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Esprimere un desiderio

Antonio si voltò a controllare i vicoli, convinto che la voce di quell’essere


avesse già attirato l’attenzione degli Spettri.

«Tra qualche minuto ne sbucherà uno da quell’angolo laggiù», disse


l’omino con tono quasi canzonatorio, indicando oltre le spalle di Antonio.
«Ma devi aspettare qui, perché se avanzi ora ne incontrerai due che
vengono da quella parte», proseguì. Sembrava che la faccenda lo
divertisse.

«E te?», disse Antonio. «Te nun ciài paura che te prendono?»

L’omino lo guardò sorridendo, come distratto a pensare a qualcos’altro.


Infine disse:

«Se esprimi un desiderio, io lo posso esaudire». I denti scintillarono ancora


di più, come illuminati da un’improvvisa luce spettrale. Poi, oltrepassando
Antonio con lo sguardo, cambiò improvvisamente espressione e disse:

«Oh, eccolo che arriva. Adesso è meglio che scappi. Però hai ancora
tempo per esprimere un desiderio!»

Antonio si voltò e vide avanzare dal fondo della strada una massa più
scura del buio. Senza pensarci due volte, si mise a correre nella direzione
opposta.

Arrivato all’incrocio con la prima traversa si fermò a sbirciare velocemente


da dietro l’angolo e poi sgusciò verso sinistra. Buttò un’occhiata al primo
vicolo che trovò sulla destra e, vedendo che sembrava deserto, ci si infilò.

Per poco non cadde, incespicando nei piedi di un corpo riverso a terra.

«Guarda che puoi chiedermi quello che vuoi!»

Alzando lo sguardo, Antonio lo vide appollaiato su qualcosa, davanti a lui, i


denti bianchissimi che lampeggiavano nelle tenebre. Un carretto, stava
seduto a gambe incrociate sopra un carretto abbandonato e lo fissava con
penetranti occhietti a mandorla. Ora lo vedeva leggermente meglio: era
effettivamente molto piccolo, aveva il viso glabro e appuntito.
«Vuoi essere salvato dagli Spettri Neri?», disse l’omino in tono
assolutamente affabile. «Vuoi un treno che ti riporti subito a casa tua, da
tua moglie e dai tuoi figli? Anzi meglio, posso fartici arrivare in volo! Non ti
piacerebbe volare?»

«Ma che vòi da me?», rispose brusco Antonio, parlando più piano che
poteva. «Lasciame in pace e pensa a li fatti tuoi. Guarda che te beccano
pure a te, se continui a strillà così! Pure se schizzi veloce come un gatto, te
pijano!»

«Io non schizzo!», rispose l’omino accigliandosi. Poi sorrise di nuovo:


«Veloce? Che tonto! Essere veloci è una perdita di tempo! Basta scavare
nel buio e uscire da un’altra parte».

Fissò Antonio negli occhi, improvvisamente serissimo: «No, non sei tonto,
tu. Fai finta di essere uno zotico di campagna, ma la sai più lunga di tanti
fessi di città… ». Ora a scintillare erano gli occhietti, ridotti a due fessure
bianchissime. «Tu non vuoi solo scappare, tu lo sai che tua moglie e i tuoi
bambini sono assediati. Non dovevi venire in città e ora lo sai: vuoi correre
dalla tua famiglia per proteggerla… Come se fosse in tuo potere… Ma lo
sai che se ci vai gli porti il morbo della tosse?».

La luce si spense negli occhietti e tornò ad accendere il sorriso gelido: «Un


bel problema: se non ci vai, li lasci da soli ad affrontare i nemici. Se ci vai
gli porti il morbo dentro casa… Che brutto guaio!»

«Ma che morbo? Ma che vòi?», fece Antonio più preoccupato che
arrabbiato. «Io nun ce l’ho la tosse! E che ne sai te, de la famija mia? Ma
chi sei?»

L’omino continuò senza badargli:

«Vediamo, se fossi in te che desiderio esprimerei? Mhh… La forza? La


forza di sconfiggere tutti i mali, per esempio: saresti così forte da
sconfiggere ogni malattia che ti assale, arrivare a casa in un lampo e
scacciare tutti i cattivi dalla tua terra! Bello, no?»

Lo Spettro Nero aveva girato l’angolo del vicolo, gli dava la caccia e l’aveva
trovato. Antonio guardò un attimo l’omino e disse, prima di darsi alla fuga:

«Non me serve niente da te. Lasciame sta.».


Un premio nelle tenebre
La terza volta che incontrò l’omino fu sotto la luce di un lampione. Se ne
stava con la schiena appoggiata al palo.

Antonio stava correndo, aveva seminato lo Spettro. Si fermò a guardare il


piccolo essere e ansimando farfugliò:

«Ma perché nun me lasci in pace?». S’interruppe per riprendere fiato, poi,
fissandolo meglio aggiunse: «Che sei? Una specie de essere magico, uno
spirito? Che vòi da me? Io nun t’ho chiesto niente!»

