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La preghiera della Chiesa, che ora ci viene proposta nella lingua parlata,

ha un continuo e preciso riferimento ai libri del salini e per dò non è mai troppo
meditare su quest'argomento. L'introduzione al Salterio, che qui ci viene offerta,
dimostra l'opportunità della scelta di questo libro per la preghiera cristiana,
evidenzia l'unità del Salterio - riconoscimento questo anche della sua ispirazione
- e chiarisce come ogni testo acquista il suo valore ultimo, il suo senso definitivo
proprio dal rapporto che ha con le altre parti. Nel Salterio tutta la vita del mondo,
tutta la vita dell'uomo canta in ordine ad un processo che porta l'umanità e il
singolo alla lode divina, come ultimo atto e compimento di tutta la storia. Il
Salterio è il libro che più è stato usa to dai cristiani per il particolare rapporto che
ha con il Cristo medesimo: di qui il problema fondamentale di meditare questo
libro non solo per comprenderlo, ma soprattutto per pregare con esso.

INTRODUZIONE AI SALMI
Collana Bibbia e Liturgia - 15

DIVO BARSOTTI

Introduzione ai salmi

QUERINIANA - BRESCIA

Nihil obstat - sac. Tullus Goffi Brixiae, 19.3.1972


lmprimatur - † Aloysius Morstabilini, Ep Brixiae, 22.3.1972
Tutti i testi biblici qui riportati in italiano sono stati tolti da La Sacra Bibbia,
tradotta dai testi originali da Fulvio Nardoni, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze
1967
© 1972 Editrice Queriniana, Brescia
Stampato dalla Tipografia Queriniana, Brescia, nel maggio 1972

A coloro
che mi hanno insegnato
a pregare

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INTRODUZIONE L'UNITA DEL SALTERIO

Parola dell'uomo e parola di Dio

Un approfondimento del Salterio è necessario, altrimenti non potremo


vivere mai pienamente la nostra vita religiosa, dal momento che tutta è
fondamentalmente dominata e diretta dalla preghiera liturgica, e la preghiera
liturgica ha nei salmi la sua norma fondamentale. Così la vita di ogni uomo deve
trovate in questa parola la sua norma oggettiva, sapiente ed efficace, per una
testimonianza che attraverso la Chiesa egli deve dare al mondo.
Tanto più necessario è intraprendere la meditazione e lo studio del Salterio
in quanto che, mentre la Chiesa ce lo propone come guida, ce lo dà a norma
della nostra preghiera: di fatto questo libro è estremamente difficile. Forse è il
libro più difficile della sacra Scrittura ed è insieme il più usato e il più necessario.
Nemmeno i Vangeli sono stati letti nella Chiesa tanto quanto è stato letto il
Salterio. Fino a poco fa il Salterio doveva esser recitato integralmente da tutti i
sacerdoti e da tutte le anime consacrate negli Ordini monastici, ogni settimana,
mentre non vi è nessun Ordine religioso nella Chiesa, che io sappia, che abbia
come obbligo di leggere anche un solo Vangelo tutt'intero ogni settimana.
San Seranno di Sarov leggeva ogni giorno un Vangelo e in tutta la
settimana tutto il Nuovo Testamento. Ma non c'è alcuna regola - nella Chiesa
ortodossa o nella Chiesa cattolica, che comandi di leggere integralmente ogni
settimana il Vangelo. Invece non solo i certosini, ma tutti i preti sono stati
obbligati finora a leggere ogni settimana il Salterio.
È un controsenso che questo libro debba esser letto quando rimane un
libro chiuso e incomprensibile in massima parte o, anche se comprensibile, del
tutto estraneo alla nostra vita profonda. Anche quando si è tradotto il Salterio in
un latino più facile e senza errori, anche quando il Salterio viene recitato nelle
lingue, nazionali, non per questo diviene più facile; anzi allora si avverte di più
ancora la differenza tra la nostra esperienza e quello che suggeriscono quelle
parole, si riconosce ancora più quanto queste parole siano estranee alla nostra
vita: queste parole non sembrano esprimere la nostra vita profonda. Quanto più
dunque si vorrà un rinnovamento liturgico, tanto più s'imporrà uno studio
profondo, una iniziazione spirituale, reale, a questo libro; altrimenti tutto sarà
vano e al formalismo di qualche anno fa, si sostituirà un altro formalismo
liturgico, un formalismo anche meno giustificato perché prima almeno si, poteva
dire che molti non capivano e per questo dovevano cercare di pregare
indipendentemente dalle parole dei salmi. Ma ora si legge il Salterio in una lingua
viva e ugualmente non si vivono le parole e il formalismo diverrà estremamente
più grave e la opacità della Chiesa, nei confronti del mondo, più irrimediabile
ancora. Gli uomini si convinceranno sempre più che il cristianesimo e la Chiesa
sono la reliquia di un passato che invano si vuol risuscitare. Le parole della
liturgia non sono che una menzogna perché non esprimono una vita. Nessuno
veramente le comprende, nessuno le fa sue. Già questo si avverte nella liturgia
della Parola nella celebrazione della Messa; certe epistole, certi Vangeli per
buona parte del laici, ma anche per religiosi e sacerdoti, rimangono veramente
ostici. Parlano di un mondo che non è più il nostro mondo, sono parole che non
sono più le nostre parole. Chi sono Agar e Sara per la maggior parte del nostri
buoni cristiani? Ma chi sono anche per te? Che cosa vogliono dire le parole di
Paolo o perfino a volte le parole di nostro Signore, per molti cristiani?
A una retorica si sostituisce un'altra retorica. Noi che vogliamo rivelare
Dio, noi che dobbiamo proclamarne l'annuncio, siamo come dei muti, uomini che
non conoscono la lingua degli uomini di oggi. Si proclama il messaggio in un

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linguaggio che evidentemente è dissueto, appare estraneo alle preoccupazioni,
alle ansietà, ai sentimenti più profondi, alle esigenze più vive del tempo. Ecco
perché anche i sacerdoti - non voglio dire qualche cosa di più - leggono più
volentieri il giornale, si trovano più facilmente a loro agio con il giornale che con
il Salterio e perfino con il Vangelo. Il Vangelo rimane un libro che, si può
prendere e meditare; ma, e il Salterio? Eppure esso è un libro che si deve
leggére ogni giorno.
Il problema è di una gravità estrema, perché mai come oggi la rottura tra
vita sacrale e vita reale appare più evidente. È chiaro che quando sono stati
composti i salmi furono veramente la parola dell'uomo, la parola che ne
esprimeva tutte le ansie e le aspirazioni, tutti i dolori, le speranze, tutti i
sentimenti: la parola dei salmi rivelava l'anima profonda di un popolo era
l'espressione genuina di tutta la vita dell'uomo e della nazione d'Israele.
Oggi dovrebbe essere altrettanto: il rinnovamento liturgico implica che
questa parola divenga di nuovo la parola della Comunità ecclesiale, la mia stessa
parola; non parola soltanto di Dio, ma parola anche dell'uomo, dal momento che
se l'uomo vive essenzialmente il suo rapporto con Dio, in rapporto anche con
tutto l'universo, è proprio il Salterio che deve esprimere questa sua vita
profonda. La preghiera difatti non è, non deve essere un atto estraneo alla nostra
vera vita, deve piuttosto divenire l"atto che riassume tutta la vita; deve essere
l'atto nel quale tutto l'essere umano è impegnato e si rivela, l'atto che realizza
tutto l'essere dell'uomo, l'essere e la vocazione dell'umanità.
O Dio è un giocattolo, un soprammobile - noi molto spesso facciamo
questo di Dio - o Dio è realmente colui al quale converge tutta la storia degli
uomini, tutta la vita del mondo e, prima ancora, la nostra medesima vita. Allora,
nell'atto della preghiera, l'uomo veramente si deve realizzare, e la preghiera
dell'uomo non deve essere più un atto ai margini della sua vera vita, ma l'atto
che deve riassumerla ed esprimerla totalmente, fino nelle sue abissali profondità,
nella sua massima dilatazione. Se il Salterio non ritorna ad essere il libro più vero
dell'uomo, più realmente suo, dire i salmi sarà soltanto riconoscere che noi siamo
estranei al mondo di Dio, sarà soltanto riconoscere che la Chiesa intera è
estranea al mondo di Dio e al mondo dell'uomo.
Queste parole sono dure, ma sono meno dure di quello che dovrebbero
essere. Proprio per la serietà della nostra vocazione umana e cristiana s'impone
che ci rifiutiamo a una pia retorica che offende noi stessi prima ancora di Dio.
La preghiera dev'essere tutto per noi, e siccome la preghiera cristiana ha
una sua norma oggettiva nel Pater, e nei salmi, noi dobbiamo vedere come i
salmi esprimono veramente tutta la nostra vita, rivelano la vita di Dio e il suo
rapporto con l'uomo. Dobbiamo realmente vivere questa parola come la nostra
parola più profonda, più vera. Così come dobbiamo ascoltare, attraverso questa
parola, la parola che Dio, giorno per giorno personalmente, ci rivolge.
A tale impegno ci obbliga la liturgia della Chiesa: a fare del Salterio
veramente il nostro, libro. Un impegno che non possiamo rimandare pérché
altrimenti la preghiera liturgica diviene soltanto un peso e non un'ala che ci
solleva a Dio; diviene soltanto una parola falsa, una menzogna, con la quale noi
camuffiamo la nostra, vera vita. Ci presentiamo a Dio sotto le vesti di un attore,
non nell'umiltà reale della nostra condizione umana, non nei sentimenti veri di
una nostra umanità sulla quale grava il peccato, la sofferenza di una umanità
che, d'altra parte, ha conosciuto Dio e 'può anche, dimenticando la propria
condizione di pena, volgersi a lui nel canto, nell'esultanza, nella lode.
Se volete che io sintetizzi quello che ho detto finora in una parola semplice
ma vera, vorrei dire: finché il Salterio non ritorna ad essere il 'nostro' libro, la

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'nostra parola, la nostra preghiera, denuncia solo l'insincerità della nostra vita,
accusa soltanto la nostra menzogna.
Prima di tutto noi dovremmo chiederci perché questo libro è stato scelto
dalla Chiesa come l'espressione comune ed universale della sua preghiera. È un
mistero che la Chiesa abbia voluto scegliere questo libro per noi: un mistero
incomprensibile finché non abbiamo considerato attentamente le ragioni della
sua scelta.
Perché la Chiesa ha voluto che noi usassimo il Salterio?
Ecco, prima di tutto, la risposta che vi posso dare, una risposta bella e
grande è questa: perché non vi è altro libro nella sacra Scrittura che sia
essenzialmente e direttamente un libro di preghiera.
Ora la Chiesa sa bene, più di qualsiasi di noi, che la nostra vita non è
finalmente insegnamento e dottrina - altrimenti il nostro libro poteva essere più
coerentemente san Paolo o il Vangelo - la nostra vita è essenzialmente
preghiera. La nostra vita più profonda non è soltanto un ascoltare un
insegnamento, non è neppure un'obbedienza a una legge, è soprattutto vivere un
dramma, un 'rapporto, il rapporto di Dio con noi, ma anche il rapporto di noi con
lui. La vera parola dell'uomo è una parola rivolta a qualcuno.
Ecco quello che distingue le religioni cosiddette del libro. Le religioni del
libro sono tre: cristianesimo, ebraismo, islamismo. L'Islam non vive in fondo la
sua vita religiosa come rapporto, la vive come insegnamento; e la vita religiosa
dell'Islam è obbedienza a prescrizioni giuridiche, più che essere preghiera. E
tanto meno la vita è preghiera per il buddhismo o per l'induismo. Se tuttavia
l'uomo non vive un dialogo, rimane chiuso in sé e Dio stesso gli rimane estraneo
come gli sono estranei gli uomini e il mondo.
Per questo le religioni, al di fuori del cristianesimo e dell'ebraismo,
terminano in un certo monismo mistico: il rapporto è escluso. Invece la vita
dell'uomo è essenzialmente dialogo, e non potrebbe essere altro, almeno al
termine, che dialogo con Dio. Tu sei stato creato per vivere dinanzi al volto di
Dio.
Il Vangelo ti fa vivere, certo, dinanzi al volto del Padre, eppure potrebbe
anche trasformarsi per te soltanto in un libro d'insegnamento morale o teologico.
Dio potrebbe divenire per te soltanto un mistero che tu devi approfondire; il
Vangelo un messaggio di salvezza. Non stabilisce necessariamente un vero
rapporto di amore. La lettura del Vangelo non realizza un colloquio anche se lo
suggerisce, lo provoca, lo alimenta. Allora comincia la tua vera vita quando, dopo
aver letto e ascoltato, tu stesso rispondi, perché nell’evangelo Dio veramente ti
parla.
Il Salterio invece è la tua stessa parola rivolta a Dio, perché è preghiera;
non è un libro che tu leggi, nemmeno più soltanto una parola che ascolti, ma una
parola che tu stesso dici. Questa è la differenza del Salterio, nei confronti degli
altri libri della Scrittura. Ascolti Uno che ti parla e tu stesso parli a Uno che
ascolta. Il libro del Salterio, a differenza di ogni altro libro anche della sacra
Scrittura, non ti prepara alla preghiera e non è lettura di insegnamento che
segue alla preghiera; è la tua preghiera stessa e, perché è la tua preghiera, è
l'espressione autentica, della tua medesima vita, dal momento che la vita
dell'uomo è rapporto e il rapporto supremo dell'uomo è quello con Dio.
L'essere umano è coniugale; 'essere' per l'uomo vuol dire 'essere con';
vivere, per l'uomo, vuol dire realizzare un rapporto con l'altro. Non è, certo, una
cosa nuova: anche gli scolastici dicevano che l'uomo non può avere un'idea se
non attraverso il rapporto con le cose. Vivere, per l'uomo, è entrare in rapporto
con l'universo, con gli uomini, con Dio.

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Il rifiuto del rapporto implica un'idolatria di se stessi, implica che l'uomo
faccia di se stesso l'assoluto. Ma non vi è peggiore condanna all'orgoglio
dell'uomo che si chiude in se stesso e si proclama lui medesimo Dio.
Nel rifiuto dell'amore, nel rifiuto del rapporto con l'altro, l'uomo, che vuole
stabilire una sua divinità, non fa che darsi da se stesso la morte.
Dal momento che essere per l'uomo è essere con, dal momento che vivere
per l'uomo è vivere un rapporto d'amore, il rifiutare l'amore, il chiudersi in se
stesso, il far di se stesso dio, è per l'uomo morire.
Ma se il rifiuto al colloquio è la morte dell'uomo - l'inferno - il colloquio
dell'uomo con l'universo e anche con gli esseri umani, non realizza mai fino in
fondo l'uomo. Può sopportare forse questo rapporto una decisione assoluta in cui
l'uomo tutto si impegni per l'eternità? L''altro essere, finché è una creatura, ti
disperde, non ti raccoglie.
Per richiamare il linguaggio comune degli autori spirituali, ecco quello che
dice Giovanni della Croce a proposito degli 'appetiti', usando il linguaggio degli
scolastici, cioè del rapporto che l'uomo stabilisce con le creature. Lo stancano,
dice San Giovanni della Croce. L'uomo di fatto, quanto più moltiplica i suoi
rapporti con gli uomini tanto più si stanca e si perde; si disperde, si moltiplica,
non si raccoglie, non vive. L'unico Essere con il quale l'uomo può stabilire una
decisione assoluta, l'Unico che la sopporta è Dio. L'unico rapporto che veramente
fonda l'uomo nella sua realtà ultima e lo stabilisce nella sua perfezione, è Dio.
Pertanto 'vivere' per l'uomo è essenzialmente pregare e mai l'uomo vivrà
più profondamente, come in una preghiera che lo ordini interamente a Dio.
L'uomo deve essere, ed 'è', parola rivolta a Dio.
Il Salterio ci aiuta ad essere uomini. Il Salterio è veramente lo strumento
voluto da Dio perché l'uomo, anzi l'umanità' intera, realizzi la sua vocazione, in
una parola di preghiera che è anche parola ispirata. Non si potrà mai dite nulla di
più grande e di più vero. Il Vangelo ci è necessario per capire più profondamente
il Salterio, ma il Salterio rimane poi, col Pater noster) la parola dell'uomo; la
parola che l'uomo, realizzando se stesso, rivolge a Dio; è la parola che lo
realizza, lo definisce e lo esprime.
Dal momento che l'uomo è rapporto, in questa parola l'uomo si definisce,
dice se stesso, nel tempo e per l'eternità.
Che' cos'è il Figlio di Dio? È la Parola. E ogni 'figlio di Dio, ogni cristiano è
la parola che avrà detto, la parola che avrà realizzato in quell'incontro d'amore
che egli avrà stabilito quaggiù sulla terra, col suo Padre celeste.
È certo che l'ultima parola -e noi questa parola la diciamo anche più del
Salterio - è il Pater noster) che proprio per questo è veramente l'espressione
suprema della vita degli uomini, ma per vivere pienamente il Pater gli uomini
hanno bisogno del Salterio. Al Pater tende il Salterio e nel Pater trova la sua più
autentica sintesi questo libro, così come il Pater noster si riassume
nell'invocazione iniziale Abba) Pater) come scrive san Paolo (Rom. 8,15). Ma
l'invocazione semplice e assoluta c a Dio come Padre è la vita del Cielo, il Pater
noster è l'espressione di una vita cristiana già matura, il Salterio è il
'vademecum' di un'anima che, attraverso la preghiera, realizza il suo cammino di
perfezione. Così il cammino dell'uomo si realizza nella preghiera attraverso una
semplificazione progressiva della parola.
Mi sembra estremamente significativo il fatto che uno degli esegeti cattolici
viventi abbia intrapreso il commento del Salterio sulla falsariga del Pater
esplicitando, attraverso le parole dei salmi, le parole e le domande del Pater.
Nel libro «Israele guarda il suo Dio» di Beaucamp - De Relles, i salmi sono
commentati sulla scia del Pater noster) cioè sono meditazioni sul Pater in un
commento ai salmi. Così i salmi non sono per l'autore che una preparazione e

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insieme una parafrasi che ei danno un'interpretazione più ampia e distesa di
quella che è la preghiera che ei ha dato Gesù. Il Pater, d'altra parte, è la vita di
tutta l'umanità, la vita di tutto l'universo che nel Figlio di Dio si volge al Padre.
Con queste parole gli uomini in Cristo vivono la loro vita come essenziale
rapporto al Padre in una preghiera che, da una parte, riconosce l'unione che gli
uomini hanno col Figlio e, dall'altra, definisce anche la differenza che li distingue
da lui, Figlio unigenito di Dio.
Il Salterio come è norma di preghiera così è anche norma di vita e ci fa
divenire uomini e cristiani, perché è attraverso la preghiera dei salmi che
possiamo giungere a far nostra veramente la preghiera del Pater. Se il Salterio,
fino ad ora; ci ha detto ben poco vuol dire che siamo ancora del bambini. Via via
che impareremo e questa parola diverrà la nostra, noi cresceremo. Il progresso
nella vita spirituale sarà pari alla iniziazione, al progresso che noi faremo in una
penetrazione in questo mondo di preghiera, a una assimilazione del suo
contenuto dottrinale, alla sua realizzazione psicologica.
Dobbiamo studiare questo libro per renderci conto di quello che dice, che
realmente esprime. Allora, quanto più comprenderemo questo libro tanto più
capiremo che questo libro dice noi stessi. Non rivela soltanto Dio, ma dice
l'uomo; non dice l'uomo in generale, rivela ogni uomo; non è soltanto Israele che
si esprime in queste parole, ma la Chiesa, il cristiano. Tanto più dirà me stesso
quanto più io sarò veramente, realizzerò cioè la mia vocazione umana e cristiana,
quanto più io realizzerò pienamente quello che devo divenire.
Allora io potrò dire l'Ufficio e l'Ufficio diverrà per me l'atto che riassume
davvero tutta la mia vita, l'atto che esprimerà nel modo più profondo e più vero
le mie ansie e le mie speranze, la mia gioia e la mia sofferenza, dirà tutta la mia
vita a Dio. Dirà la vita di tutto l'universo e la vita più profonda di ciascuno; la
esprimerà precisamente in un colloquio d'amore, in una preghiera al Padre che,
fatta nel nome del Figlio suo, sarà anche divinamente efficace. Cosicché proprio
attraverso la preghiera liturgica l'umanità vivrà una certa imitazione di quella che
è la vita stessa di Dio: il Padre che si comunica al Figlio e il Figlio che
eternamente ritorna al Padre suo. Dio prima ci dice questa parola e in questa ci
promette e dona se stesso, perché poi questa parola, divenuta la nostra, a lui
ritorni.
In questo dire di Dio e in questo ascoltare dell'uomo, Dio si dona, ma
anche l'uomo che poi parla si dona a Dio.
Così, in questa stessa parola, Dio si comunica all'uomo e l'uomo si
comunica a Dio, nell'unità di un medesimo amore.

La parola d'Israele è la parola dell'uomo

Si diceva della difficoltà di entrare nel mondo dei salmi.


In realtà realizzare questa parola, far sì che questa parola divenga la
nostra parola, non è impresa facile.
Prima di tutto dobbiamo renderci conto che questa parola è la parola
stessa di Dio; ed è questa che deve divenire parola dell'uomo. L'uomo dunque si
realizza nella misura che realizza Dio. Non sarebbe parola di Dio, la parola dei
salmi, se non dovesse rivelare in qualche modo la sua natura, la sua volontà, se
non dovesse rivelare il mondo divino.
Ora, in che modo questa parola può divenire la parola dell'uomo, se l'uomo
stesso in qualche modo non incarna Dio? Se l'uomo stesso non diviene
realizzazione di questa volontà pura, il compimento del disegno di Dio, la
rivelazione della sua santità?

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Nella misura che questa parola viene pronunciata dall'uomo, che ancora
non si è trasformato in Dio, essa, sulle labbra dell'uomo suona menzogna, non
può che suonare menzogna. Se la parola di Dio non cessa di essere parola di Dio
per divenire la nostra parola, deve realizzare una nostra trasformazione, anzi la
suppone. Finché questa trasformazione non si è compiuta, la parola di Dio non
può essere usata da noi che in quanto essa ci condanna. Manifesta infatti la
nostra estraneità, dice la nostra lontananza da Dio.
Ma queste nostre parole suonano false. Di fatto la parola dei salmi è parola
di Dio non perché suppone una nostra trasformazione, ma perché la opera
efficacemente. È infatti la parola di Dio ma diviene preghiera, supplica
all'Onnipotenza nelle labbra del povero perseguitato invocazione alla infinita
misericordia nelle labbra dell'uomo peccatore. È vero che è parola di Dio, ma è
una parola di Dio che è incarnata in qualche modo, è divenuta già in qualche
modo la parola stessa dell'uomo, la parola di un popolo. Tutto un popolo
attraverso questa parola ha detto le sue speranze, ha espresso la sua vita
profonda, ha gridato il suo dolore, ha manifestato la sua gioia.
Ora questa parola è difficile, anche in quanto è parola dell'uomo, perché
non è ancora la parola mia, ma la parola di una certa umanità, di un popolo
singolare, di una civiltà alla quale non appartengo. Nella misura che non sono
colui che ha scritto, nella misura che questa parola sulle mie labbra non è la
parola di chi per primo l'ha pronunciata, certo è per me difficile perché non è
mia; impone una mia trasformazione in chi per primo l'ha detta, l'ha espressa. E
questo vuol dire una cosa immensa, ma anche una difficoltà estrema; vuol dire
per me entrare nell'anima di un altro, vuol dire per me entrare nella mentalità,
pel modo di sentire di un altro popolo, di un'altra civiltà, di un altro tempo, in
una lingua che non è la mia lingua. Gli uomini sono così diversi! Ora, questa
parola non è la parola di un popolo al quale appartengo, non è la parola di una
civiltà che è la mia civiltà, non è la parola di un uomo che reagisce come reagisco
io alle impressioni, ai dolori e alle gioie che intessono la vita di ciascuno di noi.
Com'è possibile che questa parola divenga la mia parola?
Si deve dire: la parola di Dio, divenendo parola dell'uomo, non si è
confinata in un certo luogo, non è divenuta la parola soltanto di un popolo o di
uomo singolare, è divenuta la parola dell'umanità. Non per nulla questa parola
rimane normativa per tutte le anime ed è il libro della preghiera di tutti: degli
uomini di tutte le razze, degli uomini di tutti i tempi.
Ma di qui ancora un'altra difficoltà: questa parola diverrà veramente la mia
parola, quando io mi sarò spogliato in qualche modo di ogni mia individualità,
non di ogni mia distinzione personale dall'altro, ma di tutto quello che mi separa,
mi chiude. Io debbo divenire persona, non debbo essere più individuo.
L'individuo è l'uomo non solo che si distingue dall'altro, ma colui che in
qualche modo dall'altro è diverso. È l'uomo che, nel piano della natura, attesta
una sua distinzione dagli altri nella misura che si chiude in se stesso e si difende
da una solidarietà, da un'unità con tutti.
Sul piano di natura la legge propria della creatura è l'egoismo, non tanto
un egoismo morale, che implica il peccato, ma un egoismo metafisico che è
inerente alla creatura come tale. In Dio la Persona non è individuo, una natura
separata e divisa, la Persona è puro rapporto di amore. Ora, perché la parola di
tutta l'umanità divenga la mia parola, io non posso cessare di essere persona,
ma debbo cessare di essere individuo; non posso cessare di essere persona, ma
debbo realizzare il mio valore personale divenendo amore puro, divenendo
l'uomo nel quale s'incarna ogni valore umano, l'uomo che è uno veramente con
tutta l'umanità, l'uomo che non è diviso da alcuno, pur essendo distinto da tutti,

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l'uomo nel quale vive la vita di tutto l'universo, pur non confondendosi con
alcuno.
Come il Padre è tutta la vita eppure non è il Piglio, come il Piglio è tutta la
vita eppure non è il Padre, così, se questa parola è la parola dell'uomo, io debbo
essere tutto l'uomo, tutta l'umanità, pur essendo distinto da ciascuno. Pur
essendo distinto, tutti debbono vivere in me ed io debbo vivere in tutti un'unica
vita; perché unica sia anche la mia e la parola di tutti, una parola che non è più
la 'mia parola, ma è la parola dell'uomo che in ciascuno di noi loda Dio o piange
la sua pena. Tutta l'umanità che vive in te la sua sofferenza o la sua gioia, la sua
salvezza o la sua dannazione, ecco la parola dei salmi. Che estrema difficoltà
dunque far nostra questa parola! Si capisce perché: ci sono ragioni di ordine
teologico, di ordine metafisico, di ordine storico. E non sappiamo quali siano le
ragioni che fanno più grande questa difficoltà di parlare con la parola di Dio, di
parlare con questa parola, di far si che la nostra parola praticamente si identifichi
a questa che ogni giorno noi diciamo a Dio e proclamiamo nella Chiesa.
È certo che la parola di Dio non può divenire parola dell'uomo che in
quanto l'uomo si trasforma; altrimenti la parola di Dio sulle labbra dell'uomo
diviene qualche cosa di sacrilego, come di chi osi far sua la parola di Dio senza
essere lui! Far mia questa parola è profanarla, far mia questa parola è umiliare
Dio. Ma una cosa ci soccorre, una grande verità ci è di aiuto: il fatto che Dio
stesso abbia voluto essere uomo, umiliarsi fino alla forma di servo, accettare
davvero il nostro stato di peccatori.
È vero che noi non potremo mai far nostra la parola di Dio, ma è vero che
la parola di Dio ha voluto essere veramente, fino in fondo, la parola di un uomo,
dell'uomo del dolori, dell'uomo che non conobbe il peccato ed è stato fatto
peccato per noi (cf. 2 Cor. 5,21). Prima che Dio si facesse uomo nell'umiliazione
suprema dell'incarnazione e della morte di croce, Dio si era già umiliato
assumendo la nostra povera parola e aveva manifestato la sua volontà in una
parola umana. Così la parola di Dio era già divenuta la parola dell'uomo.
Tuttavia Dio si fa uomo, perché l'uomo divenga Dio. Se Dio ha assunto
come parola sua la parola dell'uomo - il suo grido di dolore, la sua ansia, la sua
speranza, la sua lode -, è vero che questa parola noi possiamo ripeterla, ma la
ripetiamo precisamente in un processo onde questa stessa parola ci trasforma in
Colui che la dice: la dice attraverso l'uomo, la dice per mezzo nostro, ma Colui
che la dice rimane Dio. In altre parole: veramente l'incarnazione del Verbo, la
morte di croce, la suprema umiliazione per cui egli scende nell'abisso della nostra
umiltà e della nostra miseria, è anche strumento della nostra elevazione per cui
noi diveniamo giustizia di Dio in Lui e siamo redenti (cf. 2 Cor. 5,21).
Il mezzo che Dio ha scelto di umiliarsi nella parola dell'uomo, diviene per
l'uomo lo strumento che lo innalza perché egli possa ora parlare a Dio e dire a
Dio la parola stessa di Dio. La difficoltà sarebbe estrema, sarebbe insuperabile se
io presumessi di far mia la parola di Dio; ma non è l'uomo che ardisce far sua la
parola di Dio. L'attentato dell'uomo sarebbe sacrilego e blasfemo e il suo atto
impotente. Non è così. È Dio che ha fatto sua la parola dell'uomo; ha parlato
attraverso la sua parola, attraverso questa parola è lui che si è espresso. Così la
parola umana è divenuta parola di Dio. Dio si è rivelato nella parola della nostra
debolezza, della nostra povertà, della nostra umiltà; attraverso questa
umiliazione di Dio, che assume la parola dell'uomo, l'uomo ora parlando esprime
Dio, rivela Dio, lo prega, s'innalza fino a lui e in lui si trasforma. Così Dio dice la
parola dell'uomo e l'uomo dice la parola di Dio. La difficoltà è superata non dalla
volontà prometeica dell'uomo onde egli da solo tenta di raggiungere Dio, tenta di
usurpare la vita divina e di impadronirsi del suo potere. Dio ha voluto che
veramente tu lo possegga, e proprio per questo, prima di farsi uomo, si fa parola

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sulle tue labbra; per questo non si è fatto uomo soltanto sulla croce, ma grido di
dolore sulle tue labbra, ma gioia nel tuo cuore che prorompe nel canto.
Rimane l'altra difficoltà di ordine metafisico. Si diceva prima: questa parola
di Dio, nella parola dell'uomo, non è la parola di un uomo diviso dagli altri, è
veramente la parola dell'uomo, dell'umanità, la parola di un'umanità che
conosce, nella sua condizione di pena, la miseria del peccato, la sofferenza della
malattia, la persecuzione del nemici, l'esperienza della morte, la solitudine
umana; e conosce insieme la gioia della famiglia, l'esaltazione della vita associata
nella città, nell'obbedienza al suo re, nella partecipazione agli atti della
moltitudine nella guerra, nella costruzione della città, nelle feste religiose: è
l'uomo totale che si esprime in questa parola. Come Dio in questa parola si rivela
all'uomo, così anche rivela l'uomo a se stesso. Dio non poteva assumere la
parola dell'uomo che in questa pienezza di una parola che rivelava tutto l'uomo.
La difficoltà metafisica consiste in questo: come tu, che sei un uomo singolo,
puoi vivere tutta la vita? come tu, nella parola che dici, potrai esprimere te
stesso come uno con tutta l'umanità, quasi che tutta l'umanità vivesse in te e tu
vivessi in tutta l'umanità? Come noi non possiamo far nostra la parola di Dio che
trasformandoci in Dio per la forza stessa della parola che ci è stata comunicata,
così non possiamo far nostra la parola dei salmi, che è la parola dell'uomo, che in
una liberazione da ogni egoismo, in una nostra pienezza, in un allargamento e
dilatazione della nostra anima fino ad essere solidali, anzi una cosa sola con tutti
i fratelli, in tal modo che noi non viviamo una nostra misera vita, ma nella nostra
vita viva tutto l'universo, tutta l'umanità, l'umanità di tutti i tempi; ogni uomo,
l'assassino come il santo, il padre di famiglia come il sommo sacerdote, il re, il
moribondo, l'umiliato, l'oppresso: tutti, perché tutti parlano attraverso questa
parola. E tutti debbono essere in te presenti perché tu possa dire questa parola
che è la parola dell'uomo totale, dell'uomo uno. La difficoltà qui è estrema perché
suppone la liberazione da ogni egoismo. Noi ci teniamo tanto a coltivare una
nostra piccola aiuola; non solo a distinguerci dagli altri, ma anche, in qualche
modo a difenderei dagli altri, per una nostra proprietà che tanto più diviene
piccola quanto più noi la teniamo stretta e la coltiviamo come una cosa preziosa.
La proprietà è sempre qualcosa che ei immiserisce, ci chiude nella misura che noi
a questa proprietà ci attacchiamo. Per veramente possedere ogni cosa occorre
non avere più proprietà alcuna. Quello che è 'proprio non è di tutti: tutto è tuo e
tutto è anche di ognuno, perciò nulla ti è proprio, dal momento che tutto vuol
possedere, ma perché tu veramente possegga tutto, occorre che tu sia
totalmente povero. Liberato da ogni proprietà e perciò da ogni egoismo,
veramente tutto l'universo diviene tuo e tutta l'umanità vive nel tuo cuore.
Per vivere i salmi devi essere l'uomo. Per questo i salmi furono la
preghiera del Cristo, sono la sua parola. Egli solo, in verità, pienamente poteva
far sua questa parola; in lui era tutta l'umanità che parlava, gemeva, supplicava
e lodava Dio. In ognuno di noi questa parola può essere veramente la sua parola
nella misura che ognuno di noi si sarà trasformato nel Cristo, cioè nell'uomo
universale e concreto. E perché questo avvenga bisogna superare le forche
caudine, entrare cioè in questa umanità, vivere questa totalità della vita
attraverso la porta stretta di un particolare linguaggio, di un particolare
temperamento, che non è il nostro, di una lingua che non è la nostra lingua, di
una cultura che non è la nostra cultura. Il gènio della lingua: non ci rendiamo
nemmeno conto di come una lingua stessa ci plasmi, ci educhi.
La lingua che noi usiamo fa parte delle lingue occidentali.
Le famiglie delle lingue sono tre: quella orientale che è pittorica, la
famiglia semitica, cioè araba ed ebraica, che esprime soprattutto la forza del
volere, la famiglia occidentale, che è la lingua del pensiero. Usare la lingua

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italiana, francese, inglese, tedesca, russa, vuol dire essenzialmente pensare.
Invece 'parlare' per un cinese non vuol dire pensare, vuol dire vedere: egli mette
in rapporto le immagini. La stessa scrittura ideografica è simile a una pittura.
Anzi la pittura più bella per un cinese è la sua stessa scrittura. Ogni parola /è
veramente un'immagine. Non il concatenamento logico dell'idea forma il
discorso, ma l'accostamento delle immagini, come nella pittura; per questo è
difficilissimo insegnare la nostra teologia a un giapponese o ad un cinese. È
difficile che egli possa penetrare in un linguaggio puramente concettuale. Ha
bisogno di vedere.
La lingua ci educa: ci dà un temperamento, ci dà un modo di pensare e di
sentire le cose. Ora noi dobbiamo entrare in una lingua che non è la nostra, in
una lingua che non è logica, come la nostra, e non è pittorica come le lingue
dell'estremo Oriente. La lingua semitica esprime la pura forza dell'atto, è
originaria e immediata come la vita. La poesia dell'Occidente non esprime mai
nell'atto immediato i sentimenti dell'uomo. Ha bisogno di ricordarli, ha bisogno di
decantare i suoi sentimenti; la ragione interviene e fa da mediatrice ai sentimenti
del poeta. Questa poesia si distingue per una certa purezza, una calma interiore,
un certo modo di vedere in distanza le cose: i sentimenti si purificano, ma hanno
meno forza. Al contrario la poesia dei salmi: sono parole scomposte che
prorompono, è linguaggio elementare; anche la parola è azione. È questa la
lingua dei mistici. Così l'esperienza religiosa più alta è consegnata alla lingua
semitica. Indipendentemente dall'esperienza che deriva da una rivelazione
autentica I di Dio, anche l'esperienza religiosa più alta, al di fuori delle religioni
strettamente rivelate, è consegnata a una lingua semitica fissata nel Corano.
Hanno qualche ragione gli arabi a dire che, tradotto, il Corano non è più sacro,
non è più parola di Dio e altrettanto dicevano gli ebrei. Anticamente si
domandavano se la traduzione del Settanta fosse ancora la Bibbia. Non è la
Bibbia, dicevano, perché tradotta non è più parola di Dio. Infatti ogni traduzione
è già un tradimento; ogni traduzione è infedeltà. Infedeltà allo spirito se non alle
parole, se non al senso; ma la parola non esprime soltanto dei concetti, rivela
una vita, vuol essere l'espressione dell'essere autentico nella sua totalità. Per
questo siamo consapevoli che si può tradurre un romanzo o un libro di scienza,
ma non si traduce una poesia. Non si traduce Montale in francese e tanto meno
in arabo, in cinese. Non rimane più nulla. Nostro Signore, per aver voluto parlare
la lingua dell'uomo, ha dovuto assumere la lingua di un popolo e di una civiltà. È
vero che in questa civiltà, in questo popolo egli ha espresso tutta la vita
dell'uomo, tuttavia è passato attraverso il linguaggio di un popolo e di una civiltà.
Devi superare la difficoltà di un linguaggio che non è il tuo, di un modo di
sentire che non è il tuo. Siamo tutti un po' nobili, decaduti magari, ma nobili e ci
teniamo ad avere una certa compostezza. Diceva Pascoli a proposito della poesia
italiana: «I nostri poeti, anche se non sono fanciulli, bisogna che abbiano sempre
le scarpine bianche e pulite, anche quando giocano». Quando si prega non si
gioca: è questo l'atto più solenne dell'uomo. E allora è naturale per noi disporci
alla preghiera con la compostezza esteriore e usare un linguaggio corretto,
pacato. Ma la parola dei salmi prorompe nel grido, nell'imprecazione che sembra
a volte rasenti la ribellione e la bestemmia. La parola è senza pudore: arriva
all'espressione del dolore più sconsolato, è senza misura. Noi ci sentiamo come
spaesati e sconcertati da questo linguaggio. Se vogliamo far nostra questa parola
abbiamo bisogno di tutti i rivestimenti di una civiltà che ha sì donato molto
all'uomo, ma l'ha anche nascosto a se stesso. Ha dato all'uomo una certa nobiltà
esteriore, ma anche l'ha camuffato sotto una maschera.
Com'è difficile far nostra questa parola! Le difficoltà sono grandi. Le
potremo noi superare? Certo: dobbiamo superarle, perché la Chiesa ci consegna i

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salmi perché siano la nostra parola, come sono la parola di Dio. E vuole che
attraverso questa parola si esprima il nostro essere integrale. E dunque è nella
misura in cui noi entreremo nel mistero del Cristo, che questa parola diverrà la
nostra parola e ripeterla non sarà per noi una menzogna, ma noi la diremo, come
diceva Cassiano, come se noi la componessimo oggi, come se da noi uscisse
ora,': quasi dalla sua prima sorgente, come se fosse una parola non solo
autentica, ma che oggi zampilla nel modo più nativo e più proprio di noi.
Le difficoltà però si superano nella misura che noi prima di tutto siamo
docili a Dio, che, come ha voluto assumere la parola dell'uomo, vuole ora parlare
egli stesso attraverso l'uomo. Nella misura che ci trasformiamo in Cristo, questa
sarà la nostra parola perché è nella misura in cui ci trasformiamo in Cristo che
diveniamo anche l'Uomo. Ecce Homo! (Gv. 19,5) Trasformati nel Cristo saremo
trasformati in colui che ha assunto la nostra natura per vivere la vita di tutti.
E questo importa un'ascesi: la liberazione da ogni nostro egoismo, ascesi
della volontà, ascesi anche della nostra intelligenza, rinunzia al nostro modo di
sentire e di vedere, per entrare in un mondo nuovo più ampio e più vero del
nostro piccolo mondo. La rinuncia a noi stessi è molto più profonda di quello che
comunemente si crede. Comunemente si parla di una rinuncia a noi stessi sul
piano morale; si esige invece una rinuncia a tutto quello che noi siamo nel modo
stesso di sentire e di pensare, perché il mondo di Dio non è il mondo dell'uomo,
né il mondo dell'uomo è esattamente il nostro mondo. Ma tu entri in questo
mondo, che è il mondo dell'uomo ed è il mondo di Dio, e non è il tuo mondo,
nella misura che tu muori a te stesso per vivere in Cristo Gesù. Per questo l'uso
dei salmi importa un'ascesi. È esercizio di ascesi, prima che testimonianza
d'esperienza mistica. Come reciteremmo più volentieri dei salmi preghiere
composte oggi che rispondono meglio, ci sembra, alla nostra esperienza
religiosa, che sono, ci sembra, in modo più vero l'espressione della nostra vita!
Come può essere l'espressione della nostra vita la parola di un uomo vissuto
duemila anni fa? Un uomo che appartiene a un'altra civiltà, a un altro popolo, un
uomo che non ha nulla in comune con me tranne la natura umana? Perché tu
possa vivere la vita di tutti gli uomini, devi liberarti da tutto quello che è tuo; da
tutto quello che è proprio e ti divide e ti contrappone agli altri. Allora, liberandoti
veramente da tutti i limiti che ti chiudono, non tanto in te stesso quanto forse
nell'esperienza stessa di una certa civiltà e di un certo popolo, tu potrai divenire
veramente strumento di una vita universale che attraverso di te si esprime e
parla a Dio. Tu puoi dire che anche la parola dei salmi è la parola di un popolo e
di una civiltà e non è la parola 'dell'uomo, ma proprio perché Dio l'ha fatta sua,
perché è Dio che ha parlato con questa parola, questa parola è divenuta anche la
parola di tutta l'umanità.
La Chiesa comanda la recita dei salmi, che sono la sua preghiera. Questa è
l'unica preghiera ispirata, l'unica cioè nella quale l'uomo può parlare, perché
questa parola è stata assunta da Dio e sarebbe veramente una vana pretesa e
presunzione da parte dell'uomo il credere che altrimenti la sua parola possa
essere la parola di tutti. Nemmeno l'ebraismo avrebbe potuto pretendere che il
suo linguaggio divenisse la parola di tutta l'umanità, se Dio stesso non avesse
assunto questa parola e non fosse divenuta la sua.
La parola di Israele, divenuta parola di Dio, ha spezzato i suoi limiti, è
divenuta capace di esprimere e di trasmettere una vita che era più potente della
vita di un popolo e si è fatta capace di esprimere la vita dell'uomo. Rimane infatti
che Dio, incarnandosi, non si è fatto romano o greco, cinese o indiano, ma si è
fatto ebreo e questo fatto ha certo conseguenze incalcolabili per Israele. Più di
ogni altra nazione il popolo d'Israele sembra aver acquistato la capacità, in forza
dell'incarnazione divina, di riassumere tutta l'umanità e di fatto la sua storia è

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divenuta il paradigma della storia universale. Con l'incarnazione è questo 'Uomo
concreto che appartiene a una razza, a una civiltà, che pienamente e
definitivamente realizza l'universalità umana.
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Così per la lingua: Dio certo poteva scegliere un'altra lingua, ma ha scelto
la lingua ebraica e questa è divenuta, per tale fatto, la lingua di Dio, capace di
esprimere tutta la vita dell'uomo, perché dovesse esprimere la vita stessa di Dio.
Questo privilegio tuttavia non è esclusivo della lingua ebraica, perché Dio
ha scelto anche la lingua greca: alcuni Vangeli e le lettere di san Paolo sono stati
scritti in greco. Eppure rimane vero che se Dio ha scelto, per rivelarci il suo
mistero e per annunciarci la salvezza, la lingua greca, non ha scelto questa
lingua per la preghiera. Come lingua di insegnamento sembra che la parola
universale sia divenuta, con il Nuovo Testamento, la lingua greca; ma i salmi, la
preghiera ispirata, rimangono in lingua ebraica.
In quanto l'uomo si rivolge a Dio con la preghiera si esprime ancora e si
esprimerà sempre attraverso il genio di una lingua che prestò docilmente al
cuore di Cristo i modi e la forma perché egli potesse esprimere la sua stessa
preghiera.
Il genio della lingua ebraica è dunque il più atto ad esprimere tutta la vita
dell'uomo nella sua preghiera a Dio, il più atto ad esprimere tutta la vita del
mondo nella preghiera.

