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nuova umanità trimestrale di cultura


rivista fondata da Chiara Lubich nel 1978

controcorrente
A 50 anni dal Sessantotto – A.M. Rossi ________________________» pp. 5-8
Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario degli avvenimenti del Sessantotto,
un’occasione che offre la possibilità di una riflessione su una delle rivoluzioni più
rilevanti e discusse del secolo scorso, oltre che sul significato di rivoluzione in ge-
nerale. A mezzo secolo di distanza, più che fare un bilancio si può tentare di gettare
uno sguardo su quell’evento da una diversa prospettiva, considerando la forza di
impatto che l’esigenza di un cambiamento ha avuto sulla società a livello globale e
quale direzione ha impresso per il futuro.

L’inizio di una nuova era? – L. De Torre ______________________ » pp. 9-17


Di fronte al profondo cambio d’epoca in corso – denso di incertezze, conflitti, terro-
rismo, disastri ambientali, populismi, paure, protezionismi, muri – immaginare che
gli Stati possano non solo firmare una tregua, ma vivere l’uno in funzione del bene
dell’altro potrebbe essere una ingenua utopia. Proprio quest’epoca, al contrario, ha
estremo bisogno di visione politica per capire, per sperare, per avanzare. Non si
tratta di promettere un futuro tranquillizzante, ma di accompagnare la ricerca fati-
cosa di portare le relazioni internazionali a un livello più alto rispetto all’essere solo
commerciali, economiche, giuridiche, tecnologiche. E questo livello più alto – “inizio
di una nuova era” – è l’amore scambievole tra i popoli.

Focus
La Chiesa nella babele culturale
L’occhio profetico di Chiara Lubich. Una lettura del rapporto fra vangelo
e culture – R. Catalano _____________________________________ » pp. 19-35
Lo studio si propone una riflessione sul rapporto fra vangelo e culture visto dalla
prospettiva del carisma dell’unità, che si inserisce nel lungo processo che, nel corso
dei secoli, ha visto il cristianesimo adottare una terminologia diversificata: “adat-
tamento”, “accomodamento”, “assimilazione”, “acculturazione”, “indigenizzazione”,
“contestualizzazione”, e, più recentemente, “inculturazione”. Come per altri studi
sommario

su questo argomento, anche questo sguardo non può e non vuole essere esaustivo.
Intende, semplicemente, aprire alcune piste di ricerca e di riflessione tratte da testi,
interventi ed esperienze di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari e
protagonista di esperienze profonde di contatto con persone, singoli e gruppi, ap-
partenenti a diverse culture. Tutto questo richiederà nel tempo il necessario appro-
fondimento e la dovuta riflessione sull’esperienza che si è già cominciata a realizza-
re in diversi contesti socio-ecclesiali.

Inculturazione ed evangelizzazione alla luce del carisma dell’unità –


J. Morán _________________________________________________» pp. 37-45
Essendo legato al mistero dell’incarnazione – mistero centrale della fede cristiana –
il tema dell’inculturazione risulta collocarsi a sua volta al centro della stessa fede
e della sua prassi lungo tutta la storia della Chiesa, a partire dalla redazione dei
quattro Vangeli, essi stessi esempi eloquenti di inculturazione del messaggio della
rivelazione. Lungi dall’essere un tema legato solo a determinati momenti storici e a
circoscritti settori o porzioni della Chiesa, l’inculturazione riguarda quindi da sem-
pre la vita della Chiesa nel suo insieme ed è da considerarsi essenziale non solo
nel processo di evangelizzazione, ma anche nella riflessione teologico-dogmatica.
Il presente saggio, versione rivista di una conferenza tenuta dall’Autore a Nairobi,
intende presentare il contributo specifico della spiritualità dell’unità a una incul-
turazione così intesa, con uno sguardo particolare su Maria, qui definita forma e
maestra di inculturazione.

Carismi ed evangelizzazione della cultura – V. Zani _________ » pp. 47-65


Quale contributo specifico può apportare la forza trasformatrice dei carismi al com-
pito che da sempre la Chiesa si è data di annunciare il messaggio del vangelo ad ogni
uomo e a tutto l’uomo, raggiunto nel suo specifico contesto culturale? Come i nuovi
carismi e i movimenti che da essi sono scaturiti possono fattivamente contribuire
a un annuncio del vangelo che raggiunga, non in maniera decorativa e superficiale
ma in un modo realmente vitale, le radici della cultura e delle culture dell’uomo? A
queste domande intende rispondere il presente saggio che idealmente abbraccia
quell’ampio arco temporale e quella feconda riflessione magisteriale in esso susse-
guitasi sull’evangelizzazione della cultura che va dalla costituzione pastorale Gau-
dium et spes del Concilio Vaticano II fino all’esortazione apostolica di papa Francesco
Evangelii gaudium, con un interessante focus su alcuni dei passaggi più significativi
della lettera Iuvenescit Ecclesia della Congregazione per la dottrina della fede sulla
relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e per la missione della Chiesa.
sommario

Vangelo, pluralismo e dialogo interculturale – L. Cervinho ____ » pp. 67-77


La Chiesa, per riflettere la luce di Cristo nel mondo, deve continuamente situarsi e
risituarsi nei diversi contesti culturali locali e globali. Perciò è per essa imprescin-
dibile dialogare con la coscienza di ogni epoca. Come ha più volte evidenziato papa
Francesco, è innegabile che stiamo vivendo un profondo cambio d’epoca che ha la
sua radice proprio nella cultura, intesa come «la totalità della vita di un popolo», il
modo d’essere e di stare nel mondo. Stanno cambiando le modalità di rapportarsi
con gli altri, con il pianeta e con l’assoluto. Mutano i modi di conoscere, sentire e
attuare dell’uomo. L’articolo snoda il rapporto tra vangelo e culture situandolo in
questo cambio d’epoca che esige un’evangelizzazione, seguendo ancora papa Fran-
cesco, come «cultura dell’incontro» al servizio dell’unità nella differenza. Si propone
l’intuizione di Chiara Lubich della inculturazione come “scambio di doni” per esplici-
tare questa evangelizzazione.

scripta manent
Istruzione per i vicari apostolici della Cocincina, del Tonchino e della
Cina (1659) – Congregazione de Propaganda Fide ____________ » pp. 79-92
Si propone qui un documento che è stato definito la magna charta delle missioni mo-
derne, perché condensa le linee essenziali della strategia missionaria elaborata da
Propaganda Fide. In essa emergono elementi moderni come il rispetto delle culture
native, la necessità di fornire ai missionari una preparazione scientifica e spirituale,
la creazione di un clero indigeno, e la proibizione di intervenire nella vita politica e di
partecipare ad attività commerciali.

parole chiave
Intercultura e vangelo – E. Merli ___________________________ » pp. 93-96

punti cardinali
Il principio della sussidiarietà dal Codice di Camaldoli alla Costituente –
B. Di Giacomo Russo _____________________________________ » pp. 97-105
Per comprendere la portata della sussidiarietà è necessario approfondire il Codice di
Camaldoli e la Costituzione italiana. La lettura diacronica evidenzia caratteristiche
della sussidiarietà rilevabili dall’applicazione storica, ma rende comprensibile anche
l’influenza sia sul diritto pubblico e costituzionale sia sull’organizzazione sociale.
sommario

Confronto tra l’esagono di civiltà di Senghaas e la spiritualità


dell’unità – C. Hubert _____________________________________ » pp. 107-113
Questo articolo pone l’esagono di civiltà di Senghaas, modello per una società pa-
cifica e una delle linee guida per l’educazione alla pace, in dialogo con la spirituali-
tà dell’unità e con alcune espressioni della vita concreta di questa. In primo luogo
descrive il concetto di Senghaas. Dopo aver illustrato i capisaldi della spiritualità
dell’unità, l’articolo mostra come questa ispiri una modalità concreta attraverso la
quale l’esagono di civiltà può essere vissuto.

alla fonte del carisma dell’unità


Discernimento e carisma: epistolario –
C. de Ferrari, C. Lubich ____________________________________» pp. 115-125
Il contributo introduce alla lettura di cinque lettere intercorse tra monsignor Carlo
de Ferrari, arcivescovo di Trento, e Chiara Lubich. Scritte tra il 1947 e il 1951, esse
gettano squarci su un periodo poco noto e cruciale della storia del nascente Mo-
vimento dei Focolari. I testi proposti, di rara intensità spirituale, offrono qualche
tocco del solido e fondante riferimento alla Parola di Dio e della costante apertura
all’ascolto dello Spirito che caratterizza il rapporto intessuto tra i due protagonisti.

Storia di Light. 13. Un pezzetto di cielo chiuso tra le Dolomiti –


I. Giordani ______________________________________________ » pp. 127-145
La “notte” di Chiara (a cui si aggiunge un terribile incidente che la immobilizza per
mesi) è la radice della vita dell’Opera di questo periodo (siamo negli anni Cinquan-
ta) e dei suoi molti frutti. Fra questi una comprensione nuova di Maria come dover
essere dell’Opera e di ciascun appartenente ad essa. Due date importanti: l’11 luglio
1964 Chiara delinea la vocazione dei focolarini sposati in modo assolutamente nuo-
vo e il 12 luglio dello stesso anno Vincenzo Folonari, Eletto, perde la vita nel lago di
Bracciano. Poetica e profondissima la descrizione della vita della Mariapoli.

in biblioteca
I sentieri del giurista sulle tracce della fraternità – L. Bozzi__ » pp. 147-150
Culture a confronto. La lezione di Valignano – J.M. Povilus___ » pp. 151-154

english summary – a cura di D. O’Byrne____________________ » pp. 155-158

murales – G. Berti __________________________________________ » p. 160


controcorrente

A 50 anni dal Sessantotto

Quanto tempo deve trascorrere perché un evento


della storia riveli il suo vero significato e di esso si pos-
Anna sa cogliere l’incidenza, valutare il peso, determinare il
successo? Cinquant’anni non sono forse sufficienti, ma
Maria possono permetterci di iniziare ad avere uno sguardo più
Rossi ampio, meno puntato sui dettagli e non troppo condizio-
nato dall’esperienza di conquiste e ferite ancora aperte,
docente di lettere da valutazioni a caldo, da considerazioni di parte. Mezzo
nella scuola
secondaria di
secolo corrisponde convenzionalmente a due generazio-
primo grado. ni, quelle vissute dopo una “rivoluzione” che oggi appare
dottoranda come una delle più emblematiche per ampiezza geogra-
di ricerca in fica e simultaneità temporale: il cosiddetto Sessantotto.
linguistica e Due generazioni segnano una distanza d’equilibrio: il
teoria della
letteratura
racconto resta sospeso tra il primo affacciarsi sui testi
presso di storia e i ricordi mitici dei nonni. E come sempre si fa
l’università allo scoccare di anniversari dalla cifra tonda, proviamo
degli studi oggi ad aggiungere alla già ponderosa mole di bilanci e
di roma “tor valutazioni – spesso molto contrastanti –, che si sono già
vergata”. membro
del centro
compiuti o che si affastellano in questi tempi, qualche
interdisciplinare riflessione su quello che è stato definito «il primo feno-
di studi meno globale»1.
“scuola abbà”. La dimensione mondiale degli eventi del Sessantotto
affonda le sue radici, come è stato acutamente rileva-
to, in una “koiné rivoluzionaria” che assume per la prima
volta come modello “eroi terzomondisti”2: Che Guevara,
Nelson Mandela, il prete guerrigliero Camilo Torres, il
movimento Black Power, quello uruguayano dei Tupa-
maros. Un’onda libertaria dilaga incurante dei confini
geografici spingendo da più direzioni e ispirando gruppi

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A 50 anni dal Sessantotto

diversi, partendo dalla Summer of Love del ’67 negli Stati Uniti e diffonden-
do la cultura hippy con straordinaria velocità in molti Paesi, dagli jipitecas
in Messico ai provos olandesi, dai nomadi housetruckers in Nuova Zelanda
all’Onda Verde in Italia. Un inedito protagonismo dei giovani emerge nelle
forme della contestazione e della rivendicazione dei diritti delle minoranze
e si allarga rapidamente, senza alcuna forma di preparazione o coordina-
mento, montando come un fiume in piena, scardinando forme e strutture
politiche, sociali e culturali fino ad allora ritenute non negoziabili, dai Paesi
europei al Giappone, dal Messico agli Stati Uniti, con armi fino ad allora
poco o mai sperimentate: il sit-in, l’occupazione studentesca, la canzone di
protesta, le grandi manifestazioni, i cortei, gli slogan.
La vastità e la simultaneità del fenomeno sono evidenti se si ripercorrono
cronologicamente, anche solo in modo sintetico, alcuni eventi di quell’anno:
a gennaio l’offensiva del Tet durante la guerra del Vietnam e la conseguente
reazione degli Stati Uniti, che scatena la protesta dei giovani a livello mon-
diale; in aprile l’assassinio a Memphis del leader della non-violenza Martin
Luther King e le rivolte dei ghetti neri; il “maggio francese” (divenuto quasi
il ’68 per antonomasia) con l’occupazione studentesca della Sorbona e la
protesta operaia; la primavera di Praga in agosto; ad ottobre la strage di
Piazza delle Tre Culture a Città del Messico alla vigilia dei giochi olimpici e
il famoso gesto di protesta degli atleti afroamericani Tommy Smith e John
Carlos che, alla premiazione olimpica dei 200 metri piani, sul podio alzano il
pugno chiuso in un guanto nero, simbolo del Black Power.
E come ogni nuova corrente nella storia, anche il movimento del Sessan-
totto richiede parole nuove e un nuovo linguaggio, che riflettano una nuova
visione delle cose. Alla lingua ingessata, dalle strutture grammaticali rigide
e inviolabili, si oppone la lingua del paradosso antinomico e degli slogan:
“vietato vietare”, “siate realistici, chiedete l’impossibile”, “l’immaginazione
al potere”, “siamo tutti indesiderabili”. Parole da ricordare, da ripetere, da
gridare. Una lingua per tutti, che riconsidera il significato di regole e di er-
rore, e che in Italia trova nel testo di don Milani Lettera a una professoressa il
caposaldo dell’educazione linguistica democratica, restituendo dignità alla
lingua di ciascuno, a partire dai dialetti. Non a caso è a questi anni che si fa

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anna maria rossi

risalire la nascita della sociolinguistica, con le ricerche sui correlati sociali


della variazione linguistica di William Labov nel 1966.
Pur con tutti gli aspetti innegabilmente contraddittori e controversi a cui
il Sessantotto ha aperto la strada, ci si può chiedere se oggi saremmo in gra-
do di pensare e di raccontare il mondo nella sua interezza e nella sua diversi-
tà, e non solo come un’emanazione dell’uomo bianco occidentale, senza la
“variopinta rivoluzione” di quegli anni, definita da Umberto Eco, con buona
dose di preveggenza, «epifania della molteplicità»3.
In genere si è concordi nell’attribuire al termine “rivoluzione” il significa-
to di “cambiamento radicale e violento”. La violenza, aggiungiamo, può non
consistere esclusivamente nei mezzi utilizzati per raggiungere il mutamen-
to, quanto piuttosto nella forza repentina con la quale si provoca lo scarto
tra una traiettoria precedente, dettata dall’inerzia, e la nuova direzione. In
questo senso il termine sembra esprimere adeguatamente quanto avvenuto
nel ’68. Un’ulteriore prospettiva è ben delineata da Hannah Arendt quando
afferma che esiste una connotazione del termine rivoluzione che è stret-
tamente connessa al suo significato originario astronomico: l’irresistibilità,
cioè che il movimento rivoluzionario non è arrestabile dagli uomini e perciò
esso diviene legge per se stesso4. Una rivoluzione è quindi intrinsecamente
inarrestabile e generativa: al di là del raggiungimento degli obiettivi per i
quali si è prodotto il primo impulso, essa avanza producendo mutamenti
irreversibili.
È consuetudine ormai, a ogni anniversario del Sessantotto, citare la frase:
«Ci sono state solo due rivoluzioni mondiali. Una nel 1848. La seconda nel
1968. Entrambe hanno fallito. Entrambe hanno trasformato il mondo»5. Ed è
sicuramente impossibile qui, e con molta probabilità nemmeno necessario,
stabilire se e come la rivoluzione del Sessantotto sia fallita. Sarebbe troppo
facile evidenziare come il sincero anelito alla pace e alla giustizia sociale si
sia in alcuni casi trasformato in rivendicazioni estreme e violente; come la
contestazione dell’autorità sembri aver portato oggi a una certa frantuma-
zione della fiducia nei modelli e nella possibilità di trasmissione del sapere
tra le generazioni; che la ricerca di libertà è naufragata a volte nell’edonismo
e nel consumismo esasperato; che la lingua nuova ed icastica delle piazze ha
trovato i suoi svuotati epigoni negli slogan pubblicitari. Mi pare che la vera

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A 50 anni dal Sessantotto

forza di questa, come di ogni rivoluzione, sia lo sguardo su un mondo nuovo,


l’energia propulsiva che si sprigiona dalla visione utopica del domani che la
alimenta, trasformando la possibilità dell’oggi.
Anche Chiara Lubich, negli stessi anni, parla di rivoluzione. Con la sen-
sibilità ai segni dei tempi che l’ha spesso contraddistinta, nel ’68 ai giovani
del Movimento dei Focolari lancia una sfida con la “rivoluzione arcobaleno”:
un radicalismo dell’amore evangelico che si incarna in ogni aspetto della vita
concreta, come la luce si rifrange nei colori dell’iride. Aggiungerà qualche
anno più tardi: «Se una rivoluzione è fare giustizia, essa esige di prendere
una precisa direzione: andare controcorrente, costi quello che costi»6. E il
costo è spesso l’inevitabile caduta, il fallimento. Ma la direzione è tracciata.
Ecco la vittoria di ogni rivoluzionario, non importa se (apparentemente) la
meta sembra irraggiungibile: aprire una strada, seminare fermenti di novità,
lanciare una sfida per uno sguardo trasformante “dentro” e “oltre” la real-
tà. E nel cuore della contestazione giovanile sessantottina – che rivendica i
diritti degli ultimi, rilancia il ruolo della donna, si colloca in una dimensione
mondiale, cerca nuove parole rivoluzionarie – Chiara Lubich indica ai giovani
una leader: Maria, la ragazza di Nazareth che, con il suo Magnificat, defini-
sce la più grande contestatrice della storia7.

1
Cf. C. Brezzi, I linguaggi del ’68, in AA.VV., I linguaggi del ’68, Franco Angeli,
Milano 2009.
2
Cf. F. Pizzuti, Le “suggestioni del mondo” e il Sessantotto, in B. Coccia (ed.), 40
anni dopo: il Sessantotto in Italia fra storia, società e cultura, Editrice APES, Roma 2008.
3
Cf. U. Eco, Il grande caldo, in ’68. Una storia aperta, supplemento a «L’Espres-
so», 25 gennaio 1988, p. 89.
4
Cf. H. Arendt, On revolution, Penguin, New York 1963, trad. it., Sulla rivoluzione,
Einaudi, Torino 2009.
5
G. Arrighi - T.H. Hopkins - I. Wallersten, Antisystemic Movements, Manifesto-
libri, Roma 1992, p. 85.
6
C. Lubich, Maria, Città Nuova, Roma 2017, p. 108.
7
Cf. C. Lubich, Colloqui con i gen. Anni 1966/1969, Città Nuova, Roma 1998.

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L’inizio di una nuova era?

Di quale “nuova era” parlava Chiara Lubich1 quando


scriveva, nel 1959, «quel giorno sarà l’inizio di una nuova
Letizia era»? Aveva di fronte un mondo ancora lacerato dagli
orrori della Seconda guerra mondiale. Aveva assistito
De Torre alla fioritura impensata, da quel fango, di iniziative in-
presidente
ternazionali di pace come le Nazioni unite (24 ottobre
del centro 1945) e la Cee (25 marzo 1957), oggi Unione europea. Il
internazionale suo ideale di unità, la cui nascita può essere fatta risalire
mppu (movement al 1943, andava nella stessa direzione. Ebbene, lei vede-
for politics & va necessario e possibile un passo ulteriore che raffor-
policy for unity).
già deputata
zasse quei luoghi di alta concertazione tra gli Stati: «Se
della camera; un giorno i popoli sapranno posporre loro stessi, l’idea
sottosegretario che essi hanno della propria patria [...] per quell’amore
al ministero reciproco fra gli Stati che Dio domanda come domanda
della pubblica l’amore reciproco fra i fratelli, quel giorno sarà l’inizio di
istruzione;
segretario della
una nuova era»2.
commissione In questi primi 17 anni del nuovo millennio, che tante
cultura della attese aveva suscitato, registriamo al contrario un au-
camera dei mento di conflitti, di terrorismo, di disastri ambientali, di
deputati. docente muri, di populismi e di nuove paure. Che gli Stati possa-
di matematica.
no non solo essere in tregua, ma vivere l’uno in funzione
del bene dell’altro è un sogno che con ragione si potreb-
be definire un’ingenua utopia. E invece no: non è ingenuo
e neppure utopico rimettere a fuoco il senso della politi-
ca, che è proprio quello di accompagnare questa fase di
globale interconnessione del pianeta, piena di prospet-
tive (se le sappiamo leggere), ma indubbiamente anche
piena di crisi, di tensioni, di paure... fase che ha estremo
bisogno di politica per capire, per sperare, per avanzare.

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controcorrente
L’inizio di una nuova era?

Alla politica viene rimproverata oggi una perdita di senso nella sua narrati-
va. Non si tratta di promettere un futuro tranquillizzante, ma di concepire
questo cambio d’epoca come un passo nuovo, richiesto a noi come umanità,
proprio nell’ambito delle relazioni, per portarle a un livello più alto rispetto
a quello esclusivamente commerciale, economico, giuridico. E questo livello
più alto –­ inizio di una nuova era che tutto può rivoluzionare – è l’amore
scambievole tra i popoli.
L’intervento che segue è un estratto di quello che ebbi occasione di ri-
volgere alla ventiquattresima assemblea generale della Interparliamentary
Assembly on Orthodoxy (Iao)3, tenutasi presso il Parlamento italiano dal 25
al 30 giugno 2017, grazie alla collaborazione nata tra la Iao e il Movimento
politico per l’unità (Mppu). Li considero solo primi cenni, in cui ho cercato
di dimostrare che è conveniente e urgente che oggi la politica assuma un
nuovo ruolo secondo questo paradigma, poiché «quel giorno, inizio di una
nuova era», può iniziare oggi, nella storia dell’umanità che cammina verso
la sua unità.

dove va il mondo oggi?

Le mappe geopolitiche a cui siamo abituati rappresentano ancora il


mondo come un puzzle, con istituzioni internazionali che tentano di assi-
curare stabilità. Ma tali mappe non esprimono il mondo come realmente
è oggi. La vita di una qualsiasi città, ad esempio, non può essere chiusa in
alcun confine nazionale: si voglia o no, appartiene al mondo per cibi, vesti-
ti, negozi, lingue, fedi, conoscenze, notizie. E nel nostro smartphone c’è un
mondo per cui non servono passaporti, e dove, nel bene e nel male, siamo
continuamente presenti.
Tutto ciò è pratico, interessante, ma oggettivamente anche molto criti-
co, non privo di pericoli. Può dare smarrimento, generare paure, indurre a
chiudere porte, a erigere muri. Almeno per tenere fuori l’invasione da casa
nostra.

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letizia de torre

«fermate il mondo, voglio scendere!», gridava mafalda4

La tentazione di pensarlo c’è sempre più frequentemente in qualche


capo di Stato o di Governo che pare gridare: «Il mio Paese deve scendere!».
Le conseguenze sono già state ben descritte: «I protezionismi spaventati e
arrabbiati, la sfiducia verso i vicini (e naturalmente gli immigrati, che venga-
no da terre vicine o lontane), il nazionalismo nostalgico attivano delle dina-
miche internazionali che possono sfuggire di mano, compattando sempre
più i gruppi sulla base di identità esclusive. Quelle identità sono perfetta-
mente legittime nelle loro origini storico-culturali, ma rischiano di indurirsi
al punto tale da provocare il conflitto con altri gruppi»5.
“Scendere dal mondo” può essere utopia pericolosa. Il “mondo a puz-
zle” non esiste, non è mai esistito da quando l’homo sapiens ha cominciato a
migrare – pare 300 mila anni fa, dall’attuale Marocco – in un continuo spo-
starsi, incontrarsi, confliggere e poi riconoscersi simili, collegarsi, costruire
grandi civiltà, che quando collassavano (dal crollo della civiltà greca, a quel-
lo dell’Impero romano; dal tramonto del Medioevo, alla Grande depressione
industriale – per rimanere in Occidente) inducevano sempre crisi epocali.
Oggi sta crollando un mondo che abbiamo chiamato “globale”, non per-
ché realmente si sia unificato, essendo cresciute le disuguaglianze e le guer-
re, ma perché è di fatto un unico mercato. Sta qui il punto critico, poiché
l’umanità non è un mercato, è un corpo vivo, per cui valgono le parole di
Gandhi: «Tu ed io non siamo che una cosa sola. Non posso farti del male
senza ferirmi»6.
Eppure anche quest’epoca, per molti aspetti piena di ombre, ha visto
accelerarsi l’avvicinamento dell’umanità, incrementando filiere di scambi di
tutti i generi e producendo una rete enorme di infrastrutture che connettono
il mondo7 e che spesso spostano il suo baricentro (pensiamo solo alla nuova
via della seta) e di fronte a cui i confini nazionali sono quantitativamente8 e
qualitativamente poco influenti9.
Un avvicinamento dell’umanità a cui concorrono anche le cooperazioni
scientifiche, gli scambi culturali, i movimenti spirituali e la moltitudine di
ong che operano per accrescere, a livello mondiale, la giustizia, i diritti, la
condivisione dei beni.

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controcorrente
L’inizio di una nuova era?

Queste connessioni, ormai strutturali, stanno aprendo una nuova tappa


nella storia dell’umanità, da cui neppure l’attuale fase di de-globalizzazione
­– col nazionalismo economico, le tensioni protezionistiche e il sovranismo
crescente ­– potrà riportarci indietro.

la politica riuscirà a salire su questo treno in corsa?

È una domanda cruciale dato che, oltre questo cambiamento epocale, è


necessario cambiare paradigma, con molta lucidità, saggezza, riflessione. E
per tale cambio di paradigma, occorrono, ovviamente, decisive scelte per-
sonali e collettive.
Provo a offrire qualche spunto, che viene dalla riflessione e dall’esperien-
za del Movimento politico per l’unità. In tale originale network tra politici,
studiosi, funzionari, cittadini attivi e molti giovani si è protesi a rinnovare lo
stile politico e le politiche pubbliche. Via via emergono in tal modo delle li-
nee di cultura e di azione politiche che si rivelano un contributo che risponde
particolarmente alle attese di questa fase della storia:
•  un mondo complesso ha bisogno di una governance complessa, cioè
condotta da più attori connessi tra loro, che la politica deve saper supporta-
re, coordinare, armonizzare;
•  il ruolo della politica, dunque, non va inteso come esclusivo o esausti-
vo, ma come il ruolo di chi rende possibile che tutta la società sia agente di
cambiamento;
•  si devono creare e garantire condizioni di consapevole responsabilità,
di legalità, di trasparenza, di fiducia, di cooperazione, di co-responsabilità,
affinché ciascuno sia sollecitato a confrontare le proprie aspirazioni con il
bene comune e trovi le condizioni per cooperare con gli altri;
•  non serve una politica pesante e burocratica, ma, anzi, leggera e con-
temporaneamente molto competente, che abbia chiarezza e fermezza sulle
proprie responsabilità, non ultima quella di essere voce delle persone, dei
gruppi e dei Paesi più deboli, per porli al centro dell’agenda politica;
•  in questa epoca ciascun cittadino può essere attore di cambiamento.
Ciò che Lorenz vedeva per il clima, «Può il battito d’ali di una farfalla sca-

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letizia de torre

tenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza?»10, vale anche nel


sistema politico diffuso e complesso del mondo di oggi;
•  oggi la democrazia non può più essere solo rappresentativa, non basta
solo il giorno delle elezioni. Il potere deve poggiare sul popolo ogni giorno,
attraverso una nuova fase di una democrazia rigenerata, senza la paura che
si differenzi e divenga molteplice nelle varie aree del mondo e nello stesso
tempo diventi più universale, poiché l’umanità è una sola e la sua casa, il
nostro pianeta, è anch’esso uno solo. I sistemi di comunicazione e di scam-
bio di dati, ma soprattutto le nuove modalità della partecipazione e della
deliberazione possono essere di grande aiuto, ma serve molta competenza
per renderli seri e fecondi;
•  occorre avere una visione ampia e lungimirante – l’umanità unita – con
l’umiltà dei piccoli passi, fatti con la massima condivisione.
È chiaro che tutto ciò non poggia su una teoria, ma sulle persone: su
cittadini e su leader anch’essi rigenerati. In particolare ogni politico, per sa-
per operare nella dimensione sopra descritta, deve far precedere delle forti
scelte personali. Spostare ogni interesse particolare per rivolgere tutte le
capacità politiche verso la comunità, verso le sofferenze del proprio popolo,
verso le esigenze della pace. Curare una propria seria preparazione, la ricer-
ca del dialogo, il rispetto per l’avversario politico, assumere le istanze degli
altri per progetti non di parte, ma volti al bene comune. Affrontare difficoltà,
divisioni, spaccature, ferite della propria gente assumendole come proprie,
per risanarle, anche attraverso processi di riconciliazione.
Un politico con un simile profilo sa di pagare un prezzo alto, come è alta
la vocazione politica. Ma tale fedeltà, come è avvenuto per grandi figure del
passato, gli darà autorevolezza: il potere, infatti, conferisce la forza, ma è
vivere la politica come un altissimo ed esigente amore sociale che rende un
leader politico un importante punto di riferimento.
Queste sono anche condizioni per avere occhi per poter leggere dove va
il mondo, per capirne i segnali, per gettare lo sguardo oltre le fatiche dell’og-
gi, per rispondere ai problemi con lucidità e con una visione ampia, per avere
la forza innovativa, fisica e mentale, necessaria per cambiare le cose.

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controcorrente
L’inizio di una nuova era?

la politica può ricominciare a pensare?

Sì, qui sorge una domanda cruciale: se cioè la politica oggi, intesa global-
mente come attività dell’umanità, sia in grado di lettura, di visione, di pensie-
ro. Ed è una domanda determinante perché, se la risposta fosse no, allora la
politica non avrebbe senso, sarebbe morta, almeno in questo tempo. E dato
che non è pensabile affrontare questo cambio d’epoca senza idee, la doman-
da successiva sarebbe: chi ha il diritto e il compito di averle queste idee?
La risposta a mio avviso non è né sì, né no. È una risposta inedita, se così
si può dire. Invece di pensare la politica depositata nella tenda del capo, nel
palazzo reale, nei parlamenti, nelle istituzioni internazionali… oggi dobbia-
mo scoprire che essa è anche fuori, in quei luoghi fino a ieri definiti “privati”,
in contrapposizione ai luoghi “pubblici”. Ovunque oggi è depositata la re-
sponsabilità della convivenza dell’umanità. Analizzando oggi qualsiasi sfida
del nostro tempo, da quella ambientale fino a quella migratoria, possiamo
facilmente convincerci che c’è una moltitudine di attori che, in diversi modi,
comprende anche noi come singoli cittadini, e che quindi anche l’intelligen-
za per rispondere a tali sfide è diffusa.
Ne consegue che non ci deve spaventare tanto l’assenza di idee della
sfera politica, quanto piuttosto la sua ancora troppo scarsa capacità di far
emergere e di far agire armonicamente letture, visioni e pensieri che già esi-
stono dentro la società, sollecitati anche dalle fatiche dell’umanità di oggi,
dalle possibilità di ricerca e dalla coerenza di tante persone e di tanti gruppi.
In altre parole, nel mondo interconnesso di oggi il ruolo politico è quello
della relazione, rivolta sempre ­– e qui è saldo il compito sempre antico e
sempre nuovo della politica – al bene comune, sia nella convivenza locale
sia in quella internazionale.
Vorrei, infine, soffermarmi su una tematica di forte attualità: quella della
crisi delle comunità sovranazionali e delle tensioni interne agli Stati.
La sfida dei dualismi – “unificazione-identità”, “universalismo-sovrani-
smo”, “apertura-protezionismo”, “unità nazionale-autonomia” – richiede,
forse più di altre, un nuovo paradigma.
L’attuazione di una politica per l’unità e gli studi sulla cultura dell’unità ci
suggeriscono che proprio l’unità può essere tale nuovo paradigma. Essa, in-

14 nu 229
letizia de torre

fatti, non è uniformità, non è assolutamente annullamento delle differenze,


non è, tanto meno, il dominio del più forte.
L’unità è la relazione tra realtà distinte. È essenziale avere una propria
identità per aprire dei rapporti paritari e costruttivi. È necessario riconosce-
re e stimare l’autonomia dell’altro. Occorre un’arte per dialogare: capace di
rivolgersi a tutti, di fare il primo passo, di comprendere la posizione degli
altri, di saper affrontare conflitti e riconciliazioni, di saper amare non solo
la propria patria, la propria parte politica, la propria visione politica, ma di
ampliare lo sguardo fino a comprendere e amare reciprocamente l’uno la
parte dell’altro, l’uno la patria dell’altro.
Si dà per scontato che uno Stato debba difendere i propri interessi, an-
che a costo di danneggiare altri Stati, anzi indebolendoli per far emergere la
propria potenza. Ma funziona? La storia pare insegnarci di no. Chi compie
studi a riguardo, come l’Harvard Research Center for Creative Altruism, fon-
dato da Sorokin11, il cui libro più famoso titola The Ways and Power of Love,
dimostra come il “potere dell’amore” sia stato, lungo la storia, molto più ef-
ficace della violenza per cambiare le cose.
La sfida è riuscire –­­ attraverso la prassi e gli studi –­ a dare forza politica
a tale dimensione di unità. Essa può rispondere alle tensioni che scuotono il
mondo e indurre un avanzamento della storia, nell’attuale passaggio d’epo-
ca tra globalismo e post-globalismo.
L’unità, infatti, è una dimensione dinamica, in cui le entità politiche sono
in grado di unirsi, ma anche di distinguersi. Non si tratta di scegliere tra
universalismo e identità nazionali. L’essere parte di una realtà più vasta di
Stati, come ad esempio l’Unione europea, non contrasta con l’esigenza di
far crescere la storia del proprio popolo. Non contrasta, appunto, perché
non è uniformità, ma relazione. Relazione tra comunità politiche che si crea
e si ricrea ciclicamente, producendo e mettendo in circolo, così, un’enorme
ricchezza sul piano locale e internazionale.
È una sorta di rivoluzione copernicana della geopolitica e della governan-
ce a tutti i livelli, che richiede conseguentemente di ripensare, tra il resto, il
valore politico delle autonomie (città o nazioni); le modalità con cui si com-
pone una comunità di comunità; i criteri con cui un’autonomia non si isola,
ma sa prendere le responsabilità di una comunità più vasta; le modalità con

nuova umanità 229 15


controcorrente
L’inizio di una nuova era?

cui si compone l’agenda di tale comunità vasta; nuovi princìpi di uguaglianza


tra i popoli, nella proprietà, nella distribuzione e nella tutela dei beni (com-
presi l’acqua e i beni del sottosuolo); e così via.
Criteri che potranno e dovranno evolvere e maturare, ma con la bussola
puntata altrove: dando, cioè, importanza all’altro popolo come al proprio.
Qui è la sfida e qui è la “novità”.
E per tale “novità” il funzionamento di una comunità sovranazionale non
può poggiare su regole e direttive: lo dicono anche i fatti, che sono sotto i
nostri occhi, che esse conducono a un punto di rottura. Ci dobbiamo basa-
re e sperimentare sulla fiducia, sulla condivisione, sulla corresponsabilità. E
mentre le direttive possono essere affidate alla burocrazia, questi legami no:
essi appartengono alla politica.
Ed è per questo che è necessaria la politica. A patto, però, che sappia
assumere i valori accennati sopra, che sia consapevole del nuovo ruolo re-
lazionale che le è richiesto e che sia guidata dal paradigma dell’unità nella
molteplicità. Solo questa è la politica utile in questo millennio. Ed essa deve
tornare urgentemente in campo a tutti i livelli.

1
Chiara Lubich (1920-2008), fondatrice nel 1943 del Movimento dei Focolari,
è considerata una delle personalità spirituali di maggiore rilievo del Novecento. È
stata impegnata in prima linea nella comunione ecclesiale, nell’ecumenismo, nel
dialogo interreligioso e con persone di convinzioni non religiose, promotrice instan-
cabile di una cultura dell’unità e della fraternità tra i popoli (www.centrochiaralu-
bich.org).
2
C. Lubich, Maria, Regina del mondo, «Città Nuova», 30 agosto 1959.
3
La Iao è un gruppo interparlamentare nato da una iniziativa del Parlamento
greco, che nel 1993 ha indetto una conferenza sulla “Ortodossia nella nuova realtà
europea”. I partecipanti provenivano da numerosi Paesi, sopratutto dell’Est euro-
peo, ma ben presto la Iao si è spinta oltre i confini europei. Considera la comune
appartenenza alla fede ortodossa come un «punto di incontro per la partecipazione
alla costruzione della complessa realtà contemporanea». Per questo si sta aprendo
a collaborazioni con il Parlamento panafricano e con l’Unione parlamentare degli
Stati membri dell’Organizzazione della cooperazione islamica (Oic); cf. http://eiao.
org/homeenglish.

16 nu 229
letizia de torre

4
Mafalda è un personaggio immaginario protagonista dell’omonima striscia a
fumetti realizzata dall’argentino Joaquín Lavado, in arte Quino, pubblicata dal 1964
al 1973, molto popolare in America Latina e in Europa.
5
Aspenia76_Editoriale.pdf.
6
L. Guglielmoni - F. Negri, Per cortesia…, Effatà Editrice, Torino 2012, pensiero
n. 80.
7
64 mila km di strade, 4 mila km di ferrovie, gallerie, porti, aeroporti, 2 mila km
di oleodotti e gasdotti, reti elettriche, mille km di cavi internet, satelliti, reti cellulari,
data base…; fonte: Parag Khanna, Connectography, 2016 .
8
Solo 500 km; fonte: ibid.
9
Cf. ibid.
10
Edward Lorenz, meteorologo del Massachusetts Institute of Technology
(Mit) di Boston, fu il primo ad analizzare l’effetto farfalla in uno scritto del 1963
preparato per la New York Academy of Sciences.
11
Pitirim Aleksandrovič Sorokin (1889-1968) visse da protagonista i dramma-
tici eventi della Rivoluzione russa: fu arrestato per la sua opposizione allo zarismo
nel 1911 e nel 1913, in seguito segretario del presidente Kerenskij, fu poi perseguitato
sotto la dittatura leninista nel 1918 ed esiliato nel 1922. Nel 1923 si trasferì negli
Stati Uniti per insegnare dapprima all’Università del Minnesota, quindi ad Harvard,
dove fondò nel 1931 la Facoltà di Sociologia e successivamente l’Harvard Research
Center in Creative Altruism. È da annoverare tra i massimi sociologi del secolo XX,
ricevendo per la sua carriera accademica onori e riconoscimenti, tra cui, nel 1963, la
presidenza dell’American Sociological Association.

nuova umanità 229 17


dallo scaffale di città nuova

CRISTIANI RAGIONEVOLI
oltre i luoghi comuni della scienza
e dell’esistenza
di Leonardo Becchetti / Alessandro Giuliani

Un economista e un biologo dialogano sulla loro


esperienza di fede.

Partendo dalla ragionevolezza della fede cristiana e dalla con-


siderazione di come la ricerca, scientifica e sociale, abbia la
necessità di allargare i confini della ragione e di non cadere nel
ridicolo (dove chiuda la porta al mistero e alla bellezza della
vita), il dialogo offre al lettore interessanti informazioni sulla
regolazione della sintesi proteica e l’economia di mercato.
L’esperienza di fede scaturita da tali considerazioni reclama
isbn poi un coinvolgimento più personale degli Autori, da cui emer-
9788831175340 gono le relative (non lievi) differenze culturali e politiche, ma
anche l’irridu­cibilità dell’esperienza di Dio.
pagine
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nu 229
focus. la chiesa nella babele culturale

L’occhio profetico di
Chiara Lubich
Una lettura del rapporto
fra vangelo e culture
Roberto
Catalano
condirettore 1. premessa
del centro
per il dialogo Il “Focus” di questo numero della rivista Nuova Uma-
interreligioso
nità propone una serie di riflessioni sul rapporto fra van-
del movimento
dei focolari. gelo e culture1. Ovviamente non si pretende di esaurire
professore presso un argomento di grande ampiezza che, in modo molto
la pontificia diversificato, ha interessato il mondo cristiano fin dal
università suo apparire e che, ancora oggi, è al centro della rifles-
urbaniana
sione teologica e necessita di essere affrontato da diver-
(roma), l’istituto
universitario se prospettive. Si tratta, infatti, di un nodo fondamentale
sophia di loppiano nella vita e nella storia del cristianesimo che, a partire
(figline - incisa dalla stagione del Concilio Vaticano II, accompagnato
in val d’arno, dal tramonto del colonialismo, dalla crescita delle Chie-
firenze) e
se locali e dalla progressiva trasformazione dell’Europa
l’accademia di
scienze umane e in continente post-cristiano e del cristianesimo in reli-
sociali di roma. gione sempre più globale e dunque extra-europea, è tor-
nato ad essere di assoluta centralità. Da un lato, oggi si
cerca di rileggere quanto accaduto in un passato spesso
caratterizzato da errori e problemi, ma, dall’altro, è ne-
cessario essere coscienti di quanto questo aspetto sia
cruciale anche ai nostri giorni in un mondo sempre più
plurale, oltre che caratterizzato da nuove culture, tra-
sversali, come quella cibernetica, massmediale e tecno-
logica2. Inoltre, non si può ignorare la sfida dei processi

nuova umanità 229 19


focus. la chiesa nella babele culturale
L’occhio profetico di Chiara Lubich. Una lettura del rapporto fra vangelo e culture

migratori che, non solo in Europa, stanno portando a un nuovo incontrarsi di


culture diverse con processi di meticciato di diverso tipo fino ad oggi scono-
sciuti3. Con tutto questo il vangelo è chiamato a confrontarsi non meno che
con le culture del passato storico dell’umanità.
Lo specifico dei contributi, nei quali si articola il “Focus” di questo nu-
mero di Nuova Umanità, è il comune tentativo di leggere la questione dell’in-
contro vangelo-culture alla luce di un dono di luce e di vita che ha illumi-
nato il percorso esistenziale ed ecclesiale di Chiara Lubich, fondatrice del
Movimento dei Focolari e portatrice nel cuore della Chiesa di un carisma
caratterizzato da una forte impronta comunitaria e comunionale e, al tem-
po stesso, di testimonianza. Nella prospettiva di questa novità carismatica,
nata in corrispondenza degli anni che hanno preceduto il Concilio Vaticano
II e sviluppatasi, poi, in quelli successivi che ne hanno visto la faticosa e a
volte problematica attuazione, si vuole gettare uno sguardo sulla sfida che
incrocia costantemente la compagine ecclesiale: interrogarsi sull’incontro
fra vangelo e culture. Oggi, come afferma papa Francesco, la Chiesa non
è chiamata a diffondere un’ideologia religiosa e nemmeno la proposta di
un’etica sublime, ma, piuttosto, a far sì che, grazie alla proclamazione del
vangelo, Gesù possa diventare ancora una volta nostro contemporaneo4.
Per rendere questo possibile, è necessario trovare vie nuove con capacità
creativa, da una parte, e fedeltà al vangelo e alla tradizione, dall’altra. Da qui
questa riflessione sul rapporto fra vangelo e culture visto dall’occhio pro-
fetico del carisma dell’unità. Anche questo sguardo non può e non vuole
essere esaustivo. Intende, semplicemente, aprire alcune piste di ricerca e di
riflessione tratte da testi, interventi ed esperienze della Lubich. Essi richie-
deranno, nel tempo, il necessario approfondimento e la dovuta riflessione
sull’esperienza che si è già cominciata a realizzare e si realizzerà in diversi
contesti socio-ecclesiali.

