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«Oh, eccolo che arriva. Adesso è meglio che scappi. Però hai ancora
tempo per esprimere un desiderio!»
Antonio si voltò e vide avanzare dal fondo della strada una massa più
scura del buio. Senza pensarci due volte, si mise a correre nella direzione
opposta.
Per poco non cadde, incespicando nei piedi di un corpo riverso a terra.
«Ma che vòi da me?», rispose brusco Antonio, parlando più piano che
poteva. «Lasciame in pace e pensa a li fatti tuoi. Guarda che te beccano
pure a te, se continui a strillà così! Pure se schizzi veloce come un gatto, te
pijano!»
Fissò Antonio negli occhi, improvvisamente serissimo: «No, non sei tonto,
tu. Fai finta di essere uno zotico di campagna, ma la sai più lunga di tanti
fessi di città… ». Ora a scintillare erano gli occhietti, ridotti a due fessure
bianchissime. «Tu non vuoi solo scappare, tu lo sai che tua moglie e i tuoi
bambini sono assediati. Non dovevi venire in città e ora lo sai: vuoi correre
dalla tua famiglia per proteggerla… Come se fosse in tuo potere… Ma lo
sai che se ci vai gli porti il morbo della tosse?».
«Ma che morbo? Ma che vòi?», fece Antonio più preoccupato che
arrabbiato. «Io nun ce l’ho la tosse! E che ne sai te, de la famija mia? Ma
chi sei?»
Lo Spettro Nero aveva girato l’angolo del vicolo, gli dava la caccia e l’aveva
trovato. Antonio guardò un attimo l’omino e disse, prima di darsi alla fuga:
«Ma perché nun me lasci in pace?». S’interruppe per riprendere fiato, poi,
fissandolo meglio aggiunse: «Che sei? Una specie de essere magico, uno
spirito? Che vòi da me? Io nun t’ho chiesto niente!»
«Spirito?», rispose l’omino in tono offeso. «Ti sembro uno spirito?». Poi
tornò a sorridere: «Io faccio questo, è questo che sono: vado in cerca di
persone che hanno bisogno di aiuto e le aiuto! E, scusa se te lo dico, ma si
vede da lontano che tu hai bisogno di aiuto: perciò eccomi qua!»
«Non vuoi la forza? Hai ragione, i forti vincono le battaglie, ma non hanno il
controllo, sono sempre in balìa degli eventi… Il potere è quello che ci
vuole! Anzi meglio: ricchezza e potere!»
«Guarda i Signori di questa città», proseguì lisciandosi gli abiti. Ora Antonio
si accorse che indossava un elegante completo verde scuro, la giacca
chiusa da bottoni d’oro. «Erano un mucchio di morti di fame che cercava di
cavare tuberi da pezzi di terra pietrosa.
«Poi sono venuti da me con questa bella pensata: dacci dei semi che
fanno spuntare l’oro! Vogliamo coltivare l’oro come fossero piante di ortica!
Che crescono veloci! Ho detto loro: siete sicuri? State qui a spaccarvi la
schiena tutto il giorno e l’unica cosa a cui sapete pensare è un altro modo
per spaccarvi la schiena! Sai cosa mi hanno risposto? Ma quando saremo
ricchi faremo lavorare gli altri al posto nostro!
«Ed ecco cos’hanno ottenuto: altri morti di fame, che per sopravvivere
mangiano topi malati e portano malattia a tutti. E ora i Signori se ne stanno
nelle loro stanze d’oro a morire tossendo: muoiono loro, le loro mogli, i loro
figli, i figli dei loro figli, i loro servi, i medici che li curano, i becchini che se li
caricano.
Detto questo, il Folletto infilò una mano nel buio, lo allargò come fosse una
grande tasca e ci si infilò dentro, sparendo all’improvviso così come era
arrivato.