La progressione dell'insegnamento

Per vivere i salmi come nostra preghiera s'impone prima di tutto che noi
consideriamo il Salterio nella sua unità. In realtà, come ogni vero libro, anche il
libro dei salmi ha una sua unità e gli esegeti cattolici un po' influenzati, almeno
per questo lato, dalla esegesi razionali sta e protestante si fermano, mi sembra,
troppo esclusivamente a considerare i generi letterari ai quali appartengono le
singole composizioni e distinguono i salmi di supplicazione e i salmi di lode, gli
inni, i salmi della regalità, i salmi di Sion, poi le supplicazioni private da quelle
pubbliche, i salmi di imprecazione: cioè tanti generi letterari, quanti sono i
contenuti specifici delle composizioni poetiche che fanno parte del libro. lo non
contesto la legittimità di una simile classificazione; dico soltanto che per alcuni
motivi è opportuno vedere, in un'esegesi dei salmi, la differenza che vi è fra un
inno e una supplica, fra un canto di ringraziamento e un salmo di imprecazione;
tuttavia mi sembra che questa distinzione del generi letterari debba essere
esaminata in un secondo tempo.
La prima cosa che s'impone per chi vuole affrontare il libro dei salmi, è
rendersi conto che il Signore ha voluto che si presentasse a noi questo libro in
una certa sua unità, che ci sfugge molto spesso, ma dà a noi la chiave migliore
per l'interpretazione religiosa dell'intero Salterio.
È un libro unico: dividere le singole membra e disporle in un ordine
arbitrario, sia pure anche legittimo sul piano razionale, ma non certamente
voluto da Dio che ci ha dato il libro così com'è, mi sembra che sia compromettere
la stessa comprensione del libro ispirato. È un po' come sezionare un cadavere.
Già togliere all'unità del libro le singole composizioni, forse, vuol dire
compromettere il significato che hanno nell'insieme, forse vuol dire
compromettere l'unità di quell'insegnamento che ci deriva dall'unità del libro;
forse vuol dire mettere noi stessi nella condizione di non capire fino in fondo che
cosa ogni composizione vuol dirci, che cosa vuole insegnarci e come noi
dobbiamo farla nostra nella preghiera. Non contesto la legittimità di riconoscere,

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se lo possiamo, a quale tradizione si debbano le singole parti di un libro, ma
contesto la legittimità di una divisione di un libro ispirato perché lo Spirito santo,
se ha ispirato le singole parti, ha ispirato anche l'insieme; e facendo raccogliere
nell'unità di libro quanto si doveva ai diversi autori umani, alle diverse tradizioni,
ha fuso tutto in una superiore unità.
Sono ispirati i singoli testi, e sono ispirate certamente tutte le parti e tutte
le composizioni poetiche del libro dei salmi, ma è un'ispirazione sacra che unisce
anche le singole composizioni in un libro e dà forse alle singole parti, proprio in
un loro rapporto col tutto, un più alto e profondo significato e valore. Pertanto è
necessario che si considerino i salmi nel loro insieme: che cosa essi ci dicono?
Una delle difficoltà maggiori per entrare nel libro dei salmi deriva proprio
dal fatto che essendo essi composizioni che non sembrano aver direttamente
rapporto tra loro, è difficile riconoscere l'unità del libro nel quale sono state
poste. È una raccolta e sembra una raccolta antologica, una raccolta che non
implichi per sé un'unità superiore a quella che hanno le singole composizioni. Il
libro dei salmi, in realtà, è un poema, il poema lirico di tutto un popolo, di tutta
l'umanità, il poema di Dio. È difficile vedere come un salmo possa essere
veramente la voce di tutta l'umanità e non la voce di un uomo in un singolo
momento della sua vita. È difficile che il carattere frammentario della lirica non si
manifesti in tutta la sua forza nei salmi e non renda perciò anche più difficile per
noi il far nostra questa parola. Il salmo sembra uno scritto occasionale, legato
troppo a un certo tempo, a un certo individuo: come può divenire la nostra
parola? La parola di ogni uomo? E tuttavia si deve riconoscere al Salterio un
profondo carattere di unità, non ostante la frammentarietà del singoli canti.
Intanto il fatto di essere centocinquanta dice qualcosa: il numero suppone
già un'intenzione. Così la sua divisione in cinque libri vuol dire qualcosa per
l'ebraismo, per Israele: ricorda forse i cinque libri della Torah? Il Salterio inizia
con un salmo che evidentemente vuol essere una introduzione, termina poi con
una grande dossologia, che ne è veramente la fine. Come il primo salmo ha un
valore principalmente in riferimento a tutti i salmi che lo seguiranno, così il salmo
150 ha principalmente valore di fine e di compimento. L'unità del Salterio non
toglie la diversità delle composizioni, del generi letterari ai quali appartengono i
singoli carmi.
Dio, il primo autore del libro, ha potuto togliere ogni singola composizione
al suo carattere occasionale, per ordinarla a una più vasta e complessa unità e
ha potuto fare di tutto il Salterio un libro che fosse l'espressione della vita e della
preghiera dell'umanità, di tutti i tempi.
A proposito del numero centocinquanta è evidente che non è un numero
qualunque, come non sono un numero qualunque i cento canti della Divina
Commedia; come non sono un numero qualunque le trecentosessantatré poesie,
concluse dalla lode alla Vergine, del Canzoniere del Petrarca. Tutta la vita umana
si esprime in canti che sono quanti i giorni dell'anno: tutti gli anni sono uguali. I
cento canti della Commedia vogliono significare la plenitudine di un poema che
vuole tutto abbracciare. Così il numero centocinquanta dei salmi ha un valore e
noi non possiamo trascurarlo. Che cosa voglia significare è ben difficile a
determinarsi, ma la difficoltà non basta a escludere l'intenzione segreta che
unisce tutte le composizioni in un libro. Certamente il giudaismo ha conosciuto
tante altre composizioni poetiche e di preghiera che non sono entrate a far parte
del Salterio. Le centocinquanta composizioni di esso sono divise in cinque libri,
come i cinque libri della Legge. La parola di Dio a Israele, come manifestazione
della sua volontà, si trasforma con i salmi nella parola che l'uomo rivolge a Dio
nella sua preghiera. Per il giudaismo l'ispirazione del libri profetici e sapienziali è
di secondo ordine: la vera parola di Dio è la Legge ed è insuperabile. Anche il

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Messia non deve che compiere la Legge. Alla 'Legge' corrispondono i salmi;
cinque sono i libri della Torah, cinque sono i libri dei salmi. Alcuni parlano
dell'Esateuco, aggiungendo cioè ai cinque libri il libro di Giosuè, ma secondo il
canone ebraico Giosuè appartiene ai profeti. Quelli che chiamiamo libri storici,
per gli ebrei sono libri profetici: Giosuè, i Giudici, i due libri di Samuele, i due libri
del Re, sono i primi profeti. Appartengono a un altro ordine, in rapporto ai libri
della Legge; sono come la manifestazione di quella assistenza divina che, dopo la
costituzione d'Israele come popolo di Dio, continua a difendere e a guidare il
popolo santo. Quello che costituisce il popolo di Dio è la Legge, che il popolo
riceve da Dio stesso sul monte Sinai. Al dono della Legge è ordinata la storia del
patriarchi, la liberazione di Israele dall'Egitto, il passaggio del mare, il cammino
attraverso il deserto. Quell'avvenimento, fra tutti, costituisce il tempo sacro
d'Israele. Come per noi l'avvenimento sacro è la morte di Croce, così il tempo
sacro per Israele rimarrà sempre il passaggio del mare, il viaggio attraverso il
deserto, la salita al Sinai, il dono della Legge e la conclusione dell'alleanza,
ratificata dal sangue. Come la liturgia cristiana fa presente il mistero della morte
di Cristo, così Israele, nella sua liturgia, fa presente quell'avvenimento che aveva
sancito l'Alleanza di Dio con il popolo eletto. I testi liturgici essenziali d'Israele
non vogliono essere che la commemorazione liturgica della liberazione dal.
l'Egitto, del passaggio del mare, del dono della Legge a Mosè. Non è che questi
avvenimenti si ripetano, si fanno presenti. Lo insegna solennemente il
Deuteronomio: Dio non parla soltanto alla generazione di Mosè: Israele rimane ai
piedi del Sinai per ricevere ogni giorno la Legge; ascolta Dio che gli parla e
risponde alla parola di Dio col suo impegno di obbedienza.
La risposta di Israele si esprime nei salmi. Quante volte i salmi esaltano la
Legge divina, quante volte ci dicono che la vita religiosa d'Israele è la
meditazione amorosa della Legge di Dio! Quante volte il ricordo dei grandi fatti
dell'esodo diviene la meditazione religiosa e l'occasione alla lode e al
ringraziamento dell'orante!
Nei cinque libri della Torah è Dio che parla agli uomini: ora, per la forza
stessa della parola ascoltata, gli uomini parlano a Dio: alla Legge rispondono i
salmi. I libri della Legge dicono quello che Dio ha compiuto in favore del suo
popolo, i salmi dicono la risposta del popolo, e la risposta è, prima di tutto,
preghiera. L'azione dell'uomo infatti prima di essere obbedienza è preghiera. Il
rapporto fra la Torah e il Salterio è quasi certamente voluto dall'agiografo. Anche
per questo noi possiamo riconoscere l'unità del libro dei salmi.
Ma il Salterio non risponde solo ai libri della Legge come risposta dell'uomo
al dono di Dio; esso continua anche la Storia sacra d'Israele. Il Pentateuco esalta
la liberazione d'Israele dall'Egitto, il dono della Legge, il cammino attraverso il
deserto: strumento dell'azione, al centro di tutti, è Mosè, servitore di Dio, i
cinque libri dei salmi celebrano invece la monarchia, ricordano e insistono
soprattutto sulla promessa di Dio di una discendenza eterna a David, di un regno
universale, esaltano la città regale e il Tempio di Dio: l'uomo che è al centro di
tutto è David cui si attribuisce anche la composizione dei salmi e il Figlio di David
promesso da Dio. Nei libri della Legge è l'epopea di un popolo nomade, nei salmi
è il canto di un popolo che si è stabilito nella sua terra, ha costruito le sue città,
ha una sua civiltà. Alla nostalgia del deserto subentra, nei salmi, la fierezza
dell'uomo che sente di appartenere al Regno di Dio e sente la nostalgia della
propria città.
Vi è una progressione nell'insegnamento del Salterio?
Compito arduo da determinare, perché in realtà anche fra gli ultimi salmi
ve ne sono di drammatici in cui ancora è presente la sofferenza e forse il
peccato. E tuttavia dobbiamo riconoscere che vi è un processo verso la luce.

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Dall'esperienza del dolore, del peccato, della morte, l'uomo procede, attraverso i
salmi, verso la lode divina. Quasi al centro del Salterio i salmi della regalità, poi i
salmi del pellegrinaggio e finalmente gli ultimi salmi non sono più che una lode.
Dall'esperienza del peccato, della lontananza da Dio, dal sentimento vivo di una
persecuzione mossa da tutti i nemici, l'uomo procede verso la patria che è la
presenza di Dio: è il cammino dell'umanità ed è il cammino dell'uomo.
I salmi sono dunque un breviario di vita spirituale, non solo dell'umanità,
di cui già prefigurano la storia e il cammino, ma anche di ciascun uomo che
dall'esperienza della lontananza, della solitudine umana, della morte, procede
verso la salvezza finché non giunge al canto e alla lode pura e interminabile a
Dio. Analizzare i salmi in questo senso vuol dire rendersi conto del loro contenuto
come significato di una vita umana totale, trasfigurata dalla grazia e divenuta
l'espressione stessa di un cammino che conduce a Dio.

La parola del Cristo

Più di ogni altro libro dell'Antico Testamento possiamo dire che i salmi
sono il libro di nostro Signore. Non solo - sarebbe una ragione soltanto esteriore
- perché egli l'ha usato forse più di ogni altro libro della sacra Scrittura, ma
anche perché più di ogni altro era veramente il suo libro, la sua parola. Parola
sua in quanto egli era l'uomo. Si è già detto che quello che distingue il Salterio è
precisamente il fatto che è parola di Dio ed è parola di tutto l'uomo. È tutta
l'umanità che parla e si esprime attraverso questi centocinquanta componimenti
poetici. Non un popolo, non la storia soltanto di un popolo e tanto meno non la
vita interiore di un qualche uomo vissuto In un certo tempo, ma l'uomo nella sua
accezione più vasta, nella sua più ampia comprensione, l'uomo concreto, l'uomo
nella sua condizione di pena e di miseria quaggiù: tutto l'uomo ci parla attraverso
questa parola ...
Ora, nessun uomo si identifica all'uomo tranne il Signore, tranne Gesù. Per
questo il Salterio più di ogni altro libro è il libro di Gesù. Libro che è suo perché
egli è la parola di Dio, libro che è suo perché egli è la parola dell'uomo.
L'uomo non si conosce che in Cristo, in Cristo solo l'uomo vero e concreto
si esprime. Ora, la parola di quest'Uomo è precisamente il libro dei salmi.
Ma se il libro dei salmi è il libro per eccellenza del Cristo, ne viene che egli
stesso, egli solo può svelarcene il segreto, può iniziarci a una sua comprensione,
può far sì che questa parola divenga anche la nostra parola nella preghiera,
cosicché nella nostra unione con lui, attraverso i salmi noi finalmente possiamo
vivere ed esprimere tutta la vita umana e tutta la vita di Dio.
Anche qui il miracolo che ha compiuto l'incarnazione del Verbo: non vi è
possibilità ora di far nostra la parola di Dio, senza dover far nostra anche tutta la
parola dell'uomo, senza esclusioni. Il vero cristiano non è estraneo a nessuno,
non può essere mai l'uomo che si sottrae alla moltitudine, l'uomo che vive in una
torre d'avorio, senza la contaminazione del dolore e anche della miseria umana.
Nei salmi parla tutto Dio e in essi parla anche tutto l'uomo e là dove parla
tutto Dio e tutto l'uomo, è il Cristo stesso che si fa presente. Il suo libro è il libro
dei salmi: per questo il vero iniziatore a una comprensione profonda di questa
parola non può essere che colui al quale questa parola appartiene. E colui che
veramente non soltanto ce la insegna, ma la può far nostra, è anche colui il quale
ci chiama a una nostra trasformazione in lui. Ecco perché il Salterio lo si può far
nostro pienamente, solo nell'atto liturgico, quando cioè non l'uomo solo parla e
non l'uomo solo prega, ma il Cristo parla e prega nell'uomo.
L'unità del Salterio alla quale noi ci richiamavamo in che cosa praticamente
consiste? Un libro è uno quando determina bene il suo contenuto, quando, in

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vista di quella cosa che vuol dire, l'autore determina organicamente il processo
del ragionamento, l'ordine del capitoli, le varie materie che tratta. Sembra
dunque che l'unità di un libro implichi per sé delle esclusioni: l'unità del Salterio è
invece quell'unità che deriva dal fatto che essa nulla esclude. È l'unità che deriva
dalla sua ricchezza. Ma come questa unità può essere salvata, quando nulla vi è
escluso? L'uomo può dare unità a un libro, ma precisamente deve escludere
qualcosa. La mente dell'uomo e il suo cuore non hanno una capacità di
abbracciare l'universo, non hanno una capacità di dominare tutto lo scibile, di far
loro tutta la vasta esperienza dell'uomo. Colui che la fa sua è il Signore. L'unità
perciò gli deriva, non tanto dai singoli autori, quanto da Dio stesso. Certo anche
gli altri libri della sacra Scrittura hanno una loro unità, tuttavia l'unità degli altri
libri può essere voluta e realizzata anche dai singoli autori umani. È evidente, per
esempio, che il deutero Isaia ha una sua unità tanto stilistica quanto di
contenuto; è evidente che ha una sua unità il libro della Sapienza o il libro di
Ezechiele. Quest'unità è l'unità che non deriva solo da Dio, ma anche dall'autore
umano che ha composto il libro, ha organizzato in tal modo la materia per la
significazione di un suo messaggio parti-. colare. I salmi, se hanno una loro
unità, non possono derivare la loro unità dagli autori umani, perché sono molti,
non sappiamo neppure quanti, e non hanno vissuto nemmeno nel medesimo
tempo. Si può dire che la composizione dei salmi copre un arco di almeno cinque
secoli, per alcuni esegeti anche di più. Ora, è difficile che un'opera iniziata cinque
secoli prima possa continuare a mantenersi una nonostante che si susseguano
lungo il tempo diversi autori con diversa esperienza umana e religiosa e con
diverso stile. L'unità del Salterio non può dunque derivare dagli autori umani;
deriva esclusivamente da Dio, deriva esclusivamente dal fatto che il Salterio più
che essere opera di un uomo, è opera di Dio. Dio solo si riconosce in questo libro,
Dio solo che ha fatto di questo libro la sua parola. Più che la parola di un uomo è
la parola dell'Uomo, ed è la Persona del Verbo che nella sua incarnazione ha
assunto la natura umana, è divenuto l'Uomo.
Incarnandosi il Verbo di Dio assume si una natura umana nel seno della
Vergine ma questa natura, proprio perché nel Cristo è redenta, ritorna ad essere
una. La moltiplicazione della natura nei singoli, ritorna, in lui, ad essere una: egli
è l'uomo. Nell'unità del Cristo le persone rimangono distinte, la mia dalla sua, ma
non si distingue più l'umanità sua dalla nostra: noi tutti siamo uno solo, dice
Paolo είζ: un solo uomo. Per questo il quarto Vangelo fa dire a Ponzio Pilato di
Gesù: Ecco l'uomo! (Gv. 19,5). Egli è veramente il nuovo Adamo nel quale tutti
gli uomini sono, egli tutti li abbraccia e in sé li fa 'uno.
Ora, proprio per questo, il Salterio è la parola di Dio, ma non di Dio nella
sua solitudine infinita, nel mistero inaccessibile della sua trascendenza, ma di Dio
soprattutto fatto uomo. Per questo il Salterio si può dire il libro del Cristo. È Dio
ed è l'uomo che ci parlano e questo uomo è il Cristo, nel quale tutta l'umanità
veramente si riassume e vive, nel quale veramente tutta l'umanità si fa
presente: in lui noi tutti siamo. Così come il Padre, il Verbo e lo Spirito santo
sussistono nella natura una, così noi tutti sussistiamo nell'unità del Cristo.
L'unità del Salterio deriva dunque dal fatto che è il libro di colui che solo
poteva far sua questa parola e conferirle l'unità, perché tutto egli comprendeva e
abbracciava, come Dio e come Uomo.
Si diceva sopra che l'unità di un libro deriva, in un autore umano, da una
certa esclusione che egli opera, da un certo organico ordinamento delle materie.
Nel Salterio sembra che non vi sia nessun ordinamento e nessuna esclusione: vi
è tutto il mondo umano che canta e geme, che prega e impreca. Guardini
scriveva: «Dio ha creato l'uomo in tal modo che Dio solo poteva realizzare le sue
possibilità quasi infinite». Si può dire che l'uomo, in quanto tende alla sua

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perfezione, a una realizzazione piena della sua natura, sembra invocare, sembra
attendere il Cristo, il Verbo che lo assuma. Dobbiamo ammettere, certo, che la
natura per sé non può aspirare al soprannaturale, ma dobbiamo anche
riconoscere che la natura in concreto è tutta ordinata al mistero della grazia.
L'uomo tende a Cristo, perché solo il Cristo lo realizza. Ogni uomo è nel Cristo
più che in se stesso. E questo è vero anche per quanto riguarda i salmi. La parola
dell'uomo deve divenire la parola del Cristo. Così solo il Cristo può far sua questa
parola e solo nel Cristo tu la vivi pienamente. Ed è cosa mirabile il fatto che
questa parola, che è la parola del Cristo, venga pronunciata prima ancora che
Dio si faccia uomo. Il Cristo è il Verbo fatto carne; è giusto dunque che la parola
preceda la sua incarnazione; che l'aspirazione di tutta l'umanità, che lo implora e
lo attende, preceda l'incarnazione.
Questo allora ci dicono i salmi: che il Cristo, già è presente
misteriosamente prima della sua incarnazione nella parola dell'uomo, nella sua
preghiera, in tutta la sua vita. È una cosa immensa pensare che la vita dell'uomo
diviene la vita di Dio, che la parola dell'uomo diviene la parola di Dio. È una cosa
che ci esalta, ma anche ci dà sgomento pensare che Dio ha potuto far sua,
incarnandosi, la sofferenza umana, l'esperienza di tutta la miseria, di tutto il
dolore e anche di tutto il peccato del mondo. Allora si capisce come, anche oggi,
in tutta l'esperienza umana di miseria, di sofferenza, di gioia, di 'esultazione, di
dolcezza, di pace, di amore, è Dio stesso che vive ... È un mistero immenso! Il
mistero dell'incarnazione divina compie veramente il mistero della creazione di
Dio. Certo, la creazione per sé non esige l’incarnazione divina, ma è anche vero
che tutto tende, per libera volontà del Padre, a questa incarnazione futura, e
tutto in questa incarnazione trova il suo compimento. Cosi la parola dell'uomo,
l'espressione di tutta la sua vita, di tutta la sua storia, attende il Cristo, perché
già è lui che in quella parola 'Ci parla; attende il Cristo che possa pienamente
farla sua, perché già, quando è pronunciata, il Cristo stesso in qualche modo,
misteriosamente si anticipa e si fa presente in questa esperienza umana. In altre
parole: nell'Antico Testamento ci sono grandi figure del Cristo, Isacco, per
esempio, che viene immolato, Giosuè che entra nella terra promessa ... e a
queste 'due grandi figure si richiama lo stesso Nuovo Testamento. Sembra che
Paolo, nella lettera ai Romani, veda il sacrificio di Gesù nella luce del sacrificio di
Isacco. Ed è chiaro, d'altra parte, che l'autore della lettera agli Ebrei vede la
figura del Cristo nella luce della figura di Giosuè ...
È il Cristo che ci ha portato nella terra del riposo. Andiamo dietro a lui
dunque, come il popolo ebraico è andato dietro a Giosuè. In queste figure
dell'Antico Testamento non è presente l'uomo in generale, è l'uomo che
appartiene a un popolo, l'uomo che appartiene a una storia; ma ci sono altre
figure nell'Antico Testamento che ci dicono - e questo insegnamento è uno del
più grandi dell'Antico Testamento - come l'uomo per sé è figura del Cristo; non
l'uomo in quanto è sacrificato da Abramo, non l'uomo in quanto entra nella terra
di Canaan, ma in Giobbe, l'uomo in quanto soffre, l'uomo in quanto muore, ed è
l'uomo in quanto ama nel Cantico del cantici.
L'uomo è già figura di Gesù. La creazione stessa, prima ancora della Storia
sacra di Israele, accenna al Signore, lo annuncia, lo prefigura, lo anticipa. Cosi
tutta la vasta esperienza del mondo anticipa misteriosamente la presenza del
Cristo nella storia degli uomini. Già nell'Antico Testamento vi sono altre figure
che non hanno relazione con la Storia sacra, eppure sono figure del Cristo: per
esempio Giobbe, il quale non ha nessun rapporto con la Storia sacra; anzi,
secondo la stessa Scrittura, è uno che non appartiene neppure al popolo santo, è
un idumeo. Eppure non vi è una prefigura più impressionante di Gesù: egli
soffre. La sofferenza il Signore l'ha voluta per sé. Quando si è incarnato, tutto

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quello che è dell'uomo è divenuto di Dio; tutto quello che è umano, Dio l'ha preso
per sé, è divenuto sua proprietà. Cosi ancora nel Cantico dei cantici, si dice che
lo sposo e la sposa sono figure del Cristo e della Chiesa. Anche in questo caso
non vi è un rapporto con la Storia sacra, il Cantico ci parla soltanto di amore, di
un sentimento comune ad ogni uomo. In questa esperienza, che sembra tanto
profana ed è universale, il Cristo è presente. Anche l'amore umano
misteriosamente fa presente Gesù. Tutto è figura, tutto è profezia, tutto anticipa
il Cristo; non vi è nulla dell'uomo che non ci parli ora di Dio. Egli ha assunto
davvero l'uomo. Non soltanto Israele, ma l'uomo; così il Salterio è parola di Dio,
non solo perché ha il riferimento con la Storia sacra di Israele, ma
immediatamente e prima di tutto perché ha un rapporto con l'uomo: è la sua
parola.
Vi sono salmi che parlano anche della storia d'Israele, ma gran parte dei
salmi parla della vita dell'uomo indipendentemente dalla Storia sacra: parla delle
sue pene e parla delle sue gioie, parla della famiglia e della città; parla del
rapporto dell'uomo con il mondo, parla del rapporto del mondo con l'uomo.
L'uomo è colui che parla e prega in questi componimenti, e l'uomo è Cristo,
perché l'uomo veramente diviene uomo, solo quando il Verbo lo assume.
Cosi la parola umana, anche nell'espressione della sua sofferenza,' è
espressione pure di una vita che è più che umana, perché è là vita stessa di Dio.
Non vi è nulla che non sia sacro. La divisione del sacro dal profano deriva dal
nostro peccato, ma l'incarnazione di Dio di nuovo e più intimamente ha congiunto
a Dio tutto l'uomo, tutta la creazione e perfino la sofferenza e la morte,
conseguenze del peccato. Se noi veramente vedessimo con occhi puri, se noi
sapessimo vivere con anima religiosamente profonda, noi vivremmo attraverso
tutta la vita la nostra comunione con Dio, perché Dio veramente nulla ha rifiutato
di quello che è umano, tutto ha fatto suo, perché tutto egli ha assunto. È questa
la grandezza del Salterio, ma è anche questa la sua difficoltà. Prima di essere
parola di Dio è parola dell'uomo, e noi siamo quest'uomo; noi siamo troppo
miseri per far nostra tutta questa esperienza di dolore umano, ed anche di gioia:
noi siamo solo frammenti di umanità. Non è il Cristo che è meno uomo di noi,
non siamo noi che siamo più uomini di lui: egli solo ha potuto realizzare l'uomo,
lui che era Dio. E lui solo ha potuto anche far sua pienamente questa parola. Il
Salterio non è pienamente la parola di alcun uomo tranne che questi non sia
riconosciuto in Gesù di Nazareth che era anche Dio. E noi non possiamo vivere il
Salterio, far nostra questa parola senza aprirei, dilatarci, senza perdere quello
che di chiuso, di troppo personale, di 'proprio noi abbiamo. La nostra proprietà è
quella di non averne più alcuna, perché tutto è nostro. Se vive in te l'universo,
allora il Salterio può divenire la tua parola.
Se sentiamo difficoltà a pregare attraverso i salmi, è perché ancora ci si
compiace di quello che siamo noi, distinguendoci dagli altri, scindendo la nostra
esperienza dalla loro. Si vuol coltivare il nostro piccolo io, non si vuole aprirci ad
abbracciare l'universo. Ma nella misura che coltiviamo il nostro piccolo io e
crediamo di possedere più Dio, cessiamo di essere l'uomo e non possiamo mai
divenire Dio, perché l'unico modo per noi di divenire Dio è di essere pienamente
uomo, dal momento che Dio ha assunto l'uomo, tutto l'uomo, e in lui l'uomo è
divenuto uno. Questa è la spiritualità cattolica contro ogni spiritualità che tenda a
stabilire certi confini e divisioni, e rischi così di compromettere l'unità della vita,
contro ogni liberalismo religioso in cui si perda il senso del mistero. Si va da un
abisso all'altro e non si trova mai l'equilibrio. La spiritualità cattolica è la
spiritualità del 'Christus totus', ed è soltanto nell'essere in lui e nel trasformarci
in lui che il Salterio diviene anche la nostra parola.

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Se, d'altra parte, l'uomo che si esprime nei salmi non è l'uomo che è
legato per sé a una Storia sacra - ci sono salmi che richiamano Sion, la storia
della liberazione dall'Egitto, ma in gran parte, come si è detto, sono espressione
soltanto dell'uomo vivente nella sua condizione terrestre - se i salmi dunque, in
gran parte, hanno per autore non l'uomo di un certo popolo e di una certa storia,
ma l'uomo in generale, ne deriva anche questo: che noi attraverso il Salterio
possiamo renderci conto di una sacralità che è propria di ogni umana parola. Non
solo la parola di Abramo e di Mosè, non solo la parola di Isaia e di Geremia sono
parola di Dio; la parola di ogni uomo, in qualche modo, è parola di Dio.
Noi non siamo assicurati certo di una ispirazione divina riguardo ai libri
dell'umanità, non siamo certo assicurati di una loro inerranza e soprattutto di
una loro ispirazione, cioè di una volontà divina che ha parlato attraverso quel tale
linguaggio, però il fatto di non aver garanzia, il fatto di non aver assicurazioni
precise, non ci toglie dal pensiero che veramente dobbiamo avere riguardo per
ogni umana parola, un rispetto come di cosa sacra; non si tocca l'uomo senza
toccare Dio, dal momento che in ogni uomo che parla, Dio stesso si accenna, in
qualche modo si annuncia, in qualche modo si fa presente.
I salmi hanno anche certamente un rapporto di dipendenza dai salmi della
Mesopotamia, dai salmi che si cantavano nel culto di Canaan, nel culto religioso
degli ittiti, degli egiziani ... Anche questo ci dice come veramente non solo tutta
la vita dell'uomo, ma la parola dell'uomo ha una sua sacralità. In ogni uomo che
parla, Dio stesso parla; in ogni uomo che vive, Dio veramente vive. Egli non ha
escluso alcuno. Questo non vuol dire che io possa ritenere che la Bagavatgita sia
sacra come il Salterio o come il Cantico del camici o come il profeta Isaia; questo
non vuol dire che 'I ricordi' di Confucio siano ugualmente sacri come i Vangeli o
come le lettere di Paolo; questo assolutamente non vuol dire che il libro del Tao,
di Lao-Tze sia ugualmente sacro come il quarto Vangelo, no certo, ma questo
vuol dire che anche questi libri sono sacri. In che misura? Non siamo sicuri in che
modo è intervenuto Dio, ma Dio sempre interviene quando interviene l'uomo. Fin
dall'inizio egli ha voluto l'incarnazione del Verbo, fin dall'inizio mai l'uomo, nel
pensiero di Dio, è stato separato da lui. Nel peccato stesso Dio gli è stato vicino
perché Gesù è disceso fin nell'abisso del nostro peccato. Che cosa Dio non ha
assunto? Solo il rifiuto dell'uomo all'amore di Dio, non lo stato del peccatore.
Pertanto l'esperienza umana nella sua totalità, tranne il semplice rifiuto di una
volontà, che è la morte, ha un senso divino. Che rispetto di ogni forma, che
rispetto di ogni vita, che rispetto di ogni parola ci suggeriscono i salmi! Come
tutto, attraverso il libro dei salmi, apparisce sacro! Sacro il banchetto che unisce
lo sposo alla sposa coi figli intorno alla tavola, sacro il sospiro dell'esule che
ricorda la patria lontana, sacro l'amore che unisce gli sposi, sacra perfino la
guerra e l'edificazione della città, sacro il lavoro dell'uomo, sacri la sua gioia e il
suo dolore; perché è vero che se i salmi sono veramente l'espressione di tutta
l'umana esperienza, gran parte di questa umana esperienza è il soffrire del
mondo. Non per nulla anche i salmi, più che di ogni altra esperienza, ci parlano di
questo dolore.
In questo rinnovamento che il concilio Vaticano II vuole operare, non solo
nelle strutture ecclesiali, ma soprattutto nel costume cristiano, nella pietà, i salmi
ci insegnano a trascendere tutte le singole devozioni, per vivere la sacralità di
tutta la vita, per vivere tutta la vita come impegno sacro che ci unisce a Dio!
Sono i salmi che trasformano, trasfigurano e consacrano tutto il vivere umano, la
gioia come il dolore, la casa come la città, la montagna come il mare, il giorno
come la notte, in tal modo che attraverso i salmi tutta la vita dell'uomo diviene
davvero una liturgia, non quella liturgia che si è ridotta a del poveri gesti che
dicono più nulla, ma la liturgia che è tutta la vita del mondo: il sole che sorge,

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l'uomo che entra al lavoro, gli sposi che si amano, i bambini che crescono, le
guerre del popoli, tutto è una liturgia in cui l'uomo parla a Dio e Dio parla
all'uomo.
Questa è la liturgia. Per questo si vuole ridurre al minimo il rito, perché
l'anima riviva invece questa liturgia cosmica, che è la vera liturgia cristiana, onde
tutto veramente è assunto da Dio, tutto diviene atto sacro, celebrazione liturgica.
Se i salmi non ci insegnassero questo, non ci insegnerebbero nulla; si
reciterebbero allora senza pensare a quello che si dice, senza partecipare a
quello che è il loro contenuto, perché noi restiamo al di fuori. Possiamo credere
di vivere la preghiera pura, ma intanto si recitano delle parole che non sono le
'nostre' parole.
I salmi sono la parola dell'uomo proprio perché sono la parola del Cristo:
egli che ha assunto tutto l'uomo, ha potuto anche consacrare così tutta la sua
vita. Di fatto, prima che questa esperienza umana fosse fatta propria da Cristo,
veramente vi era un mondo profano, veramente vi era un mondo dissacrato, ma
attraverso i salmi, preghiera del Cristo, tutta quanta la vita del mondo ritorna
una sacra liturgia.
Tu ora che dici i salmi non puoi sentirti separato dal contadino che lavora.
Sei con i vendemmiatori, con i mietitori anche tu; anche tu cogli l'uva e la pigi
nel tino. Mentre leggi i salmi non ti puoi sentire separato dallo sposo che vive la
sua unione con la sposa. Se tu non vivi il Salterio non vivi il mistero di quella
redenzione universale che proprio in queste parole si esprime. Il Cristo ha
ridonato all'esperienza dissacrata, e perciò divisa dall'uomo, l'unità nel suo cuore,
nell'anima sua. Che cosa Dio non ha assunto? Solo il rifiuto dell'uomo alla sua
volontà. Ma il rifiuto è qualche cosa di negativo, tutto quello che è, egli l'ha fatto
suo: ed è la gioia, ed è il dolore, ed è l'amore ed è la vita associata ed è la vita
intima, ed è tutta la vita. Anche la guerra, anche l'amore. È difficile capire
l'amore cristiano, perché l'amore cristiano è violenza, è qualcosa che ti strappa,
ti sradica, ti rovina. Il Signore non gioca; ed anche il tuo amore per gli altri non è
un gioco. Certo che tu puoi rinunziare a salvare te stesso, ma non puoi rinunziare
a salvare gli altri: e tutti ti sono affidati. E devi salvare gli altri, anche coloro che
ti offendono. Ma come li salvi se non opponendo una resistenza all'odio, al
peccato, se non combattendo il male?
Solo l'amore giudica l'amore. Non vi è atto umano che si identifichi
all'amore, ma tutto può essere segno di amore. Può essere che anche il dare il
mio corpo al fuoco non sia carità, può darsi che anche il dare tutto in elemosina
ai poveri non sia carità, e può essere invece che la condanna dell'empio sia carità
perché nostro Signore condanna, ed egli è l'Amore. Dio che è l'Amore è anche
violenza infinita, non ci lascia riposare un istante. Veramente Dio è un Dio geloso
non è egli come l'amore buddhista che si stende su tutto senza stabilire un
rapporto personale con alcuno. Perché egli ti ama, egli fa del tuo atto il suo
paradiso, in te trova veramente la sua gioia e può volere per te la sua morte.
Durissimo è l'Amore: come il diamante, più del diamante. Sì, anche il
combattimento, la guerra possono divenire l'atto di Dio dal momento che sono
l'atto dell'uomo. Anzi la guerra è l'esperienza umana fondamentale, così come è
l'esperienza fondamentale della creazione.
Tutto è guerra, non vi è che la guerra nella creazione,: gli elementi sono in
lotta fra loro, gli animali fra loro: dobbiamo riconoscerlo, è un fatto. E non è un
fatto che sembra dipendere solamente dal peccato; oggi, comunque, è
l'esperienza fondamentale della vita dell'universo, è l'espressione più universale
della vita. Per questo, dopo la sofferenza, l'argomento fondamentale dei salmi è
proprio la guerra, se non la guerra del popoli, la guerra dell'uomo contro l'uomo,
contro i suoi avversari.

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Non ci dovrebbero essere nemici, ma di fatto sembra che il salmista non
conosca altro che nemici; di amici ne conosce ben pochi e quando conosce gli
amici, anche questi lo hanno tradito. Anche gli amici sembra conoscerli
soprattutto nel loro tradimento. È questa l'esperienza umana, ed è terribile
questa esperienza!
Se il Salterio è la parola dell'uomo, veramente non c'è un libro che più del
Salterio descriva la miseria, ma anche il dramma, la tragedia della vita umana.

Che cosa dicono i salmi

I salmi dunque sono la parola del Cristo, vero Dio e vero Uomo, ed
esprimono insieme tutto quello che Dio di sé ci vuol dire e tutto quello che l'uomo
è: hanno un contenuto che sembra il più ampio che sia mai possibile pensare;
nulla di Dio ci è nascosto, nulla dell'uomo ne è escluso. Certo, Dio trascende
sempre ogni conoscenza che egli ci vuol dare di sé. La conoscenza più alta di Dio
è precisamente il dover riconoscere la nostra ignoranza, ma per quanto Dio abbia
voluto manifestarsi e comunicarsi all'uomo, i salmi ci dicono tutto: Dio nei salmi
a noi si rivela e si rivela precisamente nella parola di Gesù.
Come l'uomo in Cristo Gesù è la suprema rivelazione di Dio, così la parola
dell'uomo, nei salmi, è più di ogni altra la parola stessa di Dio che ci manifesta i
segreti intendimenti della sua volontà, l'ineffabile pienezza del suo amore per
nol.
Si è detto: l'essere umano è tale che Dio solo sembra poterne realizzare
tutte le possibilità. Dio ha creato l'uomo in tal modo che Dio solo avrebbe potuto
portare a compimento la perfezione dell'essere suo nell'assumere questa natura.
Di fatto l'uomo era stato creato 'capax Dei', perché divenisse figlio di Dio.
Qualche cosa di simile noi possiamo dire dei salmi. La parola dell'uomo soltanto
Dio può portarla al suo compimento, soltanto in Dio acquista il suo valore ultimo,
il suo significato supremo, la sua interpretazione definitiva. L'uomo non parla che
attraverso la bocca di Dio. L'unione che si è compiuta nell'incarnazione del Verbo,
ha nel Salterio una delle sue espressioni più alte. Nei salmi come preghiera del
Cristo, come sua parola, questa unione si rivela nella sua profondità abissale, si
manifesta nel suo mistero di vertiginosa grandezza. Solo nella bocca di Dio la
parola dell'uomo trova la sua ultima espressione, e noi ora dobbiamo dirne
qualcosa, ma quello che diciamo non può essere altro che un approfondimento di
quanto già abbiamo detto.
Nulla è escluso da questa parola: né Dio né l'uomo, ma la parola in cui Dio
e l'uomo si incontrano e si capiscono è ancora un annuncio ed attende un
adempimento prèciso, che sarà l'incarnazione stessa di Dio nei salmi cioè, vi è,
si, un rapporto intimissimo e profondo fra Dio e l'uomo, fra l'uomo e Dio, ma
l'uomo parla a Dio e Dio parla all'uomo. È unico Colui che parla ed è Cristo, ma la
parola del Cristo è la parola dell'uomo che soffre, ed è la parola di Dio che ha
pietà .. È unico Colui che parla, ma l'unità di Colui che parla non esclude il
dramma di una natura umana che può rivolgersi a Dio, ma si sente ancora
lontana, oppressa dal peccato, dilaniata dalla sofferenza, nel sentimento del suo
esilio dalla patria, nel riconoscimento dei proprio peccato. Questa parola, pur
rivolta a Dio, è la parola dell'uomo.
Cosi ancora, la parola che nei salmi, detta da Cristo, rivela il Signore, la
sua intenzione profonda, la sua volontà santa, è una parola che ancora si
esprime come legge che chiede un suo adempimento, come promessa che lo
attende.
La parola di Dio non sarà più legge nella sua realizzazione; la parola
dell'uomo non sarà più implorazione quando, nella lode, manifesterà il dono di

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Dio. I salmi sono il processo di una incarnazione divina onde Dio si adatta
sempre più all'uomo - come dice sant'Ireneo - onde l'uomo sempre più è
sollevato dall'empito della grazia e sempre più si avvicina al suo Dio. Fa parte,
certo, di un processo di incarnazione divina; non dimostra, tuttavia, ancora
avvenuta l'incarnazione. In essa il Verbo non è più parola profetica, è la parola
fatta carne: Verbum caro factum (Gv. 1,14), il Cristo è Persona.
Qual è il contenuto di questa parola dei salmi? E vorremmo dire: chi parla
nei salmi? Se il Salterio è la parola di Dio e la parola dell'uomo, è essenzialmente
un colloquio, anzi un dialogo. Il dialogo suppone uno che si rivolga a un altro e i
due divengano in qualche modo uno, eppure rimangano due. Nell'incarnazione
del Verbo il Cristo è uno, ma è insieme Dio e uomo, e Dio non si confonde con
l'uomo e l'uomo non si confonde con Dio. Proprio perché quando è stato scritto il
Salterio ancora non era avvenuta l'incarnazione del Verbo, il Salterio, più che
essere la Parola fatta carne, è la parola di un'umanità che attende il compimento
del mistero ed è la parola di un Dio che discende per realizzarlo. Nel Salterio si
incontrano veramente Dio e l'uomo: l'uomo in una preghiera che 'sale, Dio in una
misericordia che discende. Certo il Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo, fa sua
questa parola, ma prima ancora di lui e dopo di lui, è tutta l'umanità che è
chiamata ad essere una sola cosa con lui, che deve pregare con queste parole
che deve ascoltarle e rivolgerle a Dio.
Chi parla sa a chi si rivolge la sua parola? Ecco la cosa più grande. Prima di
tutto il dialogo è il dialogo tra Dio e l'uomo e tra l'uomo e Dio. I due estremi si
toccano: la miseria più profonda con la più sublime santità: nessun altro dialogo
può mettersi a paragone di questo. Già in questo suo contenuto il Salterio
manifesta una sua sublime grandezza. Perché Dio si può davvero rivolgere
all'uomo? E l'uomo potrebbe davvero rivolgersi a Dio? Forse dovremmo
rispondere di no. Non esiste la preghiera nella natura pura perché la parola
dall'uomo, nella pura natura, non potrebbe raggiungere Dio. La preghiera, per
essere un atto personale, deve rivolgersi a una persona. Ma Dio come persona è
il Padre, il Figlio e lo Spirito santo. Nell'ordine di pura natura l'uomo ha un
rapporto di dipendenza assoluta dal Creatore, ma questo rapporto non è un
rapporto personale e vivo; non implica per l'uomo veramente un incontro con il
suo amore, non stabilisce veramente per lui un altro rapporto, diverso da quello
della natura in quanto creata.
La preghiera nell'ordine di pura natura sembra un controsenso, perché in
quest'ordine Dio non esce dalla sua solitudine infinita, Dio non stabilisce alcun
rapporto con l'uomo; potrebbe stabilire un rapporto con la creatura solo nel caso
che egli l'assumesse. Il Padre non parla che al Figlio, così come egli non ascolta
che il Figlio.
I rapporti in Dio sono le stesse Persone divine. Il colloquio di Dio non si
stabilisce che entro il mistero della sua intima vita: Filius meus es tu - Abba,
Pater (cf. Sal. 2,7; Me. 14,36; Rom. 8,15) il colloquio che riempie in un atto
unico di amore infinito, tutta la divina eternità. Nell'ordine di pura natura l'uomo
non parla e Dio non ascolta; Dio non parla e l'uomo non ascolta. Parlare
all'uomo, per Iddio, vuol dire in qualche modo uscire dal suo infinito silenzio e
stabilire con l'uomo un rapporto che è rapporto gratuito di amore.
Reciprocamente per l'uomo: parlare a Dio vuol dire per l'uomo avere il potere di
superare l'infinita distanza che lo separa da lui. Ma come è possibile che la parola
dell'uomo possa giungere fino a colui che è inaccessibile? La parola dell'uomo
non può giungere, per sé, in questo infinito silenzio nel quale Egli dimora. Solo la
parola del Figlio riempie i silenzi dell'eternità. Ora il Salterio è invece
l'espressione di una vita di grazia, suppone già l'elevazione dell'uomo, suppone
soprattutto l'elezione d'Israele; suppone che Dio già in qualche modo abbia

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aperto il suo seno ed abbia chiamato ad entrarvi questa umile creatura che è
l'uomo. L'uomo, ora, sollecitato da Dio, per questa vocazione, ha il potere di
superare l'infinita distanza che lo separa da lui e può invocare il suo aiuto,
parlargli. Sempre ci sbalordisce, ci sgomenta il pensiero degli spazi stellari. Se si
pensa che vi sono miliardi di galassie ed ogni galassia è miliardi di stelle, e fra
galassia e galassia vi sono, alcune volte, milioni di anni di luce di distanza, ci si
perde, non si capisce più nulla. Che cos'è, non dico il mondo, ma anche il sistema
solare? Un atomo nell'universo. E tu che sei? Quale pretesa puoi avere di parlare
a Dio? Come si capisce l'ateismo contemporaneo, e come può essere giustificato
nei confronti di una religiosità che è soltanto una manifestazione superstiziosa di
orgoglio. Nell'universo l'uomo si sente come perduto: l'essere suo, la sua vita
non li può sentire che come un assurdo. Ed egli deve credere: Dio gli parla, Dio
lo ascolta.
Crediamo davvero? Oppure la preghiera è per noi solo un volgerci a uno
specchio che riflette la nostra immagine? Molto frequentemente la 'nostra
religione non c'insegna tanto che l'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio,
ma ci insegna piuttosto che Dio è fatto a immagine e somiglianza dell’uomo.
Quando noi preghiamo non parliamo che a noi stessi, non ascoltiamo che noi
stessi. Invece che avere il potere di superare l'infinita distanza che ci separa da
Dio, nemmeno riusciamo a parlare a un altro che ci è vicino: non giriamo che
intorno a noi stessi e la vita della maggior parte delle anime si riduce a questo.
Parlare a Dio! È in questo la grandezza del Salterio, che è la parola che
ogni uomo può rivolgere a Dio. E questa parola, può essere ascoltata da Dio,
perché prima di essere la parola dell'uomo, la parola che sale dall'infinita miseria,
dall'infinito abisso della povertà creata, è la parola che è discesa dall'infinita
solitudine della divina santità. Proprio perché la parola è discesa, ha anche il
potere di ascendere, come l'acqua che zampilla e sale in alto dopo essere discesa
dall'alto.
Così ogni qual volta noi diciamo una preghiera, è ben di più dell'impresa
del cosmonauti al confronto: quando parlo e invoco il mio Dio, compio un'opera
che dà le vertigini, se veramente la penso. L'uomo parla a Dio: è mai possibile
questo? Vi è miracolo più grande che l'uomo possa credere di essere ascoltato da
Dio?
Se anche dovessi andare all'inferno, Dio ha già dato alla mia vita una
meravigliosa grandezza, dal momento che ora, in questo istante, posso
rivolgermi il lui, posso dirgli: Padre mio!
Non potrebbe bastare quest'atto a riempire tutta la mia eternità? Non
potrebbe bastare la consapevolezza che un istante solo della mia vita ho potuto
guardarlo negli occhi, ho potuto ascoltare una parola che mi giungeva da lui?
Dio parla all'uomo, l'uomo parla a Dio! Che cosa immensa, ed il Salterio è
la testimonianza di' questo colloquio che può ripetersi oggi per te, preghiera che
è l'atto supremo in cui sembra dover terminare e trovate la sua 'perfezione la
vita dell'intera creazione. È Parola che discende da Dio ed ha realmente anche il
potere di risalire fino a lui, e stabilisce un contatto fra l'uomo e Dio: libera l'uomo
dalla prigione del mondo nel quale è chiuso e così anche lo salva. In che cosa
infatti consiste la salvezza dell'uomo? Non forse in un evadere dagli stretti confini
del mondo?
Quanto più il mondo si fa grande per me, tanto più io mi sento
imprigionato: quando il sistema solare è già talmente grande che sfugge al
controllo dell'uomo, che cos'è mai per l'uomo vivere anche cent'anni e
comandare l'universo? Non è già un esser dannato anche sentirsi padrone del
mondo, quando l'uomo sa che il sistema solare stesso è meno di un atomo negli
spazi sterminati dell'universo? Che cosa sono le ambizioni dell'uomo?

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In che consiste dunque la nostra salvezza? Nel liberarci, nell'evadere da
questi stretti confini, nel sentire che una porta ci è aperta oltre tutti i limiti del
mondo, nel poter guardare al di 'là e trovare il volto di un Dio che ci ama ci
ascoltare, al di là di ogni parola, la parola di un Dio che ci chiama. Ora, ogni volta
che prego, io vivo già questa salvezza, perché esco incontro a lui, perché sfuggo
a tutti i limiti della mia condizione creata, perché trascendo i confini del mondo e
lo guardo.
Questo è già vero quaggiù sulla terra, in questa vita presente. Non è un
uomo fittizio, irreale che parla a Dio nei salmi, ma l'uomo concreto con le sue
passioni, con la sua miseria, il suo peccato. È quest'uomo di carne che soffre, che
parla a Dio. Se fosse soltanto il santo, se la preghiera dei salmi fosse soltanto
una parola dell'uomo già purificato, dell'uomo che non è più l'uomo nella sua
reale miseria, io sarei ugualmente escluso, io non potrei vivere la mia salvezza.
Ma nell'istante che apro davanti allo sguardo di Dio le piaghe dell'anima mia,
tutte le ferite della mia anima fioriscono come luce: sono 'vedute' dal suo
sguardo divino. È una cosa immensa! Se anche ho tutti i peccati del mondo,
quando dico al Signore: 'Signore, son qui', Dio mi ascolta, mi guarda, il suo
sguardo trasfigura tutto e io sono già rivestito della luce dell'infinito suo amore.
Abbiamo compromesso tutta la nostra vita religiosa con troppi ritualismi:
se vivessimo solo l'atto di fede! Quanto più la vita religiosa è profonda tanto più
diviene semplice, pura. Questo è il Salterio: la parola di Dio all'uomo, la
preghiera dell'uomo a Dio. Colloquio d'infinito stupore. I cieli ci guardano:
quest'uomo parla e Dio l'ascolta. E la norma della preghiera sono i salmi, e ogni
preghiera non fa che ripetere i salmi. Di fatto la liturgia della Chiesa usa quasi
esclusivamente le formule di questa preghiera che può essere la nostra
precisamente perché è la parola stessa di Dio. Solo la sua parola egli ascolta ed
egli ha voluto farsi 'Parola dell'uomo, proprio per poterla ascoltare, per
accoglierla e cosi ascoltare ed accogliere con la parola anche noi.
Ma in questo dialogo io evado dal mondo oppure porto il mondo con me? Il
colloquio della preghiera stringe l'uomo a Dio eppure con l'uomo e con Dio tutto
quanto l'universo è interessato. Il mondo ascolta e parla con me ... ed è Dio che
mi parla attraverso il mondo e le cose, cosicché nulla vi è più che sia separato.
Chi parla nei salmi? A chi si rivolge la parola di Israele? Chi parla? L'uomo
concreto, ma l'uomo concreto non è mai un'anima sciolta dal corpo, separata dal
mondo. La preghiera greca tende sempre alla preghiera pura, che è espressione
di un'anima che si è liberata dal corpo, l'atto dell'anima che si svincola non
soltanto dalla società esteriore, non soltanto dal mondo, ma anche dal proprio
corpo. E invece chi parla nei salmi è l'uomo concreto che è legato al mondo, che
è legato agli uomini e perciò, anche nella preghiera, non può rinnegare il suo
legame e porta, salendo vertiginosamente a Dio, con se stesso, tutte quante le
cose: tutte nella sua preghiera le solleva, tutte le innalza davanti al volto di Dio.
Per questo la preghiera cristiana è l'atto con cui l'uomo redime anche il mondo.
E dobbiamo aggiungere anche qualche altra considerazione. Dobbiamo dire
che il Salterio è sì parola di Dio, è sì parola dell'uomo, ma in che modo Dio parla?
In che modo l'uomo parla? Che cosa dice Dio? Che cosa dice l'uomo? Il modo è
tanto semplice che solo la fede fa scoprire nella parola Dio stesso che parla. Può
sembrare infatti il Salterio un libro assai comune, un libro religioso fra tanti altri
libri; in altri sembra esservi forse anche maggior pienezza di sentimenti, altri libri
potrebbero sembrare testimonianza di esperienza religiosa forse anche più
profonda o più nobile e spirituale. Si è detto che è l'uomo concreto che parla nei
salmi, ma si deve anche aggiungere che Dio, per avvicinarsi all'uomo, si umilia,
usa la sua stessa parola, la parola dell'uomo comune nella sua pura umiltà.
Nessuna parola sarebbe adeguata ad esprimere il mistero divino e proprio per

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questo, egli può usare, se vuole, la parola più umile. Ed è questa. Vi è anche nel
libro dei salmi una 'kénosis' di Dio, un annientamento di Dio che manifesta il
fulgore della sua santità nella espressione più povera, più immediata, più umile
dell'umano linguaggio. L'insegnamento dei salmi non sembra avere la profondità
della filosofia di Platone; non ha nemmeno lo splendore letterario della lingua di
Sofocle, è la parola più umile. Se Dio voleva parlare, egli doveva rivolgersi a te e
dal momento che egli discende, non c'è limite alla discesa di Dio; non c'è davvero
limite alla umiltà della quale egli si veste per farsi vicino all'uomo al quale egli
parla. L'abbé Huvelin diceva che Dio ha scelto talmente l'ultimo posto, che
nessuno può pretendere di scendere ancora più in basso ... E questo è vero non
solo nella incarnazione del Verbo, ma è vero anche nella parola che ascolti. Come
in questa umiltà si rivela la realtà infinita dell'amore di un Dio fatto uomo! Ogni
distanza egli distrugge per discendere anche più in fondo di quanto tu sei, perché
tu non abbia alcun timore che egli si sottragga al tuo amore. E che cosa egli
dice? Il Salterio beneficia di una duplice ispirazione: l'ispirazione profetica e
l'ispirazione sapienziale: del profetismo ha tutto il carattere drammatico di una
esperienza viva, dell'ispirazione sapienziale ha la pacata esposizione di una
dottrina, la narrazione del fatti. Dio insegna, Dio ama. Ecco quello che ci dice
questa duplice ispirazione. È Maestro e si fa bambino con i bambini, perché il
bambino pian piano s'innalzi e divenga simile al Maestro dal quale riceve
l'insegnamento divino. Tuttavia la parola di Dio nel Salterio non è soltanto
l'insegnamento pacato del saggi, è anche l'espressione' drammatica del profeti.
Prima che noi conoscessimo un Dio fatto uomo che ci ha amato e ci ha amato
con un cuore di carne, noi abbiamo appreso che egli ci amava nel linguaggio dei
profeti, che è anche il linguaggio dei salmi.
Dio s'interessa dell'uomo, l'uomo non è indifferente al suo amore. Questo
distingue Dio da ogni divinità che l'uomo si è forgiata secondo quello che egli
poteva pensare. Questo Dio che ci parla è un Dio che soffre una passione di
amore, per usare il linguaggio di Origene, è un Dio geloso, un Dio che si offende,
un Dio che tu puoi contristare, è un Dio che tu puoi ferire nel più intimo del
cuore, è un Dio che reagisce con violenza inaudita contro di te, perché ti ama
davvero. Solo questo linguaggio è espressione di amore verace. Uno che non
soffre della mia mancanza di amore, non mi ama. Per uno che ama non può
essere indifferente l'amore dell'amato; amando, altro non vuole che essere
amato. Finché io non voglio essere amato, non amo. Sembra che neppure sappia
quanto egli dona, perché ,quello che dà è nulla per lui e tutto è per lui il tuo
piccolo dono di amore. Egli che ama sembra vivere non la sua beatitudine
immensa, ma del dono che l'uomo gli fa. Tutto è nulla per lui, finché tu non
rispondi al suo amore: questo dicono i salmi. Colui che parla è un Dio che, in
qualche modo, già si è fatto uomo per te.
Che cosa stupenda è questa rivelazione che Dio ci dà di se stesso! Mentre
siamo nulla per tutti, mentre tutti più o meno sono indifferenti alla nostra pena
anche se ci amano - fino in fondo nessuno ci conosce, fino in fondo nessuno dà
importanza alla nostra vita, così come gliela diamo noi stessi -, Dio dà alla nostra
vita, ai nostri sentimenti un'importanza infinitamente maggiore di quella che
hanno persino per noi stessi.
Il tuo amore sembra essere il nutrimento stesso di Dio.
Dio nutre l'uomo, si è fatto alimento dell'uomo, ma ugualmente l'uomo è
divenuto, perché egli l'ha amato, l'alimento di Dio; «Dio senza di te non sa
vivere, sembra morire», scriveva il Silesio. È una passione d'amore indicibile, di
cui sono esperienza e testimonianza questi canti che, prima ancora di rivelare
l'uomo, rivelano Dio, Dio per il quale la povera parola, la 'vita dell'uomo contano

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più di tutti i suoi cieli, perché questa parola egli l'ascolta, perché questa vita egli
la vuol ricevere da te.
Che cosa dice l'uomo a Dio? Oh, non può dire altro che sé, Dio non aspetta
altro da lui. È tutto ed è nulla. È tutto perché ama me. Che cosa aspetta Dio dalla
parola dell'uomo? È una lamentela senza fine che stancherebbe anche l'amore di
una madre: da noi non sembra attendere altro il Signore. Questo è il dono che
aspetta: i nostri peccati e la nostra povertà. Se Dio aspettasse qualche altra
cosa, che cosa noi potremmo portargli? Ma Dio aspetta questa parola; la supplica
del povero continua, incessante, noiosa e qualche volta accenna un grido
scomposto di gioia. Devi dare quello che sei nella tua povertà, ed egli è
immensamente contento. Quello che conta non è il tuo dono, ma il fatto che
gliela fai tu ed egli per te ha dato tutto se stesso, ed egli ti ama come se stesso,
direi più di se stesso. Il Padre non ama sé: ama il Figlio; il Figlio non ama sé:
ama il Padre, e Dio ama l'uomo e per l'uomo egli è disposto a morire. Siamo
povera cosa eppure siamo tutto per Dio.