2. il carisma dell’unità e le culture: un primo incontro

I primi anni della nuova esperienza ecclesiale dei Focolari avvengono


in ambito strettamente cattolico. Chiara Lubich, infatti, nasce e cresce a

20 nu 229
roberto catalano

Trento, un angolo d’Italia caratterizzato da una cultura precisa, cattolica


e tradizionale, che, negli anni che corrisposero alla sua nascita, infanzia e
adolescenza, si trovò al crocevia del difficile rapporto fra il cattolicesimo
e la modernità. Da qui atteggiamenti di spiccato ecclesiocentrismo, come
emerge in un passaggio – lo si propone come esempio – dell’arcivescovo di
Trento, mons. Endrici, in occasione della commemorazione per il IV cente-
nario del Concilio tridentino.

La rievocazione di quanto ha legiferato il celebre Concilio nel campo


dottrinale e disciplinare sarà, giova sperarlo, un baluardo contro la
diffusione di errori e dottrine che vorrebbero ferire il corpo mistico
di Cristo che è la Chiesa. Le preghiere del popolo cristiano, speria-
mo affrettino in mezzo alle nazioni la “Pax Christi”5.

Pur essendo Trento naturale crocevia fra l’Italia e la parte di continente


mitteleuropea, per la nascente comunità dei Focolari non ci furono inizial-
mente rapporti con persone di altre culture o di altre fedi6. Il primo contatto
documentato di questo tipo avviene nel 19637, quando due delle prime com-
pagne di Chiara8 incontrarono due indiani – indù presumibilmente – che vo-
levano conoscere il centro che il nascente movimento aveva aperto a Roma
per il dialogo ecumenico9. La fondatrice dei Focolari aveva raccomandato
alle due collaboratrici di «tener a mente due sole parole: Dio e l’amore come
vincolo»10. La reazione delle due personalità dell’India era stata sorprenden-
te: «Quello che fate voi è l’unica cosa da fare al mondo». La stessa Lubich
aveva, poi, suggerito: «Dovremmo avere un cuore per tutta l’umanità come
lo aveva il santo Padre. Gesù è morto per tutti, anche per ognuno di quelli
di altre religioni. L’Opera di Maria faccia la strada alla Chiesa in questo»11.
In questo testo scarno ed essenziale possiamo rintracciare in sintesi tut-
ta la prospettiva dell’incontro del cristianesimo con il “culturalmente altro”
alla luce della spiritualità dell’unità. Infatti, i due elementi chiave che si rac-
comandano sono Dio e l’amore, che nella prospettiva della Lubich sarebbero
emersi, rispettivamente, come il fondamento e la metodologia dell’incontro
del vangelo con le altre culture. La reazione da parte di persone che proven-
gono da un’altra cultura è di adesione immediata all’annuncio, come qualco-
sa che pare essere la soluzione per l’umanità. A commento, la fondatrice dei

nuova umanità 229 21


focus. la chiesa nella babele culturale
L’occhio profetico di Chiara Lubich. Una lettura del rapporto fra vangelo e culture

Focolari delinea un’efficace sintesi che porta una chiave importante per una
prospettiva ecclesiologica e di teologia delle religioni: «avere un cuore per
tutta l’umanità […]. Gesù è morto per tutti, anche per ognuno di quelli di al-
tre religioni». È opportuno sottolineare che questo incontro avviene ancora
durante il Concilio, due anni prima dell’uscita di documenti come Ad gentes,
Unitatis redintegratio, Dignitatis humanae e Nostra aetate, che avrebbero por-
tato contributi di grande respiro su questo tema.
È, dunque, opportuno approfondire i due elementi di cui si è appena
accennato.

3. fondamento e metodologia

3.1 Il fondamento antropologico: Dio, la sua paternità e la fratellanza

Quanto emerge nell’episodio riferito non è una novità assoluta. Fin dai
primi tempi trentini della nuova esperienza ecclesiale, infatti, si potevano
cogliere i segni di quello che sarebbe stato il fondamento antropologico
nella concezione dell’altro nella prospettiva del nascente carisma dell’unità:
la paternità di Dio12 e la conseguente fratellanza universale13. In una delle
lettere della fitta corrispondenza che intratteneva con amici e amiche, che
condividevano con lei i primi passi del Movimento, troviamo questo invito.

Puntare sempre lo sguardo nell’unico Padre di tanti figli. Poi, guar-


dare le creature tutte, come figli dell’unico Padre. Oltrepassare
sempre col pensiero e con l’affetto del cuore ogni limite posto dalla
natura umana e tendere costantemente, per abitudine presa, alla
fratellanza universale in un solo Padre: Dio14.

Da queste poche parole, assolutamente essenziali, emerge l’atteggia-


mento fondamentale da tenere con tutti: l’altro non è più – o non è mai sta-
to – un “pagano”, un “peccatore”, ma nemmeno solamente un “prossimo”;
è, piuttosto, un fratello e una sorella. Se Dio è Padre di ogni uomo e di ogni
donna, infatti, gli uomini e le donne sono tutti fratelli e sorelle. La fratellan-
za universale, quindi, da subito, è stata la cifra di riferimento nell’orizzonte

22 nu 229
roberto catalano

della Lubich. Tuttavia, in merito al nostro argomento, si riconferma in due


momenti considerati fondanti il rapporto del carisma dell’unità con altre cul-
ture. Sono eventi che hanno luogo a dieci anni di distanza l’uno dall’altro e in
ambienti assolutamente diversi per geografia, contesto culturale e religioso.
Il primo ha luogo nel 1966 nel cuore della foresta camerunese15, dove,
durante una festa offerta dalla popolazione locale radicata nella religione
tradizionale africana, la Lubich ebbe «la forte impressione che Dio, come un
immenso sole, abbracciasse tutti noi e loro con il suo amore»16. La conclu-
sione è significativa: «Per la prima volta nella mia vita ho intuito che avrem-
mo avuto a che fare anche con persone di tradizione non cristiana»17. Il se-
condo episodio è avvenuto a Londra, nel 1977, in occasione della consegna
del Templeton Prize18, definito come «l’evento in qualche modo “fondante”
di questo nostro dialogo [interreligioso]». La fondatrice dei Focolari aveva
tenuto il discorso di accettazione di fronte a un’assemblea altamente qualifi-
cata di rappresentati di diverse culture e religioni. All’uscita dalla sala i primi
a congratularsi furono ebrei, musulmani, buddhisti, sikh, indù. «Lo spirito
cristiano di cui avevo parlato – commentò –­ li aveva impressionati, cosicché
mi è stato chiaro che avremmo dovuto occuparci non solo della nostra o
delle altre Chiese, ma anche di questi fratelli e sorelle di altre fedi»19.
I due momenti sono decisivi per l’impegno a un dialogo interculturale e
interreligioso. Entrambi sono fondati, da un lato, sulla coscienza della pater-
nità universale di Dio e, dall’altro, sulla tensione costante alla fraternità. Si
tratta di due pilastri che resteranno fino alla fine della vita di Chiara, senza
il minimo tentennamento. Lo dimostra un testo che è una sorta di prezioso
testamento all’alba del terzo millennio. In esso la fratellanza diventa chiave
per un incontro positivo fra le culture per arrivare ad una cultura mondiale,
frutto dell’incontro fra le varie espressioni culturali del globo.

Sogno che quel sorgere – che oggi si costata – nella coscienza di


milioni di persone di una fraternità vissuta, sempre più ampia sulla
Terra, diventi domani, con gli anni del 2000, una realtà generale,
universale. […] Sogno l’approfondirsi d’un dialogo vivo e attivo fra
le persone delle più varie religioni legate fra loro dall’amore, “regola
d’oro” presente in tutti i loro libri sacri. Sogno un avvicinamento e
arricchimento reciproco fra le varie culture del mondo, sicché diano

nuova umanità 229 23


focus. la chiesa nella babele culturale
L’occhio profetico di Chiara Lubich. Una lettura del rapporto fra vangelo e culture

origine a una cultura mondiale che porti in primo piano quei valori
che sono sempre stati la vera ricchezza dei singoli popoli […]20.

3.2 Il metodo: l’amore e l’arte d’amare

Nel passo appena letto, tratto da un’intervista, la Lubich fa riferimento


alla metodologia che assicura un vero incontro fra persone di culture e re-
ligioni diverse. Lo aveva già suggerito nell’episodio del 1963, prima dell’in-
contro delle sue compagne con i due indù: amore, un termine, senza dubbio
cristiano, da lei sempre inteso nel senso dell’agápe, che, comunque, a con-
tatto con persone di culture e tradizioni religiose diverse, si affretta a uni-
versalizzare facendo riferimento alla regola d’oro, presente, secondo moda-
lità e formulazioni varie, in tutte le tradizioni culturali del mondo. Si tratta,
infatti, di accostare non solo le persone, ma anche le loro culture e le loro
religioni, con amore. Mutuando la regola d’oro, questo significa rispettare e
apprezzare la cultura e la religione altrui come si vorrebbe fosse apprezzata
la propria. Un atteggiamento e un metodo che risulteranno chiari in molte
sue pagine e in molti suoi interventi in varie parti del mondo. Cito, qui di se-
guito, il suo incontro con l’India e con la sua cultura anche per esserne stato
testimone oculare21.

Più entriamo in contatto con l’India – e noi siamo qui da pochissimi


giorni! – più essa ci si rivela come un mondo grande, intenso, con
un suo volto, per noi occidentali, non facilmente decifrabile, unita-
rio nella sua ricchissima diversità. Si sente che siamo di fronte ad
uno scrigno di tesori spirituali, di tensione mistica di tutta la natu-
ra umana – tensione alla quale non è certamente estranea l’opera
della Grazia. E questo scrigno si apre solo a chi gli si accosta con
rispetto pieno d’amore e, soprattutto, con la convinzione che Dio ha
tanto da dirci attraverso questa cultura millenaria22.

Amore, dunque, che significa apertura verso una cultura, per certi versi,
misteriosa, che la Lubich non solo mostra di apprezzare per la sua ricchis-
sima diversità, ma in cui riconosce la presenza della grazia di Dio e che ha
tanto da dirci.

24 nu 229
roberto catalano

3.3 Caratteristiche e conseguenze:


il “più profondo farsi uno” e il deculturalizzarsi

In riferimento alla categoria dell’amore, chiave per una vera metodolo-


gia del dialogo e dell’approccio del vangelo verso altri mondi, è necessario
esplicitare alcune caratteristiche che la fondatrice dei Focolari ha declinato
in quella che ha definito un’“arte di amare” e che potrebbe dirsi anche arte
del dialogo. Un primo aspetto assolutamente richiesto è quello del silenzio,
che permette l’ascolto di quanto l’altro ha da dire. Entrambi sono atteggia-
menti fondamentali per poter conoscere e apprezzare. Ancora in occasione
del suo viaggio in India, il 31 dicembre del 2000, appena arrivata a Mumbai,
annotava sul suo diario: «Io sono venuta qui per conoscere, stando in silen-
zio il più possibile: così, mi hanno detto, occorre venire in India»23. Infatti, era
cresciuta il lei la coscienza che ascoltare permette di inculturarsi, nel sen-
so di entrare nella cultura dell’altro, di capirlo, nel suo linguaggio e nel suo
modo di esprimersi24. Silenzio e ascolto, inoltre, permettono di realizzare
quel processo che, con un neologismo, è definito come il “più profondo farsi
uno”25. Si tratta di un atteggiamento spirituale, frutto proprio dell’amore,
che porta a vivere o sentire quanto chi ci sta di fronte vive o sente. In conte-
sto di dialogo interculturale e interreligioso, in più di un’occasione, la Lubich
stessa lo ha spiegato con una definizione presa dal teologo delle religioni
Whaling, che afferma come «conoscere la religione dell’altro significa qual-
cosa di più dell’essere informati sulla sua tradizione religiosa»26. Si tratta di
una “tecnica spirituale” che consiste nel “passare al di là” per incontrare l’al-
tro insieme alla sua esperienza religiosa e alla visione del mondo che porta
in sé»27.

Dialogare significa anzitutto porci sullo stesso piano: non crederci


meglio degli altri. E significa pure ascoltare ciò che l’altro ha in cuo-
re. Significa spostare tutti i nostri pensieri, gli affetti del cuore, gli
attaccamenti. Spostare tutto per poter “entrare nell’altro”28.

Inoltre, il più profondo farsi uno facilita il processo di deculturalizzazio-


ne, necessario per un vero incontro con la cultura dell’altro. Per cogliere,
infatti, la cultura altrui con le rispettive ricchezze è necessario un processo

nuova umanità 229 25


focus. la chiesa nella babele culturale
L’occhio profetico di Chiara Lubich. Una lettura del rapporto fra vangelo e culture

di spogliamento dalla propria. La Lubich più volte ha espresso la sua con-


vinzione che «solo persone […] distaccate dalla propria cultura, saranno in
grado di capire gli altri e di capire le altre culture; di entrare nel pensiero
degli altri e di capire come l’altro pensa, che cosa ha, che ricchezza ha»29.

3.4 Dalla kenosi ai doni dello Spirito

È ovvio che questa metodologia richiede un rinnegamento di se stes-


si, una morte del proprio modo di pensare e, in definitiva, del proprio io,
una vera kenosi30. Nell’esperienza della Lubich in diverse parti del mondo,
in Asia, come in Africa, in America Latina come negli Usa, questo morire
a se stessi ha dato una testimonianza efficace e ha colpito profondamen-
te, soprattutto i rappresentanti delle culture orientali. In qualche modo si è
sperimentato quanto previsto dal teologo delle religioni Waldenfels quan-
do afferma che «oggi tutte le religioni si trovano, ognuna con la loro storia,
davanti alla croce di Cristo»31. È lui crocifisso e abbandonato che misterio-
samente attrae a sé uomini di ogni credo32. In effetti la Lubich, riferendosi
alla sua scoperta dell’esperienza dell’abbandono di Gesù in croce come del
massimo annientamento, ha spesso sottolineato come «sui fedeli delle reli-
gioni orientali, quel tipico dolore di Gesù, che l’ha portato all’annientamento
totale, suscita un fascino tutto particolare»33. Non si tratta, tuttavia, di un
morire che lascia un vuoto. Piuttosto, «quando qualcuno muore a sé stesso
per farsi uno con loro lascia con ciò vivere Cristo in sé» e questo produce
un fascino di luce e di pace, effetti dello Spirito, che si mostrano sui volti di
coloro che sono capaci di vivere in questo modo l’incontro con il diverso. Per
questo persone di diverse culture sono attratte e chiedono spiegazioni34. La
professoressa Uma Vaidhya della Mumbai University, che pure non l’aveva
mai incontrata di persona, al termine del III Simposio indù-cristiano, tenu-
tosi due mesi dopo la scomparsa della fondatrice dei Focolari, comunicava
ai partecipanti che, alla fine di ogni sessione, avvertiva «la sala illuminata di
sapienza grazie all’esperienza di Chiara, che ci illumina dentro»35.

26 nu 229
roberto catalano

3.5 La scoperta dei “semi del Verbo”

Frutto di questa kenosi interiore è anche una presenza particolare dello


Spirito36, che aiuta al discernimento, un processo fondamentale nel dialogo
fra persone di culture diverse. Particolarmente importante è la possibilità e
la capacità di discernere la presenza dei “semi del Verbo”, di cui già Giustino
parlava nel II secolo37. Per la Lubich era evidente che solo colui che si fa vuo-
to per amore può davvero godere di questo intervento dello Spirito. Infatti,
sostiene, «se [uno] è veramente vuoto, […] è nulla, non è un nulla morto,
ma un nulla d’amore, ha lo Spirito Santo e può distinguere nella cultura che
lui avvicina in quella data persona. […] Solo lo Spirito Santo ti può far fare
questa cernita delle cose»38. A questo riguardo, la prospettiva della Lubich
non è mai stata riduttiva: i “semi” sono tutto il Verbo non solo una sua parte.
Infatti, «tutto ciò che c’è di bello, di buono, di soprannaturale [...] è tutto
Verbo»39. Proprio alla luce di questa esperienza di scoperte, la spiritualità di
comunione aiuta a mantenere una prospettiva ampia, di largo respiro, lonta-
na da qualsiasi ombra di esclusivismo, sia pure senza venire a compromessi
o cadere in pericolose forme di relativismo40. Da qui il suo sottolineare la ne-
cessità, come cristiani, di «essere molto aperti. Come una volta – ha sottoli-
neato – la Chiesa ha studiato Aristotele che è servito come filosofo per spie-
gare la nostra fede, io penso che si servirà anche di Buddha». Sentiva, infatti,
dopo il suo secondo viaggio in Giappone nel 1986, la necessità di «prender
dentro nel nostro abbraccio universale anche un pochino di Buddha, almeno
la sua saggezza, le sue verità […] sentirle patrimonio dell’unico Dio»41.

3.6 Apprezzamento e valorizzazione delle altre culture

Da questi passi si intuisce l’apprezzamento che la Lubich nutriva per le


culture e le religioni che incontrava, dove ha sempre avvertito, come visto,
una presenza della grazia. Per scoprire questo aspetto, una fonte molto ricca
e interessante sono i vari diari che la fondatrice dei Focolari usava mante-
nere nel corso dei suoi viaggi e che inviava, poi, ai membri del Movimento
in altre parti del mondo per renderli partecipi di quanto viveva. In altre oc-

nuova umanità 229 27


focus. la chiesa nella babele culturale
L’occhio profetico di Chiara Lubich. Una lettura del rapporto fra vangelo e culture

casioni, al suo ritorno, era solita raccontare a gruppi che incontrava le sue
impressioni ed esperienze, soprattutto se erano avvenute con persone di
altre culture e religioni. Nel 1997, nel corso del suo secondo viaggio in Asia,
dopo una prima fruttuosa tappa in Thailandia dove aveva incontrato e par-
lato a diversi gruppi di monaci, monache e laici buddhisti, trovandosi nelle
Filippine, sollecitata da una domanda di una cattolica, sottolineò come la
sua esperienza in Thailandia coi monaci theravada fosse stata caratterizzata
da «un arricchimento provocato da tutto ciò che di buono questi popoli han-
no ereditato nei secoli»42.

[in Thailandia] ti senti spinto alla meditazione: alla tua, natural-


mente. Ma quanta cura hanno questi buddisti perché la meditazio-
ne riesca bene e raggiunga il suo scopo! Quanta devozione nel loro
salmeggiare! Quale atteggiamento assumono in tutto il corpo, che
dice elevazione dello spirito a qualcosa di più grande di loro!43.

Ugualmente, nel gennaio del 2001, al ritorno dall’India riconobbe di aver


«scoperto diverse cose veramente meravigliose, stupefacenti»44: il senso
del divino, la ricerca dell’unione con Dio, una pratica spirituale e ascetica. Ri-
conosceva, «ho ammirato come sanno concentrarsi, come hanno il distacco
dalle cose terrene […], arrivano ad una serenità veramente interiore, ad una
calma e possiedono questo spirito di tolleranza, cioè ammettono tutti»45.

3.7 La reciprocità

Questo atteggiamento di apprezzamento e di valorizzazione verso al-


tre culture e religioni, tipico della spiritualità di comunione, è caratterizzato
e arricchito ulteriormente dalla dimensione della reciprocità. Il cosiddetto
«“farsi uno” non è soltanto […] perdere tutto ed essere nulla, ma anche
ascoltare l’altro, far venir fuori l’altro, far sì che si manifesti, far sì che poi
entri in noi, far sì che noi lo possediamo, ma dopo lui possiede anche noi
e avviene l’amore reciproco»46. Non solo. In Messico, commentando l’im-
magine della Madonna di Guadalupe, come maestra di inculturazione, la
Lubich riconosceva l’importanza di «assumere anche noi, con umiltà e ri-

28 nu 229
roberto catalano

conoscenza, quel qualcosa di valido, che offre la cultura dei nostri fratelli.
L’inculturazione esige uno scambio di doni»47. Ma la reciprocità va al di là
di questo. In secondo luogo, si dà all’interlocutore anche la possibilità di in-
teressarsi alla nostra cultura e alla nostra religione. Infatti, dopo che si è
ascoltato, il “culturalmente altro” sente «il dovere di ascoltarti, se non altro
per gentilezza, se non altro perché è logico. E ti dicono: “E tu? E tu?”. E allora
tu […] spieghi»48. Eccoci, dunque, all’annuncio.

3.8 Evangelizzazione come rispettoso annuncio

La reciprocità, infatti, tipica della spiritualità di comunione, nello spirito


di uno scambio di doni, apre alla possibilità di un annuncio caratterizzato
dal rispetto e fatto per amore. È necessario, allora, «passare al “rispettoso
annuncio” dove diciamo quanto la nostra fede afferma sull’argomento di cui
si parla, senza nulla tacere, ma per amore. E senza ombra di proselitismo» 49.

Il dialogo è vero se è animato dall’amore vero. Ora l’amore vero è


vero se è disinteressato; se no non è amore. [...] Esiste questa pos-
sibilità che ci sia un interesse nell’amare, anche nel dialogo stesso:
[…] sarebbe un’altra cosa: proselitismo. Proselitismo deve essere
fuori da questa porta, non può esserci50.

4. maria, modello di inculturazione,


e la generazione di cristo

Modello del rapporto fra vangelo e culture e/o religioni, nella prospettiva
del carisma dell’unità, è Maria. Per la Lubich, infatti, Maria è modello sia per
la possibilità di cogliere la presenza di Cristo nelle culture sia per la capacità
di generare Cristo all’interno di esse. Come accennato, era stato il viaggio
in Messico del 1997 che aveva offerto l’occasione di trovare in Maria una
strada nuova all’incontro fra le culture.

nuova umanità 229 29


focus. la chiesa nella babele culturale
L’occhio profetico di Chiara Lubich. Una lettura del rapporto fra vangelo e culture

La Madonna di Guadalupe è esempio straordinario e meraviglioso di


inculturazione, che Lei espresse attraverso il modo di presentarsi.
Non ha un volto bianco come si pensa Maria di Nazareth; ma le
sue sembianze sono quelle di una donna né bianca, né indigena.
È morena e predica così a tutti la necessità di non scontrarsi mai,
ma di fondersi sempre. Indica la sua divina maternità, simboleg-
giandola nei nastri scuri, che scendono dal petto, conforme all’u-
sanza azteca51.

Ma c’è un aspetto più tipicamente legato alla centralità di Maria nella


spiritualità di comunione. In generale, la Lubich vedeva in Maria il model-
lo dell’amore perché capace di portare «in cuore per ognuno e per ogni
popolo un amore particolare, l’amore di misericordia»52. È questo tipo di
amore che è capace di indirizzarsi alle singole persone, «ma anche alla
nazione stessa nella sua totalità»53. Questo atteggiamento mariano porta
a contribuire a generare Cristo nel cuore stesso di questi contesti altri dal
cristianesimo.

Mi chiedo: che cosa potrà scaturire dall’incontro dell’India col Gesù


offerto dal carisma dell’unità? Portando a piena maturazione i semi
del Verbo presenti in essa – lavoro immenso, ciclopico, che richie-
derà anni ed anni, forse secoli – potrebbe far scaturire Gesù dal
cuore stesso della realtà indiana. Ma in che modo? Essendo, da par-
te nostra, quella presenza di Maria, che è l’unica capace di offrire,
di donare Gesù nella sua verità più profonda, ma facendolo nascere
dal cuore stesso della realtà alla quale lo dona54.

6. una nuova prospettiva ecclesiologica

Un rapporto fra vangelo e culture come quello che abbiamo cercato di


scoprire fra le pieghe della vita e del carisma di Chiara ha delle conseguenze
fondamentali anche sull’ecclesiologia. Non solo siamo ormai lontani dall’ec-
clesiocentrismo che per più di un millennio ha visto la cattolicità più o meno
ferma sull’Extra Ecclesiam nulla salus. Chiara, in più di un’occasione, ha aper-
to a una Chiesa ad ampio respiro, come già aveva affermato in sintesi nel

30 nu 229
roberto catalano

1963: «Gesù è morto per tutti, anche per ognuno di quelli di altre religioni».
La Lubich ha maturato la convinzione che «c’è la Chiesa, ma poi c’è la Chiesa
anche fuori della Chiesa» e, riprendendo una prospettiva già espressa da
Tommaso d’Aquino, afferma che «la Chiesa non è soltanto commisurata dai
cattolici che ci sono dentro, ma è commisurata da tutte le persone per le
quali Gesù Cristo è morto. Ora Gesù Cristo è morto per tutti»55.

1
Si noterà che in questi studi i termini “cultura” e “religione” sono spesso
citati insieme o, addirittura, considerati sinonimi. In effetti, è praticamente im-
possibile separare culture e religioni. Il rapporto fra le due è di reciprocità. Da un
lato, infatti, la cultura offre il canale attraverso il quale la religione può esprimersi
e, dall’altro, la religione permea le rispettive culture con la propria spiritualità e
con la propria ritualità, senza dimenticare la terminologia (cf. G. Campese, Oltre
l’inculturazione, in S. Mazzolini [ed.], Vangelo e culture. Per nuovi incontri, Urbaniana
University Press, Roma 2017, p. 226).
2
Su questo argomento cf. L. Pandolfi, Nuovi umanesimi e inculturazione. Tran-
sculture, comunicazione massmediale e reti digitali, in S. Mazzolini (ed.), Vangelo e cul-
ture, cit., pp. 147-168.
3
Cf. G. Campese, Oltre l’inculturazione, in S. Mazzolini (ed.), Vangelo e culture,
cit., pp. 219-236.
4
Cf. papa Francesco, Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2017, Città
del Vaticano, 4 giugno 2017 (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/messa-
ges/missions/documents/papa-francesco_20170604_giornata-missionaria2017.
html).
5
Citato nel Notiziario, in «Il Concilio di Trento. Rivista commemorativa del IV
centenario», 1 (1942), p. 75, riportato da M. Nicoletti, Il mondo cattolico trentino fra il
fascismo e la guerra e le radici di Silvia Lubich, in A. Leonardi (ed.), Comunione e inno-
vazione sociale. Il contributo di Chiara Lubich, Città Nuova - Università degli Studi di
Trento, Roma 2012, pp. 13-33, qui p. 25.
6
Nel presente studio cultura e religione appariranno spesso sinonimi. È, infatti,
da tener presente che, sebbene il Movimento si sia diffuso piuttosto velocemente
in tutto il mondo, nel corso della sua vita la Lubich ha avuto un incontro profondo
con altre culture in occasione di eventi o incontri che l’hanno portata in contatto con
buddhisti (in Giappone e in Thailandia), con indù (in India), con musulmani (negli
Usa e in Medio Oriente) e con le religioni tradizionali (in Camerun).

nuova umanità 229 31


focus. la chiesa nella babele culturale
L’occhio profetico di Chiara Lubich. Una lettura del rapporto fra vangelo e culture

7
È opportuno ricordare che nel 1961 erano iniziati i rapporti con cristiani evan-
gelici e riformati e che per questo si era dato vita al Centro Uno, destinato a di-
ventare sotto la guida sapiente di Igino Giordani un punto di riferimento, non solo
nell’ambito dei Focolari, ma dell’intero movimento ecumenico.
8
Si tratta di Bruna Tommasi e Graziella De Luca.
9
Si tratta del Centro Uno, sorto nel 1961 sotto la direzione di Igino Giordani,
che la Lubich ha sempre considerato confondatore del Movimento dei Focolari. Per
maggiori dettagli cf. E.M. Fondi - M. Zanzucchi, Un popolo nato dal Vangelo. Chiara
Lubich e i Focolari, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, in particolare il capitolo Dialo-
gando, pp. 356-376.
10
C. Lubich, Domande e risposte con focolarini esterni, Ala di Stura (To), 12 agosto
1963.
11
Ibid.
12
Su questo aspetto della spiritualità di comunione nata dall’esperienza di Chia-
ra Lubich cf. C. Lubich, La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006 (M. Vandelee­
ne [ed.]), pp. 101-114.
13
Cf. ibid., pp. 130-143 e 461-483.
14
C. Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, Roma 2005, p. 29.
15
La Lubich si era recata a Fontem in Camerun, non lontano da Douala, per
visitare i primi focolarini – medici e infermieri – che vi si erano trasferiti su invito
del vescovo locale monsignor Peters per contribuire a curare l’altissima mortalità
infantile che affliggeva la popolazione locale. Per una maggiore conoscenza di que-
sta esperienza dei Focolari cf. M. Zanzucchi, Fontem. Un nuovo popolo, Città Nuova,
Roma 2002; L. Dal Soglio, Presi dal mistero. Agli albori dei Focolari in Africa, Città Nuo-
va, Roma 2013.
16
C. Lubich, La mia esperienza nel campo interreligioso: punti della spiritualità aperti
alle religioni, Aachen, Germania, 13 novembre 1998.
17
Ibid.
18
Il Premio Templeton (Templeton Prize) è un riconoscimento assegnato fin dal
1973 a persone che si sono distinte in campo religioso. Chiara ne venne insignita nel
1977 e ricevette il premio a Londra dalle mani del principe di Edimburgo, dopo una
solenne cerimonia tenutasi alla Guildhall.
19
C. Lubich, Possono le religioni essere partners sul cammino della pace?, in «Nuova
Umanità» 152 (2004/2), pp. 161-174.
20
Id., Attualità. Leggere il proprio tempo (M. Zanzucchi [ed.]), Città Nuova, Roma
2013, pp. 102-103.
21
Chiara Lubich ha visitato l’India due volte, nel 2001 e nel 2003. Sono stato
testimone diretto di quelle visite avendo vissuto in quel Paese dal 1980 al 2008.
22
C. Lubich, Diario n. 3, Diari dall’India, 3 gennaio 2001.

32 nu 229
roberto catalano

23
Id., Diario n. 1, Diari dall’India, 31 dicembre 2001.
24
Cf. Id., Risposte alla città di Loppiano, 7 febbraio 2001 (trascrizione da video
non pubblicata).
25
La Lubich spiega il “più profondo farsi uno” nel corso di una conversazione
telefonica dove comunica un pensiero spirituale a membri del Movimento sparsi in
diverse parti del mondo. «Ma allora quale l’atteggiamento nostro nei suoi confronti
[del fratello]? […] Dobbiamo […] accostarlo completamente vuoti di noi stessi e
spostare per lui anche ciò che possediamo di più bello, di più grande: il nostro stes-
so carisma, la nostra spiritualità, la nostra Opera, per essere di fronte a lui “nulla”
come Gesù Abbandonato, come Maria Desolata. […] In tal modo il fratello può ma-
nifestarsi, perché trova chi lo accoglie: può donarsi. Ma, poiché il “nulla” in noi è un
“nulla d’amore”, lo Spirito Santo […] ci dà modo di cogliere quel qualcosa di “vivo”
che è nel cuore del fratello. […] E su quel qualche cosa di “vivo” noi possiamo – ser-
vendo – innestare con dolcezza, con amore, con illimitata discrezione, quegli aspetti
della verità, del messaggio evangelico che portiamo in noi e danno pienezza e com-
pletezza a ciò che quel prossimo già crede […]. È un modo, questo, eccellente per i
continenti dove la Chiesa (e in essa anche noi) fa leva sui semi del Verbo esistenti
nelle varie culture per innestare la Vita (Gesù) su qualcosa di già vivo, come è vivo
ogni albero, anche selvatico, non ancora innestato» (C. Lubich, Collegamento CH,
28 maggio 1992).
26
F. Whaling, Christian Theology and World Religions: A Global Approach, Marshall
Pickering, Basingstoke 1986, pp. 130-131.
27
Ibid.
28
C. Lubich, Intervento alla Radio Vaticana, in «Mariapoli», 2000/2, p. 14
29
Id., Risposte ai focolarini dell’Africa, 12 maggio 1992. A questo proposito è op-
portuno chiarire che tale processo di deculturalizzazione non significa assoluta-
mente una perdita di identità. Per la Lubich l’identità, soprattutto in quanto cristiana
cattolica, è sempre stata un punto chiaro e fermo, mai oggetto di compromessi di
alcun tipo. Si tratta di deculturalizzarsi per amore di chi ci sta di fronte per attendere
il momento opportuno di donare la propria cultura e identità, senza mai imporla, ma
proponendola per amore.
30
Per questo aspetto cf. C. Lubich, Il grido, Città Nuova, Roma 2001 e 2003, e
Id., La dottrina spirituale, cit., pp. 143-155 e 503-505.
31
H. Waldenfels, Gesù crocifisso e le grandi religioni, Edizioni Dehoniane, Napoli
1987, p. 60.
32
Cf. E.M. Fondi - M. Zanzucchi, Un popolo nato dal Vangelo, cit.
33
C. Lubich, L’unità e Gesù Abbandonato, Città Nuova, Roma 1984, pp. 117-118
34
Cf. ibid.

nuova umanità 229 33


focus. la chiesa nella babele culturale
L’occhio profetico di Chiara Lubich. Una lettura del rapporto fra vangelo e culture

35
R. Catalano, La spiritualità di comunione e il dialogo interreligioso. L’esperienza di
Chiara Lubich e del Movimento dei Focolari, Città Nuova, Roma 2010, p. 155.
36
Cf. C. Lubich, La dottrina spirituale, cit., pp. 214-225.
37
Su questo argomento possono essere consultati diversi studi. Fra questi si
suggeriscono il capitolo La sapienza delle nazioni, nel libro di J. Daniélou, Messaggio
evangelico e cultura ellenistica, Il Mulino, Bologna 1975 (originale francese, 1969),
pp. 51-90. È opportuno ricordare, poi, che la Lubich era ben cosciente che il ruo-
lo degli insegnamenti di questi Padri della Chiesa come opportuno fondamento
al rapporto della Chiesa con le culture e le religioni è stato riconosciuto espli-
citamente in autorevoli documenti successivi al Concilio Vaticano II. Cf. Pontifi-
cio consiglio per il dialogo interreligioso e congregazione per l’evangelizzazione
dei popoli, Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e
l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, 19 maggio 1991, nn. 24-25; Commissione te-
ologica internazionale, Il cristianesimo e le religioni, in «La Civiltà Cattolica» 148
(I/1997), pp. 146-183, nn. 40- 45.
38
C. Lubich, Risposte ai focolarini dell’Africa, 12 maggio 1992.
39
Id., Risposte alla città di Loppiano, 7 febbraio 2001.
40
Confusione fra le religioni o conferme per un’unica fede universale? Questa
la tentazione di alcuni, forse, ma non della Lubich che, a un giornalista svizzero che,
ancora nel 1998, aveva azzardato se fosse «favorevole ad un annullamento delle
frontiere tra le religioni, tendendo così ad un’unica religione su questa terra», aveva
con fermezza chiarito: «No, assolutamente no, assolutamente no. […] Ho detto che
nelle altre religioni, pur essendo congegnate ognuna in una maniera diversa, ci sono
dei “semi di verità”, noi andiamo cercandoli, questi semi, per poter avere un qualco-
sa di comune su cui parlare, su cui agire». Su questo punto c’è sempre stata non solo
chiarezza da parte della Lubich e dei Focolari, ma anche impegno a non dare adito a
soluzioni sincretiste o, anche solo, a scorciatoie pericolose.
41
C. Lubich, Risposte alla città di Loppiano, 19 febbraio 1986.
42
Id., Diari dall’Asia. Tagaytay (Filippine), 10 gennaio 1997.
43
Ibid.
44
C. Lubich, Risposte alla città di Loppiano, 7 febbraio 2001.
45
Ibid.
46
C. Lubich, Risposte ai focolarini dell’Africa, 12 maggio 1992.
47
Id., Discorso al Santuario della Madonna di Guadalupe, Città del Messico, 7 giu-
gno 1997.
48
Id., Risposte alla città di Loppiano, 7 febbraio 2001.
49
Ibid.
50
C. Lubich, Risposte al convegno degli amici di convinzioni non religiose, Castel
Gandolfo, 8 febbraio 1998.

34 nu 229
roberto catalano

51
Id., Discorso al Santuario della Madonna di Guadalupe, Città del Messico, 7 giu-
gno 1997.
52
Id., Maria (B. Leahy - J. Povilus [edd.]), Città Nuova, Roma 2017, p. 131.
53
Ibid.
54
C. Lubich, Diario n. 3, Diari dall’India, 3 gennaio 2001.
55
Id., Risposte alla città di Loppiano, 7 febbraio 2001.

nuova umanità 229 35


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nu 229
focus. la chiesa nella babele culturale

Inculturazione ed
evangelizzazione alla luce
del carisma dell’unità

Jesús
Morán
1. esprimere l’inespresso
copresidente
del movimento
dei focolari. Il tema dell’inculturazione è legato al mistero dell’in-
filosofo, teologo. carnazione del Verbo e, in questo senso – anche se la
riflessione è venuta dopo – diremmo che è un tema
centrale nella storia della rivelazione1. Quindi l’incultu-
razione – in quanto legata all’incarnazione del Verbo – è
centrale per la fede cristiana e quindi per la storia della
Chiesa. L’inculturazione comincia proprio con l’incarna-
zione e possiamo notare che il primo esempio di incultu-
razione del vangelo – e quindi del cristianesimo – sono i
Vangeli stessi: ogni Vangelo è già un’inculturazione del
messaggio rivelato di Gesù.
In seguito troviamo, già nel Nuovo Testamento, l’in-
sorgere di tensioni particolari che dimostrano quanto
l’inculturazione sia la prima vera problematica della
Chiesa nascente. Per esempio, nella Prima lettera ai
Corinzi notiamo la tensione tra l’annuncio di Gesù Cri-
sto come centro del kérigma, «Non conosco che Cristo
e Cristo crocefisso» (cf. 1 Cor 2, 1-2), e, più oltre, l’esi-
genza di Paolo di farsi Greco con i Greci e Giudeo con
i Giudei (cf. 1 Cor 9, 19-23). Pertanto c’è un solo mes-
saggio centrale che va, però, mediato all’interno delle
diverse culture.

nuova umanità 229 37


focus. la chiesa nella babele culturale
Inculturazione ed evangelizzazione alla luce del carisma dell’unità

C’è, poi, molto conosciuta, la questione del rapporto e delle relative ten-
sioni tra i cristiani di ascendenza ebraica e quelli che venivano dal paganesi-
mo (cf. At 10.11.15). Infatti vi era stato un momento in cui nella Chiesa sem-
brava che la mediazione ebraica, da cui proveniva il kérigma, dovesse essere
l’unica mediazione possibile. Le situazioni, invece, sotto la spinta dello Spi-
rito, hanno condotto la Chiesa nascente a capire, in modo inequivocabile,
che occorreva, in qualche modo, sapersi affrancare dalla cultura ebraica per
poter evangelizzare tutto il mondo di allora.
Quindi constatiamo già questa problematica, che possiamo chiamare
la tensione dell’inculturazione, presente all’inizio della Chiesa. Ciò vuol dire
che l’inculturazione non è un problema della Chiesa in Africa o della Chiesa
in America, è un problema della Chiesa tout court, perché ha a che vede-
re con l’evangelizzazione stessa, essendo la rivelazione un fatto storico in
quanto Dio ha voluto entrare nella storia umana.
Ora, questa prospettiva non è stata oggetto di riflessione immediata da
parte della stessa Chiesa, tanto meno della comunità cristiana e solo molto
recentemente si è preso coscienza di tale problematica. Infatti, per affron-
tare la questione della necessaria mediazione culturale della rivelazione,
si è dovuto aspettare il periodo in cui il cristianesimo è stato chiamato a
confrontarsi con le grandi trazioni culturali e spirituali degli altri continenti
(America, Asia, Africa). A quel punto la prima mediazione, avvenuta all’in-
terno della cultura greco-latina, ha mostrato tutte le sue insufficienze ed è
così che, lentamente e non senza scossoni e tensioni, è incominciata una
riflessione approfondita sulla questione.
Di tutta questa storia, vorrei sottolineare solo un aspetto, un’idea che
comincia a farsi largo sin dai primi pronunciamenti della Chiesa in materia e
che culmina – a mio avviso – esplicitamente solo con papa Francesco.
Prima, però, desidero prendere in esame un testo sorprendente della
Congregazione di Propaganda Fide che esisteva già nel 1600: è un testo del
1659, da cui traspare come questa questione fosse già una problematica
presente non appena il cristianesimo arriva nel “nuovo mondo” e in partico-
lar modo nell’evangelizzazione dell’America Latina e dell’Asia.

38 nu 229
jesús morán

Non fate alcun uso di zelo, non proponete argomenti per convin-
cere questi popoli a cambiare i loro riti, i loro costumi e i loro usi,
a meno che questi siano evidentemente contrari alla religione e
alla morale. Che cosa c’è di più assurdo che il voler trasferire tra i
Cinesi, la Francia, la Spagna, l’Italia o qualche altro Paese d’Euro-
pa? Non introducete tra loro i nostri Paesi ma la fede, quella fede
che non respinge, né ferisce i riti o gli usi di un popolo, purché non
siano detestabili, ma che, al contrario, vuole che siano conservati
e li protegge 2 .

