondo di Inferno, altri invece tendono naturalmente verso
il mondo di Bodhisattva. Questa può essere definita la tendenza di base della propria vita, una predisposizione determinata
dalle cause (karmiche) accumulate fin dal passato.
Come una molla che, dopo essere stata tesa, assume di nuovo la forma originale, la nostra vita tende a ritornare alla propria
tendenza di base. Ma anche se una persona ha la propria tendenza vitale di base nel mondo di Inferno, ciò non vuol dire che
rimanga in quella condizione ventiquattro ore su ventiquattro. Il suo stato vitale oscillerà da un mondo all’altro, talvolta
manifestando quello di Umanità e talvolta quello di Collera. Allo stesso modo, una persona la cui tendenza vitale è il mondo
di Collera e che conseguentemente cerca sempre di primeggiare sugli altri, potrà manifestare a volte i mondi più alti di
Bodhisattva e Cielo, ma tenderà a ritornare subito nel mondo di Collera.
Cambiare la nostra tendenza vitale di base significa fare la nostra rivoluzione umana e trasformare radicalmente il nostro
stato vitale. Vuol dire trasformare il nostro atteggiamento mentale o la nostra decisione al livello più profondo. Il tipo di
esistenza che conduciamo è determinato dalla nostra tendenza di base. Per fare un esempio, chi tende ad agire secondo il
mondo di Avidità è come se fosse imbarcato su una nave chiamata Avidità, e mentre naviga a gonfie vele in questa
condizione vitale a volte sperimenta gioia e a volte sofferenza ma, nonostante le oscillazioni, la sua imbarcazione continuerà
ad avanzare in quella direzione. Ogni cosa che vedrà sarà colorata delle tinte del mondo di Avidità, e dopo la morte la sua
vita si fonderà con il mondo di Avidità dell’universo.
Conseguire la Buddità significa fare del mondo di Buddità la nostra tendenza vitale fondamentale. Naturalmente non saremo
liberi da problemi e sofferenze, perché avremo ancora i nove mondi, ma alla base la nostra vita sarà caratterizzata da
speranza, gioia e tranquillità. Il mio maestro, il secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda, spiegava così questo
concetto: «Anche se vi ammalate, dite a voi stessi: “Tutto a posto. So che se recito Daimoku di fronte al Gohonzon starò
bene”. Buddità non significa forse poter vivere in una pace totale della mente? Dato che il mondo di Buddità contiene i nove
mondi, a volte ci capiterà ancora di arrabbiarci o di dover affrontare dei problemi, perciò godere della pace della mente non
significa non arrabbiarsi più o non sperimentare più sentimenti negativi. Un problema rimane comunque un problema. Ma
dentro di noi proveremo una profonda sensazione di tranquillità. Questo significa essere un Budda. […] Per un Budda, il
fatto stesso di vivere non è forse una immensa gioia? Non è questo il significato di conseguire lo stesso stato vitale del
Daishonin? Anche davanti alla prospettiva di essere decapitato, egli rimase calmo e composto. Nella stessa situazione
chiunque di noi si sarebbe fatto prendere dal panico! Quando fu esiliato nella inospitale isola di Sado, continuò a guidare i
suoi discepoli e a scrivere importanti opere, come L’apertura degli occhi e L’oggetto di culto per l’osservazione della mente.
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Senza una imperturbabile pace della mente, non avrebbe mai potuto scrivere quei grandi trattati in circostanze così
difficili».5
La nostra pratica quotidiana di Gongyo, cioè la lettura di alcune parti del Sutra del Loto e la recitazione di Nam-myoho-
renge-kyo, è una cerimonia solenne in cui la nostra vita diventa un tutt’uno con la vita del Budda. Praticando con assiduità
per manifestare la nostra Buddità intrinseca possiamo stabilire nella nostra vita il mondo di Buddità in modo saldo e
irremovibile. Su tali fondamenta, su questo solido palcoscenico, potremo liberamente interpretare attimo per attimo la
rappresentazione dei nove mondi.
Kosen-rufu è l’impresa di rendere il mondo di Buddità la tendenza di base della società. La chiave per realizzare ciò sta nel
creare legami con un numero sempre crescente di persone che condividono le nostre nobili aspirazioni.
Quando ci basiamo sul Buddismo di Nichiren, nessuno sforzo viene mai sprecato. Quando facciamo del mondo di Buddità la
tendenza vitale di base della nostra vita, possiamo avanzare verso un futuro di speranza creando valore da tutte le nostre
attività nei nove mondi, sia passate che presenti. Di fatto, tutti i nostri sforzi nei nove mondi diventano il nutrimento che
fortifica il mondo di Buddità nella nostra vita. In accordo con il principio buddista che “i desideri terreni sono
Illuminazione”, tutte le sofferenze (i desideri terreni o illusioni dei nove mondi) diventeranno legna da ardere per realizzare
la felicità (l’Illuminazione o il mondo di Buddità), in modo simile al processo in cui il nostro organismo digerisce il cibo e lo
trasforma in energia.
Un Budda che non ha connessione con le sofferenze reali dei nove mondi non è un autentico Budda, il quale per definizione
incarna il mutuo possesso dei dieci mondi; questo è il messaggio essenziale del sedicesimo capitolo del Sutra del Loto,
Durata della vita del Tathagata.
Il mondo di Buddità si esprime anche nella disponibilità ad accollarsi le sofferenze dell’Inferno: questo è il mondo d’Inferno
contenuto nel mondo di Buddità. Tale condizione vitale è caratterizzata dall’empatia e dalla scelta di affrontare le difficoltà
per la felicità e il benessere degli altri, e ha origine dal senso di responsabilità e di compassione. Farsi carico con coraggio di
problemi e sofferenze per il bene degli altri ha l’effetto di rafforzare il mondo di Buddità nella nostra vita.