Il mistero della parola

Che cos'è la parola? In fondo tutte le meditazioni precedenti si può anche


dire che siano una certa risposta a questa domanda. Si è detto che la parola per
sé è la rivelazione dell'essere. Lo spirito è come una monade chiusa: nella parola
si esprime, nella parola si rivela lo spirito. Il mistero della parola è uno dei
misteri più grandi della creazione. Attraverso la parola si congiunge in un modo
esistenziale, vivo, il mondo spirituale al mondo fisico. Certo, noi siamo già spirito
e carne in una sola natura; tuttavia se lo spirito agisce attraverso il corpo, vive
attraverso il corpo, è la parola che manifesta soprattutto questa vita, ne esprime
fino in fondo l'efficacia, rivela anzi l'unità nell'uomo, l'unità del mondo fisico col
mondo dello spirito. Quando si dice parola non si intende soltanto il suono della
voce, ma qualsiasi segno che lo spirito assume per trasparire attraverso il mondo
fisico, attraverso il corpo. Può essere lo sguardo, può essere la mano, può essere
l'atteggiamento, il corpo medesimo, ma nulla di più rivela lo spirito, della parola.
Proprio per questo noi potremmo anche domandarci quale sia l'arte che più
decisamente e pienamente riveli il mondo umano. L'arte è di per sé una
rivelazione dell'uomo attraverso dei segni e nulla forse rivela di più l'uomo della
poesia. Le altre arti, più o meno, mancano di quello che la parola più
essenzialmente esprime. Certo, anche la musica implica un disegno, una
intenzionalità, rivela un mondo spirituale. Non certo tuttavia come la parola; la
parola è più propria a esprimere direttamente il mondo dell'uomo. È vero che
forse è l'arte più difficile, ma è anche l'arte più universale. Ogni uomo si
comunica all'altro soprattutto mediante la parola. Non vi è comunicazione da
uomo a uomo che non trovi nella parola il suo mezzo più efficace, più naturale e
universale. La parola è il mezzo naturale per cui uno comunica all' altro il suo
proprio mondo interiore, la sua medesima vita, il mezzo onde in qualche modo
l'uomo si dona, si lascia possedere. E che cos'è la parola nella sacra Scrittura, nel
libro dei salmi? Precisamente il mézzo onde l'uomo si comunica a Dio. Dio si dà
all'uomo nella parola. Certo: Dio ha rivelato se stesso attraverso la creazione
visibile e le cose stesse sono parola che narra, secondo i salmi, la gloria di Dio;
ma la rivelazione diviene perfetta solo quando Dio chiama Abramo.
Il passaggio dalla rivelazione cosmica alla rivelazione profetica è nel
passaggio da una rivelazione che si compie attraverso le cose a una rivelazione
che si realizza attraverso la parola. Dio ha scelto la parola, egli ha parlato: la
parola dice una intenzionalità, è rivolta veramente a qualcuno. C'è in essa
un'intenzionalità, un volgersi verso una persona, un comunicare tutto l'essere

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nella sua pienezza: sentimento, intelligenza, volere, tutto la parola esprime e
tutto,-per sé, è la parola. 'Dabar' in ebraico vuol dire precisamente questo: vuol
dire volontà, vuol dire azione: è tutto, perché tutto veramente è la parola.
Persino nel rapporto umano, quando due cominciano a volersi bene, si dice che si
parlano, perché è questo il mezzo primo. Se un rapporto umano non cominciasse
di qui, l'amore sarebbe un fatto puramente animale, non umano. Occorre che
cominci con la parola, anche se poi terminerà nel silenzio, quel silenzio che
esprime l'unità conseguita. Così tra l'uomo e Dio il rapporto inizia nella parola e,
quando il rapporto è perfetto, termina nel puro silenzio dell'unità. Nell'attesa
della rivelazione suprema e del compimento del disegno ultimo di Dio, il silenzio
subentra alla parola. Ma non è più un silenzio vuoto: è il silenzio che suppone
uno scambio vicendevole, il dono vicendevole dell'uno all'altro, dono che realizza
l'unità. Io sono te. A questo punto è facile dire che cosa sono -i salmi. Nella loro
parola Dio si dona alla creazione, all'uomo, ma nella loro parola anche la
creazione, attraverso l'uomo, tutta si ordina e si dona a Dio. La parola che
discende dall'alto ci comunica non soltanto una divina volontà, ma la forza stessa
di compierla; non soltanto ci promette, ma anche realizza le promesse divine. Per
questo la parola di Dio non è, come la parola 'dell'uomo, semplicemente
dichiarativa, è una parola creatrice. E se la parola di Dio è legge, porta però con
sé anche la forza di una grazia che te la fa adempiere; se la parola di Dio è
promessa, porta anche con sé la forza del suo adempimento futuro. Nell'Antico
Testamento i profeti non annunciano le cose che verranno, ma le cose verranno
perché essi le annunciano.
Detta una parola, questa parola ha una sua forza che tu non puoi arrestare
più, e la forza è quella della sua realizzazione. Se Dio nel dire le cose dipendesse
dalle cose medesime, non sarebbe più Dio, egli che è l'assoluto, egli dice e le
cose sono. Egli dice che Israele otterrà la terra e la terra diviene retaggio
d'Israele. Dio dice che Israele sarà liberato dai suoi nemici e la libertà dai nemici
si realizzerà, perché Dio lo ha detto. Chi potrebbe arrestare l'onnipotenza di
questa parola creatrice? La parola di Dio, se comunica Dio, comunica
precisamente la sua forza, la sua volontà, ed è una volontà onnipotente;
comunica il suo amore e Dio realmente si dona.
Attraverso i salmi l'uomo accoglie Dio, lo riceve. Lo riceve come promessa
che trova il suo compimento nell'uomo, come profezia che si adempirà nella sua
vita. Questa parola non è più estranea all'uomo: detta all'uomo, si compirà in lui.
Non è la narrazione di un fatto che non lo riguarda.
Non abbiamo allora da fare nulla? Sì, abbiamo da ascoltarla. È quello che
ha fatto la Vergine, che ha accolto la parola dell'angelo e si è abbandonata alla
sua forza. Se egli ti parla, tu devi stare in ascolto. È una bella impertinenza
chiudere gli orecchi a uno che ti parla, e l'impertinenza diviene molto più grave
quando è Dio che si volge a te per parlar ti e tu rifiuti di accogliere quella parola
che egli ti dice. È anche un rifiutare a noi stessi la vita, un condannare noi stessi
alla morte perché l'uomo non vive che di ogni parola che procede dalla bocca del
Signore (Deut. 8,3). Di qui l'importanza che ha nella vita dell'uomo la sua
dipendenza dalla sacra Scrittura.
Ma l'uomo deve anche parlare a Dio e il Salterio è anche la sua parola;
come Dio parlando ci comunica se stesso, così in questa parola che l'uomo dice a
Dio egli comunica se stesso. La parola deve realizzare il dono di noi stessi a Dio,
un dono, come si può vedere dai salmi, che Dio soltanto può ricevere, perché gli
altri non saprebbero che farsene di questo dono. Chi starebbe ad ascoltare tutti i
nostri lamenti? E invece il Signore, ecco, ci accoglie, ci ascolta. L'uomo deve
donarsi a Dio così com'è nella sua povertà. Egli non può chiedere all'uomo altro
che questo, perché non può chiedere se non quello che è, e l'uomo non è che

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miseria e peccato, non è che povertà e sofferenza. Questo egli deve dare, perché
altro non ha e questo Dio aspetta dall’uomo. La tua parola non è che
l'espressione di questa tua sofferenza e di questa tua miseria, ma è una parola
detta a lui, rivolta a lui, è l'atto per il quale tu doni II Dio tutto quello che sei.
Così avviene attraverso il Salterio uno scambio divino. Dio che si dona alla
creatura, Dio che si effonde negli abissi creati, e l'uomo che innalza a Dio tutta la
miseria del mondo, nella sua parola, la solleva a Dio, perché Dio la riceva.

La preghiera, parola efficace

La parola dell'uomo a Dio è supplica, è implorazione. Noi non doniamo a


Dio altro che le nostre necessità, perché in realtà non abbiamo altro.
La parola di Dio divenuta parola dell'uomo è preghiera.
Si è detto che la parola comunica agli altri quello che siamo, ma quando tu
preghi non comunichi nulla, tu chiedi. La parola dell'uomo dovrebbe essere un
dono. E questo era sulle labbra del fariseo, che non conosceva se stesso. Donare
a Dio: che cosa potremmo donare? Che cosa 'abbiamo di nostro tranne la
povertà? Così la nostra parola è preghiera e implora il soccorso divino. Che cosa
doni a Dio? I tuoi bisogni perché egli li soddisfi. Tu doni a lui il tuo vuoto perché
egli lo riempia. Tu offri a Dio la tua miseria perché egli la colmi del suo amore. Il
dono dell'uomo non è altro che chiedere. Se veramente l'uomo dona qualche
cosa di suo, non può donare altro che questo: il vuoto, la propria solitudine, la
propria impotenza, la miseria che attende una risposta divina.
Si diceva: la parola di Dio è efficace, è creatrice. Si è detto: questa parola
è atto. La cosa mirabile è questo: quando l'uomo parla a Dio, anche la sua parola
è efficace.
Le parole sono parole, si dice, e si intende con questo affermare una certa
opposizione fra la parola e l'atto. La parola dell'uomo dice e non fa, quando
invece la nostra parola è detta a Dio essa è efficace. Anzi si può dire: l'unica
efficacia vera dell'uomo è nella parola, quando egli la rivolge a Dio; perché
precisamente Dio che è l'amore non può accogliere la tua parola che è necessità,
la tua parola che è implorazione, senza immediatamente effondersi nel vuoto che
gli offri, nell'abisso che gli spalanchi davanti. L'unica efficacia dell'uomo è nella
sua parola, ma quando egli la rivolge a Dio. Non perché questa parola sia di per
sé efficace, ma perché provoca l'onnipotenza creatrice; per questo motivo la vita
più attiva è la vita di contemplazione. Si parla di vita attiva e di vita
contemplativa come se fossero opposte una all'altra, ma l'uomo non 'fa
veramente mai nulla, egli deve ricominciare tutti i giorni da capo, perché, finché
è l'uomo che opera, il suo lavoro non ha fondamento ed egli non può presumere
di ottenere efficacia duratura. Tutto è consumato e distrutto dal tempo, tutto
rimane imperfetto e in abbozzo; l'unica efficacia è quella di Dio. Per questo
l'unica vita efficace è la vita di preghiera. Non credo all'azione, se questa azione
non nasce e non termina nella preghiera. Tutti gli uomini 'fanno, ma quello che
rimane, è solo quello che compie Dio. L'azione dell'uomo deve trovare nella
preghiera il suo compimento; anzi meglio: la preghiera dell'uomo deve ottenere il
compimento da Dio.
E di fatto tutta l'azione della Chiesa ha il suo compimento nell'atto di
redenzione che il sacerdote rende presente attraverso la preghiera liturgica.
Tutta la vita della Chiesa termina nella Messa, che è la preghiera che consuma
nel sacrificio di Cristo. Tutta la vita della Chiesa tende a questo atto, come a suo
compimento divino.
Anche la nostra preghiera è l'atto più alto, più efficace per la sua forza e
per la sua universalità. Possiamo dire con sant'Ireneo e con tutta la mistica

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ebraica che col peccato la creazione è sfuggita in qualche modo dalle mani di Dio,
e rischia di precipitare nel caos primitivo; si va sempre più scompaginando,
sempre più va precipitando nell'informe. Di qui il frantumarsi dell'unità, l'andare
verso la morte. Quando Dio riprende la creazione, la riprende nella forza della
sua parola. Come nella forza della sua parola egli aveva creato, così nella forza
della parola egli riprende la creazione e la ristabilisce nel suo fondamento. Allora
dona a questa creazione una nuova consistenza ed è nel Verbo incarnato che la
creazione trova il suo fondamento eterno.
Ma Dio non vuol compiere nulla senza di noi. Come noi siamo associati al
Verbo, siamo un solo Cristo, così anche l'azione del Cristo non può essere scissa
né moltiplicarsi nell'atto dell'uomo; tutti gli uomini che sono un solo Cristo,
dovranno vivere con Cristo un atto solo, l'atto della sua preghiera, che è anche
l'atto del suo sacrificio. Da questo atto dipenderà la salvezza del mondo, la
salvezza dell'universo, la redenzione di tutta l'umanità. L'operazione deriva dalla
natura e due sono le operazioni del Cristo dal momento che in lui vi sono due
nature. Siccome la natura umana è stata restaurata, è ritornata ad essere una
nel Cristo e noi tutti siamo un solo Cristo, ne viene che tanto più realizziamo la
nostra salvezza quanto più siamo una sola cosa con lui; e quanto più siamo una
sola cosa con lui, tanto più, anche, viviamo noi tutti una sola vita. L'atto del
Cristo uomo diviene l'atto di tutta l'umanità. La santità di ogni uomo non
moltiplica la santità del Cristo, non si assomma alla sua santità, ne è soltanto
partecipazione, perché la santità è una, come una è la vita, una la gioia, uno
l'amore, uno l'atto che realizza questa natura una del Cristo totale. E questo atto
è il sacrificio del Cristo. Con la partecipazione alla Messa, con la preghiera dei
salmi noi tutti viviamo e compiamo un atto che è immensamente più grande
della creazione del mondo; è l'atto nel quale consuma tutta la vita del mondo. Di
fatto, la onnipotenza divina non trovava un ostacolo a trarre dal nulla tutte le
cose, ma la volontà stessa onnipotente di Dio trova un impedimento nel peccato
dell'uomo. E Dio non associa l'uomo all'atto della creazione del mondo, ma
associa l'uomo all'atto della sua redenzione. Ogni lavoro dell'uomo che non sia,
nella preghiera, un agire su Dio, non è che il gioco di un bambino che
continuamente si rinnova e non lascia traccia. Nella preghiera collaboro con
Cristo alla redenzione dell'universo. Ricordo un testo del cristianesimo primitivo
che mi dà le vertigini. È di Aristide, uno del primi apologeti cristiani, che scrive
queste parole: «Che il mondo sussista., dipende dalla preghiera del cristiani».
Siccome col peccato la creazione è sfuggita dalle mani di Dio, non può avere
altro fine che la morte: Stipendia enim peccati, mors (Rom. 6,23); non la morte
soltanto dell'uomo, ma la fine di tutta la creazione.
L'atto che sottrae alla morte la creazione è solo l'atto del Cristo che redime
il mondo, ma la nostra preghiera non è dissociata da quell'atto, è la nostra
partecipazione a quell'atto, è un far nostro quell'atto. Nori è soltanto
l'accettazione di una redenzione, ma è la cooperazione dell'uomo alla redenzione
universale. Per questo il sacerdozio cristiano, non solo con la Messa ma anche
con la preghiera dei salmi deve parlare a Dio ogni giorno in nome di tutta la
creazione, deve implorare e ottenere per la creazione tutti i beni c[le la fanno
sussistere e la fanno procedere verso il suo fine di gloria. Tutto dipende
dall'uomo, ma tutto dipende da lui precisamente in quanto egli prega. Uno che
non crede può scuoter la testa. Veramente è una cosa che non riusciamo ad
accettare senza la fede, perché ci sembra, in realtà, che il mondo fisico sia del
tutto indifferente al mondo spirituale, anzi che non vi sia, fra i due mondi, alcun
rapporto. Ci sembra anzi che sia questo lo scandalo più grave della creazione,
che la natura non conosca affatto l'uomo: l'uomo conosce la natura, ma la natura
non sembra conoscere l'uomo; essa è cieca nei confronti del valori dello spirito. Il

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peccato ha diviso, almeno sembra, questi due mondi che vivono l'uno accanto
all'altro e a vicenda s'ignorano. La divisione tuttavia, anche indipendentemente
dalla grazia, non è che relativa e non potrebbe essere definitiva. La fede poi ci
insegna che l'atto della morte del Cristo ha redento l'universo. È vero tuttavia
che la redenzione immediatamente risana l'intimo centro dell'anima, ma da
questo intimo centro può e deve rifluire sul corpo e sul mondo. Così la preghiera
dell'uomo non ha soltanto un effetto sulla vita spirituale dell'uomo, ma su tutta la
vita, perché non vi è un ordine soprannaturale che possa essere superato
dall'ordine di natura. La grazia, proprio per questo si dice accidentale, come
insegnano i teologi, perché s'inserisce nella natura e perciò la suppone.
Vi è dunque un rapporto fra la preghiera dell'uomo e la natura e gli stessi
avvenimenti storici, anzi è la preghiera che ristabilisce questo rapporto, nella
misura che il peccato lo ha violato e in parte l'ha distrutto. E noi lo crediamo,
tanto che anche per le nostre piccole cose chiediamo la preghiera degli altri e noi
stessi preghiamo. Nel rituale esiste la benedizione delle case, dell'acqua, della
campagna; si prega per la pioggia e per il sereno ... tuttavia sembra che tutto
dipenda dalle 'leggi fisiche dell'universo, quasi che il mondo vada per conto suo,
ignaro e insensibile allo spirito. Noi dobbiamo credere invece che realmente dalla
nostra preghiera, in Cristo, dipende ogni cosa.
La preghiera, certo, non dispensa dal lavoro umano, ma il lavoro umano è
nella preghiera che diviene in realtà efficace. Che rapporto vi è fra la mia
preghiera rivolta a Dio e il grano che matura nei campi? Sembra comunemente
che Dio abbia abbandonato la natura alle sue leggi, una volta che le ha stabilite;
ma che cosa sono le leggi se non l'espressione della sua volontà personale? Non
dobbiamo mettere tra Dio e la creazione le leggi, quasi avessero una loro
sussistenza, un loro potere indipendentemente dalla volontà creatrice di Dio. Se
queste leggi sono concordi, mentre la volontà dell'uomo non è ferma, è perché la
volontà di Dio, a differenza della nostra volontà, è immutabile. Di qui deriva alle
leggi del mondo una loro immutabilità. Ma la creazione dipende sempre
assolutamente da Dio. Dio non l'ha lasciata autonoma, né potrebbe lasciarla
autonoma senza che essa ricadesse nel nulla.
Se la mia preghiera raggiunge Dio e Dio accoglie la mia preghiera, la mia
preghiera ha l'efficacia che deriva precisamente dal fatto che egli l'ascolta:
questa è la funzione di colui che prega. Si deve sapere che alla preghiera sono
affidati i malati, i peccatori, i moribondi; è affidato il governo degli Stati. A colui
che prega è affidato il procedere dell'universo verso i suoi supremi destini. Tutto
ci è affidato, perché Dio tutto ci ha messo nelle mani e ha voluto che attraverso
la nostra preghiera provvedessimo a tutto, perché attraverso la nostra preghiera
ci uniamo alla preghiera e al sacrificio redentore di Gesù.
Durante l'ultima guerra al furore dell'inferno scatenato contro di loro, i figli
del popolo di Dio rispondevano con i salmi. La comunità ebraica non si rivolgeva
alle nazioni, non cercava un rifugio in altra terra, recitava i salmi. Dio ha deluso
allora Israele? Come dobbiamo stare attenti a non trarre facili conseguenze
dall'agire divino! Anche alla preghiera di nostro Signore il Padre sembrò non
rispondere: Padre, se vuol allontana da me questo calice (Lc. 22,42; cf. Me.
14,36; Mt. 26,42,; il Padre ha deluso Gesù che lo pregava? Il fatto è questo: gli
ebrei opponevano al furore, la preghiera. Credo che lo sterminio degli ebrei nel
19391945 abbia il valore di un mistero; non è semplicemente un fatto umano,'
un avvenimento storico, è un avvenimento altrettanto grande, come i più grandi
avvenimenti della cristianità. Probabilmente possiamo dire: nella storia della
Chiesa un fatto di quella grandezza forse ancora non è avvenuto. Che cosa voglia
preludere quel fatto non lo so e nessuno lo sa, ma è certo un avvenimento che
ha un significato sacrale, è un mistero. «Noi cantiamo i salmi», essi dicono, ed

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hanno coscienza veramente che la preghiera regge il mondo, determina il
cammino delle nazioni, salva i popoli e compie finalmente i disegni di Dio. Questa
è l'efficacia della parola dell'uomo, quando si rivolge a Dio. Contro il potere del
male l'uomo non può opporre che la preghiera, ma la preghiera è efficace, perché
l'efficacia Dio l'ha riserbata a se stesso e tutto quello che l'uomo fa,
indipendentemente da Dio, è destinato alla morte. L'unica cosa che rimane è
quello che Dio compie.
Ma dal momento che Dio si è fatto uomo, egli non fa nulla senza l'uomo.
Per questo l'onnipotenza di Dio è legata oggi alla preghiera dell'uomo, dipende in
qualche modo dalia-preghiera. L'onnipotenza di Dio non interviene che in quanto
la preghiera dell'uomo la scioglie, ne dirige il cammino, l'impegna alla
realizzazione di tutto quello che essa chiede. Credo che dalla preghiera liturgica
della Chiesa dipenda realmente ogni cosa. È il Pater noster, è la preghiera dei
salmi, è finalmente il sacrificio del Cristo, che nella liturgia si fa presente, il
fondamento di ogni speranza umana. Tutto in realtà dipende da questa
preghiera, come tutto dipende da Dio. Non certo per natura le cose dipendono
dall'uomo, ma ne dipendono per libera volontà di Dio, perché egli ha associato
cosi intimamente l'uomo a se stesso, che ora Dio non opera senza l'uomo e
l'uomo non può operare nulla senza Dio. È Dio che compie, ma è l'uomo che
implora; e Dio non compie se non quello che l'uomo implora. L'implorazione
umile dell'uomo è in qualche modo uguale all'onnipotenza di Dio che realizza e
così l'onnipotenza creatrice interviene secondo quello che chiede la parola
dell'uomo. E questo non è vero soltanto sul piano della vita spirituale, ma anche
sul piano dell'universo fisico, perché non vi è separazione: Dio che tutto ha
creato, tutto ora per Cristo redime. E il Cristo non è solo Gesù di Nazareth, ma
con lui siamo anche noi che in lui siamo uno, un solo Cristo, che vive una sola
vita, anzi un atto solo, l'oblazione che è preghiera ed è sacrificio.
La vita del Cristo è la nostra medesima vita; l'atto di una redenzione
universale che egli compie è in qualche mo' do l'atto anche di tutta la Chiesa.
Non indipendentemente da Cristo essa opera e vive, ma in quanto è una con lui.
Nella misura che noi siamo una sola cosa con Cristo noi partecipiamo di quella
universale redenzione che egli ha compiuto e non solo in quanto siamo noi stessi
redenti, ma anche in quanto la compiamo con lui. La nostra preghiera non vuol
essere una preghiera per gli altri, perché non ci sono ‘gli altri'. Nella misura che
io sono in Cristo, di fatto, sono urlo con tutti. Per questo non posso dividere più
la salvezza che chiedo per me dalla salvezza che chiedo per tutti i fratelli. La
salvezza che è frutto del sacrificio di Cristo è la salvezza del Cristo totale. In
questo sacrificio l'atto dell'offerta non si separa, anzi è uno, con l'atto di Dio che
l'accoglie; la preghiera non si divide dalla risposta efficace di Dio che risponde. E
il Cristo totale è l'universo in qualche modo assunto dal Verbo, è tutta quanta
l'umanità assunta da Cristo come suo corpo.
È vero: lo spirito dovrebbe dominare la materia, ma dopo il peccato ne
subisce invece tutte le offese. Non soltanto subisce le offese di un mondo fisico,
ma il mondo fisico ignora completamente il mondo dello spirito. I due mondi
sembrano come divisi, sembra che ognuno vada per conto suo. Un atto vi è che
ristabilisce questa unità fra i due mondi: l'atto del Cristo. L'uomo non li unisce
di'rettamente: il peccato che ha diviso i due mondi non è superato né vinto,
anche nelle sue conseguenze, che dall'atto del Cristo che solo ripara il peccato.
L'atto del Cristo è l'offerta, il suo sacrificio. Egli si offre al Padre per la
salvezza del mondo - il suo atto è di una efficacia che opera l'unità, per la quale
egli ha pagato e si è offerto. Di quell'atto vive ogni preghiera; ogni preghiera
partecipa di quell'offerta, partecipa di quell'efficacia. Così alla preghiera
dell'uomo è affidata, in qualche modo, la salvezza dell'universo.

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Lotta cosmica tra Satana e Dio

Non vogliamo analizzare qui i singoli salmi, ma soltanto vedere un poco il


loro contenuto, perché sia vera la nostra preghiera e sappiamo quello che questi
salmi vogliono dire, che cosa voglia esprimere questa parola.
Attraverso la parola della preghiera cristiana l'uomo è associato all'opera di
una redenzione universale. La creazione che è sfuggita dalle mani di Dio, ora
ritorna a ricompaginarsi e a ordinarsi al suo fine mediante una preghiera che
ottiene l'intervento divino per la redenzione del mondo. Per questo la preghiera è
l'atto efficace dell'uomo, l'atto che riassume in qualche modo tutta la vita
dell'universo in quanto lo strappa alla legge del peccato che lo trascina nella
morte, per sollevarlo fino a Dio. L'azione dell'uomo che non termina nella
preghiera, di per sé, è destinata a finire, ad essere spazzata via dall'onnipotenza
creatrice, ad essere portata via dal fiume del tempo. L'Unico che resiste, l'Unico
che realmente è, è Dio, e Dio si fa presente nel mondo per la preghiera dell'uomo
che implora l'intervento divino e ottiene la discesa di Dio, la sua presenza.
Che cos'è dunque la preghiera e che cosa essa esprime?
La preghiera dell'uomo suppone la tensione tragica tra ordine di natura e
ordine di grazia. Mentre, secondo il disegno divino, l'ordine di natura doveva
coincidere con l'ordine di grazia, attraverso il peccato sembra invece che ora non
solo una tensione persista, ma una dura opposizione opponga un ordine contro
l'altro. O piuttosto, in questo mondo ora sono di fronte due forze nemiche: una
forza di distruzione e di morte, una forza invece di creazione e di vita. È entrato
nel mondo il peccato e attraverso il peccato è entrata nel mondo la morte, s'è
scatenato il male. Non è solo un male impersonale che regna, non è il male che è
deficienza di essere, è la presenza di una forza che agisce, che riporta tutte le
cose nel nulla, un'azione di distruzione e di morte. Di fronte a questo scatenarsi
delle forze del Maligno che si rinnova per ogni generazione degli uomini,
l'intervento della forza di Dio.
Tutta la storia del mondo che i salmi ci rivelano e di cui sono anche
elemento, è una guerra. Tutta la vita dell'universo, tutta la storia del mondo non
è che una guerra. E quale guerra! L'inferno contro Dio, Dio contro l'inferno. Si
chiede la pace per noi, si chiede la pace per gli altri, ma proprio perché si chiede,
non la possediamo mai intera e perfetta. Sembra che si possa estendere la
parola che scriveva Baudelaire: «La più grande vittoria che ha compiuto il
demonio è quella di far credere che egli non esiste». È pericoloso parlare di pace,
quando di fatto la pace non c'è. La pace quaggiù sembra frequentemente fondata
su compromessi temibili: la Chiesa con il mondo, l'uomo con il male. Nessuno è
in pace, siamo tutti in guerra. Il combattimento interiore che ognuno deve
combattere, non esclude il combattimento esteriore; il combattimento dell'uomo
non esclude ma si amplia nello stesso combattimento dei popoli. Del resto 'il
mondo' si accanisce contro il Regno di Dio e i cristiani, di fatto, non vivono che
per andar contro il male che nel 'mondo' si esprime.
Se la Chiesa è per il mondo, questo non vuol dire che la Chiesa e il mondo
abbiano fatto la pace. Al contrario: è proprio perché la Chiesa non può ignorare il
mondo e deve salvarlo, che si evidenzia l'opposizione del mondo al Regno di Dio.
La Chiesa non può chiudersi in sé, isolarsi dal mondo; ordinata al mondo, non
vive la sua missione che in quanto libera il mondo dal peccato, sopportandone
essa medesima il peso. È questo che dicono i salmi. Se noi non abbiamo questa
concezione della vita, i salmi, di fatto, non possono divenire la nostra preghiera,
non possono essere la nostra parola. Essi suppongono un dramma, non sono che
l'espressione di una tensione, di una lotta tragica che oppone l'empietà al bene, il

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Maligno a Dio. Fin dall'inizio il Salterio conosce due vie: la via dell'empio e la via
del giusto; soltanto alla fine termina nell'unità di una lode che sale a Dio da tutto
l'universo redento.
Il Salterio è una composizione, un poema lirico che ha un'unità
meravigliosa. Nonostante sia stato composto attraverso più di cinquecento anni e
sia l'opera di autori sconosciuti, ha un'unità che supera l'unità di qualsiasi libro.
Ha l'unità che gli è data da un Dio che conosceva il destino del tempo, che
sapeva la ragione del cammino dell'uomo. Ci rivela il senso della vita quaggiù. Si
parte dalla dualità, dall'opposizione più dura perché è l'opposizione del male con
il bene, dell'empio con il giusto, per terminare poi in una lode che non è più
soltanto la lode del giusto, è la lode di tutta quanta l'assemblea dei santi ed è la
lode anche di tutto l'universo associato a questa assemblea. Al termine non
esiste più che l'Alleluja, il canto di lode al Signore. In quel giorno - dice il profeta
Zaccaria - io sarò Uno e il mio nome Uno (Zacc. 14,9).
Ma per giungere a questa unità quale cammino! Un cammino duro e
doloroso deve compiere l'uomo e dura tutta la lunghezza del tempo, ed è il
contenuto di tutta la storia. Solo la perfezione dell'amore realizza l'unità
dell'uomo, l'unità dell'uomo con l'uomo, l'unità dell'uomo con Dio, e questo ci
dicono i salmi. Ma per giungere a tanto bisogna combattere; la vita è una lotta,
la storia stessa è una guerra. Di questa guerra, l'unica, di cui le altre non sono
che immagini e forse episodi, il campo è l'intero universo, non vi è più luogo in
cui l'uomo possa essere in pace. Vai nel deserto e lì si accanisce il nemico, entri
nella città e vi trovi la lotta; dovunque, in ogni tempo, la guerra. Dobbiamo
conoscere i metodi della lotta, vedere in che modo il nemico tenta la vittoria e in
che modo invece Dio vince.
Uno dei peggiori pericoli cui il cristianesimo va incontro è il suo
compromesso con il mondo. Invece di essere il sale frequentemente non siamo
per il mondo che zucchero, diceva un ottimo sacerdote libanese. È mascherando
il volto del male, non riconoscendolo come male, che il mondo potrà essere
salvo? La volontà di non essere sufficientemente attuali insidia oggi il cristiano,
insidia la Chiesa intera. Non vogliamo più conoscere il dramma, la lotta, e così
misconosciamo la stessa realtà, perché non è soltanto la grazia una componente
della storia umana: ma della storia umana, della storia dell'universo sono
componenti la grazia ed anche il peccato. Solo alla fine è assicurata la vittoria di
Dio.
Non solo l'Antico Testamento, ma anche il Vangelo non ci parlano della vita
dell'uomo che in termini di lotta, di dramma. La rivelazione insegna che una
tensione continua è immanente alla storia e insegna che questa durerà sino alla
fine. Solo per fede sappiamo che Dio vincerà, ma la vittoria stessa di Dio, alla
fine, non toglie l'ambiguità della vita di ogni cristiano. Il cammino degli uomini
non è affatto continuo. Il Vangelo sembra annunciare piuttosto un'apostasia
finale. Il Signore come in un grido di angoscia domanda: Ma il Piglio dell'uomo,
alla sua venuta, troverà forse la fede sopra la terra? (Lc. 18,8). Il Maligno è
all'opera e Giuda non dorme. Nessun momento nella storia, nessun luogo è al
sicuro.
Nell'Antico Testamento l'opposizione fra Dio e il Maligno non è così grave,
né così dura la lotta come nel Nuovo. Il demonio è un po' un buffone di corte: nel
libro di Giobbe è ammesso infatti alla 'corte' di Dio e gli parla. Non sembra che si
debba prendere troppo sul serio, ma quando si fa presente Gesù, allora il
demonio è costretto a rivelare il suo volto e tutta la sua perfidia.
Il Vangelo è la manifestazione dell'immensa misericordia di Dio nella
persona del Cristo: Dio si fa presente e si rivela nel volto di un Uomo, ma questa
presenza di Dio costringe Satana a smascherarsi. E noi lo incontriamo nel

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deserto, lo ritroviamo al tempo dell'agonia, nella passione di Gesù ... Il Vangelo è
pieno della sua presenza com'è pieno della presenza del Cristo. È impressionante
quanti ossessi il Signore risana: tutta l'azione del Cristo è una lotta senza
quartiere contro il potere di Satana. Nel crepuscolo le cose non fanno più ombra;
ma quando la luce nella sua forza risplende, le cose che resistono alla sua
avanzata proiettano l'ombra. È questa la vita del mondo ed è questa la storia
dell'uomo: una guerra senza quartiere e senza riposo, in cui sono impégnati il
cielo e l'inferno, e il campo di questa lotta è l'universo ed è il cuore stesso
dell'uomo.
L'unità dei salmi deriva da tale concezione drammatica di tutta la vita del
mondo. Nell'Antico Testamento Mosè, sul monte: alza le braccia al cielo nella
preghiera e sconfigge gli amaleciti; nel Nuovo, Gesù nel Gethsemani e sulla
Croce prega e la sua preghiera sconfigge la potenza del male e redime l'universo.
La Chiesa continua la preghiera del Cristo ed è in questo suo atto che la salvezza,
meritata dal sangue del Cristo, si fa reale, attuale nella vita del mondo.
Per questo i salmi non ci fanno conoscere solo la vita come una lotta, la
storia come una guerra e l'uomo ingaggiato nella lotta, dalla parte di Uno o dalla
parte dell'altro dei contendenti, ma ci inseriscono in questa lotta, ci introducono
come attori in questo dramma cosmico, in cui non sono impegnati solo gli
uomini, ma gli angeli e i santi, ma Satana e Dio. La lettura stessa dei salmi, la
preghiera dei salmi è anzi essa stessa l'arma per combattere il male.
La dimensione della vita di un uomo ha la stessa grandezza del cosmo, la
stessa vastità dell'universo in cui si dispiega la sua azione, insieme all'azione di
Dio. È vero che l'atto supremo che realizza e stabilisce la vittoria è l'atto della
morte del Cristo che si fa presente nel sacrificio della Messa, ma proprio per la
sua unità e semplicità gli uomini difficilmente potrebbero rendersi conto, nella
partecipazione a questo atto, delle proporzioni della lotta. L'uomo non realizza la
difficoltà della lotta e la forza dei nemici che deve sgominare, che attraverso la
preghiera dei salmi; con la recita dei salmi egli si unisce al sacrificio eucaristico e,
con questa preghiera, più intensamente partecipa alla vittoria di Dio. Non è che il
sacrificio redentore del Cristo, fatto presente nella Messa, non sia sufficiente, è
anzi questo solo che opera la vittoria, ma gli uomini non vi partecipano
coscientemente e pienamente che attraverso una preghiera che come
personalmente li impegna, così anche rivela loro e la durezza del combattimento
e il prezzo che essi pure debbono versare e la vastità del conflitto nel quale sono
ingaggiati. La preghiera dei salmi è così preparazione ed è prolungamento della
liturgia della Messa.
L'uomo partecipa al sacrificio di Cristo con l'assistenza al sacrificio
eucaristico, ma anche con la recita dei salmi nell'Ufficio divino. Sono i salmi che
insegnano la grandezza dell'atto redentore: vittoria del Cristo in una guerra
combattuta su tutti i fronti da tutti gli esseri creati lungo il corso di tutta la storia.
I salmi, oltre a insegnarne la grandezza, fanno partecipare a quell'atto.
Ogni uomo di fatto è chiamato a prendere parte o per uno o per l'altro esercito:
ogni neutralità è impossibile; l'uomo o dipende da Dio o: nell'istante medesimo
che rifiuta di ingaggiar si al suo servizio, cade nella schiavitù del Maligno e
diviene strumento della sua malvagità, strumento della sua forza distruttrice, di
morte. I salmi ci dicono l'estensione della lotta, il furore di questa battaglia, ma
ci insegnano anche i metodi, per noi, di conseguire la vittoria. Prima di tutto il
nostro combattimento certo, è la stessa preghiera. Per questo Gesù medesimo,
sulla Croce, nell'istante più drammatico della lotta, fece sua la parola dei salmi.
La preghiera stessa dei salmi suppone che l'anima abbia preso coscienza dei
nemici che guidano la lotta, dove i capi non appaiono direttamente; ma è
mediante coloro che hanno come alleati e servi tori, che essi combattono. E da

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una parte chi combatte con Dio e per Dio è l'innocente, il giusto, è il
perseguitato. Sembra che la sofferenza, la povertà già per sé trasferiscano
l'uomo nell'esercito di Dio, lo mettano dalla sua parte.
Dall'altra c'è l'empio, il bestemmiatore, il sanguinario, lo stolto che dice nel
suo cuore che Dio non c'è: è il superbo di cuore, il malvagio. Con cinquanta nomi
diversi è sempre lui: il Maligno. Si veste e si traveste sotto il segno di tutti: dello
scriba ambizioso, del nemico del popolo di Dio, del fratello che ti tradisce, del
sacerdote infedele: ' si traveste sotto tutti gli aspetti, ma rimane sempre lui, il
servo del male, lui che opprime il povero, lui che opera la menzogna e vuole la
morte, lui la cui vittoria non è che la distruzione. Il giusto è in mezzo agli empi,
molto frequentemente nelle loro mani e non sembra avere altra arma da opporre
alla guerra che gli è m'ossa, che la sua preghiera.
Dire il Salterio vuol dire sentirsi, essere già dalla parte dei poveri, dei
perseguitati; vuol dire sentirsi destinati al macello. Se non ci sentissimo così, la
preghiera dei salmi sulle nostre labbra suonerebbe falsa. Se non siamo il giusto
perseguitato, il povero che chiede aiuto, il peccatore pentito che geme e invoca
la pietà del Signore, siamo allora l'empio, l'oppressore, il nemico sanguinario, lo
scriba altezzoso, l'amico traditore. La parola dei salmi rimane 'la nostra parola;
questa parola definisce comunque la nostra vita: o siamo i nemici che
combattono il piano di Dio, respingono il bene, si accaniscono nell'odio e nella
menzogna, o siamo i servi di Dio che realizzano i suoi disegni nella loro stessa
presenza di umiltà, di pace, di innocenza, di dolcezza e di amore.
Si impone una scelta. Beato l'uomo - comincia il salmista - che non va per
il sentiero degli empi (Sal. I, 1). Beato l'uomo ... quale uomo? Lo dirà poi:
l'innocente di mani e il puro di cuore (Sal. 24,4), colui che è oppresso e non
opprime, colui che è gravato da tutti i dolori e non procura dolore ad alcuno. Il
contenuto dei salmi non è che la guerra di Dio. Tutto aspira alla pace, ma vi è
soltanto la pace del cielo e quella dell'inferno. La pace dell'inferno è la morte e la
pace del cielo è la pienezza ineffabile, l'unità di un amore che tutto abbraccia e
possiede.
Finché viviamo quaggiù non è mai definitivo lo stato di alcuno: né siamo
mai caduti nell'inferno, né siamo mai entrati totalmente nel cielo. Così la pace di
quaggiù è relativa: almeno definitivamente non possiamo essere sottratti - anche
se lo fossimo a un nostro dissidio interiore a un conflitto esteriore che ci fa
solidali con il mondo, con tutti gli 'uomini, in uno stesso impegno di guerra. E non
possiamo disertare. Si può solo passare dal campo dell'Uno al campo dell'altro e
divenire da oppressi, oppressori; da servi di Dio, strumenti di Satana ... Se
vogliamo combattere la battaglia di Dio l'arma sarà, prima di ogni altra, la
preghiera. La parola di Dio è spada a due tagli ed è questa parola che egli ti ha
dato. Di fronte al furore del male, che sembra sommergere ogni cosa, il giusto
non ha da opporre che l'apparente fragilità della parola. Ma la parola dell'uomo,
quando sale a Dio, è onnipotente e arresta anche l'oceano dilagante dell'iniquità
che investirebbe ogni cosa; la preghiera dell'umile, la preghiera del povero
perseguitato, la preghiera del bambino innocente, la preghiera del giusto che si
immola è la preghiera del Cristo.
Come Gesù ha fatto sua la preghiera dell'uomo, così ora l'uomo fa sua la
preghiera del Cristo, che nella sua morte volle pregare con la parola dei salmi.
Che cosa ha opposto il Cristo a tutto il furore del mondo, a tutto l'odio del male?
Solo la preghiera: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? (Sal. 22,2) e
ancora: Padre nelle tue mani raccomando lo spirito mio (Lc. 23,46). E per gli
uomini che lo crocifiggevano: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che
fanno (Lc. 23,34).

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È da questa preghiera che dipende la salvezza del mondo, la vittoria del
Cristo, che si è dato, agnello mansueto, in mano dei suoi nemici perché
potessero fare di lui quello che essi volevano, e il male si è sfogato su di lui fino
in fondo, fino a esaurire ogni suo potere di morte, perché il Cristo non ha
opposto alcuna resistenza alla sua forza. Così egli ha vinto: il suo amore è stato
più forte del male, ed egli ha trasformato la morte in un atto supremo di amore
per coloro stessi che gli davano la morte. Per questa vittoria il Cristo ha pregato:
l'angoscia della morte è divenuta benedizione, perché con la forza della preghiera
ha vinto la ripugnanza e la resistenza della natura alla morte e ha fatto della sua
morte l'atto ultimo del suo amore.
Gli uomini debbono associarsi al Cristo che prega, unirsi a questa sua
preghiera per trasformare anche la loro umile sofferenza, anche i sentimenti
della loro povertà, anche l'umiltà dèlla loro vita in un atto di abbandono alla
volontà di Dio, in un atto di amore. La vita dell'uomo è qualcosa di immenso: non
si vive di fatto una 'nostra vita; se la nostra preghiera è partecipazione alla
preghiera del Cristo, anche la nostra vita è partecipazione alla sua vita, al suo
mistero. E non solo in lui siamo salvati, ma in qualche modo diveniamo, con lui,
salvatori. La nostra vita, nella sua umiltà, diviene grande; nella sua povertà,
ricca; nella sua debolezza, potente, forte della potenza stessa del Cristo che
prega e solleva dall'abisso del male una creazione rovinata per restituirla alla
primitiva innocenza, per trasfigurarla in una gloria nuova di santità e di luce.