È davvero sorprendente la presenza di questa dichiarazione già nel 1659:


«Che c’è di più assurdo che trasferire tra i cinesi la Francia, la Spagna, l’Italia
o qualche altro Paese dell’Europa?». Perché questo “trasferire” si riferisce
alla tradizione teologica. In altri termini si sta dicendo, con parole inequi-
vocabili, che è assurdo pensare di esportare in queste realtà culturali così
diverse la mediazione teologica elaborata in Europa! Eppure, se guardiamo a
quanto è successo in questi secoli da allora, non è che le cose siamo andate
nella direzione auspicata da questa dichiarazione.
La riflessione sull’inculturazione e i cambiamenti li stiamo comincian-
do a vedere adesso con i documenti dell’episcopato americano, di quello
africano e di quello asiatico. Ma soprattutto a partire dal Concilio Vatica-
no II. E qui bisognerebbe fare un ripasso soprattutto della Lumen gentium,
della Gaudium et spes e del documento Ad gentes, in cui si incomincia ad
affrontare seriamente questo tema.
In questa sede, però, è sufficiente sottolineare un’idea che credo si stia
facendo strada pian piano: quella di considerare l’inculturazione come fon-
damentale per il progresso dogmatico. Quindi non solo come un elemento
strumentale all’evangelizzazione, ma come qualcosa che può illuminare la
rivelazione stessa, favorire la sua comprensione e, di conseguenza, il pro-
gresso dogmatico.
Cito solo alcuni testi – in successione – per mostrare come questa idea
cominci a farsi strada. Infatti, a partire dal Vaticano II fino ad oggi, quasi
tutti i documenti della Chiesa toccano il tema dell’inculturazione. Lo trovia-
mo addirittura in documenti come la Familiaris consortio di Giovanni Paolo
II, dove si dice: «È conforme alla costante tradizione della Chiesa accogliere

nuova umanità 229 39


focus. la chiesa nella babele culturale
Inculturazione ed evangelizzazione alla luce del carisma dell’unità

dalle culture dei popoli tutto ciò che è in grado di meglio esprimere le ine-
sauribili ricchezze di Cristo (cf. Ef 3, 8; Gaudium et spes, 15 e 22)»3.
«Meglio esprimere le inesauribili ricchezze di Cristo». Ciò vuol dire che
le mediazioni teologiche elaborate in Europa non hanno espresso tutta la
ricchezza di Cristo. Pertanto vi sono dei doni particolari che riguardano la
rivelazione, che è Cristo, che devono necessariamente provenire da altre
culture e da altre mediazioni. E questo è, in sintesi, il nocciolo della questio-
ne riguardante l’inculturazione.
Anche nel documento Ecclesia in Africa, si dice la stessa cosa. «Per l’incul-
turazione la Chiesa incarna il Vangelo nelle diverse culture e […] trasmette
a esse i propri valori, assumendo ciò che di buono c’è in esse»: siamo al nu-
mero 52 di Redemptoris missio che più avanti si esprime in maniera ancor più
esplicita sottolineando come la Chiesa «conosce ed esprime ancor meglio
il mistero di Cristo, mentre viene stimolata a un continuo rinnovamento».
Si tratta della stessa idea: necessità dell’inculturazione per meglio espri-
mere il mistero di Cristo. Alcuni teorici dell’evoluzione del dogma, come
Newman e altri, dicono: «Esprimere l’inespresso». Quindi l’inculturazione è
indispensabile per esprimere l’inespresso nella rivelazione cristologica, fon-
damentale per l’evangelizzazione in quella determinata cultura.
E tanti altri sono i testi che vanno in questa direzione. In particolare sa-
rebbe anche importante parlare della Africae munus, anche se in essa l’ac-
cento è piuttosto posto sull’inculturazione-evangelizzazione dal punto di
vista delle problematiche umane e quindi della promozione della persona.
Che questo abbia a che fare con la rivelazione lo ha espresso molto bene
Benedetto XVI nella Verbum Domini, quando dice: «Il mistero dell’Incarna-
zione ci rende noto che Dio, da una parte, si comunica sempre in una storia
concreta, assumendo i codici culturali iscritti in essa, ma, dall’altra parte, la
stessa Parola può e deve trasmettersi in culture differenti, trasfigurandole
dall’interno»4.
E qui è sottolineata una cosa importante che è bene mettere in evidenza:
e cioè che l’inculturazione non può essere semplicemente un adattamento
di tipo superficiale, un po’ folcloristico. Cioè non si tratta, tanto, di fare delle
messe dove la gente danza, perché se questo è un aspetto dell’inculturazio-
ne non è, sicuramente, quello centrale. La liturgia è certamente importante,

40 nu 229
jesús morán

ma qui si sta parlando del dogma. Infatti dice ancora Benedetto XVI: «L’in-
culturazione non va scambiata con processi di adattamento superficiale e
nemmeno con la confusione sincretista che diluisce l’originalità del Vangelo
per renderlo più facilmente accettabile»5. «L’autentico paradigma dell’incul-
turazione è l’Incarnazione stessa del Verbo»6.
Cioè l’inculturazione ha a che fare con l’incarnazione del Verbo e que-
sta incarnazione continua, perché noi continuiamo a penetrare quell’evento,
durante tutta la storia della Chiesa. È per questo che nei documenti si parla
tanto del compito dello Spirito Santo nel lavoro dell’inculturazione. Lo Spiri-
to Santo che continua la rivelazione nelle parole e nei gesti di Gesù.
Oltre ai documenti strategici della Chiesa latino-americana – in modo
particolare quelli di Puebla e di Aparecida – che in questa sede non trattia-
mo, credo che questo pensiero maturi ulteriormente e venga espresso con
più forza nella Evangelii gaudium. Si legge al numero 116:

Il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale, bensì,


«restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio
evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto
delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato»7.
Nelle espressioni cristiane di un popolo evangelizzato, lo Spirito
Santo abbellisce la Chiesa, mostrandole nuovi aspetti della Rivela-
zione e regalandole un nuovo volto.

Si coglie in queste parole un processo di evidente maturazione soprat-


tutto nella frase finale in cui viene attribuita allo Spirito Santo l’azione di mo-
strare nuovi aspetti della rivelazione. Cioè, è proprio la ricerca della teologia
africana, del Cristo africano, come di quello asiatico, a costituire il nuovo
sviluppo di comprensione della rivelazione. Non so quanto venga colto della
profondità di questa frase e delle prospettive che spalanca!
Quello che si afferma è che, dalla vita della Chiesa in Africa e dalla con-
seguente riflessione teologica, possono emergere nuovi aspetti della rivela-
zione stessa, finora non colti da altre mediazioni, dunque rimasti inespressi.
Pertanto l’inculturazione si colloca, a pieno diritto, al cuore dell’evoluzione e
del progresso del dogma.

nuova umanità 229 41


focus. la chiesa nella babele culturale
Inculturazione ed evangelizzazione alla luce del carisma dell’unità

2. il carisma dell’unità:
una spiritualità per l’inculturazione

Vi sono alcuni elementi fondamentali del carisma dell’unità, tipico del


Movimento dei Focolari, che possono aiutare in questo processo di incultu-
razione e di evangelizzazione.
In particolare credo che il Movimento possa contribuire – anche in Afri-
ca, dove è presente già da 50 anni – proprio a partire dalla sua “idea-forza”
dell’unità, che ha a che fare con la sua specifica esperienza di Dio. Questa
esperienza di Dio avviene nell’unità che per noi è – per dirla con un’affer-
mazione un po’ audace ma non priva di fondamento – la spiritualità di Cri-
sto. Questo ci porta a un triplo “farci uno”: con il vangelo, con la Chiesa e
con l’uomo, come ci insegna Klaus Hemmerle. E in queste tre dimensioni si
esplicita il nostro modo di vivere l’inculturazione.
La scoperta che ha fatto Chiara Lubich in Africa – quando è andata prima
a Fontem, in Camerun, negli anni ’60 e in seguito a Nairobi nel ’92 – è che
questa spiritualità è una spiritualità adatta e predisposta all’inculturazione.
Prima lei non lo aveva capito: è dovuta andare in Africa per rendersi conto
che questa spiritualità dell’unità aveva in sé anche questa potenziale spinta
all’inculturazione. E questo è possibile a causa del suo “nucleo fondante”,
ossia ciò che costituisce il cuore del carisma stesso.
La rivelazione di Dio Amore è la prima scoperta e il punto di partenza
del Movimento dei Focolari. Non a caso si tratta proprio della realtà che
è il centro del kérigma (Prima lettera di Giovanni), e cioè la rivelazione del
volto paterno di Dio. Poi, come secondo punto, la scoperta della presenza
del Risorto in chi vive l’amore reciproco che porta, di conseguenza, a spe-
rimentare la presenza di Gesù nella comunità cristiana animata dalla carità
reciproca. È ciò che chiamiamo “Gesù in mezzo a noi” e che sperimentiamo
come evento che fonda la Chiesa.
Il terzo cardine è il mistero dell’abbandono di Gesù in croce come chia-
ve esistenziale che rende possibile la presenza del Risorto in mezzo a noi.
Gesù abbandonato è colui che ci fa capaci di “perdere” tutto quello che noi
siamo – quindi anche la nostra cultura – per poter essere vuoti e pronti ad
accogliere la realtà dell’altro. Solo così Gesù può farsi presente.

42 nu 229
jesús morán

Visto dalla prospettiva di questa conversazione si può e si deve proprio


asserire che è proprio Gesù abbandonato la chiave di quella “decostruzio-
ne culturale” indispensabile per poterci, poi, inculturare nell’altro, per poter
rea­lizzare una vera inter-inculturazione.
Quindi Maria, come quarto pilastro e forma di questo “tipo” di cristiano
che vive la realtà dell’unità. Infine, quinto elemento, l’ut omnes visto come
l’orizzonte finale a cui tende tutto questo processo. Infatti, l’orizzonte fina-
le del processo di inculturazione e di evangelizzazione è il «Che tutti siano
uno». Ciò vuol dire andare al di là della Chiesa stessa fino ad arrivare a tutti
gli uomini e costruire quell’umanità nuova che, per la forza del Risorto, è già
in essere anche se non ancora del tutto manifesta.

3. maria, forma e maestra dell’inculturazione

Soffermiamoci in particolare su Maria, perché il Movimento dei Focolari


è Opera di Maria. Maria per noi non è una devozione, è una realtà esisten-
ziale, profondamente teologica e con una portata anche culturale. Se abbia-
mo detto che l’inculturazione è profondamente vincolata all’incarnazione, è
evidente che non c’è incarnazione senza Maria perché Dio ha avuto bisogno
delle carni di Maria per poter diventare uomo.
Questo ci fa molto riflettere perché solo una Chiesa mariana, una Chiesa
che sia Maria – come dice il Concilio Vaticano II –, figura di Maria, che è un
nulla d’amore, può far sì che Cristo si inculturi di nuovo nelle diverse culture.
Per questo Maria è la forma del cristiano, è la forma dell’inculturazione. Per
questo l’Opera di Maria è in piena vocazione nel lavoro di inculturazione.
Personalmente posso dire che ho potuto vivere nelle mie carni – oltre
che approfondendo e studiando alcuni documenti – questa forza di Maria
riguardo all’inculturazione e all’evangelizzazione quando ho vissuto per
quattro anni in Messico.
Ed è lì che Chiara Lubich andando nel ’97 ha parlato, nella basilica di
Guadalupe, di Maria come “maestra di inculturazione”. Ora se si studia a
fondo il fenomeno guadalupano, ci si rende conto di quanto questa affer-
mazione sia vera.

nuova umanità 229 43


focus. la chiesa nella babele culturale
Inculturazione ed evangelizzazione alla luce del carisma dell’unità

Si sa che la conquista del Messico è avvenuta nel 1521, e l’evento gua-


dalupano accade nel 1531, dieci anni dopo. Qual era, allora, la situazione
del popolo messicano? Era di desolazione totale perché era stato sconfitto
militarmente, era stato annullato culturalmente e religiosamente. I missio-
nari hanno, certamente, cercato di amare le popolazioni indigene con tutto
il cuore e con tutte le loro forze, ma hanno sempre considerato la loro reli-
giosità, profondamente legata alla cultura, come qualcosa di diabolico. Per-
tanto l’immagine e il modello del Dio che portavano i missionari, in pratica,
le aveva annientate, nonostante l’amore concreto dei missionari.
Cosa succede nel ’31? Maria appare a un indio sulla montagna del Te-
peyac, che era la montagna più amata dagli indigeni perché era il santuario
della dea Tonantzin. E, soprattutto, appare come una ragazza meticcia. Ora,
se pensiamo che erano passati appena dieci anni, ancora non potevano esi-
stere ragazze meticce, al massimo bambine con meno di dieci anni. Maria,
invece, appare come una ragazza di quattordici o quindici anni, meticcia e
adornata con tutti i simboli della religiosità indigena. E occorrerebbe analiz-
zare tali simboli, uno per uno, per rendersi conto di quanto ogni elemento sia
un evidente indice di inculturazione.
Due aspetti vorrei sottolineare di tale evento. Il primo riguarda il fatto
che il dipinto stesso è, in sé, un codice per gli indigeni, infatti nella cultura
azteca i libri erano sostanzialmente dei codici pittorici. Quindi loro nel dipin-
to hanno letto tutto e hanno scoperto se stessi. Un ruolo particolare, oltre ai
vestiti, lo riveste il broche (gioiello) che porta al collo la Madonna e che era
la caratteristica delle divinità.
Questo, di per sé, poteva essere interpretato in maniera sincretista, però,
a guardar bene l’immagine, ci si accorge che nel broche è rappresentata una
croce. Quindi Maria non si confonde con una divinità: lei è la madre, la ma-
dre di Dio, la madre di quel Dio che è morto in croce, e mostra il suo Figlio.
Cosa succede, dunque, di veramente nuovo a Guadalupe? Che il modo in
cui Maria appare e si mostra legittima tutta la religiosità anteriore. Come se
Maria dicesse agli indigeni: «Tutto quello che avete vissuto prima era buono,
ma ora vi mostro una novità: quel Dio è mio Figlio, è Gesù». E gli indigeni si
convertono in massa.

44 nu 229
jesús morán

E c’è ancora un altro dettaglio importante. Infatti cosa chiede la Madon-


na? Chiede che sia costruito un tempio da parte del vescovo. Ora questo
aveva un’enorme importanza per gli indigeni, perché quando si costituiva
uno Stato, una società, la prima cosa che si realizzava era un tempio.
Pertanto la Madonna, chiedendo di costruire un tempio, indicava che ad
essere ricostruito sarebbe stato anche lo Stato messicano. Ma ciò sarebbe
avvenuto tramite un nuovo popolo che doveva nascere dalla fusione tra spa-
gnoli e indigeni.
Abbiamo un esempio storico che non c’è incarnazione senza Maria. Ma-
ria è maestra di incarnazione, di inculturazione, e noi come Opera di Maria
avvertiamo che questo è il contributo specifico che possiamo dare: aiutare
la Chiesa ad essere sempre più Maria.

1
Versione rivista della conferenza tenuta ai professori della Facoltà di Teologia
della Catholic University Eastern Africa (Cuea) e del Tangasa College a Nairobi, il 21
maggio 2016.
2
Le Siège apostolique et les Missions, Union missionaire du Clergé, Paris 1959:
citato in H. Carrier, Dizionario della Cultura. Per l’analisi culturale e l’inculturazione (“In-
culturazione”), LEV, Città del Vaticano 1997.
3
Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 10.
4
Benedetto XVI, Verbum Domini, 114.
5
Cf. Ad gentes, 22; Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia
nella Chiesa (15 aprile 1993), IV, B: Ench. Vat. 13, n. 3111-3117.
6
Benedetto XVI, Verbum Domini, 114.
7
Cf. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 40.

nuova umanità 229 45


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nu 229
focus. la chiesa nella babele culturale

Carismi ed evangelizzazione
della cultura

Vincenzo
dal vaticano ii all’evangelii gaudium
Zani
arcivescovo Questo tema riveste un’indiscussa rilevanza per le
cattolico sfide che la cultura, intesa in senso globale, e le cultu-
italiano. re locali stanno attraversando in ogni area del mondo,
segretario della a causa dell’erosione dei loro valori tradizionali e dell’in-
congregazione
per l’educazione
sorgenza di problemi inediti che le interpellano in modo
cattolica. radicale. Ovviamente, anche il compito che la Chiesa si
è sempre data, di annunciare il messaggio del vangelo a
ogni uomo e a tutto l’uomo, proprio per questa destina-
zione universale, ne è fortemente interpellato.
Una particolare attenzione da parte della Chiesa
verso le condizioni e le aspettative segrete degli uomi-
ni e delle donne del nostro tempo, e quindi anche verso
la loro cultura, è venuta in forte evidenza nel Concilio
Vaticano II, al termine del quale, diceva Paolo VI, «tut-
ta la ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione:
servire l’uomo»1. «Siamo i cultori dell’uomo», è un’altra
delle formule audaci di Paolo VI, che all’inizio è stata
mal compresa, ma che esprime una delle intuizioni più
ricche del Vaticano II, confluite nella costituzione pasto-
rale Gaudium et spes. Questo documento resta la porta
aperta sul mondo e sulla cultura d’oggi e sull’uomo at-
tuale, i suoi bisogni e le sue speranze. Ad esso hanno
dato un’eco straordinaria e una concretizzazione l’esor-
tazione post-sinodale Evangelii nuntiandi (1975) di Paolo

nuova umanità 229 47


focus. la chiesa nella babele culturale
Carismi ed evangelizzazione della cultura

VI, il discorso di Giovanni Paolo II all’Unesco, il 2 giugno 1980, e la decisione


dello stesso pontefice di creare, il 20 maggio 1982, il Pontificio Consiglio per
la cultura. Dopo il ricco magistero di Benedetto XVI, sull’argomento, oggi
papa Francesco sta rilanciando energicamente la missione di evangelizzare
la cultura.
Per proporre qualche riflessione sull’attualità di questo argomento, vor-
rei prendere spunto dal documento preparatorio del prossimo Sinodo dei
Vescovi sui giovani e la fede. Esso fa riferimento alle condizioni attuali della
cultura e afferma che

la rapidità dei processi di cambiamento e di trasformazione è la


cifra principale che caratterizza le società e le culture contempo-
ranee (cf. Laudato si’, 18). Ci troviamo in un contesto di fluidità e di
incertezza mai sperimentato in precedenza: è un dato di fatto da
assumere senza giudicare aprioristicamente se si tratta di un pro-
blema o di una opportunità. Questa situazione richiede di assumere
uno sguardo integrale e acquisire la capacità di programmare a lun-
go termine, facendo attenzione alla sostenibilità e alle conseguenze
delle scelte2.

Con sguardo aperto e prospettico, si deve considerare il rapporto che vi


può essere tra l’impegno per l’evangelizzazione della cultura e l’attualità dei
carismi, considerati in se stessi, ma soprattutto nella loro capacità di influire
sulla cultura e di produrre nuova cultura. Su questo terreno occorre porre
anche le complesse problematiche riguardanti il mondo giovanile e il tema
delle vocazioni, in costante e generale diminuzione, e che sono motivo di
preoccupazione per tutte le realtà ecclesiali.
Partiamo da un interrogativo: che significa evangelizzare la cultura? Nel-
la sua storia millenaria, la Chiesa ha progressivamente allargato gli orizzonti
della sua opera evangelizzatrice partendo, all’inizio, dall’attenzione prestata
ai poveri, agli oppressi, agli ammalati e, nei secoli successivi, creando scuo-
le, università, ospedali. Più tardi, ha incluso nel campo della sua pastorale
la gioventù, il mondo operaio e rurale, le professioni, la famiglia, le classi
sociali, l’opinione pubblica, i media. La Chiesa, insomma, è sempre andata
oltre una visione strettamente privata e individualistica della sua missione e

48 nu 229
vincenzo zani

ha ugualmente considerato come oggetto d’evangelizzazione gruppi e fatti


collettivi, come le correnti di pensiero e le mentalità dei vari ambienti sociali.
Ciò è accaduto in obbedienza al mandato di Gesù agli apostoli di annunciare
la buona novella a tutte le nazioni.
Questa missione di testimonianza universale ha prodotto lungo i seco-
li una cultura impregnata di valori cristiani, destinata a penetrare tutti gli
aspetti della vita umana e sociale. Oggi tuttavia assistiamo, come già de-
nunciava Paolo VI, alla rottura tra vangelo e cultura, che costituisce il dram-
ma della nostra epoca3. Questo fenomeno ha fatto prendere coscienza ai
cristiani che le culture come tali devono diventare un terreno privilegiato
di evangelizzazione. Giovanni Paolo II riprese più volte questo tema affer-
mando che «la preoccupazione d’evangelizzare le culture non è nuova per la
Chiesa, ma presenta problemi che hanno un carattere di novità in un mondo
segnato dal pluralismo, dallo choc delle ideologie e da profondi mutamenti
di mentalità»4.
Anche papa Francesco, in particolare nell’esortazione Evangelii gaudium,
ha impresso un impulso straordinario alla missione della Chiesa di annunciare
il vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in ogni circostanza e senza paura (cf. EG, 23).
Gli insegnamenti degli ultimi pontefici, nella linea del Concilio Vaticano
II, invitano a evangelizzare non in maniera decorativa e superficiale, ma in
modo vitale e fino a raggiungere le radici della cultura e delle culture dell’uo-
mo, partendo dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra
loro e con Dio.
In questo orizzonte, ci domandiamo quale possa essere il ruolo specifico
che svolgono i carismi nel compito urgente della Chiesa di evangelizzare la
cultura.

1. la forza trasformatrice dei carismi

È utile, a tale proposito, riprendere alcuni significativi passaggi della let-


tera Iuvenescit Ecclesia della Congregazione per la dottrina della fede, sulla
relazione tra i doni gerarchici e i doni carismatici per la vita e la missione
della Chiesa.

nuova umanità 229 49


focus. la chiesa nella babele culturale
Carismi ed evangelizzazione della cultura

Siamo, infatti, in presenza di un documento che finalmente fornisce un


chiaro quadro di riferimento teologico sul tema dei carismi, sull’ecclesiolo-
gia del Concilio Vaticano II, sulla riflessione del magistero pontificio post-
conciliare circa le nuove realtà ecclesiali, con riferimento al rapporto tra
“doni gerarchici” e “doni carismatici”5.
Di fondamentale importanza, nel documento, è la matura presa di co-
scienza ecclesiale circa il fatto che l’intera vita e l’intera missione della Chiesa
siano animate e promosse dall’opera dello Spirito Santo. Egli rende presente a
ogni tempo e a ogni luogo l’evento di Gesù Cristo attraverso la sinergia, ap-
punto, dei doni gerarchici che si esprimono – in virtù del sacramento dell’or-
dine – nel ministero dei pastori, e dei doni carismatici che sono disseminati
con larghezza nel popolo di Dio dallo Spirito del Signore.
Oggi, si legge nel documento, si può affermare che, insieme ai doni ge-
rarchici, gli autentici carismi vanno considerati come «doni di importanza
irrinunciabile per la vita e la missione ecclesiale» (n. 9), benché i carismi,
nelle loro forme storiche, non siano mai garantiti per sempre (cf. n. 13). Va,
pertanto, notata una convergenza, da parte del magistero ecclesiale, nel ri-
conoscere la coessenzialità tra doni gerarchici e doni carismatici.
Il loro valore va colto in rapporto all’edificazione della Chiesa, come
unico Corpo di Cristo, ma va considerato soprattutto in ordine allo slancio
missionario nell’annuncio del vangelo di Gesù e nella prospettiva della testi-
monianza concreta del servizio sociale della carità, da attuare guardando in
primo luogo a coloro che in qualunque forma sono esclusi e scartati.
Nel 1998, l’allora cardinale Joseph Ratzinger diceva: «Si hanno sempre
nuove irruzioni dello Spirito Santo, che rendono sempre viva e nuova la
struttura della Chiesa»6. Si tratta di quelle «ondate di movimenti, che riva-
lorizzano di continuo l’aspetto universalistico della missione apostolica e la
radicalità del vangelo, e proprio per questo servono ad assicurare vitalità e
verità spirituali alle Chiese locali»7.
È importante il passaggio del documento in cui si afferma che i doni ca-
rismatici sono dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi
da altri e continuati nel tempo. Essi possono generare affinità, prossimità
e parentele spirituali, dando vita a vere e proprie famiglie spirituali. Inoltre,
certi carismi hanno una forza aggregante che aiuta a vivere pienamente la

50 nu 229
vincenzo zani

propria vocazione cristiana come pure imprimono slancio per un servizio


della missione ecclesiale (cf. n. 16).
Tra i vari criteri indicati per il discernimento dei doni carismatici, il docu-
mento ricorda l’impegno alla diffusione missionaria del vangelo, la testimo-
nianza di una comunione fattiva con tutta la Chiesa, la stima reciproca con
altre componenti carismatiche nella Chiesa, la dimensione sociale dell’e-
vangelizzazione (cf. n. 18).
In sintesi, riferendosi all’attualità dei carismi, il documento presen-
ta i seguenti passaggi fondamentali: i carismi sono teologicamente legati
all’ecclesiologia del Concilio Vaticano II; sono l’espressione dell’opera del-
lo Spirito Santo e sono donati per l’intera vita della Chiesa; sono finalizzati
soprattutto a dare nuovo slancio missionario nell’annuncio del vangelo di
Gesù; hanno forza aggregante e diventano più efficaci sul piano sociale e
culturale nella misura in cui dialogano tra loro e danno testimonianza di una
comunione fattiva.
L’esortazione apostolica Evangelii gaudium, che è sicuramente una delle
principali fonti ispiratrici di Iuvenescit Ecclesia, indica gli stessi elementi che
racchiudono la funzione dei carismi al servizio della comunione evangeliz-
zatrice. «Essi – scrive papa Francesco – sono doni per rinnovare la Chiesa»
(n. 130). Un segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, cioè la
sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del popolo santo di Dio
per il bene di tutti.

2. l’importanza della cultura


per capire l’uomo e annunciargli il vangelo

Se consideriamo che il vangelo va annunciato «a tutti, in tutti i luoghi,


in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura» (EG,
23), in altre parole, se partiamo dal carattere “universalistico” della missione
evangelica, allora notiamo che la dimensione culturale assume una rilevan-
za fondamentale, perché l’uomo non può che nascere e crescere immerso
nella cultura. In tale prospettiva i carismi svolgono un ruolo determinante.

nuova umanità 229 51


focus. la chiesa nella babele culturale
Carismi ed evangelizzazione della cultura

Negli ultimi decenni, il tema della cultura è diventato sempre più og-
getto di una chiara presa di coscienza ai vari livelli della società, come
pure da parte della Chiesa. Il Concilio Vaticano II segna in tale senso una
svolta: è il primo concilio a trattare esplicitamente della cultura umana e
delle culture di questo tempo, e dagli anni del Concilio questa attenzione
è andata crescendo.
Con l’evoluzione della società si è sviluppato anche il concetto di cultura
ed è divenuto una categoria più dinamica. La Chiesa stessa dà un’accezione
dinamica alla parola cultura quando parla del suo impegno di evangelizza-
zione delle culture, di incontro delle culture, di inculturazione8.
Utilizzando questa concezione moderna della cultura, si comprende la
definizione che ne danno i testi del Vaticano II. La costituzione Gaudium et
spes dice:

Con il termine generico di “cultura” si vogliono indicare tutti quei


mezzi con i quali l’uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di
anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso
con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale sia
nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del
costume e delle istituzioni; infine, con l’andar del tempo, esprime,
comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspira-
zioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi
di tutto il genere umano. Di conseguenza, la cultura presenta ne-
cessariamente un aspetto storico e sociale e la voce “cultura” assu-
me spesso un significato sociologico ed etnologico (n. 53).

Così si può dire che la Chiesa aggiorna e modernizza la propria visione


della cultura e il Concilio Vaticano II è stato esso stesso un avvenimento
culturale, dischiudendo uno sguardo nuovo sulle culture in seno alle quali
la Chiesa deve attualmente agire. Esso ha colto il carattere drammatico dei
mutamenti che investono le società odierne e le sfide che rappresentano le
culture emergenti. L’umanità diventa consapevole di entrare in un’età nuova
della storia; per questo la presente generazione deve sforzarsi di compren-
dere il mondo attuale con le sue attese, le sue aspirazioni, i suoi drammi, che
si ripercuotono inevitabilmente anche sul piano religioso.

52 nu 229
vincenzo zani

Se, agli occhi di taluni, il progresso del sapere e dello spirito critico ha
contribuito a purificare una concezione magica del mondo, per altri lo svi-
luppo scientifico condurrebbe a un rifiuto di Dio e della religione. Il Concilio
ha optato per una valutazione a un tempo positiva e critica del progresso
scientifico e tecnico. E in questa linea si colloca l’intero magistero ecclesiale
del dopo Concilio, fino a papa Francesco il quale, nell’enciclica Laudato si’,
da una parte denuncia i mali che stanno minando il mondo attuale – quali
l’inquinamento, la cultura dello scarto, i problemi del clima, dell’acqua, dell’i-
niquità planetaria nonché il deterioramento della qualità della vita umana –,
ma dall’altra rivolge l’appello a tutti, convinto che «l’umanità ha ancora la
capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune» (n. 13). Il vero
progresso culturale dell’uomo è, di per sé, aperto al trascendente: ecco per-
ché il vangelo può essere, in ogni tempo, generatore di cultura. La Chiesa,
con la sua missione di annunciare il vangelo, può così concorrere all’opera
civilizzatrice. La cultura si presenta, in tale prospettiva, come la dignità stes-
sa dell’uomo e il suo bisogno più radicale9.
L’Opera di Maria, modellata a partire dal carisma dell’unità di Chiara
Lubich e ispirata dalle linee del Concilio, grazie alla sua straordinaria espe-
rienza e alle sue articolazioni nei vari campi ecclesiali e socio-culturali, può
offrire un contributo originale e specifico al progetto culturale della Chiesa
per il mondo di oggi, proprio nella prospettiva tracciata dalla Gaudium et spes
e aggiornata dal recente magistero ecclesiale.

3. gli orientamenti del magistero pontificio

I pontefici del post Concilio hanno utilizzato correntemente il linguaggio


dell’analisi e dell’azione culturale. Scorrendo i numerosi testi del magistero
pontificio, si possono rinvenire pagine dense e interessanti che dimostra-
no un’attenzione speciale alla cultura moderna. Mi soffermo brevemente in
particolare sulle figure di Paolo VI e Francesco. Infatti, nei pronunciamenti
del papa attuale ritorna costantemente il riferimento al pensiero di Paolo VI
su molte tematiche, tra le quali il rapporto tra vangelo e cultura; ed è proprio
a papa Montini che effettivamente si ispira.

nuova umanità 229 53


focus. la chiesa nella babele culturale
Carismi ed evangelizzazione della cultura

3.1 Paolo VI

Il tema della cultura e della civiltà era, infatti, particolarmente caro a


Paolo VI, che ne tratta incessantemente in molti suoi interventi. Occorre,
anzitutto, partire dalla sua prima enciclica, la Ecclesiam suam, incentrata sul
tema del dialogo intorno al quale Montini intreccia quattro priorità, che ave-
va indicato anche nel suo primo discorso ai Padri del Concilio: una più chiara
coscienza della Chiesa verso se stessa, il rinnovamento della Chiesa catto-
lica, il ristabilimento dell’unità fra i cristiani e il dialogo con il mondo con-
temporaneo e con la cultura che lo caratterizza. Paolo VI parla del dialogo
della salvezza (colloquium salutis) che Dio stabilisce con l’umanità mediante
la rivelazione e la chiamata alla fede, e proprio questo dialogo costituisce la
missione evangelizzatrice della Chiesa. Poi, la sua famosa enciclica Populo-
rum progressio (1967), che può essere considerata un’enciclica sulla cultu-
ra del progresso umano, è stata giudicata da alcuni come un evento della
civiltà. Un terzo documento, ancora più centrato sull’argomento, è la nota
esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975). Essa costituisce come la
carta dell’evangelizzazione delle culture, con il suo impegnativo compito af-
fidato alla Chiesa di costruire la “civiltà dell’amore”. Scriveva papa Montini
nell’incipit dell’esortazione: «L’impegno di annunciare il Vangelo agli uomini
del nostro tempo animati dalla speranza, ma, parimenti, spesso travagliati
dalla paura e dall’angoscia, è senza alcun dubbio un servizio reso non solo
alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità» (n. 1).
L’esortazione prende spunto dal Sinodo dei Vescovi del 1974, convocato
per studiare l’evangelizzazione del mondo contemporaneo. La varietà degli
interventi durante i lavori dell’assemblea era stata tale da rendere impossi-
bile pubblicare il consueto messaggio finale, ma il frutto delle discussioni
fu consegnato al papa, perché fosse lui a trarne le conclusioni e a darne le
eventuali indicazioni pastorali.
Paolo VI individuò nel lavoro sinodale quattro domande brucianti, che
rimandavano a una questione più radicale: l’energia del vangelo era an-
cora capace di scuotere la coscienza dell’uomo? Fino a che punto e come
la forza del vangelo era in grado di trasformare veramente l’uomo del XX
secolo? Quali metodi usare perché la potenza del vangelo potesse rag-

54 nu 229
vincenzo zani

giungere i suoi effetti? Dopo il Concilio la Chiesa si sentiva ancora capa-


ce di annunziare il vangelo e di farlo penetrare nel cuore degli uomini?
Questioni rilevanti, che Montini affrontò fin dall’inizio del documento, con
un’affermazione programmatica: «Evangelizzare è la grazia e la vocazione
propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evange-
lizzare» (n. 14).
L’annuncio del vangelo all’uomo moderno è un atto d’amore che si fa
storia, civiltà, cultura. E possiamo dire che proprio la “civiltà dell’amore” rap-
presenta una delle più feconde prese di posizione pastorali di Paolo VI, e che
ha avuto un riflesso forte anche sul magistero successivo10.

3.2 Papa Francesco

Papa Francesco non solo conferma le posizioni di Paolo VI su questo


tema, ma con lui assistiamo a un passaggio ulteriore che pone il legame tra
vangelo e cultura in un orizzonte più ampio e aperto, definendo la cultura
come uno strumento prezioso per comprendere le diverse espressioni della
vita di un popolo: stile di vita, modo di relazionarsi tra persone e con Dio.
Bergoglio, infatti, con un’espressione inconsueta, nell’esortazione Evangelii
gaudium (n. 115), dischiude prospettive promettenti per il pensiero della fede
cristiana. Egli scrive così: «La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si
incarna nella cultura di chi lo riceve». È un’affermazione che fa riferimento al
noto assioma scolastico «gratia supponit naturam et perficit eam»11 e s’inseri-
sce nel contesto di un richiamo alla prospettiva di Gaudium et spes, secondo
la quale l’essere umano è da concepirsi sempre come culturalmente situato,
in maniera tale che, «ogniqualvolta si tratta della vita umana, natura e cul-
tura sono quanto mai strettamente connesse» (n. 53). Il binomio natura-
cultura designa una correlazione che caratterizza la realtà antropologica
nella sua forma realistica. Infatti l’uomo è gettato nel mondo, nel processo
fattuale, ed è inserito in questo processo come sua componente costitutiva:
in una parola egli è “natura”, con un codice genetico connesso alla sfera bio-
logica. Dall’altra parte, l’uomo ha come ambito la totalità del mondo, ma allo
stesso tempo oltrepassa il mondo dato poiché “si decide” per il suo mondo:

nuova umanità 229 55


focus. la chiesa nella babele culturale
Carismi ed evangelizzazione della cultura

in una parola, egli è transitività, è un essere capace di creatività e quindi di


“cultura”12.
Nella cultura l’uomo esprime il suo essere “libertà”, l’attuazione di sé nel
tempo e nella relazione, cioè entro la situazione concreta di una determinata
epoca storica e di una precisa compagine sociale. In questo orizzonte papa
Francesco propone una visione non astratta ed evanescente, ma umanistica
della cultura, con la quale devono misurarsi l’uomo e la Chiesa con le sue
istituzioni. Essa ha al centro l’uomo, ma allo stesso tempo «comprende la
totalità della vita di un popolo» (n. 115).
Anche nell’enciclica Laudato si’ troviamo una visione consonante, quan-
do si rimarca che la cultura non va concepita soltanto «come i monumenti
del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo»
(n. 143), in quanto essa si concretizza nel «mondo di simboli e consuetudini
propri di ciascun gruppo umano» (n. 144).
Emerge, dunque, la valenza eminentemente antropologica che è implici-
ta del fenomeno dell’ambiente culturale, il quale viene così a costituire un
ordine simbolico di significati e valori, che orienta l’esistenza umana sia sul
piano individuale sia sul piano collettivo.
In questo orizzonte antropologico è interessante la consapevolezza che
papa Bergoglio ha sempre manifestato circa una complementarietà nella
differenza tra l’essere cittadino e il riconoscersi come popolo. La cittadinanza
è una “categoria logica” che indica l’appartenenza di fatto di una persona
a una società; al contrario il riferimento al popolo esige il passaggio a una
«categoria storica e mitica», poiché implica l’attuarsi lento e laborioso di un
processo di integrazione, finalizzato al costituirsi di una identità comune. È
il passaggio dal “mondo oggettivo” al “mondo di vita” che può avvenire solo
attraverso una “cultura dell’incontro”, tanto sottolineata da papa Francesco.
Poiché «popolo è la cittadinanza impegnata, riflessiva, consapevole e unita
in vista di un obiettivo o un progetto comune» (EG, 45).
La Chiesa, con le sue proposte formative, è sollecitata a collocarsi in
questa prospettiva come soggetto attivo, animato dalla coscienza che «non
serve un progetto di pochi e per pochi, di una minoranza illuminata o rap-
presentativa che si appropria di un significato collettivo. Si tratta dell’accor-
do di vivere insieme» (EG, 75).

56 nu 229
vincenzo zani

Tale compito ecclesiale, in cui si traduce la spinta di evangelizzazione,


viene ripreso ed esplicitato nel testo di Evangelii gaudium, laddove si eviden-
zia «la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di me-
scolarci, di incontrarci» (n. 87). Questa sfida, di centrale importanza, può
essere affrontata efficacemente soltanto coltivando uno “sguardo contem-
plativo” sulla città. Se si assume questo sguardo è possibile aprire gli occhi
sul fatto che – scrive il papa –

la presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e


gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli
(cioè Dio) vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraterni-
tà, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non
deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata (n. 71).

Si tratta allora di precisare, entro questo quadro, come debba essere in-
tesa ed espletata l’istanza che urge la Chiesa verso un’adeguata evangeliz-
zazione della cultura13.
Queste espressioni di papa Francesco circa la “mistica della fraternità” ci
rimandano alla bellissima meditazione di Chiara Lubich, L’attrattiva del tem-
po moderno, e cioè al compito di «penetrare nella più alta contemplazione e
rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo […]; perdersi nella folla,
per informarla del divino, come s’inzuppa un frusto di pane nel vino [perché
siamo fatti] partecipi dei disegni di Dio sull’umanità»14. È il tema dell’unità
e di Gesù in mezzo che Klaus Hemmerle esprimeva molto bene in un suo
scritto con queste parole:

Dio vuole nascere e può nascere in mezzo a noi, e il nostro amore,


che non cerca altro che lui tra l’altra persona e me, purifica la nostra
comunione e la nostra identità, tanto da renderle aperte e traspa-
renti per Dio stesso. Rimanere in Dio significa rimanere nell’amore,
donare nient’altro che questo amore nello spazio del rapporto re-
ciproco. […] Solo quando Lui può essere in mezzo a noi annuncio e
testimonianza di se stesso, siamo sulla traccia di quel nuovo io, di
quel nuovo tu, di quel nuovo noi che accompagnano le nostre do-
mande, la nostra ricerca15.

nuova umanità 229 57


focus. la chiesa nella babele culturale
Carismi ed evangelizzazione della cultura

Mi pare che qui debba essere trovata la fonte originale dell’evangelizza-


zione della cultura.
Essa si fonda essenzialmente sul vincolo indissolubile che esiste tra con-
fessione di fede e impegno socio-culturale:

La proposta è il Regno di Dio (Lc 4, 43); si tratta di amare Dio che


regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di
noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace,
di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza
cristiana tendono a provocare conseguenze sociali (n. 180).

I cristiani sono per questo invitati ad avere capacità di iniziativa nel campo
sociale e culturale, ad assumersi la responsabilità impegnativa di intervenire
attivamente: «Ciò cui si deve tendere, in definitiva – scrive il papa –, è che
la predicazione del Vangelo, espressa con categorie proprie della cultura
in cui è annunciato, provochi una nuova sintesi con tale cultura» (EG, 129).
Occorre, perciò, avere audacia per far avanzare nel mondo nuovi processi
sociali e culturali.
Se non abbiamo il coraggio di promuovere forme nuove di inculturazione
può succedere che – scrive papa Francesco – «al posto di essere creativi,
semplicemente noi restiamo comodi senza provocare alcun avanzamento
e, in tal caso, non saremo partecipi di processi storici con la nostra coopera-
zione, ma semplicemente spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa»
(n. 129). Subito di seguito a queste affermazioni, il papa scrive che i carismi
sono doni dello Spirito Santo elargiti per rinnovare ed edificare la Chiesa, e
quindi per sostenerla nella sua missione di evangelizzare la cultura (cf. n.
130).
Per camminare lungo questa traiettoria, la Evangelii gaudium suggerisce
che è necessario contrastare la logica della “mondanità spirituale”, che si
declina in due modalità profondamente connesse: «il neopelagianesimo
autoreferenziale e prometeico» ed «il fascino dello gnosticismo» (nn. 93-
97). La visione pelagiana viene indicata come la tentazione di avere fidu-
cia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché
astratte. Non a caso l’esempio più significativo è quello del dottrinalismo:
il ripiegamento nei bastioni fortificati delle certezze indiscutibili, basate su

58 nu 229
vincenzo zani

dogmi dottrinali e su norme morali fissati una volta per sempre. Per quanto
riguarda invece lo gnosticismo, esso viene richiamato per riferimento alla
tentazione dello spiritualismo: la fuga in uno spazio virtuale, alla ricerca di
un’irruzione del sacro, che alleggerisca il peso della realtà. Ancora una volta,
viene ribadito che la differenza insormontabile fra la spiritualità cristiana e
qualunque forma di spiritualismo è da ricercare nella centralità dell’incar-
nazione, dalla quale scaturisce «un umanesimo cristiano popolare, umile,
generoso, lieto»16; ed è proprio questo tipo di esperienza vissuta e testimo-
niata che dovrebbe costituire la forma e il fondo della sintesi, sempre da
riconfigurare, tra evangelo e cultura.