Adattato dal dialogo La saggezza del Sutra del Loto tra Daisaku Ikeda, Katsuji Saito, Takanori Endo e Haruo Suda
pubblicato in giapponese nel dicembre 1998. Cfr. La saggezza del Sutra del Loto, Esperia, 1999-2014.

Il Gohonzon include tutti i dieci mondi

IL GOHONZON ISCRITTO DA NICHIREN DAISHONIN HA AL CENTRO NAM-MYOHO-RENGE-KYO, LA LEGGE


SUPREMA DELLA VITA E DELL’UNIVERSO, e intorno gli esseri che rappresentano i dieci mondi. In questo brano il
presidente Ikeda spiega che attraverso la pratica di Gongyo e la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo davanti al Gohonzon
i dieci mondi dentro la nostra vita, proprio come quelli rappresentati nel Gohonzon, vengono illuminati dalla Legge mistica
e cominciano a operare per creare valore positivo, contribuendo alla nostra felicità e al conseguimento della Buddità.

La parola giapponese honzon significa “oggetto di supremo rispetto e devozione”, l’oggetto che rispettiamo come base delle
nostre esistenze. È assolutamente naturale, quindi, che quello che scegliamo come nostro oggetto di culto abbia un’influenza
decisiva nella direzione della nostra vita.
Nel Buddismo tradizionalmente gli oggetti di devozione erano statue o dipinti del Budda. Le raffigurazioni del Budda,
inesistenti nel primo Buddismo, cominciarono ad apparire più tardi nella regione del Gandhara, nel nord-ovest dell’India,
grazie all’influenza della cultura greca. Possono essere considerate come l’effetto dello scambio culturale che avveniva
lungo l’antica Via della seta. Le statue e i dipinti resero familiare l’immagine del Budda e portarono le persone ad avere fede
in lui e a venerarlo.
L’oggetto di culto del Buddismo di Nichiren Daishonin è invece il Gohonzon,6 formato da caratteri scritti. In questo senso,
piuttosto che una semplice rappresentazione visiva o grafica, io lo definirei la più alta e nobile espressione della sfera
intellettiva, della grande saggezza del Budda dell’Ultimo giorno della Legge. Per questo motivo l’oggetto di culto del
Daishonin è fondamentalmente diverso dagli oggetti di culto venerati nel Buddismo tradizionale.
Le parole scritte sono straordinarie, hanno un potere incredibile. Prendete i nomi delle persone, per esempio. Quando una
persona firma, il suo nome comprende tutto: il carattere, la posizione sociale, la sua energia, lo stato emotivo e fisico, la
storia personale e il karma.
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Allo stesso modo, il Daimoku di Nam-myoho-renge-kyo [che è iscritto al centro del Gohonzon] contiene tutte le cose
dell’universo. Tutti i fenomeni sono espressioni della Legge mistica, come scrive il Gran Maestro T’ien-t’ai (in Grande
concentrazione e visione profonda): «Il sorgere è il sorgere della natura essenziale della Legge e l’estinzione è l’estinzione
di tale natura» (citato in L’eredità della Legge fondamentale della vita, RSND, 1, 189).
Il vero aspetto dell’universo in continuo cambiamento (tutti i fenomeni) è perfettamente espresso, così com’è, nel
Gohonzon. Il vero aspetto del macrocosmo dell’universo è esattamente lo stesso del microcosmo della vita di ognuno di noi.
Questo è ciò che afferma il Daishonin nei suoi scritti. Inoltre, il Gohonzon incarna il principio di “unicità di persona e
Legge” ed esprime lo stato vitale illuminato di Nichiren Daishonin, il Budda dell’Ultimo giorno della Legge.