La lotta, il giudizio, la lode

Il contenuto dei salmi è la storia dell'uomo e del mondo come dramma,


come guerra del male contro il bene. Ma vi è una soluzione a questo dramma che
non è nella storia: è il giudizio di Dio. Come Dio non ha bisogno di vincere, così
non ha bisogno di accusare e di condannare: basta che egli si manifesti. Tutti i
salmi attendono questa rivelazione di Dio che per sé necessariamente sgomina il
male e lo distrugge. Tutto tende verso la teofania: la manifestazione di una
sovrana potenza che agisce facendosi semplicemente presente. Dio solo è, egli
solo rimane. Se egli si rivela, se egli si manifesta, tutto quello che non è lui,
cade. La sua azione è .infinitamente potente, è come il sole che dissipa la nebbia,
la consuma.
E di fatto tutta la realtà, in quanto si oppone a Dio, non può essere che
nebbia, più irrealtà che realtà, menzogna e vanità che la realtà infinitamente
potente dell'Essere divino rivela precisamente come nulla. Il dramma della storia
attende il giudizio; quel giudizio che non può distruggere i poveri, i perseguitati,
gli innocenti, perché essi sono dalla parte di Dio. Essi non possono temere il
giudizio, anzi hanno parte con Dio alla sua vittoria. Al termine, la lode divina.
Lo svolgimento del dramma così implica tre atti. Primo atto: la guerra nella
quale sembra sia dato ogni potere al male. Secondo atto: il giudizio che
manifesta la vanità, il nulla del male, nella presenza dell'eterna realtà divina. Il
giudizio, d'altra parte, suppone anche la salvezza di coloro che si sono messi con
Dio, che hanno confidato nel Signore e si sono abbandonati a lui. Terzo atto: da
questa umanità redenta, da questa creazione che il giudizio divino non ha
distrutto ma, piuttosto, in qualche modo, fatto sussistere in Dio, il canto della
lode che è la vita celeste.
Una divisione dei salmi nei loro generi letterari può avere un valore, può
essere perfino necessaria per un'esegesi letterale, ma è ben poco per rivelarci il
sènso ultimo dei salmi. Certo ci sono inni e ci sono suppliche, ci sono i salmi della
regalità e ci sono i salmi della città santa di Gerusalemme; ci sono i salmi del
pellegrinaggio e vi sono epitalami. Ma i generi letterari dei salmi non possono

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essere un criterio alla interpretazione del Salterio nella sua unità. Se prendo un
salmo togliendolo al suo contesto posso, si, e debbo anche riconoscere il genere
letterario al quale appartiene, ma il salmo stesso non mi dice tutto il suo segreto
che in un rapporto con i salmi che lo precedono e lo seguono, secondo
quell'ordine che non può derivare da un'arbitraria armonia, ma che deriva dal
posto che occupa nel libro. Posto che non è voluto dall'uomo, ma è voluto da Dio
che ha ispirato l'agiografo nel raccogliere questi carmi, queste composizioni
poetiche per la formazione ‘del libro’.
Più precisamente: il riconoscimento della ispirazione del Salterio è
praticamente il riconoscimento della sua unità. Solo nell'unità della Bibbia
l'esegesi cattolica trascende la parola dell'uomo e raggiunge, attraverso di essa,
la Parola di Dio. Dimenticare che tutta la Bibbia ha Dio come unico autore
principale, è compromettere la sua autentica interpretazione. Il filologo può bene
interpretare la parola di un documento umano di storia o di poesia - il filologo
come tale non potrà mai scoprire Dio - ma solo il credente attraverso i singoli
documenti, raggiunge, nell'unità della Bibbia, Dio nell'unità della sua Parola.
Quello che è vero per l'interpretazione di tutta la Bibbia, tanto più si manifesta
nell'interpretazione del Salterio. Ogni salmo è ispirato, tuttavia non rivela fino in
fondo il suo senso, che nell'unità del Salterio. Togliere dal Salterio ogni salmo,
considerarlo! Da solo a solo direttamente con i salmi che appartengono al suo
stesso genere letterario, escludendo il rapporto che ha i nell'unità del Salterio, è
far violenza alla Parola di Dio. Del resto anche la parola di un poeta non è
interpretabile che nell'unità di tutta l'opera sua. E frequentemente una poesia
svela tutto il suo senso solo nell'unità di una vita cui pose il sigillo la morte.
Proprio per questo è la vita ed è soprattutto la morte di Cristo, Parola di Dio
incarnata, il vero e ultimo senso delle Scritture. Proprio per questo il Salterio
medesimo riceve la sua interpretazione autentica nelle labbra del Salvatore, ma
prima ancora i singoli salmi ricevono la loro interpretazione autentica, quale
Parola di Dio, nell'unità di quella raccolta che Dio stesso ispirò e consegnò prima
alla Sinagoga e quindi alla Chiesa.
I salmi hanno una loro unità nel Salterio. Ci rivelano il loro segreto proprio
nell'unità che essi hanno acquistato nell'opera ispirata. Il Salterio, secondo il
canone ebraico, si divide in cinque libri che corrispondono ai cinque libri della
Torah. Noi dobbiamo vedere quali sono questi libri e dobbiamo vedere che cosa
voglia dire questa divisione.
Il Salterio, nel canone cristiano della Bibbia, appare ancora diviso nei suoi
libri. Ma se la Bibbia porta questa divisione, in generale non vi si dà troppa
importanza. Dobbiamo allora attenerci a quella divisione? E in che essa consiste?
Oppure dobbiamo attenerci a qualche altra divisione?
Come per il libro del Proverbi, noi potremmo attenerci anche ad altri
criteri, oltre a quello proprio della tradizione ebraica; si potrebbe dividere
secondo le raccolte che hanno costituito l'opera definitiva. La divisione dei salmi
potrebbe farsi seguendo questo criterio, cercando cioè di individuare le singole
raccolte che hanno dato luogo alla raccolta definitiva. Secondo la Bibbia di
Gerusalemme, sarebbero tre queste raccolte: la prima va fino al salmo 41 e
questa prima raccolta si identifica anche con il primo libro della Bibbia ebraica.
Quello che caratterizza questa prima serie è che è formata dai salmi davidici, non
che tutti siano o debbano pensarsi composti da David, comunque sarebbero stati
tramandati, già nell'ebraismo antico, sotto il nome di David. A questa raccolta,
segue, secondo la Bibbia di Gerusalemme, una seconda, che va fino al salmo, 90
non compreso, ed è una raccolta piuttosto composita. Si deve all'ambiente
sacerdotale ed è opera di sacerdoti e di cantori. Tra questi salmi ci sono tuttavia
anche composizioni attribuite ad altri autori che non erano sacerdoti e non

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attendevano alla liturgia, ma furono inserite in questa raccolta precisamente
perché, pur essendo fondamentalmente una raccolta di composizioni liturgiche,
essa ha tuttavia riunito tutte le composizioni ispirate che avevano per tradizione
il nome di un presunto autore. Così tra questi salmi vi è un salmo attribuito a
Salomone e un altro salmo attribuito a Mosè, che è precisamente l'ultimo di
questa raccolta. Poi vi è l'ultima raccolta, dal salmo 90 al 150, che non porta il
nome degli autori dei salmi. L'ultima raccolta, in generale, è senza nome d'autore
anche se alcuni pochi salmi sono attribuiti a David e sarebbero quelli che non
erano entrati nella prima serie.
Come per la Torah, ci si potrebbe poi attenere al criterio dell'uso del Nome
e distinguere i salmi che danno a Dio il nome di Jahveh e quelli che gli danno il
nome di Elohim ed è questa una divisione che risponde ai criteri degli esegeti di
oggi. È vero, nei primi salmi Dio vien chiamato Jahveh, negli ultimi Dio si chiama
Elohim e si chiama ugualmente anche Jahveh: la divisione non è netta.
Queste divisioni non ci danno modo di penetrare nell'unità del Salterio. Se
Dio ha voluto raccogliere i salmi in un libro solo, i salmi hanno avuto un certo
ordine che è voluto da Dio; da questo ordine, di fatto, deriva l'unità del Salterio.
Riteniamo che sia più esatto dividere i salmi in cinque libri, secondo la
tradizione ebraica, perché gli altri criteri di divisione dipendono da una ricerca
filologica o storica o letteraria, che non tien conto della ispirazione divina.
L'ispirazione, certo, riguarda le singole parti di un libro, ma tanto più
riguarda il libro intero. Dobbiamo mantenere fermo questo principio che anche il
libro, come tale, nella sua unità, è ispirato. Dio ha ugualmente ispirato coloro che
hanno composto i singoli carmi e l'agiografo che li ha raccolti, così da dare
all'opera un'unità. L'unità del Salterio può anche non apparire: la composizione di
un libro nella tradizione ebraica non obbedisce certo ai criteri cui obbedisce la
composizione di un libro nella tradizione classica, tuttavia anche nell'ebraismo
risponde a un fine preciso, pure se meno evidente. L'ordine del Salterio già la
esprime sufficientemente: l'inizio e la fine di esso non sono fortuiti né casuali.
Il Salterio s'apre con il proporre due vie: la via dell'empio e la via del
giusto, ma termina nell'unica lode che sale a Dio da tutto il creato. Non la lode di
un uomo, di un popolo, ma la lode che sale a Dio da tutta quanta la creazione
rinnovata, da tutta quanta l'umanità redenta. Grosso modo già questo accenno
rivela l'unità di un disegno. Dobbiamo tuttavia considerarlo più attentamente,
perché il valore dei salmi nel loro insegnamento deriva necessariamente da
quest'unità. Per parte mia debbo dire che ho capito ben poco dei salmi finché non
ho letto l'introduzione di Chouraqui al Salterio. In nessun commento forse si è
stati fedeli e rispettosi dell'ordine che Dio aveva dato a questi canti. Si sono
strappati dal loro contesto per ristabilirli in un ordine e in un'armonia stabiliti
arbitrariamente dagli uomini e non dalla mente di Dio: L'esegesi vera per un
credente, il quale vuole rispettare l'ispirazione, non può esimersi dall'umile
dipendenza dal testo. Non possiamo trasformare le cose per far loro dire quello
che vogliamo. Lo scienziato quanto più dipenderà umilmente dalle cose, tanto più
sarà nel vero e così l'esegeta dipende dal libro quale la Chiesa glielo consegna.
Dal difetto di questa dipendenza negli esegeti si passa al difetto dèi teologi
che fanno della teologia biblica. In quanti manuali di teologia dogmatica si fa dire
a un testo di sant'Ambrogio, di san Giovanni Crisostomo più di quanto esso non
dica per appoggiare una tesi! La teologia patristica non si' fa sul modello
prestabilito della teologia di san Tommaso o della teologia post-tridentina:
occorre entrare nel mondo spirituale di ogni singolo padre. Una verità che oggi
nei manuali di teologia è un corollario, potrebbe essere invece centrale e
determinante nella teologia monastica: occorre entrare nel mondo di ogni
teologo e rispettare il suo mondo. La teologia di san Gregorio di Nissa non è la

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teologia di san Giovanni Crisostomo, né questa è la teologia di sant'Agostino.
Secondo i manuali, i Padri non farebbero che ripetere tutti il medesimo
insegnamento.
Così è per l'esegesi biblica. Si toglie al suo contesto e si mette ogni singolo
salmo in un altro ordine e si crede di poter costruire così una teologia del
Salterio. La sintesi dottrinale non può essere prestabilita; ogni volta che
studiamo un autore o un'opera entriamo ogni volta in un mondo diverso. La
teologia del Salterio è in gran parte stabilita dall'ordine stesso che hanno i salmi,
nell'unità stessa dell'opera. Strappare i salmi al loro contesto per catalogarli nel
vari generi letterari è compromettere, almeno in parte, il loro valore dottrinale, è
poi già rinunciare a riconoscere l'unità stessa del Salterio, del quale fanno parte.
Strappare i salmi al loro contesto per inserirli in una sintesi nuova, magari sullo
schema del Pater noster, che è la preghiera cristiana, è violentare il loro senso.
Si può dire che l'unità del Salterio è l'unità di un dramma che si svolge
attraverso i tre atti fondamentali che abbiamo determinato sopra: la guerra - i
metodi di guerra, chi è che combatte, chi è che è oppresso, chi è che sembra
essere vinto, quali sono le armi del male, quali sono le armi e i metodi del bene -
Il giusto sembra che debba essere sconfitto. Al contrario il secondo atto è il
giudizio di Dio, e nel giudizio di Dio l'annullamento del male. Colui che era povero
e disprezzato è l'amico di Dio, il giusto si era fidato di Dio e in Dio ora è salvato e
sussiste. Il terzo atto è la lode, la vita del regno messi-anico, la vita del mondo di
Dio.
Ma la lode divina è al termine del cammino, è la fine del dramma. Prima
della lode in cui si realizza l'unità del creato con Dio, il Salterio ci fa assistere
all'azione del male, del peccato, della morte, che in una rovina universale sembra
rendere vano il disegno di Dio. All'inizio, Dio è come assente dalla scena del
mondo, in cui sembra trionfare solo la potenza del male. Il primo atto di quel
dramma è in questa visione paurosa. La preghiera viva, umile di coloro che
sembrano essere abbandonati alla forza del male, introduce misteriosamente, ma
realmente, Dio nel cuore dell'azione e la presenza di Dio provoca il giudizio. Il
male è vinto, Dio regna; il povero, il giusto, colui che ha invocato il Signore ora
non hanno più che da riconoscere la potenza vincitrice di Dio nella lode.
Sono i tre atti fondamentali, attraverso i quali il Salterio non solo vede il
disegno divino di una storia del mondo, ma ci fa partecipare attivamente a
questa medesima storia.
Noi occidentali siamo troppo logici; il cammino della logica va dritto al suo
termine; il semita non è un logico, in lui il primato è della vita e la vita non
procede in un cammino continuo; il suo è un cammino complesso, non è mai
semplice.
Così per arrivare ad essere uomini, bisogna passare attraverso le crisi della
pubertà e della giovinezza. Anche la vita spirituale nel suo cammino sembra
passare attraverso delle involuzioni. Anche nella preghiera dal fervore si passa
all'aridità: diveniamo aridi come una pietra, secchi come un legno secco; non si
riesce più a dir nulla, non si riesce più a pensare. Siamo dunque perduti?
Probabilmente, al contrario, andiamo avanti: è così che si va avanti. In ogni vera
crescita passiamo attraverso numerose crisi, perché la nostra vita interiore, la
nostra stessa preghiera si possa approfondire, si purifichi, divenga meno legata
al sensibile e più spirituale.
È questo cammino che descrive il libro dei salmi. Fin dall'inizio questi carmi
ci parlano di un giudizio divino, fin dall'inizio l'anima è invitata alla lode divina e
tuttavia all'inizio grava soprattutto il potere dell'empietà, sembra essere dato al
male ogni potere: il povero, l'umile, chi confida in Dio è solo, come abbandonato,
le malattie lo torturano, le incomprensioni degli amici, i tradimenti, gli fanno

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sentire il peso della sua solitudine, la lontananza di Dio grava sopra di lui. La
preghiera è un grido di angoscia, è un lamento senza fine. Contro all'innocente,
al povero che prega, il mondo è coalizzato per opprimerlo e distruggerlo: tutto il
potere del mondo è in mano dell'empio, contro di lui. Questo esprimono in modo
particolarissimo i primi quarantuno salmi del Salterio.
È meditando questi salmi che si può capire che cos'è la vita dell'uomo che
si affida a Dio. La preghiera sale dall'abisso della sofferenza e dell'angoscia,
perché sono la sofferenza e l'angoscia dell'uomo che sembrano far presente Dio
nel deserto del mondo. Dire i salmi non è nulla, dobbiamo viverli e per viverli
bisogna conoscere questa condizione di pena.
Perché i salmi siano veramente la nostra preghiera occorre che siano la
nostra parola, l'espressione cioè di un'intima vita. Dobbiamo essere questi poveri
che implorano e non sembrano avere risposta. La parola dei salmi se deve essere
la nostra preghiera, deve essere anche l'espressione della nostra vita profonda
come della storia degli uomini.
Rimane vero che la vita spirituale, di cui i salmi ci dicono la dimensione
reale, se implica il senso della povertà umana, della sofferenza, ha il suo termine
nella lode di Dio: il cammino dunque va dall'abisso della dannazione umana alla
gloria luminosa di una lode divina, in cui la vita spirituale trova il suo
compimento. È nella lode che Dio si fa presente nell'universo e vive in noi la sua
vita. Non è Dio che riceve qualcosa dall'uomo, è l'uomo che nella lode divina
partecipa della vita del Figlio di Dio, che è la lode del Padre. Quando tutto
l'universo vivrà la lode a Dio, l'universo vivrà allora la vita del Figlio.
La lode di Dio è la stessa vita divina. Si loda Dio per quello - che siamo:
così il Verbo loda Dio per quello che è, egli infinito, come il Padre è infinito. Per
questo, lode conveniente, lode che risponde perfettamente alla perfezione del
Padre, è soltanto il Figlio unigenito. Pura lode il Figlio, perché il Padre totalmente
si contempla e riposa nel Figlio suo, Nella lode degli uomini e dell'universo,
l'universo e gli uomini vivono nel cospetto del Padre per essere in qualche modo
associati alla vita del Figlio. Ricevono la luce e rimandano la luce alla propria
sorgente. Vivono la vita divina e sono come l'ostensorio di Dio. L'uomo deve
esserlo già fino da ora, ma lo sarà perfettamente nel cielo.
La lode divina, come si esprime nell'ultimo salmo, è di fatto la rivelazione
della vita eterna, della vita di Dio che è traboccata nell'universo e non soltanto si
è effusa ma ha riempito, ha colmato tutti gli abissi, sicché alla fine non è più che
la luce. L'uomo sussiste, ma non dice che Dio. Questa vita è così bella che fa
anche paura; non rimane che Dio, ma un Dio che vive in tutti: e Dio sarà il tutto
in tutte le cose (I Cor. 15,28). Tutti sussisteremo, ma per non dire più che lui, la
sua vita; e la sua vita è una ed è immensa. Non è più che la luce, una luce
infinita.
Ma questa è la morte. Fra paradiso e inferno non c'è differenza; la
differenza è creata da noi: se noi amiamo e ci lasciamo devastare da questa luce,
noi vogliamo che Dio sia. L'uomo deve veramente morire a se stesso, deve
volere che il 'suo' io veramente venga meno per essere egli posseduto
dall'Amore. Se tu ami ti vuol donare, non vuol tenerti per te; ma l'amante
sussiste precisamente in questo dono continuo di sé a colui che ama; così l'uomo
sussiste nell'atto stesso onde vuole la sua morte e accetta il suo morire per
essere invaso eternamente dalla luce infinita di Dio.
Chi invece non ama, di fronte a questa luce ha paura, la odia, non la vuole
e tuttavia non la può respingere da sé. La luce è la morte dell'uno e dell'altro, ma
per l'uno è la morte gaudiosa nell'amore, per l'altro è la morte spaventosa
dell'odio, di chi respinge la luce e ne è accecato, distrutto. Egli non può sottrarsi
al suo morire e non vuole. Questa è la vita impossibile del dannato. Egli non

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potrà mai impedire a Dio di essere Uno, di essere 'Solo': così il dannato non vivrà
che la sua morte, senza vivere Dio, perché non lo ama.

La suddivisione del Salterio

Prima di procedere è necessario dire ora come si divide il Salterio secondo


la tradizione ebraica. La divisione è essenziale alla interpretazione stessa del
Salterio, anche se pochi sembrano riconoscere il suo valore e pochi ne parlano.
Il primo libro si estende dopo i primi due salmi di introduzione a tutto il
Salterio, fino al salmo 41. Il secondo libro contiene trentuno canti e va dal salmo
42 a tutto il 72; il terzo libro contiene diciassette salmi e va dal salmo 73 a tutto
il salmo 89. La divisione nei singoli libri coincide in gran parte con 'le raccolte'
che sono venute a formare il Salterio; ma la divisione ebraica ha un rapporto con
'le raccolte', solo perché queste già possedevano una loro unità.
Secondo la divisione data dalla Bibbia di Gerusalemme, la prima raccolta
aduna i primi salmi fino al salmo 41; la seconda raccolta comprende invece i
salmi dal 42 al salmo 89. Nella divisione ebraica del Salterio in cinque libri si
arriva al salmo 89 solo col terzo libro e tuttavia il primo termina col 41, e il terzo
libro col salmo 89. Vuol dire che la seconda raccolta si divide, secondo la
divisione ebraica, in due libri. La terza raccolta si divide ugualmente in due libri.
Il quarto libro contiene diciassette canti e va dal salmo 90 a tutto il salmo 106; il
quinto libro poi contiene quarantaquattro salmi e va dal salmo 107 a tutto il 150.
Per interpretare il Salterio ci sembra necessario mantenerci fedeli a questa
divisione; solo così si può capire cosa vogliano dire i singoli salmi nell'economia
dell'insieme.
Si potrebbe mantenere la divisione del Salterio secondo le raccolte che
sono venute a comporlo: anche se le ultime due .raccolte, nella divisione ebraica,
si compongono di due libri ciascuna. E tuttavia sembra più conforme alla
tradizione seguire la divisione che il giudaismo, prima ancora dell'era cristiana,
aveva compiuto. Il primo libro fino al salmo 41 insiste soprattutto sulla potenza
del male. Tuttavia col primo libro sono già presenti tutti i temi e tutti i generi
letterari propri del Salterio: non fa meraviglia che anche nel primo libro vi siano
dei salmi di lode che cantano la gloria di Dio.
Non c'è vita senza crescita, ma è il crescere di una medesima vita. Così fin
dall'inizio è presente, anche se nascosta, la lode; così fino - quasi - alla fine sarà
presente il male. Tuttavia all'inizio l'esperienza del male è predominante,
eccessiva, mentre verso la fine del Salterio, nonostante che il male si dimostri, di
quando in quando, efficace, è la lode di Dio che dona il suo vero tono e contenuto
alla preghiera.
Nei salmi, tranne uno solo, l'orante non si ritiene mai del tutto innocente.
Il male non è dunque tutto da una parte e il bene tutto dall'altra. Quello che
distingue i fedeli di Dio dai suoi nemici, non è il fatto che da una parte c'è tutto il
bene e dall'altra tutto il male; ma da una parte ci san gli uomini che sono per
Iddio e dall'altra ci sono gli uomini che sono contro di lui.
Troppo frequentemente trasformiamo la vita religiosa in una coscienza di
sufficienza morale. Non è detto che chi è religioso sia perfetto, anzi egli deve
accettare in precedenza di essere e di riconoscer si un peccatore. Quello che non
può accettare è di amare il suo peccato, di essere perciò contro Dio. L'uomo
invece è con Dio ed è per lui precisamente in quanto confessa il proprio peccato,
lo riconosce e implora il perdono. La realtà è complessa, i salmi sono la preghiera
dell'uomo concreto nella sua povertà.
L'uomo si riconosce in coloro che sono dalla parte di Dio e può far suo il
canto dei salmi in quanto preghiera, perché i salmi sono precisamente la

41
preghiera del peccatore. Non tuttavia del peccatore che ama il suo peccato,
perché, dal momento che prega, il peccatore non può che implorare il perdono, il
soccorso divino. Così, pur dovendo dire i salmi e perciò metterci dalla parte di
Dio, i salmi non ci danno nessun motivo di orgoglio, non conciliano, non
coltivano, non educano l'anima al fariseismo spirituale, per cui l'anima condanna
gli altri per dichiararsi ella sola giusta e innocente.
Nei primi secoli cristiani si riconobbe messianico il salmo 22, perché unico,
mentre avrebbe annunciato la passione, dichiarava l'innocenza del giusto
perseguitato. Invece tutti i salmi sono messianici perché in tutti è il giusto che -
parla, ma che, proprio perché giusto, si è fatto solidale con i peccatori e di tutti i
peccati si è addossato -la responsabilità dinanzi al volto del Padre.
Per questo anche in tutti i salmi è ogni uomo peccatore che parla; e in ogni
uomo che parla è il Cristo medesimo, perché si è fatto solidale con lui. Egli non
ha assunto soltanto la natura dell'uomo, ma anche la universale responsabilità
del peccato.
Il male, nei salmi, sembra doni ogni potere, e tuttavia questo potere non è
che vanità. Nel mondo in cui domina il male, Dio è come un di più: la vita del
mondo è apparentemente come il crescere pauroso del male, ma, proprio
crescendo, il male si distrugge da sé. Quando il male nel suo potere di
distruzione e di morte sarà giunto al massimo, allora il suo potere apparirà
vanità, nulla. Il suo potere è reale solo nella misura che si nutre del bene; nella
misura che non è ancora male puro, assoluto, ha una sua realtà, una sua
consistenza, ma via via che il male si libera da ogni alleanza col bene, esso
stesso vien meno. Rimane la povertà di chi era perseguitato ed oppresso, rimane
l'umiltà di coloro che si erano affidati a Dio nella loro preghiera ed hanno accolto
ora Dio nel loro cuore e Dio vive in loro.
Così cresce sì, il male, ma è proprio il suo crescere che, al contrario di
spaventarci, annuncia la sua stessa disfatta.

Inizio del cammino: l'esperienza universale del peccato

Il primo libro dei salmi, come abbiamo detto, va dal primo al


quarantunesimo salmo compreso. E si è detto anche che l'unità del Salterio non è
logica, il Salterio non descrive un cammino continuo, ma il processo di una vita,
anzi della Storia sacra del mondo. Tutti gli elementi di questa storia sono
presenti fin dal principio del Salterio, ma naturalmente alcuni elementi
prevalgono su altri.
Mentre all'inizio del Salterio 'è espressa l'angosciosa preghiera dell'uomo
nell'assenza di Dio, a:l termine l'angoscia è come definitivamente scomparsa:
non rimarrà allora che la pura lode nella presenza di Dio. La solitudine dell'uomo
non è totale, la sua notte non è piena; eppure quello che distingue il primo libro
è l'esperienza della notte. Il giusto sembra abbandonato. L'unica sua forza è il
suo grido, ma egli chiama un Dio che tace, che rimane in silenzio. La presenza di
Dio nel primo libro dei salmi, tranne poche eccezioni, è solo nella preghiera del
povero che chiama Dio, che nella sua innocenza conculcata vive una preghiera
che non ha risposta. Il mondo è tenebra, gli uomini sembrano strumento del
male. Di fronte alla moltitudine, uno solo: il povero, l'umile, il perseguitato,
sembra essere dalla parte di Dio. Paurosa, in questa angoscia del povero
perseguitato, l'assenza: Dio non parla. Il silenzio di Dio sembra autorizzare
l'empio, anzi tutto l'esercito del male, a proclamare che Dio non c'è (Sal. 10,4;
14,1; 53,1). Tre volte ritorna in questi salmi quest'espressione, ed è una sfida, è
un riconoscimento della vittoria del male che crede di aver già vinto, di essere
già in pacifico possesso del Regno. È una proclamazione ufficiale, è sicurezza di

42
chi crede di aver in mano ogni potere. L'universo è contro il giusto, contro il
povero, contro il pio che prega. Più paurosa ancora dell'assenza di Dio, sembra
questa presenza del male che non solo riempie l'universo del salmista, ma lo
domina.
Uno di questi salmi sarà quasi letteralmente citato da san Paolo, nella
lettera ai Romani, per definire lo stato del mondo prima del Cristo (cf. Rom. 3,10
- 12). È un mondo governato dal male. Neppure un giusto, uno solo. Dio ...
guarda dall'alto, ma Dio guarda soltanto dall'alto: non discende, non entra in
questo mondo abbandonato all'empietà e all'ingiustizia. Sembra che Dio non
prenda le difese del povero, di colui che lo prega;
I salmi non descrivono, ci danno la testimonianza di un'esperienza
religiosa. La vita religiosa in senso autentico, vero, in senso personale e
profondo, nasce da questa esperienza di notte, di solitudine, di angoscia. È la
notte fonda di un mondo che sembra esser precipitato nel caos, essere soltanto a
servizio del male. Com'è che il povero, com'è che l'uomo può rimanere fedele a
Dio? Miracolo in questa tenebra è proprio l'umile semplicità, la fedeltà
dell'oppresso che prega. L'unica presenza di Dio, in questa prima parte dei salmi,
sembra essere soltanto la preghiera del povero. Dio non è presente che nella
preghiera dell'uomo che lo invoca, lo chiama, in una preghiera ansiosa;
angosciosa che vuole forzare Dio a uscire dal suo silenzio. Ma Dio esce dal suo
silenzio solo in questo grido. Alla preghiera non risponde nessuno, perché già la
preghiera suppone l'intervento. In tutto questo buio, questo appello a Dio è
l'unica luce. Dio vive nell'agonia dell'uomo, nella sua speranza. La vita religiosa
inizia dall'esperienza del potere universale del peccato. L'orante è solo, in un
mondo di peccato. È solo perché, anche peccatore, Dio già lo ha separato dal
mondo del peccato e dell'impurità. Solo, egli ora non ha altra difesa che la sua
preghiera. Così si deve fidare di un Dio che tace, eppure è presente nel suo
cuore, è vivo nell'agonia che l'opprime. E l'uomo si affida a Dio nonostante tutto;
contro ogni apparenza, pur non ricevendo alcun soccorso sensibile tranne la
speranza che nutre la sua preghiera. È una cosa di una grandezza
impressionante già questa esperienza religiosa. Da una parte il potere del mondo
che è il potere stesso del male, dall'altra la debolezza della preghiera a un Dio
che sembra rimanere lontano. L'oppresso non ha alcun potere, il mondo gli è
nemico, gli uomini gli sono ostili; solo, disprezzato, conculcato. In due salmi del
primo libro, perfino Dio lo respinge, nemmeno Dio lo risparmia; perfino col peso
della sua ira Dio sembra voler pesare su lui e schiacciarlo. Ma Dio è in questa
preghiera dolorosa che tuttavia continua, in quest'umile fedeltà che non si
appoggia su nulla. Nessuna preghiera potrebbe essere più pura, più alta,
nessuna potrebbe esprimere un'adorazione più grande. E questa preghiera è la
parola più vera dell'uomo, quella che con maggior autenticità rivela il suo stato.
Del resto è difficile trovare una preghiera che esprima un'umiltà più grande, una
più pura fiducia.
Fin dall'inizio la preghiera dei salmi è la preghiera del Cristo e l'uomo la fa
sua soltanto nella misura che è in lui. Nella misura che è in Cristo, l'uomo di fatto
deve conoscere la solitudine della croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato? (Sal. 22,2). È questo il grido che risuona nel primo libro dei salmi
e ne dice di più il contenuto. Egli solo poteva gridare cosi, nella fedeltà al Padre,
nell'abbandono perfetto alla sua volontà, pur nell'esperienza più amara della sua
solitudine, nell'amore verso coloro che pur l'opprimevano da ogni parte. Solo il
Cristo poteva trasformare in un grido di preghiera la disperazione umana più
profonda, l'agonia senza conforto.
L'uomo che abitualmente non ha coscienza del suo stato non può far sua
questa preghiera; egli accetta l'assenza di Dio e cerca di sottrarsi al peso della

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sua solitudine, in una vita di dissipazione abituale e di superficialità. Ma chi vive
umilmente deve provare lo sgomento di una sua solitudine, deve provare a volte
lo smarrimento supremo: come se nulla fosse, come se nulla avesse senso. E Dio
ci chiede anche in questa solitudine, anche in questo sgomento di fargli credito,
di credere in lui, di rimanergli fedeli.
Quello che vuole la preghiera dei salmi è che l'uomo non voglia illudersi,
distrarsi da se stesso, ma viva in profondità questa esperienza di pena.
L'esperienza umana è la stessa esperienza del Cristo: Dio non ha assunto
soltanto la natura dell'uomo, ha assunto tutta la nostra vita e l'ha fatta sua. Non
vi è dolore, non vi è amarezza, non vi è terrore che egli non abbia conosciuto;
non ha conosciuto il peccato, ma ha sopportato tutto il suo peso.
Nel Salterio è il giusto che prega, ma il giusto si riconosce peccatore. E
cosi prega il Cristo perché si è fatto uno con l'uomo e attende ora che l'uomo si
faccia uno con lui, trasformando la sua agonia in preghiera. L'uomo può
trasformare la sua angoscia nella preghiera del Cristo, se vive realmente il suo
stato, la sua condizione umana. L'uomo deve essere consapevole della sua pena,
deve conoscere la gravità del suo stato ed è soltanto nel momento del pericolo
che lo minaccia che l'uomo può invocare l'aiuto. Come potrebbe pregare se non
realizza, se non ha coscienza del suo male? Se l'uomo vivesse realmente con
tutta la profondità di cui è capace, l'esperienza di ogni giorno, allora,
nell'esperienza di ogni giorno, vivrebbe l'esperienza stessa del Cristo; perché egli
solo, che è Dio, ha realizzato fino in fondo l'esperienza umana; egli solo l'ha
realizzata, l'ha vissuta fino in fondo non solo nella gioia pura di un'adesione alla
divina volontà, ma anche nell'agonia del Gethsemani, nella desolazione della
Croce. Egli solo si è gravato del peso, dell'angoscia del peccato; ha voluto
conoscere .il veleno dell'odio, tutto il potere del male.
I salmi prima di tutto ci richiamano a vivere in profondità la nostra umile
vita. Non vi è una vita umana tanto umile e dolorosa che non sia immensa,
perché la grandezza di una vita non si misura dagli avvenimenti ai quali l'uomo
può collaborare: anche la più umile vita ha una profondità abissale. Vivere un
nostro rapporto con il prossimo, vivere una nostra impotenza a realizzare la
presenza di Dio dovrebbe essere per noi motivo di gioia ineffabile e motivo di
tormento senza fine; ma noi viviamo superficialmente, senza prender coscienza
di nulla. Ci lasciamo portare dagli avvenimenti, viviamo al di fuori di noi. Vivere
per l'uomo è essenzialmente entrare in rapporto con Dio! Finché non vive questo
rapporto, egli ancora non è uomo. Può viverlo nella preghiera, può viverlo nel
rifiuto e nella bestemmia, solo, comunque, questo rapporto salva la sua
dimensione. Gli uomini, in generale, non vivono e per questo nemmeno sanno
pregare realmente. È nella preghiera che essi possono realizzare fino in fondo se
stessi. Sono nel peccato e non sentono il suo peso; il peccato li trascina giù, ma
soltanto quando la morte li avrà precipitati nell'abisso, si sveglieranno dal loro
letargo. Non realizzano né ciò che è lo stato di grazia né il loro peccato, ma non
realizzano neppure i valori umani nei quali pur dicono di credere: l'amicizia,
l'amore, la gioia. Perfino si son fatti insensibili alla sofferenza: l'unico che può
insegnarci a soffrire è Gesù. Egli non si è difeso: egli ha vissuto davvero la nostra
vita. Nel Cristo noi impariamo ad essere uomini. Nella preghiera dei salmi è lui
che veramente vive tutta la nostra vita e in questa medesima preghiera noi
stessi impariamo a vivere veramente la nostra vita.
La dimensione propria dell'uomo è il paradiso o l'inferno: non sono due
luoghi esterni all'uomo, sono piuttosto il suo stato definitivo, la sua dimensione.
Per questo l'uomo che vive davvero, non vive che la speranza della gioia divina o
l'angoscia che misteriosamente anticipa la pena del dannato. Ma anticipando
l'angoscia egli, oggi, si salva se la sua angoscia diviene preghiera.

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L'esperienza del male è così la prima grande esperienza religiosa. Nel suo
cammino l'uomo non ha altra luce che la fede, non ha altra forza che la speranza,
ma questa- speranza sembra non appoggiarsi su nulla e la fede non sembra
avere altra garanzia che la tenebra: ogni segno sembra scomparso: il segno è la
stessa preghiera dell'uomo se rimane fedele. 'E chi può dire la grandezza di
un'anima che in questa notte rimane fedele? Siamo troppo abituati al linguaggio
convenzionale della pietà. La parola di Gesù sulla Croce ci scandalizza: Dio mio,
Dio mio perché mi hai abbandonato? (Sal. 22,2). Forse non abbiamo il coraggio
di ripeterla; ci sembrerebbe di offendere Dio. Il salmista vuole che Dio non
dorma, che si risvegli. Il suo linguaggio sembra rasentare la rivolta. In realtà la
sua parola dice soltanto l'intensità della sua angoscia divenuta preghiera.
L'angoscia dell'uomo è immensa, senza scampo la sua rovina e Dio è come non
fosse. L'uomo deve rendere testimonianza; di che cosa? Non lo sa. Sembra che
egli renda testimonianza soltanto della sua angoscia, della sua solitudine. In
realtà rende testimonianza di Dio se l'angoscia, se l'oppressione in cui vive, si
trasforma per l'uomo in un appello. E la preghiera è testimonianza della presenza
di Dio sulla terra. L'uomo non deve pretendere un altro appoggio: Dio lo
soccorre, lo difende, lo ascolta dandogli precisamente questo potere. Come Dio
potrebbe liberare l'uomo quaggiù Se l'uomo si trova in, un mondo nemico?
L'unica difesa di Dio è quella di alimentare la fede di colui che prega, di non
permettere che venga meno la sua speranza, anche se sembra sempre delusa. Di
qui si parte il cammino dell'uomo verso la salvezza, verso il Regno di Dio.
All'inizio l'uomo conosce Dio nella misura in cui si sottrae, nella misura che
l'uomo non vede più nulla, non ha che l'esperienza della sua solitudine. Vivere in
profondità questa vita di fede, è ciò che vuole la preghiera dei salmi. A noi
questa preghiera sembra gratuita, non vera, perché non conosciamo
l'oppressione di un mondo ostile, non avvertiamo il pericolo che ci minaccia, non
ci sentiamo soli. Ci sembra che non sia necessario ordinariamente ricorrere a Dio
per essere salvati; eppure è vero che l'uomo, chiamato ad essere re della natura,
è estraneo alla natura, è vero che la storia stessa è estranea all'uomo. Egli si
sente come messo da parte, gli sembra che la storia si muova per impedire il suo
cammino, la sua realizzazione. Tutto sembra come affidato al caso e, quando
anche qualche cosa può andar bene, non riesce a capire perché, non riesce a
vedere un ordine, a riconoscere un disegno. Si sente affidato al caso come un
naufrago alla forza della tempesta. Che cosa può contro la forza del male?
L'uomo è in un mare agitato contro il quale vano è ogni suo potere. L'unico
potere dell'uomo è la preghiera, perché la preghiera trae Dio nella lotta. Dio si fa
presente quando l'uomo nella coscienza di una sua impotenza a resistere alla
forza del male, grida a Dio la sua angoscia e lo invoca. L'angoscia, la povertà
dell'uomo divengono il segno di Dio. Sembra strano che in un mondo creato da
lui, solo la povertà, l'umiltà, la sofferenza portino il segno di una sua presenza di
amore. Così dunque il peccato ha devastato la creazione di Dio? Noi sappiamo
che il dominio del male non è definitivo e totale. Eppure apparentemente lo è. È
come se Dio, cacciato dal peccato dell'uomo, ritornasse segretamente nel cuore
del mondo solo attraverso l'angoscia dell'uomo e l'umiltà della sua preghiera. Il
dominio del male non è definitivo e i salmi stessi ci dicono che il male serve ai
piani di Dio; ci dicono che il male invece di operare la rovina del giusto, non
opera che la sua stessa rovina. È una delle dottrine sulle quali insistono di più: il
male che l'empio, il fraudolento, il nemico voleva, è ricaduto su lui, ha scavato la
fossa e c'è precipitato; voleva la maledizione e la maledizione lo distrugge.
L'uomo non può in definitiva compiere il male se non a se stesso. Colui che è
oppresso, che è conculcato ha Dio dalla sua parte; chi opprime e conculca non
rovina che sé. Sembra che sia necessario che il peccato esaurisca tutta la sua

45
forza mortale: allora non rimane che Dio. Il male potrà sfogare tutta la sua
perfidia finché non si sarà esaurito, ma il male non potrà esaurire la pazienza e
l'amore di Dio. L'odio avrà pur sempre una fine, non è infinito come l'amore. Così
sembra opportuno che l'odio in qualche modo si sfoghi fino in fondo per essere
vinto.
La creatura non avrebbe conosciuto fino in fondo la realtà misteriosa
dell'amore divino e il potere della sua grazia se Dio non avesse permesso che
conoscesse prima la possibilità reale di male e di morte che essa portava in sé.
Permettendo al male di poter si sfogare, di potersi esprimere sino in fondo, nella
sua capacità di rovina, Dio avrebbe poi rivelato più splendidamente la
onnipotenza dell'Amore che salva. Dall'abisso più fondo egli avrebbe così
sollevato la sua creazione. È da questo abisso che sale la preghiera dei salmi. Ed
è questa l'esperienza fondamentale che ci dà il primo libro dei salmi. In questo
primo libro sembra che il potere del male non abbia misura. L'orante è oppresso
dal male: insidiato e perseguitato dagli empi, oppresso dall'angoscia e dalla
malattia, abbandonato da Dio. Il male si accanisce contro di lui, Dio stesso si
accanisce contro di lui. L'uomo che non ha scampo dagli elementi ed è braccato
dagli uomini, non ha, non trova rifugio; egli deve anche temere il furore di Dio.
Dio non perseguita il malvagio, il malvagio da se stesso rovina: ha scavato la
fossa, vi cade; la rovina che ha preparato, su di lui stesso ripiomba.
Se Dio infierisce, infierisce contro colui che lo prega. La condanna che
teme è il primo intervento di Dio in questo mondo di tenebra. Ma egli scarica la
sua ira - come dicono i salmi - contro colui che lo prega e nello stesso tempo lo
sostiene perché nella prova non debba venir meno in lui la speranza. L'unica luce
in molti salmi del primo libro è la preghiera, una preghiera di angoscia e di
umiltà. L'elemento primo della vita religiosa è la preghiera. Dio è presente nel
mondo del peccato e della morte perché è lui che fa possibile questo grido,
questo appello alla sua onnipotenza.
Ogni esperienza vera, autentica, si parte di qui: dalla coscienza che ha
l'uomo della sua condizione reale: il mondo è schiavo del male. La condizione
umana è condizione di pena, è condizione di miseria e di morte; l'uomo si sente
come straniero in un mondo ostile. Anche se non è totale né definitiva la
schiavitù del mondo nei confronti del male, il male ha tuttavia una sua
universalità che apparentemente s'impone. Dal cielo Dio guarda: non c'è chi
faccia il bene, neppure uno solo (Sal. 14,3). Da ogni parte dissolutezza,
ingiustizia, oppressione; ognuno è complice del male, ogni uomo affonda in
questa melma da cui solo l'onnipotenza divina lo può trarre a salvezza. Non vi
sono giusti e peccatori, ma coloro che negano e coloro che pregano Dio e
implorano il suo aiuto che li salvi.
È l'esperienza di una notte che sembra senza luce, Dio non è sceso ancora
in mezzo agli uomini; Dio sembra rimanere in cielo - eppure egli è già presente
segretamente nel cuore dell'uomo nella sua agonia. Sembra ignorare colui che gli
è fedele e lo prega. Ma non è così: Dio stesso prega nella sua preghiera. Che Dio
prega con lui l'uomo non lo sa, eppure in questa sua fede che vince la
disperazione, in questo suo grido che vince il silenzio, già Dio è realmente
presente. Dio non entra nella creazione devastata dal male, che attraverso
l'uomo che prega. Nella notte fonda, nel silenzio di morte che copre la creazione
intera, la preghiera di questo orante, che è peccatore come tutti, solidale con gli
altri nel peccato, è segno di una presenza, è il sorgere di una pallida luce. Contro
tutti i popoli un solo popolo, anzi contro la moltitudine del nemici, Uno solo che
prega: Uno solo, oppresso da tutti. Ma proprio questi, che è oppresso,
perseguitato, per tutti soffre e li salva.

46
IL PRIMO LIBRO dei salmi
L'INIZIO

La notte

I primi due salmi del Salterio

L'esperienza di cui rende testimonianza il primo libro dei salmi è l'assenza


di Dio nella persecuzione del giusti. Sembra, si è detto, che Dio si faccia presente
unicamente nella preghiera dell'uomo oppresso, perseguitato e che è dalla parte
di Dio. Non vi è giusto che non si senta anche colpevole, che non senta di avere
peccato; così alla persecuzione del nemici si aggiunge spesso, nell'orante, il
riconoscimento o il timore del castigo di Dio che lo punisce per le sue infedeltà.
Analizziamo più attentamente questo primo libro dei salmi. Mai la notte è
così fonda che non trapeli la luce; anche se Dio non interviene, però è tale la
fiducia del giusto perseguitato che prega, che egli anticipa già la vittoria e la
protezione divina. L'anticipa in una certezza assoluta, cosicché, pur nella pena,
pur nell'angoscia in cui vive, colui che prega realizza anche la vittoria futura di
Dio e in qualche modo la vive. Per essere però più fedeli al testo stesso ispirato,
conviene seguire più da vicino i salmi. Naturalmente non si può far qui un
commento di ogni singolo salmo, ma vogliamo mettere in luce quella unità che
deriva dal loro susseguirsi nel libro ispirato, per riconoscere i temi fondamentali
che appariscono e vengono sempre sottolineati dal cantore ispirato, come i
motivi fondamentali della sua propria vita, come l'esperienza sua più viva e
drammatica.
I primi due salmi sono in qualche modo a sé, così come è a sé l'ultimo
salmo del quinto libro.
I primi due salmi, cioè, sono un'introduzione a tutto il libro e già ne dicono,
come in un sommario, lo svolgimento futuro. Sono dunque questi due salmi che
debbono darci la chiave per la interpretazione di tutto il Salterio. Di fatto ne sono
come il sommario e sono anche l'espressione riassuntiva di tutta l'esperienza
religiosa di Israele, di tutta l'esperienza religiosa della Chiesa cristiana.

Salmo I
1 Beato l'uomo
che non va per il sentiero degli empi,
non si ferma sulla via del peccatori
e non siede in compagnia del beffardi;
2 ma nella legge del Signore pone il suo diletto
e nella sua legge medita giorno e notte.
3 Egli è come un albero trapiantato
sulle rive di un corso d'acque,
che dà frutto nella sua stagione
né mai ingiallisce le foglie:
tutto quello che fa conduce a buon fine.
4 Non così è degli empi, non così!
Sono come pula che il vento disperde:
5 perciò non resisteranno gli empi al giudizio,
né i peccatori nell' assemblea del giusti.
6 Ben conosce il Signore la via del giusti:
la via degli empi conduce a rovina.

Salmo 2

47
l Perché tumultuano le genti
e vane rivolte meditano i popoli?
2 Insorgono i re della terra,
i prìncipi cospirano insieme
contro il Signore e contro il suo Unto.
3 «Spezziamo le loro catene,
gettiamo via da noi i loro legami».
4 L'abitatore del cieli ne ride,
il Signore li beffeggia.
5 Poi parla loro nella sua ira
e col suo furore li atterrisce:
6 «lo ho unto il mio Re
sopra a Sion, monte mio santo».
7 «Promulgherò il decreto del Signore.
Egli mi disse: 'Figlio mio sei Tu,
oggi ti ho generato!
8 Chiedimi e ti darò in retaggio le genti,
in tuo possesso i confini della terra.
9 Li governerai con verga di ferro
come vasi di creta li stritolerai».
10 Dunque, o re, siate saggi,
lasciatevi correggere, o giudici della terra.
11 Servite il Signore con timore ed esultate,
con tremore baciate il Figlio,
12 affinché non si adiri e non smarriate la via,
quando ad un tratto s'accenderà la sua ira.
Beato ognuno che a Lui si affida.

I due salmi sono assai diversi nella ispirazione: il primo è sapienziale e il


secondo profetico; così, fin dall'inizio, l'ispirazione sapienziale e l'ispirazione
profetica appaiono la duplice sorgente di tutto il Salterio che raccoglie in sintesi,
come tutta la storia della rivelazione divina, così tutta l'esperienza religiosa di
Israele. Non si può dire che il contenuto del due salmi sia lo stesso, ma la
differenza fondamentale dipende soprattutto dalla ispirazione. Nel primo nessun
richiamo alla storia particolare della nazione, ai suoi istituti. II contrasto tra 'i
giusti' e 'gli empi' non li oppone in guerra fra loro, ma è stabilito dal diverso
atteggiamento degli uni e degli altri nei confronti della Legge. Certo, per Israele
'meditare la Legge del Signore' era vivere il proprio rapporto con Dio, ma la
mediazione della legge questo rapporto già lo faceva meno drammatico e
personale. Di fatto in questo primo salmo la vita religiosa è essenzialmente
adempimento di una norma, ha carattere etico; è più pura, più elevata che nel
salmo secondo, ma è certo meno viva, importa meno un rapporto con un Dio
personale, un rapporto dell'uomo con la nazione, con la storia, con gli altri. II
giusto e l'empio sembrano ignorarsi a vicenda. Come il giusto e l'empio si
definiscono soprattutto in rapporto alla legge indipendentemente dalla vita della
nazione, così la loro giustizia ed empietà non sembrano avere altro frutto che per
essi: per i giusti, la vita; per gli empi, la morte. Certo, il primo salmo è anche più
universale del secondo e sta bene all'inizio del libro, ma non dice l'esperienza
religiosa di Israele, in quello che questa ha di proprio.
II secondo è di ispirazione profetica; la differenza fra i giusti e gli empi qui
si fa opposizione radicale degli uni contro gli altri. L'empietà si esprime non
direttamente nel rifiuto della Legge di Dio, ma nella guerra che gli empi fanno a
Israele e all'Unto di Dio. Dio stesso prende parte personalmente a questa guerra

48
che coinvolge tutte le nazioni; la vita religiosa prima di essere una morale
individuale, si identifica così alla vita della nazione, ha la dimensione della storia.
Non solo liricamente il secondo salmo è più vivo, più grande del primo, ma dice
immensamente di più. Eppure l'uno completa l'altro e l'uno non può fare a meno
dell'altro, se l'uno e l'altro sono introduzione al Salterio. La vita religiosa in
Israele è essenzialmente legata alla vita della nazione, alla storia. Dio interviene
in questa storia. L'Unto di Dio è il Re messianico che realizza il piano divino in un
Regno universale. Ma come il primo salmo poteva mettere in ombra il carattere
di rapporto personale dell'uomo con Dio nella vita religiosa, così questo secondo
avrebbe potuto mettere in ombra il carattere etico di questa medesima vita. La
vita religiosa non si identifica con la storia della nazione eletta da Dio.
Qual è dunque il contenuto del Salterio? Indubbiamente rimane la
opposizione radicale tra i giusti e gli empi e l'annuncio di un giudizio futuro.
Nonostante che sembrino sedere sulla cattedra, gli empi sono come pula che il
vento disperde. I giusti invece si radicano, resistono; sembrano essere soppressi,
invece sono come albero piantato sulle rive dell'acqua che dà il frutto a suo
tempo, le sue foglie sono sempre verdeggianti. Il fatto che il vento disperda gli
empi e il fatto invece che il giusto sia come albero piantato, è in vista degli ultimi
versetti, nei quali si accenna ad un giudizio divino che ristabilisce le cose nei
confronti del primo salmo, che cosa ci dice il secondo? Sembra che non vi sia
alcuna parentela, alcun rapporto tra i due. Se invece i due salmi sono tutt'e due
introduzione al Salterio, il secondo non fa che chiarire il primo, anche se
immediatamente non appare. Intanto il secondo ci dice che la opposizione non è
soltanto in rapporto alla Legge, è una opposizione degli uni contro gli altri che
scatena una guerra. Non solo gli empi non hanno nulla in comune con i giusti,
ma si oppongono a questi nella guerra. La guerra è di tutte le nazioni contro
Israele, anzi contro il suo re che è l'eletto di Dio nei confronti degli empi il primo
salmo parla dell'uomo che medita giorno e notte la legge del Signore; nei
confronti delle nazioni che insorgono contro Dio, il secondo salmo parla al
contrario dell'Unto di Dio. Da una parte è la moltitudine e dall'altra Uno solo. Nel
secondo salmo tutto è trasportato sul piano nazionale. Non più i singoli, siano pur
moltitudine, ma tutte le nazioni contro uno solo: l'Unto del Signore. Quest'uno è
Colui che prega nei salmi. È sempre uno che parla. Chi è quest'Uno? È la
moltitudine dei giusti, è il popolo santo, è tutta la nazione d'Israele, ma nel suo
Unto. Tutto il popolo d'Israele è uno nel suo Re, come tutta la moltitudine dei
perseguitati è una nel Servo di Jahveh. L'unità è l'unità di tutti nel Cristo.
A me sembra che la esegesi di sant'Agostino, che non sapeva nulla di
ebraico, valga immensamente di più, sia più profonda dell'esegesi di chi, pur
conoscendo l'ebraico e tutte le lingue antiche, non afferra questa dottrina. La
chiave dell'interpretazione del Salterio, per Agostino, è precisamente questa: chi
parla nei salmi è Cristo, il Re messianico e, più ancora, il Servo di Jahveh che si è
caricato del peccato del mondo. In lui noi tutti preghiamo, è il Cristo, solidale con
noi, che implora il perdono per i nostri peccati. È uno che grida, che prega: è
oppresso dal male, è perseguitato, ma è l'eletto di Dio.
Il secondo salmo già ce lo pone dinanzi nel modo più decisivo, più pieno,
più forte. È veramente l'Uomo protagonista di tutto il Salterio, la cui unità deriva
dall'unità di Colui che, attraverso tutti i salmi, soffre e prega, vive la sua
passione, ma attende la protezione di Dio e la salvezza. La sua passione,
l'oppressione che subisce da parte degli empi si unisce alla certezza della vittoria,
si unisce alla certezza di una universalità di salvezza che da lui e per lui si
effonderà su tutta la terra.
La vita dell'universo è la guerra e la guerra ha le dimensioni del cosmo!
Tutte le nazioni cospirano insieme per andar contro l'Unto, contro il Re

49
messianico, che è Cristo. Questa guerra di tutte le nazioni contro di lui, nel suo
carattere universale, è il contenuto vero della vita del mondo, della storia degli
uomini. Nessuno di noi può far sua la parola dei salmi che in quanto egli diviene
una sola cosa con Cristo; e non vive quella parola che in quanto si sente segno di
tutto l'odio, di tutta la guerra che da ogni parte si muove contro l'Unto di Dio.
Tutte le nazioni, ci dice il secondo salmo, cospirano contro il Cristo, la guerra
tuttavia ancora non c'è. C'è uno stato di guerra; di fatto non c'è guerra, perché la
guerra suppone lo scontro di due nemici. E il salmo non conosce ancora lo
scontro reale.
Dio, che prende le parti dell'Unto, ride soltanto dal cielo e beffeggia;
l'unico atto per cui interviene è la proclamazione della elezione divina:
1 Figlio mio sei Tu
oggi io ti ho generato!
8 Chiedimi e ti darò in retaggio le genti (Sal. 2).