4. alcuni criteri e metodi di azione evangelizzatrice

La Evangelii gaudium è particolarmente ricca di spunti e sollecitazioni che


stimolano ad avviare esperienze di evangelizzazione della cultura. Anche
per quanto riguarda il contributo che possono offrire i carismi in questo
ambito vi troviamo varie indicazioni, che prendono forza da un’affermazio-
ne fondamentale. I carismi dati dallo Spirito Santo «non sono patrimonio
chiuso, consegnato ad un gruppo perché lo custodisca; piuttosto si tratta di
regali dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale, attratti verso il centro che è
Cristo, da dove si incanalano in una spinta evangelizzatrice» (n. 130).
È particolarmente interessante questo bipolarismo tra “centro” e “usci-
ta” che ritorna in più parti dell’esortazione per sottolineare che l’evangeliz-
zazione è un movimento continuo e dinamico tra la fonte vitale dello Spirito
e il compito di irradiarne la luce e l’energia.
Parlando della Chiesa in uscita, Francesco ha sottolineato l’importanza
della Parola che «ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere» (n.
22). Essa è come il seme che lavora anche quando l’agricoltore dorme e «la
Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è effica-
ce a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre
previsioni e rompere i nostri schemi» (ibid.). In questo contesto, ecco ancora
il bipolarismo: «L’intimità della Chiesa con Gesù [da un lato] è un’intimità

nuova umanità 229 59


focus. la chiesa nella babele culturale
Carismi ed evangelizzazione della cultura

itinerante [dall’altra], e la comunione si configura essenzialmente come co-


munione missionaria» (n. 23).
In questo orizzonte si possono individuare nella Evangelii gaudium vari
orientamenti di fondo e spunti pedagogici per sviluppare azioni di evange-
lizzazione della cultura. Sottolineo, ad esempio: l’invito a promuovere la cul-
tura dell’incontro (cf. nn. 20-24); la dimensione comunitaria (cf. nn. 113-121);
la formazione degli educatori (cf. nn. 145-148); l’invito a educare al bene
comune e alla pace sociale (cf. nn. 217-237); a sviluppare il dialogo tra fede,
ragione e scienze (cf. nn. 242-243).
Mentre lascio a voi il compito di approfondire i molteplici suggerimenti
offerti da papa Francesco, che interpellano tutti ma credo possano essere
uno sprone particolarmente significativo per i movimenti ecclesiali, mi limi-
to a indicare qualche criterio di azione.

4.1 I caratteri principali dell’esperienza evangelica

Ogni scelta di evangelizzazione, perché sia efficace, non può essere un


atto spontaneo o improvvisato o semplicemente ripetitivo, perché ci si rifà
a un’esperienza che si conosce, ma deve essere il risultato di un cammino
personale e condiviso. Papa Francesco scrive: «Invito tutti ad essere audaci
e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i
metodi evangelizzatori […]. L’importante è non camminare da soli, contare
sempre sui fratelli […], in un saggio e realistico discernimento pastorale»
(n. 33).
In questa prospettiva, vorrei ricordare almeno quattro aspetti.
Anzitutto, occorre partire dal cuore del vangelo per essere sempre radica-
ti nella novità del messaggio che Cristo ci ha portato. Confrontarsi e vivere la Pa-
rola significa rievangelizzarsi per farsi una coscienza della Verità che è Cristo;
discernere la verità da ogni possibile contraffazione è dovere imprescindibile;
fare la verità nel senso di viverla personalmente e comunitariamente è una
conversione permanente della propria mentalità. L’annuncio – scrive papa
Francesco – si deve concentrare «sull’essenziale, su ciò che è più bello, più
grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario» (n. 35).

60 nu 229
vincenzo zani

In secondo luogo, è indispensabile avere presente l’integralità del mes-


saggio del vangelo, che non bisogna mai mutilare. L’organicità del messaggio
rivelato impedisce di escludere qualcuna delle verità connesse all’ideale cri-
stiano. Leggiamo nella Evangelii gaudium:

Ogni verità si comprende meglio se la si mette in relazione con l’ar-


monia della totalità del messaggio cristiano, e in questo contesto
tutte le verità hanno la loro importanza e si illuminano reciproca-
mente […]. Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci
ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da se stessi
per cercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessu-
na circostanza! Tutte le virtù sono al servizio di questa risposta di
amore (n. 39).

In terzo luogo, a partire dal mistero del Verbo che si è fatto carne, l’e-
vangelizzazione deve sempre avere presente la realtà storica e la dimensione
concreta con cui si deve confrontare.

Non servono – sottolinea Francesco – né le proposte mistiche sen-


za un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi
sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore […].
Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso
cristiano all’impegno e all’attività (n. 262).

Un quarto aspetto consiste nell’universalità dell’annuncio evangelico. La


verità che Gesù ci ha rivelato, assimilata nella carità, esige di essere comuni-
cata, di essere partecipata, vissuta a tutti i livelli della vita umana, sia privata
che pubblica. Nella sua spinta universalistica, soprattutto a livello culturale,
l’evangelizzazione si imbatte in alcune sfide oggi diffuse. Papa Francesco
ricorda, ad esempio: gli attacchi alla libertà religiosa o le nuove situazio-
ni di persecuzione dei cristiani; l’indifferenza relativista, connessa con la
disillusione e la crisi delle ideologie; la cultura dell’immediato, del visibile,
dell’apparente; la proliferazione di nuovi movimenti religiosi, alcuni dei quali
tendenti al fondamentalismo; il processo di secolarizzazione che tende a

nuova umanità 229 61


focus. la chiesa nella babele culturale
Carismi ed evangelizzazione della cultura

ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo; la negazione di ogni


trascendenza; l’indebolirsi dei legami familiari e sociali (cf. nn. 61-67).

4.2 Metodi di evangelizzazione delle culture

Non c’è metodo semplice e definitivo per guidare l’evangelizzazione di


una realtà così inafferrabile come la cultura, ma dalla riflessione e dall’espe-
rienza della Chiesa in materia possono ricavarsi indicazioni metodologiche.
Accenno, tra gli altri, ad alcuni orientamenti.
Non è per via di prescrizione autoritaria che la Chiesa intende agire sulle
culture come tali, ma piuttosto con la presenza operante dei cristiani, con
la loro testimonianza. In questo senso i carismi che rivitalizzano le persone
possono estendersi alle culture.
I cristiani dovranno accostare le culture non individualmente ma con
un’azione comune, cercando di far penetrare i valori evangelici nei settori
culturali decisivi come quelli della famiglia, dell’educazione, del lavoro, dei
media, della salute, della giustizia verso i più sfavoriti e cercando di far par-
tecipare tutti i settori della società ai benefici della cultura.
Una grande libertà di valutazione e iniziativa è lasciata alle comunità cri-
stiane nei loro impegni concreti, soprattutto dei laici, in favore della cultura,
e la Chiesa riconosce loro una responsabilità propria. È impossibile pronun-
ciare una parola unica, che abbia valore universale, di fronte all’estrema va-
rietà delle situazioni. Spetta alle varie comunità analizzare obiettivamente la
situazione del loro Paese e affrontarla alla luce del vangelo.
In nome della loro fede e sotto la spinta dello Spirito che si manifesta nei
vari carismi, i cristiani possono giungere legittimamente a soluzioni diverse
in materia sociale e culturale. In questo caso, ricorda il Concilio, «a nessuno
è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità
della Chiesa» (GS, 43).
Soprattutto in una società pluralista, i cristiani (e soprattutto i movimenti
e le realtà scaturite dai giovani carismi) sono incoraggiati a un’azione comune
per promuovere e difendere le loro opzioni culturali. Occorre, tuttavia, distingue-
re le proprie iniziative da quelle della Chiesa come tale, come potrebbe avve-

62 nu 229
vincenzo zani

nire in campo politico. Si legge, infatti nella Gaudium et spes che si deve fare
distinzione «tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in
proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che
essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori» (n. 75).
È importante sottolineare il carattere di libertà che accompagna l’atto di
coloro che annunciano il vangelo, come di coloro che l’accolgono. L’evange-
lizzazione non va affatto intesa nel senso di un indottrinamento collettivo
che sarebbe imposto intempestivamente a un ambiente culturale. La forza
del vangelo non proviene che dalla forza della parola di verità e di amore vis-
suta, capace di penetrare gli spiriti e di illuminarli come una luce. Questo
atteggiamento di libertà presuppone, da parte della Chiesa, un rispetto pro-
fondo per tutte le culture.

4.3 Due obiettivi importanti

Evangelizzare tenendo presenti le caratteristiche principali dei valori


evangelici, come ho accennato sopra, significa non porre alcun limite all’a-
zione concreta dei credenti; la Parola è in grado di penetrare in ognuno,
dovunque, sempre, nei modi più diversi. Non si può costringere in alcuni
ambiti.
Tuttavia, leggendo i segni dei tempi nello spirito del Concilio, si intrave-
dono alcune urgenze che attirano più di altre la nostra attenzione nel con-
testo attuale.
Esse sono il dialogo nel campo sociale e il dialogo ecumenico e interre-
ligioso.
Nella Evangelii gaudium papa Francesco parla delle ripercussioni comuni-
tarie e sociali del kérigma. Queste dimensioni richiamano alla nostra attenzio-
ne gli ambiti delle povertà e delle emarginazioni, i problemi della giustizia,
dell’equità economica e della legalità, le questioni riguardanti il bene co-
mune e la pace sociale, come pure i temi dell’ecologia e del rispetto della
natura, richiamati dall’enciclica Laudato si’.
Molto urgente è, inoltre, sviluppare il dialogo a livello ecumenico e inter-
religioso. I segni e i gesti compiuti in questi anni da Bergoglio indicano una

nuova umanità 229 63


focus. la chiesa nella babele culturale
Carismi ed evangelizzazione della cultura

strada precisa da percorrere e la necessità di dare continuità e concretezza


a questi messaggi di grande portata. Basti pensare agli incontri con i pa-
triarchi dell’ortodossia di Costantinopoli e di Mosca, all’incontro con l’arci-
vescovo di Canterbury, al recente incontro con le Chiese protestanti. Questi
gesti tracciano con grande decisione le vie sulle quali incamminarsi per con-
segnare alle generazioni future una Chiesa riconciliata e unita che sappia
guardare alle enormi sfide del mondo di oggi con uno sguardo comune.
Non meno significativi sono stati i gesti di dialogo con l’ebraismo e con
i capi delle altre religioni non cristiane. Il dialogo e la vera apertura, scrive
Francesco, implicano

il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’i-


dentità chiara e gioiosa, ma aperti «a comprendere quelle dell’al-
tro» e «sapendo che il dialogo può arricchire ognuno». Non ci serve
un’apertura diplomatica […]. L’evangelizzazione e il dialogo inter-
religioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano
reciprocamente (n. 251).

1
Discorso di chiusura del Concilio, 7 dicembre 1965, in Insegnamenti di Paolo VI,
vol. III, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1965, p. 730.
2
I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, Documento preparatorio della
XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Editrice Ancora, Milano
2017, p. 18.
3
Cf. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 20.
4
Giovanni Paolo II, Discorso al Pontificio Consiglio per la Cultura, 15 gennaio 1985.
5
Cf. Lumen gentium, 4.
6
J. Ratzinger, I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica, in AA.VV., I
movimenti nella Chiesa, Atti del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali (Roma,
27-29 maggio 1998), Pontificium Consilium Pro Laicis, Città del Vaticano 1999, pp.
23-51, qui p. 25.
7
Ibid., p. 39.
8
Cf. H. Carrier, Vangelo e culture. Da Leone XIII a Giovanni Paolo II, Città Nuova,
Roma 1990.
9
Cf. ibid., p. 23.
10
Cf., ad esempio, Giovanni Paolo II, Discorso all’UNESCO, 2 giugno 1980, 13.

64 nu 229
vincenzo zani

11
L’adagio ricorre in particolare nella Summa theologiae di Tommaso d’Aquino
secondo differenti formulazioni (S.Th. I, q. 2, a. 2, ad 1).
12
Cf. D. Albarello, La grazia suppone la cultura. Ordine culturale e pensiero della
fede alla luce di Evangelii gaudium, in «Teologia» 41 (2016), pp. 222-248.
13
Cf. ibid., pp. 227-228.
14
C. Lubich, L’attrattiva del tempo moderno. Scritti spirituali/1, Città Nuova, Roma
1978, p. 27.
15
K. Hemmerle, Partire dall’unità. La Trinità come stile di vita e forma di pensiero,
Città Nuova, Roma 1998, pp. 76-77.
16
L’espressione è tratta dal discorso tenuto da papa Francesco durante l’assem-
blea del quinto Convegno nazionale della Chiesa italiana, svoltosi a Firenze dal 9 al
13 novembre 2015.

nuova umanità 229 65


dallo scaffale di città nuova

Il bellissimo niente
che l’uomo può fare
sulla natura dell'etica cristiana
di Giovanni Salmeri

L’etica cristiana si trova in una posizione paradossale. Da una


parte l’insegnamento di Gesù appare costituito da indicazioni
di natura morale («ma io vi dico…») e il cristianesimo viene
riconosciuto, nella storia e nel mondo, per la sua capacità di
trasformare atteggiamenti, rapporti personali, valori umani.
Dall’altra parte la grazia, ugualmente al centro del messaggio
cristiano, pare respingere sullo sfondo tutte le pretese della
moralità. Qualsiasi cosa si debba e possa fare, non è questo
che alla fine salverà, anzi «Pubblicani e prostitute vi precedo-
no nel regno dei Cieli». Dare troppa importanza all’etica sa-
rebbe un moralismo che tradisce le intenzioni di Gesù mentre
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portare l’attenzione su quel niente, che è tutto ciò che l’uomo
9788831175319 può fare, può aiutare a riscoprire il valore e il sapore di uno dei
pagine paradossi fondamentali del cristianesimo.
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nu 229
focus. la chiesa nella babele culturale

Vangelo, pluralismo
e dialogo interculturale

La Chiesa, per riflettere la luce di Cristo nel mondo1,


deve continuamente situarsi e risituarsi nei diversi con-
Lucas testi locali e globali. Perciò per la Chiesa è imprescindibi-
le dialogare con la coscienza di ogni epoca2. Papa Fran-
Cervinho cesco lo ripete insistentemente, è innegabile che siamo
professore
immersi in un profondo cambio d’epoca che ha la sua
di filosofia radice nella cultura, intesa come «la totalità della vita
della religione, di un popolo»3, il modo d’essere e di stare nel mondo.
teologia morale Stanno cambiando i modi di rapportarsi con gli altri, con
sociale e il pianeta e con l’assoluto. Mutano i modi di conoscere,
dottrina sociale
della chiesa
di sentire e di agire dell’uomo.
al seminario L’articolo analizza il rapporto tra vangelo e culture
maggiore situandolo in questo cambio d’epoca, che esige un’evan-
della diocesi gelizzazione, sulle orme di papa Francesco, che sia cul-
di tehuacán tura dell’incontro al servizio dell’unità nella differenza. Si
(puebla, messico).
professore di
propone l’intuizione di Chiara Lubich dell’inculturazione
metodi teologici come scambio di doni per realizzare questa evangeliz-
latino-americani zazione.
e inculturazione
e interculturalità
alla facoltà di
teologia san
la chiesa nel contesto attuale:
pablo, università la sfida epocale del pluralismo
cattolica
boliviana Secondo un conosciuto sociologo della religione, «il
(cochabamba, pluralismo, la coesistenza di differenti cosmovisioni e
bolivia).
sistemi di valori nella stessa società, è il cambiamento
fondamentale prodotto dalla modernità per quanto ri-
guarda il luogo della religione nella mente dell’individuo

nuova umanità 229 67


focus. la chiesa nella babele culturale
Vangelo, pluralismo e dialogo interculturale

e nell’ordine istituzionale»4; il pluralismo costituisce, infatti, una grande sfi-


da per la fede religiosa, perché relativizza le certezze. Questo genera un’an-
sietà che tende a essere calmata da due atteggiamenti contrastanti ma, in
fondo, molto simili: il fondamentalismo e il relativismo. In nessuno dei due
c’è posto per il dialogo.
Il fenomeno sociologico del pluralismo è soltanto la punta dell’iceberg.
Come sottolinea R. Panikkar, «il pluralismo va un passo più in là del ricono-
scimento della differenza (pluralità) e della varietà (pluriformità), il plurali-
smo ha a che fare con la diversità radicale»5. Il pluralismo è un paradigma
emergente che, nella prospettiva dell’ontologia relazionale, ci rende consa-
pevoli della complessità della realtà. Questa, perciò, è irriducibile a un siste-
ma universale, anche se esibisce un’armonia invisibile in grado di evitare la
dispersione, a partire dalla relazionalità che costituisce la trama del reale.
La diversità culturale, guardata alla sua radice, rende evidente che la
real­tà non è la stessa per tutti. È condizionata dalla cosmovisione culturale.
Perciò la sfida del nostro tempo è quella di aprire la strada tra il fondamenta-
lismo e il relativismo. Intravedere e percorrere il sentiero interculturale, dove
sia le culture che le religioni «sono chiamate ad aprirsi l’una verso l’altra, a
lasciarsi interpellare e fecondare. In questa situazione di pluralismo devono
imparare a convivere una con l’altra in una nuova configurazione planetaria
che non solo è irreversibile ma che crescerà ancor di più»6.
Da un punto di vista antropologico, la sfida principale del cambiamento
epocale è il trasfigurare lo sguardo verso l’altro: che il diverso non sia con-
siderato un alius – strano, minaccia, pericolo –, ma scoperto come un alter
– prossimo, compagno, benedizione –7, per amarlo come un frater – fratello e
sorella. È possibile individuare tre grandi stagioni dell’umanità sulla relazio-
ne stabilita con l’altro8. La prima, quella tribale-isolazionista, in cui la dispo-
sizione principale verso l’altro è la chiusura su se stessi e l’indifferenza verso
la diversità. Nella seconda stagione, l’imperialista-espansionista, si trova
l’atteggiamento di assorbimento dell’altro, integrandolo alla propria visio-
ne del mondo e annullando la sua diversità. La stagione emergente, quella
pluralista-relazionale, invita a configurare il rapporto con l’altro partendo
dal riconoscimento della sua diversità che esige reciprocità. Queste stagioni
vanno capite in modo diacronico ma, allo stesso tempo, configurano ancora

68 nu 229
lucas cervinho

oggi il rapporto con il diverso modo di rapportarsi personale, di gruppo e


sociale.
Il crescente pluralismo culturale esige una reciprocità intesa come re-
lazionalità orizzontale a doppia direzione e motivata da un arricchimento
mutuo. In questa accoglienza reciproca si radica la metánoia – conversione
del cuore e della mente – del secolo XXI: lasciare indietro sia la chiusura e
l’indifferenza tribale sia l’assorbimento e l’assimilazione imperialista. Acco-
glienza che non è relativismo, perché la diversità non diventa una frammen-
tazione soggettivista, ma unità nella diversità. È il tempo di esplorare, insie-
me all’altro diverso, il luogo sconosciuto del plurale, luogo che può diventare
uno spazio comunionale.
L’accoglienza reciproca richiede che l’apertura verticale della relazione
dell’uomo con il mistero sia concepita come immersione nell’abissale pro-
fondità interiore o come apertura verso l’esteriorità infinita e ineffabile, sia
questa confessionale oppure una spiritualità laicale. Quest’apertura verti-
cale nel rapporto orizzontale-interpersonale rende possibile l’incontro in un
luogo che non è posseduto da nessuno: il mistero del reale. Perciò, per per-
correre i sentieri dell’interculturalità, c’è bisogno di esperienze spirituali che
sorgono e si sviluppano in spazi di convivenza plurali. Esperienze che fanno
del rapporto e del dialogo con l’altro nella sua irriducibile diversità – cultura-
le, religiosa, sociale – un’esperienza sacra.

l’evangelizzazione in contesti di pluralismo:


testimoniare e promuovere una “cultura dell’incontro”

Il crescente pluralismo delle nostre società, per la Chiesa e per la sua


opera di evangelizzazione, è una sfida ineludibile e anche un’opportunità
storica. C’è bisogno di dialogare fino in fondo con i diversi contesti per poter
attualizzare la lieta novella del vangelo. I luoghi del pluralismo sfidano la
Chiesa a risituarsi, ripensarsi e riorganizzarsi. Nella misura in cui ogni comu-
nità cristiana realizza questo esercizio contribuisce a un’evangelizzazione
a favore di una «cultura dell’incontro in una pluriforme armonia»9. Così la
sfida diventa opportunità: possibilità di sviluppare e configurare un auten-

nuova umanità 229 69


focus. la chiesa nella babele culturale
Vangelo, pluralismo e dialogo interculturale

tico cristianesimo multiforme, giacché «non è indispensabile imporre una


determinata forma culturale, per quanto sia bella e antica, insieme con la
proposta evangelica»10.
Risituarsi per la Chiesa significa imparare e reimparare a offrire il suo
tesoro – la vita del vangelo –, in modo orizzontale e rispettoso, esercitando
l’accoglienza reciproca, ai diversi attori sociali. Cioè, lasciare indietro qual-
siasi atteggiamento espansionista d’assorbimento dell’altro-diverso. Assu-
mere, fino in fondo, che oggi «l’evangelizzazione implica anche un cammino
di dialogo […] per adempiere un servizio in favore del pieno sviluppo dell’es-
sere umano e perseguire il bene comune»11. Dialogo dal quale nessuno è
escluso e che può, perfino, arricchire il nostro vivere e la nostra compren-
sione della fede, perché «ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere
l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio»12.
Che la Chiesa si ripensi vuol dire che si apra, promuova e accolga nuove
comprensioni della fede, sia del fondamento trinitario sia dell’unità ecclesia-
le, fino al modo di svolgere l’attività missionaria. Questo perché «non pos-
siamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede
cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato
momento della storia, perché la fede non può chiudersi dentro i confini della
comprensione e dell’espressione di una cultura particolare»13. Questo sano,
necessario e arricchente pluralismo teologico è una via indispensabile per
mostrare «nuovi aspetti della Rivelazione»14 e così fare un autentico servizio
all’«unità nella differenza»15.
La riorganizzazione della Chiesa passa per la configurazione di un cri-
stianesimo che in se stesso articoli la sua universalità come unità plurale,
sotto la scia dell’esperienza di Pentecoste, perché è così che la «Chiesa
esprime la sua autentica cattolicità e mostra la bellezza di questo volto plu-
riforme»16. La rilevanza culturale del cristianesimo nel secolo XXI si gioca in
questa esperienza comunitaria. Infatti, ogni volta che la comunità cristiana
testimonia e irradia la “pluriforme armonia” contribuisce in modo sostan-
ziale alla configurazione di un pluralismo umanizzante e giusto nel sempre
più complesso e plurale tessuto sociale. Ogni volta che la comunità eccle-
siale – dalla famiglia fino alla Chiesa universale – fa l’esperienza della «unità
nella differenza», superando le tentazioni della «diversità senza l’unità» e

70 nu 229
lucas cervinho

della «unità senza la diversità», è luce trasformante e piena di speranza per


il mondo17.
È impossibile testimoniare e promuovere una cultura dell’incontro sen-
za sviluppare un atteggiamento dialogico. Il continuo esercizio del dialogo
permette che il pluralismo non diventi né relativismo né fondamentalismo.
Il dialogo fa sì che la costitutiva relazionalità del reale si manifesti come un
intreccio di rapporti dove la diversità non è fonte di frammentazione e l’u-
nità non è vissuta come uniformità. Perciò, in questo processo di evangeliz-
zazione a favore di una cultura dell’incontro, è imprescindibile articolare e
sviluppare il dialogo interculturale, tanto a livello intra-ecclesiale quanto con
la società civile e con i suoi molteplice attori.
In chiave cristiana questo è possibile perché l’amore si fa dialogo. Infatti
il comandamento nuovo dell’amore scambievole (Gv 15, 12) in contesti plu-
rali deve diventare uno scambio dei propri doni e valori in chiave intercultu-
rale. Il dialogo interculturale diventa un modo d’evangelizzazione.

la strada del dialogo nell’evangelizzazione:


il dialogo interculturale come scambio di doni

Il carisma dell’unità, che ha come fonte di comprensione la visione uni-


trina di Dio, è un contributo dello Spirito per poter e saper vivere in tempi
caratterizzati dal pluralismo18. In riferimento a questo carisma, trasmesso
da Chiara Lubich e articolatosi nel Movimento dei Focolari, papa Giovanni
Paolo II ha scritto che «le Focolarine e i Focolarini si sono fatti apostoli del
dialogo, quale via privilegiata per promuovere l’unità»19. È indubbio che, per
promuovere l’unità nella differenza della famiglia umana, bisogna fare del
dialogo un cammino per percorrere i sentieri della fraternità interculturale
universale.
Per la Lubich, l’amore pienamente disinteressato è la fonte del dialogo,
il farsi uno facendo il vuoto totale è il segreto del dialogo, la simmetria nel
rapporto è la condizione del dialogo, l’arricchimento mutuo fino alla com-
penetrazione è la misura del dialogo, la fraternità universale e interculturale
è il frutto del dialogo, Gesù abbandonato come esempio di vita è la chiave

nuova umanità 229 71


focus. la chiesa nella babele culturale
Vangelo, pluralismo e dialogo interculturale

per dialogare sempre e con tutti20. Lei non ha parlato in modo esplicito del
dialogo interculturale, ma in occasione della sua visita in Messico, nella ba-
silica della Madonna di Guadalupe – patrona dell’America Latina –, ha dato
una definizione dell’inculturazione che c’entra chiaramente con il dialogo
interculturale.
L’inculturazione non è solo farsi uno con un altro popolo spiritualmen-
te, scoprendovi magari e potenziando i “semi del Verbo” presenti in esso,
ma è anche un assumere personalmente, con umiltà e riconoscenza, quel
qualcosa di valido che la cultura del fratello offre. L’inculturazione esige uno
scambio di doni. Questo ci vuol dire la Madonna di Guadalupe. Solo così il
vangelo potrà penetrare nel fondo delle anime e apportarvi la sua rivoluzio-
ne, con tutto ciò che ne consegue21.
Questa visione del rapporto tra vangelo e culture permette di capire il
dialogo interculturale come uno scambio di doni che, quando si vive, mette
in luce e potenzia tutti i frutti d’umanizzazione – il modo di rapportarsi con
se stessi, con gli altri, con la natura e con l’assoluto – che sono nella cul-
tura propria e dell’altro. Allo stesso tempo, questo incontro caratterizzato
da profondità e reciprocità focalizza l’importanza del dialogo nel processo
d’inculturazione: il vangelo penetra nel fondo delle anime soltanto quando si
stabilisce questo livello di dialogo interpersonale ed esistenziale.
Lo scambio di doni mette in luce innanzitutto che l’evangelizzazione non
consiste nel portare qualcosa – una visione di Dio, una dottrina, dei riti ecc. –
che non è presente nella cultura dell’altro o nei diversi ambiti del sociale.
L’evangelizzazione, prima di tutto, è trasmettere un’esperienza; anzi, stabi-
lire insieme all’altro un dialogo interculturale fino allo scambio di doni, fa-
cendo del dialogo un’esperienza spirituale. Questa esperienza di unità nel-
la differenza, permette di innescare la rivoluzione del vangelo nel cuore di
ogni uomo e di ogni donna secondo le rispettive condizioni culturali, sociali
e spirituali. Lo scambio di doni fa venir fuori il Cristo che vive in ogni uomo,
perché «con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni
uomo»22, secondo le sue condizioni.
La strada del dialogo fino allo scambio di doni, che fa sì che il dialogo sia
esperienza spirituale, fa sì che, nell’evangelizzazione, la buona novella – Dio ti
ama immensamente, ama e fai quello che vuoi (sant’ Agostino) – sia qualco-

72 nu 229
lucas cervinho

sa che sgorga dal di dentro, grazie alle condizioni di apertura, svuotamento,


reciprocità e accoglienza messe in atto dal dialogo interculturale. La garan-
zia di questo continuo, infinito e plurale esercizio d’inculturazione sta nel
fatto che le comunità cristiane si lascino guidare dalla presenza viva del Cri-
sto risorto – dono accolto grazie all’amore scambievole –, soggetto primario
di qualsiasi dialogo tra vangelo e culture. Con il Risorto in mezzo ai cristiani,
c’è lo Spirito Santo (cf. Gv 20, 21-22). È lui che fa venir fuori il modo proprio
e specifico di Cristo in ogni cosmovisione e cultura arricchendo il volto plu-
riforme della Chiesa. Senza la presenza del Cristo risorto tra i suoi e senza
l’azione dello Spirito di Dio, è facile che la relazione tra vangelo e culture
diventi ripiegamento e chiusura o imposizione e proselitismo, perdendo così
la chance di diventare accoglienza reciproca attraverso l’apertura all’unità
nella diversità, che è possibile grazie all’azione dello Spirito.
Il dialogo interculturale come scambio di doni può darsi non solo tra cri-
stiani, con le loro diverse culture, ma anche in ambienti caratterizzati dal
pluralismo religioso e secolare. Qui l’evangelizzazione come promozione di
una cultura dell’incontro ha due versanti. Il primo è quello di promuovere il
bene comune e la dignità umana facendo propria «una cultura che privilegi
il dialogo come forma d’incontro, la ricerca di consenso e di accordi, sen-
za però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di
memoria e senza esclusioni»23. Lo scambio di doni serve per raggiungere
consensi e accordi sempre maggiori grazie alla fusione di orizzonti che un
dialogo autentico genera. Un secondo aspetto è lo scambio di doni che si dà
nell’ambito dell’esperienza trascendente. C’è un arricchimento tra diversi
modi d’avvicinarsi a Dio, al mistero ineffabile o all’infinito del reale. Nell’in-
contro che il dialogo tra interlocutori di diverse culture, religioni e spiritualità
produce si dà anche uno scambio dei doni sacri che, in fondo, sono sempre
espressioni culturali. Questo scambio è possibile perché, se la centralità del
vangelo è l’amore – infatti il cristianesimo è la religione dell’amore che si
fa volto –, tutti gli uomini sono aperti alla pienezza dell’amore, che per noi
cristiani si svela pienamente nella kénosis pasquale. E «dobbiamo ritenere
che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che
Dio conosce, al mistero pasquale»24. Infatti, «ogni volta che ci incontriamo

nuova umanità 229 73


focus. la chiesa nella babele culturale
Vangelo, pluralismo e dialogo interculturale

con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire


qualcosa di nuovo riguardo a Dio»25.
Il dialogo interculturale, come strada per l’evangelizzazione al servizio di
una cultura dell’incontro caratterizzata dall’unità nella differenza, è possibi-
le soltanto se c’è un sostrato spirituale negli attori che generano lo scambio
dei propri doni culturali, religiosi o spirituali. Il dialogo interculturale deve
diventare esperienza spirituale, lo scambio di doni è infatti un incontro reli-
gioso: apertura al mistero nell’apertura intersoggettiva reciproca.

la spiritualità nell’evangelizzazione:
lo scambio dei doni come mistica dell’incontro

Il metodo di evangelizzazione qui proposto esige una conversione spiri-


tuale non indifferente. Si tratta di fare un salto epocale per rispondere crea­
tivamente al crescente pluralismo. Buttarsi verso la novità della “mistica
dell’incontro” – per dirla con le parole di papa Francesco –, cioè «la capacità
di sentire, di ascolto delle altre persone. La capacità di cercare insieme la
strada, il metodo»26. Allora, lo scambio dei doni non è un incontro con l’altro
staccato dalla mia vita spirituale, ma questo stesso incontro è vita spirituale,
è un’esperienza mistica. Questo è possibile perché nell’esercizio del dialogo
interculturale «viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cer-
care il loro bene» e così «allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più
bei regali del Signore»27. La potenza rivoluzionaria del vangelo prende posto
in noi e tra noi, trasformando i rapporti interpersonali, e perciò il tessuto
sociale diventa più fraterno e comunionale. Il Cristo risorto abita tra noi e
lo percepiamo secondo le nostre matrici culturali. La casa comune, tutto il
creato, diventa la nostra interiorità.
Il dialogo interculturale come esperienza mistica dell’incontro manifesta
chiaramente che «l’impegno dell’evangelizzazione arricchisce la mente ed
il cuore, ci apre orizzonti spirituali, ci rende più sensibili per riconoscere l’a-
zione dello Spirito, ci fa uscire dai nostri schemi spirituali limitati»28. Perciò
il dialogo, anziché essere uno strumento sottile per assimilare e convertire
l’altro alla nostra visione della vita, è un evento spirituale in se stesso. Un

74 nu 229
lucas cervinho

evento che ogni volta che accade ci trasforma dal di dentro. In questo in-
contro cresciamo spiritualmente, cresce in pienezza tutto l’essere umano.
Allora il dialogo diventa un’esperienza di trasfigurazione: cambia il nostro
sguardo verso il mondo, verso gli altri – per diversi che siano –, verso il mi-
stero di Dio. Impariamo a scoprire e a intravedere l’azione amorosa dello
Spirito che continuamente sta generando e sostenendo ogni creatura nel
cosmo. Ci sentiamo partecipi dell’interrelazione di tutto con tutto. Crescia-
mo in una spiritualità della «solidarietà globale»29.
Vivere lo scambio dei doni in ogni dialogo interculturale è possibile nella
misura in cui riusciamo a «scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere in-
sieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci,
di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una
vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegri-
naggio»30. In questi tempi di pluralismo radicale, la spiritualità che sostiene
ogni evangelizzazione non può coltivarsi come ripiegamento su se stessi o
su gruppi chiusi e tribali per la paura del diverso, neanche come spirito di
espansione e di assimilazione della differenza dell’altro. La sorgente spiri-
tuale del secolo XXI sta nell’incontro con l’altro riconoscendo la sua diversi-
tà e nell’apertura con l’altro al mistero ineffabile, per trovarci insieme nella
voragine dell’amore. Questa è la chance storica cha abbiamo di fronte come
cristiani, fare sì che la marea caotica del pluralismo, grazie al dialogo inter-
culturale come scambio di doni che ci apre alla presenza del divino, diventi
unità nella diversità e sia percepita – secondo la diversità di ciascuno – come
carovana solidale e giusta o come santo pellegrinaggio per ringraziare Dio o
come esperienza di fraternità interculturale e interreligiosa.

1
Cf. Lumen gentium, 1: «Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adu-
nato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo
ad ogni creatura (cf. Mc 16, 15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che
risplende sul volto della Chiesa».
2
Cf. Gaudium et spes, 44: «È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei
pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discer-
nere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce

nuova umanità 229 75


focus. la chiesa nella babele culturale
Vangelo, pluralismo e dialogo interculturale

della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio
compresa e possa venir presentata in forma più adatta».
3
Francesco, Evangelii gaudium, 115.
4
P. Berger, Los numerosos altares de la modernidad, Sigueme, Salamanca 2016, p.
10 (traduzione mia).
5
R. Panikkar, Pluralisme e interculturalitat, Fragmenta Editorial, Barcelona 2010,
p. 13 (traduzione mia).
6
J. Melloni, Hacia un tiempo de síntesis, Fragmenta Editorial, Barcelona 2011, p.
28 (traduzione mia).
7
Cf. R. Panikkar, Diàleg intercultural i interreligiós, Fragmenta Editorial, Barcelo-
na 2014, p. 75.
8
Cf. J. Melloni, Hacia un tiempo de síntesis, cit., pp. 26-29.
9
Francesco, Evangelii gaudium, 220.
10
Ibid., 116.
11
Ibid., 238.
12
Ibid., 272.
13
Ibid., 118.
14
Ibid., 116.
15
Francesco, Omelia nella solennità di Pentecoste, Città del Vaticano, 4 giugno
2017.
16
Id., Evangelii gaudium, 116.
17
Cf. Id., Omelia nella solennità di Pentecoste, cit.
18
Chi ripercorre i duemila anni di storia del cristianesimo riconosce l’impor-
tanza della dimensione carismatica della Chiesa. Infatti, lo Spirito Santo fa sorgere
diversi carismi per rispondere alle necessità e alle sfide di ogni epoca. Di fronte
alle ricchezze opulente della Chiesa nel Medioevo sorgono gli ordini mendicanti, di
fronte alla modernità con la centralità del soggetto nascono i Gesuiti, e così via. In
questa chiave bisogna guardare il carisma dell’unità come una luce e un’azione dello
Spirito per vivere in tempi di pluralismo.
19
Giovanni Paolo II, Messaggio a Chiara Lubich in occasione del 60o della nascita del
Movimento dei Focolari, Città del Vaticano, 4 dicembre 2003.
20
Cf. C. Lubich, La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, pp. 438-490.
21
Id., Discorso al Santuario della Madonna di Guadalupe, Città del Messico, 7 giu-
gno 1997.
22
Gaudium et spes, 22.
23
Francesco, Evangelii gaudium, 238.
24
Gaudium et spes, 22.
25
Francesco, Evangelii gaudium, 272.

76 nu 229
lucas cervinho

26
Id., Discorso ai rettori e agli alunni dei Pontifici Collegi e Convitti di Roma, Città del
Vaticano, 12 maggio 2014.
27
Id., Evangelii gaudium, 272.
28
Ibid..
29
Francesco, Laudato si’, 240.
30
Id., Evangelii gaudium, 87.

nuova umanità 229 77


dallo scaffale di città nuova

VAN THUAN
libero tra le sbarre
di Teresa Gutiérrez de Cabiedes

La storia di un grande testimone della fede.

Si fece un silenzio denso, interrotto solo dal volo di un mo-


scone che solcava lo spazio soffocante dell’ufficio. «Nguyen
Van Thuan ti abbiamo fatto portare qui perché sei colpevole
di causare problemi al Governo del popolo sovrano del Vie-
tnam. Sei accusato di propaganda imperialista e di essere un
infiltrato delle potenze straniere». È il 1975. Con queste parole
François Xavier Nguyen van Thuan, da poche settimane nomi-
nato arcivescovo coadiutore di Saigon (Hochiminhville, Vie-
tnam), viene accusato di tradimento e arrestato. Trascorrerà
in prigione 13 anni, di cui 9 in isolamento.
isbn Una vita spesa nell’adesione coerente ed eroica alla propria
97888311153744 vocazione, come dirà di lui papa Giovanni Paolo II. Una storia
pagine che merita di essere raccontata.
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Il 4 maggio scorso, il Santo Padre ha promulgato il
prezzo Decreto che riconosce le virtù eroiche del cardinale
euro 20,00 François-Xavier Nguyên Van Thuân e ne autorizza la
venerabilità.

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nu 229
scripta manent

Istruzione per i vicari


apostolici della Cocincina, del
Tonchino e della Cina (1659)

Congregazione
de Propaganda
Fide
1. prima di partire1

Dal momento che la vostra grande solerzia, l’inten-


so zelo religioso e il profondo spirito di pietà del popolo
francese hanno fatto sì che molti già da parte vostra sia-
no stati invitati a questa missione di Cina, e molti ancora
si siano spontaneamente offerti ad essa, non vogliate
prestare fede alla leggera a ogni ispirazione, ma accer-
tatevi se essa provenga veramente da Dio2. L’esperienza
infatti insegna che molti, spinti da una certa quale im-
pulsività spirituale, tanto più se di temperamento un po’
vivo, si dispongono alle opere pie e sante con più irruen-
za che costanza di vocazione. Ma poiché in costoro la
virtù non ha messo radici, appena quel fervore iniziale
s’è placato, alle prime fatiche si lasciano abbattere e
scoraggiare e volgono indietro il capo dall’aratro3.
Sia pertanto vostra principale preoccupazione ri-
cercare e scegliere con molta attenzione, fra i molti
candidati, uomini che per età e per salute siano atti a
sopportare le fatiche e, quel che più conta, dotati di spic-
cata carità e prudenza […]. Sappiano inoltre mantenere
tenacemente il segreto; e con la serietà dei costumi, la
cortesia, la dolcezza, la pazienza, l’umiltà e l’esempio di
ogni virtù testimonino in pratica quella fede in Cristo che

nuova umanità 229 79


scripta manent
Istruzione per i vicari apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina (1659)

professano con le parole. Sappiano infine, conformandosi alla legge della


Carità evangelica, adattarsi al temperamento e ai costumi altrui, in modo
che non riescano importuni ai loro compagni di vita né odiosi o mal accetti
agli stranieri, ma si facciano tutto a tutti con l’Apostolo4.
Proponete i candidati da voi scelti al nunzio apostolico in Parigi, in modo
che se ne conoscano nome, età e doti, e che li possa inserire nelle vostre
lettere credenziali […]. Informate subito di ciò la Sacra Congregazione per-
ché ratifichi ciò che voi stessi e il Nunzio apostolico avrete fatto al riguardo.
Stabilite criteri e modi precisi per una fitta e mutua corrispondenza tra voi e
il nunzio, e tra questi, a sua volta, e la Sede Apostolica. Perciò, […] non solo
in Europa ma in tutta l’Asia, e soprattutto sul litorale delle vostre missioni,
designate uomini fidati che si prendano a cuore questo incarico e consegni-
no di persona le vostre lettere nel modo più sicuro possibile.
Trovate anche il modo di farvi inviare ogni anno dalla Francia sussidi di
carattere materiale e spirituale, e comunicatelo per iscritto a questa Sacra
Congregazione perché, informata della situazione, possa collaborare, in ra-
gione del suo amore per voi, alle sante imprese vostre e delle altre persone
pie, nella misura che le sarà consentito dalla gran mole degli affari che con-
tinuamente l’assorbe. Perciò abbiate anche a Parigi degli uomini saggi e pii
che trattino i vostri affari sia in Francia, sia anche – per corrispondenza – qui
a Roma: e siano persone tali da offrire fondata garanzia alla Sacra Congre-
gazione. […] Compito specifico di tali persone sarà soprattutto quello di ri-
cercare, trovare ed esaminare i missionari affinché vi siano inviati a tempo
opportuno da questa Sacra Congregazione; e anche per questo motivo essi
devono tenersi in frequente contatto con la Congregazione e segnalarle le
doti di ciascuno dei missionari che essi abbiano reperito affinché, dopo ma-
tura deliberazione, di qui vi raggiungano muniti di legittima autorizzazione,
di facoltà e di mandati.
Oltre ai procuratori che stabilirete in Parigi, abbiate anche a Roma una
persona che si prenda parimenti cura dei vostri affari, e provvedete l’uno e
gli altri del legittimo mandato di procura, soprattutto quello che risiederà in
Roma, perché possa con la dovuta modestia trattare e sollecitare presso la
Sede Apostolica i vostri affari. Badate di scegliere per questo incarico una
persona della quale la Sacra Congregazione possa fidarsi. […] E che possa

80 nu 229
congregazione de propaganda fide

esercitare il suo ufficio con continuità; affinché non accada che, col mutare
frequentemente le persone, ne subentri qualcuna, un po’ troppo negligente
e inesperta, e provochi così non lievi danni ai problemi da trattare.
Appena avrete ricevuto queste istruzioni dal Nunzio Apostolico, partite
il più presto possibile e nella maniera più riservata, […] per evitare che la
divulgazione della notizia susciti nei molti luoghi che toccherete molteplici
ostacoli a tanta impresa.