Perciò il Gohonzon iscritto dal Daishonin è la materializzazione della Legge fondamentale dell’universo che tutte le persone
dovrebbero abbracciare; è il vero oggetto di culto.
L’universo comprende funzioni positive e negative. Nel Gohonzon sono raffigurati tutti i rappresentanti dei dieci mondi, dai
Budda Shakyamuni e Molti Tesori, che rappresentano il mondo di Buddità, a Devadatta, che rappresenta il mondo di
Inferno. Il Daishonin insegna che tutti i rappresentanti delle funzioni positive e negative dell’universo sono illuminati dalla
luce di Nam-myoho-renge-kyo e possono rivelare «i nobili attributi che possiedono intrinsecamente» (Il reale aspetto del
Gohonzon, RSND, 1, 738). A questo serve il Gohonzon.
Quando facciamo Gongyo e recitiamo Nam-myoho-renge-kyo davanti al Gohonzon, tutte le funzioni positive e negative
della nostra vita iniziano e rivelare «i nobili attributi che possiedono intrinsecamente». Il mondo di Inferno con il suo carico
di sofferenza, il mondo di Avidità con i suoi insaziabili appetiti e il mondo di Collera con la sua rabbia perversa, tutti
contribuiscono alla nostra felicità e alla creazione di valore. Quando ci basiamo sulla Legge mistica, gli stati vitali che
solitamente ci trascinano verso la sofferenza e l’infelicità ci guidano in una direzione positiva. È come se le sofferenze
diventassero legna da ardere per alimentare le fiamme della gioia, della saggezza e della compassione. La Legge mistica e la
fede sono la scintilla che accende queste fiamme.
Inoltre, quando recitiamo Nam-myoho-renge-kyo, le forze positive dell’universo, rappresentate da tutti i Budda, i
Bodhisattva e le divinità celesti come Brahma e Shakra (le divinità protettrici del Buddismo), risplendono ancora di più, il
loro potere e la loro influenza vengono accresciuti e si espandono senza limiti. Anche gli dèi del sole e della luna che
esistono nel microcosmo della nostra esistenza brillano per illuminare l’oscurità interiore. Tutte le funzioni positive e
negative dei dieci mondi e dei tremila regni operano all’unisono, indirizzandoci verso una vita di felicità permeata dalle
quattro nobili virtù di eternità, felicità, vero io e purezza.
È normale che qualche volta ci ammaliamo, ma basandoci sull’insegnamento della Legge mistica possiamo vedere la
malattia come un aspetto inerente alla vita. Se riusciamo ad avere questo punto di vista, non ci faremo influenzare
negativamente dalla malattia e non permetteremo che diventi fonte di sofferenza e preoccupazione. Nella prospettiva
dell’eternità della vita stiamo forgiando un “grande io” traboccante di felicità assoluta. Saremo anche in grado di superare
qualsiasi ostacolo si presenti sul nostro cammino, utilizzandolo come trampolino di lancio per sviluppare una condizione
esistenziale nuova e più vasta. La vita sarà bella e la morte avverrà in tranquillità, rappresentando una solenne partenza
verso una nuova meravigliosa esistenza.
Quando arriva l’inverno, per un certo periodo gli alberi sono privi di foglie e di fiori. Ma hanno la forza vitale per far
crescere nuove foglie verdi quando giunge la primavera. Allo stesso modo, ma a un livello più profondo, per noi praticanti
della Legge mistica la morte è un processo dinamico di transizione in cui la vita si prepara a ricominciare senza dolore
un’esistenza dotata di una nuova missione.