L'intervento di Dio è pacifico, egli non entra in guerra. Tutti vanno contro
di lui, egli non va contro nessuno: si afferma. Non vi è guerra guerreggiata. Tutti
combattono contro Dio e il suo Cristo, ma Dio non combatte contro nessuno: egli
rimane, egli è. Tutti possono scagliarsi contro Dio, tutti si scagliano anche contro
di te se tu sei dalla sua parte, ma tu non reagisci, ti affidi a Dio. E Dio prende le
tue difese non entrando in guerra, non intervenendo nella lotta, opponendosi
perciò ai suoi nemici, ma con una promessa che poi avrà il suo adempimento in
un giudizio futuro. Questa promessa che Dio fa all'inizio del Salterio giustifica la
speranza dell'orante, lungo tutto il Salterio.
Come potrebbe l'uomo, l'oppresso, confidare, se Dio non avesse
promesso? Così tutti i salmi dipendono dalle parole che iniziano il Salterio:

1 Figlio mio sei Tu


oggi io ti ho generato!
8 Chiedimi e ti darò in retaggio le genti,
in tuo possesso i confini della terra.
9 Li governerai con verga di ferro,
come vasi di creta li stritolerai (Sal. 2).

Sembra che l'Unto di Dio, quando sarà investito del potere, debba
combattere i suoi nemici. Così anche il Nuovo Testamento, nell'Apocalisse, ci
parla di Cristo. Di fatto, l'apparizione di Dio per sé, compie il giudizio e opera la
vittoria. Una volta che questa promessa si adempie, il male rovina, viene meno e
il Cristo regna. Il Regno dell'Unto di Dio non si distingue dal Regno di Jahveh; è il
Regno di Dio esercitato attraverso il Re messianico.
Non si dice che coloro che hanno composto questi salmi prevedessero
l'incarnazione del Verbo, tuttavia le parole dei salmi trovano il loro adempimento
pieno nell'incarnazione del Verbo. Non c'è distinzione fra il Regno di Dio e il
Regno di Cristo. I salmi della regalità messianica, dal 90 al 99, sono
precisamente il compimento della promessa che è all'inizio del Salterio. Il Regno
di Jahveh è il Regno del Re messianico: Dio e l'uomo sono uno. Non solo tutto
Israele si riassume nel suo Re, ma anche Dio e l'uomo sono uno: il Kyrios. I
salmi sono gli inni di guerra di Colui che è il Signore. Il Salterio fino dal secondo
salmo ha carattere messianico. Se tutto l'Antico Testamento annuncia ir Cristo,
non parla in verità di lui nessun libro più del Salterio. Prima di essere il libro della
preghiera di Israele, è il libro della promessa e della speranza messianica di
Israele. I salmi non sono espressione di alta vita morale e nemmeno
semplicemente di vita religiosa: Dio poteva anche dare un valore sacro, religiosa

50
alla nostra vita morale, indipendentemente dal nostro inserimento nel Cristo. Se
il tema fondamentale di tutto il Salterio fosse stato solo quello del primo salmo,
in realtà sarebbe stata questa la visione che ci avrebbe dato il Salterio: gli empi e
i giusti, e Dio che interviene in favore di questi, in rovina degli altri. Spesso
vediamo soltanto così la vita religiosa, ma non realizziamo allora il valore proprio
del Salterio che è quasi l'epopea lirica del Regno messianico, la vita e la
preghiera del Cristo che realizzano il Regno di Dio. Gli empi sono coloro che si
oppongono al Cristo e sono le nazioni della terra contro Israele. L'orante non è
altri che lui. Coloro che sono oppressi, i poveri sono anche peccatori e come
potrebbero essere dalla parte di Dio se il Cristo stesso non avesse assunto il
peccato del mondo? È meno la giustizia che l'umiltà, è meno l'ingiustizia che la
rivolta contro Dio che si affrontano. Il giusto oppresso è anche il peccatore che
implora il perdono.
A differenza di tanti altri libri dell'Antico Testamento non è solo il giusto
dalla parte di Dio, colui che nella sua legge medita giorno e notte (Sal. 1,2); non
è soltanto neppure l'Unto di Dio, è anche il peccatore che prega perché non è la
giustizia dell'uomo, come insegnerà poi il Nuovo Testamento, che mette l'uomo
dalla parte di Dio, ma l'assunzione che fa dell'uomo Dio medesimo in Cristo. Il Re
messianico è anche il Servo di Jahveh, l'Agnello che si carica dei peccati del
mondo. Per questo, non tanto in colui che si sente innocente, ma soprattutto nel
peccatore che prega è già misteriosamente presente il Cristo.
Colui che prega è giusto perché in lui colui che parla, anche se egli è
peccatore, è Cristo che si è fatto solidale con noi. Così in lui è veramente tutta
l'umanità che prega, una umanità che non rifiuta la difesa di Dio, che implora da
lui la salvezza.
Il Cristo dei salmi è il Re messianico cui sono date in retaggio tutte le
nazioni. È implicita già la dottrina del Corpo mistico: tutta l'umanità è una in lui,
parla per lui. Le nazioni che cospirano contro di lui, lottano contro l'Unto di Dio,
sono quelle che si ribellano al suo dominio. L'Unto di Dio non fa nulla, non
reagisce contro di loro; la reazione viene soltanto da Dio, il quale interviene nella
storia delle nazioni con il proclamare la regalità del Cristo. L'Unto è suo Figlio.
Così irreparabile diviene la sorte delle nazioni che vogliono sottrarsi alla sua
regalità.
Il destino del Re messianico praticamente è il destino stesso di Dio nella
vita del mondo. Dio interviene immediatamente con la proclamazione della
regalità di Colui che ha fatto suo Figlio; questa proclamazione è già annuncio di
un giudizio futuro, che è la condanna delle nazioni. Se la storia del mondo
sembrava essere la lotta delle nazioni contro questo Re, al termine tuttavia egli
regnerà su tutte le nazioni, stritolerà tutti i suoi oppositori, non rimarrà che il suo
Regno.
Quello che dice Ezechiele lo ripetono i salmi: non rimane che Israele, il
popolo di Dio; le nazioni sono destinate allo sterminio. Non sono destinati allo
sterminio i singoli uomini, perché i singoli vengono dalle nazioni, ma si
inseriscono nel popolo santo. Non sono salvi in quanto appartengano alle nazioni,
ma in quanto sono Israele, il popola del Re messianico. Al termine veramente
non sarà che il Regno del Cristo. Eppure Dio non si compiace di distruzione e di
morte. È il contrario che è vero. Tutto quelle che non è in lui, ha fine, ma tutto
dev'essere in lui (cf. Ez. 37,21,28).
Che cos'è vivere per gli uomini se non inserirsi nel Cristo? Per questo come
il Cristo ha voluto parlare per tutti noi, noi tutti ora dobbiamo far nostra la sua
parola. La preghiera dei salmi è il nostro primo inserimento volontario nel Cristo.
Per la nostra preghiera il Cristo stessa ara vive in noi ed è la sua presenza in noi
che ci riserba alla salvezza futura.

51
Dio è l'Unico. Rimane soltanto Dio, ma Dio che sussiste nella natura
umana assunta, perché l'incarnazione è eterna. E Dio si è fatto uomo e noi
diveniamo una sala cosa con lui, prima ancora che con i sacramenti, con questa
parola che egli ha assunto da noi perché con questa stessa parola noi potessimo
parlargli. La parala che è promessa di Dio diviene preghiera dell'uomo.
La supplica, l'implorazione è parola di Dio che si è fatto veramente uno con
noi, perché al termine del Salterio l'uomo lodi il Signore nella lode del Figlio di
Dio e al termine non sarà più un povero solo, ma tutto l'universo, fatto uno nel
Cristo, che innalzerà la sua lode a Dio.
La preghiera dei salmi che vuole la distruzione e la morte, la confusione e
la fine di tutti i nemici, è la preghiera che chiede il sussistere sola del Cristo.
L'uomo che prende le parti del povero oppresso, prende in realtà le parti stesse
di Dio. Non è prendere le parti di Dio non valere che Dio veramente sia
riconosciuto come egli è: santità pura e infinita. Prendere le parti di Dio vuol dire
desiderare, volere la distruzione di tutto quello che egli non è. E Dio nel Cristo si
è fatta uno non con gli oppressori e i nemici, ma con il povero perseguitato, con
l'Unto di Dio.
Così alla fine del Salterio, che suppone il giudizio nell'esercizio della
regalità di Dio, la creazione intera e gli uomini tutti non vivono più che la lede
divina. La dualità persiste nel rifiuto della creatura e del cosmo che si appongono
a lui fino a quando egli lo permetterà. È dualità di una creazione che non vuole,
che rifiuta e respinge la sua sottomissione a Dio, ma Dio non la sopporta, la
distrugge e con la sua presenza la consuma.
Questo dice il salmo seconda negli ultimi versetti, che sembrano terribili e
dicono soltanto l'esigenza infinita dell'Unità divina.

Il rapporto dell'uomo con Dio

L'investitura che canta il salmo secondo dà un capo all'esercito di coloro


che combatteranno le battaglie di Dio.
Il Re, l'Unto di Dio, colui precisamente che è consacrato per guidare il
combattimento, spesso potrà rappresentare da solo la parte di chi tiene per
Iddio: si identificherà con l'orante - non è questo il senso fondamentale della
attribuzione a David dei salmi, specialmente del primo libro? Si identificherà con
l'oppresso (salmi 21 e 68), ma apparirà anche come il re che guida a battaglia,
come il re che canta vittoria. Dopo il salmo secondo, sempre nel primo libro, i
salmi 20 e 21 sono rispettivamente la preghiera per implorare l'aiuto divino nel
combattimento e il canto di ringraziamento per la vittoria ottenuta.

Salmo 20
2 Ti esaudisca il Signore nel giorno dell'angustia,
ti difenda il Nome d'Iddio di Giacobbe.
……
5 Ti conceda quanto anela il tuo cuore
e compia ogni tuo disegno.
……
7 Ora so che il Signore dà la vittoria al suo Unto,
lo esaudisce dai suoi santi Cieli
col soccorso potente della sua destra.
8 Questi, nel carri e, quelli, nel cavalli;
noi, nel Nome del Signore Dio nostro, siam forti.
9 Essi ripiegheranno e cadranno,
noi resisteremo e rimarremo in piedi.

52
10 O Signore, salva il re
e ci esaudisci quando t'invochiamo.

Salmo 21
2 Signore, nella tua forza si rallegra il re;
e quanto esulta nella tua salvezza!
3 Hai soddisfatto la brama del suo cuore
e il voto delle sue labbra non gli hai negato.
……
5 Vita chiese da Te e Tu gli hai dato
lunghezza di giorni, secoli ed oltre.
6 Grande è la sua gloria nella tua salvezza,
decoro e maestà hai deposto su di lui.

Ma più grande di tutti i salmi reali in questo primo libro è il salmo 18. Il re
stesso canta la sua vittoria sui nemici in un inno trionfale che anticipa le sorti del
combattimento, che è tutta la vita dell'uomo, tutta la storia del mondo. Egli è il
povero nell'angustia che ottiene il soccorso divino; egli è il prode che sgomina i
suoi avversari, è colui che regna sui popoli stranieri. Si adempiono le minacce di
Dio ai popoli che si agitano contro il suo Unto nel secondo salmo, come si
adempie la promessa di Dio di un impero universale. Vi è certo un rapporto tra
questo salmo di David e il salmo secondo. Là era Dio che parlava e il salmista in
nome di Dio; qui è il re stesso che canta il compimento dell'oracolo:

Salmo 18
2 T'amo, Signore, mia forza!
Signore, mia rupe, mia fortezza, mio liberatore,
mio Dio, mia rocca, in cui mi rifugio,
mio scudo, mio corno di salvezza, mio asilo.
3 Degno di lode proclamo il Signore
e dai miei nemici son salvo.
5 Flutti di morte mi avevano avvolto,
torrenti di Belial mi avevano spaventato,
6 le funi dello Sceòl mi avevano avvinto,
lacci di morte mi avevan sorpreso.
7 Nella mia angustia chiamai il Signore,
al mio Dio gridai.
Sentì dalla sua vasta dimora la mia voce
e il mio grido innanzi a Lui gli giunse agli orecchi.
8 E la terra si scosse e tremò,
traballaron le basi del monti,
sussultaron perché Egli era adirato.
……
15 Scoccò le sue frecce e li disperse,
fulminò le sue folgori e li mise in rotta.
16 Si vide allora il fondo del mare
ed apparvero le fondamenta dell'Universo,
dinanzi alla tua minaccia, o Signore,
allo spirar dell' alito delle tue nari.
17 Tese dall'alto la sua mano e mi salvò,
mi ritrasse dalle grandi acque.
18 Mi liberò da un nemico potente,
da miei avversari ch'eran più forti di me.

53
19 Volevan sorprendermi il dì di mia sventura,
ma mio sostegno si pose il Signore.
20 Egli mi trasse fuori al largo,
mi salvò, perché in me si compiace.
……
32 E chi è Dio se non il Signore?
E chi è rocca se non Iddio nostro?
33 Dio, che mi cinge di vigore
e rende immacolata la mia via,
34 che dà ai miei piedi l'agilità delle cerve
e immobile mi rende sui dirupi,
35 che mi addestra le mani alla battaglia
e tendon l'arco bronzeo le mie braccia.
36 Tu mi dai lo scudo della tua salvezza
e la tua destra mi sostiene
e la tua condiscendenza mi fa grande.
38 Inseguo i miei nemici e li raggiungo
e non me ne ritorno finché non li ho vinti.
39 Li abbatto, né possono più rialzarsi,
cadono sotto i miei piedi.
……
43 E li frantumo come polvere in faccia al vento,
come fango di strada li calpesto.
44 Tu mi liberi da discordie di popolo,
mi metti a capo di nazioni,
popoli a me sconosciuti mi servono,
45 con orecchio attento mi ascoltano.
I figli dello straniero mi corteggiano.
46 I figli dello straniero diventano fiacchi
e tremano uscendo dalle loro fortezze.
47 Viva il Signore e benedetta la mia Rupe!
Sia esaltato Iddio di mia salvezza,
48 il Potente che a me dà le vendette
e mi assoggetta i popoli!
49 Tu che mi liberi dai miei nemici,
anzi al di sopra del miei avversari m'esalti,
da l'uomo di violenza mi fai scampare.
50 Perciò ti loderò, Signore, fra le nazioni
e canterò un inno al tuo Nome,
51 che fa grandi le vittorie del suo re,
che concede la sua benevolenza al suo unto,
e David e alla sua progenie in perpetuo.

Il salmo è certo uno dei più belli di tutto il Salterio, per splendore di
immagini e vigore drammatico, ma soprattutto, quasi all'inizio di tutto il Salterio,
è l'anticipazione profetica di tutto il processo, non tanto della vita spirituale del
singoli, quanto piuttosto della Storia sacra del mondo che termina nella unità di
tutte le nazioni sotto il potere del Re messianico. Di questa storia l'attore
principale è Dio stesso che prende la parte del re e dà forza ed efficacia di
vittoria al suo combattimento contro i nemici. Il suo Regno, come assicura la
pace universale dei popoli, così assicura la lode di Dio, ultimo atto in cui consuma
la vita dell'universo redento.

54
Come il salmo 18, così altri salmi del primo libro, vogliono anticipare
l'azione e la soluzione che sarà via via cantata lungo tutto il Salterio. La parola di
Dio, già nn dall'inizio, ha e rivela in sé la potenza di tutto lo sviluppo della vita
spirituale che da essa dipende, come il seme in potenza è già l'albero futuro. Così
la vita spirituale nn dall'inizio annunzia la direzione, il cammino e la meta che
l'anima dovrà conseguire, se sarà fedele alla grazia, se si lascerà plasmare dalle
mani di Dio che sono, secondo sant'Ireneo, la Parola e lo Spirito. Per questo non
tutti i salmi del primo libro hanno un tono drammatico, anzi proprio in questo
libro vi sono alcuni fra i salmi più luminosi e sereni, dal respiro ampio e solenne.
A una alta pace contemplativa ci solleva il salmo 8, che canta con linguaggio di
inimitabile sobrietà l'opera della creazione e la grandezza dell'uomo. Al Re
messianico ora subentra l'uomo semplicemente, ma l'uomo della creazione avanti
il peccato che riceve la vocazione di esercitare il dominio su tutte le creature,
come luogotenente di Dio. Così il Re messianico sarà il Nuovo Adamo che
eserciterà questo potere in una creazione rinnovata e liberata dal male.

Salmo 8
2 O Signore, Signor nostro,
quanto è grande il tuo Nome per tutta quanta la terra:
hai posto su i Cieli la tua magnificenza!
3 Sulla bocca dei fanciulli e del lattanti
hai stabilito una lode contro i tuoi nemici
per far cessar l'odiatore e il vendicativo.
4 Quando contemplo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle, che vi hai disposto ...
5 che cos'è l'uomo, ché ti ricordi di lui,
o il figlio dell'uomo ché Tu ne debba aver cura?
6 Eppure Tu l'hai fatto per poco da meno d'Iddio,
l'hai coronato di gloria e maestà,
7 gli hai dato il dominio dell'opera delle tue mani,
ogni cosa hai posto sotto i suoi piedi,
8 i greggi e tutti quanti gli armenti,
e anche gli animali della campagna,
9 gli uccelli del cielo e i pesci del mare
e tutto ciò che percorre le vie dell'oceano.
10 O Signore, Signore nostro
quanto è grande il tuo Nome per tutta quanta la terra!

A questo salmo risponderà, con più larga ispirazione e con canto più
preciso, il salmo 103. L'uomo non vive solo nella storia, ma è al centro della
creazione intera. Il Salterio canta il rapporto dell'uomo, di tutta l'umanità con
Dio, ma vede realizzarsi questo rapporto in una creazione rinnovata che è
rivelazione della gloria di Dio ed è insieme il regno dell'uomo. Quando dunque
l'opera dell'uomo, nel realizzare il disegno di Dio, sarà per compiersi nella lode
cosmica che conclude il Salterio, si celebrerà di nuovo la magnificenza della
gloria divina che risplende nella creazione su cui regna l'uomo.
Un altro salmo anticipa la fine del Salterio. È il salmo 19 in cui si celebra la
creazione e la legge divina: A questo salmo risponderà l'Hallel finale (salmi 14 6 -
150). Che vuol dire il rapporto e la continuità che vengono sottolineate tante
volte nel Salterio fra il Dio della Creazione e il Dio dell'Alleanza? Questa
continuità viene magnificata soprattutto in questo salmo, nel salmo 89 e nel
salmo 147. Il Re messianico che porterà a compimento le promesse di Dio a
Israele è davvero il Nuovo Adamo che ritorna a dominare la terra. Il Regno

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messianico è il Regno stesso universale di Dio creatore che si esercita attraverso
l'uomo, il figlio di David - la legge che Dio ha dato a Israele è la legge stessa che
governa la creazione, la promessa di Dio a Israele è una promessa di pace non
solo per la creazione, ma per tutta la terra; non solo per gli uomini, ma per gli
elementi. Così la salvezza di Israele sarà, al termine, la salvezza della creazione
intera.
Attraverso l'uomo, attraverso la storia d'Israele tutta la creazione
raggiunge il suo compimento e il compimento di tutto sarà la lode di Dio.

Salmo 19
2 I cieli narrano la gloria di Dio
e le opere delle sue mani proclama il firmamento.
3 Il giorno racconta al giorno il messaggio,
e la notte rivela alla notte la conoscenza.
……
8 La legge del Signore è perfetta,
ricrea l'animo:
l'insegnamento del Signore è sicuro,
istruisce il semplice.
……

Come nel salmo 8 è celebrato il primato dell'uomo sulla creazione, così nel
salmo 19 Dio si fa presente nella gloria della creazione, ma più ancora nella luce
della legge e la rivelazione e la presenza di Dio divengono per l'uomo motivo di
lode.
Il salmo 15, celebrando la vocazione dell'uomo all'intimità divina, detta le
leggi e indica la via che dovrà condurre l'uomo a dimorare nel monte santo (Sal.
15,1). Il salmo 16 poi, è già una delle testimonianze più pure di questa intimità:
Dio è veramente la gioia, la vita dell'uomo. A questo si può unire il salmo 23: Dio
è il pastore che guida l'uomo: lo conduce a verdi pascoli, a fresche acque: lo
introduce, ospite gradito, nella sua casa. Il salmista si vede nella luce di una
felicità inenarrabile che dura tutta la vita. In questi ultimi salmi non sono che
l'uomo e Dio, il rapporto diviene intimo e personale. Si può dire che questi salmi
sono l'espressione di una religione personale che raramente in tutto il Salterio
raggiungerà questa purezza. Gli uomini quasi non appaiono, non sono comunque
presenti. Il mondo degli uomini sembra essere solo il mondo del peccato e del
male. Perché l'orante possa conoscere la gioia, bisogna dunque che si senta
lontano dagli uomini? Bisogna che dinanzi alla bellezza del creato egli possa
dimenticarli e dimenticare la sua vita con loro? Vero è che la sua fiducia in Dio, la
sua intimità con il Signore può, a volte, far prorompere chi prega in un magnifico
canto vittorioso di ogni timore come nel salmo 27:

Il Signore è mia luce e mia salvezza:


di chi avrò timore?
Il Signore è baluardo di mia vita:
di chi avrò paura?
……
3 Anche se un esercito si accampasse contro di me,
il mio cuore non teme;
se una guerra si levasse contro di me,
anche allora sarei tranquillo.
……

56
È come se in questi salmi si anticipasse, all'inizio del Salterio, la meta del
cammino. Così di fatto il cammino ha da questi salmi iniziali la sua direzione e la
certezza intima di poter raggiungere la meta.

La preghiera, atto di abbandono

I salmi che abbiamo considerato sono come una parentesi. Se dobbiamo


riprendere l'analisi del Salterio dobbiamo prima di tutto ricordare che chi parla
nei salmi è Cristo, in quanto Re di una nazione, capo di tutta un'umanità che egli
assume come suo corpo. Il salmista ancora non lo sa, ma già nella sua voce è
Cristo che si fa presente: prima ancora di nascere dalla Vergine, egli parla
attraverso la preghiera di ogni giusto, di ogni. oppresso, di ogni peccatore.
Il giusto che prega è solo, in un mondo di peccato; l'oppresso subisce
violenza da tutto un mondo che gli è contrario, anzi nemico; il peccatore già si
separa dal suo peccato per il fatto che prega e implora la clemenza di Dio.
Soprattutto colui che prega è solo e subisce violenza. Dio proclama la elezione
del Re messianico e con la promessa del Regno fonda la speranza dell'orante, del
giusto perseguitato, del peccatore pentito. Qual è l'atto del giusto e
dell'oppresso? Egli reagisce alla violenza, con la preghiera. Un altro ancora è
l'atto del giusto, di colui contro il quale imperversa il male del mondo. Ogni uomo
nel Cristo lo vive. L'atto del giusto perseguitato è il suo sonno. Se egli sta con gli
occhi aperti, lo prende la paura. Di contro al male scatenato contro di lui, che
cosa può? Povera creatura, per sé non avrebbe altro da offrire che il suo terrore.
Ma egli si abbandona a Dio. È quanto dicono, dopo i salmi d'introduzione, il terzo
salmo e il quarto. La preghiera è l'atto di un abbandono pieno di pace: l'uomo si
abbandona nelle mani di Dio, si abbandona alla potenza divina che lo salva. Il
primo atto che l'uomo è chiamato a compiere è quello dunque di abbandonarsi in
Dio per lasciar fare a lui, perché è a Dio che è riservata la vittoria, come a lui è
riservato il giudizio.

Salmo 3
2 Signore, come son numerosi i nostri nemici,
quanti son quelli che insorgono contro di me!
3 Quanti son quelli che dicono a me:
«Non c'è salvezza per lui nel suo Dio!»
4 Ma tu sei scudo, Signore, a me d'intorno,
Tu la mia gloria, Colui che mi fa levar alta la testa.
5 Il mio grido innalzo al Signore
ed Egli mi risponde dal sacro suo monte.
6 lo mi corico e dormo, poi mi risveglio,
perché il Signore mi protegge.
……
Perché lo protegga, l'uomo si abbandona a Dio nel sonno. Nel suo risveglio
egli già può riconoscere la protezione del Signore. È una cosa così semplice e così
bella! Lo stesso insegnamento nel seguente salmo 4.

2 Quand'io grido, esaudiscimi,


o Dio di mia giustizia!

E così termina il salmo:

9 In pace, appena mi corico, io m'addormento,


perché Tu solo, Signore, in sicurezza mi fai riposare.

57
Alla guerra che gli fanno i nemici l'orante oppone il riposo. Al male dei
nemici che da ogni parte stringono, che da ogni parte lo assediano, ai nemici che
cospirano contro di lui, egli oppone il riposo tranquillo nelle braccia di Dio,
l'abbandono sereno alla provvidenza divina. E la protezione sarà tanto più
grande, quanto più grande sarà il suo abbandono, più profondo il suo sonno.
Questa legge sarà ripetuta in uno dei salmi più belli del Salterio, che la
Chiesa recita frequentemente; è il salmo 127 che non appartiene al primo libro,
ma è bene richiamare dopo i salmi 3 e 4:

Se non è il Signore che costruisce la casa


invano ci si affaticano i costruttori:
se il Signore non custodisce la città,
invano veglia la guardia.
2 È inutile che vi alziate prima di giorno,
che tardi andiate a riposo,
e mangiate un pane di dura fatica:
tanto Egli concede ai suoi diletti nel sonno (Sal. 127).

Il sonno diviene la preghiera più efficace: Dio dona liberamente, senza


misura, a coloro che si affidano a lui: questa è una delle leggi fondamentali di
quella vita che il Salterio ci insegna. L'uomo crede che sia tanto difficile il
combattimento spirituale! Quello che il Signore ci chiede è dormire. L'unica forza
dell'uomo, che è dalla parte di Dio, è precisamente la sua fiducia. Vien meno ogni
forza, nel giusto, nella misura che vien meno la sua fede nell'aiuto divino.
L'insegnamento non è proprio soltanto del Salterio, è proprio anche del profeta
Isaia ed è di tutto il Nuovo Testamento. La fede biblica non è solo l'adesione
dell'intelligenza a una verità rivelata, ma è soprattutto l'abbandono dell'essere a
Dio. ‘Credere alicui' vuol dire affidarsi a qualcuno, credere a Dio vuol dire
abbandonarsi 'al Signore. È questa fede l'atto fondamentale della vita religiosa.
Il linguaggio dei salmi, che sembrava così paradossale, diviene espressione
di una dottrina comune che noi tante volte abbiamo sentito ripetere. La fede in
Dio .è la forza dell'uomo. Come potrebbe resistere l'uomo alla guerra che gli fa il
demonio, tutto l'inferno, che gli fanno tutti i nemici di Dio, se non nella fede? E la
fede è precisamente fiducia, abbandono a Dio, anche se egli sembra tacere,
anche se egli sembra essere assente. Dio non anticipa mai il suo aiuto, ma te lo
dona nella misura che ti sarai affidato e ti sarai fidato di lui. Di fatto virtù
fondamentali sono le virtù teologali, che sole ci mettono in rapporto con Dio, ma
la carità pura è soltanto del cielo, e la fede non vive nell'uomo che mediante la
speranza che tende all'amore. La speranza, così, è la virtù della vita presente che
ci mette in cammino verso Dio. E Dio compie la salvezza dell'uomo che a lui si
abbandona, crede alla sua onnipotenza al suo amore. L'uomo potrebbe pensare
di dover combattere da solo, di dover da solo scalar la montagna che lo porta a
Dio, invece egli è portato; è Dio che compie ogni cosa. L'atto dell'uomo è fiducia,
è abbandono di cui, in fondo, è espressione la stessa preghiera: certezza di
vittoria da cui deriva anche la gioia, pur nelle difficoltà e nel tormento di una vita
contrastata e contesa. L'uomo non deve credere che la notte, l'assenza di Dio,
sia senza luce. Vi è una gioia per l'uomo che vive quaggiù nel tormento e
nell'angoscia, la gioia di sapersi protetto da Dio: certezza che anticipa in qualche
modo l'esperienza stessa della vittoria futura. Per questo i salmi, anche se
iniziano con un linguaggio di angoscia, di pena, terminano quasi sempre in un
respiro di pace. Alcune volte, anzi, in un grido di vittoria, di esultanza, anzi di
gioia.

58
È bene dire, a questo proposito, che quello che distingue l'esperienza
religiosa d'Israele e del cristianesimo, è precisamente l'esultanza, la gioia. Nella
religione islamica è profondissimo il senso di Dio, non certo meno che
nell'ebraismo e nel cristianesimo, e tuttavia sembra che manchi la gioia; viva è il
senso dell'adorazione, assente la gioia. Ma Dio si è ingaggiato con noi; egli non
vive nella solitudine della sua trascendenza infinita: interviene nella vita degli
uomini, fa suo il loro destino, compie il giudizio. Già in Israele Dio scende in
mezza al suo popolo, già si fa solidale con l'uomo che prega. Ecco perché non
l'adorazione soltanto distingue la vita religiosa dell'uomo, ma la sicurezza
dell'aiuto divino e, per questa sicurezza, la gioia. Dio promette la vittoria, egli
assicura la gioia.
I salmi rendono testimonianza del tormento e dell'angoscia dell'uomo, ma
sono anche testimonianza di pace. Pur nell'angoscia, pur nell'agonia, come Gesù
nel Gethsemani, l'anima vive la pace e anche, paradossalmente, la gioia. Dio è
con noi. Anche se egli non ci volesse dare, almeno immediatamente, la salvezza,
non sarebbe già motivo di gioia il fatto che Dio prenda le nostre parti e si faccia
presente nella nostra vita? Tuttavia la presenza di Dio nel primo libro dei salmi è
soprattutto nella preghiera del povero, dell'oppresso, egli è solo contro un mondo
ostile e malvagio. L'esperienza fondamentale dell'orante è la sua solitudine. Dio
un giorno ristabilirà la giustizia, quando Egli verrà. Il tema del giudizio di Dio
suppone oggi la guerra e la persecuzione degli empi, suppone la visione di una
malvagità universale. Non c'è un solo giusto.

4 Dice l'empio nella grandezza del suo orgoglio:


«Dio non domanda conto, Dio non c'è» (Sal. 10).

Insolenza e massacro: sembra che al male sia lasciato agni potere di agire.
In questo mondo di violenza e di frode, non sembra esservi posto per Iddio.
L'empio può dichiarare la morte, l'inesistenza di Dio:

Dice in cuor suo l'insensato: «Dio non c'è».


Si son corrotti, commettendo abominio;
non c'è chi faccia il bene.
2 Il Signore dai cieli guarda sui figli dell'uomo
per vedere se c'è chi ha senno, chi cerca Iddio.
3 Tutti han traviato, tutti si sono corrotti:
non c'è chi faccia il bene,
neppure uno solo!
4 Ma non comprendono questi operatori d'iniquità
che divorano il popolo mio, come si mangia il pane,
e non invocano il Signore?
5 Tremeranno allora di spavento,
perché Dio è con la schiatta del giusti (Sal. 14).

La visione che il salmista ha del manda umana è spaventosa. Non regna


che l'ingiustizia, la tracotanza, l'odio. Non vi è altra legge che la morte. In questa
monda chi si mette dalla parte di Dio non può conoscere che l'oppressione, il
disinganno, il terrore, il tradimento, la morte:

2 Salvaci, Signore, perché non c'è più un uomo pio,


è scomparsa la lealtà fra i figli dell'uomo.
3 Ognuno parla il falso al prossimo suo,
accenti di lusinghe parlano con animo doppio. (Sal. 12)

59
I nemici. Dio è presente solo nella fede

Già col quinto salmo entrano in lizza i nemici. La forza contro l'uomo che
prega si esprime in tutta la sua violenza fin dal salmo 5 e continua quasi in tutti i
salmi seguenti.

10 nella loro bocca non c'è sincerità,


il loro interno è malizia,
sepolcro spalancato è la loro gola,
blanda la loro lingua.
11 Condannali, o Dio, disperdi i loro propositi,
cacciali via, per i loro molti misfatti,
poiché a Te furon ribelli (Sal. 5).

Dio e l'oppresso sono uno solo: a Te furon ribelli. Di fatto questi nemici
non vanno direttamente contro Dio, ma contro l'Unto, contro l'orante, ma
precisamente andare contro l'orante è già andare contro Dio. Quando l'uomo si è
appellato a Dio, Dio prende le sue parti; non si tocca ora l'orante oppresso, senza
toccare Dio. Tuttavia nel salmo 5 se entrano già in lizza i nemici, non si vede
ancora chiaramente la loro forza, il loro livore. Uno dei salmi in cui il furore
dell'odio, lo scatenamento del male è più drammaticamente descritto è il salmo
10:

1 Perché Signore, te ne stai lontano


e al tempo dell'angustia Ti nascondi?
2 Per la tracotanza dell'empio è angariato il povero
ed è preso nelle insidie che lui gli tende;
3 poiché l'empio si gloria dei desideri dell'anima sua,
e, cupido, maledice ed insulta il Signore.
4 Dice l'empio nella grandezza del suo orgoglio:
«Dio non domanda conto, Dio non c'è».
Ecco tutti i suoi pensieri.
5 Stabili sono le sue vie in ogni tempo,
lontani dal suo cospetto i tuoi giudizi,
disprezza tutti i suoi nemici.
6 Dice in cuor suo: «Non sarò mai smosso;
di generazione in generazione non avrò alcun male».
7 La sua bocca è piena di maledizioni, d'inganno e di violenza,
sotto la sua lingua c'è malizia e iniquità.
8 Sta in agguato dietro ai recinti,
nei nascondigli massacra l'innocente,
i suoi occhi spiano il misero.
9 Insidia dal nascondiglio, qual leone dalla tana,
insidia per assalire il misero,
assale il misero dopo averlo attratto nella sua rete,
10 che, percosso, stramazza;
cadono così nel suoi artigli i miseri.
11 Dice in cuor suo: «Iddio dimentica,
nasconde la sua faccia, non si accorgerà di niente».
12 Sorgi, Signore, alza la tua mano, o Dio!
non dimenticare i miseri!
13 Perché l'empio bestemmia Iddio

60
e dice in cuor suo che tu non punisci?
14 Ma Tu vedi, perché volgi lo sguardo su l'affanno e il dolore
per porli nella tua mano. In te s'abbandona l'infelice,
Tu sei il soccorso dell'orfano.
15 Spezza il braccio dell'empio e del perverso,
fa vendetta della sua iniquità, finché più non si trovi!

Porterebbe troppo lontano il discorso se noi volessimo studiare questo


salmo per vedere come viene presentata la guerra, la persecuzione del nemici
contro il giusto e l'orante. Dobbiamo invece accennare soltanto agli altri temi
che, fatti presenti, indicati appena nei primi due salmi, si orchestrano in
magnifica sinfonia poi lungo tutti i trentanove salmi che seguono a questi due
primi. Bisognerebbe considerare, per esempio, come Dio si nasconde, cioè
l'assenza di Dio come tema dominante del primo libro dei salmi. Dio sembra
esser presente soltanto nella fede e nella preghiera dell'uomo. Di fatto sembra
che alla fede egli manchi. Per quanto riguarda l'esperienza religiosa dell'uomo
che vive, Dio dorme. Il giusto, l'orante, nel suo abbandono al sonno, manifesta la
sicurezza della sua fiducia; ma anche Dio sembra dormire. Dio è lontano ed è
notte. E l'orante chiama, alza il suo grido, per svegliare questo Dio che non
ascolta. Parlano della notte non solo i primi salmi (3,4,17), ma anche il salmo 6.
La parola è rotta dall'angoscia; chi prega passa la notte nel pianto. Perseguitato
dai nemici di fuori, l'orante si sente anche abbandonato all'interno da Dio; anzi è
soprattutto il silenzio di Dio la sua pena più grande, tanto più che egli si sente
colpevole. Fino a quando (Sal. 6,4) Dio vorrà abbandonarlo al terrore di sentirsi
l'oggetto del suo furore?

Salmo 6
2 O Dio, nel tuo corruccio non punirmi
e nello sdegno tuo non castigarmi.
3 Abbi pietà di me, Signore, languisco,
guariscimi Signore, perché mi tremano le ossa. 4 Tutta tremante è pure
l'anima mia:
e Tu, Signore, fino a quando ... ?
5 Ritorna, Signore, libera l'anima mia,
salvami, per la tua misericordia.
6 Dopo la morte non c'è chi ti ricordi,
non c'è nello Sceòl chi canti le tue lodi.
7 lo sono stanco del mio lungo gemere, bagno di pianto,
ogni notte, il mio giaciglio, inondo di lacrime il mio letto.
8 Si consuma per cordoglio l'occhio mio
e invecchia fra tanti miei nemici.
9 Via da me voi tutti operatori d'iniquità,
poiché il Signore ha udito la voce del mio pianto;
10 ha udito, il Signore, la mia invocazione,
il Signore accoglie la mia preghiera.
11 Arrossiscano e sian molto confusi i miei nemici
voltin le spalle e siano svergognati all'istante.

Anche nel salmo 18 ritorna la notte:

3 Tu hai provato il mio cuore,


Tu l' hai visitato la notte.

61
Tutta la vita presente è la notte in cui svolge il combattimento disuguale.
L'universo è contro il giusto che reagisce solo con la preghiera e con l'abbandono.

Nell'orante è il Cristo che prega

La preghiera più alta, più appassionata di tutto il primo libro dei salmi, è
indubbiamente quella che il Cristo ha fatto sua nel momento più angoscioso della
sua passione. Nessun altro salmo più del 22 riassume nella preghiera dell'orante
tutti i motivi e i temi del primo libro. Non solo esso si trova nel mezzo del libro,
ma è anche veramente centrale e dominante. Dio è lontano, come assente;
sembra avere abbandonato al potere del male colui che lo prega:

2 Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?


Lontano dalla mia salvezza
son le parole del mio lamento.
3 Mio Dio, grido di giorno, e non rispondi;
di notte e non ho conforto.
……
7 Ma io sono verme e non uomo,
vituperio della gente e obbrobrio del popolo.
8 Quanti mi vedono si fan beffe di me,
storcon la bocca e tentennano il capo:
9 «Si è rivolto a Dio, lo liberi Lui,
lo salvi, giacché lo, ama».
10 Sì, sei Tu che mi producesti dal ventre,
che mi rendesti fidente sulle mammelle di mia madre.
11 A Te fui porto fin dalla matrice,
dal seno di mia madre mio Dio sei Tu.
12 Non ti allontanare da me, perché l'angoscia è vicina
e non c'è chi mi aiuti.
13 Molti tori mi circondano,
i robusti (tori) di Basan mi accerchiano,
14 spalancano le loro gole contro di me,
come un leone che sbrana e ruggisce.
15 Mi sono disciolto come l'acqua,
si sono slogate tutte le mie ossa,
il mio cuore è come cera,
si strugge fra le mie interiora.
16 Arido come un coccio è il mio pala!o,
attaccata alle fauci è la mia lingua;
come polvere di morte Tu mi hai ridotto.
17 Poiché dei cani mi circondano,
una turba di scellerati mi si stringe addosso;
mi hanno traforato mani e piedi;
18 posso contare tutte le mie ossa.
Mi guardano e godono nel vedermi;
19 si dividono tra loro le mie vesti
e tirano a sorte la mia tunica.

Prima di essere il re che in nome di Dio realizza l'unità della creazione e


l'unità di tutti i popoli per la lode divina, l'uomo è colui che è gravato di tutto il
péso del dolore e ne è come schiacciato. Nell'orante è il Cristo che prega, ma il
Cristo è presente in questo primo libro dei salmi come il Servo del profeta Isaia

62
che assume tutta la umana: responsabilità del peccato nel suo castigo di
sofferenza e di morte. Il mistero dell'universale dolore non ha ancora risposta,
eppure rimane preghiera che una divina speranza solleva. E il salmo termina con
la meravigliosa visione e promessa di una redenzione universale. È evidente che
quest'ultima parte del salmo si ispira alla grande profezia del deutero Isaia (Is.
53).

23 Annunzierò il tuo Nome ai miei fratelli,


Ti loderò in mezzo al!' assemblea.
24 «Voi che temete il Signore, lodatelo,
voi tutti, prole di Giacobbe, onoratelo,
temetelo voi tutti, prole d'Israele;
……
27 Si ciberanno i poveri e saranno sazi,
loderanno il Signore coloro che lo cercano,
vivrà il loro cuore per sempre!
28 Se ne ricorderanno e si convertiranno al Signore
tutti i confini della terra,
e si prostreranno dinanzi a Te tutte le famiglie delle genti.
29 Poiché al Signore appartiene il regno,
ed Egli dominerà su le genti.
30 Mangeranno e si prostreranno
gli opulenti della terra,
a Lui s'inchineranno
tutti quelli che scendono nella polvere.
E l'anima mia per Lui vivrà.
31 Una stirpe Lo servirà e parlerà del Signore
alla generazione ventura
32 e annunzierà la sua giustizia al popolo che nascerà:
«Questa è l'opera del Signore!».

Questo salmo, più di ogni altro, come ha per tema l'angoscia, così ne
rivela il senso. Il male del mondo, la sofferenza del povero sono il prezzo di una
redenzione, ne sono già l'inizio sicuro in quanto divengono preghiera. La
malvagità, degli empi, la loro sete di sangue; proprio in quanto si sfogano, non
sono ancora una vittoria del male: nel dolore, nella stessa morte che provocano,
divengono condizione alla preghiera angosciosa del perseguitati, degli oppressi,
del poveri, una preghiera che inizia il cammino aspro e difficile della redenzione.
Ma non vi è altra luce per ora, in questo mondo dei salmi, che la preghiera. Dio
sembra assente. La sopraffazione dei beffardi, dei negatori di Dio, di tutti gli
iniqui è come notte in cui si eleva il grido della preghiera e tuttavia la preghiera è
animata già dalla certezza della vittoria.

Il grido dell'orante diviene elegia

È vero che diversi salmi sapienziali in questo primo libro non hanno il tono
drammatico che è, proprio del salmo decimo riportato sopra, è vero che altri non
sembrano conoscere l'opposizione dell'empio, la persecuzione dei malvagi contro
il giusto, ma non si può negare che il tema fondamentale di questo primo libro
dei salmi sia l’angoscia divenuta preghiera. Per questo, come si diceva, il salmo
che meglio caratterizza il primo libro è il salmo 22 che abbiamo riportato.
Lo stato di ansietà, l'oppressione, il tradimento, la malattia, il senso del
pericolo, della morte imminente, variamente si esprimono nella preghiera

63
concitata, nella supplica, nel grido che invoca aiuto, nell'abbandono umile a Dio.
Dal salmo 25 al salmo 41, quasi senza soluzione di continuità, la preghiera è
testimonianza di dolore, di paura, di lotta.
Il salmo 25 è di ispirazione sapienziale. L'insegnamento che dà, tuttavia, è
tradizionale: Dio è con coloro che lo temono, li guida nel loro cammino, largisce
facilmente il perdono, li ricolma di beni, li ammette alla sua intimità. La fiducia in
questa dottrina dà alla preghiera di colui che si sente misero e solo, accenti vivi
di umiltà:

16 Volgiti a me ed abbi di me pietà,


poiché solo e misero sono.
17 Le angosce del mio cuore si son moltiplicate,
liberami dalle mie tribolazioni,
18 osserva la mia miseria e la mia pena,
perdona tutti i miei peccati
19 Guarda come son numerosi i miei nemici,
e con quale odio violento mi odiano.
20 Difendi l'anima mia e salvami
ch'io non debba arrossire d'aver sperato in Te.

L'orante del salmo 26 è colui che l'introduzione al Salterio diceva beato,


protetto da Dio; ora invece si sente minacciato e invoca la protezione divina:

Rendimi giustezza, Signore,


perché cammino nella mia innocenza,
confido nel Signore e non vacillo.
4 Non m'assido coi menzogneri,
né coi finti m'accompagno.
5 Detesto l'assemblea dei malvagi
e con gli empi non dimoro.

Più accorata e drammatica la preghiera del salmo 28. Il giusto è in piena


lotta e Dio sembra muto:

A Te grido, Signore, mia rocca,


non startene muto verso di me,
ch'io non diventi, se taci,
simile a quei che scendono nella fossa.
2 Ascolta la voce delle mie preghiere,
quando grido a Te,
quando sollevo le mie mani
verso i penetrati del tuo Santuario.
3 Non mi rapire insieme cogli empi,
insieme coi malfattori,
che parlan da amici col prossimo,
ed hanno la malizia nel cuore.
……

Dio dunque non fa differenza? unico è il destino di tutti? Quasi il medesimo


grido sale a Dio nel salmo 30:

9 A te, Signore, io grido,


al mio Dio chiedo pietà.

64
10 Qual vantaggio per Te, versare il mio sangue,
se io scendo nella tomba?
Ti loderà forse la polvere,
o proclamerà la tua verità?
……
Il salmo 31 non è più soltanto un grido di preghiera: il salmista ci descrive
l’impari lotta col male: tutto, tutti sono contro di lui: i nemici, i vicini, i
conoscenti. Il terrore lo assedia da ogni parte, la morte gli sta sopra. Ma se egli
continua a pregare non gli rimane ancora Dio?
……
10 Abbi pietà di me, Signore, perché sono in angustia
e per cordoglio si consuma il mio occhio,
l'anima mia e le mie viscere;
11 ché nel dolore si spegne l'anima mia
e i miei anni, nel pianto;
si affievoliscono le mie forze per la mia miseria,
e si consumano le mie ossa.
12 Son d'obbrobrio a tutti i miei nemici,
ai miei vicini un peso, ai conoscenti orrore:
chi m'incontra per via mi scansa.
13 Son destinato all'oblìo del cuore, come un morto:
son come un vaso che perisce.
14 Ascolto i, mali propositi della folla,
il terrore è all'intorno;
si adunano insieme contro di me,
congiurano di togliermi la vita.