2. durante il viaggio

Il viaggio per terra, attraverso la Siria e la Mesopotamia, sarà molto più


sicuro e più celere per voi che quello attraverso l’Oceano Atlantico e il Capo
di Buona Speranza; ma soprattutto dovrete evitare i territori dei Portoghesi
e quelli che, a qualsiasi titolo, dipendono dal Portogallo […]. Quando poi sa-
rete arrivati, tenete ben presente che non rientrano nella vostra competenza
né Macao né gli altri territori dipendenti dal Portogallo, […] pertanto seguite
o la via che passa attraverso la Persia e la Mongolia o anche la via marittima,
se vi si dovesse presentare l’occasione di una nave che sappiate con certez-
za diretta in Cina, ma senza approdare a quei porti di cui si è detto.
Durante il viaggio la vostra preoccupazione maggiore sia di dissimulare a
tutti il nome e lo scopo della vostra missione. […] Perciò adducete come pre-
testo di così lunghi viaggi o il commercio o la curiosità, innata negli Europei,
di visitare e conoscere paesi stranieri; se poi per necessità o per caso foste
proprio indotti a dichiararvi missionari, dichiaratevi pure tali, ma destinati in
tutt’altro luogo che in Cina.
Fate una breve descrizione delle regioni che attraverserete e del vostro
itinerario; lungo il viaggio cercate con molta diligenza di sapere se vi sia un
modo di inviare lettere in Europa e se vi sia persona di fiducia alla quale
consegnarle con sicurezza; se trovaste una persona del genere, stabilite con
lei rapporti di amicizia e di scambievole aiuto, tacendo però il segreto della
vostra missione; ed esortatela ad avere sollecita cura delle vostre lettere
dirette in Europa […].

nuova umanità 229 81


scripta manent
Istruzione per i vicari apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina (1659)

Non tralasciate nessuna delle occasioni che vi si presenteranno per scri-


vere a questa Sacra Congregazione […]. Narrate in particolare modo tutte
le difficoltà dell’itinerario e spiegate come le avete superate, in modo che la
vostra esperienza possa essere utile a coloro che vi seguiranno.
Nel luogo in cui giungerete, osservate con cura tutto ciò che riguarda la
propagazione della fede, la salvezza delle anime e la promozione della gloria
di Dio, nonché lo stato della comunità cristiana, delle missioni e dei missio-
nari […]. Investigate in modo da far apparire ben chiaro che il vostro deside-
rio di conoscere è suscitato da ragioni di carità cristiana e non da altro fine.
Viaggiate tutti insieme, a meno che non riteniate preferibile intraprende-
re il cammino separatamente e per diversi gruppi.
Qualora uno di voi o dei vostri compagni si ammali e si potrà sperare che
la malattia si risolva nel giro di pochi giorni, attardatevi un poco, fin tanto
che l’ammalato si sia ristabilito […]. Se invece vedrete che la malattia tende
a protrarsi e vi fa perdere occasioni opportune di viaggio, raccomanderete
l’infermo a persone pie e religiose, meglio se missionari […]; o, se preferite,
lasciate col malato qualcuno di voi che possa aiutarlo e poi raggiungervi nei
luoghi stabiliti.
Preoccupatevi con tutte le forze di raggiungere il più presto possibile la
vostra missione a cui Dio vi ha chiamato; nessun pretesto di pietà o di carità,
vi trattenga […] dal diretto proseguimento del vostro viaggio. Non può es-
sere infatti rettamente ordinata quella carità che, per recare aiuto ad altri, vi
sottragga al bisogno immenso delle popolazioni a voi affidate.

3. nella missione

La principale ragione che ha spinto questa Sacra Congregazione a inviar-


vi come vescovi in queste regioni è stata quella di curare con ogni mezzo
l’educazione dei giovani del luogo per renderli atti al sacerdozio e conferire
loro gli ordini sacri; e collocarli poi nei loro paesi d’origine per quelle vaste
regioni affinché lì si prendano cura, con la vostra guida, della vita della co-
munità cristiana. Pertanto abbiate sempre presente questo scopo: condurre

82 nu 229
congregazione de propaganda fide

agli ordini sacri il maggior numero possibile di persone e le più atte, formarle
e a tempo opportuno promuoverle.
Se poi tra quelli che avrete promosso ne vedrete alcuni degni dell’epi-
scopato, guardatevi (e ciò vi è assolutamente proibito) dall’insignire alcuno
di loro del carattere di così grande dignità; ma comunicate prima a questa
Sacra Congregazione il loro nome, le loro doti, l’età e tutto ciò che conviene
conoscere, come, ad esempio, in quale luogo possano essere consacrati o a
quali diocesi essere messi a capo […].
E poiché dall’obbedienza dei vescovi alla Sede Apostolica dipende l’unità
di tutta la Chiesa, la comunione dei Santi e il fermo ripudio delle eresie e
dello scisma, che sono un pericolo particolarmente temibile in regioni così
lontane, non solo voi stessi dovete essere obbedientissimi al Pontefice Ro-
mano, ma dovete altresì adoprarvi con tutte le forze affinché i Cinesi e gli
altri popoli sottoposti alla vostra giurisdizione si convincano che la saldezza
e la norma della fede ortodossa si fondano sul fatto che anch’essi riverisca-
no questa Santa Sede come maestra e strumento dello Spirito Santo, si sot-
tomettano totalmente alle sue disposizioni in tutto ciò che riguardi l’ambito
spirituale, la consultino nelle difficoltà e accettino di buon animo di essere
guidati dalle sue direttive; e ciò risulterà tanto più facile e accettabile, quan-
to più ne verrà l’esempio da voi che siete le loro guide.
Non trattate dunque affari importanti senza il mandato di questa Sacra
Congregazione, e rendetele conto per iscritto di tutto ciò che avete fatto
nell’assolvimento del vostro ufficio e secondo le circostanze, in modo che i
Cinesi comprendano che negli affari di una certa importanza è necessario
consultare la Sede Apostolica […].
E affinché i Cinesi, atterriti dalla distanza dei luoghi e dalla difficoltà di
ricorrere alla Santa Sede, non adducano come pretesto l’inopportunità di
abbracciare una religione il cui capo ben difficilmente può far giungere fin lì i
suoi responsi, col vostro esempio mostrate come la sollecitudine del Roma-
no Pontefice, anche nel caso non sia stato richiesto, supplisca alle difficoltà
della distanza nominando dei vescovi muniti di amplissimi poteri; e fate in-
tendere che, se Dio concederà che la religione cristiana metta in Cina più
stabili radici, il Pontefice ovvierà alla distanza in modo più completo anche
per mezzo di Nunzi, senza tener conto di spese o di difficoltà, come del re-

nuova umanità 229 83


scripta manent
Istruzione per i vicari apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina (1659)

sto già avviene senza disagio in altri paesi, anche se non così lontani come
la Cina.
Se nell’eseguire gli ordini di questa Sacra Congregazione vi capitasse di
incontrare o di prevedere difficoltà così gravi che essi non possano essere
accettati senza forti reazioni, evitate assolutamente di imporli contro vo-
glia, di stabilirli con la forza o con la paura di castighi, di seminare discordie
per la disobbedienza di alcuni. Al contrario, avendo indulgente riguardo alla
debolezza dei neofiti, sarà preferibile lasciar cadere per il momento quelle
prescrizioni, fin tanto che non abbiate informato con la massima sincerità
di tutta la questione la Sacra Congregazione ed essa non vi abbia risposto
cosa si debba fare.
Poiché nulla s’oppone maggiormente alla conversione dei popoli e all’u-
nità della fede e nulla ritarda e impedisce maggiormente la diffusione del
Vangelo in tutto il mondo che la difficoltà di corrispondere e di comunicare
col mondo cristiano e soprattutto con la Sacra Congregazione Apostolica,
tanto più dovete impegnarvi con tutta la cura e l’attenzione possibile affin-
ché la corrispondenza si svolga in un senso e nell’altro nelle migliori con-
dizioni di sicurezza […]. E affinché più scrupolosamente lo adempiate, vi è
severamente imposto nel Signore.
E anche se non passerà quasi giorno in cui non vi capitino molti fatti che
sia opportuno far conoscere in modo particolare, voi tuttavia non lasciateci
all’oscuro[…] neppure di quelli che vi parranno di minore importanza: già
questa è cosa di grande importanza, il sapere che la situazione non è mutata
e che non è avvenuto nulla di particolare rilievo.
Affinché poi le vostre lettere raggiungano sicure il luogo a cui sono di-
rette, inviatele per mezzo di corrieri diversi e utilizzate anche strade diverse,
e speditene anche più copie, una dopo l’altra, per lo stesso itinerario. Non
dimenticate che l’impegno della corrispondenza vi è tanto strettamente rac-
comandato e ordinato che, se lo trascurerete, potete esser certi che nessuna
vostra futura mancanza risulterà più molesta a questa Congregazione o più
difficilmente perdonabile.
Non scriveteci alcuna informazione relativa a questioni politiche o ad af-
fari che possano offendere i prìncipi e i governanti, ma rimandate a tempi
più opportuni il racconto completo e dettagliato di tali fatti.

84 nu 229
congregazione de propaganda fide

Qualora la necessità esiga che il contenuto delle vostre lettere rimanga


a tutti segreto pur nel caso che fossero intercettate, vi inviamo un codice di
cui vi servirete per scrivere con linguaggio cifrato a questa Sacra Congre-
gazione tutte le informazioni riservate e che devono essere tenute nasco-
ste ad altri. Non dovete tuttavia servirvene con troppa facilità, […] e dovete
essere sicuri che, pur nel caso in cui intercettino le lettere e vi riconoscano
un linguaggio cifrato e clandestino, uomini malevoli non approfittino dell’oc-
casione per rendervi sospetti presso i prìncipi, come se steste tramando
qualche complotto contro lo Stato. Perciò se riterrete di non potervi fidare
della corrispondenza […], fate in modo che uno, anche dei vostri missionari,
si porti per breve tempo oltre i confini della provincia per informare Roma da
un luogo sicuro sulla situazione. A lui, in ragione dell’incarico che gli avete
affidato, non tenete nascosto alcunché, purché sia persona fidata e di sicuro
zelo religioso. Prima di partire, ottenga da voi il permesso scritto di uscire,
sul quale sia indicato il luogo verso cui deve indirizzarsi per la strada più
diretta e il tempo entro cui dovrà rientrare. Dopo che avrà scritto ciò che
voi gli avrete ordinato, ritorni subito nella sua provincia senza aspettare la
risposta, affinché nel frattempo la vita della comunità cristiana non subisca
alcun danno, a motivo della sua assenza.
Se poi i missionari stessi volessero scriverci […], incoraggiateli in tutti i
modi a farlo, e addirittura obbligateli. Non dovete però investigare in alcun
modo sul loro contenuto, purché non scrivano cose di natura politica e che
possano offendere i prìncipi: questo proibitelo nel modo più rigoroso. Gli
stessi missionari non tralascino alcuna occasione di scrivere a voi da quei
luoghi ai quali li avrete destinati. Del resto, ogniqualvolta potrete scrivere
in maniera sicura, o inviarci qualcuno, provvedetelo di tutte le istruzioni in
modo che possa esaurientemente rispondere alle questioni che troverete
esposte nel foglio allegato.
Se per ispirazione di Dio, un re, un principe, un uomo politico o un qual-
siasi potente mostrasse benevolenza nei vostri confronti o favorevole incli-
nazione nei riguardi della religione cristiana, siatene grati ma, per evitare
l’invidia, non chiedete privilegi, esenzioni, tribunali speciali etc., e in nessun
modo sminuite la loro giurisdizione. Se poi otterrete qualche favore, che fa-
vorisca la crescita della religione, non vantatevi di averlo ottenuto come si

nuova umanità 229 85


scripta manent
Istruzione per i vicari apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina (1659)

trattasse di un vostro diritto, ma come frutto della pura benevolenza del


principe. Ed evitate [in] modo assoluto che essi abbiano anche minimamen-
te a temere per sé da parte vostra […].
Tenetevi sempre tanto lontani dalla politica e dagli affari dello Stato da
non accettare incarichi nella pubblica amministrazione, quand’anche ciò vi
fosse richiesto con pressante insistenza. Questa Sacra Congregazione ha
sempre proibito ciò nella maniera più netta […]. Pertanto […] siate ben per-
suasi che chiunque si immischierà o anche soltanto si lascerà coinvolgere
in vicende di tal genere farà cosa molto sgradita a questa Sacra Congrega-
zione; e ciò non soltanto quando l’affare finisce per provocare un danno alla
religione e allontanare i missionari dal loro ufficio, ma anche qualora arrida
certissima speranza di vedere con questo mezzo la religione incrementata e
la fede largamente propagata.
[…] Siate di esempio, in modo che le popolazioni apprendano dal vostro
modo di procedere l’intenzione della Santa Sede. La parola di Dio, infatti,
non deve essere propagata con questi mezzi, ma con la carità, il disprezzo
delle cose terrene, la modestia, la semplicità della vita, la pazienza, la pre-
ghiera e tutte le altre virtù proprie degli uomini apostolici. Preoccupatevi
anzi di far comprendere a tutti quanto tali cose siano lontane dalle intenzioni
della Santa Sede, con quale rigore e con quale severità essa le proibisca ai
suoi ministri […]. Pertanto si sappia e si proclami apertamente che voi e i
vostri collaboratori aborrite da tali pratiche e che non mirate ad altro che
alle realtà dello spirito e alla salvezza delle anime e che le vostre fatiche, le
vostre aspirazioni, la vostra mente sono protese esclusivamente alle realtà
celesti con esclusione di tutto il resto. Nel caso poi veniste a sapere che
qualcuno dei vostri è caduto in una situazione di tale sconvenienza, senza
indugio esoneratelo e scacciatelo dalle missioni. […]
Se i prìncipi dovessero un giorno o l’altro richiedere i vostri consigli, non
accondiscendete se non dopo esserne stati a lungo pregati e dopo avere
addotto l’esistenza di questa nostra proibizione; e date consigli leali, giusti
e che abbiano un sapore d’eternità. Abbandonate poi subito palazzo e corte
regia, e ritiratevi nei vostri distretti per attendere ai sacri uffici. E piuttosto
che rimanere là, fingete una totale ignoranza degli affari politici e inettitu-
dine completa nella pubblica amministrazione, in modo che per benevola

86 nu 229
congregazione de propaganda fide

concessione degli stessi prìncipi vi allontaniate il più presto possibile da un


luogo così irto di pericoli.
Ai popoli predicate l’obbedienza verso i prìncipi, anche quelli oppressivi5,
e pregate di cuore Dio, sia in privato che in pubblico, per la loro prosperità e
la loro salute. Non criticate le loro azioni, anche se persecutorie, né accusate
la loro severità, né rivolgete loro alcun rimprovero, ma attendete da Dio in
silenzio e pazienza il tempo della consolazione6. Per nessuna ragione semi-
nate nei loro territori germi di partiti – spagnoli o francesi, turchi o persiani o
simili – anzi, per quanto dipende da voi, estirpate dalle radici tutte le contese
di tal genere. Se qualcuno dei vostri missionari […] alimentasse simili dis-
sensi, rimandatelo senza indugio in Europa, affinché con la sua imprudenza
non metta in pericolo interessi religiosi di tanta importanza.
[…] Non usate alcun mezzo di persuasione per indurre quei popoli a mu-
tare i loro riti, le loro consuetudini e i loro costumi, a meno che non siano
apertamente contrari alla religione e ai buoni costumi. […] Dovete introdur-
re fede, che non respinge né lede i riti e le consuetudini di alcun popolo,
purché non siano cattivi, ma vuole piuttosto salvaguardarli e consolidarli. E
poiché è carattere comune della natura umana preferire nella stima e nell’a-
more le proprie usanze e in modo particolare le proprie tradizioni nazionali a
quelle altrui, non c’è nulla che generi maggiormente l’odio o il risentimento
che il far mutare le consuetudini patrie, e particolarmente se al loro posto
uno voglia sostituire, importandole, le tradizioni del suo paese. Non fate
dunque mai paragoni tra gli usi locali e gli usi europei; cercate piuttosto con
tutto il vostro impegno di abituarvi ad essi. Ammirate e lodate tutto ciò che
merita lode; se qualcosa non lo merita, non dovrete certo esaltarla clamoro-
samente come fanno gli adulatori, ma avrete la prudenza di non giudicarla
o almeno di non condannarla sconsideratamente e senza motivo. Quanto ai
costumi che sono manifestamente cattivi, sarà bene rimuoverli con l’atteg-
giamento e col silenzio più che con le parole, cogliendo beninteso l’occasio-
ne di sradicarli pian piano e quasi insensibilmente, una volta che gli animi
siano disposti ad abbracciare la verità.
Nell’annuncio della parola di Dio e nell’amministrazione dei sacramenti
fate in modo che l’affollamento delle riunioni non generi alcun sospetto di
disordine e di ribellione, ma preoccupatevi che i cristiani, quando si raduna-

nuova umanità 229 87


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Istruzione per i vicari apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina (1659)

no con voi per celebrare i sacri misteri, lo facciano con grande discrezione. E
in queste adunanze non permettete che si tratti se non di argomenti religio-
si, e proibite nel modo più assoluto che diventino occasione di discussione
politica.
Le vostre zone di missione sono state separate intenzionalmente, in
modo che non avvengano ingerenze reciproche. Se una necessità indero-
gabile e una pesca sovrabbondante costringessero a chiamare i compagni
da un’altra barca7, vi può essere consentito di assentarvi per breve tempo
dalla vostra zona e di lavorare in un’altra; ma perché nel frattempo la vostra
missione non subisca danno, dovrete farvi sostituire da un vicario idoneo.
Restate però assenti il minor tempo possibile e scrivete alla Sacra Congre-
gazione i motivi dell’assenza e la sua durata, descrivendo la situazione della
vostra missione al momento in cui l’avete lasciata e come l’avete ritrovata
al vostro ritorno.
[…] Se dovesse sorgere tra voi o tra i vostri missionari qualche contro-
versia, evitate assolutamente risse, clamori e scandali, soprattutto alla pre-
senza del popolo. Se non riuscite a risolvere da soli le controversie, portatele
davanti a questa Sacra Congregazione; ma abbiate per certo che essa sarà
più severa e più propensa a condannare coloro che sono ostinati, caparbi ed
eccessivamente attaccati ai propri diritti; sarà invece più indulgente e com-
prensiva nei confronti di coloro che rinunceranno volentieri ai propri diritti
e che saranno disposti piuttosto a perdere del proprio che ad usurpare ciò
che è degli altri.
Preoccupatevi di avere sempre un clero e dei missionari eccellenti, e tali
conservateli con ogni cura e sollecitudine. Assegnate a ciascuno di loro un
compito specifico nel vostro territorio e una vigna delimitata da precisi con-
fini in cui abbia a lavorare8. A nessuno di loro sia assolutamente consentito
di uscirne senza il vostro esplicito permesso scritto; voi però non lo conce-
derete facilmente, a meno che non lo imponga un legittimo e urgentissimo
motivo […].
Se invece un missionario, entrato in un territorio diverso dal suo, non vo-
lesse sottostare all’ordine stabilito, prima correggetelo, così, se si ravvedrà,
guadagnerete un fratello9; se invece si ostinerà nel suo errore, coloro il cui

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congregazione de propaganda fide

diritto è leso evitino di entrare in contesa con persona siffatta; ma, rinun-
ciando al proprio diritto, vi informino di tutto l’accaduto.
Non rimandate in Europa nessun missionario, a meno che una assoluta
necessità e motivi molto urgenti vi abbiano indotto a farlo, anzi vi ci abbiano
costretto quasi controvog1ia. Questi motivi possono essere: cattiva condot-
ta, dottrina perversa, incapace di sopportare gli altri e soprattutto impigliato
in faccende politiche e interessi mondani. Può essere infine valido motivo la
necessità di informare la Sacra Congregazione della situazione generale e
dello stato dell’intera missione in tutte le sue province.
Con quale prudenza voi dobbiate comportarvi nelle relazioni col clero
regolare vi è stato ampiamente detto […]. Per ora attenetevi dunque esatta-
mente a queste indicazioni, fino a che non abbiate accuratamente descritto
alla Sacra Congregazione lo stato di quelle regioni. Tenete come principio
generale che è molto meglio permettere che i vostri diritti siano lesi da loro,
piuttosto che rivendicare con scandalo anche una minima vostra preroga-
tiva legittima.
Non vogliate in alcun modo rendervi odiosi al popolo per delle questioni
materiali. Ricordatevi della povertà degli Apostoli che guadagnavano con le
proprie mani ciò che era necessario per sé e per i loro compagni10. A mag-
gior ragione voi, emuli e imitatori degli Apostoli, accontentatevi del vostro
cibo e del vostro abito e astenetevi da ogni indecoroso provento ottenuto
mediante elemosine o raccolta di denaro, donativi e offerte. E se qualche
offerta siete comunque costretti a ricevere, nonostante i vostri rifiuti, distri-
buitela ai poveri sotto gli occhi dei vostri benefattori, ben sapendo che nulla
suscita tanta ammirazione fra i popoli quanto il disprezzo dei beni temporali
e la povertà evangelica che, elevandosi al di sopra di tutte le realtà terrene,
accumula tesori in cielo11.
Nessuno di voi o dei vostri collaboratori si leghi a qualche persona in
modo durevole o gli sia così sottomesso. Non lasciatevi perciò legare le
mani da favori eccessivi ma insidiosi che possano non solo nuocere al bene
comune, ma anche togliere la libertà di parlare e di biasimare i vizi del do-
natore stesso.
Poiché è necessario, per promuovere in questi paesi lo studio delle lette-
re sacre, tradurre dal latino o dal greco nella lingua locale non poche opere

nuova umanità 229 89


scripta manent
Istruzione per i vicari apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina (1659)

dei dottori della Chiesa e di altri autori religiosi, ricercate con ogni diligenza
chi dei nostri lì o altrove sia all’altezza di questo compito per la perfetta
conoscenza delle due lingue e delle scienze sacre, e segnalate il suo nome
alla Sacra Congregazione. Aprite ovunque delle scuole con grande cura e in-
segnate gratuitamente ai giovani di quei paesi la lingua latina e, nell’idioma
locale, la dottrina cristiana. Preoccupatevi anche che nessun cattolico faccia
educare i figli a degli infedeli, ma solo a voi e ai vostri collaboratori.
Se in queste scuole noterete dei giovani dotati di buona indole, e che
lascino sperare di poter abbracciare la vita ecclesiastica, alimentate il loro
zelo e aiutateli a proseguire gli studi senza che siano distratti da altri inte-
ressi. Quando avranno sufficiente istruzione e formazione religiosa, potrete
accoglierli tra i chierici, e a suo tempo promuoverli agli ordini sacri, dopo
averli saggiati con molti esercizi spirituali e dopo avere esaminato la loro
intenzione e la loro vocazione allo stato ecclesiastico. Li incaricherete poi di
insegnare ai loro compatrioti il Vangelo di Cristo.
Ci sarebbero moltissime altre cose da dire e prescrivere […] ma voluta-
mente si omettono, perché la Sacra Congregazione ha tale stima del vostro
zelo e del vostro impegno da ritenere per certo che voi saprete supplire alle
lacune […], mediante la lettura degli eccellenti libri che sono stati pubblica-
ti sull’India e sulla Cina, e soprattutto sulla conversione di quei popoli. Tra
questi libri vi raccomandiamo vivamente la vita di san Francesco Saverio e
soprattutto le sue lettere12; da questi infatti attingerete molti orientamenti
che possono ritenersi norme sicure sia sui riti di quei paesi sia sul modo
di trattare con gli abitanti e di comportarvi onorevolmente nelle maggiori
difficoltà. Leggete anche il Vericello13 soprattutto quella parte che tratta dei
problemi dubbi relativi ai Cinesi. Leggete anche il Bozio14 e il quarto tomo
delle opere del carmelitano scalzo Tommaso di Gesù15.
Poiché la Sede Apostolica vi ha mandato come compagno il terzo vesco-
vo16, molti problemi che la situazione presente ha indotto a tralasciare, forse
in condizioni più opportune saranno precisati, se così la Sacra Congrega-
zione giudicherà conveniente nel Signore. Egli benedica le vostre fatiche e
vi conduca felicemente col gregge a voi affidato alla dimora eterna. Amen.

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congregazione de propaganda fide

1
Trascrizione dal testo italiano pubblicato nel 1980 dalla Jaca Book e curato da
Massimo Marcocchi. Il testo pubblicato dalla Jaca Book porta la versione latina a piè
di pagina.
2
Cf. 1 Gv 4, 1.
3
Cf. Lc 9, 62; Mc 4, 16-17.
4
Cf. 1 Cor 9, 22.
5
Cf. 1 Pt 2, 18.
6
Cf. Lam 3, 26.
7
Cf. Lc 5, 7.
8
Cf. Is 5, 1-7.
9
Cf. Mt 18, 15.
10
Cf. 1 Cor 4, 12.
11
Cf. Mt 6, 20; Lc 12, 33.
12
Si tratta probabilmente della Vita Francisci Xaverii del gesuita Orazio Torsel-
lini (Roma 1593). Cf. C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, t. VIII,
Bruxelles-Paris 1898, col. 140. Il Torsellini curò anche la traduzione in latino delle
lettere di Francesco Saverio (Roma 1596).
13
Il teatino Angelo Maria Verricelli (1656), missionario a Costantinopoli e nel
Vicino Oriente, compose un’opera intitolata Quaestiones morales ut plurimum no-
vae ac peregrinae, seu tractatus de apostolicis missionibus, Venetiis, apud Franciscum
Baba, 1656. Cf. A. F. Vezzosi, I scrittori de’ chierici regolari detti Teatini, parte seconda,
Roma 1780, pp. 470-472.
14
Tommaso Bozio (1548-1610) appartenne alla congregazione dell’Oratorio
fondata da Filippo Neri. Collaborò con il Baronio alla redazione degli Annales eccle-
siastici e condensò il frutto delle sue ricerche negli Annales antiquitatum che in parte
furono pubblicati nel 1637. II De signis Ecclesiae Dei contra omnes haereses (2 voll.,
Roma 1591-1592) è l’opera del Bozio che ebbe più larga diffusione. Cf. la voce “Bozio”
di P. Craveri in Dizionario biografico degli Italiani, 13, pp. 568-571.
15
II carmelitano scalzo Tommaso di Gesù (al secolo Didaco Sanchez d’Avila)
nacque a Baeca in Andalusia intorno al 1568 e morì a Roma nel 1627. In qualità
di provinciale di Castiglia e poi di definitore della Congregazione di Spagna, ebbe
modo di seguire l’attività dei suoi confratelli impegnati a predicare il vangelo nel Vi-
cino e nel Medio Oriente. Da questa partecipazione alle vicende missionarie nacque
un’opera che godette di vasta notorietà: Thesaurus sapientiae divinae in gentium om-
nium salute procuranda, schismaticorum, haereticorum, judaeorum, saracenorum, cete-
rorumque infidelium errores demonstrans, impiissimarum sectarum maxime orientalium
ritus ad historiae fidem XII libris enarrans, errores ad veritatis lucem coflutans, Antver-
piae 1613. Qualche anno prima, nel 1610, aveva pubblicato uno Stimulus missionum
(Roma, 1610). Gli scritti di Tommaso di Gesù furono editi nel 1684 col titolo Opera

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scripta manent
Istruzione per i vicari apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina (1659)

omnia homini religioso et apostolico utilissima. Tommaso propose la costituzione in


Roma di una commissione che dirigesse l’attività missionaria e pertanto è ritenuto
un precursore della congregazione di Propaganda Fide. Su Tommaso di Gesù cf.
Marziale da S. Giovanni Battista, Bibliotheca scriptorum utriusque congregationis et
sexus Carmelitarum excalceatorum, Burdigalae 1730, pp. 409-419; F. Rousseau, L’idée
missionnaire aux XVI et XVII siècles, Paris 1930, pp. 68-72; Tommaso di Gesù ocd, Il
p. Tommaso di Gesù e la sua attività missionaria all’inizio del secolo XVII, Roma 1936.
16
Ignace Cotolendi, il vicario apostolico.

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parole chiave

Intercultura e vangelo

Viviamo in un’epoca contrassegnata dal pluralismo


etico-religioso. Attorno a tale indicazione convergo-
no interpreti autorevoli e diversi che, muovendo da di-
Elena scipline differenti, intravedono nella condizione della
Merli convivenza di cittadini muniti di visioni del mondo, fedi
religiose, orizzonti culturali e strutture morali diverse la
laureata in vera sfida antropologica dei nostri giorni.
psicologia presso Si rende perciò necessario esplorare i contorni
l’università di dell’interculturalità, concepita come interazione fra cul-
padova. svolge
ture diverse, come instaurazione di forme di dialogo, di
attività di ricerca
presso il centro confronto e di reciproco scambio di conoscenze tra Pae-
igino giordani. si, istituzioni o movimenti.
Intercultura è un neologismo di origine inglese e
spagnola. In Italia è impiegato in ambito scientifico già
a partire dagli anni Sessanta e inizialmente si afferma
soprattutto in ambito pedagogico e scolastico. Forse più
usato, per lo meno più comune, è il termine multicultu-
ralismo, che con l’intercultura ha punti in comune e pro-
fonde differenze.
Il termine multiculturalismo, entrato nell’uso comu-
ne intorno agli anni Ottanta, indica appunto una socie-
tà dove più culture, anche molto differenti, convivono
rispettandosi reciprocamente fra loro. L’idea, nata so-
prattutto in seguito all’intensificarsi dei processi di glo-
balizzazione (turismo, capitalismo e soprattutto immi-
grazioni), è che i diversi gruppi etnici, e le minoranze in
particolare, pur avendo interscambi, conservino ognuno
le proprie peculiarità, mantenendo il proprio diritto a
esistere senza omologarsi a una cultura predominante.

nuova umanità 229 93


parole chiave
Intercultura e vangelo

Questo modo di intendere l’integrazione porta molti aspetti critici: si rischia


che ci sia una semplice tolleranza, senza vera accettazione e conoscenza
reciproche. Ci può essere l’effetto paradossale di escludere le minoranze,
invece di promuovere la loro partecipazione alla società e alla cultura nazio-
nale e transnazionale. Il multiculturalismo, o meglio un certo modo di inten-
dere il multiculturalismo, dicono alcuni studiosi del campo, avrebbe in certi
casi prodotto la propria contraddizione: il monoculturalismo.
È per questo che oggi la riflessione antropologica sul concetto di cultura
consiglia di andare oltre la prospettiva multiculturale: è necessario infatti
non solo accettare le diversità, ma anche confrontarsi con esse, valorizzan-
do ad un tempo somiglianze e differenze. Più di multiculturalismo, allora,
occorre parlare di interculturalità, dove, e questo è il punto fondamentale,
non c’è una cultura superiore alle altre. L’intercultura si fonda sulla possi-
bilità di stabilire un rapporto, promuovere un processo di cambiamento: le
culture imparano a non essere mai definitive e complete per poter stabilire
un dialogo e un reciproco arricchimento e produrre “una nuova cultura”.
L’interculturalità quindi non può essere considerata una sfida qualsiasi.
Essa richiama un progetto e un processo che a partire dalla constatazio-
ne delle diversità si propongono di ricercare forme, strumenti, circostanze,
linguaggi, esperienze, strutture per realizzare un confronto, un dialogo co-
struttivo e creativo.
La cultura cristiana è chiamata in causa in questo processo storico e so-
ciale, giacché esso richiama temi vasti e problematici come l’evangelizza-
zione e l’inculturazione.
Gesù con l’incarnazione è stato un esempio vivo ed eloquente di incul-
turazione. Si è fatto uno del suo popolo, si è fatto ebreo fino in fondo, ha
vissuto e rispettato la fede e i riti del popolo eletto, ha affermato che della
Torah nemmeno uno iota andrà perso, ma nello stesso tempo ha fatto cade-
re molte cose e ha portato la sua enorme novità.
Un altro esempio eloquente di inculturazione sono gli apostoli: predica-
no il vangelo, ma sono ebrei e vanno a fare le loro preghiere al tempio; solo
in un secondo momento vengono conosciuti come cristiani. Pensiamo ad
esempio al primo Concilio di Gerusalemme, in cui bisogna affrontare tutto il
problema della circoncisione e di altre prescrizioni degli ebrei da far rispet-

94 nu 229
elena merli

tare o meno ai gentili. Anche gli apostoli sono immersi nella loro cultura e,
dal di dentro di essa, portano tutta la novità di Gesù risorto. Paolo, ebreo di
nascita, cittadino romano, di lingua greca, di cultura ellenista, non può es-
sere un esempio di intercultura ante litteram? Pensiamo ad esempio alla sua
posizione riguardo alla circoncisione, non necessaria per i gentili, anche se
poi fa circoncidere Timoteo, ebreo di nascita, perché sia più adatto a portare
il vangelo tra gli ebrei.

Il cammino bimillenario della cultura cristiana – scriveva il filo-


sofo Giuseppe Zanghí – è la storia della continua penetrazione
dell’Evangelo nelle culture che ha raggiunte per prime: semitica,
greca, latina, germanica, celtica, slava. E redimendole e purifi-
candole e riorganizzandole nello Spirito del Cristo, le ha condotte
ad espressioni sempre nuove come era nuovo il messaggio che le
raggiungeva.
Ma ogni espressione culturale cristiana non poteva essere conclu-
siva. Da una parte perché l’uomo è un essere-temporale; dall’altra,
perché il cristianesimo penetra lentamente nelle profondità dell’uo-
mo: anzitutto, perché è amore e l’amore non fa violenza, e poi per-
ché l’uomo è capace di infinito e dunque può e deve essere colmato
infinitamente ma nel suo modo che è storico.
La cultura cristiana, le culture cristiane con le espressioni molteplici
che le caratterizzano si espandono dal cuore dell’uomo e chiedono
sempre nuovi compimenti1.

Una prospettiva che ci porta a definire l’inculturazione come lo sforzo di


esprimere il cristianesimo in un contesto differente da quello in cui è sorto,
traducendolo in un’altra cultura. E, nello stesso tempo, come la capacità di
utilizzare le originalità, le sensibilità di un contesto culturale per scoprire i
contenuti ancora impliciti della rivelazione.
In questa ottica l’intercultura può essere un terreno fecondo perché il
vangelo trovi modi sempre nuovi per incarnarsi e presentarsi agli uomini
d’oggi, senza annacquare o perdere nulla dell’annuncio, anzi scoprendo
forme sempre nuove e magari esplicitando contenuti della rivelazione non
ancora espressi.

nuova umanità 229 95


parole chiave
Intercultura e vangelo

Vorrei concludere questi spunti su intercultura e vangelo con qualche


parola di Chiara Lubich che ci propone Gesù crocifisso e abbandonato come
modello per stabilire qualsiasi dialogo costruttivo, qualsiasi rapporto tra sin-
goli e tra gruppi e quindi ancor più tra culture diverse:

Per accogliere in sé il Tutto bisogna essere il nulla come Gesù Ab-


bandonato [...]. Bisogna mettersi di fronte a tutti in posizione d’im-
parare, poiché si ha da imparare realmente.
E solo il nulla raccoglie tutto in sé e stringe a sé ogni cosa in unità:
bisogna essere nulla (Gesù Abbandonato) di fronte ad ogni fratello
per stringere a sé in lui Gesù: «Qualunque cosa avrete fatto a un
solo dei miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me» (cf. Mt 25, 40)2.

Una sfida enorme per l’uomo di oggi che, grazie alle attuali circostanze,
ha forse una chance in più di diventare, espressione usata più volte da Chiara
Lubich, “uomo-mondo”.

G.M. Zanghí, Vangelo e cultura. Una breve riflessione, «Nuova Umanità» 49


1

(1987/1), p. 12.
2
Da una conversazione telefonica con i membri del Movimento dei Focolari,
gennaio 2006, conservata nell’Archivio generale del Movimento dei Focolari.

96 nu 229
punti cardinali

Il principio della sussidiarietà


dal Codice di Camaldoli
alla Costituente

Bruno Di
Giacomo 1. premessa
Russo
Sul tema della sussidiarietà sono stati proposti nu-
docente di diritto merosi studi, tuttavia non sembra che ad oggi si sia
costituzionale
all’università effettivamente giunti a una nozione univoca che possa
degli studi bene definirne il senso.
milano-bicocca. Prima di iniziare una disamina di tale principio e delle
responsabile sue applicazioni nel nostro ordinamento, è necessario
dell’ufficio darne una ricostruzione, partendo dalla sua origine. Il
studi della
cisl sondrio. dato da segnalare è che di esso, quale principio generale
di organizzazione sociale, non v’è traccia nella lettera-
tura precedente il secolo XIX, anche se vi sono i primi
germi di una concezione a dimensione sociale della vita
di gruppo.
La sussidiarietà va considerata come elemento ispi-
ratore di alcune norme fondamentali della convivenza e
dell’organizzazione sociale, fra quelle che valorizzano la
persona e l’autonomia delle formazioni sociali.
Il testo è diviso secondo una linea prevalentemente
storica.
Lo studio parte dall’esame del Codice di Camaldoli,
documento fondato sui princìpi essenziali della dottrina
sociale della Chiesa e che rappresenta il precedente va-
loriale per la definizione del nucleo fondamentale della
Co­stituzione della Repubblica italiana del 1948.

nuova umanità 229 97


punti cardinali
Il principio della sussidiarietà dal Codice di Camaldoli alla costituente

Di seguito si evidenzia l’anello di congiunzione tra il Codice di Camaldoli


e la Costituzione italiana del 1948, per cui, nel paragrafo successivo, si ap-
profondisce il contributo dei costituenti cattolici.

2. il codice di camaldoli

Nel luglio 1943 alcuni intellettuali cattolici si riuniscono, presso il mona-


stero benedettino di Camaldoli, con l’intento di confrontarsi e riflettere sul
magistero sociale della Chiesa.
I partecipanti, sia laici e sia religiosi, ritengono necessario cristallizzare
i princìpi fondamentali del pensiero sociale cattolico, in considerazione del
delicato momento che il Paese sta attraversando.
A guerra non ancora terminata, questo gruppo di cattolici italiani va ben
oltre la discussione e l’approfondimento, ridisegnando un modello di ordi-
ne sociale che possa affrontare le sfide a guerra finita. In sei giorni stilano
un programma per la rinascita dell’Italia dalle macerie della guerra e della
dittatura.
L’idea che ne scaturisce è quella di un modello di Stato che persegua la
giustizia sociale, come concreta espressione del bene comune, nella libertà e
nella democrazia e che, quindi, intervenga per regolare l’economia di mer-
cato, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per
rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini e per sostenere la famiglia1.
Il dibattito va ben oltre le indicazioni contenute nel Codice di Malines,
affrontando le questioni nuove riguardanti la vita civile, lo Stato, la famiglia,
la scuola e i problemi internazionali.
Il Codice di Camaldoli è un condensato di settantasette enunciati che
partono dal superamento del corporativismo tra i cattolici, per far emergere
quella concezione dell’economia mista, né liberista, né collettivista.
Il Codice di Camaldoli elenca alcuni princìpi riguardanti i capisaldi su cui
si deve fondare il nuovo ordine sociale: la dignità della persona umana; l’u-
guaglianza effettiva delle persone; la solidarietà; la destinazione primaria
dei beni materiali a vantaggio di tutti gli uomini; il lavoro; il libero commercio

98 nu 229
bruno di giacomo russo

dei beni nel rispetto della giustizia commutativa; la giustizia commutativa


nel lavoro; la giustizia distributiva e legale nell’intervento dello Stato.
Nel disegnare l’ordine sociale risulta fondamentale la definizione della
funzione dello Stato, che sta nella «promozione del bene comune, cioè a cui
possono partecipare tutti i cittadini in rispondenza alle loro attitudini e con-
dizioni; bene che i singoli e le famiglie non sono in grado di attuare, giacché
lo Stato non deve sostituirsi ai singoli e alle famiglie», e la definizione di bene
comune che rientra in «quelle esterne condizioni le quali sono necessarie
all’insieme dei cittadini per lo sviluppo della loro qualità e dei loro uffici,
della loro vita materiale, intellettuale e religiosa».
L’impostazione complessiva dei princìpi è arricchita dal dovere di solida-
rietà, prescritto dal Codice, enunciando che, «finché nella società ci siano
dei membri che mancano del necessario, è dovere fondamentale della so-
cietà provvedere; sia con la carità privata, sia con le istituzioni di carità pri-
vate, sia con altri mezzi, compresa la limitazione della proprietà dei beni non
necessari, nella misura occorrente a provvedere al bisogno degli indigenti».
All’interno di uno Stato con precise finalità, tra cui il bene comune e la
solidarietà, è necessario esplicitare la distribuzione patrimoniale nel sen-
so che «un buon sistema economico deve evitare l’arricchimento eccessivo
che rechi danno a un’equa distribuzione; e in ogni caso deve impedire che
attraverso il controllo di pochi su concentramenti di ricchezza, si verifichi lo
strapotere di piccoli gruppi sull’economia».
Questi princìpi, così come enunciati, rappresentano la sostanza del-
la Dottrina sociale, che accomuna l’ideologia e le prospettive alle quali il
Codice si rivolge. Perché la Dottrina sociale non è una disorganica e varia
espressione del pensiero cattolico, susseguitasi nel corso del tempo, ma è
la risposta, dotata di rilevante autorevolezza istituzionale ed espressa in ter-
mini dottrinali, attraverso la quale il magistero cattolico affronta la realtà
sociale ed economica di un dato momento storico.
La Dottrina sociale continua a far ricorso alle categorie della giustizia so-
ciale e del bene comune che allargano la prospettiva all’intera realtà sociale.

nuova umanità 229 99


punti cardinali
Il principio della sussidiarietà dal Codice di Camaldoli alla costituente

3. dal codice di camaldoli alla costituzione

Il Codice di Camaldoli nasce, in definitiva, come una sorta di carta di


princìpi, e viene successivamente ampliato e pubblicato nel 1945, influen-
zando così, negli anni successivi, la scrittura della Costituzione e le scelte di
politica economica e sociale della Democrazia cristiana.
Anche se non esplicitata, la sussidiarietà informa sostanzialmente l’inte-
laiatura concettuale del Codice di Camaldoli e della Costituzione, nonostan-
te il mancato recepimento della formula lessicale della sussidiarietà.
L’essenza della Dottrina sociale cattolica risiede nella valorizzazione del-
la società civile attraverso la sussidiarietà sociale, ovvero la socialità giuridica2.
La Costituzione del 1948 contiene, seppur in via immanente, tracce di
sussidiarietà nel principio personalista e nel rilievo alle formazioni sociali.
Infatti, non è mancato chi individua il principio di sussidiarietà orizzonta-
le nell’art. 2 Cost., che, riconoscendo i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali, richiede l’adempimento dei doveri inde-
rogabili di solidarietà politica, economica e sociale3.
L’art. 2 Cost. fonda i propri presupposti concettuali nella concezione so-
lidaristica propria della cultura cattolica, di cui peraltro tutta la Costituzione,
ivi inclusa la parte economica, è informata.
La Costituzione prevede che i cittadini, anzi gli uomini, come singoli e in
forma associata all’interno delle quali associazioni si svolge la loro persona-
lità, agiscano in vista dell’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale.
L’art. 2 Cost. dispone che gli uomini agiscano anche non per scopi egoi-
stici, o esclusivamente individualistici, ma appunto, nell’interesse anche
degli altri, nell’interesse collettivo4, allo scopo di partecipare alla composi-
zione di una comunità pluralista fondata sull’eguaglianza sostanziale e sulla
solidarietà.