Da un discorso di Daisaku Ikeda tenuto il 20 febbraio 1990 in occasione di un corso della divisione giovani statunitense
presso il Training Center di Malibu in California.

Non cercare mai questo Gohonzon fuori di te

QUALCHE VOLTA LE PERSONE CREDONO CHE IL GOHONZON SIA PIÙ GRANDE DI LORO, ma in questo brano il
presidente Ikeda spiega il profondo significato dell’insegnamento del Daishonin secondo il quale il Gohonzon esiste nella
nostra vita. Noi possediamo al nostro interno una forza vitale senza limiti e una saggezza infinita che la pratica del
Buddismo di Nichiren ci permette di far emergere liberamente.

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L’oggetto di culto riveste un ruolo di primaria importanza per qualsiasi religione. Qual è, quindi, il vero significato del
Gohonzon, l’oggetto di culto nel Buddismo di Nichiren? Nel Gosho Il reale aspetto del Gohonzon il Daishonin afferma:
«Non cercare mai questo Gohonzon al di fuori di te. Il Gohonzon esiste solo nella carne di noi persone comuni che
abbracciamo il Sutra del Loto e recitiamo Nam-myoho-renge-kyo» (RSND, 1, 738).
In una delle sue lezioni su questo scritto, Toda fece le seguenti considerazioni: «Nonostante possiamo pregare questo grande
Gohonzon pensando che sia esterno a noi, la realtà è che risiede direttamente all’interno della vita di coloro che recitano
Nam-myoho-renge-kyo con fede nel Gohonzon delle Tre grandi Leggi segrete. Questo passo del Daishonin è fondamentale.
Coloro che non hanno ancora fede nelle Legge mistica sono persone allo “stadio di Budda in teoria” [il primo dei sei stadi
della pratica7], in cui la natura di Budda, sebbene sembri essere vagamente presente, non si manifesta per niente. Al
contrario noi membri della Soka Gakkai, poiché recitiamo Daimoku al Gohonzon, siamo nello “stadio di udire il nome e le
parole della verità” [il secondo dei sei stadi di pratica]. In questo stadio il Gohonzon illumina col suo splendore la nostra
vita.
Tuttavia l’intensità di questa luce dipende dalla forza della nostra fede. Potremmo fare il paragone con le lampadine: una di
maggiore potenza emette una luce più intensa di una di potenza minore. Continuando l’esempio, possiamo dire che coloro
che non hanno ancora abbracciato la Legge mistica non hanno ancora collegato le lampadine alla corrente elettrica. Al
contrario noi che pratichiamo la Legge mistica abbiamo acceso nella nostra vita la luce del Gohonzon. Ecco perché la nostra
vita brilla in maniera tanto evidente».8
Tutto dipende dalla forza della nostra fede. Quando abbiamo una forte fede, la nostra stessa vita diventa un «cumulo di
benefici» (Il reale aspetto del Gohonzon, RSND, 1, 738-39), come il Daishonin definisce il Gohonzon. E più avanti afferma:
«Il Gohonzon inoltre si trova solo nei due caratteri che significano fede»9 (Ibidem, 739).
Le persone di forte fede, quindi, non si troveranno mai a un punto morto, saranno sempre in grado di trasformare qualsiasi
situazione in una fonte di benefici e di felicità. Naturalmente nel corso della vita ognuno di noi è destinato a incontrare
problemi e sofferenze di vario genere, ma tutti questi ostacoli possono essere usati come nutrimento per sviluppare uno stato
vitale più elevato. In questo senso, per noi che pratichiamo il Buddismo del Daishonin qualsiasi cosa è, nella sua essenza,
fonte di felicità e di benefici. La parola “infelicità” non esiste nel vocabolario di chi ha una forte fede.
Nichikan Shonin, il grande restauratore del Buddismo del Daishonin e iniziatore dell’opera di sistematizzazione del suo
insegnamento, verso la fine del suo Commentario su “L’oggetto di culto per l’osservazione della mente” scrive: «Quando
prendiamo fede in questo oggetto di culto [il Gohonzon] e recitiamo Nam-myoho-renge-kyo, le nostre vite diventano
simultaneamente l’oggetto di culto dei tremila regni in un singolo istante di vita; diventano la vita di Nichiren Daishonin.
Questo è il vero significato della frase: “Con grande compassione per coloro che ignorano la gemma della dottrina dei
tremila regni in un singolo istante di vita, il Budda l’ha avvolta con i cinque caratteri [di Myoho-renge-kyo]10 e l’ha appesa
al collo della gente ignorante dell’ultima epoca” (L’oggetto di culto per l’osservazione della mente, RSND, 1, 336-7). Perciò
dobbiamo venerare il potere del Budda e il potere della Legge e sforzarci di sviluppare i nostri poteri della fede e della
pratica. Come dice il Daishonin, non dobbiamo trascorrere la nostra vita invano, altrimenti avremo dei rimpianti per
l’eternità (cfr. Il problema da meditare notte e giorno, RSND, 1, 554)».11
Nel passo citato, Nichikan Shonin afferma chiaramente che grazie alla fede nel Gohonzon le nostre vite possono manifestare
istantaneamente l’oggetto di culto e lo stato vitale di Nichiren Daishonin. Questo è il motivo per cui il Daishonin iscrisse
l’oggetto di culto ed è lo scopo essenziale del suo insegnamento. La fede ci mette in grado di manifestare il Gohonzon che
esiste dentro di noi e di rivelare lo splendore dello stato di Buddità, luminoso come un diamante.
La vita di ognuno di noi contiene una forza vitale infinita e una saggezza senza limiti, e la fede ci permette di attingere
liberamente a esse.
Toda era solito dire: «Ciò che è dentro di te viene fuori, ciò che non è dentro di te non si manifesta». Lo stato di Buddità
forte e puro e le deboli e infime condizioni di Inferno, Avidità e Animalità esistono nella nostra vita e si manifestano in
risposta alle cause esterne del nostro ambiente.
Poiché la vita, attraverso le tre esistenze di passato, presente e futuro è eterna, il nostro karma passato può assalirci anche nel
presente sotto forma di un grosso problema o di una sofferenza. Tuttavia, proprio perché la causa della sofferenza è dentro di
noi, noi abbiamo anche il potere di trasformarla in felicità. Questo è il potere dello stato vitale di Buddità. Come sosteneva
Toda, gli esseri umani in ultima analisi non sono altro che il prodotto di ciò che è dentro di loro, né più né meno. È di vitale