Ma nel salmo 32 la prova dei salmista diviene ancora più grave: Dio stesso
pesa su lui:
3 Mentre io tacevo si consumavano le mie ossa
nel mio continuo grido lamentoso,
4 poiché giorno e notte pesava su di me la tua mano,
il mio vigore s'inaridiva come ai caldi d'estate.

Più deciso al combattimento più fiducioso nell'aiuto divino e nella Vittoria è


l'orante nel salmo 35. Il salmo è canto di battaglia che anima ed esalta le
potenze dell'uomo alla lotta e provoca l'intervento di Dio in suo favore:

Assali, Signore, coloro che. mi assalgono


fa guerra a quei che mi fan guerra,
2 Prendi lo scudo e l'egida
e sorgi in mio aiuto.
3 Sfila la lancia e sbarra il cammino
in faccia ai miei persecutori.
Di all'anima mia: «La tua salvezza son lo!»
4 Siano confusi e coperti d'ignominia
quelli che cercano l'anima mia!
Voltino le spalle e siano svergognati
quelli che meditano la mia rovina!
5 Siano come pula in preda al vento,
mentre l'angelo del Signore li incalza.
6 Sia il loro cammino tenebroso e lubrico,
mentre l'angelo del Signore li insegue.

65
7 Poiché senza ragione mi hanno teso un tranello,
senza ragione hanno scavato una fossa all'anima mia.
8 Li sorprenda improvvisa rovina,
il tranello che hanno teso li accolga,
e cadano loro nella fossa che hanno scavato.
……
11 Sorgono testimoni violenti:
ciò che ignoro esigon da me.
12 Mi rendono male per bene;
desolazione per l'anima mia!
13 Eppure, io, quand'erano infermi, vestivo in cilicio,
affliggevo col digiuno l'anima mia,
e pregavo chinando il capo sul seno.
14 Come per un amico, per un fratello, mi rattristavo,
mesto e curvo andavo, come in lutto per una madre.
15 Ma ora che vacillo, si rallegrano;
si radunano in folla contro di me,
mi percuotono senza perché,
mi lacerano senza posa.
16 Quali empi irrisori mi hanno deriso,
digrignano i denti contro di me.
17 Signore, fino a quando vedrai Tu questo?
Libera l'anima mia dalla loro rovina,
l'unico mio bene da quei leoni.
……

L'empio può credere di essere solo, di avere ogni potere sui giusti, di poter
fare il male senza ostacolo, senza che Dio debba intervenire e impedire. Gli è
data via libera? Dio regna sovrano, ma sta troppo in alto perché l'empio se ne
debba preoccupare.

Salmo 36
2 Oracolo d'iniquità (è questo) per l'empio: «In fondo al mio cuore
non c'è timor di Dio
davanti ai suoi occhi».
3 S'illude infatti ai propri occhi
di poter raggiungere il suo delitto
impunemente e odiare.
4 Le parole della sua bocca sono iniquità e inganno;
egli rifiuta d'intendere per operare.
5 Medita l'iniquità sul suo giaciglio,
si dirige per ogni via non buona,
non disprezza affatto il male.

Anche nel salmo seguente l'empio non è semplicemente colui che nega
Dio, non ha timore di lui, ma precisamente colui che perseguita il giusto e trama
insidie contro di lui.

Salmo 37
……
12 L'empio trama contro il giusto
e contro di lui digrigna i denti.
……

66
Il salmista è come abbandonato davvero a se. stesso. Su lui infierisce
l'odio dei malvagi, contro di lui complottano gli empi, cercano la sua vita. E Dio
tace - anzi sembra allearsi con gli empi nel gravare la sua mano sul giusto. Non è
la benignità di Dio che egli esperimenta, ma il terrore della sua collera. In verità
se è odiato dai malvagi, non per questo si sente dalla parte di Dio: anch'egli ha
coscienza di un suo peccato. Questa coscienza del peccato è importante. I buoni
e i malvagi non sono divisi. Non vi sono buoni. Il cammino della vita spirituale si
inizia col riconoscimento dei proprio peccato. Colui che prega non è il giusto che
non ha peccato, ma il peccatore che implora il perdono. È dalla parte di Dio
precisamente perché sa di meritare un castigo, ma implora un aiuto. Di fatto egli
sembra avere contro di sé il cielo e l'inferno. La sua situazione è estremamente
dolorosa e drammatica. Egli prega, e Dio rimane muto; egli prega, e Dio non
dona un aiuto. La preghiera angosciosa rimane senza risposta:

Salmo 38
2 Signore, non mi punire nella tua collera,
e nel tuo sdegno non mi castigare;
3 poiché le tue frecce sono penetrate in me
e si è gravata su di me la tua mano.
4 Niente vi è d'intatto nella mia carne per il tuo furore,
né pace nelle mie ossa per il mio peccato,
5 poiché le mie colpe sorpassano la mia testa,
e, qual pesante fardello, gravano su di me.
6 Puzzolenti e marce sono le mie piaghe
a causa della mia stoltezza.
7 Sono ricurvo, prostrato oltre misura
e tutto il giorno me ne vo vestito a lutto.
8 I miei lombi son pieni di bruciore,
niente d'intatto vi è nella mia carne.
Sono sfinito e fiacco oltre misura,
urlo più del ruggito d'un leone.
10 Signore, ogni mio desiderio è a Te davanti
e il mio gemito a Te non è nascosto.
11 Mi batte forte il cuore, l'e forze mi abbandonano,
anche il lume degli occhi mi vien meno.
12 I miei amici, i miei compagni stanno lontani dalla mia piaga
e i miei familiari si tengono in disparte.
13 Tendono lacci coloro che mi attentano la vita,
non pronunciano che minacce quei che cercano la mia rovina.
Ogni giorno tramano insidie
14 ed io come un sordo non ascolto,
come un muto, non apro la bocca:
15 son diventato come un uomo che non sente
e non ha repliche sulla sua bocca.
16 Poiché in Te, Signore, io confido,
risponderai Tu, Signore, mio Dio,
17 perché penso: «Che non abbiano a godere di me
e, quando il mio piede vacilla, non insolentiscano sopra di me».
18 Sono infatti sul punto di cadere
e mi sta sempre davanti il mio dolore.
19 lo confesso la mia iniquità
e sono inquieto per il mio peccato.
20 I miei nemici son vivi e potenti

67
e numerosi san quei che mi odiano a torto.
21 E coloro che mi rendono male per bene
mi sono ostili perché seguo il bene.
22 Non mi abbandonare, Signore,
o mio Dio, non star lontano da me.
23 Accorri in mio aiuto,
o Signore, salvezza mia.

Nessun altro salmo, dopo il 22 e il salmo 10, è così caratteristico del primo
libro. Ma il libro termina tuttavia in un tono meno drammatico, quasi l'orante si
sia placato e composto: il grido diviene elegia. II lamento, nel salmo 39, è
confessione di peccato, come il salmo 32, come soprattutto il salmo 38, sono
testimonianza di solitudine umana, ma anche di umile confidenza in Dio che non
abbandona. L'ultimo salmo è il 41.

……
5 lo esclamo: «Signore, abbi pietà di me,
risana l'anima mia, perché ho peccato contro di Te!»
6 I miei nemici imprecano contro di me dicendo:
«Quando morirà e perirà il suo nome?»
7 Se qualcuno viene a visitarmi non parla che falsità,
il suo cuore accumula in sé malevoli disegni;
e, quand'è fuori, tosto ne parla.
8 Tutti i miei nemici sussurrano contro di me,
contro di me fanno funesti presagi:
9 «Un male d'inferno si è abbattuto su di lui,
ed ora ch'è allettato, non potrà rialzarsi».
10 Anche il mio amico, in cui confidavo
e che mangiava il mio pane,
ha alzato il calcagno contro di me.
11 Ma Tu, Signore, abbi pietà di me;
fammi alzare, perché io Dio loro il contraccambio.
12 In questo conoscerò che Tu mi ami:
se il mio nemico non trionferà su di me.
13 Così mi sosterrai per la mia innocenza
e Tu m'accoglierai per sempre al tuo cospetto.

II libro si chiude con queste parole, che non sono tanto imprecazione
contro i nemici, quanto preghiera che invoca un intervento divino, che Dio
all'orante il segno della protezione di Dio. L'orante è solo. Anche gli amici lo
hanno tradito. E tuttavia egli sa che Dio è con lui. Anche se Dio tace, non può
dubitarne. Disprezzato, oppresso, tradito dagli uomini può dire: in questo
conoscerò che Tu mi ami ... (Sal. 41,12). Quale parola! Non è appena la
speranza nell'aiuto di Dio che sostiene la sua preghiera, ma l'umile certezza di
essere amato. Non vuole soltanto una difesa, ma aspira a vivere nel cospetto di
Dio. La lotta che eo-li deve subire, l'oppressione, la persecuzione, il tradimento
sono forse l'occasione per l'anima di rifugiarsi in Dio, di aspirare, al di là di
questa lotta presente con gli uomini che dura tutta la vita, alla intimità col
Signore?

L'obbedienza dell'orante

68
Tuttavia non sembra questa l'ultima parola a proposito di questi salmi nel
quali la preghiera è invocazione e la sofferenza umana si esprime in linguaggio di
allucinante violenza. Quasi al termine del primo libro è un salmo straordinario
che non solo richiama il salmo 22, ispirato, almeno come noi lo abbiamo, ai canti
del Servo di Jahveh, ma sembra voler dare un senso a tutti i salmi che lo
precedono e rendono testimonianza di tanta pena e dolore. La sofferenza di cui
sono il grido, non è semplicemente la sofferenza umana universale, è il sacrificio
del Servo di Jahveh, sacrificio che sostituisce gli antichi sacrifici e, solo, è
veramente efficace.
La lettera agli Ebrei metterà sulle labbra del Cristo la parola centrale di
questo salmo 40 (cf. Ebr. 10,5 - 7). Gesù viene nel mondo per compiere un
sacrificio che finalmente plachi la maestà divina e realizzi l'Alleanza dell'uomo
con Dio.

7 Di vittime e di offerte non ti sei compiaciuto,


mi hai aperto gli orecchi:
olocausti e sacrifici per il peccato non domandi.
8 Allora io ho detto: «Ecco, io vengo!
Nel rotolo del libro è stato scritto per me
9 ch'io faccia la tua volontà:
mio Dio, io lo voglio
e la tua legge è al centro del mio cuore».
10 Ho annunziato la tua giustizia nella grande assemblea,
non ho tenute chiuse le mie labbra,
Tu ben lo sai, Signore.
L'atto dell'obbedienza di colui che prega è compimento di una missione nel
riguardi di tutta l'assemblea.

11 Non ho tenuto la tua giustizia nascosta


in fondo al mio cuore,
ma la tua verità, la tua salvezza ho proclamato.
La tua bontà, la tua fedeltà non ho celato
in mezzo alla grande assemblea (Sal. 40).

IL SECONDO LIBRO dei salmi (42 72)


LA GIOVINEZZA

Il mattino

Il cammino dell'uomo

Quello che distingue in modo particolarissimo il primo libro dei salmi è


l'esperienza della notte. L'uomo vive, nella coscienza del suo peccato, l'angoscia
della sua solitudine, l'oppressione del nemici, il terrore della morte. È vero, Dio è
presente, ma presente soprattutto nell'abbandono, nella preghiera di colui che lo
invoca. Vi sono delle pause di dolcezza e di gioia in quest'atmosfera notturna,
pause in cui l'anima si apre alla contemplazione di Dio e anticipa, in qualche
modo, la gioia di una sua comunione con lui. Ma quello che distingue di più il
primo libro dei salmi è l'angoscia di una solitudine umana, il senso di una
desolazione profonda. L'anima è sola; Dio non è presente dinanzi all'anima, si fa
presente nella fede che infonde, si fa presente nella speranza che alimenta,
nonostante tutte le colpe, nonostante tutti i disastri, le rovine; le desolazioni
interiori, le guerre e le lotte che deve sopportare dal di fuori. Ma la fiducia

69
dell'anima che prega non si può separare dall'angoscia presente; come l'angoscia
non può separarsi dalla certezza della futura vittoria di Dio, nel giudizio che egli
compirà quando apparirà sulla terra. I salmi terminano con la certezza di un
intervento divino. Anche se questo intervento è rimandato, è immancabile; Dio
apparirà e i suoi nemici saranno sgominati; il giusto che avrà preso la parte di
Dio, il peccatore pentito che a lui si sarà affidato, nella vittoria di Dio saranno
salvati, in confronto degli empi che saranno dispersi come la pula, in confronto
del malvagi, che saranno distrutti, essi sussisteranno; perché quelli hanno
cercato la vanità non possono raccogliere che vanità, perché hanno cercato la
morte non possono ottenere che la morte, ma i giusti vivranno.
Il secondo libro non dimentica del tutto questo stato, non supera, non
trascende quest'esperienza del senso e l'orante non conosce più ora l'angoscia di
prima, ma questa esperienza nel secondo libro s'arricchisce, si fa più profonda e
anche più luminosa. E questo è il primo insegnamento che ci danno i salmi: non
si supera mai nulla, nella vita spirituale. Certo, cresce la vita, ma cresce, con la
vita, ogni sua esperienza. La vita si arricchisce, si approfondisce, si dilata.
Indubbiamente alla notte succede la luce, la luce dell'alba, la luce, finalmente,
anche del piena meriggio, nel santi; ma se alla tenebra succede la luce, non
succede ancora alla fine la visione, non succede ancora alla speranza il possesso
e non succede alla lotta una pace sicura.
Alla guerra, di cui rende testimonianza il primo libro, non succede una
vittoria definitiva, che non conosce sconfitte. Al contrario, mentre nel primo libro
non vi è nessuna testimonianza di sconfitta e di rovina, nel secondo libro appare
anche la sconfitta, vi è l"esperienza del disastro. Il procésso di un'anima nella
vita spirituale non è continuo, senza smarrimento; è come il processo della vita e
importa delle crisi. Non si passa dalla fanciullezza alla giovinezza, senza la crisi
della pubertà. Così anche l'anima. E deve conoscere se non precisamente la
caduta nel male, e forse spesso anche questa - almeno la solitudine,
l'umiliazione, la persecuzione del nemici i quali sembrano avere ogni potere su
lei. Dio sembra avere abbandonato l'anima; e l'anima sperimenta la sua
debolezza e sembra precipitare nella rovina e nella morte, sprofondare
nell'inferno. Il cammino di un'anima che cerca Dio sembra portare in una via
senza uscita, sembra un cammino verso la morte. L'anima è come aggravata da
un peso maggiore e più desolata si fa la sua vita.
Eppure abitualmente l'atmosfera si rischiara. Il crescere della lotta e della
persècuzione al di fuori, non toglie che l'anima si avvicini alla luce. Dalla nostra
analisi dei salmi abbiamo potuto rilevare che chi prega ha la fiducia in Dio e
proprio per questa rimane fermo, anzi riposa sulle sue braccia. Si diceva anzi che
l'atto fondamentale dell'orante sembra esser quello. dell'abbandono al sonno. La
preghiera sembra non essere un cammino e non spinge a camminare: di fatta la
prima esperienza religiosa è l'esperienza di una vita nuova in cui l'uomo è
entrato, ma in cui tutto è sconosciuto. L'anima non progredisce ancora nel
mistero di una presenza, perché anche Dio spesso sembra essere come assente.
Certo, l'uomo è portato da Dio, ma non ha l'impressione di camminare. Eppure è
impassibile che la vita sia ferma. La vita non è senza movimento, il vivere stesso
di per sé è progredire continua. Ma l'anima di questo progredire sembra che
abitualmente non sappia nulla.
L'elemento fondamentale che distingue invece l'esperienza religiosa
propria del secondo libro dei salmi, è il cammino, il viaggio. non è che questo
tema appaia improvvisamente; già nel primo libro, col salmo 15 e soprattutto col
salmo 23, la vita religiosa, nel rapporto can Dio, è un ascendere, è un
camminare. Ma il tema non è fondamentale nel primo libro. Più vivamente ara
l'anima si sente in esilio, ora, nel libro secondo dei salmi, essa sospira la patria.

70
Quello che distingue l'esperienza nuova dell'orante è il desiderio di Dio. L'orante
non piange più, non supplica più una difesa, una protezione; desidera Dio, lo
vuole, lo cerca, aspira a lui. Con tutta l'anima a lui si protende e attende che egli
intervenga nella sua vita. I salmi di questo secondo libro sono i salmi che
Agostino ha magnificamente analizzato e meditato, ed è il commento a questi
salmi che, pili di ogni altra sua opera, rende testimonianza dell'esperienza
mistica dèl grande dottore. Soprattutto il commento al salmo 42 con il quale si
inizia questo secondo libro. Il salmo ci dice precisamente quello che distingue ora
l'esperienza dell'uomo. Egli cammina, egli va verso Dio; tutta la sua vita è solo
per lui, non cerca, non vuole che lui; può essere contrastato dai nemici, i nemici
possono cercare di arrestarlo nel suo cammino, ma il suo desiderio di Dio vince
ogni cosa, egli va.
Tutto il secondo libro è testimonianza di un cammino, alcune volte
convulso, sempre animato da amore. È il desiderio della patria, è il desiderio del
Tempio, è il desiderio della visione di Dio, quello che sprona l'anima, quello che
porta l'anima avanti, senza soste, incontro a un Dio che rimane lontano e
tuttavia non delude, perché anche se rimane lontano dà, nel desiderio che
accende, una forza invincibile per superare ogni ostacolo, per vincere i nemici e
andare oltre ogni meta. È comprensibile che nel libro il tema del cammino, il
tema del desiderio dell'esule, si unisca al ricordo del viaggio d'IsraeIe attraverso
il deserto. Tutta la vita della Chiesa, la vita di ogni anima non è che il ripetersi di
questo cammino ' attraverso il deserto verso la terra promessa.
Condizione e sostegno della vita spirituale è che fintanto non poni, il
fondamento non puoi costruire; finché i tuoi piedi non poggiano sulla terra solida
e ferma, non puoi camminare: Il fondamento è stato gettato nel primo libro: la
fermezza della fede in Dio, nonostante il suo silenzio, nonostante la persecuzione
del nemici e il potere del male. Ora alla fede subentrano il desiderio e la
speranza: l'uomo cammina, sale: La storia del popolo di Dio, la vita di ogni anima
che prega non è che questo cammino verso Dio. È cammino nel deserto, è
cammino, dunque, che conosce le lacrime, ma è cammino illuminato 'dalla
colonna di fuoco. L'anima si sente spronata da un desiderio invincibile nella
certezza di una patria che l'attende.
Sono bellissimi i salmi del primo libro, sono meravigliosi quelli del secondo.
Le parole dei salmi debbono essere la vita dell'orante; non soltanto le deve
comprendere: troppo poco è comprenderle. Sono la vera parola dell'uomo che si
ordina a Dio, sono la parola che realizza la sua vocazione, esprime la sua
profonda esperienza religiosa, testimonianza del cammino del popolo di Dio verso
la patria, del cammino di ogni anima verso il Signore. Dunque la sua parola, non
soltanto la parola del Cristo, ma la parola del Cristo mistico, cioè dell'umanità che
in lui diviene, un solo popolo peregrinante verso la patria.
Un'altra differenza fra il primo e il secondo libro è cosa che può sembrare
secondaria e non lo è. I salmi del primo libro sono attribuiti tutti dalla tradizione
a David, nel secondo libro invece anche ai figli di Care, e altri sono senza
attribuzione: Questa, per sé, non garantisce davvero la paternità del singoli
componimenti, ma qualcosa vuol dire. Prevale nel primo libro il carattere
personale della preghiera - nel secondo la preghiera diviene anche collettiva.
Quando unico è l'orante che prega si pensa che sia David, perché David non è
una persona singola, ma è l'Unto di Dio, colui che, come capo della nazione, tutta
la rappresenta in se stesso. Nel secondo libro è. già anche il popolo stesso che
prega (salmi 44,46,48). Ci sembra pertanto che si accusi di più il carattere
ecclesiale di questa preghiera. L'uomo che si volge a Dio deve divenire questa
parola, che rivela la sua vita profonda e realizza l'uomo come desiderio di Dio.

71
Salmo 42
2 come la cerva anela ai corsi d'acqua
così l'anima mia anela a Te, o Dio!
3 L'anima mia ha sete d'Iddio, d'Iddio vivente:
quando potrò tornare e comparire alla presenza d,Iddio?
4 Le mie lacrime mi son di pane giorno e notte
mentre mi si ripete in ogni istante:
«Dov’è il tuo Dio?»
5 Oh! ricordo - e l'anima mi si scioglie in cuore
quando passavo in mezzo alla folla,
procedevo fra loro fino alla casa di Dio
tra voci di giubilo e di lode
in mezzo a una moltitudine in festa!
6 Perché ti abbatti, anima mia,
e gemi dentro di me?
Spera in Dio, ché ancora potrò dar lode a Lui,
salvezza della mia faccia e Dio mio.
7 L'anima mia languisce in me
quando penso a Te dalla terra del Giordano
e dell’Hermon, dal monte di Misar.
8 Un vortice richiama un vortice
al fragore delle tue cascate:
tutti i tuoi cavalloni e i tuoi flutti
passano sopra di me.
9 Di giorno concede il Signore la sua grazia
e di notte è con me l’inno in suo onore
la preghiera al Dio vivente.
10 lo dico a Dio: «O mia Rupe, perché mi hai dimenticato?».
Perche, mesto, devo camminare
sotto l’oppressione del nemico?
11 Come se mi spezzassero le ossa,
i miei nemici m’insultano,
e mi ripetono ogni giorno: «Dov’è il tuo Dio?».
12 Perché ti abbatti, anima mia,
e gemi dentro di me?
Spera in Dio, ché ancora potrò dar lode a Lui,
salvezza della mia faccia e Dio mio.

Il dileggio dei nemici non basta a spegnere il desiderio, non basta a render
vacua Ia speranza. Pur nel contrasto e nella lotta fiorisce nell'anima, col desiderio
struggente di Dio e la certezza del suo aiuto, anche un'intima esperienza di pace.
Il pianto dell'esule non è disperato, non è angoscioso, ma trepido di contenuta
tenerezza.
Nella Volgata il salmo è diviso, ma nell'ebraico diviene, negli ultimi versi,
non solo preghiera ma certezza di vittoria.
3 Manda la tua luce e la tua verità (Sal. 43).
Come il salmo ricorda il mirabile commento di sant'Agostino, così richiama
la più bella poesia del cardo Newman: «Conducimi luce benigna». Il salmo del
desiderio che dice l'ansia dell'esule che si protende verso la patria lontana,
presenta un motivo che poi continuamente ritorna. Nel secondo libro tutta la
vita, animata dalla speranza, è cammino. Così il salmo 61:

3 Dai confini della terra Ti chiamo,

72
nell’afflizione del mio cuore.
Conducimi Tu sulla rupe, troppo alta per me,
4 poiché Tu sei il mio rifugio,
torre fortificata di fronte al nemico.
5 Possa io abitare per sempre nella tua tenda,
rifugiarmi all'ombra delle tue ali.
……

Nella prova cui ancora il fedele è sottoposto, un desiderio solo lo anima,


mentre erra come senza meta nel suo dolore:

5 Mi trema in petto il cuore


e terrori di morte piombano su di me.
6 Il timore e il tremito mi assalgono
e lo spavento mi circonda.
7 Ed esclamo: oh, avessi ali come una colomba
per volar via e trovar riposo!
8 Oh, fuggirei lontano
e andrei a posarmi in luogo solitario (Sal. 55).

Nel salmo 63 ritorna il desiderio di Dio, l'anima tutta è protesa dall'esilio


verso il suo Tempio.

2 O Dio, Dio mio, Te brama fin dal mattino


di Te ha sete l'anima mia,
a Te anela il mio corpo,
in una terra desolata, arida, senz'acqua.

Il cammino è attraverso. il deserto, ma, anche se lontana, non è più


irraggiungibile la patria e Dio stesso invita e sollecita al cammino, che non è più
nella notte. Ad essa è succeduto il baluginare dell'alba. Tutto sembra ora
emergere dalla tenebra come tutto emerge dall'angoscia, in un sentimento nuovo
di serenità. L'uomo nel suo cammino è guidato dalla luce di Dio (Sal. 43,3); anzi
l'uomo stesso, con nuovo impeto di speranza, di certezza, prorompe in una
espressione incomparabile:

9 Svegliati, mia gloria, svegliati mia arpa, mia cetra,


voglio destare l'aurora (Sal. 57).

e contro i nemici che ritornano ogni sera e ringhiano come cani continuerà
poi al salmo 59

17 lo invece canterò la tua potenza


e al mattino celebrerò la tua bontà

finalmente ripeterà al salmo 63

2 O Dio, Dio mio, Te brama fin dal mattino.

Il cammino dell'anima implica l'intervento di Dio. Potrebbe l'uomo


camminare verso Dio, se Dio non l'attirasse a sé, se Dio non scendesse verso
l'esule, non fosse già nel suo cuore?

73
Nel primo libro dei salmi Dio rimaneva nel cielo e si beffeggiava, si rideva
del nemici che volevano conculcare il suo Unto; egli prometteva il suo intervento,
ma l'intervento di Dio sarebbe stato soltanto la fine. Ora invece Dio interviene e i
salmi del secondo libro già narrano i prodigi di Dio nella storia d'Israele: Dio è
intervenuto, egli è disceso in mezzo al suo popolo, anche se la sua discesa è
stata furtiva.
È sempre così nella vita presente. Un raggio di luce ti illumina e sembra
che ogni prova sia passata, poi la vita ritorna nell'ombra e tu devi ancora
camminare da solo. Tuttavia Dio non ti ha visitato per nulla: il tocco di Dio ha
bruciato il tuo cuore, ha dato nuova lena, nuova forza ai tuoi passi. Egli è
disceso! Il ricordo del prodigi che ha fatto e il ricordo della visita che hai ricevuto,
ti basta per ravvivare il desiderio e la speranza nel lungo viaggio. Ogni anima,
come Elia, va attraverso il deserto al monte Horeb. Stanco, sfiduciato il profeta si
getta ai piedi di un ginepro e invoca la morte: 'Basta, o Signore, prendi pure
l'anima mia, perché non valgo più del mei padri!' (I Re 19, 4). E s'addormenta.
Ma ora non è più il tempo di dormire! Era del primo libro l'invito al sonno, ora
non più. Bisogna che l'uomo cammini. L'-angelo lo scuote: Alzati e mangia; ed
Elia mangia e si getta di nuovo -a dormire. L'angelo lo scuote di nuovo: Alzati e
mangia, perché un cammino lungo ti resta da fare (I Re 19,7).
È precisamente questa l'esperienza religiosa dell'uomo, anzi di tutto il
popolo di Dio. Noi camminiamo, ma per camminare abbiamo bisogno di un
alimento. L'alimento è la grazia che Dio non ti anticipa mai, ma è sufficiente
perché tu non muoia, perché tu prosegua. Prima conoscevi Dio soltanto
attraverso una preghiera d'angoscia, ora già lo conosci in una tua comunione
intima, casta con lui, in una intimità segreta. Egli viene senza che tu preveda il
suo arrivo, egli parte senza avvisarti. Gli altri non sanno nulla, ma tu lo hai
conosciuto. Nel baluginare dell'alba hai conosciuto il suo volto, nel silenzio della
notte tu hai ascoltato la sua voce: si fa sentire vicino e l'anima non teme più.

L'alleanza

Nonostante che la guerra continui, continui la persecuzione, l'angoscia non


opprime più l'anima, non riesce più a portare la desolazione e la morte. L'uomo
può conoscere anche qualche sconfitta, ma non è nell'angoscia che egli rimane.
Sono momenti. Abitualmente l'anima vive una certa dolcezza. Il desiderio stesso
di Dio suppone la presenza di Dio nel cuore dell'uomo. Tu lo desideri perché già
lo possiedi; questo ci dice il secondo libro dei salmi. Com'è meravigliosa questa
esperienza e come i salmi ce la esprimono con parole di alta poesia! L'intimità si
esprime nei termini dell'alleanza. Subito dopo il salmo del desiderio e del
cammino dell'esule al Tempio, appare il tema delle nozze. Il tema delle nozze è il
tema dell'alleanza. Nel Salterio solo un salmo ci parla di nozze. Altri salmi ci
parleranno della famiglia, della sposa, del figli, soprattutto nel quinto libro, ma
solo un salmo canta il legame di nozze che unisce la giovane donna all'uomo.
L'uomo è il re che porta nella sua casa colei che si è scelto - il re è l'Unto di Dio.
Nulla di più sacro in tutta la Bibbia di queste nozze che simboleggiano il rapporto
di Dio con Israele suo popolo, di Dio con l'uomo.
L'unico salmo nel Salterio che canta il tema delle nozze è in questo libro,
ed è il salmo 45. L'unione nuziale del re con la sua sposa è accenno all'intimità e
alla comunione di Dio col suo popolo?
Non è Dio Colui che l'anima mia ama secondo il grande epitalamio . di
amore che è il Cantico del Cantici? (Cant. 3,1 ecc.). È in questo secondo libro dei
salmi, consacrato più di ogni altro al tema della vita spirituale come cammino,
che appare anche il tema delle nozze. Non è ancora l'intimità della famiglia, ma il

74
primo incontro. È una promessa ancora più che la consumazione dell'unità. E si
invita la sposa a lasciar la sua casa per entrar nella casa del re: è ancora l'invito
-a un cammino che l'amore fa dolce, anche se è pure un distacco.

Salmo 45
2 Erompe dal mio cuore un cantico di gioia,
io vo cantando la mia canzone al Re;
la mia lingua è stilo di scriba veloce.
3 «Tu sei il più bello tra i figli d'Adamo,
sulle tue labbra è soffusa la grazia:
perciò Dio ti ha benedetto in eterno.
4 Cingi, o forte, la tua spada al fianco,
gloria tua e tuo decoro.
5 Maestoso t'avanza, cavalca,
per la causa della verità e della giustizia,
e la tua destra t'insegnerà cose terribili.
6 Le acute tue frecce
faccian cadere i popoli sotto di te,
giungano al cuore del nemici del Re.
7 Il tuo trono, o Dio, è continuo nei secoli,
scettro di giustizia è lo scettro del tuo regno.
8 Ami la giustizia e odii l'iniquità,
perciò ti unse Dio, il tuo Dio
con olio d'esultanza sopra ai tuoi compagni.
9 Mirra ed aloe e cassia olezzan le tue vesti,
in palazzi di avorio t'allietan le cetre.
10 Figlie di re ci son fra le tue dilette.
Sta la regina alla tua destra,
splendente d'oro di Ofir».
11 Ascolta, o figlia, e guarda
e porgi il tuo orecchio,
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre.
12 Il Re di tua bellezza è preso,
a Lui t'inchina, poiché Egli è il tuo Signore.
13 E la figlia di Tiro, con doni,
e i ricchi del popolo supplicheranno la tua faccia.
14 Tutta splendore è la figlia del Re, per le sue gemme,
trapunta d'oro è la sua veste,
15 in abiti ricamati è condotta al Re,
le vergini sue amiche, l' accompagnano,
sono presentate a te.
16 Sono condotte con esultanza e gioia,
introdotte nel palazzo del Re.
17 In luogo de' tuoi padri saranno i tuoi figli,
li costituirai prìncipi su tutta la terra.
18 Celebrerò il tuo nome di età in età,
perciò i popoli ti loderanno nei secoli e sempre.

11 Ascolta, o figlia, e guarda


e porgi il tuo orecchio,
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre.
12 Il Re di tua bellezza è preso,
a Lui t'inchina, poiché Egli è il tuo Signore.

75
Le nozze esigono che la sposa esca, lasci la sua casa e vada verso lo
sposo. Il tema del cammino ritorna ed è cammino di amore. Colui cui si rivolge il
salmista è il Re, l'Unto di Dio, ed è anche lo sposo. Proprio come tale egli
rappresenta Dio che ha scelto Israele. Non è 'più la notte, l'angoscia del buio, è
la mattina, quando sorge appena la luce: tutto si fa trepido, sembra che tutto si
rinnovi. Realmente tutta la creazione si rinnova nell'amore che muove ora
l'anima a Dio. Tutto è gioia anche se l'ombra sussiste, ma la gioia sale già con la
luce.
Se è la fedeltà dell'orante che distingue l'esperienza religiosa del primo
libro, J?el secondo la fedeltà diviene già la fedeltà dell'amore. Prima l'orante era
il servo, ora l'anima derelitta, che attendeva l'aiuto del Signore, è la sposa che
ama, che deve fedeltà. Come cangia il rapporto dell'orante con Dio, così cangia il
rapporto dell'uomo con la terra. La terra non è più un deserto e un esilio, pian
piano ritorna ad essere il giardino di Dio, è la montagna santa in cui egli ha posto
la sua dimora, è la santa Città che Dio difende gelosamente. L'uomo non è più
solo, anzi all'orante si sostituisce ora sempre più tutto il popolo, la nazione
eletta.
Più forse che il Re in questo libro è precisamente il popolo il protagonista
dei salmi. Spesso, non è. uno che parla, ma la moltitudine, il popolo stesso. Là
terra, che nel primo libro è indistintamente la creazione, ora diviene la terra
promessa e data da Dio a Israele. Compare la prima volta la città di Dio (salmi
46,5.6; 65,2), la capitale del Regno.
E Dio prima di avere un rapporto con l'uomo, ha un rapporto con il popolo,
con la terra, con la città.

……
5 Un fiume e i suoi ruscelli allietano la città d'Iddio,
il luogo santo dove abita l'Altissimo.
6 Iddio è in mezzo a lei, non può vacillare,
Iddio la soccorre allo spuntar dell'aurora (Sal. 46).

Il salmo 48 canta la città regale, nella sua sicurezza, inespugnabile ai


nemici:

2 Grande è il Signore e degno assai di lode


nella città del nostro Dio,
sul .monte della sua santità.
3 Bello s'innalza, gaudio di tutta la terra,
il monte di Sion estremità aquilonare,
città del Gran Re,
4 sui cui torrioni Iddio
si è mostrato qual baluardo.
5 Ecco, del re si collegano,
avanzano insieme.
6 Guardano e rimangono stupiti,
si turbano, fuggono.
7 Un tremito li invade all'istante,
doglie, come d'una partoriente,
8 come quando con vento orientale
Tu spezzi le navi di Tarsis.
9 Quello che udimmo, ora, l'abbiamo veduto
nella città del Signore delle Schiere,

76
nella città del nostro Dio:
Iddio la rende stabile nei secoli.
10 Consideriamo, Signore, la tua misericordia
in mezzo al tuo Tempio.
11 Come il tuo Nome, o Dio, così la tua lode
va fino ai confini della terra,
di giustizia è piena la tua destra.
12 Si rallegri il monte Sion,
esultino le figlie di Giuda
per i tuoi giudizi, o Signore.
13 Percorrete Sion, fatene il giro,
contate le sue torri,
14 ponete mente alle sue fortezze
considerate le sue cittadelle;
direte alle generazioni future:
15 tale è Iddio, Iddio nostro:
nei secoli e sempre Egli sarà nostra guida.

Salmo 65
2 A Te conviene, o Dio, la lode in Sion,
ed in Gerusalemme a Te si scioglie il voto.
……

E cuore della città appare il Tempio.

Salmo 43
3 Manda la tua luce e la tua verità:
esse mi guideranno!
Mi condurranno al monte della tua Santità,
ai tuoi tabernacoli.
4 E giungerò all'Altare d'Iddio,
al Dio, gioia di mia esultanza,
e possa io lodarti sulla cetra,
o Dio, Dio mio!
……

Nel salmo 63 l'orante ricorda:

3 Così ti visitai nel Santuario


per contemplare la tua potenza e la tua gloria;

La terra

Il Tempio tuttavia più di' essere il luogo della preghiera di un singolo


orante è il luogo di riunione di tutti i popoli (salmo 47,10), luogo di convegno di
tutte le nazioni. Non è solo il cuore della città, ma il centro di tutta la terra.
Appare soprattutto il tema della terra, la quale, quasi un nuovo Eden, si è
riconciliata con l'uomo che la lavora e ne raccoglie i frutti. Proprio in un suo
'rapporto con essa l'uomo acclama e canta. All'angoscia è subentrata la gioia; il
Signore visita la: terra (Sal. 65,10). Dio non è più lontano - si è fatto vicino e
sensibile all'uomo per la benedizione di cui tutto ha ricolmato. La terra era prima
un deserto, ora 'anche la terra si trasforma e ritorna un giardino. L"amore
trasforma ogni cosa: la notte si fa giorno, il deserto diviene ondeggiante di biade.

77
Sembra che l'angoscia sia vinta per sempre, sembra che non vi debba esser più
che la dolcezza ineffabile di una comunione di amore dell'uomo con Dio,
dell'uomo con tutta la creazione.

Salmo 65
2 A Te conviene, o Dio, la lode in Sion,
ed in Gerusalemme a Te si scioglie il voto.
3 A Te, che ascolti la prèghiera,
ogni mortale accorre.
4 Il peso delle colpe ci opprime,
ma Tu cancelli le nostre iniquità.
5 Felice colui che Tu eleggi ed accogli
ad abitare nel tuoi atri.
Ci sazieremo del bene della tua casa,
della santità della tua vasta dimora.
6 In modi mirabili Tu ci esaudisci nella tua giustizia,
o Dio, Salvatore nostro,
speranza di tutti i confini della terra
e del mari lontani,
7 Tu che fai stabili i monti, con la tua forza,
che ti cingi di potenza,
8 che plachi il furore del mare, il furor del suoi flutti
e il tumulto del popoli.
9 E gli abitanti del confini della terra temono,
alla vista del tuoi prodigi;
e le regioni d'onde sorge l'aurora e tramonta il vespro
Tu ricolmi di gioia.
10 Visiti la terra e le dai l'abbondanza,
di larghi doni l'adorni.
I ruscelli di Dio son pieni di acque,
prepari agli uomini il frumento;
e così che (la terra) sostenti:
11 irrighi i suoi solchi, ne appiani le zolle,
la bagni con piogge, né benedici i germogli.
12 Coroni l'anno coi tuoi benefici,
e le tue orme stillano abbondanza:
13 ne stillano i pascoli del deserto
e i colli si cingon d'esultanza.
14 I prati si coprono di greggi
e le valli si rivestono di biade,
risuonano di grida e di canti.

La comunione con Dio prepara e annuncia la comunione dell'uomo con


tutte le cose. La sua salvezza implica una vita e una gioia nuove, non più
comunicate soltanto all'uomo ma a tutta quanta la terra. L'incontro dell'uomo con
Dio è dapprima desiderio del Tempio, poi glorificazione della santa Città, la città
del gran Re, è finalmente festa di tutta la terra che si riveste di biade.
Altro salmo che canta la gioia di un raccolto e, nel raccolto della terra;
l'adunanza di tutti i popoli nella lode di Dio, è il salmo 67. Anche in questo salmo
Dio, l'uomo e la terra sono associati strettamente e ogni solitudine è vinta.
Il Dio Unico fa di tutta l'umanità una sola nazione e la raccoglie nel centro
di tutta la terra, la città dove è la dimora di Dio che diviene la città di tutti i
popoli, come dirà il salmo 87.

78
L'universalità della lode è già nel salmo 47 e già in questo salmo tutte le
nazioni sono adunate per formare, nell'adorazione del Dio di Giacobbe, un popolo
solo:

2 O popoli tutti, battete le mani,


acclamate Iddio con voci d'esultanza!
……
4 Egli assoggetta a noi i popoli,
pone sotto i nostri piedi le genti.
……
9 Regna Iddio su le genti,
Iddio siede sul trono della sua santità.
10 I prìncipi del popoli si adunano
qual popolo d'Iddio di Abrahamo,
perché d'Iddio son gli scudi della terra,
grandemente esaltato Egli è.

La sconfitta e la vittoria

Eppure non è assente da questo secondo libro dei salmi la lotta, la


persecuzione, la pena. Anzi in questo libro appare la prima volta l'esperienza
della sconfitta. Se Dio nel primo libro sembrava soprattutto farsi presente nella
preghiera di Colui che lo invocava, ora si fa presente nella vita stessa della
creazione, nella storia della nazione, nel Tempio in cui abita, nella città che egli
stesso ha voluto e costruito sui monti. Egli si fa realmente presente. Perfino nelle
sciagure nazionali la preghiera non è implorazione accorata a un Dio lontano, ma
quasi provocazione ed accusa. La nazione che prega, conta sull'aiuto divino, sa di
poterci e doverci contare.

Salmo 44:
2 O Dio, l'abbiamo udita coi nostri orecchi,
i nostri padri ce l'hanno raccontata
l'opera grande che Tu facesti ai loro giorni, ai giorni antichi;
3 di tua mano cacciasti le genti e v'insediasti loro
distruggesti i popoli ed allargasti loro.
4 Non con la spada conquistaron la Terra,
né il loro braccio dette lor la vittoria;
ma la tua destra e il tuo braccio
e la luce del tuo volto, perché eri loro propizio,
5 Tu sei, o Dio, il mio Re:
decreta le vittorie di Giacobbe!
6 In Te abbatteremo i nostri nemici,
nel tuo Nome calpesteremo i nostri avversari.
7 Poiché non confido nel mio arco,
né la mia spada mi dà la vittoria;
8 ma Tu ci fai vittoriosi su i nostri avversari
e ricopri di vergogna i nostri odiatori.
9 In Dio noi ci glorieremo ogni giorno
e celebreremo il tuo Nome nei secoli.
10 Ma ora Tu ci respingi e ci copri di onta
e più non esci coi nostri eserciti.
11 Ci fai voltar le spalle davanti al nemico
e i nostri odiatori ci saccheggiano.

79
12 Tu ci esponi come pecore al macello
e ci disperdi in mezzo alle nazioni.
13 Vendi il tuo popolo per un niente,
né molto ci guadagni dall' averlo venduto.
14 Ci rendi obbrobriosi ai nostri vicini,
ludibrio e scherno del nostri confinanti.
15 Ci fai esser la favola tra le genti,
e la derisione in mezzo ai popoli.
16 Di continuo l'onta mi sta davanti
e la vergogna, mi ricopre la faccia,
17 alla voce di chi m'ingiuria e m'oltraggia
alla vista del nemico e del vendicativo.
18 Tutto questo ci accade, eppure non T'abbiam dimenticato,
non abbiam violato il tuo patto.
19 Non si è rivolto indietro il nostro cuore,
né i nostri passi han deviato dal tuo sentiero.
20 Pure Tu ci hai spinti in un luogo da sciacalli
e ci hai avvolto in un'ombra di morte.
21 Se avessimo dimenticato il Nome del nostro Dio
e tese le palme a un dio straniero,
22 forse Dio non avrebbe indagato questo,
Egli, che conosce i segreti del cuore?
23 Ma ecco che per Te ogni giorno siamo sgozzati,
siamo considerati come pecore da macello.
24 Svegliati, perché dormi, o Signore?
Scuoti il sonno, non ci respinger per sempre.
25 Perché nascondi la tua faccia,
dimentichi la nostra miseria e la nostra oppressione?
26 Perché fino al fango depressa è l'anima nostra,
disteso a terra è il nostro ventre?
27 Sorgi in nostro aiuto,
liberaci per la tua pietà!

L’alleanza di Dio con la nazione, di cui sembra essere simbolo il canto di


nozze che precede questo salmo, fa capace Israele di un linguaggio di confidenza
e di ardimento che non aveva certo l'orante nel primo libro. È Dio che ha
mancato al sua patto? Israele non si è dimenticato del suo Dio, perché dunque
Dio tratta così la nazione? La sciagura che la colpisce più che richiamare la
nazione all'umiltà e al pentimento, provoca il sua stupore quasi fosse stato
tradito, provoca la preghiera che è quasi anche una richiesta a Dio di giustificare
la sua condotta e il suo silenzio. Il linguaggio se non fosse espressione di
suprema confidenza e di amore, rasenterebbe quasi la bestemmia.
Di un'altra sconfitta Israele fa responsabile Dio. Ma la esperienza del
rovescio che ha sconvolto la nazione, non toglie nulla alla sua fiducia nella
prossima rivincita. Dio stesso parla, e assicura non protezione e difesa, ma
trionfo.

Salma 60
3 O Dio ci hai rigettati, ci hai messi in rotta:
Tu eri sdegnato: rendici quali eravamo.
4 Tu hai scosso, sconvolto il paese,
risana le sue fratture, poiché sta per crollare.
5 A dura prova hai messo il tuo popolo:

80
ci hai fatto bere un vino che dà le vertigini.
……
8 Iddio nella sua santità ha detto:
Trionferò! Spartirò Sichem
e misurerò la valle di Succoth.
9 Mio è Galaad e mio è Manasse,
Efraim, elmo del mio capo, Giuda, mio scettro.
10 Moab è il catino per lavarmi,
a Edom getto il mio calzare,
e tu, Filiste, mi acclama».
……
14 Con Dio faremo prodezze:
Egli calpesterà i nostri nemici.

La parola più che essere implorazione accorata, ansiosa ricerca di aiuto


diviene peana di guerra, ed è già canto di vittoria nel salmo 46:

2 Dio è per noi rifugio e forza,


aiuto sempre pronto nelle angustie;
3 perciò non temiamo se trema la terra,
se le montagne son travolte in seno al mare.
4 Si agitino e spumeggino le sue onde,
tremino i monti per il suo elevarsi.
Il Signore delle Schiere è con noi,
nostro presidio è Iddio di Giacobbe!
……

La vita dell'uomo, come la storia della nazione, è ancora sempre un


combattimento. Ai giusti, ai fedeli di Dio si oppongono i potenti, i sanguinari, gli
empi, gli stranieri.

5…degli stranieri si sono levati contro di me


e del potenti cercano l'anima mia
e non tengono Dio davanti a loro (Sal. 54).

La lotta è feroce ... tuttavia non scuote la fiducia dell’orante in Dio.

Salmo 56
2 Pietà di me, o Dio, ché l'uomo mi divora,
tutto il giorno, lottando, mi opprime!
3 Mi divorano i miei nemici tutto il giorno,
poiché son molti che lottano contro di me.
4 Ora che sono nel timore,
io in Te confido.
5 In Dio, di cui esalto la promessa,
in Dio confido, e niente temo!
Cosa può farmi chi non è che carne?
……

Esattamente si ripete quanto già era detto nel primo libro: al furore dei
nemici, alla loro bestiale violenza si oppongono le beffe di Dio (cf. Sal. 59,9)

Salmo 59

81
2 Liberami dai miei nemici, o mio Dio,
dai miei avversari mettimi in salvo!
3 Liberami da quei che commettono l'iniquità,
salvami dagli uomini di sangue.
4 Ecco che insidiano all'anima mia,
si collegano contro di me i prepotenti
senza mia colpa, senza mio fallo, o Signore,
5 senza mia iniquità accorrono e si preparano.
Levati in mio soccorso e guarda.
6 E Tu, Signore, Dio delle Schiere, Dio d'Israele,
sorgi a punire tutti questi pagani
non usar pietà per tutti questi iniqui malfattori.
7 T ornano a sera, latrano come cani
e si aggiran per la città.
8 Ecco, vomitano ingiurie dalla loro bocca,
hanno spade sulle loro labbra: «Chi ci sente?»
9 Ma Tu, Signore, ti ridi di loro,
ti fai beffe di tutta questa gente.
……
Affilano la spada, scagliano frecce mortifere. Il cuore degli empi è un
abisso, ma Dio li punisce e li sbaraglia e li distrugge.

Salmo 64
3 Proteggimi dalla congiura degli empi
dal tumulto del malfattori,
4 che affilano, come spada, la loro lingua,
scagliano, come frecce, amare parole
5 per saettare l'innocente di nascosto,
per saettarlo all'improvviso senza timore.
……
8 Ma Dio scoccherà contro di loro le sue saette
è all'improvviso saranno coperti di ferite:
9 la loro lingua sarà la loro rovina;
scrolla la testa chiunque li vede.
10 Ognuno è preso da timore e proclama l'opera di Dio
e comprende quello che Egli ha fatto.
……
Ma più grave è il tradimento degli amici. Più dolorosa della guerra con i
nemici è la guerra interna nella città.

Salmo 55
……
Erro nel mio dolore e gemo
4 al grido del nemico, all'incalzar dell'empio;
poiché mi fan cadere addosso la sciagura
e con furore mi perseguitano
……
10 Confondi, Signore, dividi la loro lingua
poiché vedo violenza e discordia nella città.
11 Giorno e notte si aggirano sulle sue mura
e iniquità e violenza è in mezzo ad essa.
12 Insidie san dentro di lei,
né si diparton dalle sue piazze violenza e frode.