100 nu 229
bruno di giacomo russo

4. l’apporto dei cattolici alla costituzione

Il Codice di Camaldoli, intrinseco di valori e princìpi, corrisponde al diret-


to precedente culturale della Costituzione italiana5.
I cattolici nella Costituente contribuiscono a dare un’impronta chiara e
riconoscibile, e a suscitare una condivisione convinta di valori e di princìpi.
Nel contesto storico, politico-ideologico e culturale in cui i cattolici par-
tecipano alla stesura della nuova Carta, il loro contributo risulta evidente e
decisivo anche per la statura di alcuni costituenti, tra cui Dossetti, Fanfani,
La Pira, Moro, Mortati, Tosato e Vanoni.
In un dibattito sull’impostazione generale della nuova Costituzione,
Moro interviene per esortare a scrivere una Costituzione non semplicemen-
te a-fascista, ma profondamente e intimamente anti-fascista, così rimarcan-
do la netta rottura con il passato6.
Va ricordato l’emendamento proposto da Fanfani, Moro e Tosato all’art.
1 Cost., che dà vita alla formula «l’Italia è una Repubblica democratica fon-
data sul lavoro», che consente di superare la contrapposizione tra i costi-
tuenti comunisti – che vogliono che si parli dell’Italia come di una Repubblica
democratica di lavoratori – e i costituenti di matrice liberale e conservatrice
che ritengono tali espressioni troppo ideologicamente sbilanciate7.
La soluzione di compromesso nasce grazie alla mediazione dei tre costi-
tuenti democristiani, ma esprime anche una specifica sensibilità del mondo
cattolico sulla fondamentale dimensione del lavoro che conferisce dignità
all’uomo, tema caro alla Dottrina sociale.
Oltre che sui princìpi fondamentali, anche sugli aspetti più importan-
ti della struttura organizzativa, soprattutto relativamente all’esercizio del
poter di governo, emerge la crescente conflittualità in campo politico tra
la Democrazia cristiana e le sinistre, al punto che nella seconda sottocom-
missione, quella competente per l’ordinamento costituzionale della Repub-
blica, e poi in aula vi è costantemente una contrapposizione su tutti i punti
essenziali8.
In tali circostanze, le singole decisioni divengono il frutto di convergenze
dovute a reciproche concessioni e, quindi, individuabili nell’alveo del “com-

nuova umanità 229 101


punti cardinali
Il principio della sussidiarietà dal Codice di Camaldoli alla costituente

promesso”, sintesi dell’arte della politica, fra istanze contrapposte che con-
vergono al fine di evitare la rottura definitiva.
Secondo la cultura costituzionale evocata a più riprese da Dossetti, la Co-
stituzione deve esprimere una tensione al futuro, una finalità condivisa, un
programma volto a catturare il consenso popolare che ruoti intorno al nuovo
testo. Questa tensione al futuro è evidente nel cuore ideologico della Costitu-
zione, elaborato sulla base di un ordine del giorno dello stesso Dossetti, poi
confluito negli artt. 2 e 3 Cost.9.
Con la nuova Costituzione si sceglie la centralità della persona umana
come singolo e nelle formazioni sociali in cui vive e si sviluppa10. In merito,
rilevante è l’impegno di Dossetti nella stesura degli artt. 2 e 3 Cost., che
sono la base del principio personalista, nel senso della centralità e della
dignità della persona umana come scopo fondamentale del nuovo ordi-
namento e finalizzazione dell’esercizio dei pubblici poteri, e del principio
pluralista, nel senso del ruolo delle formazioni sociali, dell’articolazione ter-
ritoriale dello Stato e del riconoscimento della famiglia come fondamento
della nuova società.
A tali princìpi si affianca il principio di uguaglianza sostanziale, che rifiu-
ta una concezione meramente formalistica dell’uguaglianza, ma impegna la
Repubblica e tutti gli organi pubblici nel superamento delle disuguaglianze
sociali, e il principio di solidarietà che completa la dimensione sociale della
nuova forma di Stato, ora non più solo Stato liberale11.
Questo pezzo di Costituzione esprime l’idea pluralista della società, ri-
spettosa dei diritti della persona, singola e associata, che esistono da prima
dello Stato e che lo Stato riconosce come originari.
Il principio del prioritario riconoscimento delle comunità intermedie e
del loro ruolo di luoghi privilegiati per lo sviluppo della persona umana è di
Jacques Maritain, quale poi principio ispiratore di Mortati, così come per
Dossetti e La Pira, che lo trasformano nell’art. 2 Cost.12.
Dossetti e La Pira sostengono con forza la preminenza della società sullo
Stato e la premessa quindi per affermare la funzione puramente integrativa
e residuale dello Stato13.
Inoltre, tutto ciò contiene un’idea di Stato tutt’altro che minimo, in cui
le istituzioni assumono il compito, propriamente etico, di creare solidarietà

102 nu 229
bruno di giacomo russo

intesa come riduzione, se non rimozione, degli ostacoli economici e sociali


alla piena cittadinanza.
Nelle convinzioni più profonde dei costituenti cattolici traspare lo sforzo
di cercare una sorta di mediazione, di terza via, tra le altre ideologie presenti
in assemblea costituente. Il problema base è certamente quello di definire
quale sia l’assetto sociale, diverso da quello liberale e da quello comunista,
su cui la Costituzione deve essere elaborata in funzione della premessa che
le strutture giuridiche devono essere proporzionate a quelle sociali.
L’itinerario percorso evidenzia che “la nostra Costituzione” si eleva alla
dignità di un vero patto nazionale, in cui confluiscono le tre grandi tradizioni
politiche del nostro Paese: quella liberale, quella cattolica e quella social-
comunista.
La portata del patto costituzionale, sottostante alla stesura della Costitu-
zione, deve mantenersi nelle fasi d’innovazione costituzionale.
L’esigenza di cercare una nuova e più adeguata strumentazione deve es-
sere idonea ad assicurare al Patto costituzionale di esprimere il suo ruolo di
decisione fondamentale e costitutiva anche di fronte a importanti riforme
costituzionali14.

1
Cf. S. Pezzotta (ed.), Il Codice di Camaldoli, Edizioni Lavoro, Roma 2005, pp.
VIIss.
2
Mi sia concesso il rinvio a B. Di Giacomo Russo, Il valore della sussidiarietà.
Origine e attualità, Città Nuova, Roma 2015, pp. 51ss.
3
Cf. A. Barbera, Commento all’art. 2 Cost., in G. Branca (ed.), Commentario della
Costituzione. Principi fondamentali, art. 1-12, Zanichelli editore - Il foro italiano, Bolo-
gna-Roma 1975, pp. 51ss.; G. Pastori, Il pluralismo sociale dalla Costituzione repub-
blicana ad oggi: l’attuazione del pluralismo nel trentennio repubblicano, in AA.VV., Il
pluralismo sociale nello Stato democratico, Vita e Pensiero, Milano 1980, pp. 104ss.; P.
Grossi, Il diritto costituzionale tra principi di libertà e istituzioni, Cedam, Padova 2005,
pp. 178ss.
4
Cf. A. D’Andrea, La prospettiva della Costituzione italiana e il principio di sus-
sidiarietà, in «Jus», 2000/2, pp. 324ss. Altri invece esaltano la comunanza della
valorizzazione in entrambi «della soggettività della persona e dei gruppi»; fra tutti,
cf. P. Duret, La sussidiarietà orizzontale: le radici e le suggestioni di un concetto, in «Jus»,
2000/1, pp. 139ss.

nuova umanità 229 103


punti cardinali
Il principio della sussidiarietà dal Codice di Camaldoli alla costituente

5
R. Pezzimenti, Il movimento cattolico post-unitario. Dall’eredità di Rosmini a De
Gasperi, Città Nuova, Roma 2014, afferma a proposito del Codice di Camaldoli che
«il ruolo dei “veterani” è facilmente riscontrabile già nel primo capitolo, quello sullo
Stato, se non redatto, sicuramente, ispirato da Capograssi. Qui, “si rilanciava, sul-
la scia della Quadragesimo anno di Pio XI, la funzione unicamente sussidiaria delle
istituzioni e dei poteri pubblici nei processi sociali ed economici”, di fatto ispirando
quella terza via che sarebbe stata una delle basi dei lavori della Costituzione». Per
queste considerazioni, l’Autore cita N. Antonetti - U. De Siervo - F. Malgeri, I cattolici
democratici e la Costituzione, I, Rubbettino, Bologna 1998, p. 133.
6
Nel commentare l’art. 1 Cost., Mortati afferma che l’istanza che sta alla base
del principio democratico ha trovato «il suo profondo fondamento e la più essen-
ziale giustificazione nell’etica cristiana che, mentre attribuisce valore assoluto alla
persona umana e così riconosce a ognuno pari dignità, quale che sia la condizione
e posizione occupata, impone poi di considerare gli altri simili a sé e a tutti di pro-
digarsi in una reciproca, operosa gara di affratellamento», C. Mortati, Commento
all’art. 1, in G. Branca (ed.), Commentario della Costituzione, cit., p. 6.
7
Cf. A. Moro, La democrazia incompiuta. Attori e questioni della politica italiana
1943-1978, Editori Riuniti, Roma 1999, pp. 177ss.
8
Per quanto concerne il contrasto tra la Democrazia cristiana e i partiti socia-
lista e comunista, all’interno dell’Assemblea costituente, si legga, diffusamente, a
partire da U. De Siervo, La transizione costituzionale (1943-1946), in «Diritto pubbli-
co», 1996/3, fino a U. Allegretti, Storia costituzionale italiana. Popolo e Istituzioni, il
Mulino, Bologna 2014, pp. 105-111.
9
Nella proposta di ordine del giorno, presentata il 9 settembre 1946 alla pri-
ma sottocommissione dell’Assemblea costituente, Dossetti afferma che il principio
di sussidiarietà orizzontale non esige un generalizzato arretramento del pubblico,
ma ne funzionalizza gli interventi, ammettendoli quando il privato non è in grado
di agire. Nella proposta si legge: «La sottocommissione, esaminate le possibili im-
postazioni sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell’uomo, [...] ritiene che la
sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche cui un nuovo statuto
dell’Italia democratica deve soddisfare è quella che: a) riconosca la precedenza so-
stanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi
bisogni, non solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione
di questo al servizio di quella; b) riconosca ad un tempo la necessaria socialità di
tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e a perfezionarsi a vicenda
mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale: anzitutto in varie comu-
nità intermedie, disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari, ter-
ritoriali, professionali, religiose, ecc.), e quindi, per tutto ciò in cui quelle comunità
non bastino, nello Stato; c) che per ciò afferma l’esistenza sia dei diritti fondamen-

104 nu 229
bruno di giacomo russo

tali delle persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione
da parte dello Stato». Il testo è riportato in V. Falzone - F. Palermo - F. Cosentino,
La Costituzione italiana illustrata con i lavori annotati, Giuffrè, Milano 1976, pp. 28ss;
è richiamato altresì da A. D’Atena, Il principio di sussidiarietà nella Costituzione, in
«Rivista italiana di diritto pubblico comunitario», 1997/3-4, p. 605 alla nota 8; e Id.,
Lezioni di diritto costituzionale, Giappichelli, Torino 2001, pp. 59ss.
10
Cf. S. La Porta, L’organizzazione delle libertà sociali, Giuffrè, Milano 2004, pp.
11ss.; V. Onida, I principi fondamentali della Costituzione italiana, in G. Amato - A. Bar-
bera (edd.), Manuale di diritto pubblico, il Mulino, Bologna 1997, vol. I, pp. 101ss.;
A. Amorth, Il “principio personalista” e il “principio pluralista”: fondamenti costituzio-
nali della libertà di assistenza, in Id., Scritti giuridici 1958-1986, vol. IV, Giuffrè, Milano
1999, pp. 2122ss.; A. Barbera, Commento all’art. 2 Cost., in G. Branca (ed.), Commen-
tario della Costituzione, cit., pp. 50ss.
11
In tal modo, secondo Giuseppe Dossetti, si sarebbe sancito a livello costitu-
zionale l’obbligo della solidarietà sociale e il parallelismo tra dignità della persona
umana e promozione della solidarietà sociale; cf. A.M. Poggi, I diritti delle persone. Lo
Stato sociale come Repubblica dei diritti e dei doveri, Mondadori, Milano 2014, p. 35.
12
Sul contributo di Jacques Maritain alla politica costituzionale del dopoguerra,
cf. L. Elia, Maritain e la rinascita della democrazia. Schema per una ricerca, in «Stu-
dium», LXXIII, 1997/9-10, pp. 579ss.
13
Si pone in diversa posizione Costantino Mortati, cattolico ma anche giurista
formato sul diritto tedesco, che matura una visione che diventa, nella sintesi fra
le sue diverse ispirazioni, più compattamente organicistica, in quanto considera
le comunità intermedie come anelli a interessi sempre più generali che servono a
rendere quindi lo Stato più forte, più capace di sintesi, cosa che la frammentazione
degli interessi renderebbe altrimenti impossibile; cf. G. Amato, Costantino Mortati
e la Costituzione italiana. Dalla Costituente all’aspettativa mai appagata dell’attuazione
costituzionale, in Id., Le istituzioni della democrazia. Un viaggio lungo cinquant’anni, il
Mulino, Bologna 2015, p. 91.
14
Cf., diffusamente, E. Cheli, Nata per unire. La Costituzione tra storia e politica, il
Mulino, Bologna 2012; L. Carlassare, Nel segno della Costituzione. La nostra carta per
il futuro, Feltrinelli, Milano 2012; V. Onida, La Costituzione, il Mulino, Bologna 2007.

nuova umanità 229 105


dallo scaffale di città nuova

Parole di vita
vol. 5 della nuova collana
OPERE DI CHIARA LUBICH
a cura di Fabio Ciardi

Nell’ampia produzione letteraria di Chiara Lubich la “Parola di


Vita” costituisce un genere particolare, da lei stessa creato.
Più che un commento al Vangelo, ne è una lettura carismatica,
un’intuizione, uno sprazzo di luce, un deciso impulso a metter-
lo in pratica, a viverlo.
Presenta un carattere immediato, incisivo, diretto. Destinata
fin dal principio a un vasto pubblico, è sempre apparsa su fo-
glietti modesti, scritti con un linguaggio alla portata di tutti.
Pur nella sua semplicità, l’iniziativa ha offerto un notevole con-
tributo alla riscoperta della Parola di Dio  nel mondo cristiano
del Novecento, trasmettendo un “metodo” per vivere la Scrit-
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nu 229
punti cardinali

Confronto tra
l’esagono di civiltà di Senghaas
e la spiritualità dell’unità

Claudia
Hubert Nel preambolo della costituzione dell’Unesco è scrit-
to: «Poiché le guerre hanno origine nello spirito degli uo-
teologa, esperta mini è nello spirito degli uomini che si debbono innal-
di scienze sociali,
diplomata in peace
zare le difese della pace»1. Ecco il perché dell’impegno,
and conflict specialmente dell’educazione alla pace, per far crescere
studies presso nelle future generazioni, e non solo in loro, la capacità di
l’università di poter vivere in pace pur essendo diversi.
augsburg. esperta Gli studi sui conflitti e sulla pace però mostrano
in strategie
sociologiche per
che, oltre a educare alla pace, a implementare e a far
la prevenzione crescere una cultura della pace, è necessario svilup-
dei conflitti. pare strutture che favoriscano e alimentino uno stile
di vita pacifico. Un modello che si staglia su questa li-
nea di pensiero è l’esagono di civiltà di Dieter Senghaas,
studioso tedesco delle scienze sociali e dei Peace and
Conflict Studies. Lui individua sei punti considerati cru-
ciali perché una società possa vivere in pace. Offre un
modello che, a ben vedere, può essere valido anche per
la vita di un’organizzazione, affinché la diversità possa
portare al bene di essa anziché a conflitti distruttivi.
La domanda su cui ci soffermiamo è se questo
modello rimanga una spiegazione astratta della realtà
o se se ne possano trovare anche esempi pratici. In
questo articolo lo sguardo va alla spiritualità dell’uni-
tà, ispiratrice di una specifica cultura e di specifiche
forme di azione sociali, che a loro volta possono es-

nuova umanità 229 107


punti cardinali
Confronto tra l’esagono di civiltà di Senghaas e la spiritualità dell’unità

sere viste come un possibile modo di vivere i punti cardine del modello
di Senghaas.

1. l’esagono di civiltà

L’esagono di civiltà è un modello di Dieter Senghaas. Attraverso questo


modello l’autore prova a spiegare in che modo una società può vivere in
pace o può sviluppare la pace. Questi sei punti sono: il monopolio dello Stato
nell’uso della violenza/forza, uno Stato basato sulla legge, l’interdipendenza
dei suoi membri e il controllo delle loro emozioni, la partecipazione demo-
cratica, la giustizia sociale e l’uguaglianza, e infine la risoluzione costruttiva
dei conflitti. Questi punti non sono isolati l’uno dall’altro, ma sono forte-
mente legati e interagiscono tra loro2. È un modello semplificato, che cerca
di spiegare la complessità della realtà. Sarà quindi impossibile trovare una
società nella quale tutti questi punti cardine vengano rispettati del tutto.
Analizziamo ora questi sei elementi.
Il primo principio dice che, per vivere in pace, è necessario che lo Stato
detenga il monopolio della forza/violenza. È compito dello Stato giudicare
e “punire”, ovvero fare giustizia, e non dei vari membri della società, siano
singoli oppure gruppi d’interesse. In questo modo i gruppi, nel caso di un
conflitto, sono costretti ad abbandonare la via della violenza e a intrapren-
dere la strada della comunicazione e dell’argomentazione per trovare una
soluzione3.
Con il secondo punto Senghaas mette in evidenza l’importanza dell’im-
postazione di una legge che valga per tutti e davanti alla quale tutti siano
uguali. Questo punto è importante affinché il monopolio della violenza non
venga sfruttato da una persona o da un gruppo di persone. Da ciò deriva
anche lo sviluppo di processi regolamentati per la risoluzione costruttiva dei
conflitti4. Per interdipendenza Senghaas intende l’appartenenza di ciascu-
no a diversi gruppi e organizzazioni – come la famiglia, il lavoro – nei quali
rappresenta ruoli differenti e svolge funzioni diverse. In questo modo non si
rischia di accumulare situazioni di conflitto – per esempio: se nel lavoro si
vive una situazione di conflitto, nella famiglia si vive una vita serena. Que-

108 nu 229
claudia hubert

sta frammentazione del conflitto determina anche una moderazione delle


reazioni nel caso di un conflitto5. La partecipazione democratica di tutti i
membri della società, e non solo dei gruppi particolari, fa sì che il cambia-
mento sociale possa essere indirizzato attraverso i canali politici. Senza di
essi i conflitti si accumulano fino alla loro esplosione, tante volte violenta6.
Con la partecipazione democratica si tiene anche conto delle minoranze e
si giunge a una integrazione e a una identificazione migliori del singolo con
la società. La giustizia sociale è importante perché niente è più pericoloso
per la pace, all’interno di una società, dell’impressione della maggioranza
di essere sottomessa e sfruttata da una minoranza7. La sfiducia e la dispe-
razione non sono buone consigliere per trovare una soluzione costruttiva ai
conflitti. Questi punti mostrano alcuni spunti per una soluzione costruttiva
dei conflitti. Fondamentale è creare strutture e processi nei quali essa venga
regolamentata.
Dall’analisi del modello di Senghaas possiamo comprendere che esso
può essere implementato non solo nella società, ma anche all’interno di
un’organizzazione o in una relazione sociale. Qui si parla di non violenza
(nella comunicazione); delle regole e dei valori che guidano l’organizzazio-
ne e l’agire dei suoi membri (cultura aziendale, per esempio); del controllo
delle proprie emozioni; del coinvolgimento di tutti i membri o i gruppi nei
processi decisivi, perché tutti si sentano protagonisti nel raggiungimento
dello scopo dell’organizzazione; di considerare i vari gruppi, i loro bisogni;
e di individuare strumenti, istituzionali e no, per la risoluzione costruttiva
dei conflitti.
L’educazione alla pace gioca un ruolo importante affinché questi punti
prendano vita e producano una cultura della pace. Un esempio di cultura
della pace si può cogliere nell’esperienza del Movimento dei Focolari e nella
vita dei suoi membri.

2. alcuni punti cardine della spiritualità dell’unità

Prima di declinare in che modo i punti cardine dell’esagono di civiltà


sono rintracciabili nella prassi del Movimento dei Focolari, è necessario

nuova umanità 229 109


punti cardinali
Confronto tra l’esagono di civiltà di Senghaas e la spiritualità dell’unità

descrivere in poche parole la spiritualità dell’unità. In questo articolo mi


potrò soffermare solo su alcuni aspetti fondamentali, utili ai fini del mio
contributo.
La spiritualità dell’unità si ispira ai princìpi cristiani e ad una scoperta
cruciale: che Dio è Amore, che lui è Padre di tutti e che quindi tutti gli uomini
sono fratelli. «E, si sa, che la prima volontà di un Padre è che i figli si trattino
da fratelli, si vogliano bene, si amino»8. Un’espressione di quest’amore fra-
terno è la regola d’oro: «Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te». L’amore
di cui parla la fondatrice del Movimento, Chiara Lubich, l’amore cristiano, ha
certe caratteristiche: fare il primo passo senza aspettarsi niente dall’altro;
è un amore diretto verso tutti, specialmente verso i più deboli e poveri; si
mostra in gesti concreti; tende a diventare reciproco. È un amore che non
si ferma davanti alle difficoltà e agli ostacoli, ai propri bisogni, a schemi o
a idee, ma è pronto a metterli in secondo piano per poter incontrare l’altro,
capirlo fino in fondo, per cogliere come l’altro vuole essere amato. Questo
atteggiamento, soprannominato “farsi uno”, è fondamentale per la realizza-
zione della regola d’oro9.
Questi atteggiamenti sono la base della vita del Movimento dei Focolari
e dei suoi membri. Sono la base di una cultura del dialogo, di una cultura
della pace.

3. i cardini dell’esagono di civiltà


e la spiritualità dell’unità

La spiritualità dell’unità non nasce per rispondere ai presupposti dell’e-


sagono di civiltà di Senghaas. Tuttavia si trovano in essa atteggiamenti e
modi di agire che possono essere visti come la realizzazione dei punti da lui
nominati.
La riscoperta di una verità cristiana fondamentale – che Dio è il Signore
della vita e non gli uomini, che lui è Padre di tutti e tutti gli uomini sono fra-
telli tra di loro – ha condotto Chiara Lubich e le sue compagne a riscoprire
il comandamento nuovo: amare l’altro come se stessi. Lo stesso precetto
esprime, con parole differenti, la regola d’oro: fai agli altri ciò che vorresti

110 nu 229
claudia hubert

fosse fatto a te. L’uso della violenza quindi non è consentito, perché, come
dice Gandhi, «non posso farti del male senza ferirmi»10. Ecco le radici del
principio della non-violenza vissuto nelle grandi religioni ed anche nel Movi-
mento dei Focolari.
L’amore cristiano è la scintilla ispiratrice nella vita del Movimento dei
Focolari11; la “legge” fondamentale della sua vita e di quella dei suoi membri,
dai più piccoli agli adulti, dei rapporti tra di loro e con tutti coloro che in-
contrano. È la base della sua “metodologia dialogica” 12: quella del mettersi
di fronte all’altro, chiunque sia, in un atteggiamento di ascolto, di rispetto,
volendogli bene in modo concreto.
La messa in pratica della scoperta che tutti gli uomini sono fratelli tra
di loro, il mettere al primo posto il rapporto con l’altro posponendo i propri
pensieri, i propri gusti, le proprie idee e i propri bisogni conducono ad un
certo controllo delle proprie emozioni.
Per quanto riguarda la partecipazione, si può notare nella prassi del Mo-
vimento dei Focolari una caratteristica forse unica: qui si uniscono processi
decisivi sia orizzontali che verticali. Anche se al suo interno è presente una
“gerarchia” verticale (la presidente, il copresidente ecc.), essa non si tro-
va al di sopra dei membri “comuni”, ma sta al servizio di questi. Ciascun
membro è responsabile poiché lo scopo del Movimento dei Focolari si rea­
lizza lì dove ognuno si trova. Ma ciò non determina un attivismo frenetico
o scoordinato, infatti le azioni da fare vengono decise in comunione con gli
altri. Tutto ciò implica necessariamente due atteggiamenti: donare il proprio
pensiero, senza rimanere attaccato ad esso difendendolo a tutti i costi, e far
proprio il pensiero dell’altro. Questa è l’esperienza di tanti decenni in cui si
è constatato che, facendo così, si trovano soluzioni nuove, che non sono né
la somma di differenti pensieri, né una decisione della maggioranza in cui il
pensiero della minoranza non viene ascoltato.
Il ritrovarsi fratelli porta con sé la giustizia sociale – non si posono lasciare i
propri fratelli privi del necessario per vivere. Si comincia a condividere i propri
beni con chi ne ha bisogno. Chiara Lubich spiegava questo atteggiamento at-
traverso un’immagine ben precisa: si deve fare come le piante, che prendono
dalla terra solo quello di cui hanno bisogno per vivere e crescere13. Per questo
si vive, fin dalla nascita del Movimento dei Focolari, la cosiddetta comunione

nuova umanità 229 111


punti cardinali
Confronto tra l’esagono di civiltà di Senghaas e la spiritualità dell’unità

dei beni: dando quello che si ha in sovrappiù e comunicando le proprie neces-


sità, perché ciascuno abbia ciò di cui ha bisogno. Da questo spirito è nata una
nuova forma di fare economia: l’Economia di Comunione14.
Mettendo al primo posto la relazione con l’altro, c’è la disponibilità a ri-
nunciare al proprio pensiero, a vedere nella diversità un dono e non solo un
ostacolo. Volendosi bene reciprocamente si riesce a vedere nella correzio-
ne fraterna un momento di crescita personale. Sperimentando questi due
aspetti cresce la fiducia negli altri e nella vita comunitaria – punto essenziale
e fondamentale per una soluzione costruttiva dei conflitti.

4. conclusioni

Abbiamo dimostrato che i sei punti segnalati da Senghaas nell’esagono


di civiltà per la realizzazione di una vita pacifica nella società o all’interno
di un’organizzazione vengono vissuti anche nel Movimento dei Focolari. La
vita dei suoi membri è ispirata ed è frutto della spiritualità dell’unità – spi-
ritualità che già di per sé punta alla realizzazione di una vita pacifica tra gli
uomini.
Possiamo notare però che i due approcci si sviluppano su piani diffe-
renti. Mentre Senghaas descrive l’insieme dei comportamenti e degli stru-
menti per costruire una società pacifica, la spiritualità dell’unità può essere
considerata una matrice di riferimento che permette la realizzazione di tale
società. Essa mostra in che modo e su quale base i concetti dell’esagono di
civiltà possono essere vissuti. In questo senso essa è più solida del concetto
di Senghaas, proprio perché si basa su una scelta di vita; un modus vivendi,
che poi a sua volta influisce sull’agire dei membri in qualsiasi situazione del-
la vita quotidiana.
Ma proprio per questo è anche più “debole”: la scelta di vivere tale spi-
ritualità non può essere imposta da qualcuno. È una scelta che ogni singolo
deve compiere personalmente. Qui il concetto di Senghaas è accessibile a
più persone, poiché propone strumenti, strutture o processi regolamentati
per sviluppare una società pacifica e che non sono necessariamente legati
ad una scelta di vita ben precisa. Possono essere vissuti magari solo in certi

112 nu 229
claudia hubert

ambiti di vita del singolo – per esempio sul posto di lavoro, perché lì vengono
ritenuti utili per gli scopi del funzionamento dell’organizzazione –, mentre in
altri non vengono considerati.
L’esagono di civiltà mostra ciò che si sta già vivendo all’interno del
Movimento dei Focolari, e che può aiutare anche a trovare o a sviluppare
processi regolamentati che favoriscano la vita del dialogo, che possono
essere messi al servizio delle organizzazioni anche fuori di esso. Così il
dialogo tra i modelli per costruire la pace – come quello di Senghaas – e la
vita concreta nelle organizzazioni – come il Movimento dei Focolari – pos-
sono portare a nuovi modelli e strutture organizzative per favorire la vita
di pace e la soluzione costruttiva dei conflitti, una vita in cui le differenze
non sono unicamente causa di conflitti ma portano a una crescita dell’or-
ganizzazione e dei suoi membri.

1
http://www.unesco.it/it/Documento/Detail/6.
2
Cf. D. Senghaas, Über Frieden und die Kultur des Friedens. Welche makropoliti-
schen Rahmenbedingungen eine Friedenspädagogik zu bedenken hat, in R. Grasse - B.
Gruber - G. Gugel, Friedenspädagogik. Grundlagen, Praxisansätze, Perspektiven, Ro-
wohlt, Reinbek bei Hamburg 2008, p. 22.
3
Cf. ibid., p. 23.
4
Cf. ibid., p. 24.
5
Cf. ibid.
6
Cf. ibid., p. 25.
7
Cf. ibid., p. 26.
8
C. Lubich, discorso all’Unesco, 17 dicembre 1996, http://www.centrochia-
ralubich.org/it/documenti/video/1339-discorso-in-occasione-del-conferimento-
del-premio-unesco-per-l-educazione-alla-pace.html.
9
Cf. ibid.
10
Cf. W. Mühs, Parole del cuore, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, p. 82.
11
Cf. Giovanni Paolo II, Discorso ai membri del Movimento dei Focolari, Centro in-
ternazionale Mariapoli, Rocca di Papa, 19 agosto 1984.
12
Cf. R. Catalano, Spiritualità di comunione e dialogo interreligioso. L’esperienza di
Chiara Lubich e del Movimento dei Focolari, Città Nuova, Roma 2010, p. 69.
13
Cf. C. Lubich, Parola di Vita, in «Città Nuova», 22 (2003), p. 7.
14
www.edc-online.org.

nuova umanità 229 113


dallo scaffale di città nuova

Padre mio mi abbandono a te


di Carlo Carretto

Da un profeta del XX secolo, parole di speranza


per l’uomo di oggi.
La storia di un grande testimone della fede.

In un tempo segnato dalla perdita di ogni certezza, Carlo Car-


retto medita sulla preghiera dell’abbandono di Charles de
Foucauld, che illumina con l’esperienza personale che “Dio è
Padre”. Attraverso parole forti e carismatiche Carretto invita
a ricoprire Dio come “propria famiglia” e a tessere nella quo-
tidianità un dialogo vero e vissuto da Padre a figlio.  È questa
l’esperienza di farci strumenti per un nuovo domani.
Vero e proprio long seller pubblicato da Città Nuova ininter-
rottamente dal 1975 nella collana Meditazioni, il testo si è
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alla fonte del carisma dell’unità

Discernimento
e carisma: epistolario

introduzione

Carlo de La storia della Chiesa nell’arco dei secoli è accom-


Ferrari pagnata dalla presenza provvidenziale di Dio che viene
in aiuto con suoi doni, i carismi, secondo i bisogni del
(montechiaro momento storico perché essa possa compiere la missio-
di prato allo
stelvio, 2 ottobre
ne da Dio affidatale nell’umanità. È così che la Chiesa,
1885 – trento, 14 come ci ricorda la Iuvenescit Ecclesia, lettera della Con-
dicembre 1962) è gregazione per la dottrina della fede, «ringiovanisce in
stato arcivescovo forza del Vangelo e lo Spirito continuamente la rinnova,
di trento dal 12 edificandola e guidandola “con diversi doni gerarchici e
aprile 1941 al 14
dicembre 1962.
carismatici”» (IE, 1). Tale constatazione – che esprime
gratitudine a Dio e sottolinea nello stesso tempo il pri-
mato della comunione, garanzia di fecondità e dell’ec-
Chiara clesialità di un carisma – è di luce nel penetrare la pro-
Lubich fondità e la profezia dei documenti che qui presentiamo.
Essi aprono alcuni squarci su uno straordinario rapporto
(trento, 22
gennaio 1920 –
di comunione, quello di Silvia-Chiara Lubich con il suo
rocca di papa, 14 arcivescovo, monsignor Carlo de Ferrari, che trova con-
marzo 2008) è la ferma in un ricco apparato di fonti, tra cui un epistolario
fondatrice del dal pregnante contenuto storico e spirituale. Un rappor-
movimento dei to fiorito dalla vita del vangelo, come testimonia la Lu-
focolari. esso ha
come obiettivo
bich stessa: «Fu leggendo il Vangelo che comprendem-
l'unità fra i popoli, mo ed approfondimmo pure la necessità, la bellezza e la
la fraternità gioia dell’unità con l’Autorità Ecclesiastica: “Chi ascolta
universale. voi ascolta Me” e per questa luminosa convinzione ci

nuova umanità 229 115


alla fonte del carisma dell’unità
Discernimento e carisma: epistolario

affidammo fin dal nascere al nostro Arcivescovo di Trento, di cui volemmo


sempre attuare non solo i comandi ma i desideri»1.
Un carisma porta sempre una novità inattesa o sorprendente, «talora
persino dirompente»2, che interpella e a volte suscita interrogativi, incom-
prensioni, persino persecuzioni. Ne viene di conseguenza che può non es-
sere semplice o almeno non immediato cogliere l’autenticità di esso, appro-
varlo, permettere che quel dono dello Spirito possa illuminare tanti. In chi
l’ha ricevuto ed è cosciente che si tratti di dono di Dio e non della propria
persona, ciò esige obbedienza, pazienza, capacità di accettare i momenti di
prova con un’offerta generosa di amore incondizionato a Dio nella sua Chie-
sa. È avvenuto così anche nella storia di Chiara Lubich e dell’Opera di Maria,
che da lei ha avuto origine, nei lunghi anni di studio da parte del Sant’Uffizio
prima di arrivare, agli inizi degli anni Sessanta, a un’approvazione ad experi-
mentum e poi definitiva da parte della Santa Sede.
In questa prospettiva, appare ancor più lungimirante la capacità di mon-
signor Carlo de Ferrari di discernere l’agire di Dio in quanto stava nascendo.
La comprensione convinta – «qui c’è il dito di Dio» – dimostrata già negli
anni Quaranta, al primo approccio con l’esperienza che si stava diffondendo
intorno a Chiara e alle sue prime compagne, fu, negli anni a seguire, confer-
mata da un atteggiamento coerente e costante dell’arcivescovo, che con sa-
pienza, perseveranza e amore paterno accompagnò Chiara e il Movimento
in quegli anni delicati e complessi eppur fecondi di frutti.
Lucia Abignente

i testo

La lettera che segue, scritta da Chiara Lubich a monsignor Carlo de Ferrari,


è una delle prime dell’epistolario conservatosi. Scritta “a caldo” da Chiara, dopo
l’incontro avuto con l’arcivescovo, ci riporta all’atmosfera in esso vissuto. In poche
righe sembra condensata l’essenza di questo rapporto con caratteristiche che ri-
marranno poi costanti negli anni.

116 nu 229
carlo de ferrari - chiara lubich

«ut omnes unum sint»

S. Francesco 1947 [4 ottobre]

Altezza Reverendissima,

Sono partita da Lei con tanta gioia in cuore.


Per comprendere la mia gioia, Altezza, basta che pensi ad un solo fatto.
Ho parlato con parecchie persone e anche molto addentro nelle cose
spirituali; ma mai ho trovato chi comprendesse la nostra Idea nella sua lim-
pidezza.
In Lei abbiamo trovato non solo chi ci comprende, ma anche Chi ci tiene
alle redini perché camminiamo nella Via che il Signore ci ha indicato.
Lei è proprio il “nostro” Vescovo.
Ringraziamo Dio e S. Francesco.
Ed oggi in onore del Santo ripromettiamo con triplicata buona volontà
d’esser “il suo desiderio vivente”.
Solo così siamo il desiderio di Gesù.
Adesso che siamo agl’inizi ci tagli, ci corregga, ci percuota, se è neces-
sario, perché il Signore non resti privato di quella Gloria che siamo destinati
a darGli.
Ci mettiamo nelle Sue Mani
come ora, sempre.
Ci voglia benedire
in Gesù
Lubich Silvia3

ii testo

«Anche fra quelli che s’erano proposti Iddio come ideale, qualcuno ogni tanto
veniva meno. Il Signore permette grandi prove quando dona grandi grazie ed il
primo nucleo di anime unite subiva allora una grande scossa»: così scrive Chiara
Lubich in un noto testo4 sintetizzando con discrezione, in brevi e sobrie parole,

nuova umanità 229 117


alla fonte del carisma dell’unità
Discernimento e carisma: epistolario

una prova vissuta nella primavera del 1948 dal Movimento nascente. A causa
di accuse presentategli, l’arcivescovo si trovò di fronte alla necessità di condurre
un’inchiesta, sebbene il 1o maggio 1948 «constatato l’ottimo spirito e fervore degli
associati» avesse rinnovato ad triennium lo Statuto dei Focolari della Carità (Gli
apostoli dell’Unità). La lettera che segue, scritta nel mezzo della «terribile burra-
sca», documenta l’atteggiamento con cui Chiara e il gruppo intorno a lei vissero
questo delicato momento.

«Dio riedificherà le cose nostre


se noi riedificheremo quelle di Dio!»

Trento, 12 giugno 1948

Altezza,
So che molti Le scrivono in questi giorni.
Anch’io, nel bel mezzo della terribile burrasca, voglio scriverLe alcune
righe.
Nulla ci spinge, Altezza: nessun timore, né alcun desiderio di piegarLe il
cuore verso di noi.
Solo un desiderio: consolarLa un po’ in questi giorni dolorosi pure per Lei.
Lei ci fu Padre, veramente Padre.
Ed in Lei noi vedemmo sempre l’immagine della dolce paternità di Dio.
E ci amò come figli. E sperò molto da noi. È logico che ora debba soffrire.
Forse si vede tradito nella Sua fiducia.
Altezza, quante volte in questi lunghissimi e dolorosissimi giorni avrei
voluto esserLe accanto e dirLe e spiegarLe ogni cosa. Lei m’avrebbe capita.
Ci sono dei misteri nelle anime che solo in Paradiso si conosceranno.
In questi giorni in cui siamo come sulla croce, nel più crudo dolore, sen-
tiamo crescere ogni giorno la gioia. Sempre più.
Adoriamo la Divina Volontà.
Sentiamo che mentre tutto ci potrebbe venir preso, nulla ci è tolto.
No. Perché non avevamo programma all’infuori della Divina Volontà.
E quella si può adempiere in ogni attimo.
Domani, Altezza, forse moriremo.

118 nu 229
carlo de ferrari - chiara lubich

Ma la morte sarà vita, perché la morte sarà: volontà di Dio!


Oh! non erano i Focolari, né la crociata a Trento, ad Assisi, a Roma, e
nelle altre diocesi d’Italia la nostra volontà, il nostro desiderio!
No, no!
Già da tempo noi, dei Focolari, abbiamo scelto come unica e sola porzione
per questa vita: Gesù là sulla Croce che grida: «Dio mio, Dio mio perché anche
tu mi hai abbandonato?».
Gesù da tutti abbandonato, anche dal Padre suo!! reietto dalla società,
verme della terra, maledetto! Ecco il nostro Tutto!
E quando la Volontà di Dio ce Lo presenta spoglio d’ogni consolazione
umana e divina, allora Lo sentiamo “nostro” e raggiungiamo la Mèta che ci
eravamo poste nella vita.
In questi giorni Egli si profila dinanzi a noi, più bello del solito, più vero,
più bisognoso di aiuto.
E noi L’accettiamo. Lo preferiamo.
Lo sentiamo vicino a noi e noi ci sentiamo un po’ simili a Lui.
Anche noi, come Lui, possiamo gridare a Dio (nella sua Chiesa): «Dio
mio, Dio mio perché ci hai abbandonato?».
Ma anche noi come Lui vogliamo far seguire: «In manus tuas, Domine,
commendo spiritum meum!».
Nella Chiesa che ci abbandona, ci abbandoniamo.
La Chiesa è Madre. Non ci può abbandonare! Non può misconoscere dei
figli che s’abbandonano obbedienti ed ossequienti a Lei!
Ecco tutta la gioia di questi giorni: «L’aspra gioia dolcissima del cuore!»
(Santa Chiara).
Altezza, dunque si consoli.
Torneranno i giorni, sì, torneranno quando noi saremo la sua consolazione!
Oh! allora non avrà preoccupazione! Noi, purificati nel crogiuolo delle
sofferenze, fatti più maturi dal vivo contatto col Crocifisso, ritorneremo a
portare nella sua diocesi il comandamento nuovo di Gesù: il vicendevole
amore! L’Unità!
Intanto ci distendiamo sulla Croce, pronti a qualsiasi taglio, a qualsiasi
condanna.
Non ci par vero di poter assomigliare un pochino a Gesù.

nuova umanità 229 119


alla fonte del carisma dell’unità
Discernimento e carisma: epistolario

E, se la morte sarà nostro destino, vorremmo morire per quelli che invo-
lontariamente, colla retta intenzione e per lo zelo della nostra anima ce l’hanno
cagionata.
Gesù benedica quelle anime, le tenga nel suo Cuore divino, le faccia san-
te e strumenti della causa per cui noi volevamo combattere.
Il Cuor di Gesù ed il Cuor Immacolato di Maria consolino pure Lei, Altez-
za, e Le rimettano in cuore la fiducia, la certezza.

Dio non muore e l’Unità sarà!

Ci benedica
per tutte le più fedeli

Chiara Lubich5

iii testo

Il documento che segue, datato 21 luglio 1948, raccoglie degli appunti di un


discorso che, in una versione ampliata, monsignor Carlo de Ferrari avrebbe fatto
il giorno dopo, festa di santa Maria Maddalena, durante la messa celebrata nel-
la cappella dell’arcivescovado, presenti le focolarine, come ringraziamento per la
fine dell’inchiesta.