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importanza perciò coltivare la “terra” della nostra vita e mettere profonde radici di felicità. Dobbiamo manifestare il
Gohonzon che esiste dentro di noi e forgiare un io incrollabile come un grande albero: a livello di condizione vitale ciò si
esprimerà attraverso un comportamento esemplare e una nobile umanità, mentre a livello di vita quotidiana si tradurrà in
benefici e fortuna.
La cosa importante è avere fede. Non dobbiamo mai sottovalutare l’affermazione del Daishonin: «È il cuore che è
importante» (La strategia del Sutra del Loto, RSND, 1, 889). Per la felicità non sono essenziali la posizione sociale o la
ricchezza, chi ha fede è una persona veramente felice.

Da un discorso di Daisaku Ikeda tenuto il 3 aprile 1993 presso il Centro culturale di Ota a Tokyo per commemorare
l’anniversario della morte del secondo presidente della Soka Gakkai Toda avvenuta il 2 aprile 1958.

Il Gohonzon è lo specchio che riflette la nostra vita

IN QUESTO ESTRATTO IL PRESIDENTE IKEDA SPIEGA CHE IL GOHONZON È COME UNO SPECCHIO CHE
RIFLETTE LA VERA NATURA DELLA NOSTRA VITA. È l’espressione suprema della saggezza del Budda e permette a tutte
le persone di ottenere l’Illuminazione percependo la vera natura della loro mente, riflettendo anche le loro azioni passate e
future, senza omissioni.