82
13 Se fosse stato un nemico ad oltraggiarmi,
l'avrei potuto sopportare;
o, se un mio odiato re ad insultarmi,
mi sarei nascosto a lui.
14 Ma proprio tu, altro me stesso,
mio confidente e amico mio!
15 Avevamo insieme dolce familiarità
e alla casa di Dio ce ne andavamo
in mezzo al clamore della folla!
16 Che la morte piombi su di loro
……
Tuttavia gli empi, i malvagi appaiono abitualmente come divisi dai giusti;
le loro insidie non sembrano toccarli più. Di fatto la pena del giusto oppresso non
è mai così opprimente, la sua desolazione non è mai così piena come appariva
nel primo libro. Una immensa fiducia in Dio respira nei salmi del secondo libro e
solleva la parola e l'anima. La preghiera non è più lamentazione, ma canto.
Il salmo 52 ripete il primo salmo del Salterio, ma il tono è assai più vivo e
l'espressione non è più impersonale.
3 Perché ti glori della malizia
o eroe d'ignominia?
4 Ogni giorno tu mediti calamità,
la tua lingua è un rasoio affilato,
o artefice di frode.
5 Tu ami il male più del bene,
la menzogna più del retto parlare.
6 Ami solo parole di rovina,
o perfida lingua,
7 perciò Dio ti distruggerà per sempre,
ti prenderà, ti strapperà dalla tua tenda
e ti spianterà dalla terra del viventi.
8 Vedendo questo, i giusti temeranno
e di lui rideranno:
9 «Ecco, il potente, che non ha posto Dio per suo rifugio,
e confidava nell'abbondanza delle sue ricchezze,
forte della sua malvagità».
10 Ma io, come fertile olivo nella casa d'Iddio,
confido nella bontà del Signore
in vita e per sempre;
11 per sempre renderò grazie a Te
che così hai fatto,
e fiducioso attenderò il tuo Nome
così benigno verso i tuoi fedeli.

Il salmo 53 ripete il salmo 14. Più bello letterariamente il salmo 58. Più
che subire l'offesa, il fedele diviene, nella sua preghiera, lo strumento che
ristabilisce con implacabile rigore la giustizia offesa dai potenti del mondo. Che
cosa in fondo sono gli uomini, tutti gli empi della terra?

10 Sulla bilancia tutti insieme


son più leggeri di un soffio (Sal. 62).

Nel secondo libro dei salmi risuona spesso il grido della guerra, ma si
innalza -anche il canto della vittoria. Il più grande dei salmi del libro è tuttavia il

83
68. Come il salmo 22 dà unità al primo libro, cosi questo salmo al secondo. È un
salmo fra i grandi di tutto il Salterio, anche letterariamente, anche se è dei più
difficili. È un salmo trionfale; tutto Israele è in cammino e il suo cammino è
viaggio di trionfo attraverso il deserto. Le montagne che dominano il mondo - le
potenze - sono gelose del piccolo Israele guidato dalla invincibile mano di Dio.
Il cammino di trionfo ha fine nel Tempio, nella casa di Dio. Così il viaggio
trionfale del popolo santo è processione e liturgia sacra ed è insieme il ricordo del
vero cammino d'Israele attraverso il deserto e anticipazione della gloria
escatologica di Dio sulle nazioni. Nella lettera agli Efesini san Paolo interpreterà
questo salmo nella luce dell' Ascensione gloriosa del Cristo (cf. Ef. 4,8 ss.). Il
viaggio non ha più nemmeno come meta il Tempio di Gerusalemme, ma il cielo:
la meta è il seno di Dio.

Salmo 68
2 Sorga Iddio e sian dispersi i suoi nemici,
e fuggano i suoi odiatori dinanzi a Lui.
3 Come si disperde il fumo, Tu li disperdi,
come si strugge la cera innanzi al fuoco,
periscano così gli empi in faccia a Dio.
……
8 O Dio, quando uscivi alla testa del tuo popolo,
quando avanzavi attraverso il deserto,
9 la terra tremò, i cieli pure si sciolsero in faccia a Dio
tremò il Sinai in faccia a Dio, a Iddio d'Israele!
……
16 O monti di Dio, o monti di Basan,
monti dalle molte vette, o monti di Basan,
17 perché guardate con invidia, o monti dalle molte vette,
il monte che Dio ha scelto per sua dimora?
Sì, il Signore vi abiterà per sempre.
18 Il cocchio d'Iddio ... migliaia e migliaia:
il Signore viene dal Sinai nel suo Santuario.
19 Tu sei salito in alto, hai condotto con Te i prigionieri;
hai accettato i doni degli uomini,
anche i ribelli dimoreranno presso il Signore Iddio.
……
25 Appariscono le tue processioni, o Dio,
le processioni del mio Dio, mio Re, nel Santuario.
26 Precedono i cantori, ultimi sono i suonatori,
in mezzo le fanciulle, che battono i cembali.
……
32 Verranno del nobili dall'Egitto,
Cush si affretterà a tender le mani a Dio.
33 Regni della terra cantate a Dio,
inneggiate al Signore,
34 a Colui che si avanza nei cieli, nei cieli eterni.
Ecco, fa sentir la sua voce, voce potente.
35 Date gloria a Dio; sopra Israele è la sua maestà
e la sua potenza al di sopra delle nubi.
36 Terribile è Dio dal suo Santuario;
è Iddio d'Israele che dà forza e potenza al suo popolo.
Benedetto sia Iddio.

84
La vita è cammino per tutti. I giusti e Israele hanno per meta il Tempio di
Dio, per i malvagi e gli stolti il sepolcro è loro dimora per sempre (Sal. 49,12).
Quelli che confidano in sé (Sal. 49,14) e non in Dio, coloro che si compiacciono
della loro superbia (Sal. 49,14) sono

15 sospinti come pecore allo Sceòl,


la morte è il loro pastore,

ma l'orante di sé può dire:

16 Dio riscatterà l'anima mia dalla mano dello Sceòl


poiché mi accoglierà con sé (Sal. 49).

Dio non è Uno che salva, egli è la stessa salvezza. La religione dell'orante
diviene più intima e personale. Appartengono a questo secondo libro alcuni fra i
salmi più grandi di tutto il Salterio. Dio parla, convoca la terra da oriente a
occidente e proclama le condizioni di un culto che deve esser soprattutto
interiore. Il salmo non ha la forza sdegnosa del profeti nel dichiarare la vanità di
un culto soltanto esteriore, nel ripetere un rito che misconosce il vero culto che è
l'obbedienza alla legge; ha una solennità più ferma e assoluta.

Salmo 50
Il Potente, Iddio, il Signore parla!
Convoca la terra da oriente a ponente;
……
4 Convoca i cieli, dall'alto, e la terra
per giudicare il suo popolo:
5 «Adunatemi i miei fedeli
che sancirono il mio patto col sacrificio».
7 «Ascolta, popolo mio, ch'io ti voglio parlare,
Israele, ch'io ti voglio ammonire:
Iddio, Iddio tuo lo sono.
8 Non per i tuoi sacrifici lo ti rimprovero,
non per i tuoi olocausti, che mi sono di continuo dinanzi.
……
12 Se avessi fame non lo direi a te,
perché mio è l'universo e ciò che contiene.
13 Mangio forse la carne del tori,
o bevo il sangue del capretti?
14 Offri a Dio il sacrificio di lode
e sciogli all'Altissimo i tuoi voti ... ».
……
16 E Iddio dice all'empio:
«E perché osi recitare i miei Comandamenti
e avere il mio patto sulle tue labbra,
17 mentre tu hai la disciplina in orrore
e ti getti dietro le spalle le mie parole?
... …
21 Questo tu fai ed lo devo tacere?
Pensi che lo sia simile a te?
Ti riprenderò e tutto metterò sotto i tuoi occhi»
22 Riflettete a questo, voi che dimenticate Iddio,
perché lo non faccia scempio e nessuno vi liberi.

85
23 Chi mi offre il sacrificio di lode, egli mi onora
e, a chi osserva la via, mostrerò la salvezza d'Iddio.

La religione è rapporto personale, è comunione con Dio nell'obbedienza


alla legge, si realizza nell'intimo. Esige la purificazione del cuore. La pietà non
condanna i sacrifici del Tempio, ma vuole prima il sacrificio del cuore. Al salmo
50 segue il salmo più celebre di tutto il Salterio, l'invocazione umile 'a Dio perché
egli stesso crei in colui che prega un cuore nuovo, puro e santa perché possa
lodare Dio degnamente. È il salmo della preghiera intima e personale, il salmo
del pentimento e dell'umiltà, il salmo della fiducia e dell'abbandono. Tutto diviene
intimo e casto, tutto si purifica e si rinnova. È il rinnovamento del cuore che è
promessa non più solo della protezione, dell'aiuto di Dio e del suo perdono, ma
della sua intimità.
Il salmo è attribuito a David e non è certamente di David, ma l'attribuzione
suggerisce il criterio di interpretazione: non è un fedele qualunque che prega, ma
è, nel re, tutto il popolo e il popolo tutto deve rinnovarsi nel perdono di Dio per
poter offrire a Dio un culto nuovo nel Tempio di Gerusalemme.
Possiamo richiamare il salmo 40? Tutta, la nazione, il popolo di Dio si
riassume nel Re che trionfa del suoi nemici e giudica le nazioni. Si riassume
anche nel Servo di Jahveh che dà se stesso per la salvezza del popolo. Ai sacrifici
rituali si sostituisce il sacrificio della obbedienza a Dio, e il sacrificio del Servo di
Jahveh è condizione perché i sacrifici rituali del Tempio possano essere offerti ed
accetti a Dio.

Salmo 51
3 Pietà di me, o Dio, per la tua misericordia,
e, per la tua grande clemenza,
cancella la mia iniquità.
4 Lavami tutto dalla mia colpa
e rendimi puro dal mio peccato,
5 poiché riconosco le mie iniquità
e il mio peccato mi sta sempre davanti.
……
11 Distogli la tua faccia dai miei peccati
e cancella tutte le mie iniquità.
12 Un cuor puro crea in me, o Dio,
e uno spirito retto rinnova nel mio interno.
13 Non mi scacciare dalla tua faccia
e il tuo santo spirito non toglier da me.
14 Rendimi la gioia della tua salvezza
e uno spirito volonteroso mi sostenga.
……
17 Signore, apri Tu le mie labbra
e la mia bocca pronunzierà la tua lode;
18 poiché Tu non accetti il sacrificio,
né d’olocausto, se a Te l’offro, Ti compiaci.
19 Il mio sacrificio, o Dio, è spirito contrito,
un cuore contrito ed umiliato, o Dio, Tu non disprezzi.

Un altro salmo, in cui la fiducia in Dio diviene già canto, pur mentre dura la
prova, è il salmo 57. Anima il salmo uno spirito di giovanile baldanza, di
sicurezza invincibile:
……

86
5 L'anima mia è in mezzo a del leoni,
a uomini infiammati di furore,
i cui denti san lance e saette
e la cui lingua una spada affilata.
……
7 Tesero un laccio ai miei piedi,
ma Egli trattenne l’anima mia;
mi scavarono davanti una fossa,
ma dentro vi caddero loro.
8 Sicuro è il mio cuore, o Dio, sicuro è il mio cuore:
voglio cantare e salmeggiare.
9 Svegliati, gloria mia, svegliati, o mia arpa, mia cetra,
voglio destar l’aurora.
10 Va, celebrarti in mezzo ai popoli, o Signore,
a Te inneggiare in mezzo alle nazioni,

La promessa del Regno

Il secondo libro è anche il libro della giovinezza: Tu mi hai istruito, o Dio,


fin dalla giovinezza (Sal. 71,17). L'esperienza religiosa si esprime nel tema del
desiderio, delle nozze. Nel cammino Dio si fa presente ed opera.
L'uomo è più consapevole del suo peccato, ma è anche più sicuro del
perdono di Dici e dell'assistenza divina. E l'uomo ora sempre più
consapevolmente acquista i tratti del figlio di David, del Re messianico. Per lui è
la preghiera dei salmi:
……
7 aggiungi ancora giorni ai giorni del Re;
i suoi anni siano come l'insieme di molte età.
8 Segga per secoli al cospetto d'Iddio,
ordina che pietà e clemenza veglino su di lui! (Sal. 61).

Il libro, all'inizio, si apre col canto delle sue nozze (cf. Sal. 45) e termina
nella visione del Regno futuro. La promessa di Dio diviene la speranza sicura e
giubilante degli uomini che cantano la gloria futura del Regno.

12 Il re ... si rallegrerà in Dio (Sal. 63).

Le nazioni si muovono contro la città di Dio, ma sono colte da terrore. La


pacificazione universale nell'unità di tutti sotto il dominio di Dio è, per ora,
soltanto promessa, ma è una promessa reale. E non è solo il giudizio divino alla
fine del tempi che è atteso e promesso, è il Regno messianico, universale, di
giustizia e di pace. Un regno nel quale tutto sarà ritornato in comunione con
l'uomo e l'uomo non sarà più oppresso, ma difeso e salvato dal male.
L'uomo è il figlio di David cui è promesso il regno universale ed eterno.
Implicitamente il salmo si richiama alla promessa del salmo 2, che ritorna anche
nell'ultimo salmo del terzo libro (89) e nel quinto libro (salmo 138). Solo nel
quarto libro questa promessa non è richiamata, ma il quarto libro è, tuttavia, il
libro che canta la regalità di Jahveh. In questo secondo libro il regno di Dio è
esplicitamente il regno messianico - prima di essere il trionfo di Dio nella lode, è
il trionfo della pace e della giustizia: Dio non regna che per la salvezza degli
uomini, la protezione del poveri, l'aiuto del miseri, la liberazione degli oppressi.

Salmo 72

87
3 Porteranno i monti pace al popolo
e i colli la giustizia.
4 Difenderà i diritti del poveri del popolo,
soccorrerà i figli del miseri e schiaccerà l’oppressore.
5 E regnerà finché splenda il sole
e la luna, di età in età.
6 Discenderà come pioggia sulle zolle
e come gocce che irroran la terra.
7 Darà frutto, ai suoi giorni, la giustizia
e l'abbondanza di pace, finché si spenga la luna.
8 E stenderà il suo dominio da mare a mare
e dal Fiume fino ai confini della terra.
9 Innanzi a Lui si prostreranno gli abitanti del deserto
e i suoi nemici baceranno la polvere.
10 I re di Tarsis e delle isole offriranno doni,
i re di Sceba e Saba pagheranno tributi.
11 E Lui adoreranno tutti i re,
tutti i popoli lo serviranno.
12 Libererà il povero dal violento
e il misero che non trova aiuto.
13 Avrà pietà del povero e dell'infelice
e salverà del miseri la vita.
14 Dall'oppressione e dalla violenza li difenderà
e il loro sangue sarà prezioso innanzi a Lui.
……
16 E vi sarà sulla Terra abbondanza di frumento;
sulla vetta del monti stormirà, come il Libano, il suo frutto
e fioriranno gli abitanti nella città, come il fieno del campi.
17 Il suo Nome durerà nei secoli,
il suo Nome fiorirà finché splenda il sole
e benedette saranno in Lui tutte le genti
e lo acclameranno beato!

Il cammino di Israele è il cammino di tutta la storia e la storia ha fine nella


presenza del Regno. Così, al termine del secondo libro dei salmi, è la visione del
Regno. L'ultimo salmo che chiude il libro è precisamente il salmo che ci dà la
visione anticipata del Regno di giustizia, di concordia, di abbondanza. Regno
universale: tutti i popoli sono finalmente sotto il dominio del Re messianico. Non
è realtà ma promessa: il popolo di Israele, sotto la guida dell'Unto, diviene già lo
strumento di Dio per il compimento di quest!a realtà che già lo ispira e lo spinge
come ideale messianico, come meta lontana, ma certa, del suo cammino nella
storia.

IL TERZO LIBRO DEI SALMI


LA MATURITÀ

Il meriggio

L'esperienza di Dio

Il terzo libro va dal salmo 73 a tutto il salmo 89: non solo questo libro è
mediano nei confronti degli altri, ma si trova esattamente alla metà dello
svolgimento o dell'intera economia di tutto il Salterio. Questo già dice la sua

88
importanza per la dottrina in ordine alla preghiera e a tutta la vita spirituale e il
'suo valore come testimonianza di esperienza religiosa.
In realtà quello che ci dicono i salmi che appartengono a questo libro, è
veramente di un'importanza unica per la vita spirituale. Prima di tutto ci
affermano una verità sulla quale noi abbiamo richiamato l'attenzione fin
dall'inizio, quando abbiamo detto che nel cammino della vita spirituale non si
lascia indietro mai nulla. Si approfondisce, si dilata, ma senza superare e lasciare
nulla dietro di sé. Se tu vivi, se tu sei giunto alla vita unitiva, non per questo
cessa per te la necessità del distacco dal male, dal senso del peccato che è
proprio di coloro che iniziano il loro cammino verso Dio. Non si deve pensare che
il passaggio da un grado all'altro della vita spirituale voglia dire che gli elementi
propri della vita anche del principiante, siano trascesi e non ritornino più. Quegli
stessi elementi piuttosto si approfondiscono, divengono dominanti, riempiono
tutta la vita e alimentano una più profonda esperienza interiore. Questo ci
sembra il prima insegnamento che ci dà il terzo libro del Salterio. Nessun
elemento nuovo in questo libro nei confronti del due primi, che sembravano
contrapporsi l'uno all'altro. Il primo insisteva su di un elemento base e dava al
contenuto dei salmi un carattere statico; il secondo invece insisteva sul tema del
cammino. Nel primo dominava l'esperienza fondamentale dell'angoscia, nel
secondo l'esperienza fondamentale della serenità e della pace.
Questi elementi noi li ritroviamo ora nel terzo libro, ma acquistano ben
altra risonanza e sono elementi di una testimonianza, di una esperienza più
profonda. È un libro di pochi salmi, ma in questi diciassette salmi vi è una varietà
che non si riscontra nemmeno nel libro più ampio, quale è il primo: varietà di
toni, di motivi, di argomenti che potrebbe indurci in errore e farci pensare che
questo libro non avesse una sua fisionomia propria e non avesse unità. In questo
libro l'unità non deriva dai temi, che sono quelli del primo e del secondo, deriva
da un loro approfondimento, da un loro dilatarsi e da una loro conoscenza. I temi
prima erano accennati e l'anima li aveva scoperti e vissuti, ma forse solo come
qualcosa al di fuori di sé, ora divengono veramente temi nel quali si riassume
tutta l'esperienza dell'anima, anzi tutta l'esperienza religiosa di un popolo, di
tutta l'umanità.
L'orante qui non è nemmeno l'io collettivo, è sempre presente il popolo di
Dio. Ed è questo popolo che, come lamenta le sciagure nazionali,così canta la sua
grandezza, i suoi privilegi, la certezza del suo destino. I temi sono quelli degli
altri libri: è impressionante notare come il salmo che inizia il libro, già nella sua
esposizione relativamente breve, dall'angoscia, anzi, quasi dalla rivolta contro un
Dio che sembra privare di ogni aiuto coloro che gli sono fedeli ed è cieco per la
fortuna degli empi, passi all'espressione più sublime di comunione con lui.
L'anima non cerca nulla, non vuole più nulla. Potrà essere conculcata dai nemici,
potrà essere devastata la nazione, all'anima basta Dio. L'uomo in Dio non solo
possiede la pace, ma trova ogni vita, ogni gioia. Contro tutto quello che il mondo
gli offre, ed è la lotta, ed è la guerra, la persecuzione, la morte, basta Dio. Forse
nel Salterio non si trova altra espressione di tale intima religiosità, una
testimonianza così pura di. esperienza mistica. È d'una ricchezza immensa ed è,
anche sul piano letterario, di straordinaria potenza.
In pochi versetti è tutto il cammino, dalla rivolta alla più sublime intimità.
È prima la domanda, la protesta di Giobbe: la fedeltà a Dio che cosa matura per
il giusto? soltanto persecuzione e delusione e morte. Che cosa matura l'empietà
per l'empio? felicità, prosperità, vita lunga, potenza. È così che Dio ripaga i suoi
amici? veramente Dio ha uno sguardo ed ha cura dell'uomo? a che cosa giova
essere fedeli? Ma l'ardimento quasi blasfemo risveglia la fede dell'orante. Sembra
che proprio la tentazione dello sconforto, della rivolta siano necessari alla fede,

89
all'abbandono più puro. L'uomo si spaventa di riconoscersi infedele. Il senso del
peccato nel quale l'uomo è per cadere, lo risveglia e gli fa risalire d'un balzo la
china del precipizio. Il cuore si dilata negli ultimi versetti, in un puro e perfetto
amore. Il possesso di Dio ripaga di tutto. All'orante basta solo Dio, in lui trova la
sua pace e la sua gioia.

Salmo 73
1 È pur buono Iddio verso Israele,
verso i retti di cuore.
2 Ed io ... per poco non furon vacillanti i miei piedi,
per un nulla non scivolarono i miei passi,
3 quando provai invidia per gli arroganti,
quando vidi la pace degli empi;
4 poiché non hanno dolori fino alla morte
e pingue è il loro ventre.
5 Non sono a parte delle afflizioni umane,
né sono afflitti come gli altri mortali.
6 Come una collana li cinge la superbia
e come un manto li avvolge la violenza.
7 Emana dal grasso la loro iniquità,
traboccano i mali pensieri del cuore.
8 Beffeggiano e parlano con malizia,
violenza minacciano dal!' alto;
9 mettono la loro bocca nel cielo,
la loro lingua percorre la terra.
10 Per questo il mio popolo si volge verso di loro
e si abbevera di queste acque abbondanti.
11 E dicono: «Come lo può sapere Iddio?
averne conoscenza l'Altissimo?».
12 Ecco, quali sono gli empi:
sempre felici, ammassano le loro ricchezze.
13 Dunque inutilmente ho mantenuto puro il mio cuore,
e ho lavato nell'innocenza le mie mani,
14 poiché san tribolato tutto il giorno
e la mia pena ritorna ogni mattina.
15 Se dicessi: «Voglio parlare così»,
ecco che tradirei la generazione del tuoi figli.
16 Mi detti a pensare per risolvere questo mistero,
ma divenne un tormento agli occhi miei,
17 finché non entrai nel Santuario d'Iddio
e non considerai la sorte finale di costoro.
18 Sì, Tu li metti per lubriche vie,
in precipizi li fai cadere.
19 Come son diventati all'istante in orrore!
si consumano, periscono per improvvisa rovina!
20 Come sogno da chi si sveglia, o Signore,
dalla città fai svanire l'immagine loro.
21 Quando si tormentava il mio cuore
e trafiggevo il mio interno dal dolore,
22 ero uno stolto e non comprendevo,
come un bruto, ero verso di Te!
23 Però, voglio star sempre con Te,
Tu m'hai preso per la destra,

90
24 Tu mi guiderai col tuo consiglio
e Tu mi accoglierai nella tua gloria.
25 Chi altri c'è per me su nei cieli?
Con Te, altro non bramo sulla terra.
26 Si consuma la mia carne e il mio cuore:
rocca del mio cuore e mia sorte, è Dio per la vita,
27 poiché, certo, quelli che si allontanano da Te periranno.
Tu annienti tutti quelli che Ti sono infedeli.
28 Per me invece lo star presso Dio è piena felicità,
ripongo nel Signore Iddio la mia speranza,
per raccontare tutte le opere tue.

Tutto il cammino dell'anima è vissuto in un istante, perché nulla è


superabile, tranne il peccato. Così nel santo stesso è presente ancora la
tentazione; anzi, nessuno la conosce più del santo. Vive in abituale intimità col
Signore, vive in una pacifica, dolce docilità allo Spirito santo, eppure conosce
tentazioni di rivolta, tentazioni di bestemmia che sono qualche cosa di pauroso.
In questo salmo la tentazione più grave è congiunta 'all'esperienza della più pura
intimità con Dio.
Altro salmo che canta con accento di grande poesia la dolcezza dell'unione
con Dio è il salmo 84. Come motivo ispiratore della preghiera ritorna in questo
salmo il desiderio che ha tanta parte nel secondo libro. Nella misura che l'uomo
avanza verso la santa Città, verso il Santuario si accresce il suo Vigore. Il
cammino, invece che procurare stanchezza, rinnova le forze, ma Ja pace e la
gioia perfetta è abitare negli atri di Dio. Anche in questo salmo si ripete quanto
era detto nel salmo 73: nulla è comparabile, per l'anima che ama, allo stare nella
Casa di Dio.

Salmo 84
2 Quanto san care le tue dimore,
o Signore delle Schiere!
3 Brama e langue l'anima mia
desiderando gli altari del Signore:
il mio cuore e le mie membra esultano
pensando a Iddio vivente.
4 Anche il passero si trova una casa
e la rondine un nido ove deporre i suoi piccini:
i tuoi altari, o Signore delle Schiere,
mio Re e mio Dio!
5 Beati quelli che stanno nella tua Casa!
di continuo Ti posso n lodare.
6 Beato l'uomo che ha in Te la sua forza,
cui sta a cuore il salire al tuo Santuario.
7 Quelli che attraversano l'arida valle di Bacà
la trasformano in luogo pieno di fonti,
e di benedizioni la rivestono le prime piogge.
8 Il loro vigore aumenta man mano che vanno,
finché appariscono davanti a Dio in Sion.
……
Il Certo, val meglio un giorno solo nel tuoi atri di mille altri:
preferisco stare alla soglia della casa del mio Dio,
che abitare sotto le tende degli empi.

91
Tutto l'uomo trova in Dio il suo appagamento. Non è religione della legge,
ma comunione col Dio vivente. II rapporto con lui conosce i languori e l'ebbrezza
dell'amore umano. Dio non è a servizio dell'uomo perseguitato che chiama il
soccorso di Dio, dell'uomo che vuole allontanare la sua morte, non è nemmeno a
servizio della nazione che da lui spera aiuto - l'uomo non cerca la sua santità, la
sua salvezza, la salvezza della nazione, l'uomo non vuole che Dio.
Il terzo libro dei salmi è come la testimonianza della maturità religiosa.
L'uomo vive in questa maturità tutti gli dementi della vita spirituale. Uno degli
elementi è il combattimento e un altro il sentirsi estranei alla terra, come un altro
è il sentirsi nelle mani di Dio. Vive lo sradicamento da tutto, l'esilio, vive il senso
del vuoto, della sua solitudine e vive insieme anche una pace immensa, una
dolcezza infinita nella comunione con Colui che è. Tutto si fa presente e tutto
raggiunge, in questo libro, l'espressione più viva e drammatica: le sciagure
nazionali, la devastazione interiore di una desolazione, di un'assenza di Dio,
insieme al ricordo del benefici passati, l'esperienza dell'incontro dell'anima con
Dio, furtivo oppure gaudioso, luminoso per potenza e ricchezza di grazia. Tutto,
in questo libro è presente.

Il ricordo della storia

Si allarga l'orizzonte; non è quasi mai più l'orante solo che prega. È vero
che anche nell'orante che prega è tutta l'umanità, è sempre il Cristo che prega,
come nel primo libro; tuttavia nel terzo libro è esplicitamente presente il popolo
come popolo. E oltre che allargarsi l'esperienza dell'anima e dilatarsi nella
esperienza della nazione, si fa presente ora, nell'esperienza dell'oggi, il passato
come ricordo, e il futuro come speranza e certezza dell'immancabile trionfo di
Dio. Nell'atto unico del presente così si condensa passato e futuro: tutto è
presente! Il secondo libro canta l'esperienza di una giovinezza spirituale, canta il
fidanzamento di Dio con Israele, il desiderio di Israele che cerca il 'suo Dio. Ora,
nella preghiera, Israele rivive la dolcezza della sua prima esperienza di amore, il
ricordo del prodigi che il Signore ha compiuto, vive la dolcezza di un passato di
grazia.
Sembra che la vita religiosa sia soprattutto ricordo. Nell'Antico Testamento
tutta la vita è dominata dal ricordo dell'esodo, nel Nuovo dal 'ricordo' del Cristo,
della sua morte e della sua risurrezione. Uno del discorsi parrocchiali di Newman,
forse il più bello, si intitola proprio così: come Dio si fa presente nel ricordo».
Quando Dio viene tu non lo avverti. Passano i giorni e il passato, ecco, ora
si colora di bellezza, ti appare nuovo, pieno di luce. Nel momento in cui entrava
nella tua vita si faceva appena sentire; il passaggio di Dio fu lieve, quasi
impercettibile, ma ora tu vedi quello che il passaggio ha compiuto. Passando egli
ha come lasciato dietro di sé un profumo che ti imbalsama tutto; ha lasciato una
pace, una dolcezza nuova, ti ha dato una sicurezza, una gioia profonda.
Nemmeno le angustie del presente, nemmeno i rovesci nazionali bastano più a
togliere a Israele la certezza di una sua elezione divina. L'esperienza del presente
non incide così profondamente come hanno inciso avvenimenti che, quando si
compirono, sembravano quasi comuni. Quegli avvenimenti hanno trasfigurato
tutta la vita, hanno dato a Israele per sempre la coscienza di una protezione
divina. Israele non vive che il ricordo dell'esodo. Anche se ora non c'è profeta, se
il Tempio è caduto, se la nazione vive in continui disastri Israele vive, nel ricordo,
il passaggio del mare, vive l'istituzione della monarchia, vive l'esperienza del
patriarchi, del suoi grandi condottieri, di Abramo, di Mosè, di David. Non vive che
il suo passato.

92
Ma la vita del passato non è per Israele, che la promessa di un futuro che
già anticipa nella certezza della sua speranza.' Così nell'attimo presente, che può
sembrare anche vuoto, di fatto, si raccoglie tutta la vita, l'unione e la
desolazione, l'assenza e la presenza di Dio. Israele vive la sciagura nazionale e
vive la certezza della gloria futura, quando Gerusalemme sarà madre di tutti i
popoli. Questa sembra l'esperienza fondamentale del terzo libro. Tu non puoi
dividere un elemento dall'altro, la vita si fa complessa e pur tuttavia è una. Non è
l'inizio di una vita, non è il suo svolgersi ma, come avviene nella maggiore età, è
la stasi della pienezza.
Israele vive il ricordo del passato: il motivo fondamentale della preghiera è
la storia d'Israele. Secondo la tradizione giudaica il salmo 78 è al centro
precisamente non solo del terzo libro, ma di tutto il Salterio. È un salmo
narrativo, è l'epopea del passaggio del mare, del cammino attraverso il deserto,
della conquista di Sion: dalla liberazione dall'Egitto alla elezione di David.
Riassume tutta la storia d'Israele. Non è tanto il ricordo di un avvenimento
passato quanto la sua presenza. Israele vive ancora, vive sempre l'esperienza
della protezione di Dio. Nella sua maturità la vita spirituale non è più
implorazione, non è più ricerca, ma esperienza di una protezione di Dio che ti
salva. Cosi per Israele: quando vive la sua comunione con Dio, non vive che il
ricordo dell'esodo, non vive che il dono della Legge, non vive che il passaggio del
mare. Vive. i grandi avvenimenti in cui Dio è entrato nella sua storia e s'è fatto
presente al suo popolo. Così nel cristianesimo stesso: la morte di Croce, la
risurrezione dal sepolcro. L.'umanità non vive nell'al di là di quell'atto.
Israele non si diparte mai dai piedi del Sinai, come il cristiano non si
diparte mai dai piedi della Croce. Tutta la storia non è che un avvenimento; il
tempo non lo supera più, lo dilata soltanto: Israele vive il ricordo dell'esodo, il
cristiano il ricordo del Cristo. E il Cristo è l'eterna giovinezza del mondo. Il ricordo
è la presenza di un atto che si allarga nel tempo e nello spazio, diviene tutta la
vita, tutta la realtà. L'uomo non vive nel tempo che il suo inserimento
progressivo nell'atto di Dio, nella presenza. Dio è entrato nel mondo e si è fatto
presente perché ogni uomo, anzi il mondo stesso possa entrare in lui.
Newman vede l'esperienza fondamentale dell'anima religiosa nel ricordo: il
tempo non porta novità, ma ti dà modo di sperimentare sempre più il dono di
Dio. Nell'istante che Dio si dà, anche si nasconde. Quanto più la sua azione è
grande ed efficace, tanto più è profonda e perciò sfugge a una nostra esperienza
diretta. Noi di Dio non conosciamo il passaggio; ci accorgiamo che è passato per
gli effetti che lascia. L'anima così non ha mai quaggiù, nel tempo, l'esperienza
diretta di Dio, che pure si è comunicato all'uomo, ma conosce Dio perché il
passare nel tempo dà all'uomo la possibilità di misurare quello che la 'sua
presenza ha compiuto. Tu non vivi nell'atto il suo passaggio. È così lieve l'atto di
Dio! Ma quest'atto onde egli entra nel mondo non è più inghiottito dal tempo;
anzi attrae a sé tutto il passato, attrae a sé tutto l'avvenire e tutto ora vive di
quell'atto.
Che cos'è stata per Israele l'esperienza dell'esodo? Se noi l'ascoltiamo
attraverso la tradizione ebraica, è una cosa impressionante. Già nel libro
dell'Esodo è diventato un fatto leggendario: la manna per quaranta anni ogni
giorno sfama il popolo, è percossa la rupe nel deserto e ne scaturisce una
sorgente per dissetare le moltitudini e, prima ancora, si apre il mare al passaggio
d'Israele. Il libro 'La Bibbia aveva ragione', riconduce gli avvenimenti a una
misura più umana: il vento ha 'asciugato i 'laghi amari' e Israele ha potuto cosi
lasciare l'Egitto; la manna è il trasudamento di un arbusto che si trova nel
deserto del Sinai ... e così via.

93
Eppure il miracolo c'è stato, ma non così clamoroso. Via via che passano
gli anni diventa sempre più grande nel ricordo. Di questo dilatarsi del fatti è
testimonianza anche il nostro salmo. Addirittura nel libro della Sapienza, alle
soglie dell'era cristiana, gli avvenimenti saranno una nuova creazione; Dio,
nell'atto che entra nel mondo per salvare il suo popolo, ha cangiato le leggi del
cosmo. Tutto l'universo si è rovesciato.
Nessuno si accorse quando Israele visse quest'esperienza degli
avvenimenti dell'esodo. Via via che Israele li rivisse nel ricordo, gli avvenimenti
acquistarono nuova grandezza, perché in quegli avvenimenti Israele aveva
incontrato Dio e l'incontro fu per la nazione il principio di un suo crescere, di un
suo dilatarsi nel tempo. Israele non crebbe nella consapevolezza della sua
missione, che nel crescere stesso del ricordo del suo passato. Così è per ogni
uomo.' Il suo incontro con Dio è promessa di un cammino senza fine,
l'avvenimento più semplice; se fu incontro con lui, è come il seme che in potenza
già contiene tutta la vita avvenire. Chi visse con Gesù non ebbe allora
l'impressione che ne ebbe poi nel ricordo. Ogni avvenimento del Vangelo, oggi,
per colui che crede, ha la misura stessa dell'universo. Pochi allora, pur testimoni
dei miracoli, credettero in lui e anche quei pochi lo abbandonarono quand'egli
mori sopra la Croce. In realtà, nonostante i miracoli, egli rimaneva nascosto: un
uomo comune. Tanto un uomo comune che dopo la vita pubblica, se dovette
essere riconosciuto, coloro che ne volevano la morte ebbero bisogno del bacio di
Giuda, di uno degli intimi. Chi era Gesù per coloro che l'hanno veduto, hanno
ascoltato la sua parola? Il figlio del fabbro. Trapelava la divinità per alcuni; e,
anche costoro, quando hanno avuto veramente una conoscenza del Cristo? Dopo
la sua morte, dopo la sua risurrezione. Il miracolo più grande del Nuovo
Testamento è il quarto Vangelo: esso è certo un libro storico, ma oltre che dirci
la storia della vita di Gesù, è la testimonianza della più alta esperienza mistica
che si sia avuta nel cristianesimo. L'evangelista, dopo l'ascensione del Cristo non
ha fatto che meditare e contemplare gli avvenimenti cui aveva assistito. E questi
avvenimenti divennero per lui veramente gli avvenimenti più grandi della storia.
Tutta la vita del mondo si raccolse nell'umiltà di quella vita che era finita sulla
Croce.
Se noi fossimo vissuti con Cristo, forse non l'avremmo saputo riconoscere,
forse avremmo reagito contro questo profeta di un borgo oscuro, contro questo
figlio di un fabbro, come fecero i farisei. Ma se negli umili avvenimenti della sua
vita la fede ci fa riconoscere Dio, allora quegli umili avvenimenti divengono
l'unico nutrimento di tutta la vita. Sono divenuti di fatto il nutrimento di ogni vita
umana. La sua parola, come chicco di senapa, germina nel cuore del mondo,
divenendo albero che riempie la terra. Colui che visse in un angolo della
Palestina, e nessuno forse lo conobbe, ora, ha riempito di sé tutto l'universo.
Tutta la creazione è lui, tutta la storia non è più che la sua morte. Anche questo
Israele visse: il ricordo del suo passato fu la sua vita.
Nella sua maturità l'uomo vive la stessa grazia che ha ricevuto da giovane,
ma questa grazia è cresciuta con lui. Di fatto, per ognuno non vi è che una
vocazione; la parola di Dio che ti chiama è immutabile: Dio non dice oggi una
cosa che non ti ha detto ieri. Se tu entri veramente nel centro della tua anima,
anche oggi non senti risuonare altra parola di quella che ti disse tanti anni fa. È
la parola del tuo primo incontro con lui e anche oggi non ascolti che quella. Ma
allora era una parola tra tante, ora è divenuta l'unica che ascolti, l'unica, e
riempie il tuo silenzio interiore, è alimento, è la stessa tua vita.
Questo fa la maturità dell'uomo non il moltiplicarsi delle opere che
intraprende, nemmeno il crescere obiettivo della fede, ma il crescere dell'uomo
nella fedeltà alla parola. Dio s'è donato fin dall'inizio: ma allora rimaneva al di

94
fuori; ora non soltanto è entrato nel tua intimo cuore, ma tutto l'ha dilatato
secondo la sua stessa misura.
Quella parola che ascoltasti è divenuta un universo, e più grande ancora di
un mondo, perché è il mondo stesso di Dio. Così fu per Israele l'esperienza
dell'esodo.
Ecco perché al centro del Salterio vi è questa salmo che riprende la
narrazione delle gesta di Dio. Fu la parola di Dio, fu il dono della Legge che
cementò e generò in unità di pO'polo le tribù di Giacobbe e le condusse
attraverso il deserto fino alla conquista di Canaan.
Tuttavia questo salmo, nei confronti della Torah, ha una particolare e
significativa aggiunta. non è solo la storia della liberazione d'Israele dalla
schiavitù ,dell'Egitto, del passaggio del mare, del dono della Legge, del cammino
attraverso il deserto. La Storia sacra d'Israele non ottiene il suo senso ultimo,
secondo il salmo 78, che nella elezione della tribù di Giuda, nella elezione del
monte Sion e nella edificazione del Santuario. Tutto questo naturalmente ha
rapporto con David e can la instaurazione della monarchia davidica. La storia
d'Israele è ordinata al culto divino nel Tempio, è ordinata al Regno messianico.
Dio che aveva scelto Israele, ora sceglie la tribù di Giuda; di tutta la terra di
Canaan sceglie il monte Sian; di tutta la tribù di Giuda sceglie David e in lui si
compiace.

Salmo 78
……
67 Ripudiò la tenda di Giuseppe
e non scelse la tribù di Efraim.
68 Ma preferì la tribù dì Giuda,
e il monte Sion che amava.
69 Edificò il suo Santuario alto come il cielo,
saldo come la terra che dura nei secoli.
70 E scelse David, suo servitore,
e lo tolse di fra le mandrie di pecore,
71 di dietro alle pecore allattanti lo chiamò
a far da pastore a Giacobbe, suo popolo,
a Israele sua eredità;
72 ed Egli li guidò con cuore integro,
con mano prudente li governò.

Così tutta la storia di Israele non solo termina nel re David, ma il re tutta
la riassume - più ancora del monte Sion, più ancora del Tempio, perché il re
David 'l'eletto di Dio è anche colui che più di tutto lo rappresenta quaggiù sulla
terra. L'elezione di Israele, la storia della nazione hanno il loro compimento in
colui che Dio ha solamente proclamato suo Figlio, in colui cui Dio ha affidato
l'esercizio stesso della sua Regalità (cf. Sal. 2).
Il ricordo delle gesta riempie il terzo libro che è al centro del Salterio. Si è
fatto un richiamo al salmo 78, e certo questo fra gli altri ha come suo argomento
principale la narrazione degli antichi fatti, ma questi avvenimenti non sono mai
dimenticati. Il loro ricordo ritorna costantemente anche negli altri salmi di questo
libro. Nel salmo 74 il ricordo di allora rende più grave la sciagura presente.

Salmo 74
Perché, o Dio, Tu ci disprezzi di continuo
e il tuo furore si accende contro il gregge della tua pastura?
2 Ricordati del tuo popolo, che da tempo ti sei acquistato,

95
della tribù di tua eredità, che hai riscattato,
di questo monte di Sion, dove hai voluto abitare.
3 Volgi i tuoi passi a questa rovina totale:
ogni cosa ha devastato il nemico nel Santuario!
……
10 Fin a quando, o Dio, insulterà l'oppressore
e il nemico oltraggerà di continuo il tuo Nome?
……
12 Eppure, fin dai tempi antichi, Dio è il mio Re,
che ha compiuto tanti atti di salvezza in mezzo alla Terra.
13 Tu dividesti il mare con la tua potenza,
spaccasti le teste del mostri sulle acque.
……
15 Tu facesti scaturire fonti e torrenti
e seccasti fiumi perenni.
……
Nel salmo 77 ugualmente il ricordo di allora suscita la preghiera, l'appello
angoscioso, ma alimenta anche la speranza e giustifica l'attesa di nuovi interventi
di Dio:
……
6 Ripenso ai giorni antichi
alle remote età.
……
8 Dunque per secoli ci rigetterà il Signore
e non ci sarà propizio mai più?
……
12 Ricordo le alte imprese del Signore,
ricordo i prodigi di un tempo.
……
16 Col braccio (potente) Tu hai liberato il tuo popolo,
i figli di Giacobbe e di Giuseppe.
17 Te videro le acque o Dio,
Te videro le acque e fremettero,
anche gli abissi furono scossi.
18 Le nubi riversarono le loro acque,
i nembi emisero la loro voce,
guizzarono le tue saette.
19 Il fragor del tuo tuono era nel turbine,
fremeva la terra e sussultava.
20 Sul mare era il tuo viaggio,
la tua marcia sulle acque immense
e le tue vestigia non si conobbero.
21 Guidasti come un gregge il tuo popolo
per mano di Mosè e di Aronne.

Il deutero Isaia aveva cantato il ritorno dall'esilio come un nuovo esodo. La


meditazione della storia antica diventa ora la preghiera e la speranza ti Israele.
Anche il salma 80 canta l'antica storia e invoca il nuova intervento di Dio.
Ma più che un nuovo Mosè, Israele chiede protezione per il figlio di David.
……
9 Tu sradicasti dall'Egitto una vite,
cacciasti le genti e la trapiantasti,
10 le accomodasti intorno il terreno,

96
mise radici e riempì la Terra.
……
13 Perché hai abbattuto il tuo recinto
affinché la vendemmi ogni passante?
……
16 Proteggi la vite che la tua destra ha piantato,
il rampollo che Ti sei reso forte!
……
18 Sia la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che Tu hai reso forte.

Se Dio deve di nuovo salvare Israele, se Dio deve restaurare la nazione


devastata dal nemico, è sulla vittoria del re, dell' 'eletta di Dio che Israele
attende e implora il soccorso divino. Israele vede ancora la sua salvezza
nell'adempimento della promessa di Dio fatta a David.
Nel salmo 81 è Dio stesso che ricorda la liberazione per accusare il suo
popolo ingrato, ma il ricordo dell'antica protezione divina è sulle labbra stesse di
Dio promessa di nuova vittoria, di protezione, di amore.

2 Cantate con esultanza a Dio che è nostra forza,


acclamate Iddio di Giacobbe.
3 Intonate l'inno, sonate i cembali,
la cetra melodiosa e l'arpa.
4 Squilli la tromba in questo mese,
al plenilunio, giorno della nostra festa,
5 perché è un precetto in Israele,
una testimonianza per Iddio di Giacobbe
6 Egli ne fece una legge per Giuseppe,
quand'Egli mosse contro l'Egitto.
……
8 «Tu m'invocasti nell'angustia ed lo ti liberai,
ti risposi dalla nube tonante,
ti misi alla prova presso le acque di Meriba.
……
11 Sono lo, il Signore Iddio tuo,
che ti trassi fuori dall'Egitto;
dilata la tua bocca ed lo te la riempirò!
12 Ma il mio popolo non ascoltò la mia voce
e Israele non mi volle obbedire:
……
14 Oh, se il mio popolo mi ascoltasse,
se Israele camminasse nelle mie vie!
15 Umilierei ben presto i suoi nemici
e contro i suoi avversari volgerei la mia mano.
……
17 Io lo nutrirei del fior di frumento
e lo sazierei di miele, che cola dalla pietra».

La nazione vive il ricordo del passato, vive così anche la speranza e la


visione di un avvenire glorioso. Il presente della nazione, nella luce di quel
passato e di quel futuro, è desolazione e miseria, perché il passato e il futuro
hanno per Israele il volto di Dio, mentre il presente ha il volto della sua povertà.
È nella luce di quanto Dio ha compiuto ed è nella luce di quanto ha promesso che

97
Israele vede e sente la sua povertà. Il salmo 88 è il più sconsolato di tutto il
Salterio. Mai con tanta intensità si era espressa l'angoscia e la desolazione.
Potrebbe sembrare la fine e tuttavia la rovina e la desolazione presenti non si
oppongono alla gloria promessa; ne sono piuttosto il prezzo. La città è devastata,
il Tempio è distrutto.

Salmo 74
4 Ruggiscono i nemici nel luogo del tuo convegno
e per insegne vi han posto le loro insegne.
……
8 Diceva in cuor suo tutta quanta la loro genìa:
«Bruciate tutti i luoghi a Dio sacri nella terra!».

Salmo 79
O Dio, le genti hanno invaso la tua eredità,
hanno profanato il tuo Tempio santo,
ridotto Gerusalemme in un mucchio di rovine.
……
5 Fino a quando, o Signore ... ?
Sarai Tu irritato per sempre?
Arderà come fuoco la tua gelosia?

I nemici sembrano aver avuto mano libera sulla città di Dio, sulla nazione;
eppure la distruzione sembra essere, più che la fine della speranza, la condizione
a una glorificazione, a una esaltazione della città che diverrà madre di tutti i
popoli.

Salmo 87
La fondò sui monti santi!
2 Ama il Signore
le porte di Sion, più di tutte le tende di Giacobbe!
3 Cose gloriose si annunzian di te,
o città d'Iddio.
4 «Ricorderò Rahab e Babele,
fra coloro che mi conoscono.
Ecco, Filiste e Tiro ed anche Cush:
ecco è nato colà».
5 E di Sion si dirà:
«E questo e quello, tutti sono nati in lei,
ed Egli la rende stabile, l'Altissimo».
6 Il Signore scriverà nel libro del popoli:
«Questo è nato colà».
7 E i cantori come pure i flautisti;
«Ogni mia sorgente è in Te».

Il salmo, assai breve, è uno del più sorprendenti. Se il presente è silenzio e


rovina, il ricordo del passato è soprattutto condizione a una meravigliosa
speranza: non è tanto grande la devastazione presente, quanto inconcepibile la
grandezza della gloria futura. La città regale diverrà veramente il centro del
mondo, il cuore dell'universo.
L'uomo vive come fuori di sé, fuori del presente; vive nel ricordo di un
passato tutto pieno di Dio e nell'attesa immancabile di un futuro ancora più
glorioso.

98
Si è detto all'inizio di questo terzo libro che l'esperienza dell'intimità con
Dio realizza e porta a compimento quanto nel desiderio l'uomo aveva sperato e
cercato nel libro precedente. Dio si è fatto intimo al cuore dell'uomo, per questo
ora non opera più dal di fuori. Grande è stato il passato e glorioso sarà l'avvenire
- il presente sembra desolazione e abbandono. Tuttavia l'intima comunione con
Dio assicura più di ogni altra cosa il risorgere della nazione, anzi il rinnovamento
di tutta la creazione, nella pace e nella giustizia. Singolari in questo libro sono i
salmi 76 e 85.
Nel primo di questi, all'esperienza della rovina propria di altri salmi,
subentra la testimonianza del trionfo di Dio, nella vittoria. Non la notte o il
mattino, ma qui sfolgora la Luce di un pieno meriggio. Non più il passato o il
futuro, ma il presente è la manifestazione della gloria di Dio in Israele.

Salmo 76
2 In Giuda Dio è conosciuto
in Israele è grande il suo Nome.
3 In Salem ha posto il suo padiglione,
la sua dimora in Sion.
4 Là Egli ha spezzato i fulmini dell'arco,
scudo, spada e strumenti di guerra.
5 Splendente Tu sei, o potente, dai monti di preda;
furono spogliati i coraggiosi;
6 dormirono nel loro sonno, né più ritrovarono,
gli eroi della pugna, le loro mani.
7 Alla tua minaccia, o Dio di Giacobbe,
caddero sopiti cavalieri e cavalli.
8 Il tremendo Tu sei! E chi può stare davanti a Te
per l'impeto della tua ira?
9 Dal cielo facesti udire la tua sentenza:
la terra si spaventò e tacque
10 quando si levò Iddio a far giustizia,
a salvare tutti, gli infelici della terra.
11 Il furore dell'uomo torna a tua gloria,
dei resti dell'ira ti fai una cintura.
12 Fate voti al Signore Iddio vostro e adempiteli:
tutti quelli che lo circondano rechino doni al Terribile,
13 a Colui che toglie il respiro ai prìncipi,
che è tremendo per i re della terra.

Più pacato, ma anche più ricco, il salmo 85. Al giudizio di Dio che è la
morte del re della terra, qui si sostituisce la visione del Regno messianico, che è
regno di giustizia e di pace.