Ho cercato nella Sacra Scrittura una frase che meglio convenisse alle
recenti vicende nostre di questi ultimi giorni passati.
E non è stato difficile cercarla e trovarla perché la Sacra Scrittura è un
tesoro inesauribile nel quale tutti possono attingere. Ed è questa: «Aquae
multae non potuerunt extinguere Caritatem».
E che acque, scrosci, lampi e tuoni, e non è mancato neanche qualche
chicco di grandine.
Io, come vostro Pastore ho il diritto, anzi il dovere, di dirvi che avete su-
perato una prova: e che prova!

120 nu 229
carlo de ferrari - chiara lubich

La vostra Idea è la Carità. È quella che vi lega in uno.


Ed in questa siete state provate ed avete vinto.
In tutto quanto avete detto o scritto non avete mai leso la carità verso
coloro che in buona o cattiva fede – lasciamo il giudizio a Dio – hanno fatto
sanguinare i vostri cuori. Non vi siete scusate nemmeno quando era umano,
naturale scusarsi: nella legittima difesa... ma non era cristiano!
Dicono che avete esagerato. Forse nelle espressioni. Non potevate esa-
gerare. Infatti Religione significa amore: amore di Dio. E chi può esagerare
nell’amore di Dio se Egli ci ama di amore infinito?
Per quanto esageriate non arriverete mai ad amarLo di amore infinito!
Tutte le opere di Dio sono molto combattute ed escono dalla lotta forti-
ficate. Anche voi siete uscite così.
La vostra è opera di Dio.
[…] Caposaldo della vostra Opera è stata la soggezione fedele e figliale,
soprattutto figliale al Pastore della Chiesa.
Questa istituzione forma non solo le mie simpatie, ma le consolazioni del
mio cuore e pongo su di essa le speranze della mia diocesi.
E ben vengano le lotte e le incomprensioni… Contro questa rocca a cui
vi siete affidate, rocca inespugnabile, tutte si infrangeranno come si sono
infrante queste e voi rimanendo così, figlialmente fedeli, siete inattaccabili6.

iv testo

Sul finire del 1950, Chiara Lubich viene chiamata ripetutamente dalla Supre-
ma Sacra Congregazione del Sant’Uffizio per essere interrogata. Chi le è accanto
constata la sua tenacia nel mantenere, pur nel dolore, il riserbo su quanto vissuto.
Padre Giovanni Battista Tomasi, ex superiore generale degli Stimmatini e consul-
tore della Sacra Congregazione dei Religiosi, a cui dal 1949 monsignor de Ferrari
aveva chiesto di seguire il Movimento, soffre nel vederla tornare «affranta e de-
solata» dalle prime udienze, ma in seguito «piena di pace e anche di allegrezza».
Una lettera di Chiara a monsignor de Ferrari svela qualcosa dei sentimenti che
attraversano l’anima di lei e il segreto della sua “allegrezza”.

nuova umanità 229 121


alla fonte del carisma dell’unità
Discernimento e carisma: epistolario

Roma, 5 gennaio 1951

Altezza Reverendissima,

È vero: la croce fu pesante e lo è ed in questi giorni compresi Gesù “cadu-


to” sotto il peso della croce. Però, Altezza, sono felice, felice.
E da Gesù ho ricevuto la grazia per essere pronta ad ogni decisione che
la Chiesa darà. Non solo: ma per lasciare i “miei” (per qualche tempo posso
ancor dir così) cinquanta Focolarini e Focolarine in tale perfetta unità da
poter proseguire il loro cammino senza che nessuno s’accorga di un qualche
mutamento.
Sono felice, Altezza, di poter donare a Dio tutto ciò che Lui nel campo
soprannaturale ha fatto attraverso di me. E La assicuro che qualsiasi cosa
succeda Lei mi saprà sempre fedele al mio Gesù abbandonato ed obbedien-
tissima alla Chiesa. Sono arrivata a questo punto perché non ho voluto mai
da parte mia rompere l’unità con la Chiesa o meglio con chi me la rappre-
sentava. Se non avessi fatto così forse l’opera non ci sarebbe. Ma Iddio mi
diede la resistenza fino all’inverosimile.
Ora l’Opera c’è e non morrà.
Che sia opera di Dio lo dimostrerà forse il fatto che io dovrò allontanarmi
da essa. Se debbo testimoniarLo annientandomi, dopo averLo testimoniato
con l’Unità, sono felice. Il culmine della vita d’amore di Gesù è la morte: e
nessuno ha maggior carità di colui che pone la vita per gli amici suoi.
Lei, Padre, mi fu veramente Padre e mi mostrò (ciò che credevo solo per
fede) che la Chiesa è Madre.
Io La terrò sempre come Padre qualsiasi sia la Volontà di Dio su di me.
Nessuno può proibirmi di obbedirLa e cioè di obbedire alla Chiesa. E ciò che
importa per farsi santi è obbedire: esser uno. Poco importa che ci comandino
di agire o di non agire in un modo o nell’altro. Vero, Padre?
Padre Tomasi è un sant’uomo. Soffre moltissimo in questi giorni e non
mangia. Soffre per me... Non avrei mai detto che in Lui vi fossero simili
sentimenti.
Però Lei non si preoccupi, Altezza, che noi Lo sosteniamo ed io in sua
presenza rido sempre.

122 nu 229
carlo de ferrari - chiara lubich

Non so dirLe in fin fine che una cosa sola: sono tanto, tanto, immen-
samente, felice. E Le posso assicurare che Gesù Abbandonato mi sosterrà
sempre.
Del resto: «Beati quando vi separeranno e, mentendo, diranno ogni
male di voi. Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa
nei Cieli».
Mi benedica sempre
sua figliola Chiara

Le mie compagne stanno preparando le loro relazioni (che spediremo


questa sera) secondo il consiglio di P. Roschini7

v testo

Nei primi mesi del 1958 l’approvazione del Movimento dei Focolari sembra
ormai prossima. In una lettera riservata a monsignor Carlo de Ferrari, Chiara Lu-
bich comunica l’8 maggio 1958 quanto papa Pio XII aveva desiderato farle sapere:
l’Opera «non è uscita dal S. O. [Sant’Offizio] perché fu raccomandata da qualcu-
no, ma perché è Opera di Dio». «Tutto qui, Altezza – continua Chiara – . Questa
cosa ci diede una grande gioia come speriamo la dia anche a Lei. Abbiamo sempre
creduto che la voce del Vescovo fosse la voce di Dio per noi, ora se parla anche il
Papa…». La risposta dell’arcivescovo è del giorno successivo.

L’ARCIVESCOVO
DI
TRENTO

Carissimi tutti,

La lettera della nostra Chiara mi ha portato una gioia grande. Se i massi


più formidabili e colossali si vanno dileguando è segno che l’estate è vicina.

nuova umanità 229 123


alla fonte del carisma dell’unità
Discernimento e carisma: epistolario

Sia benedetto Iddio e la Mamma nostra che ormai ci rende sicuri di essere
entrati in pieno nelle sue materne simpatie.
Preziosissime, per quanto riservate, le espressioni così esplicite del S.
Padre in persona. Si entra dunque ormai in pieno stadio di vita, se già geme
sotto i torchi addirittura lo Statuto. E poi quelle espressioni così decisive del
S. Padre! Quanto sono lieto della vostra stessa letizia, pur non riconoscendo-
mi altro merito che di non avervi contrariate sul principio e di aver compreso
il digitus Dei est hic, a partire dalla cara testolina di Chiara fino all’ultimo dei
focolarini. Questo sì, ma questo non è un merito mio, è una grazia singolare
che il Signore mi ha fatto e di cui non Gli sarò mai grato abbastanza.
E son grato a Chiara e compagni della fiducia mostratami e del bene
fattomi.
Benedico tutti e singoli
aff.mo
+ Carlo, Arciv.
focolarino onorario

Mons. Angelo8 ricambia i cari saluti


Trento 9.5.19589

1
C. Lubich, Storia del Movimento dei Focolari – Gli albori, in «Città Nuova», 3
(1959), numero speciale dedicato al Movimento dei Focolari dell’unità, pp. 2-3.
2
Cf. Giovanni Paolo II, Agli appartenenti ai Movimenti ecclesiali e alle nuove Co-
munità nella Vigilia di Pentecoste, Discorso, 30 maggio 1998, in Insegnamenti di Gio-
vanni Paolo II, vol. XXI, 1 (1998), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000,
p. 1122.
3
Lettera di Chiara (Silvia) Lubich a monsignor Carlo de Ferrari, S. Francesco [4
ottobre] 1947, in L. Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”. Carlo de Ferrari e Chiara Lubich:
il discernimento di un carisma, Centro Chiara Lubich - Città Nuova, Roma 2017, pp.
97-98.
4
C. Lubich, Il “trattatello innocuo”, in C. Lubich - I. Giordani, “Erano i tempi di
guerra…”. Agli albori dell’ideale dell’unità, Città Nuova, Roma 2007, p. 31.
5
Lettera di Chiara Lubich a monsignor Carlo de Ferrari, 12 giugno 1948, in L.
Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”, cit., pp. 113-114.

124 nu 229
carlo de ferrari - chiara lubich

6
Discorso dell’arcivescovo di Trento ai Focolari dell’Unità, 21 luglio 1948, in L.
Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”, cit., p. 115.
7
Lettera di Chiara Lubich a monsignor Carlo de Ferrari, 5 gennaio 1951, in L.
Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”, cit., pp. 176-177.
8
Monsignor Angelo Zorer, segretario dell’arcivescovo.
9
Lettera di monsignor Carlo de Ferrari a tutti i focolarini, 9 maggio 1958, in L.
Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”, cit., pp. 240-241.

nuova umanità 229 125


dallo scaffale di città nuova

Confutazione di
alcune dottrine aristoteliche
Vol. 253
di Pseudo-Giustino

In prima traduzione italiana

a cura di Maria Grazia Crepaldi

La Confutazione di alcune dottrine aristoteliche è opera in lingua


greca falsamente attribuita dalla tradizione manoscritta all’a-
pologista Giustino, la cui redazione può probabilmente essere
datata tra il IV e il V secolo. L’opera si inserisce nella tradizione
del pensiero cristiano antico che, a partire dalla convinzione
isbn che l’attività creatrice di Dio si collochi ab initio temporis, indi-
vidua in Aristotele, sostenitore della dottrina dell’eternità del
97888311182539
cosmo e del tempo, uno dei bersagli privilegiati della propria
pagine polemica. In questo contesto l’atteggiamento dell’anonimo
152 Autore della Confutatio appare tuttavia singolare: per difen-
dere la creazione dal nulla egli si confronta in modo diretto
prezzo – caso quasi unico all’interno della Patristica – con il testo ari-
euro 21,00 stotelico della Fisica e del trattato De caelo, confutandone le
dottrine con argomentazioni di carattere esclusivamente filo-
sofico ed evitando il richiamo al testo biblico quale strumento
probatorio.

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nu 229
alla fonte del carisma dell’unità

Storia di Light. 13
Un pezzetto di cielo chiuso
tra le Dolomiti

Igino contatti col mondo migliore


Giordani
In queste contingenze [n.d.r.: siamo negli anni Cin-
(1894-1980) quanta, più o meno contemporaneamente agli avve-
confondatore nimenti narrati nella puntata precedente] cominciò a
del movimento
diffondersi un proposito di padre Lombardi1, che era del
dei focolari.
scrittore, Mondo Migliore con sede a Castel Gandolfo2, di fonde-
giornalista e re o meglio assorbire il nostro Movimento nel suo. Noi
parlamentare saremmo stati il corpo ed egli il capo. Nei rapporti allac-
della repubblica ciatisi si propose e realizzò, al Mondo Migliore, un corso
italiana.
allo scopo di una conoscenza reciproca: c’erano focola-
rini, sacerdoti e sposati. Dalle sue esposizioni risultò più
netta la caratteristica mariana del nostro Movimento. In
maggio Chiara redasse una Regola che sintetizzava il no-
stro Ideale: tutto Trinità ed unità. Fu portata per le mani
di Nereo Bolognani al Santo Padre. L’estate successiva
padre Lombardi a Fiera ebbe a darci notizia del giudizio
dato da Pio XII su quella Regola: “Immacolata”. E questo
aggettivo valse e vale tuttora tra i focolarini a designarla.
Nel maggio stesso una mattina Chiara, che si recava
a Grotta [Grottaferrata, n.d.r.] – il primo giorno che si
allontanava da Roma senza telefonarmi – in compagnia
di Giosi e Lia, l’auto guidata da Silvana, sulla Nomentana,
poco prima del raccordo anulare, slittò sull’asfalto ba-

nuova umanità 229 127


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 13

gnato e investì un albero, rovesciandosi. Nell’urto Chiara fu proiettata fuori


dalla vettura e lanciata in mezzo alla strada. Ebbe appena il tempo di invo-
care Gesù e Maria, perdono!
Rimase inerte per la frattura della scapola, di tre costole e del piede.
Corsero a raccoglierla. Si temette la frattura della spina dorsale. Fu recata
in una clinica non lontana. Quando la notizia si sparse la costernazione tra
i focolarini fu tremenda: parve veder la Madre sull’orlo della morte. Padre
Lombardi disse che era opera del diavolo.
La vedemmo soffrire quasi senza vita, nel lettino della clinica: e non emet-
teva un gemito. Confortava magari con un sorriso chi veniva a piangere.
Lunga fu la degenza in clinica e a casa; circondata dalle cure di tanti figli.
Ingessata parve essere occlusa in una tomba di pietra, dentro cui erano
la testa, il volto, il busto, una caviglia… E col dolore fisico pesava su di lei
sempre l’incubo di una dissoluzione dell’Opera e di una estromissione della
sua persona: la consolava il constatare tra le pope la realtà per cui aveva
vissuto: Gesù in mezzo; con la prontezza a morire l’una per l’altra: l’unità.
Per questo il 1957 fu l’anno della croce, “la chiave dell’enigma” come la
nostra madre intitolò la prima delle Meditazioni pubblicate su Città Nuova. Vi
spiegava la croce: quella croce che non è capita dove non è capito l’amore
che «è l’essenza di Dio, è la vita dei figli di Dio, è il respiro del cristiano…». Si
rivelava in queste parole la madre e ingenuamente lo diceva nel notare che
«forse attraverso l’amore materno qualche cosa si intende perché l’amore di
una madre non è solo carezze, baci, è soprattutto sacrificio».
E aggiungeva: «I santi sono uomini capaci di capire la croce».
L’estate, in agosto, padre Lombardi venne in Mariapoli partecipando at-
tivamente alla sua vita. Il 14 parlò la sera in piazza a seimila persone. Ai
focolarini parlò nel grande salone apprestato a Fiera, mostrando le caratte-
ristiche dei vari ordini religiosi; e trovò che il nostro Movimento ne aveva una
sua, attuale e originale. Egli era ormai entusiasta del Movimento e sognava e
propose ancora di unirlo al suo, il Mondo Migliore: proposta a cui aderirono
con slancio tutti, tranne Foco il quale disse che i Focolari e il Mondo Migliore
erano stati ispirati da Dio per due missioni bellissime, ma distinte e incon-
fondibili: «Unirle – disse – equivarrebbe per noi a un karakiri».

128 nu 229
igino giordani

Quella parola nipponica per molti dei convenuti suonò inusitata, valse
a divulgare l’opposizione di Foco, alla quale si aggiunse presto la convalida,
niente di meno, del generale dei Gesuiti e del Santo Padre; essi esclusero
la fusione. Nello stesso senso si espressero il vescovo di Trento e padre
Martegani3.
Tra gli ospiti della Mariapoli 1957 si ebbe monsignor Carlo de Ferrari4 il
quale in un discorso tessé l’elogio meditato e commosso del Movimento dei
Focolari, il frutto più bello della sua diocesi, come ribadì. Ci furono molti altri
vescovi, ospiti applauditi; tra essi il vescovo di Ragusa, rimasto colpito dalla
carità e dalla letizia dei mariapoliti sotto la regalità di Maria, e il vescovo di
Adria e Rovigo. Il vescovo di Cortona ebbe a dire: «Possa la Mariapoli esten-
dersi in ogni città, in tutte le regioni d’Italia, in tutte le nazioni d’Europa, in
tutto il mondo». Difatti anche noi ci proponevamo di concorrere a fare del
mondo una sola Mariapoli.
Venne in aereo alla Mariapoli anche Chiara la quale però dovette restare
a letto. Pur sofferente e immobilizzata alimentò la Mariapoli dandole anima-
zione, ispirazione, giorno per giorno.
Tutti i popi medici cercarono di guarirla: ma estenuata non si riprende-
va. E per questo si fidava della preghiera. Dal letto ella trasmetteva idee
e slancio: sosteneva tutto il Movimento. Andava spesso a visitarla padre
Lombardi.
Il nome di Maria regina – poiché Maria era regina della Mariapoli – venne
nel battesimo assegnato a una giovane protestante tedesca, Renata F. E il
suo accesso alla Chiesa fu una festa per tutti5.
Restava la minaccia sull’Opera. Per essa venne allontanato padre Maria
e don Foresi riparò al Mondo Migliore.
Sfinita, Chiara tornò dalla Mariapoli a Grotta, alla Villa Assunta dove,
vicina alla sua stanza, era una cappellina. L’assistevano la Vale e la Silvana;
venivano i medici popi, tra cui la Gabri6. Era ridotta a tal punto che la nutriva-
no con la sonda. In quella passione, l’unità soprannaturale con le pope fece
sbocciare l’idea di Maria Mistica.
Sorse dalla fantasia e dal cuore, illuminati dal Signore, un giorno che
Chiara pregava nella cappella.

nuova umanità 229 129


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 13

Intanto nel lettino ella si sfiniva sempre più. Trascinata in cappella una
sera disse a Gesù: «Sono diventata un cencio; ma il tuo cencio».
In quel momento, come nei primi tempi studiando aveva capito che
Gesù non era scienza ma la Verità, capì che Gesù non era solo salute ma
era la Vita e tale comprensione le diede gioia mentre confermava quel suo
abbandono a Dio.
Proprio quella sera Foco un po’ di sua testa, crucciato e spaventato di
quella degenza senza fine e senza speranza, pensò di cercare un’altra cura e
si rivolse al professor Nicola Pende. Questi aveva conosciuto Chiara e l’ap-
prezzava assai. Sollecito il giorno seguente venne, con la sua auto e un ca-
rico di medicine. Ma dopo che l’ebbe visitata disse a Foco: «Chiara non ha
nessuna malattia. Ha fame. È esaurita per mancanza di alimenti. Bisogna
nutrirla». E prescrisse di darle almeno mezzo chilo di zucchero al giorno. A
24 ore di distanza, Chiara si levò: era guarita. Otto giorni dopo si recò in tre-
no a Monaco. Lei che era stata quasi sempre maliscente, da allora fu sana e
si mantenne in buona salute, pur con l’eccesso frequente di lavoro. Fu allora
che Foco raccolse in Brescia le impressioni in questo scritto:

Brescia, 11 ottobre ’58

Senza Chiara noi non saremmo: questo è evidente. Da lì vengono


l’Opera di Maria, la Lega, il Movimento… Tutto. Tuttora, minuto per
minuto da lei vengono ispirazioni e ordini che fanno di ogni giorna-
ta una marcia di appressamento a Dio: di ogni azione un servizio
alla Chiesa. Ella sta come l’antenna di captazione del divino per noi:
capta e comunica. Non solo: ma subito lo fa vita; sì che la contem-
plazione per lei è l’inizio – e la forma – dell’azione.
È mirabile – vero mistero dell’amore di Maria per noi – come tut-
te le sue capacità naturali soprannaturalizzandosi diventino anche
umanamente potenti: eccezionali. L’intelligenza, il sentimento, la
volontà quasi la stessa forza fisica incardinati nel divino, diventano
immensi. Ed ecco che scrive non solo cose altissime, ma con uno
stile di una dimensione corrispondente, tutto luce e amore e sem-
plicità e forza: ed ecco che narra e gioca e intrattiene e ogni attimo
inserisce ondate di divino: un’anima mistica direbbe che, nel gioco
stesso, lancia dardi infuocati; dal contatto anche più ordinario ci si

130 nu 229
igino giordani

separa stupefatti e rifatti, come non una creatura umana si fosse in-
contrata, ma un angelo. Mi viene fatto di pensare che a noi non oc-
corre un’apparizione tipo Fatima e Lourdes: Maria si presenta a noi
ogni momento in Chiara, ché non vive più lei, ma vive Maria in lei.

Dopo tali eventi la comunità iniziò la pratica presto propagatasi anche a


simpatizzanti e protestanti, di vivere ogni mese la Parola di vita: sempre per
essere vangeli viventi. A Natale fu data la prima Parola di vita: «Amatevi a
vicenda come io ho amato voi».

l’ultima mariapoli nazionale 1959

Le tre Pale delle Dolomiti e il Mass Maor con le adiacenti pareti dirute
e screpolate, che cadono a picco dal cielo azzurro sui boschi verdi, racco-
gliendosi attorno alla valle dove croscia il Cismon, compongono quasi una
sterminata cattedrale antica, corrosa dal tempo e fatta sacra dall’età. Den-
tro di essa è piazzata una città nuova, non registrata ancora sulle cartogra-
fiche dell’Onu, ma che pullula di giorno in giorno tra Primiero e Tonadico, da
Transacqua a Siror.
Pullula tra luglio e settembre ormai da dieci anni e si chiama Mariapoli.
Si chiama Mariapoli perché vi governa Maria e la popolazione fusa in unità
vuole essere volontà operante di Maria. Nelle ore più belle è difatti Maria,
misticamente dispiegata tra baite e alberghi, tra scuole e chiese, dai muni-
cipi alla baracche. Maria vi sta quale Madre e signora, padrona e maestra: e
i cittadini vi stanno quali figli e sudditi, servi e discepoli, traendo da questo
rapporto una somma di gioie nuove, non immaginabili. Non immaginabili
dove la letizia è soppiantata da quel facsimile illusorio che è il piacere, otte-
nuto con le risorse della tecnica e del rumore sotto le sollecitudini del vizio
e dell’alcool. Qui è altra cosa. Qui si è nel regno della Vergine e si è felici
proprio perché si sottostà alla sua legge, che è di purezza e di amore.
Si usò nelle epoche cavalleresche eleggere Maria regina, castellana ar-
bitra di regni e di città: e nel tratto Ella governò, i sudditi da per tutto si sen-
tirono nella casa di Dio, si amarono tra loro e coltivarono con la giustizia la
bellezza: spesero la vita a vivere, anziché a morire di spada e di noia.

nuova umanità 229 131


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 13

Maria è sempre di diritto regina dell’umanità redenta di cui Cristo è re; e


dove di fatto la loro signora è riconosciuta, non è ammesso l’odio ed è ban-
dito l’errore: non si fa guerra perché il concittadino è fratello.
L’ammissione alla Mariapoli è concessa a tutti, di ogni età, sesso e con-
dizione. Basta far la domanda, magari scritta, magari verbale, magari solo
pensata alla Madonna recandosi preferibilmente da un confessore. Col sa-
cramento della penitenza si netta l’anima e la si mette in grado di presen-
tarsi al trono della Vergine per essere presi in forza nella sua milizia. Difatti
la Mariapoli è una cittadella, per la guerra, la guerra al male, a Satana, alla
Morte eterna, che è il suo retaggio: è una città di vita, pervia la sua sottra-
zione alle potenze mortuarie, da cui è insidiata.
Dove c’è la Madre, tutti si sentono a casa. Regina Maria e l’esistenza si
stampa di un sorriso divino. Circolano per la Mariapoli persone di varia lin-
gua e razza e sesso e condizione; ma perché c’è Lei tutti si sentono fratelli;
e accanto ai bimbi anche le persone grandi vivono un’infanzia nuova; e tra
stranieri anche se non dispongono di interpreti ci si intende, perché ci si
ama: e l’amore è un’intelligenza divina. Si capisce, in Mariapoli, perché nel
Cenacolo palestinesi e arabi e parti e greci e romani si intendessero fino a
formare un cuore solo e un’anima sola. C’era in mezzo Maria: e i figli, ai piedi
della madre, pur se non sanno parlare, si intendono e comunicano.
E perché c’è la Vergine a capo, ogni anima si verginizza.
Precisamente: se una immagine evoca questa città, dove gli occhi guar-
dano con limpidezza e il sole dalle cime solcate da nevi fuga la caligine di-
latando tra rocce e verde, sui torrenti e sui prati, un’atmosfera trasparen-
temente azzurra come il manto della Madonna, essa è l’immagine d’una
Vergine. Qui si capisce perché si vive quel che intendesse san Paolo quando
scrivendo ai cristiani di Corinto li definì «vergine casta promessa all’unico
Cristo» (l’epistola era letta in chiesa per la festa di santa Chiara che era la
festa di tutta la Mariapoli).
Donne e ragazzi, sacerdoti e suore, uomini di ogni età e condizione com-
pongono nell’unità degli spiriti, una sorta di mistero sacro, che si snoda tra
la Chiesa gotica e la montagna petrigna, tra arche ogivali e rocce rampi-
canti, raccogliendosi in una nube di incenso che sale a Dio e alberi e co-
ste di monte e case e campanelli scortano l’ascesa partecipandovi: ché qui

132 nu 229
igino giordani

tutto si spiritualizza: tutto si consacra in una visita mariale. Maria non si


vede ed è dappertutto: tutti sono misticamente Maria. E in tale realtà non
si concepiscono pensieri impuri. Il cuore cristiano vive, coi monti, la realtà
dei rapporti che san Vincenzo de’ Paoli, figlio dei monti e delle lande poneva
così: in una convivenza cristiana, la donna rappresenta Maria, l’uomo rap-
presenta Gesù. Un giovane davanti a una ragazza, una giovanetta davanti
a un ragazzo, subito, automaticamente si mette in questo rapporto, che la
preghiera, le lezioni, il civismo della città mariale, fondato su una disciplina
morale dolce, ma severa, sorreggono: e tratta attraverso la creatura con il
Creatore; coordina la terra al cielo; suscita ogni momento la convivenza con
i beati. Veramente gli abitanti della Mariapoli sono – per donazione della
Madre – concittadini dei santi.
La città è ordinata. Tutto si svolge secondo un codice, che non sta scrit-
to, vigilato da custodi, che non si vedono: ma ci sono. L’autorità nessuno la
vede: ma c’è, e ferma e docile: verginale. Ordinariamente non si sa nulla
- che so io? – di un senato, di un consiglio, di un’assemblea: eppure la sa-
pienza direttiva, la regolarità e l’ordine che per 24 ore si stampano soavi e
pur sovrani, devono procedere da una fonte. Chi però assume informazioni
che vengono date discretamente, scopre che all’origine è Maria: e Maria ha
una sua vicaria; e costei tutto ordina e dispone e ogni giorno ella consulta 12
popi e 12 pope convocati in assemblea su un prato, in una camera da pranzo,
seduti in scanni fatti di zolle d’erba o di panche di legno o di pavimento di
cretacei o lignei o sassosi; un’assemblea in cui parla breve e umile chi è in-
terrogato, e dove ogni provvedimento è preso in vista dell’amore da donare
che è una prestazione da rendere.
Già quel redigere un programma per la giornata di domani, per i fratelli
“concittadini dei santi” sudditi di Maria, diviene un atto di amore; e, in
quel silenzio umile in cui una voce alla volta parla, si sente quasi circolare
lo Spirito Santo. Circola l’amore: e dove è l’amore è Dio. Si parla di orari,
di temi da svolgere, di gite da fare: ma queste voci sono come la materia
prima dell’opera da svolgere: e quest’opera è la “gloria di Dio”. Si vive per
la gloria di Dio, si ascolta, si parla, si mangia e si passeggia per la gloria
di Dio. In essa come vampa che invade il cielo, nessuno di loro è nulla:
nessuno è e nessuno ha: c’è solo l’Essere, Dio e si ha solo quel che Dio dà.

nuova umanità 229 133


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 13

E in questa ricerca della gloria di Lui, il programma di domani è un’altra


scalata, che porta la Mariapoli dalla posizione di oggi a una vetta più alta
domani. Per questo si dispiega in tutta libertà, che è la libertà dei figli di
Dio: sì che se per la gloria di Lui c’è da mutare un numero e magari tutti i
titoli dell’ordine del giorno, si fa con tutta speditezza e pari contentezza,
perché in ogni situazione, attività e stato si può, si deve amare Dio, per
partecipare alla sua vita, che è la vera vita. Se pure arrivasse il momento
che il mariapolita, tratto dal vortice di questo amore, nel caldo di questa
gioia, rischiasse di fuoriuscire dai confini della Mariapoli, penserebbe in un
modo o nell’altro, la castellana a richiamarlo all’ordine; o troncandogli tra
le lacrime le vacanze o mandandogli qualche prova o richiamandolo con
moniti per la bocca dei fratelli.
Piuttosto, avendo sopra menzionati popi e pope, uno può essere preso
da vaghezza di sapere che razza di gente è. Presto detto: sono due vocaboli
trentini che vogliono dire: ragazzi e ragazze. Nel linguaggio della Mariapoli
poiché tutti sono tenuti a farsi piccoli, per lucrare il regno dei cieli, Mariapoli
sempiterne, si chiamano con quei vocaboli sia i ragazzi di 16 anni sia quelli di
85 anni: nell’esercizio dell’amore di Dio, non c’è né tempo né modo per farsi
vecchi. Il primo assistente ecclesiastico aveva 90 anni ed era il più giovane
in mezzo a tutti noi.
Il dialetto trentino in Mariapoli è la lingua in certo modo ufficiale, essen-
do quella impiegata da chi fondò per incarico della Madonna, la sua città
dove per ciò si suol dire che il trentino è la lingua degli angeli quando villeg-
giano in terra. Si ascoltano trasmissioni trentine al magnetofono; e non si sa
come sia, le comprendono e le gustano anche i bavaresi, anche i brasiliani,
anche gli iracheni…
Con questa facilità di comprensione linguistica e psicologica, agevole
diventa anche il circolare in mezzo a questa moltitudine. Può essere che tu
non conosca che dieci, cento persone sulle migliaia con cui ti mescoli: e pure
ti accorgi che le conosci – anzi le riconosci tutte, a una a una: ché l’amore,
con la luce di Maria, scansa sbranamenti e schermi e tu vedi l’anima: ritrovi
il fratello: e il fratello ti fa da viatico al Padre, nella cui casa lo hai sin dal prin-
cipio conosciuto. Anche l’attrezzatura esterna serve al fine comunitario. Per
esempio il telefono da campo impiantato dai focolarini con l’autorizzazione,

134 nu 229
igino giordani

previo sborso di un pedaggio, dalle autorità venete, collega con un unico filo
tutte le baite. Ciascuna di esse è chiamata con un segnale proprio (mediante
combinazione di lunghe e di brevi, come i piedi della metrica classica); sì che
tutto il giorno in ogni baita si sente lo squillo, anzi gli squilli lunghi e brevi,
che sono gli appelli delle comunità lontane. Va a rispondere chi è chiamato:
ma tutti possono ascoltare, tutti possono partecipare al dialogo: come una
conca di voci dove ognuno può attingere o versare una stilla della propria
letizia e – qualche volta – tristezza.
Ogni anno è data alla Mariapoli una mansione da cui le viene una par-
ticolare fisionomia. Nel 1958 per esempio, la si volle esposizione di Dio o,
come si diceva per analogia di Bruxelles, l’Expo di Dio. Quest’anno ha voluto
essere dedicata alla gloria di Dio e a questo ideale ha ispirato le sue opera-
zioni: e la gloria di Dio si è manifestata nella ecumenicità della fede, vissuta
in unità e comunione da creature di varia nazionalità e rito e classe; e si è
manifestata nelle conversioni provocate non da argomenti ma dai fatti, dalla
vita, quasi dall’aria che era lo Spirito Santo involgente uomini e cose: e le
conversioni sono state di ogni sorta, sia di atei e di acattolici, sia di peccatori
che da anni portavano in seno il carico della colpa, sia di buoni cristiani i
quali vedendo la gloria di Dio, hanno abbandonato le vie secondarie della
mediocrità e del compromesso per mettersi nella via della donazione totale
che è della croce.
L’ideale di Gesù Abbandonato scelto come unico tutto è uscito dal cuore
di vergini per divenire la vita anche di uomini maturi, mamme, giovanotti,
sacerdoti. E gloria di Dio splende nel Crocifisso. Infine (o principio) la mani-
festazione di essa ha ispirato un proposito di conquista del mondo all’amore
con una riscossa di comunità e di popoli da mettersi sotto la guida di Maria
condottiera. E così Maria è divenuta l’espressione – la luce trionfale – della
gloria di Dio. La nota specifica di gloria di Dio non è una decorazione reto-
rica: è coscienza meditata di una missione comunitaria, precisa e decisa.
Essa è stata oltre che inculcata anche cantata in una poesia, alta e chiara
composta da chi dirige la convivenza: e quel canto, per settimane è valso a
inculcare la verità capitale della mistica cristiana: «Dio tutto, Io nulla». Un
nulla fatto per colmarsi di Dio.

nuova umanità 229 135


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 13

Dice il canto:
Se su nel ciel
si spengono le stelle,
se ogni giorno muore,
se l’onda in mare
s’annulla e non riprende,
è per la Tua gloria.
Ché il creato canta a te: Tutto sei.
E ogni cosa dice a sé: Nulla son.
E se il dolore estenua i nostri cuori,
se l’agonia ci assale,
contemplerem che nulla al mondo vale:
solo la tua gloria.
Ché il creato canta a te: Tutto sei.
E ogni cosa dice a sé: Nulla son.
Se in te, Creator, che accendi in ciel le stelle,
in te, splendore eterno,
noi ci perdiamo, luce nella luce. Nostra è la tua gloria.
Non insisto a descrivervi la città di Maria, dal momento che la più sinte-
tica descrizione è stata redatta da una mariapolita tredicenne, in grado cioè
di vedere le cose senza lenti affumicate di cultura. Essa, Elena De Sanctis
ha scritto:
Mariapoli: un pezzetto di cielo chiuso tra le Dolomiti; uno sfondo
verde e una pace ineguagliabile. Se Firenze è la Mecca di tutti gli
artisti, se Roma è la Mecca di tutti gli storici: Mariapoli è la Mecca
di tutti i cristiani.
Un paese dove la bontà e la felicità si fondono insieme formando
l’ideale di vita di tutti gli uomini, buoni e cattivi: un paese dove le
preoccupazioni e i dolori si sciolgono sotto i raggi di quel sole tanto
risplendenti di amore per Cristo e Maria.
Raggiungere Mariapoli significa raggiungere la felicità; vivere l’Idea­
le significa prepararsi alla Vita Eterna; ma chi vuole entrare in Para-
diso, chi vuole godere di quella gioia celeste, deve prima passare di
qui, deve prima conoscere Mariapoli.
Mariapoli, 1959 Elena De Sanctis di 13 anni

136 nu 229
igino giordani

La comunione dei santi: un mistero così vago, così lontano. Sono i santi
che comunicano; si comunicano le grazie di Dio, sì che la convivenza si fa
una circolazione di carismi. San Vincenzo de’ Paoli poneva l’efficacia del-
la sua opera caritativa nella comunione costante di anime tra i suoi colla-
boratori. E così è qui: non si ammette che uno abbia grazie, illuminazioni,
esperienze, gioie, e non le passi alle sorelle e ai fratelli, affinché le anime
svolgano simultaneamente allo stesso livello e crescano con lo stesso ritmo.
Una si dona all’altra, per mettere in comune le anime. Non si concepisco-
no interruzioni in questo scambio, così come nell’organismo umano non si
concepiscono arresti nel flusso di sangue se non come traumi da curare. A
vederle così solidali, così vive nella stessa virtù, delle medesime ispirazioni,
per gli stessi ideali, sì che ad attingere da un’anima è come attingere ad
un’unica fonte, si capisce perché la perfezione umana sta nell’unità e perché
le interruzioni – esclusivismi, individualismi, egoismi, superbia – producano
la morte. L’organismo ecclesiale, come l’organismo umano, vive e prospera
di questo flusso perenne di energie, di virtù, che è sangue di Cristo in circo-
lazione, mosso dal cuore, che è lo Spirito Santo, verso il capo, che è il Padre.
Si stabilisce così, e si stabilisce, ché in siffatta santità spirituale vive una
giovinezza sempre più limpida, una unità di affetti e di giudizi, da cui si muo-
ve un’azione meritoria, concorde: dove la forza si moltiplica. Si stabiliscono
relazioni, in cui non ci sono ombre e non si paventano trabocchetti: tutto è
di tutti. Una menzogna sarebbe sperimentata come una lacerazione; un atto
egoistico come una diserzione della casa comune. Nella circolazione la cari-
tà emette sopra tutto gioia; e i dolori che non mancano li tuffa in quell’onda
di vita dove sono purificati ed elevati: e a loro volta purificano ed elevano le
anime. Infine tutto quel tripudio corale di ideali e di vita converge, come una
corolla di petali rossi, attorno al Crocifisso, da cui attingono le forze della
Redenzione col segreto della resurrezione.
Tutte queste opere non erano previste, né erano prevedibili. Difatti le
ha fatte Dio: le creature hanno collaborato lasciandolo fare e prestando le
proprie persone. Ma quel che più sorprende è lo stile di Dio.
Queste ragazze han cominciato leggendo il messalino. Han trovato che
il Signore vuole tutti santi. E dunque – han concluso – tutti dobbiamo farci

nuova umanità 229 137


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 13

santi. Anche le massaie? Anche il muratore? Anche i deputati? Ma certo:


tutti vuole dire tutti. Dio non fa eccezioni, non fa distinzioni.
Esse ignorano gli usi, le leggi, gli istinti… ragionano come i bambini; «Lo
dice il Vangelo!» e dunque basta. Se avessero studiato libri di storia eccle-
siastica, diritto canonico, filosofia e teologia, forse sarebbero rimaste per-
plesse: ma avevano messo tutti i libri in soffitta, tranne il Vangelo e il mes-
salino: la voce di Dio e quella della Chiesa e perciò non ebbero perplessità.
Veniva un mendicante? Bene: era un fratello da amare; amarlo perché
si facesse santo: e il fratello appartiene alla nostra famiglia, mangia, se può,
con noi, ha diritto ai nostri servizi. Veniva un sacerdote? Bene: era un mae­
stro, una funzione sacra; bisognava ascoltarlo, per farsi sante. E aiutarlo
perché anche lui si facesse santo. Era un fratello, perché figlio dello stesso
Padre: e dunque aveva diritto di seder a mensa con noi, a capotavola e di
essere servito da noi. E veniva un ateo? Bene: era un figlio di Dio, ricordava
Gesù Abbandonato. E dunque un fratello da servire, tenere a mensa, possi-
bilmente per farlo santo.
E così la suora, la lavandaia, il professore di liceo, il vescovo, il pastore
luterano, il comunista… Ce n’era da fare! Ce n’era da amare! I servizi da ren-
dere erano diversi. Ebbene si rendevano diversamente e si tentavano modi
adatti con persone più adatte, in luoghi più conformi… E nascevano via via
diverse opere: prima minuscole, abbozzi, intenzioni, poi via via più definite
e provviste e potenziate; incolte le più, inesperte, fare questo o quello! Porsi
una tale domanda è un guardare a sé. Ma esse non si vedevano, si dimen-
ticavano: esse vedevano Gesù, Maria, la Chiesa seguivano il Vangelo: e il
Vangelo non fa tanti discorsi; dice di amare il prossimo come si ama Gesù,
sino a dare la vita, oltre il tempo, il denaro, le forze…

chiara in vacanza

Il sabato 11 luglio 1964 fiorì – esplodendo come una primavera della


Chiesa – la decisione di Chiara di accordare al terzo7 ramo tutte le grazie,
i doveri e i diritti (meno quello di comando) pertinenti ai focolarini. Così

138 nu 229
igino giordani

anche i coniugati furono fatti focolarini in pieno, coi tre voti: creature consa-
crate, appartenenti radicalmente a Dio e recise dal mondo.
Fu, nella mattina ricca di sole, un’esplosione di gioia quando venne an-
nunziato il dono alle focolarine sposate, che si trovavano a Val Tournanche
e che non s’aspettavano questa conclusione del loro corso.
Chiara aveva avuto l’ispirazione di colpo il giorno innanzi, in chiesa le era
stata confermata e chiarita: aveva preso appunti, l’aveva comunicata alle
sue pope, e il sabato mattina s’era presentata alla sala gremita di focolarine.
Fu quasi sotto una carica carismatica, di cui aveva bisogno di liberarsi. Come
si avverte dalla registrazione al magnetofono la sua dizione fu una emissio-
ne di luce e di energie che via via si faceva più intensa e ratta8.
Sotto quell’irruzione, le ascoltatrici, e poi, dal magnetofono, gli ascolta-
tori, scoprivano un nuovo cielo e una nuova terra, per folgorazioni vampanti
e arcobaleni scendenti in firmamenti mai visti. Queste son parole: ma l’ef-
fetto sulle anime non si descrive. Come nell’anima di Foco, che per mesi, per
anni aveva sognato, sofferto, si era logorato per arrivarvi e pareva essere
ormai crollato dinanzi alla trappola dell’aggregato: una posizione giuridica
per cui il coniugato non era inserito nell’Opera di Maria, ma appiccicato. Era
parso, dalla Regola approvata due anni avanti, che fosse stramazzato, mor-
to, il sogno di essere consacrati pur se madri o padri: il sogno di Crisostomo,
di Agostino, di Caterina.
E invece Chiara raccoglieva quelle aspirazioni, le fondeva, le aggiorna-
va, in una sintesi e insieme in una originalità di istituzione nuova, la quale
proromperà nel mondo dello spirito come una rivoluzione ecclesiale della
santità, che sfonda i diaframmi e accomuna le case ai conventi, le piazze
alla clausura, il laboratorio all’oratorio. Si può immaginare (ma è difficile)
la gioia, la gratitudine dei coniugati per Chiara, porta davvero spalancata al
Paradiso, anche per loro nel mondo.
Era il raggiungimento dello scopo del proprio esistere e soffrire e pre-
gare: e segnava un mutamento radicale, un definitivo distacco dal mondo e
insieme un’estasi beatifica. I consigli evangelici erano assegnati loro come
compito essenziale di vita: obbedienza totale, perenne, al capo-focolare; ca-
stità secondo la Casti connubii e oltre; povertà completa mediante la messa
in comune dei beni personali. Dove moglie e marito vivevano la Regola, la

nuova umanità 229 139


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 13

casa fioriva a Paradiso, accendendo nel mondo un’oasi di santità: ed era in


mezzo a loro Gesù; dove invece solo uno degli sposi abbracciava l’ideale,
l’altro appariva G.A. [Gesù Abbandonato] e norma diventava Maria desola-
ta, l’ideale più puro e bello assegnato a un essere vivente. La vita era per tutti
distribuita tra focolare e famiglia, come quella di Maria, vergine a un tempo
e madre: la casetta (lauretana) s’offriva dimora delle anime così consacrate.
Ma queste cose, timbrate con una voce limpida, ispirata, tutta luce e
suono paradisiaco, ruscellavano nel discorso come una caduta di perle e
gemme dagli scrigni dell’Eterno sull’umanità sconsolata, la quale scopriva
che Dio non l’abbandonava, malgrado le troppe colpe, e l’inondava di grazie
quasi in proporzione di esse.
Il giorno seguente, domenica, 12 luglio nel pomeriggio, al lago di Brac-
ciano, dove s’era recato per far divertire il suo giovane amico e discepo-
lo Gabriele, scomparve nei flutti Eletto (Vincenzo) Folonari. Non si dice la
commozione di Chiara, che subito, nel suo stile, corse a Roma e al lago a
partecipare all’ansia per le ricerche. Erano accorsi anche la mamma dell’e-
stinto, i due figli Francesco e Paolo, oltre che le tre sorelle focolarine, Eli
(Giulia), Virgo (Camilla) e Veri. Davanti alla riva, da cui in barca s’era mosso
Eletto, a Trevignano, si leva la chiesa della Dormitio Mariae: che ricorda la
Vergine, il cui transito fu caratterizzato dalla scomparsa del corpo assunto
in cielo. In certo senso, era successo lo stesso a Eletto, il cui corpo, ancora
dopo dieci giorni di ricerche palombariche, non era trovato: né fu più tro-
vato. Il fondo del lago evidentemente l’aveva inglutito nel fango, tra sterpi:
sepoltura grandiosa e degna.
I giornali diedero largo annuncio e scopersero ai lettori che un ragazzo
ricco, figlio di industriali ben noti, aveva donato se stesso e i suoi averi a Dio,
nei Focolari. Il papa Paolo VI inviò direttamente alla madre di Vincenzo un
telegramma commosso che, in alte espressioni, esaltava gli ideali religiosi
del giovane (33 anni). Di lui si appresero episodi e parole, che ne rivelavano
l’innocenza, la dedizione, la carità. Studiava teologia; aveva finito il quarto
anno, e poteva essere già ordinato sacerdote. La sua madre spirituale non
finiva di evocarlo.
Poi ella risalì ad Ala, dove si teneva un corso di sacerdoti, al quale una
mattina venne a parlare anche il vescovo ausiliare di Torino, monsignor

