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«Dice che là cianno ammazzato uno, tanti anni fa. Che tredici banditi
cianno nascosto er bottino de na rapina, che un viandante l’ha visti e allora
l’hanno ammazzato. Dice che oo spirito de sto poro viandante è rimasto
dentr’ar bosco, che gira sotto forma de serpente bianco.
«E dice che er bottino de sti banditi sta ancora là. E che me lo posso
prenne, a patto che poi faccio dì messa pe sto viandante, tre vorte alla
Basilica de San Pietro e tre vorte alla Chiesa de Sant’Agostino».
«Tutte fregnacce. È che ieri sera te sei ‘mbriacata. Te fa male er vino, a te,
nun sei abbituata…
«… Però sai che c’è? Annà a vedé nun ce costa gniente. Domani matina
annamo a scavà sta bbuca sotto a la quercia. Hai visto mai? Mó
mettémose a dormì, che domani tocca svejasse presto».
«Ma così er frate scopre che t’ho riccontato tutto! E poi ha detto che ce
devo annà da sola!»
«Ah. E vabbè, vorrà ddì che io me fermo ‘ndietro e la buca la scavi te. Poi
si trovi er tesoro me fai ‘n fischio».
«Tu nun te preoccupà. Si è quarcosa ce parlo io, co sto frate. Mica ciò
paura, io! Che annassero a cojonà la moje de quarchedun’artro, sti spiriti.
E mmó addòrmite».
«Orè!»
«E che ccosa?»
«Ciaveva che nun era la voce de ‘n frate. Era la voce de mi madre, pace
all’anima sua».
Il frate vestito di bianco tornò a farle visita, ma stavolta non parlò. Fece
segno di no con la testa e avvicinò il dito indice alle labbra, in segno di
silenzio. Era un rimprovero. Poi si voltò e se ne andò.
La buca
Il bosco era ancora più freddo del giorno prima. L’aria era umida per il
temporale della notte precedente, la terra era fangosa, il tappeto di foglie
morte era melmoso.
«È quella la quercia», esclamò Angela. «È là che s’è ficcato er serpente
bianco!»
«Ecco, allora va’ a scavà», borbottò il marito. «Io aspetto qua. Ossinnò er
frate amico tuo se ‘ncazza».
Angela proseguì da sola. Lei non aveva portato una bottiglia, ma una
vecchia vanga, molto pesante. Si fermò davanti alle radici tra le quali aveva
visto nascondersi il grande serpente bianco. Infilò la punta della pala nel
terreno bagnato e iniziò a scavare.
Mani invisibili
Lavorò per oltre un’ora. Fece una buca così grande che ci sarebbe potuta
entrare una bara.
Oreste si alzò del sasso per andare a vedere di persona cosa avesse fatto
sua moglie per tutto il tempo.
Lanciò la bottiglia vuota alle sue spalle.
«Spera che er tesoro ce sta. Ossinnò vor dì che te se ‘nventata tutto o che
te sei fatta cojonà da ‘n frate morto. E allora me tocca gonfiatte de botte».
Entrò nella buca, strappò la vanga dalle mani della moglie e la fece uscire
insultandola.
Quando vide il sangue che usciva dalla bocca del marito, Angela iniziò a
urlare di terrore.
La confessione
Passarono diversi giorni.
«A ffà che?»
Le mani e i piedi erano congelati, ma lei non sentiva il freddo. Non sentiva
niente, eccetto il grumo di angoscia e paura nello stomaco. Anche le
chiacchiere e le preghiere del frate le scivolano addosso.
Gli confessò tutto. Del serpente bianco, del sogno, del marito che
agonizzava picchiato a morte da mani invisibili.
La testa di Angela era caduta da qualche ora, quando tre frati si stavano
avventurando nel bosco in cerca di una vecchia quercia. Trovarono la buca
dove era morto Oreste. Scavarono ancora più in profondità e, dopo
qualche ora, trovarono qualcosa.
Approfondimenti
Questo racconto fantastico è stato ispirato da una leggenda romana,
raccontata da Cecilia Gatto Trocchi nel suo Leggende e Racconti
Popolari di Roma.