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Aprendo gli occhi, Giovanni Benforte si ritrovò in una stanza buia.

Si
accorse di essere sdraiato in un letto. C’era una piccola finestra aperta, ma
ne entrava poca luce.

Un tuono fece tremare la terra.

«Lo cielo butta artre secchiate!». La voce era di un uomo seduto di spalle,
sul bordo del letto. Stava armeggiando con qualcosa e Giovanni si sentiva
strattonare la gamba.

L’uomo stava stringendo delle grosse tenaglie.

Ci fu un forte rumore metallico.

«Eccola, mannaggia allo diavolo che se la straporta!», esclamò. «Alla fine


s’è aperta, sta catenaccia maledetta!»

«Bono, che così lo sveji», disse una voce di donna.

L’uomo si voltò verso Giovanni:

«Embè, era ora c’aprisse li occhi! Ha dormito tutto lo giorno!». Era anziano,
la faccia solcata da rughe profonde di chi ha vissuto tutta la vita all’aria
aperta, sotto il sole e contro il vento.

«Indove me trovo?», chiese Giovanni.

«A casa mia», disse la voce di donna.

Arrivava dal fondo buio della stanza.

La sua ombra avanzava a passi lenti.

Nella fioca luce del tramonto che entrava dalla finestra, s’illuminò per un
attimo il suo viso rugoso. «Sei cascato co la faccia a terra che parevi
morto. Lo mio marito t’ha portato qua e ora t’ha liberato lo piede.».

L’uomo mostrò a Giovanni la catena con la palla di piombo aperta.


«Dentro a la pignatta ce sta una zuppa», continuò la donna. «Magnala
tutta, te rimette allo monno».

Consigli nel buio


I vecchi avevano acceso un paio di candele. Fuori era ripreso il temporale.
Giovanni aveva svuotato la pignatta. Erano seduti tutti e tre intorno a un
piccolo tavolo quadrato.

«Lo conoscevo, quello pastorello», disse il vecchia. La luce tremolante


delle candele faceva ballare le ombre delle sue rughe. «Era nipote dello
compare mio. Indove l’hai trovato?»

«Dentro lo bosco, vicino a na piccola radura che ci pascolava lo gregge. Lo


cane pastore m’ha provato a sbranare, era una furia».

«Da quando è incominciata l’estate è lo quinto bambino che trovamo


ammazzato a quello modo», disse la vecchia.

«Quello è fijo de lo Demonio!», intervenne il marito facendosi il segno della


croce. «Uno mostro uscito dallo Inferno!»

«Statte zitto, vecchio!», lo interruppe la moglie, subito tornando a fissare


Giovanni dritto negli occhi: «È una bestia grossa e tiene la forza de otto
òmini. C’è chi l’ha veduto. Ma stammi a sentire a me, che io sò vecchia e
n’ho vedute tante: in tutta la vita mia non ho mai saputo de uno mostro co
la faccia de lo mostro».

Giovanni non era certo di credere a queste dicerie. Per non essere
scortese restava in silenzio.

Ma continuava a ripensare al ragazzino nudo e sgozzato, con gli occhi


spalancati sul vuoto, le labbra aperte e viola, la pelle bianca.

L’uomo si alzò dal tavolo e tornò con un fiasco di vino rosso.

Lo poggiò sul tavolo davanti a Giovanni, con un bicchiere.

Lo riempì.
Poi ne riempì uno per sé e lo bevve in un sorso solo.

Giovanni fissò il vino rosso luccicare alla luce delle candele. Voleva
ingoiarlo tutto d’un fiato. Voleva afferrare tutto il fiasco, attaccarcisi.

Le mani iniziarono a sudare, la bocca gli si riempì di saliva.

La donna lo guardava.

«Vecchio, porta via sta roba», disse senza staccare gli occhi da Giovanni.
Afferrò il bicchiere e lo diede al marito:

«Lo giovanotto soffre della malattia dello vino».

Il marito prese il bicchiere in una mano e il fiasco nell’altra e li portò via,


senza dire niente.

«Come hai fatto a scappare dalle galere dello Governatore?», proseguì la


donna.

