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La casa dei due vecchi era avvolta dalle fiamme.

L’Orco sbuffava dal naso, grugniva forte e Giovanni era dietro di lui.

L’Orco avanzò in mezzo al fuoco a grandi passi, Giovanni gli urlò di


fermarsi. L’Orco ritornò dopo pochi minuti trascinando due corpi, li teneva
per i piedi e se li portava dietro come fossero sacchi.

L’Orco s’allontanò con i cadaveri. Giovanni lo seguì in silenzio.

Alle loro spalle l’incendio continuava a crescere.

L’Orco mise i corpi uno a fianco all’altro e rimase a guardarli, stesi


sull’erba.

«Li conosco», disse Giovanni.

L’Orco si voltò verso di lui.

Per la prima volta, Giovanni vide un’espressione feroce sul suo volto. Con
due lunghi passi gli fu addosso e lo afferrò per il collo, sollevandolo da terra
come fosse stato un bambino.

Giovanni pensò di stare per morire. Dalla camicia sudicia e strappata


ciondolò fuori l’amuleto che gli aveva dato la Vecchia.

L’Orco lo vide.

«Dove hai preso questo?», grugnì.

«Me lo diede lei», disse Giovanni indicando il cadavere della donna.

«Bugia!», sbuffò l’Orco.

«È lo vero! Camminai per uno intero giorno nello bosco, col cadavere de
uno bambino tra le braccia, arrivai a quella casa, quella che brucia. La
Vecchia mi fece riposare e mangiare e mi diede questo amuleto. Mi disse
che mi avrebbe salvato»

L’Orco lo guardò per un attimo. Poi disse:


«È lo vero che ti salva». E lo lasciò andare.

Dopo una breve pausa parlò ancora: «Però qualcuno oggi muore. La
Vecchia era buona con me. Li òmini dello villaggio la odiavano perché era
buona con me. Oggi li òmini dello villaggio hanno ragione ad avere paura di
me».

Una trappola
Il cielo diventava scuro.

Il Brutto osservava l’alone rosso che si alzava dal bosco, lontano. Cresceva
lentamente un immenso rogo.

La bambina sarebbe tornata solo a notte fonda. E lui l’avrebbe aspettata


con pazienza, come faceva sempre.

Aspettava sempre in quel punto che i bambini tornassero dalla casa del
Governatore.

Li mandava tutti dal Vicario Pontificio con una lettera, dove stava scritto
solo: «Questo è l’omaggio del popolo alla Vostra Signoria».

E poi attendeva ore, seduto su una pietra, sempre la stessa. A volte


doveva attendere fino all’alba.

Tornavano feriti, portavano sempre addosso segni. Dai segni sarebbero


nate domande e dalle risposte sarebbe nata una rivolta.

Ma i bambini tornavano sempre da lui, per avere altre monete.

E il Brutto li aspettava con un sorriso e un coltello.

Passava il coltello sulle loro gole e si riprendeva la moneta.

A volte, lasciava i cadaveri spogliati, perché fosse più facile dare la colpa al
bosco e alle sue creature.

Gli abitanti del Villaggio dovevano credere che l’assassino fosse l’Orco.
Ora era il momento di andare oltre.

Il Governatore aveva pagato molto bene i suoi servigi. Non si interessava


al destino dei bambini. Pagava con sacchetti gonfi di monete.

Ora al Brutto non bastava più la ricchezza, voleva afferrare il potere.

Lui sarebbe stato l’eroe che avrebbe guidato il popolo alla vittoria contro la
belva assassina.

Quando vide l’ombra dell’Orco stagliarsi in controluce davanti al


fiammeggiare del bosco, seppe che la sua trappola stava funzionando. Ma
poi vide una seconda ombra, più piccola.

Non gli piacque, ma rimase al suo posto.

E l’Orco arrivò, a passi così grandi che in un attimo gli fu addosso.

Tutto storto
Quando gli uomini del villaggio sbucarono da dietro le rocce con le armi, il
Brutto era già nelle mani del mostro.

L’agguato andò storto.

Il Brutto stava per gridare all’Orco di stare fermo, che gli abitanti del
villaggio volevano giustizia per le sue…

Ma fu solo un rumore sordo di ossa che si frantumavano.

Il Brutto sgranò gli occhi e il fiato gli si mozzò.

L’Orco gli aveva preso lo sterno fra le braccia e gli aveva fracassato le
costole con un stretta furiosa.

Poi lo aveva sbattuto a terra come uno straccio bagnato.

Giovanni vide che alcuni uomini erano subito saltati alle spalle della bestia,
chi con un falcetto, chi brandendo una zappa come una mazza da guerra.
Vide la mascella di un uomo saltare via e la testa di un altro schiacciata a
terra come fosse stata una prugna.

Gli altri si diedero subito alla fuga.

Uno non ce la fece, l’Orco lo raggiunse con una zampata, gli affondò gli
artigli nella schiena e quello crollò a faccia in giù nell’erba.

Poi vide la bestia correre dietro gli altri assalitori. E vide che aveva un
falcetto infilzato profondamente dentro la schiena.

Belve
Giovanni si chinò sul Brutto. Respirava ancora e lo guardava.

«Siete stati voi a mettere la casa della Vecchia allo foco?», chiese
Giovanni.

«Io li mandai!», disse il Brutto. «Paesani creduloni… Io guidai e raggirai lo


popolino… Loro ammazzavano la Vecchia e la Bestia… E i bambini
andavano allo sacrifizio in casa dello Signore… »

Giovanni fu confuso.

«Allo sacrifizio…?», balbettò. «Dallo Signore…? Quale Signore?»

Lo Brutto si mise a ridere:

«Io li sgozzavo… Io li sgozzavo e loro vanno a caccia della Bestia… » Una


risata sfiatata e ansimante.

Poi la risata si trasformò in un rantolo.

L’Orco stava tornando indietro. Barcollava. Cercava di toccarsi la schiena e


grugniva. Il falcetto era ancora in mezzo alle sue spalle.

Poi cadde su un ginocchio.

Giovanni lo guardò:
«Dove vanno i bambini?», gli gridò.

L’Orco sollevò un attimo lo sguardo su di lui:

«Vanno dalla belva, allo sacrifizio», disse.

«E dov’è la belva?»

«Nella casa dello padrone vostro», disse l’Orco.

Allora Giovanni abbassò lo sguardo sul Brutto e disse:

«Questo qui è ancora vivo. È stato lui ad appiccare lo foco alla casa della
Vecchia».

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