Vorrei parlare di un punto importante dell’atteggiamento nella fede attraverso un’analogia con lo specchio. Nel Buddismo
gli specchi hanno numerosi significati e vengono spesso usati per spiegare e illustrare varie dottrine. Vorrei qui fare
brevemente un esempio riguardo alla pratica buddista.
Nichiren Daishonin scrive: «Uno specchio di bronzo rifletterà la forma di una persona, ma non la sua mente. Il Sutra del
Loto rivela non soltanto la forma esteriore, ma anche la mente. E non rivela soltanto la mente, ma riflette anche le sue azioni
passate e future senza la minima omissione» (Sovrani della terra degli dèi, RSND, 2, 584).
Gli specchi riflettono il nostro aspetto esteriore, mentre lo specchio del Buddismo rivela l’aspetto intangibile della nostra
vita. Gli specchi, che funzionano in virtù della legge di riflessione della luce, sono un prodotto dell’ingegno umano. Il
Gohonzon, che si basa sulla Legge dell’universo e della vita ed è la suprema espressione della saggezza del Budda, ci
permette di conseguire la Buddità fornendoci un mezzo per percepire la vera natura della nostra vita. Come uno specchio è
indispensabile per pettinarsi e curare il viso, così se vogliamo condurre un’esistenza più felice e più bella ci serve uno
specchio della vita che ci faccia vedere da vicino noi stessi.
Per inciso, come indica anche la frase di Gosho appena citata, nei tempi antichi gli specchi erano delle lastre di metallo
lucidato – bronzo, rame o altre leghe, a volte anche latta. Questi antichi specchi, a differenza di quelli di oggi, riuscivano a
riflettere solo immagini sfocate. Gli specchi di bronzo, comunemente usati al tempo del Daishonin, non solo non riflettevano
bene ma diventavano opachi molto velocemente. Quindi, se non venivano lucidati con regolarità, erano inutilizzabili.
L’operazione di lucidare questi specchi richiedeva una speciale abilità e veniva affidata ad artigiani professionisti chiamati
“lucidatori di specchi”.
Anche nel Gosho Il conseguimento della Buddità in questa esistenza si fa riferimento alla tradizione di lucidare gli specchi:
«È come uno specchio appannato che brillerà come un gioiello se viene lucidato. Una mente annebbiata dalle illusioni
derivate dall’oscurità innata è come uno specchio appannato che però, una volta lucidato, sicuramente diverrà limpido e
rifletterà la natura essenziale dei fenomeni e il vero aspetto della realtà» (RSND, 1, 4).
In origine, la vita di ogni persona è uno specchio brillante. Le differenze sorgono a seconda che si lucidi o meno questo
specchio. Uno specchio lucidato corrisponde allo stato vitale del Budda, mentre uno specchio appannato denota lo stato
vitale di un comune mortale. Recitare Nam-myoho-renge-kyo è ciò che fa brillare la nostra vita. Non solo pratichiamo noi
stessi, ma ci sforziamo di far conoscere agli altri la Legge mistica, cosicché anche lo specchio della loro vita possa
risplendere. Si può dire quindi che siamo maestri nell’arte di lucidare lo specchio della vita. La gente invece di solito si
preoccupa di tirare a lucido il proprio aspetto esteriore e tralascia di lucidare la propria esistenza: mentre si affretta a lavare
una macchia dal viso, rimane indifferente alle macchie che si trovano nella profondità della vita! [ride].
Dorian Gray, il protagonista del famoso romanzo di Oscar Wilde (1854-1900) Il ritratto di Dorian Gray, è talmente bello da
essere definito un “giovane Adone”. Un pittore, per immortalare la sua bellezza, ne dipinge il ritratto. È un’opera splendida,
l’incarnazione della giovinezza e dell’avvenenza di Dorian. Accade però qualcosa di misterioso: sebbene il ragazzo venga

