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L’albero più alto del bosco era lì, pulito di tutti i rami, piantato nel centro del
piazzale davanti alla Chiesa del paese. Era mezzanotte e le fiamme
iniziarono a bruciarlo lentamente, da sotto. Tutti i paesani parlavano,
cantavano e bevevano vino.
Nonna Rosa, lì in piedi, prese ferri e gomitolo: in pochi minuti avrebbe finito
il lavoro. Ma sentì una voce alle sue spalle, una voce roca e stridula da
raggelare il sangue:
«Che fai?»
«Che fai?», ripeté la vecchia. Sembrava avere cento anni. Era gobba,
vestita di stracci e con le scarpe rotte.
«Che fai?», disse ancora la strega avvicinandosi, con occhi neri come
pozzi.
Rosa riuscì solo a balbettare: «Lo saccio chi sei, io lo saccio chi sei… »
«Eccerto che lo sai! E sai pure che non si fila e non si lavora la lana, in
queste notti!
E sai pure che ci sta la punizione!».
Brucia la vecchia
Ora non era più una vecchia sdentata.
Indossava un lungo abito bianco, la sua pelle era liscia come la buccia di
una mela, le sue labbra erano rosse e aveva sguardi maliziosi che
promettevano fiamme.
Gino e Mario non l’avevano mai vista. Erano fratelli ma per lei si sarebbero
accoltellati. La giovane Berta rideva alle loro battute e loro facevano a gara
a gonfiare il petto e bere vino.
Poi lei diventò seria all’improvviso e fece loro cenno di avvicinarsi. Bisbigliò
qualcosa guardando in direzione di Nonna Rosa.
Tutti gli uomini del paese fecero il coro, quando Gino e Mario iniziarono a
battere le mani e a gridare il rituale
Brucia la vecchia
Brucia la vecchia
Brucia la strega
Brucia la vecchia!
Le fiamme erano sempre più vicine e solo quando il vestito di Nonna Rosa
prese fuoco, i due ragazzoni la misero giù.
Ma la giovane e bella Berta non c’era più. Al suo posto stava una vecchia
gobba dallo sguardo torvo, che li guardò con occhi neri, si voltò e se ne
andò.
I gemelli
Fuori del paese, Luigina stava ferma in mezzo al crocicchio. Tutt’intorno
era buio pesto, la notte più profonda, lunga e spaventosa che si possa
immaginare. Chiunque al suo posto avrebbe avuto paura di incontrare
spettri e creature malvagie, ma Luigina no.
Luigina non poteva avere paura di niente, perché non era sola.
Lei gli accarezzò il muso, affondando la mano nel folto pelo. Era enorme.
Quando si trasformava diventava più alto di qualunque uomo, le sue mani
e i suoi piedi erano terribili, gli artigli avrebbero squarciato qualunque porta
di legno. Le zanne e la grossa mascella avrebbero staccato la testa di un
cristiano in un colpo solo.
Ma ora stava lì fermo. Anche se l’enorme cuore batteva veloce, anche se la
bava colava dalle fauci e le grandi orecchie sentivano i passetti dei piccoli
animali nel bosco lontano… Anche se ogni fibra del suo corpo fremeva per
correre e ululare, ancora si tratteneva.
Nati nella notte di Natale, Luigina e Luigino erano predestinati. Suo fratello
era già da tempo mezzo uomo e mezzo belva, ma il destino di lei si
sarebbe compiuto quella notte.
«Questa è la notte magica che diventi strega. Qui adesso ti dico le parole
che devi sapere per curare i malanni, togliere e mettere i malocchi,
incantare l’òmini e zittire le fìmmine. Qui adesso ti dico le parole che se le
dici a qualcuno vengo e ti caccio gli occhi e ti trasformo in carbone. Queste
parole che ti dico le dirai solo prima di morire a un’altra malnata come te,
dentro alla Chiesa, mentre il prete dice la messa del Natale, a mezzanotte.