140 nu 229
igino giordani

­ inivella, che poi impartì, con monsignor Vanni, la benedizione ai conve-


T
nuti. Tutti lieti, commossi, essi vennero esprimendo la loro gioia – la sco-
perta da loro avuta – con lettere alla mamma, da cui quelle idee, quella vita
scaturiva. Come Foco aveva detto il 7 luglio precedente al Santo Padre,
da lei era stata fondata e ora per ora era nutrita, diretta, ispirata nella sua
attività complessa, tutta l’Opera di Maria, partecipata ormai da centina-
ia di migliaia di creature di tutto il mondo: tutte che riconoscevano in lei
l’autorità divina. Si trattava – chiese Foco al Papa – di sanzionarla questa
autorità con un riconoscimento giuridico della Chiesa.
E pensava, nel dichiarare queste cose davanti al Padre dei fedeli, cordia-
le, intimo e semplice come all’epoca degli incontri giovanili (all’epoca della
Città murata), a quella fontana d’ispirazione – d’animazione, come diceva De
Gasperi –, che era, e che è, la nostra fondatrice, la quale in tutta la persona
appare uno zampillo di Spirito Santo: creatura che s’è messa in unione con
Dio, e cioè con la Vita, e cioè con la Gioia, e da Lui trae, ogni momento, il
consiglio con le forze. La venerazione di cui tutti la circondano, è l’effetto di
quell’animazione, che ogni giorno s’intensifica.
Però ella bramava che il suo lavoro fosse riconosciuto, benedetto, da
quella Chiesa, di cui era figlia devota, donata totalmente.
Quei sacerdoti – si vedeva – avevano provato la maternità (e chiamavano
lei “mamma” come i discepoli di santa Caterina) e mostravano l’essenzialità
della presenza di Maria nella vita sacerdotale, che altrimenti patisce freddo
e desolazione. Avevano anch’essi ritrovato il calore di una casa: il calore di
Maria e sì che non vedevano mai Chiara, la quale, nella sua umiltà e sempre
sospingendo avanti l’Ideale e non volendo valersi se non quale strumento
nascosto di Dio, si rifiutava di farsi vedere: e sì che la pregavano più perso-
nalità, tra cui la sua mammina (così era chiamata) ottantatreenne la quale
dimorava a St. Vincent e spesso saliva a rivedere la figliola. Una figliola che
aveva per sua madre una grande cura e che da insegnante piangeva dietro
la lavagna solo a pensarla; eppure stavolta non cedette alle preghiere insi-
stenti, ferme, ripetute della madre perché incontrasse i sacerdoti, bramosi
di trovarla. «Qui devo obbedire a Dio, mammina; se Egli mi dà la spinta…».
Anche qui si vedeva come il suo comportamento fosse, attimo per atti-
mo, ispirato dall’alto. Attivissima correva da Ala a Val Tournanche, impie-

nuova umanità 229 141


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 13

gando il tempo del tragitto (circa 3 ore) a recitare le 15 poste del rosario,
a far la meditazione, a leggere la copiosa corrispondenza… E poi, in ogni
centro organizzava il da farsi (sopra tutto la Mariapoli: 10 in quell’estate,
e contemporanee in Europa): e tutto faceva con quella carica di luce, quel
sorriso limpido, quell’autorità nascosta nel tratto di sorella amorosa, e in-
sieme con quella praticità, per cui giustamente Foco aveva parlato al Papa
della sua santità e virtù e del suo genio: doti soprannaturali e doti naturali,
raccolte in una fusione perfetta.
Si era fatta forse più seria, come raccolta di più col suo Sposo, sempre
obbedita, ascoltata da tutti con una venerazione, la quale costituiva il più
impressionante documento dell’opera da lei attimo per attimo compiuta. Si
era fatta più raccolta, avendo abbracciato la solitudine interiore per essere
sempre con Gesù Abbandonato e Maria desolata.
Nell’udienza particolare sopra accennata Foco aveva implorato per i fo-
colarini sacerdoti l’esenzione dal vestito talare, perché potessero proseguire
l’azione così feconda tra gli strati sociali più remoti e più avversi alla religio-
ne. Or ecco che ad Ala salivano successivamente i sacerdoti nuovi consa-
crati: i focolarini Vittorio, Fede, Enzo che, con gli altri formavano, attorno a
don Foresi, il nucleo dei sacerdoti in talare. Quei tre venivano dall’Argentina,
dal Brasile, dagli Stati Uniti. La loro ordinazione fu ricordata in un film, cura-
to, passo passo, da lei stessa: e ciò si vedeva già dalla bellezza delle riprese
sul cielo di New York, durante il viaggio intrapreso per assistere a quelle
ordinazioni e impiantar le zone d’America. Era partita il sabato santo e s’era
trattenuta circa un mese in Usa, Argentina e Brasile.
Come questa creatura suscitava tanta vita rinnovatrice e tanta gioia
fatta di purezza e di amore a Dio e in Dio? Lo accennavano spesso i vesco-
vi e altri osservatori: ella era tornata alla fonte riprendendo la rivoluzione
del Vangelo nella sua prima enunciazione. Il tempo non esisteva; la carica
di fantasmi e rottami umani sovrapposta dai secoli alla germinazione sor-
giva della fede era stata rimossa: ella s’era messa a vivere e aveva messo le
sue compagne a vivere l’amore evangelico come lo avevano vissuto Maria,
le pie donne, la Maddalena e Giovanni e gli apostoli e tutti i primi radunati,
con un cuore solo e un’anima sola, nel Cenacolo attorno a Maria e a Pie-
tro. La sua era la Via Mariae e perciò viveva l’esperienza come Maria, che

142 nu 229
igino giordani

aveva visto Gesù allontanarsi da casa e salire al Calvario e morire in quel


modo: la Desolata, specchio umano di Gesù Abbandonato…
Ma quando ella toccava questo tema, che in bocca nostra è scuro e com-
plicato, la sua voce acquistava il timbro degli angeli, mentre esponeva con-
cetti d’una limpidezza – e altezza – celesti.
In montagna, potendo, saliva a far la meditazione in qualche chiesetta
solitaria: le focolarine si sedevano d’attorno, in un silenzio profondo, perché
ella potesse attingere all’Eterno. E attingeva concetti che vergava talora di-
nanzi all’altare (il parroco di Mondrone, il 25 luglio, nel pomeriggio, accor-
tosi, accese lampade elettriche perché ella potesse vergare quelle conside-
razioni che, poi, circolando, svegliavano anche nei ragazzi propositi eroici di
donazione a Dio).
Chi aveva il privilegio d’essere con lei provava l’impressione – la stupe-
fazione – d’essere vicino alla sorgente: e capiva perché, unendosi all’anima
di lei, trovasse l’accesso più spedito, più luminoso e semplice, a Dio. Dio
riportato in terra dalle mani d’una Vergine.
Tornando, anche dopo anni, lassù, in quelle baite o alberghetti o casine,
dove, in Val d’Aosta e in Val di Stura, erano ospitati focolarini e focolari-
ne, di ogni età, si riprovava l’impressione dei raduni di Fiera di Primiero e
Tonadico e Trento dei primi tempi: l’impressione d’una gioventù (anche se
c’era qualche sessantenne e settantenne), unita da un solo ideale, nella cui
comunione pronta, calda, circolava lo Spirito Santo: non si vedevano iso-
lamenti né discordie. Il principio del loro essere stava in quel radunarsi e
convivere, come dicevano, con Gesù in mezzo, a Corpo mistico; e questa
assidua immedesimazione dell’uno con l’altro e di tutti con il o con la capo-
focolare era agevolata, e più spesso prodotta dal pensiero della fondatrice,
dall’evocazione perenne della sua figura, delle sue parole, dei suoi gesti. E
in quella s’adunava la devozione e l’ammirazione reverente, fatta di timor di
Dio, da parte di tutti: sì che il discorso frequentemente ritornava su di lei, e
la presenza spirituale così suscitata di lei riconduceva tutti a pensieri di san-
tità, mentre li unificava. Era l’unificatrice e insieme la santificatrice: di una
santità che risultava in unità.
Non si ricorda, nella storia delle comunità religiose, una concordia simile,
una unità simile, che non generava uniformità. Ognuna di quelle creature

nuova umanità 229 143


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 13

era diversa dalle altre, pur volendo ciascuna essere un’altra Chiara, per es-
sere tutte Gesù. Quell’unità difatti rappresentava una scala diritta da terra a
cielo: un accesso per tutti a Gesù.
Sempre si torna al mistero dell’Incarnazione e al compito di Maria. Fu
Maria a portare la divinità in mezzo all’umanità, consentendo a questa, in
certo modo, di divinizzarsi. E fu ed è Maria che riportò e riporta l’umanità
verso Dio, a modo che (Dormitio Mariae del lago di Eletto) il suo corpo (l’ele-
mento umano) risalì al cielo, inabissandosi in Dio.
Quella di Chiara è un’operazione mariale: la sua è una partecipazione
all’opera di Maria, della quale i suoi figli la sentono vicaria: uno strappare
amoroso dal cielo i tesori di Dio – le grazie, le ispirazioni, ogni sorta di gioia –,
per donarle agli uomini al fine di riportare le loro anime al cielo: una media-
zione continua tra Padre e figli, nella quale si rivela la sua santità.
Bella si fa la vita di chi ha il privilegio di seguire l’Ideale così bello che vi
si sente il Paradiso.
E tutto questo non fa che sfiorare la realtà, così profonda, mistero pre-
sente della presenza di Maria desolata tra noi.
Presenza: e sì che i più non la vedevano mai, o quasi mai: riusciva a sot-
trarsi alle più accanite ricerche. Quando una persona che le era vicina lascia-
va sorgere in sé un desiderio, un godimento di vederla e ascoltarla, ella se
ne accorgeva subito e si allontanava. Ma anche allontanata, quella persona,
avendo assimilato qualcosa dell’Ideale, sentiva nell’assenza quella presenza.
Esposte così le cose, si potrebbe pensare che si tratti d’un fenomeno
sentimentale, generato dal fascino d’una creatura.
Non è così. Se si va poco più giù delle apparenze, si trova l’ascetica più
severa: la rinunzia totale di giovani e giovanette e anche anziani e sacerdoti,
i quali non vivono mortificati, ma morti a se stessi, per essere a disposizione
totale di Dio e della Chiesa. Essi fanno una rivoluzione silenziosa. A una so-
cietà che corre dietro vanità, denaro, vizio, dissipandosi febbrilmente nelle
apparenze esteriori, nel rumore, nelle esibizioni, tra liquori e languori, tra
forme d’arte vivide e grulle e letture sceme e frolli, questa gioventù oppone
la povertà, la purezza dello spirito, un servizio senza fine e senza umani com-
pensi a beneficio di gente povera, repellente e ingrata, condensando la vita
in un amore soprannaturale, fatto di sacrificio: ispirato di fatti e modellato su

144 nu 229
igino giordani

Gesù Abbandonato, nello spirito di Maria desolata. Essi hanno rinunziato a


tutto, di quanto è nel mondo, così com’è stampato nel “ricordino” di Eletto, il
quale, il giorno dei voti, dichiarò di avere scelto Dio per sempre, «solo Lui», e
«nessunissima altra cosa»: «la più alta perfezione da realizzare…».
Questi centri, dove i focolarini si riprendono fisicamente, mentre lavo-
rano instancabilmente, sono perciò filtri di purificazione e bellezza e forza,
donde si sprigionano e dilatano silenziosamente le energie per risanare la
vita sociale. E Chiara, nella sua purezza e semplicità e sorriso, è implacabile
contro ogni debolezza, e sta dalla parte di Maria a debellare e schiacciare
l’avversario dell’uomo, vincendolo con le virtù più urgenti: umiltà, carità, pu-
rezza. Ella non ammette debolezze e rilutta contro ogni cenno di fanatismo:
perciò non appare. Del resto chi la vedesse, la sera, per esempio dopo che
per ore e ore ha lavorato a redigere documenti e testi profondi (per esempio,
con padre Paolo – il vescovo – il quale dichiarava, dopo una corsa ad Ala,
d’aver concluso più in sei ore con Chiara che in venti giorni da solo), scopriva
una giovinetta che giocava “ai quattro cantoni”, rapida, vispa, allegra, che
rideva, nei momenti più comici, a garganella, con le compagne, a mo’ d’una
scolara della terza media a ricreazione.

1
Cf. I. Giordani, Storia di Light. 12, «Nuova Umanità» 228 (2017/4), pp. 110 e 115.
2
Su padre Lombardi e il Mondo Migliore cf. anche I. Giordani, Storia di Light. 7,
«Nuova Umanità» 223 (2016/3), p. 133.
3
Padre Giacomo Martegani, gesuita, ebbe, proprio nel 1957, l’incarico dal
Sant’Offizio di accompagnare il Movimento come “visitatore”, per correggerne i di-
fetti. Cf. L. Abignente, “Qui c’è il dito di Dio”, Città Nuova, Roma 2017, p. 238.
4
Cf. ibid.
5
Erano anni in cui la prospettiva ecumenica era molto diversa da oggi.
6
Gabriella Fallacara.
7
Cf. Igino Giordani, Storia di Light. 6, «Nuova Umanità» 222 (2016/2), pp. 154-
155.
8
Veloce, o anche ripida, scoscesa, usato qui in senso metaforico. Cf. Dante,
Divina commedia, Inferno, Canto III, o Purgatorio, Canto XII.

nuova umanità 229 145


dallo scaffale di città nuova

Opuscoli
ascetismo e mistica
Opere complete di Francesco di Sales

Questo secondo volume di Opuscoli completa la traduzione


dei testi del XXVI tomo delle Oeuvres di Annecy. Si articola
in due parti: gli scritti redatti senza particolari destinatari for-
mano la prima, quelli che hanno un particolare destinatario
la seconda. Pur trattandosi di testi minori, tanto nella prima
quanto nella seconda parte emergono il mistico e il saggio
maestro di vita spirituale. Nella prima, risultano di particola-
re rilievo la meditazione sul Cantico dei Cantici e i Frammenti
sulle virtù cardinali e morali; nella seconda, gli scritti redatti
per Rosa Bourgeois, badessa di Puits-d’Orbe, e quelli per la
sorella, la presidente Brûlart. L’insieme dei testi ci consegna la
luminosa certezza che anima l’esperienza mistica di France-
isbn sco di Sales e il suo originale sopraumanesimo cristocentrico:
97888311112215 la più alta dignità dell’uomo consiste nell’essere creato da Dio
pagine «per conoscerlo, ricordarsi di lui e amarlo»; invece costituisce
una grande sventura ritenere di «essere al mondo soltanto per
312 costruire case, sistemare giardini, possedere vigne, ammassa-
prezzo re oro, e simili cose passeggere».
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nu 229
in biblioteca

I sentieri del giurista sulle tracce


della fraternità
A. Cosseddu (ed.), I sentieri del giurista sulle tracce della fraternità. Ordinamenti
a confronto, G. Giappichelli Editore, Torino 2016

Il libro I sentieri del giurista sulle tracce della fraternità, a cura della profes-
soressa Adriana Cosseddu, è una collettanea di autori che con il loro baga-
glio culturale e scientifico si addentrano nel “sentiero” ancora non tracciato
della relazionalità nel diritto, della confutazione di valori che possano offri-
re alla prospettiva giuridica una visuale differente. Si tratta di una lettura
impegnata e impegnativa, adatta a «coloro che sul diritto si pongono delle
domande diverse dalla correttezza formale della sua produzione, interpre-
tazione e applicazione, o anche del tipo di interessi che le singole norme
tutelano»1.
I saggi esprimono da punti di vista differenti l’impegno nello scovare
e sottolineare la presenza e la rilevanza del principio di fraternità, anche
nel suo significato primigenio di relazione tra esseri umani, nella tradizione
giuridica internazionale, nelle dichiarazioni2, nei trattati, nelle costituzioni
e negli altri testi normativi, negli studi e nell’ermeneutica giuridica. Così
emergono molteplici declinazioni atte a suscitare sollecitazioni e spunti di
riflessione interessanti3. Lungo i “sentieri” si incontrano la solidarietà, la di-
gnità, i diritti umani e inviolabili di ogni uomo, la giustizia riparativa e della
mediazione penale, la libertà, il constitucionalismo fraternal, la buona fede, la
giustizia relazionale. Trovano spazio, nel diritto relazionale, anche i concetti
di dovere, di responsabilità, di prevenzione, di colpa, di duty of care, di so-
stenibilità4. Tutti questi concetti danno senso all’esistenza e alla validità del
principio di fraternità nel diritto e ricevono da esso nuovi impulsi e prospet-
tive di sviluppo de iure condendo.
Caratteristica del libro è la sua ampiezza di ricerca, sia nel senso dell’a-
pertura a diverse aree tematiche sia in senso geografico, poiché per lingua e

nuova umanità 229 147


in biblioteca

dislocazione degli studi viene abbracciata parte del globo. I saggi, infatti, ol-
tre alla prefazione di Fausto Goria (professore ordinario di Diritto romano e
diritti dell’antichità all’Università di Torino) e all’introduzione della curatrice
Adriana Cosseddu (professore aggregato di Diritto penale commerciale e
Istituzioni di diritto e procedura penale all’Università di Sassari), sono nove,
di penna di altrettanti professori e ricercatori: Fernanda Bruno (già profes-
sore di Diritto pubblico comparato all’Università La Sapienza di Roma), Ser-
gio Barbaro (professore incaricato all’Istituto universitario Sophia), Carlos
Augusto Alcântara Machado (professore di Diritto costituzionale all’Uni-
versità federeale di Sergipe e di Tiradentes in Brasile), Josiane Rose Petry
Veronese (professore di Diritto minorile all’Università federale di Santa Ca-
terina in Brasile), Olga Maria Boschi Aguiar de Oliveira (professore all’Uni-
versità federale di Santa Caterina in Brasile) e Monica Nicknich (insegnante
di Amministrazione di impresa all’Università statale e federale di Santa Ca-
terina in Brasile), Vincenzo Buonomo (professore ordinario di Diritto inter-
nazionale alla Pontificia Università Lateranense), Antonio Marquez Prieto
(professore di Diritto del lavoro e della previdenza sociale all’Università di
Malaga) e Rocío Caro Gándara (professore associato di Diritto internazio-
nale privato all’Università di Malaga).
I vari saggi, data l’eterogeneità degli studi, potrebbero risultare tra loro
autonomi e distaccati; invece stupisce il fatto che, nonostante le diverse
prospettive e l’indipendente stesura degli stessi, essi siano in qualche modo
tra loro collegati, dando vita a una lettura diversificata e contemporanea-
mente legata. È come se il singolo saggio non fosse solo per se stesso, ma
avesse anche la funzione di agevolare la comprensione degli altri. In altre
parole, i vari saggi ci offrono una duplice prospettiva: l’osservazione dello
sviluppo del concetto di fraternità e l’approfondimento continuo, dal primo
saggio all’ultimo, dei vari concetti ricorrenti di solidarietà, di dignità, di in-
clusione ecc.
Così, i sentieri del giurista, seppure molti e da percorrere in diverse dire-
zioni, tra loro dialogano in atteggiamento di servizio, dando vita a una col-
lettanea organizzata e organica.
La lettura del libro richiede tempo e attenzione, richiede sicuramente lo
sforzo di “accantonare” i preconcetti e di disporsi liberamente di fronte a

148 nu 229
I sentieri del giurista sulle tracce della fraternità

idee che risultano ancora nuove, ma, se lo sforzo viene fatto, che regalano
orizzonti e colori inaspettati.
Nel saggio Ripensare la legalità nello “spazio” giuridico contemporaneo la
professoressa Cosseddu mette in evidenza che «l’osservanza della norma,
riletta in chiave relazionale, rimette così al centro del diritto, come regola
di coesistenza, quella reciprocità delle relazioni giuridiche, che coniugate
come diritti e doveri, libertà e responsabilità, si sostanziano nel riconosci-
mento dovuto alla “dignità umana” dell’altro»5.
In definitiva, dunque, il libro I sentieri del giurista sulle tracce della fraternità
è l’occasione di scorgere la presenza della relazione e dei rapporti di fra-
ternità nel diritto che mostrano una possibilità nuova: se la fraternità è già
presente nella logica giuridica, questa presenza non va relegata in alcune
sparute nicchie del diritto esistente e/o esistito, ma può essere un indica-
tore importante de iure condendo. I contributi degli autori offrono spunti di
riflessione più che concreti, per spingere il lettore a spostare lo sguardo dal-
le consuete prospettive giuridiche dell’organizzazione in base all’utile, alle
esigenze economiche e all’individualismo, portandolo a pensare la relazio-
ne tra gli esseri umani e in particolare il rapporto fraterno che lega tutte le
persone come il valore che possa dare al diritto un senso e uno scopo da
raggiungere.

Laura Bozzi

1
A. Cosseddu (ed.), I sentieri del giurista sulle tracce della fraternità. Ordinamenti
a confronto, G. Giappichelli Editore, Torino 2016, p. XI.
2
Prima fra tutte la Dichiarazione universale dei diritti umani che all’art. 1
afferma: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi
sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito
di fratellanza».
3
Nel saggio di A. Cosseddu, Ripensare la legalità nello “spazio” giuridico contem-
poraneo, scovato nelle produzioni giuridiche il principio di fraternità e in questo caso
negli studi di B. Pastore, si offre lo spunto per spingersi oltre e riflettere: «Un princi-
pio di solidarietà che diventa “fonte di doveri” e “componente del legame sociale”,

nuova umanità 229 149


in biblioteca

così da richiedere “un impegno volto a ‘farsi carico’ delle esigenze connesse al so-
stegno [...] dello stare insieme in società” [...] Una solidarietà così intesa, nel rinviare
a una dimensione capace della convivenza tra estranei di introdurre la prospettiva di
una “unione nella diversità”, apre altresì, almeno nella lettura fin qui esposta, a una
rinnovata “co-responsabilità”. Ovvero, un agire responsabile anche nell’osservanza
di regole e norme, in ragione di un vincolo solidale e nella consapevolezza di un suo
effettivo riflettersi sulla con-vivenza». A. Cosseddu (ed.), I sentieri del giurista sulle
tracce della fraternità, cit., p. 80.
4
Nel saggio A fraternidade como valor-garantidor da sustentabilidade si legge: «É
fundamental o diálogo entre as categorias sustentabilidade e fraternidade para que
sejam acrescentados noutros aspectos como a cooperação, inclusão, continuidade,
permanência e consumo conscientes». Id., I sentieri del giurista sulle tracce della fra-
ternità, cit., p. 172.
5
Id., I sentieri del giurista sulle tracce della fraternità, cit., pp. 64-65.

150 nu 229
Culture a confronto. La lezione di Valignano

Culture a confronto. La lezione di Valignano


A. Valignano, Dialogo sulla Missione degli ambasciatori giapponesi alla curia
romana e sulle cose osservate in Europa e durante tutto il viaggio, a cura di M. Di
Russo, Leo S. Olschki, Firenze 2016

È poco conosciuta la storia del cristianesimo in Giappone. Il recente


film Silence (2016), tratto dal libro omonimo del rinomato scrittore Shusaku
Endo, ha destato grande sorpresa per molti, europei e non solo. A pochi de-
cenni dall’arrivo di Francesco Saverio nella terra del Sol Levante il 15 agosto
1549, la fede era ben radicata nei primi cristiani del posto al punto che, con
l’espulsione di tutti i missionari (1587) e la seguente feroce persecuzione,
migliaia restarono tenacemente fedeli in nascondimento, senza alcun soste-
gno religioso, trasmettendo la fede di generazione in generazione, pronti a
morire martiri nei modi più crudeli (ad oggi più di 600 sono stati beatificati
o canonizzati!).
Il libro Dialogo sulla Missione apre un altro capitolo poco conosciuto di
questa storia che, svoltasi negli anni 1582-1590, dimostra un valore im-
pressionante anche per i nostri tempi, sullo sfondo delle sfide dell’inter-
culturalità.
Non è questo un libro che si mette in borsa per leggerlo al mare: 663 pa-
gine e circa 2 kg (sì, ho provato a metterlo in valigia!). Ma il suo vero “peso”
va ben oltre. Arricchito da una cronologia dettagliata, 45 tavole a colore, 79
illustrazioni e una miriade di preziose note storiche (più di mille!), il testo è
un vero paradiso per un amante della storia, e fa venire l’acquolina anche a
chi non lo è.
Di cosa si tratta dunque? Dialogo sulla Missione è un diario di viaggio: un
gran tour durato otto anni, di quattro giovanissimi “ambasciatori” cristiani, i
primi giapponesi a sbarcare in Europa e ad arrivare fino all’incontro col papa
(anzi, con due papi: Gregorio XIII, che morì in quel frangente, e Sisto V). Fu
un viaggio ideato e curato nei dettagli dal missionario gesuita Alessandro
Valignano. Il motivo della spedizione era quello di contribuire alla mutua

nuova umanità 229 151


in biblioteca

conoscenza di due culture fra loro finora sconosciute, l’una quasi “il rove-
scio” dell’altra, per prendere a prestito una parola usata da Guido Gualtieri,
segretario di Sisto V, in una relazione del 1586.
Valignano, missionario italiano in terre lontane, era convinto che i due
mondi avessero molto da offrire l’uno all’altro. Leggendo gli appunti del
diario (che egli stesso aveva commissionato), ha pensato di tramutarli in
forma di dialogo con un interlocutore locale che interroga i quattro ritornati
in patria e introduce i propri commenti. Il libro, redatto in latino, doveva
servire come testo di quella lingua nelle scuole dei gesuiti in Giappone, e
al contempo aprire le menti degli allievi. Bisognerà aspettare più di 400
anni per la prima traduzione corrente in lingua occidentale (portoghese nel
1997, seguita da quella inglese nel 2012), e ora finalmente (2016) la versio-
ne italiana.
Nella recente recensione di Gianpaolo Romanato nell’Osservatore Ro-
mano (14 aprile 2017) si può trovare una spiegazione ampia e lucida della
straordinaria missione col suo contorno storico, per cui non ci dilunghiamo.
Affascinante nel suo contenuto, Dialogo sulla Missione si presenta come
un reportage fedele fino ai minimi particolari da parte di giovani che vedo-
no e sperimentano per la prima volta una civiltà diversa dalla propria. Essi
trasmettono non solo i fatti ma tutta la loro meraviglia per i costumi, l’ele-
ganza, la bellezza riscontrati, per la grandezza delle città, i sistemi sociali, il
governo, e infine per la carità che, come cristiani nuovi, ai loro occhi animava
tutto e tutti. Il libro apre dunque al lettore uno squarcio vivissimo sull’Europa
dell’epoca con i suoi regnanti, conti e corti, in tandem con la vita della Chie-
sa, con i cardinali, i vescovi e la Curia, con una particolare descrizione delle
comunità dei gesuiti, vivissimi e numerosi 50 anni dopo la nascita. Ovunque
passarono i giovani ambasciatori (più di 100 città in Portogallo, Spagna e
Italia) trovarono un’accoglienza entusiasta da parte dei civili e dei presuli,
che li colmavano di attenzione e di doni, mostrando amore e benevolenza,
accordati – dicono – a «quei neonati figli della cristianità che noi eravamo»
(p. 345) E ancora: «Fu tale l’amore di tutti per noi che ci accolsero come
fossimo caduti dal cielo» (p. 441).
Ma oltre al valore storico del libro, e al fascino di una grande avventura
raccontata da chi l’ha vissuta in prima persona, dal Dialogo sulla Missione

152 nu 229
Culture a confronto. La lezione di Valignano

possiamo cogliere un messaggio importante da comunicare al nostro mon-


do di oggi, dove gli incontri fra le varie culture sono all’ordine del giorno.
I nostri quattro non erano mai usciti dalla loro terra, dalla loro cultura.
Senza i social media che in qualche modo fanno sì che il mondo di oggi sia
come un’unica stanza, non potevano neanche concepire cosa andavano a
incontrare. I pochi missionari e commercianti, arrivati nella loro terra da lon-
tano, erano visti spesso – così ci dice Valignano – come dei barbari di fronte
a una civiltà raffinata come la loro.
Ma ripetutamente si ribadisce l’importanza di uscire dai propri confini
per conoscere usi e consuetudini altrui, che non possono essere conside-
rati “cattivi” perché diversi dai propri. Ovviamente è la mano del redattore,
Valignano, che lo sottolinea, prendendo spunto dalla propria esperienza e
da quella fatta dai giovani viaggiatori in un mondo diverso. Dalle varie con-
versazioni emerge continuamente l’importanza del rispetto per le diversità
che è alla base di ogni confronto fra popoli e costumi. Anzi, spesso si mette
in evidenza il “di più” che “l’altro ha da offrire”.
Ad esempio, per quanto riguarda il cibo degli europei

«da cui odori e sapori troviamo disgustosi», si riflette: «allo stesso


modo i portoghesi si meravigliano di come mangiamo noi. In que-
sta materia infatti nulla può essere ritenuto un errore, ma tutto va
attribuito agli usi e alle consuetudini. Se però non guardiamo alle
abitudini ma alla natura stessa, sono certamente del parere che i
cibi europei siano molto più adatti a sostenere il fisico e più delicati
per soddisfare la gola».

Così pure riguardo alla danza «Mettere a confronto popoli diversi e pa-
ragonare i loro costumi genera sempre offesa quando si preferiscono alcuni
popoli ad altri. Per questo non fu mai mia intenzione né lodare esagerata-
mente i costumi europei, né denigrare quelli giapponesi», scrive uno dei gio-
vani, concludendo, dopo una descrizione dettagliata: «Ma siano lasciate ad
ogni popolo le proprie usanze» (p. 178).
Così per quanto riguarda il vestito, il modo di sedersi e i vari costumi e
le usanze particolari. In sintesi «non resta che lasciare tutti questi diversi

nuova umanità 229 153


in biblioteca

giudizi e pareri ai popoli che hanno la libertà e il diritto di seguire la propria


sensibilità e il proprio arbitrio e di mantenere i propri usi e costumi» (p. 162).
Invece, nell’osservare e commentare l’agire sociale come l’educazione
dei figli, l’amministrazione dei regni, i processi della giustizia... viene in evi-
denza, ai loro occhi, il grande valore che il cristianesimo ha portato alla civil-
tà europea, in confronto alla cultura “pagana” da cui venivano. Osservando
le pratiche della giustizia e dell’autorità dei regnanti commentano: «È fonda-
mentale per gli europei attirare alla pratica delle virtù con l’amore piuttosto
che con la paura del castigo» (p. 189); mentre i giapponesi, “ancora pagani”
«non si preoccupano della vita futura ed eterna» e «intendono il governo
del popolo non volto al bene comune, bensì al loro utile particolare» (pp.
188-189); messaggio forte che suscita un esame di coscienza per la nostra
società secolarizzata e scristianizzata.
È vero, e bisogna tenerlo presente, che i quattro giovani hanno visto in
qualche modo un mondo “idealizzato”. Sempre accompagnati e protetti,
hanno visto l’Europa che i gesuiti volevano mostrare loro. Però anche se non
videro il male, che certamente esisteva, quel bene che hanno visto e quella
carità sperimentata, di cui hanno dato relazione dettagliata, erano anch’essi
una realtà, non erano inventati. Tanto rimasero colpiti che continuarono a
raccontarlo per tutta la loro vita, a «ridire mille volte da capo la cose e pro-
vate e vedute in Europa» (p. 559).
Dialogo sulla Missione ci fa entrare nello stupore di questo primo incon-
trarsi di due mondi diversissimi, il tutto condotto nello spirito dei princìpi
che stanno alla base di ogni autentico dialogo interculturale: il rispetto per
l’altro e la conservazione della propria identità.
È un volume, come osserva Romanato, «di straordinaria ricchezza
informativa ed iconografica», ma che va gustato a sorsetti e con calma,
come il tè giapponese… Da raccomandare a chi lavora nel campo del dia-
logo e dell’intercultura e a tutti coloro che amano l’umanità nella sua ric-
chezza variopinta.

Judith Marie Povilus

154 nu 229
english summary

controcorrente Focus
50 Years after 1968 the church in the
A.M. Rossi cultural “babel”
p. 5 The Prophetic Eyes of
This year marks the 50th anniversary of Chiara Lubich:
the events of 1968, and offers us an op- A Reading of the Relationship
portunity to reflect on one of the most between Gospel and Cultures
important and debated revolutions of the
last century, as well as on the meaning R. Catalano
of revolution in general. Half a century p. 19
later we can examine these events from This study proposes a reflection on the
a different perspective, considering the relationship between gospel and cul-
impact that the call for change had on tures seen from the perspective of the
society on a global level, and the direc- charism of unity. This reflection takes
tion it marked out for the future. place in the context of a long process
which, over the centuries, has seen
Christianity adopting a diversified ter-
The Beginning of a New Era? minology: “adaptation”, “accomoda-
tion”, “assimilation”, “acculturation”,
L. De Torre “indigenization”, “contextualization”,
p. 9 and – more recently – ”inculturation”.
Faced with the profound changes of As with other studies on this topic, the
epoch underway – characterized by current study does not and cannot be
uncertainty, conflict, terrorism, envi- exhaustive. It simply intends to open up
ronmental disaster, populisms, fear some research paths and directions of
protectionism, barriers – it might seem reflection drawn from texts, talks and ex-
utopic to imagine that States can go periences of Chiara Lubich, the foundress
beyond signing treaties and work for of the Focolare Movement and protago-
the good of the other State. And yet our nist of deep experiences of contact with
age has extreme need of political vision persons and groups belonging to various
if it is to understand, hope, progress. It cultures. Further study is called for on
is not a question of promising a reas- this experience in various socio-ecclesial
suring future, but of accompanying ef- contexts.
forts to elevate international relations
beyond merely commercial, economic,
legal and technological cooperation.
This higher level when “a new age will
be born” is the age of reciprocal love be-
tween peoples.

nuova umanità 229 155


english summary

Inculturation and Evangelization the whole human person in his or her


in the Light of the Charism of specific cultural context? How do the
new charisms and movements born
Unity
from them contribute effectively to the
J. Morán proclamation of the gospel with reaches
p. 37 the very roots of human culture and cul-
tures? The current essay intends to re-
The theme of evangelization is linked
spond to these questions surveying the
to the central mystery of the Christian
development of magisterial reflection
faith, that of the incarnation. For this
on the evangelization of cultures from
reason it is situated in the very heart
Vatican II’s pastoral constitution Gaud-
of the faith and praxis of the Church ium et spes up to the apostolic exhorta-
throughout history. This process is al- tion of pope Francis Evangelii gaudium,
ready found in the redaction of the four as well as some of the more significant
Gospels, which are eloquent examples passages of Iuvenescit Ecclesia by the
of inculturation of the message of rev- Congregation for the doctrine of the
elation. Far from being a theme related faith on the relation between hierarchi-
only to certain historical contexts or cal and charismatic gifts for the life and
certain parts of the Church, incultura- mission of the Church.
tion regards the whole life of the Church
and should be considered essential not
only in the process of evangelization, Gospel, Pluralism and
but also in dogmatic and theological re- Intercultural Dialogue
flection. The current essay is a revised
L. Cervinho
version of a talk that the Author delive­
red in Nairobi, and intends to present p. 67
the specific contribution of the spiritual- The Church, in order to reflect the light
ity of unity to inculturation. Special at- of Christ in the world, should continually
tention is paid to Mary as the form and situate and resituate itself in the various
teacher of inculturation. local and global cultural contexts. Thus,
it is essential that it dialogue with the
self-awareness of every age. As pope
Charisms and Evangelization of Francis has emphasized on several oc-
Culture casions, we are living in a profound
V. Zani change of epoch, and this change has its
roots in culture, understood as the “to-
p. 47 tality of the life of a people”, a people’s
What is the specific contribution can the way of being and living in the world. The
transformative power of charisms bring ways in which we relate to others, with
to Church’s mission of proclaiming the the planet and with the absolute are
gospel message to all humanity and to changing. Our ways of knowing, feeling

156 nu 229
english summary

and living as human beings are chang- punti cardinali


ing. This article unfolds the relationship
between gospel and culture situating The Principle of Subsidiarity
it in this change of epoch which calls from the Code of Camaldoli to the
for an evangelization. Following, once Italian Constituent Assembly
again, pope Francis, this culture is un- B. Di Giacomo Russo
derstood as a “culture of encounter” at
the service of unity in difference. Chiara p. 97
Lubich’s intuition of inculturation as an In order to understand the full significance
“exchange of gifts” is proposed to spell of subsidiarity we need to attend to the
out what this evangelization might look Code of Camaldoli and the Italian Con-
like. stitution. The diachronic reading adopted
here emphasizes certain characteristics
scripta manent of subsidiarity emerging in history, but
also helps explain the influence on pub-
Instruction for the Apostolic lic and constitutional law and on social
Vicars of Cocin-China, of organization.
Indochina and China (1659)
Propaganda Fide A Comparison between the
p. 79 Senghaas’s Civilizational Hexagon
We publish here a document that has and the Spirituality of Unity
been defined as the magna charta of mod-
ern missions, because it condenses the C. Hubert
essential lines of the missionary strategy p. 107
elaborated by Propaganda Fide. Evident This article places Senghaas’s civiliza-
in this document are modern elements tional hexagon, a model for a peace-
such as the respect of native cultures, ful society and one of the guidelines
the need to furnish missionaries with for peace education, in dialogue with
a scientific and spiritual formation, the the spirituality of unity and some of its
creation of an indigenous clergy, and the practical expressions. It first describes
prohibition of intervention in the politi- the Senghaas’s ideas. After having il-
cal life and participation in commercial lustrated the cornerstones of the spir-
activities. ituality of unity, the article shows how
it provides a concrete way in which the
parole chiave hexagon can be lived.
Interculturality and Gospel
E. Merli
p. 93

nuova umanità 229 157


english summary

alla fonte del carisma dell’unità found and poetic description of the life
of the Mariapolis.
Discernment and Charism:
Correspondence
in biblioteca
C. de Ferrari - C. Lubich p. 147
p. 115
This contribution introduces the rea- murales
der to five letters between monsignor
Carlo de Ferrari, archbishop of Trent, G. Berti
and Chiara Lubich. Written between p. 160
1947 and 1951, these cast light on a little
known, but crucial, moment in the early
history of the Focolare Movement. The
texts proposed, with rare spiritual in-
tensity, offer some touches of solid and
foundational reference to the Word of
God and to the constant openness to
listening to the Spirit, characteristic of
the two protagonists.

Story of Light. 13. A piece of heaven


between the Dolomites
I. Giordani
p. 127
Chiara’s “night” (which was com-
pounded by a terrible accident which
left her immobile for months) is the root
of the life of the Opera in this period (we
are in the 1950s) and of its many fruits.
Among these is a new understanding
of Mary as the vocation of the Opera
and of each of its members. Two im-
portant dates: the 11 July 1964, when
Chiara outlines the vocation of the mar-
ried focolarini in an absolutely new way
and the 12 July of the same year when
Vincenzo Folonari, Eletto, loses his life
in Lake Bracciano. We find here a pro-

158 nu 229
dallo scaffale di città nuova

Qui c’è il dito di Dio


Carlo de Ferrari e Chiara Lubich: il
discernimento di un carisma
di Lucia Abignente

Sulla base di un ricco apparato di fonti inedite di grande valore


storico, spirituale e di pensiero, lo studio illumina passaggi de-
cisivi e sostanzialmente inesplorati della storia del Movimento
dei Focolari (Opera di Maria). Viene ricostruito il rapporto tra
Chiara Lubich e l’arcivescovo di Trento monsignor Carlo de
Ferrari, con speciale attenzione al ruolo che egli svolse nel ri-
conoscere “l’agire di Dio” nella nascente realtà ecclesiale, ac-
compagnandola durante gli anni di studio da parte della Santa
Sede, fino alla prima approvazione pontificia nel 1962. Docu-
menti di intensa spiritualità e di vivissima sensibilità ecclesiale
isbn vengono offerti al lettore che troverà, in queste pagine, uno
97888311113076 strumento essenziale e prezioso per la conoscenza della storia
dell’Opera di Maria e del carisma dell’unità e per la rivaluta-
pagine zione storica di un episcopato fecondo.
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murales
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160 nu 229

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