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poco a poco coinvolto da un amico in una vita di edonismo e immoralità, la sua bellezza non svanisce e, anche se gli anni
passano, rimane giovane e radioso come sempre. Stranamente invece il ritratto comincia a farsi brutto e spento, riflettendo la
vita dissoluta di Dorian.
Un giorno Dorian spinge una giovane donna al suicidio prendendosi crudelmente gioco di lei; sul ritratto compare allora
un’espressione malvagia, selvaggia e terrorizzante. Dorian è pieno di orrore, il quadro avrebbe raffigurato il volto della sua
anima in tutta la sua bruttezza per l’eternità, e dopo la sua morte avrebbe continuato a dire palesemente la verità.
E anche quando prova a diventare una persona migliore, il quadro non cambia; allora Dorian decide di distruggere il ritratto,
convinto che riuscendo a sbarazzarsene si sarebbe liberato del suo passato. Così vi affonda un coltello. A quel punto,
richiamati dalle grida, accorrono i vicini e trovano nel ritratto l’immagine di un Dorian giovane e bello e lì accanto, svenuto,
un vecchio dall’aspetto ripugnante, Dorian in persona, con un coltello piantato nel petto.
Il quadro era il ritratto dell’anima di Dorian, il suo volto interiore, e riportava incisi gli effetti delle sue azioni senza la
minima omissione.
Si possono applicare cosmetici al viso per coprire le imperfezioni, ma non si può imbellettare il volto della propria vita più
profonda. La legge di causa ed effetto è severa e inesorabile. Il Buddismo insegna che le virtù invisibili portano ricompense
visibili. Nel mondo del Buddismo tutto conta. Perciò non ci serve assolutamente a niente avere una doppia faccia o darsi
delle arie.
Il volto interiore, sul quale si imprimono le cause buone e cattive che noi creiamo, è riflesso in una certa misura nell’aspetto
fisico. C’è un proverbio che dice: «Il volto è lo specchio dell’anima». Così come ci si guarda allo specchio quando ci si
trucca il viso, per abbellire il volto interiore è necessario uno specchio che rifletta gli aspetti profondi della vita. Questo
specchio non è altro che il Gohonzon per “l’osservazione della mente”.
In L’oggetto di culto per l’osservazione della mente, Nichiren Daishonin spiega il significato di “osservazione della mente”
con queste parole: «Solo quando ci guardiamo in un limpido specchio, vediamo per la prima volta che siamo dotati di tutti e
sei gli organi di senso» (RSND, 1, 315).
In maniera simile, “osservare la mente” significa percepire che essa contiene i dieci mondi, e in particolare il mondo di
Buddità. Per permettere a tutte le persone di poterlo fare, Nichiren Daishonin donò il Gohonzon per “osservare la mente” a
tutta l’umanità.
Nel suo Commentario a “L’oggetto di culto per l’osservazione della mente” Nichikan Shonin paragona il Gohonzon a uno
specchio dicendo: «Il vero oggetto di culto può essere paragonato a uno specchio limpido». Nella Raccolta degli
insegnamenti orali Nichiren Daishonin afferma: «Similmente, i cinque caratteri di Myoho-renge-kyo riflettono i diecimila
fenomeni senza trascurarne nemmeno uno» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 111, 45). Il Gohonzon è il più limpido di
tutti gli specchi, e riflette l’intero universo esattamente com’è. Quando recitiamo Daimoku davanti al Gohonzon possiamo
percepire la vera natura della nostra vita e manifestare il mondo di Buddità.
Il nostro atteggiamento nella fede e la nostra determinazione si riflettono perfettamente nello specchio del Gohonzon e
vengono rispecchiati nell’universo, secondo il principio dei tremila regni in un singolo istante di vita.
In una lettera inviata ad Abutsu-bo, uno dei suoi fedeli discepoli che si trovava sull’isola di Sado, il Daishonin scrive:
«Potresti pensare di aver fatto offerte alla Torre preziosa del Tathagata Molti Tesori ma non è così. Le hai offerte a te stesso»
(La Torre preziosa, RSND, 1, 264).
Una fede che onora e riverisce il Gohonzon valorizza la Torre preziosa della nostra vita. Quando recitiamo Daimoku davanti
al Gohonzon, tutti i Budda e i bodhisattva dell’intero universo ci sostengono e ci proteggono. Ma se offendiamo il Gohonzon
non avremo tale sostegno e protezione.
Per questa ragione il nostro atteggiamento e la nostra determinazione sono veramente importanti e hanno un’influenza
penetrante e di vasta portata.
Per esempio, a volte capita di fare Gongyo forzatamente o di non aver voglia di prendere parte alle attività della SGI. Questa
condizione mentale si rifletterà nell’universo, come sulla superficie di uno specchio chiaro. Le divinità celesti agiranno di
malavoglia e non eserciteranno appieno la loro forza protettiva.
Viceversa, quando fate Gongyo con gioia e portate avanti le attività per kosen-rufu con la risoluzione di accumulare
maggiore fortuna nella vostra vita, le divinità celesti saranno felici e si attiveranno per sostenervi. Dovendo agire in ogni
caso, va a vostro vantaggio farlo volentieri e con gioia.
Se praticate controvoglia pensando che state sprecando il vostro tempo, il dubbio e il lamento cancelleranno i benefici. Se
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16/1/2021 La felicità - Buddismo e Società