«Spirito?», rispose l’omino in tono offeso. «Ti sembro uno spirito?». Poi
tornò a sorridere: «Io faccio questo, è questo che sono: vado in cerca di
persone che hanno bisogno di aiuto e le aiuto! E, scusa se te lo dico, ma si
vede da lontano che tu hai bisogno di aiuto: perciò eccomi qua!»

Antonio lo guardò soppesando le parole, prima di parlare:

«Io nun so niente di queste cose… de magie… desideri… Quando ero


bambino e m’avventuravo nei boschi, mì nonna me diceva: statte attento
alle creature magiche! Nun te devi mai fidà! Pure se te promettono cose,
nun te fidà! Così me diceva»

Ma l’omino continuava a sorridere e insistette:

«Non vuoi la forza? Hai ragione, i forti vincono le battaglie, ma non hanno il
controllo, sono sempre in balìa degli eventi… Il potere è quello che ci
vuole! Anzi meglio: ricchezza e potere!»

Antonio ora era fermo e guardava l’omino dritto in faccia:

«Io nun lo so se sei vero o me sto a sognà tutto. Ma mì nonna me diceva


proprio de quelli come te: folletti ve chiamava. Diceva che ve divertite alle
spalle della gente, fate promesse de tesori e poi mandate i poveri cristi alla
rovina… »

«Questo è davvero un giudizio sommario e immeritato!», disse il Folletto


con aria incuriosita. «Se tua nonna fosse ancora viva andrei a farci due
chiacchiere. I poveri cristi si rovinano assolutamente con le loro mani. Non
è certo colpa mia se le persone nei guai mi chiedono la corda per
impiccarsi!

«Guarda i Signori di questa città», proseguì lisciandosi gli abiti. Ora Antonio
si accorse che indossava un elegante completo verde scuro, la giacca
chiusa da bottoni d’oro. «Erano un mucchio di morti di fame che cercava di
cavare tuberi da pezzi di terra pietrosa.

«Ho detto: vi serve aiuto? Chiedetemi qualunque cosa e ve la darò. Beh,


sono stati lì a pensare per giorni! Parlavano e parlavano e si prendevano a
pugni e poi ancora parlavano. Quasi una settimana di discussioni infinite!

«Poi sono venuti da me con questa bella pensata: dacci dei semi che
fanno spuntare l’oro! Vogliamo coltivare l’oro come fossero piante di ortica!
Che crescono veloci! Ho detto loro: siete sicuri? State qui a spaccarvi la
schiena tutto il giorno e l’unica cosa a cui sapete pensare è un altro modo
per spaccarvi la schiena! Sai cosa mi hanno risposto? Ma quando saremo
ricchi faremo lavorare gli altri al posto nostro!

«Ed ecco cos’hanno ottenuto: altri morti di fame, che per sopravvivere
mangiano topi malati e portano malattia a tutti. E ora i Signori se ne stanno
nelle loro stanze d’oro a morire tossendo: muoiono loro, le loro mogli, i loro
figli, i figli dei loro figli, i loro servi, i medici che li curano, i becchini che se li
caricano.

«Perciò non dare a me la colpa! Io ti dico solo: puoi scegliere qualsiasi


cosa, chiedimi qualunque cosa. Non sarò io a darti la rovina, sarai tu a fare
di te quello che vuoi».

Antonio rimase in silenzio per un bel po’.

Alla fine rispose: «Io sò un contadino, so fà il formaggio, sò cantà le


canzoni, sò legge e scrive… Da dove vengo io mica tutti sanno fare queste
cose e tanti pensano che io sò un tipo intelligente. Ma io penso: se ero
tanto intelligente me trovavo qua?

«Un desiderio, dici te. Ma quanto cervello ce vorrebbe pe sapé tutte le


conseguenze? No, nun fa pe me. Lasciame perde, che de guai ce n’ho già
troppi. Già è tanto se arrivo alla fine de sta nottata».

E detto questo voltò le spalle e s’incamminò.


«Sei un bel tipo!», disse il Folletto. «Lo dicevo che non sei tonto come
sembri. Aspetta, che una cosa te la voglio dare lo stesso. Anzi due: un fiore
e un consiglio. Non li hai chiesti, ti sono capitati, perciò non darti pena a
pensare se ti daranno guai.

Si avvicinò ad Antonio e gli porse un fiore dicendo:

«Questo lo conosci, ma forse non te lo ricordi. Ed ecco il consiglio: c’è


ancora un bosco, nella campagna, vallo a cercare».

Detto questo, il Folletto infilò una mano nel buio, lo allargò come fosse una
grande tasca e ci si infilò dentro, sparendo all’improvviso così come era
arrivato.

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