«Non sò scappato», disse Giovanni guardandosi le mani tremanti.

E raccontò tutta la storia:

«Lo Governatore ha detto che una bambina s’è salvata. Che l’Orco l’ha
violata ma lei è fuìta prima d’essere sgozzata»

«Quello malnato dello Governatore! Mente, come lo solito suo. Nessuna


bambina è scappata. Conosco tutti li bambini colti da questa sciagura.
Sono tutti morti ammazzati».

Lupi
Era l’alba, quando lasciò la piccola casetta nel bosco.

L’amuleto dondolava sul petto al ritmo dei passi. Giovanni lo infilò sotto la
maglia, per tenerlo fermo. Non credeva alla magia. E non credeva agli
orchi. Ma aveva intenzione di seguire tutti i consigli della vecchia:
raggiungere il confine del bosco, fuggire seguendo il fiume, trovare la
strada e andare via per sempre da quelle contrade.
La vecchia non era stata chiara. Parlava nel modo oscuro che ci si
aspetterebbe da una strega che vive in un bosco.

Li mostri non hanno la faccia de li mostri, diceva.

«Sta lontano dallo vino, cerca l’acqua.

Trova lo fiume, seguilo fino allo ponte, poi prendi la strada e lascia questa
contrada».

Poi gli aveva dato l’amuleto.

Sta lontano dallo vino e abbandona questa contrada.

Giovanni Benforte non credeva di riuscire a fare nessuna delle due cose.

Il bosco sembrava infinito. Camminò per ore, smarrendo il sentiero,


cercando di capire la direzione del sole nell’intrigo dei rami in alto sopra la
sua testa.

Si ritrovava in mezzo a rovi spinosi senza sapere come, si bagnava scarpe


e calzoni nella terra ancora fradicia per il temporale della sera prima.

La borraccia d’acqua terminò quasi subito e la gola ardeva per la sete.

Giovanni Benforte ebbe alcuni attacchi d’ira, perché avrebbe voluto bere
del vino.

La maglia era fradicia di sudore.

Quando fu pomeriggio, trovò una piccola altura senza alberi. Ci salì e poté
finalmente osservare dall’alto dove si trovava.

Poté vedere la fine del bosco: ma era lontana. E aveva camminato nella
direzione sbagliata.

Non c’era alcun fiume. E se non c’era il fiume non avrebbe trovato la
strada. E senza strada non avrebbe saputo come fuggire da quella
contrada maledetta.
Stava calando il buio.

Un ululato squarciò l’aria.

Poi un altro, più vicino.

Giovanni Benforte si mise a correre attraverso il bosco.

Un incontro oscuro
Nel buio gli alberi si distinguevano appena. Giovanni sbatteva
continuamente contro i tronchi. I cespugli erano del tutto invisibili, ci
cascava dentro e poi lottava disperatamente per uscirne. Per poi sbattere
contro un altro tronco e cadere dentro un altro cespuglio.

Quando sentì i passi veloci dei lupi alle sue spalle, pensò di essere ormai
spacciato.

Poi ebbe la visione di se stesso sbranato vivo dal branco.

Si aggrappò a un tronco, urlando di disperazione. E chissà come arrivò in


alto, in mezzo ai rami.

I lupi erano ai piedi dell’albero.

Facevano strani versi, si agitavano, ansimavano. Ogni tanto qualcuno si


aggrappava al tronco, tentando di arrampicarsi.

Poi si zittirono e rimasero immobili, all’improvviso, tutti insieme. E un suono


spaventoso attraversò il bosco, giungendo fino a loro.

Giovanni sentì i lupi correre via, rapidissimi. Poi rumore di frasche che si
muovevano. E di passi che affondavano nel letto del bosco.

Decise di scendere dall’albero.

Qualunque cosa si stesse avvicinando, non poteva essere veloce come i


lupi, ma era in grado di spaventarli. Per questo Giovanni pensò che era
meglio non farsi trovare.
Ma quando scese dall’albero tornò a lottare col buio. Era cieco, nella
tenebra di un bosco fitto, pieno di rovi, radici in cui inciampare, rami su cui
sbattere la testa.

L’essere gli fu alle spalle in un attimo.

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