continuate a praticare così, non avrete benefici e questo vi convincerà ulteriormente del fatto che praticare non serve a
niente. È un circolo vizioso.
Chi pratica questo Buddismo pieno di dubbi e scetticismo, avrà dei risultati che nel migliore dei casi saranno
insoddisfacenti. Questo è il riflesso della fede debole sullo specchio dell’universo. D’altro canto, quando vi alzate con una
forte convinzione, godrete di buona fortuna e benefici illimitati.
È importante aprire e liberare la mente, che è al tempo stesso estremamente sottile e incredibilmente profonda. Quando
facciamo così, sia la nostra vita che il nostro stato mentale si espanderanno in maniera illimitata e ogni azione diventerà
fonte di benefici. Comprendere profondamente il sottile funzionamento della propria mente è la chiave per la fede e per
conseguire la Buddità in questa esistenza.
C’è un proverbio russo che dice: «Non maledire lo specchio se la faccia è storta». Il riflesso nello specchio è il proprio. Ma
qualcuno se la prende con lo specchio! [ride].
Allo stesso modo, la felicità o l’infelicità sono interamente il riflesso delle cause positive e negative accumulate nella
propria vita. Non possiamo biasimare gli altri per le nostre sfortune. Questo è ancora più vero nel mondo della fede.
C’è un racconto popolare giapponese che parla di un piccolo villaggio dove nessuno aveva uno specchio, che a quei tempi
erano costosissimi. Un uomo di ritorno da un viaggio nella capitale ne portò uno come souvenir alla moglie che, vedendolo
per la prima volta, rispecchiandovisi esclamò: «Chi è mai questa donna? Devi aver portato con te una ragazza dalla
capitale!», e iniziarono così a litigare.
Anche se questo è solo un aneddoto divertente, molti si arrabbiano o si lamentano di fatti che non sono altro che il riflesso
della loro stessa vita, la condizione della loro mente e le cause che hanno messo. Come la moglie del racconto che esclama:
«Chi è mai questa donna?», non si rendono conto della propria follia.
Poiché ignorano lo specchio della vita del Buddismo, queste persone non sono capaci né di vedersi come realmente sono, né
di guidare gli altri, né di discernere la vera natura di quanto accade nella società.

Da un discorso di Daisaku Ikeda tenuto il 27 febbraio 1990 in occasione di una riunione della divisione donne americana
presso il campus dell’Università Soka di Los Angeles a Calabasas in California.

LA PRATICA CHE PERMETTE DI CAMBIARE LO STATO VITALE

Nel capitolo precedente abbiamo preso in esame il principio buddista che permette di trasformare le nostre vite. In
questo capitolo studiamo la pratica fondamentale per attuare quella trasformazione, cioè la pratica di Gongyo.12
Nel Buddismo di Nichiren Daishonin Gongyo consiste nella recitazione di un passo del capitolo Espedienti e della
parte in versi del capitolo Durata della vita del Tathagata, rispettivamente il secondo e il sedicesimo capitolo del Sutra
del Loto, e nella recitazione del Daimoku, cioè Nam-myoho-renge-kyo, con fede nel Gohonzon.
Il Sutra del Loto è il più alto insegnamento del Budda, la quintessenza della saggezza e della compassione buddista.
Nichiren Daishonin ha indicato in Nam-myoho-renge-kyo l’insegnamento essenziale del Sutra del Loto e l’ha
materializzato nel Gohonzon, l’oggetto di culto per la fede e la pratica.
Partendo dal principio dei “tremila regni effettivi in un singolo istante di vita” insegnato da Nichiren Daishonin, il
presidente della SGI Ikeda spiega che Nam-myoho-renge-kyo è la Legge fondamentale che pervade la vita e
l’universo. Quando recitiamo Nam-myoho-renge-kyo con fede nel Gohonzon le nostre vite si mettono a ritmo con la
Legge mistica dell’universo e possono manifestare infinita saggezza, compassione e coraggio.
Come indica Nichiren Daishonin in vari scritti, Gongyo racchiude in sé il significato di tutte le pratiche buddiste.
Anche senza comprendere in profondità le dottrine buddiste e senza osservare pratiche austere difficili da seguire,
grazie alla pratica di Gongyo possiamo elevare il nostro stato vitale illimitatamente. Per questo il Buddismo del
Daishonin è un insegnamento accessibile a tutti.
Il presidente Ikeda inoltre sottolinea che, per trasformare le nostre vite in maniera autentica, è essenziale non solo
sforzarsi nella pratica di Gongyo ma anche fare azioni coraggiose per operare un cambiamento positivo.

Gongyo: una cerimonia che ci mette in comunione con l’intero universo

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