2 Tu sei stato benigno, o Signore, alla tua Terra:


hai ricondotto gli schiavi di Giacobbe,
3 hai perdonato l'iniquità del tuo popolo
e ricoperto tutti i suoi peccati.
……
9 Ascolterò quello che dirà il Signore Iddio;
poiché Egli parla di pace
al suo popolo e ai suoi fedeli,
e a chi rivolge il suo cuore a Lui.
10 Certo, la sua salvezza è vicina a quelli che lo temono,

99
perché la gloria ritorni nella nostra terra.
11 Misericordia e fedeltà stanno per incontrarsi,
giustizia e pace stanno per darsi il bacio.
12 La fedeltà germoglierà dalla terra
e la giustizia riguarderà dal cielo.
13 Il Signore elargirà pure ogni bene,
e la nostra Terra darà il suo frutto.
14 La giustizia camminerà innanzi a Lui
e si porrà qual via ai passi suoi.

Il salmo richiama il 72. Là più esplicitamente l'era messianica era il regno


del Figlio di David; qui la salvezza è compiuta, sembra, direttamente da Dio.
Quello che Israele ora attende, più che una vittoria, è la realizzazione di un
ideale di pace e di giustizia, meno un ideale di indipendenza nazionale che, quasi,
di giustizia interiore.
Anche il salmo 86 apre a Israele la visione del futuro messianico:
……
8 Nessuno degli del è pari a Te, Signore,
e niente vi è che uguagli le opere tue.
9 Tutte le genti, da Te create, verranno
e si prostreranno davanti a Te, Signore,
e daranno gloria al tuo Nome.
10 Poiché Tu sei grande e fai meraviglie:
Tu solo sei Dio.
……
Questa sicurezza dell'avvento messianico dà unità all'intero Salterio. Così
nel terzo libro dei salmi l'esperienza religiosa si approfondisce e si dilata. Si
approfondisce: i motivi non sono diversi - è presente il tema della persecuzione e
della sofferenza e perciò della purificazione che è inerente alla vita religiosa, la
guerra e la sciagura - e mai, come in questo libro, la rovina della nazione sembra
essere più grave, ma anche il tema del desiderio di Dio e dell'unione con lui, la
manifestazione della gloria divina che trionfa di ogni opposizione. Così questa
esperienza, oltre che approfondirsi si dilata, perché quella che era l'esperienza di
un solo diviene ora, nel modo più pieno, l'esperienza di tutto un popolo, di tutta
la nazione eletta. Più che un orante solo che parla, è la nazione intera che
supplica e canta, si ricorda del passato, invoca l'intervento di Dio, si esalta nella
manifestazione della gloria. Questo approfondimento e questa dilatazione
avvengono soprattutto nel senso che l'atto presente in cui Israele vive, è tutto il
passato rivissuto nel ricordo, è tutto l'avvenire anticipato già ora nella certezza
dell'adempimento immutabile.
Il salmo del ricordo per eccellenza è il 78. In uno scorcio potente è tutto il
passato che risorge nella meditazione religiosa del popolo. In questo passato la
nazione riconosce la grandezza di Dio che ha accompagnato il suo cammino, con
portenti e con prove innumerevoli di amore:

Ascolta, popolo mio, il mio insegnamento,


porgete orecchio alle parole della mia bocca.
2 Aprirò la mia bocca in saggi versi
divulgherò i carmi fin dalle antiche età.
3 Quello che abbiamo udito ed imparato,
quello che i nostri padri ci raccontarono
4 non lo terremo nascosto ai loro figli:
narreremo alle future età le lodi del Signore,

100
la sua potenza e i prodigi che fece.
……

Le promesse di Dio

Ma dobbiamo ancora soggiungere che il salmo che chiude il libro è


altrettanto, se non forse, più importante. È il salmo della regalità davidica. Nel
primo libro il secondo salmo già la proclama nella promessa di Dio che assicura la
vittoria sui nemici e il dominio di tutta la terra all'Unto di Dio; nel secondo libro,
uno del primi salmi è proprio l'epitalamio del Re e l'ultimo salmo canta il Regno
pacifico del Re messianica con accenti che richiamano il profeta Isaia. Il terzo
libro dei salmi finisce col salmo 89. La vita spirituale dell'uomo, di tutta l'umanità
ha un rapporto intimo, necessario col Regno di Dio e il Regna di Dio è il regno di
David.
Nulla più di questo salmo può dire la centralità del Figlio di David nella
creazione e nella storia dell'universo. Di fatto il salmo, non solo per la sua
posizione nel Salterio, ma esplicitamente per quella che canta, afferma la
centralità del mistero del Cristo, del Re messianico nella creazione e nella storia
del. mando. Sotto questa aspetto non si può negare che il salmo sia il più
importante di tutta il Salterio, sia veramente al centro di tutto il Salterio assai più
del salmo 78. Nel salmo 78 Israele guarda il passato, nel salmo 89 Israele è
soprattutto rivolto all'avvenire. La promessa fatta da Dio a David, promessa che
sembra smentita dall'esperienza presènte, diviene motivo di una preghiera e di
una speranza che apre l'avvenire.
Nei salmi è certo, David che campeggia, come Mosè nel libri della Torah.
Là il profeta, il condottiero d'Israele, qui il re scelto da Dio, l'unto del Signore, cui
Dio ha promesso la vittoria su tutti i nemici e il dominio del mondo. La maggior
parte dei salmi si dicano campasti da David e vorrebbero riflettere così concreti
della sua vita, ma anche quelli che non si dicono composti da lui, in fonda, hanno
quasi sempre un rapporto con lui a perché esaltano la città regale capitale del
Regno a perché cantano la sua unione nuziale con la figlia delle nazioni, o
l'investitura del potere, o la gloria del Regno, o perché si richiamano alla
promessa di Dio e al legame che Dio ha stabilita can David e la sua discendenza.
Tra tutti i salmi tre tuttavia sembrano campeggiare in una loro grandezza
assoluta, e determinano il contenuto essenziale di tutto il Salterio: il salmo 2
all'inizio, il salmo 89 verso la metà e il salmo 110 verso la fine. Ma il salmo 89
non solo è veramente al centro di tutto il Salterio, in ciò che canta è anche al
centro di tutta la rivelazione e di tutta la vita. Da una parte la promessa di Pio, il
suo impegno più solenne, più grande di protezione, di difesa, di aiuto, di amare;
dall'altra, nella preghiera dell'uomo, la più impressionante coscienza di una
grandezza umana e la più alta fiducia dell'uomo in Dia. L'uomo conta veramente
su di lui, anche nel momento più tragico e più desolato della sua esistenza: tutti i
disastri non fanno che provocare una preghiera che ha i caratteri della più
sconvolgente intimità con Dio, non è un servo che prega, ma un figlio e sembra
voglia chieder conto a Dio di quello che fa, di quello che non sembra mantenere.
Nell'atto di fede dell'uomo alla promessa di Dio, alla desolata esperienza umana
si unisce così la indefettibile fedeltà di Dio: la disfatta non separa l'uomo da Dio,
sembra provocare, al contrario, la coscienza di una unione indissolubile che non
può essere se non causa di salvezza.
L'uomo vero è il Cristo, l'Unto di Dio per essere il Re universale, il Figlio di
David. Il salmo 8 e il salmo 103 cantano la grandezza dell'uomo costituito re del
creato; quest'uomo non è un altro da quello che è cantato nei salmi 2,89, 110. Il
Figlio di David, cui è promesso il Regno, è veramente il Nuovo Adamo che

101
finalmente realizza la vocazione che l'uomo aveva ricevuto da Dio nell'atto stesso
della sua creazione. Forse vi è un rapporto segreto ma valuto da Dio fra il salmo
2 e il salmo 8, fra il salmo 103 e il salmo 110; nel salma 89 la creazione e la
Storia sacra si riassumono in un solo Uomo, quest'uomo è il Figlio di David cui
Dio ha promesso l'impero, è Colui nel quale creazione e storia d'Israele trovano il
loro ultimo compimento.

Salmo 89
2 La benignità del Signore io canterò nei secoli
di generazione in generazione
farò nota la tua fedeltà con le mie labbra:
3 poiché penso: «Un secolo di grazia è edificato,
nei cieli hai stabilito la tua fedeltà».
4 «Ho stretto un patto col mio eletto,
ho giurato a David, mio servo:
5 Attraverso i secoli durerà la tua progenie
edificherò il tuo trono di età in età».
6 I cieli attestano le tue meraviglie, Signore,
e la tua fedeltà nell'assemblea del santi.
7 Chi infatti è uguale al Signore nei cieli?
Chi è simile al Signore, tra i figli di Dio?
8 Iddio è terribile nel consesso del santi,
grande e terribile più di tutti quei che l'attorniano.
9 Chi è pari a Te, Signore, Dio delle Schiere?
Potente Tu sei, Signore, e la tua fedeltà ti circonda.
10 Tu domi l'orgoglio del mare,
l'infuriar del suoi (lutti Tu acqueti.
11 Tu schiacciasti Rahab come un ferito a morte,
disperdesti i tuoi nemici con la forza del tuo braccio.
12 I cieli san tuoi e tua è la Terra,
Tu hai fondato il mondo e quel che contiene,
13 hai creato il settentrione e il mezzogiorno
il Tabor e l'Hermon esultano al tuo Nome.
14 Il tuo braccio è armato di forza,
potente è la tua mano, la tua destra è levata in alto.
15 Giustizia ed equità san le basi del tuo trono,
grazia e fedeltà ti stanno davanti.
16 Beato il popolo che conosce l'esultanza
egli cammina alla luce del tuo volto, Signore,
17 nel tuo Nome si rallegra di continuo
e dalla tua giustizia egli è esaltato,
18 poiché Tu sei splendore della sua forza
e col tuo favore si esalta la nostra potenza,
19 poiché del Signore è il nostro scudo,
del Santo d'Israele, il nostro re.
20 Una volta parlasti in visione ai tuoi santi e dicesti
«Ho dato il mio aiuto a un potente,
ho esaltato un eletto di mezzo al popolo,
21 ho trovato David, mio servo,
con l'olio mio santo l'ho unto,
22 affinché la mia mano lo sostenga
e il mio braccio lo renda forte.
23 Il nemico non lo soverchierà

102
e non l'opprimerà l'iniquo.
24 Frantumerò in faccia a lui i suoi avversari,
abbatterò quelli che l'odiano.
25 La mia fedeltà e la mia bontà saranno con lui,
e nel mio Nome sarà esaltata la sua potenza,
26 stenderò la sua mano sul mare
e la sua destra sui fiumi.
27 Egli mi chiamerà: Padre mio Tu sei,
mio Dio e Rocca della mia salvezza!.
28 Anzi Io lo dichiarerò mio primogenito
altissimo per i re della terra.
29 nei secoli gli manterrò la mia grazia
e il mio patto con lui rimarrà fermo.
30 stabilirò in perpetuo il suo seme
e il suo trono, come i giorni del cielo.
31 Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge
e non cammineranno secondo i miei ordini,
32 se violeranno i miei statuti
e non osserveranno i miei comandamenti,
33 punirò con la verga le loro trasgressioni
e coi flagelli le loro iniquità;
34 ma non distoglierò da lui la mia grazia
né verrò meno alla mia fedeltà
35 non violerò il mio patto
né muterò quanto è uscito dalle mie labbra.
36 Una cosa ho giurato in nome della mia santità
e non mentirò a David:
37 la sua progenie sussisterà in eterno;
il suo trono sarà come il sole innanzi a me.
38 come la luna durerà nei secoli
nelle nubi testimone perpetuo».
39 Ma ecco che Tu respingi e disprezzi
sei sdegnato contro il tuo unto
40 hai rotto il patto col tuo servo
gettato a terra e profanato il diadema.
41 Hai abbattuto tutte le sue mura
hai ridotto in macerie le sue fortezze.
42 Tutti i passanti l'hanno saccheggiato
è diventato il ludibrio del suoi vicini.
43 Hai esaltato la destra del suoi avversari
hai colmato di gioia tutti i suoi nemici
44 a lui invece hai smussato il taglio della spada
e non l'hai sostenuto nella pugna.
45 Hai posto fine al suo splendore
hai gettato a terra il suo trono
46 hai abbreviato i giorni della sua giovinezza
l'hai ricoperto d'ignominia.
47 Fin a quando, Signore, continuerai a nasconderti
e il tuo sdegno arderà come fuoco?
48 Ricordati quanto io sia di breve durata,
e quanto vani hai creato i figli dell'uomo.
49 Qual è quel vivente che non vedrà la morte?
che scampi l'anima sua dalla mano dello Sceòl?

103
50 Dove sono, Signore, le antiche tue grazie,
che giurasti a David nella tua fedeltà?
51 Ricorda, Signore, l'obbrobrio del tuoi servi
e ch'io porto in seno tutta l'onta del popoli;
52 ricorda l'insulto del tuoi nemici, Signore
gli insulti scagliati contro i passi del tuo Unto.

Nella vittoria di David, che il salmo attende, si compie la creazione divina,


combattimento di Dio contro i mostri del mare. L'infedeltà di Israele può aver per
un istante sospeso l'efficacia della Promessa, ma Dio è immutabile nemmeno
l'infedeltà di Israele può cangiare il consiglio di Dio. L'eternità e l'universalità del
Regno messianico hanno per sé la sicurezza stessa di Dio.
Ma forse dobbiamo dire di più. Abbiamo detto che le promesse di Dio si
compiranno nonostante la sciagura che ha colpito la nazione e ha umiliato il suo
re; forse dobbiamo dire che queste promesse si compiranno proprio a motivo
delle sciagure. Il Figlio di David è anche il Servo di Jahveh che porta sopra di sé il
peso del peccato di Israele, anzi l'onta di tutti i popoli? Nel divenire vergogna, nel
portare l'onta di tutti i popoli, le nazioni sembrano scaricare su Israele e 'sul suo
re il loro male.
Il libro si chiude con questo salmo mirabile fra tutti. È un richiamo solenne
alle promesse di Dio in un momento tragico per la nazione. È proprio questa
tragedia il prezzo che Israele, anzi il Figlio di David deve pagare per
l'adempimento delle promesse di Dio? Il libro quinto sarà di fatto il libro del
Regno, che non sarà più annunciato e promesso: lo si canterà, al contrario, come
presente e universale: Regno che illumina di gloria la creazione intera, dona la
salvezza agli uomini e stabilisce la giustizia tra le nazioni.

IL QUARTO LIBRO DEI SALMI


IL REGNO DI DIO
90 - 106

La divina Presenza

Il terzo libro è il libro della maturità: i sentimenti dell'orante acquistano in


esso il massimo d'intensità. Ma è questa la perfezione dell'uomo? Di questo deve
render conto, soprattutto nei salmi, la parola di Dio. Vi è una perfezione ancora
maggiore, ed è precisamente la stessa divina Presenza. L'uomo non è che
condizione a una divina Presenza. Allora veramente la perfezione è raggiunta,
quando l'uomo fa posto alla luce infinita di Dio. Questa è la testimonianza che ci
dà il quarto libro dei salmi, dove non si canta più né l'angoscia dell'uomo né la
sua gioia; si canta la gloria di Dio, la sua regalità. Scompare per l'orante, il
pensiero, il ricordo di sé, del suoi peccati, come di tutto ciò che lo riguarda e
l'uomo vive la visione di Dio. Dio viene. Non solo la creazione intera esulta, ma
l'uomo stesso in questa Presenza dimentica se stesso e non vede e non canta che
Dio.
La presenza di Dio implica la sua regalità. Non solo il giudizio, ma la sua
regalità, perché Dio, nella sua apparizione, distrugge tutto quello che gli si
oppone, ma glorifica in sé il suo popolo e la creazione redenta. Il suo popolo, che
sussiste, non vive più che la vita di Dio, partecipa della sua regalità. Questo ci
dice il quarto libro dei salmi, che ha al suo centro appunto i mirabili salmi della
regalità di Jahveh, quelli che danno un tono a tutta la nostra preghiera. L'uomo
non vive ora più che la presenza di Dio. Ma la cosa più grande non è che il
peccato dell'orante è distrutto, è piuttosto il fatto che i nemici scompaiono. Con

104
la scomparsa del nemici di Dio scompare ogni opposizione a Dio: in tal modo ora
Dio regna e nel Regno di Dio esultano i popoli,esulta la terra. Il mare che è
personificazione del male, secondo Israele, non può nulla contro la regalità
sovrana di Dio. La sua opposizione impotente non è che manifestazione di una
regalità che trascende ogni minaccia, ogni furore del male. Anzi anche il mare
ora esulta acclamando il Signore. Terra, mare, alberi, monti, tutto non è più che
lode a Colui che viene a giudicare la terra (Sal. 98,9). La regalità di Dio non è
rivelazione della solitudine dell'Essere divino, ma la gloria di Dio che si -riversa
su tutto: tutto di fatto ora vive la pienezza di vita, che da Dio trabocca sul
mondo.
Ci sono altri salmi di lode nel quinto libro, anzi il quinto libro, soprattutto
alla fine, è il libro della lode, e tuttavia dobbiamo notare come nel quarto libro la
vittoria di Dio già inizia l'acclamazione cosmica e la lode del Re vittorioso. Dio
viene e tutto trasforma, Dio si fa presente nella creazione e la creazione rifulge
finalmente di una nuova freschezza, di una nuova bellezza come all'inizio del o
giorni. C'è stato il peccato, c'è stata la opposizione del male, la guerra del nemici
di Dio: ora tutto è come se non fosse più. Nella divina Presenza il male si
dimostra quello che è: vanità, nebbia che si è dissipata in un istante. Tutta la
creazione vive la gloria di Dio. Tutti i popoli non vivono più che per acclamare
Jahveh che, regna.
I testi fondamentali di più impressionante grandezza del quarto libro, sono
quelli in cui si afferma, nei confronti del tempo che svanisce, la immutabilità
dell'Essere divino. nei confronti di ogni essere creato, che si frantuma nel tempo,
che scorre come acqua, è l'immota Presenza, l'immutabilità pura di Dio; nei
confronti del male, è la giustizia eterna; nei confronti della povertà, della pena, è
la sua gloria, che investe ogni cosa: Dio è. L'uomo impara da questi salmi l'atto
supremo della vita religiosa: l'adorazione, l'oblio di sé per far posto a Dio. La
gioia del santo non sarà mai la gioia dell'uomo: una sua piccola gioia che egli
coltiva, possiede e cerca di difendere, di proteggere nei confronti degli altri.
Finché tu conservi qualcosa di tuo, è giusto che Dio venga e ti strappi a te stesso
e t'investa e ti distrugga. La gioia del santo è la gioia di Dio. L'uomo stesso
scompare in questa gioia.
In questi salmi della regalità di Jahveh l'uomo si fa anche qualche volta
presente, ma si fa presente proprio per dimostrare in che modo deve far posto al
Signore. Finché l'uomo rimane è presente la pena, il peccato, è presente
l'impurità, la sofferenza, la miseria del mondo. L'uomo non giunge dalla impurità
alla purezza, dalla sofferenza alla gioia. È la presenza di Dio che distrugge il
peccato e la sua pena. Si compie una sostituzione, la sostituzione di Dio
all'uomo.
Che cos'è l'uomo nei confronti di Dio perché egli possa trovare in se stesso
la sorgente della gioia, della ricchezza, della pace? Essa non è in sé ma in lui,
c'insegnano i salmi! Finché l'uomo crede di possedere in sé la gioia non
conoscerà che tormento; la gloria pura è l'estasi pura dell'anima che, totalmente
distaccata da ogni proprietà, s'immerge in Dio che è la pace, che è la gioia
immutabile. E questa gioia allora non conosce confini. È nel venir meno
totalmente a se stessi per lasciar posto alla Presenza pura, assoluta di Dio, il
superamento di ogni affanno. Finché l'uomo non vorrà venir meno a se stesso
egli non avrà che l'angoscia, il tormento, le resistenze di una volontà che non
vuole morire. Quando, nell'amore, l'uomo si abbandona alla morte perché Dio si
faccia presente, allora egli vivrà, nella morte, la Presenza pura di Dio ... Tutto il
cammino dell'anima nella vita spirituale consiste nel lasciarsi investire da questa
Presenza: egli è; non domani, non ieri: egli è; egli regna, cantano i salmi. Il
regno di Jahveh non è che il riconoscimento dell'Essere suo da parte di tutta la

105
creazione invasa dalla sua Presenza. Tutta la vita religiosa consiste in una
confessione: confessione dell'uomo - ed è confessione del suo peccato, della sua
miseria, della sua sofferenza, della sua tragica situazione umana. Confessione di
Dio: ed è la lode pura, ed è l'adorazione perfetta, ed è la gioia. Se confessi a Dio
la tua miseria, la tua confessione ti salva! Ma in fondo, la cosa migliore è che tu
non confessi nemmeno te stesso, ma che tu confessi, tu riconosca la sua santità.
Il terzo libro dice l'esperienza di una maturità spirituale per cui gli elementi
della vita religiosa raggiungono il loro limite estremo; ma la perfezione nell'uomo
non vuol dire giungere al limite estremo. Né il sentimento della tua comunione
intima con Dio ti porta ancora alla perfezione, perché un mistico che si compiace
e che descrive se stesso, che si compiace dei propri sentimenti, non è ancora un
grande mistico, né tanto meno il sentimento dell'angoscia e della desolazione
sono l'esperienza di una perfezione spirituale. I santi che in paradiso
esperimentano la presenza di Dio vivono nel silenzio di un'adorazione pura,
vivono in comunione con noi, ma non ci dicono nulla della loro esperienza
interiore. Sono presenti, ma tu non avverti la loro presenza, sono come cancellati
dalla presenza pura ed immensa della gioia divina. Non possono più ripiegarsi
sopra di sé per descriversi, per narrarsi, per riflettere sulla propria esperienza e
comunicarla agli altri; la vivono puramente, in un oblio eterno di sé. La vera
esperienza mistica è la conoscenza di Dio: la conoscenza saporosa di Dio è di
fatto il frutto perfetto dell'amore. Ma allora questa conoscenza non è più una
conoscenza dei propri sentimenti, è la conoscenza che 'l'anima ha di Dio per
quello che egli ha operato in lei, meglio per la presenza che ha imposto alle
potenze dell'anima. L'uomo è solo, davanti a Dio. Attraverso un cammino aspro e
lungo, l'uomo ora ha lasciato dietro a sé tutto; Dio si fa presente: davanti a sé
non ha più che lui, la sua immutabilità, la sua grandezza. Egli lo contempla e lo
esalta.
Il salmo 90, secondo il titolo, è preghiera di Mosè. Unico salmo attribuito al
condottiero e legislatore di Israele, sembra voler interpretare l'esperienza
religiosa più alta dell'Antico Testamento, quella di cui rendono testimonianza i
libri dell'Esodo e del Deuteronomio: l'uomo ha asceso il monte e si trova faccia a
faccia con Dio. In questo confronto, come è labile la vita dell'uomo, come è
povero, inconsistente il suo potere! La presenza di Dio come fuoco divoratore
consuma ogni cosa creata, nulla resiste dinanzi a Lui.

O Signore, Tu sei il nostro rifugio


di generazione in generazione.
2 Prima che nascessero i monti
e Tu avessi creato la terra e il mondo,
da un secolo all'altro, Tu sei, o Dio.

Com'è proclamata e sentita l'eternità immutabile dell'Essere divino! La


stessa creazione è nulla nel suoi confronti. Il tempo che misura l'essere e la vita
dei mondi, non tocca Dio che sovrasta immutabile la creazione intera.

4 mille anni agli occhi tuoi,


sono come il giorno di ieri, ch' è passato
e come una vigilia nella notte.
5 Tu li travolgi,
sono come un sogno,
come l'erba che al mattino germoglia.

106
Nella Presenza di Dio l'uomo è consunto: non è solo la fragilità che vien
meno dinanzi alla grandezza divina. Nella luce della Presenza l'uomo si scopre
peccatore e lo prende uno sgomento religioso, una trepidazione che dà alla
parola una viva drammaticità di umile preghiera.

7 Così noi dalla tua ira siamo consunti,


dal tuo sdegno atterriti.
8 Tu hai posto le nostre iniquità davanti a Te,
e i nostri peccati occulti, alla luce del tuo volto.
9 Così tutti i nostri giorni trascorrono sotto la tua ira
e gli anni nostri svaniscono come un sospiro.

Eppure l'uomo, che si sa eletto, innalza la sua preghiera. Dio può


distruggere, ma può anche salvare. La sua luce può accompagnare l'uomo nel
suo cammino e la sua grazia può sostenerlo.

13 Volgiti, Signore! Fino a quando? ...


ed abbi pietà del tuoi servi!
14 Saziaci, fin dal mattino, della tua grazia,
e gioiremo, esulteremo tutta la vita.
IS Allietaci per i giorni che tu ci hai umiliati,
e per gli anni che abbiam sentito la tua sventura.
16 Si manifesti pe' tuoi servi l'opera tua
e rifulga sui figli loro la tua gloria (Sal. 90).
……
In questa Presenza, che è furore di distruzione, l'uomo di Dio sussiste; non
è consumato dal fuoco - anzi può esser protetto e difeso.
Questa protezione e difesa verso gli uomini e la loro natura, è celebrata
nel salmo seguente, il 91. Dio sembrai esser tutto a servizio dell'uomo. L'uomo
non può temere più nulla, più nulla può nuocergli, se veramente egli riposa
all'ombra dell'Onnipotente (Sal. 91, 1). Dio stesso lo assicura:
14 « ... poiché egli mi ha seguito, Io lo libererò,
lo proteggerò perché egli ha riconosciuto il mio Nome.
IS Egli mi invocherà e Io lo esaudirò
sarò con lui nella sventura
lo salverò e lo glorificherò:
16 lo sazierò d'una lunga durata di giorni
e gli farò vedere la mia salvezza».

Anche il salmo seguente, il 92, celebra questa protezione divina per


l'uomo. Dio si rivela precisamente nella sua fedeltà verso i suoi:
……
14 Trapiantati nella casa del Signore
fioriranno negli atri del nostro Dio

ma sfolgora nella distruzione del suoi nemici:

9 Tu sei eccelso, nei secoli, o Signore,


10 Poiché ecco i tuoi nemici, Signore,
ecco, i tuoi nemici periranno
tutti i malfattori saranno dispersi.
.. …

107
Tuttavia anche se il giusto può contare sulla protezione di Dio, ora deve far
posto a Jahveh. Il libro, di fatto, canta la sua regalità. D'altra parte il giusto
vedrà la salvezza precisamente nell'attuazione del Regno; la salvezza del giusto
non è che frutto e conseguenza della regalità di Dio.

La visione del Regno di Jahveh

Con il salmo 93 si iniziano i salmi che cantano espressamente questa


regalità e sono quelli che più esprimono il vero contenuto del libro. Stupendo il
primo di questa serie, concitato e solenne - vera proclamazione della regalità di
Dio sull'universo. La inutilità della lotta del male contro di lui rende più evidente
la sua forza assoluta e l'universalità del suo Regno. Può esser grande, inesorabile
la forza del mare che sembra voler rompere gli argini, spezzare ogni legge,
minacciare la creazione e sommergerla, ma più grande, nella sua sovranità
assoluta, la forza di Dio che lo sovrasta e lo regge.

Salmo 93
1 Regna il Signore, si ammanta di maestà,
si ammanta il Signore e si cinge di potenza,
perciò il mondo sta saldo e non può vacillare.
2 Prima del tempo è stabilito il tuo trono,
prima del secoli Tu sei!
3 I fiumi hanno alzato, o Signore,
i fiumi hanno alzato la loro voce,
hanno alzato i fiumi il loro fragore ...
4 Per le voci delle grandi acque
mirabili sono i flutti del mare,
ma più mirabile è il Signore nell' alto del Cieli.
5 Immutabili sono le tue testimonianze!
Alla tua casa conviene la santità, o Signore,
per tutta la durata del giorni.

La presenza di Dio non lascia agli uomini che una sola attività:
l'adorazione. Dove sono i suoi problemi, le sue angosce? ma l'uomo può non
ascoltare la voce di Dio che lo chiama al riposo, può evitare di entrare in questa
Presenza di grandezza e di gloria, può cercar di difendere la sua piccola vita, la
sua povertà. Ed è contro questo indurimento di cuore che Dio insorge. Gli uomini
vogliono ancora tentare Dio pur avendolo conosciuto? Vogliono sottrarsi ancora
alla gloria di questa Presenza che è il loro riposo? Dio avrebbe ancora nausea di
loro e li rigetterebbe. Che imparino dunque a glorificare la sua sovrana potenza,
a riconoscere la sua maestà! Il salmo che la Chiesa ha cantato per secoli e secoli
all'inizio del giorno, come invitatorio del mattutino, dice stupendamente il fine di
tutta la creazione, la ragione di tutta la vita che è la lode di Dio. Il cammino
dell'uomo termina, trova il suo compimento nella glorificazione di Dio.

Salmo 95
1 Venite, inneggiamo al Signore,
cantiamo alla Rupe di nostra salvezza!
2 Accorriamo a Lui con inni di lode,
acclamiamolo con i nostri canti.
3 Perché il Signore è Dio grande,
gran Re sopra tutti gli dèi.
4 I n sua mano sono le profondità della terra,

108
e le cime del monti appartengono a Lui.
5 Il mare è suo, perché Egli l' ha fatto;
e sua è la terra, formata dalle sue mani.
6 Venite prostriamoci a terra,
inginocchiamoci al Signore che ci ha fatti.
……

Questa gloria di Dio è anche il contenuto del salmo seguente. In questa


glorificazione tutta la creazione è come in un sussulto di gioia - tutta la creazione
si trasfigura e canta.

Salmo 96
……
10 Ripetete alle genti: «Regna il Signore!
il mondo sta saldo e non può vacillare;
giudica i popoli con equità».
11 Gioiscano i cieli e si rallegri la terra,
si commuova il mare e ciò che contiene!
12 Esulti la campagna e tutto ciò che racchiude,
gioiscano gli alberi delle foreste
13 in cospetto al Signore, perché Egli viene!
viene a giudicare la terra!
Giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con la sua fedeltà.

Il giudizio di Dio è la salvezza. Nella sua giustizia Dio esercita la sua azione
salvifica.
I salmi di Jahveh sono anche i canti di una glorificazione universale. Il
Regno di Dio è compimento di una creazione tutta invasa dalla luce della gloria
divina. Tutta la creazione diviene la rivelazione di una Presenza.
Il salmo 97 è il salmo di questa teofania. Nulla più nasconde la potenza e
la gloria: tutto anzi diviene rivelazione di Dio - tutto parla di Dio, tutto lo canta,
lo esalta, lo adora.

1 Regna il Signore! Gioisca la terra,


esultino le molte isole!
2 Nubi e tenebre lo circondano,
giustizia ed equità san le basi del suo trono.
3 Un fuoco lo precede
e consuma tutt'intorno i suoi nemici.
4 I suoi lampi rischiarano il mondo;
la terra vede e trema;
5 le montagne si struggono come cera davanti al Signore,
davanti al padrone di tutta la terra.
6 I cieli proclamano la sua giustizia
e tutti i popoli vedono la sua gloria.
……
In questa universale glorificazione Israele conserva tuttavia un suo
compito, una sua missione. È infatti Israele che chiama tutta la creazione a
inneggiare a Dio, a cantare la sua gloria, a esultare del suo trionfo. Il Regno di
Dio è l'adempimento delle promesse fatte a Israele, anche se questo
adempimento non riguarda solo Israele, è, anzi, la salvezza di tutto: degli uomini
e del mondo. Alla salvezza degli uomini si associa la redenzione del mondo. Si

109
commuove il mare, acclamano i fiumi, esultano le montagne, gioiscono gli alberi
della foresta.
Tutto l'universo non è più che un tripudio solo, tutta la vita dell'universo
non è che un canto 'nuovo'. La novità del canto è la vittoria di Dio sulla morte,
sul male. Ora non sussiste più nella presenza di Dio che la vita e la gioia.

Così il salmo 98
Cantate al Signore un cantico nuovo,
poiché cose mirabili ha fatto!
Vittoria gli ha dato la sua destra
e il suo santo braccio.
2 Il Signore ha mostrato la sua salvezza,
ha rivelato la sua giustizia in faccia alle nazioni.
3 Si è ricordato della sua bontà
e della sua fedeltà per la casa d'Israele.
Tutti i confini della terra
hanno veduto la salvezza del nostro Dio.
4 Popoli di tutta la terra, acclamate il Signore,
cantate, esultate, inneggiate!
5 Inneggiate al Signore con la cetra con la cetra
e con canti di gioia.
6 Con le trombe e al suono del corno
esultate davanti al Re, al Signore.
7 Si commuova il mare e ciò che contiene,
l'universo e quei che lo abitano.
8 Acclamino i fiumi,
tutte le montagne esultino in coro,
9 davanti al Signore perché Egli viene,
Egli viene a giudicare la terra!
Giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con equità.

L'avvenimento, che è l'investitura del Regno, non importa per Iddio che la
pura rivelazione della sua Presenza. Egli non fa, si rivela. La salvezza di Israele,
la giustizia della nazione. e la glorificazione dell'universo si identificano alla sola
rivelazione di Dio.
Meno liricamente ispirato, il salmo seguente insiste di più sulla
trascendenza di Dio. Dio si asside sui Cherubini: si scuote la terra (Sal. 99,1).
Tuttavia è in questo salmo un più concreto richiamo alla storia di Israele. Di fatto
sembrava che altro sarebbe dovuto essere l'avvenimento definitivo, il
compimento della promessa. È nel Figlio di David, che egli ha eletto, che Dio
avrebbe regnato. L'apparizione assoluta di Dio non rischia ora di cancellare i
privilegi di Israele? il Regno di Dio è ancora il Regno del Figlio di David, l'Unto del
Signore? Nel quarto libro non si fa più il nome di David, tuttavia timidamente
riaffiora la storia d'Israele.
……
6 Mosè ed Aronne erano fra i suoi sacerdoti,
e Samuele fra coloro, che invocavano il suo Nome.
Invocavano il suo Nome ed Egli li esaudiva.
7 Parlò a loro da una colonna di nubi,
osservarono i suoi comandamenti
e la legge che loro aveva dato.
8 Signore, Dio nostro, Tu li esaudisti,

110
fosti per loro un Dio propizio
pur castigando i loro traviamenti.
9 Esaltate il Signore, Dio nostro,
prostratevi sul suo monte santo,
perché santo è il Signore, Iddio nostro.

Dio regna assieme all'uomo

Dopo il salmo 99, il salmo 100 conclude i salmi della regalità di Jahveh - e
ci lascia un po' delusi. Si ha l'impressione che in fondo questa regalità non si
eserciti praticamente che nel culto del Tempio. L'ingresso nel mondo di Dio che
regna - teofania che ripete i modi di ogni altra teofania dell'Antico Testamento
realizzava veramente una rinnovazione della creazione che fosse più del semplice
ritorno della primavera, come era per le religioni pagane? e quale salvezza
portava realmente al suo popolo?
Israele aveva conosciuto l'azione salvifica di Dio nella liberazione dalla
schiavitù dell'Egitto, nel dono di una Legge che lo costituiva come nazione e
assicurava l'esercizio della giustizia. E ora? Il Regno di Dio doveva realizzare
l'ideale di una giustizia fra gli uomini; se non voleva essere un'utopia, supponeva
lo stato, supponeva un capo che esercitasse un potere regale in nome di Dio.
Nel salmo 101 è precisamente un sovrano che proclama la sua volontà di
rispondere alle esigenze della legge divina per ben governare la nazione. Dio
regna, ma non regna senza l'uomo. È attraverso l'uomo stesso che Dio ha eletto,
che vien stabilita la giustizia.

Pietà e giustizia io voglio cantare,


a Te, Signore voglio inneggiare.
2 Porrò attenzione alla via dell'innocenza
quando a me si presenti.
Procederò con probità di cuore
dentro la mia casa.
3 Non porrò dinanzi ai miei occhi
cosa perversa.
Chi commette delitti io l'odio,
a me non si unirà.
4 S'allontanerà da me un cuore traviato
ignorerò la malvagità.
5 Chi calunnia in segreto il suo prossimo
lo ridurrò al silenzio.
Chi è d’occhio altero e superbo di cuore
non lo sopporterò.
6 I miei occhi saranno rivolti ai fedeli della terra,
perché sempre dimorino con me.
Chi cammina nella via dell'innocenza
sarà mio servitore.
7 Non abiterà in casa mia chi commette frode.
Chi pronuncia menzogna
non rimarrà dinanzi agli occhi miei.
8 Ogni mattina sterminerò tutti gli empi del paese
per togliere dalla città del Signore
tutti gli artefici di iniquità.

111
L'uomo ritorna anche nel salmo che segue. In verità la proclamazione della
magna charta del Regno poteva lasciarci alquanto delusi. La presenza di Dio nei
salmi della regalità faceva sperare qualcosa di molto più alto che il governo di un
re giusto che elimina la violenza e la frode. L'uomo che parla nel salmo 102 non
è uno che si senta colpevole, ma è tuttavia uno che si conosce mortale. Certo, il
Regno di Dio deve eliminare il peccato, ma deve eliminare anche la malattia, il
dolore, la morte. Anche l'eliminazione del peccato lascia intatta l'alterità assoluta
di Dio che vive immutabile, eterno e l'uomo rimane mortale. Di contro alla
immutabilità di Dio come l'uomo si sente dolorosamente mortale!

Salmo 102
……
4 Svaniscono i miei giorni come fumo,
e le mie ossa sono riarse come brace.
5 Colpito, come l'erba dal sole, il mio cuore inaridisce,
sì che mi scordo di mangiare il pane.
6 Per il grido del mio lamento
la pelle mi si attacca alle ossa.
7 Somiglio al pellicano del deserto,
son diventato come il gufo delle macerie.
8 Veglio e gemo
come il passero solitario sul tetto.
……
12 I miei giorni son come ombra che s'allunga
ed io m’inaridisco come il fieno.
13 Ma Tu Signore, ai secoli presiedi
ed il tuo Nome va di età in età.
……

Come il Regno di Dio è la salvezza dell'uomo, se la rivelazione di Dio dà


all'uomo un sentimento anche più vivo della sua fine? il salmo apre qualche
spiraglio di speranza?
Il Regno di Dio può soltanto rinnovare la nazione, può adempiere solo le
promesse di uno splendore nazionale, di raduno del popoli per adorare Dio nella
città che Egli si è scelto:
……
14 Tu sorgerai ed avrai compassione di Sion
poiché il tempo d'averne pietà è venuto,
è venuto il momento.
15 Le sue pietre son care ai tuoi servi,
che senton pietà della sua polvere.
……
16 Le genti allora temeranno il tuo Nome, Signore,
e tutti i re della terra la tua gloria,
17 quando il Signore avrà ricostruito Sion
e si sarà mostrato nella sua maestà,
……
19 Questo si scriverà per l'età futura
e il popolo che sarà creato loderà il Signore;
20 poiché ha riguardato dalla sua eccelsa santa dimora,
il Signore, dai cieli, si è volto alla terra,
21 per ascoltare il gemito del prigionieri
per sciogliere i figli della morte,

112
22 affinché risuoni in Sion il Nome del Signore
e la lode di Lui in Gerusalemme,
23 quando colà s'aduneranno i popoli
e i regni, per servire al Signore.
……

Il ringraziamento del misero, del perseguitato è per qualcosa di più che per
l'adempimento di una preghiera individuale che sembra implorare solo la
cessazione di una malattia, di una persecuzione. La pena del misero è il pegno
per la salvezza della città, per la restaurazione della nazione, per l'adempimento
delle promesse di Dio nell'era messianica. Il povero che prega è il Figlio di David?
Il Regno di Jahveh è certo il Regno che Dio ha promesso alla discendenza di
David, ma il Figlio di David potrà arrivare al Regno, a restaurare la nazione,
radunare tutti i popoli nell'obbedienza alla legge di Dio, altrimenti che col suo
sacrificio? il Figlio di David è anche il Servo di Jahveh?
Il salmo 102 lo si deve leggere nella luce dei salmi 22 e 40, nella luce del
meraviglioso salmo 89 che chiude il terzo libro nella visione della sciagura onde
Dio ha colpito il suo Unto e la nazione, prima che si apra, con il quinto libro, la
visione del Regno di Jahveh.
Al termine del salmo 102, anche se Dio non promette nulla al singolo che
prega, l'uomo ritorna a commiserare se stesso. Chiede a Dio che non voglia
esasperare troppo la sua alterità nei confronti del suo fedele, che è alle soglie
della fine, mentre Egli regna immutabile nell'eternità.

24 Ha abbattuto in cammino la mia forza,


ha abbreviato i miei giorni.
25 Ond'io prego, o mio Dio,
non mi togliere a metà del miei giorni:
di età in età durano i tuoi anni.
26 In antico Tu hai fondato la terra
e il cielo è opera delle tue mani.
27 Essi periranno, ma Tu rimani
e, tutti, come veste si consumeranno:
li cambierai come un vestito e cambieranno;
28 ma Tu sei lo stesso e i tuoi anni non avranno fine.
……

Non sarebbe vera l'alleanza di Dio se egli, eterno, non rendesse stabile
sulla terra la discendenza del suoi servi. Se il Dio vivente stringe una alleanza
con Israele, Israele sarà eterno dinanzi a lui. Basterà che la religione nazionale
divenga una religione personale, perché non Israele, ma ogni singolo uomo viva,
come Dio, una vita che non conosce più fine! Il salmo ancora non lo dice, ma la
salvezza dell'uomo, già fino da ora, non può rinunciare a una sua eternità.

29 Dimorino i figli del tuoi servi (nella Terra)


e la loro discendenza sia stabile dinanzi a Te. (Sal. 102)

L'uomo che viveva prima l'esperienza della sua povertà ora sa di poter
ottenere, in Dio, la sua salvezza. Ora Israele, anzi ogni uomo, non vive più la sua
piccola storia, vive la Presenza dell'immutabilità divina. Se la santità è Dio, basta
che l'anima si apra alla sua Presenza: santo non rimane che lui. Nell'uomo la
santità è puro dono di grazia: se gli uomini non la posseggono è perché
rimangono attaccati a se stessi e non fanno posto al Signore.

113
Tutto il processo si riduce a un passaggio; la pasqua, il passaggio da
questo mondo al mondo divino. Dio per primo ha compiuto un passaggio: è
passato dalla sua condizione di Dio alla condizione di uomo, ed ha voluto lui, che
è la beatitudine, conoscere tutta l'angoscia umana, tutto il peso dell'umano
peccato: ha voluto far sua la nostra miseria. La presenza di Dio nel mondo si
compirà infatti non nella esclusione del Figlio di David, ma proprio invece nella
assunzione della natura umana che Dio trasse da una Vergine della stirpe di
David. La salvezza dell'uomo si realizzò precisamente nell'essere assunto da Dio.
Come avrebbe potuto altrimenti la Presenza di Dio non essere la fine della
creazione intera? Ma Dio si è fatto uomo perché gli uomini avessero il potere di
vivere la sua medesima vita, perché vivessero il passaggio dalla loro miseria alla
sua gloria, dalla loro povertà, dalla loro impurità radicale alla sua purezza
infinita, alla sua santità.
Di questa vita, che è propria ora dell'uomo, sono testimonianza i due salmi
103 e 104. Il primo canta la bontà di Dio per l'uomo. Egli ora si vede colmato da
una misericordia infinita, d'ogni parte difeso e protetto da un amore immenso. Il
passato non è più che ricordo di benefici innumerevoli, il presente non è più che
gioia di intimità divina. I peccati sono consumati dalla luce di una Presenza di
amore. La vita dell'uomo si rinnova in una continua giovinezza. È proprio la
debolezza umana che provoca la divina pietà, è proprio il peccato dell'uomo che
sembra far più grande ora la bontà di Dio nel suo perdono. Egli è padre e noi
siamo i suoi figli; nel canto della lode si raccoglie la vita dell'universo a riempire
tutti gli spazi creati fin dove si estende il dominio di Dio.

Salmo 103
Benedici, anima mia, il Signore
e tutto il mio intimo (lodi) il suo santo Nome.
2 Benedici, anima mia, il Signore,
e non scordarti del tanti suoi benefici.
3 Egli perdona tutte le tue colpe,
risana tutte le tue infermità;
4 riscatta dalla fossa la tua vita,
t'incorona di grazia e di bontà,
5 sazia di beni i tuoi giorni,
e tu rinnovi, come aquila, la tua gioventù.
……
13 Come un padre è pietoso coi suoi figli,
così pietoso è il Signore con quelli che lo temono.
14 Perché Egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che polvere siamo.
……
19 Il Signore ha stabilito il suo trono nei cieli
e la sua sovranità domina l'universo.
20 Benedite il Signore, Angeli suoi, potenti e forti,
che eseguite i suoi ordini, che ascoltate il suono della sua parola.
Benedite il Signore voi tutte sue schiere,
ministri suoi che eseguite la sua volontà.
22 Benedite il Signore, voi tutte opere sue
in ogni luogo del suo dominio.
O anima mia benedici il Signore.

La regalità di Dio è il trionfo dunque del suo amore. La gloria risplende ora
in tutte le cose. La creazione rovinata dal peccato risorge illuminata da Dio.

114
Sembra che la festa della regalità ereditata da Babilonia volesse significare di
fatto come una rinnovazione della creazione. Dio regna perché sottrae la
creazione dal precipitare nella morte. Tutto obbedisce ora alla volontà di Dio; non
vi è più opposizione, non più minaccia che tutto possa precipitare di nuovo nella
morte.

Salmo 104
……
5 Ponesti la terra sulle sue basi
né mai vacillerà.
6 L'oceano la rivestiva come d'un manto,
le acque stavano al di sopra del monti.
7 Alla tua minaccia fuggirono,
alla voce del tuo tuono fuggirono con spavento.
8 Emersero le montagne, si abbassarono le valli
nel luogo, che avevi loro assegnato.
9 Tu fissasti loro un confine da non oltrepassare:
non torneranno a ricoprire la terra.
……
Il salmo 104, di fatto, canta con un meraviglioso splendore di immagini e
stupenda ricchezza di poesia, l'opera della creazione. Più schematico, il primo
capitolo della Genesi aveva celebrato l'azione creatrice di Dio che aveva tratto dal
nulla l'universo e aveva compiuto l'opera sua con la creazione dell'uomo, re del
creato. Cosi l'aveva visto il salmista anzi, all'inizio del Salterio (salmo 8). Poi il
peccato dell'uomo, l'esperienza del male sembravano aver cancellato perfino il
ricordo di questa grandezza e la bellezza della creazione. E la terra era stata
maledetta, e la terra non produceva più che spine e triboli (Cen. 3,18). Ora tutto
risorge. Il Regno di Dio si realizza nella creazione intera invasa dalla gloria, e la
creazione è il regno stesso dell'uomo. Egli, nella luce del giorno, procede
all'opera sua, continuando l'opera stessa di Dio.
La presenza di Dio, al contrario di cancellare la presenza dell'uomo, pone
l'uomo al centro dell'universo. L'uomo e Dio non stanno di fronte, non vi è
opposizione fra loro. Sembra che soprattutto nell'uomo, al contrario, si riveli la
potenza e la gloria. Gli animali sono a servizio dell'uomo, i frutti della terra sono
per lui. Ma la generosità di Dio trabocca su tutto, a tutto dà vita, dà gioia. Al
contrario di essere motivo di spavento e di raccapriccio, perfino il Leviatan è
elemento di un gioco divino.

Salmo 104
l O anima mia, benedici il Signore!
Signore, mio Dio, sei molto potente!
Di splendore e maestà ti rivesti,
2 Ti avvolgi di luce come di un manto,
Tu stendi i cieli come un padiglione.
3 Sopra le acque elevi la tua alta dimora,
delle nubi fai come il tuo carro
e voli sulle ali del vento:
4 fai del venti i tuoi messaggeri
e del fuoco guizzante i tuoi ministri.
……
10 Tu fai scaturire le fonti giù nelle valli
perché scorrano in mezzo ai monti.
11 Bevono tutte le bestie della campagna

115
e gli onagri saziano la loro sete.
12 Presso di esse fan nidi gli uccelli dell'aria
e tra i rami cinguettano.
13 Tu fai piovere sui monti dalle tue alte dimore
e la terra si sazia del frutto delle opere tue.
……
19 Tu hai fatto la luna per distinguere i tempi,
il sole conosce il suo tramonto.
20 Tu distendi le tenebre e viene la notte
e in essa si aggirano tutte le bestie della selva.
……
22 Sorge il sole ed essi si ritirano,
nelle loro tane si accovacciano.
23 Esce l'uomo al suo lavoro
e all'opera sua fino a sera.

In questo salmo l'uomo veramente ritorna ad essere il luogotenente di Dio.


Sembrava che Dio avesse preso il posto dell'uomo, che l' 'eletto, l' 'Unto di Dio
avesse dovuto essere sostituito definitivamente dalla presenza stessa di Dio. Non
l'uomo è re, ma Jahveh medesimo. I salmi della regalità, composti probabilmente
dopo l'esilio, riflettono il clima religioso del giudaismo che sembra aver rinunziato
per sempre alla promessa divina a David. Ma nel salmo 104, se non è più il Figlio
di David il luogotenente di Dio, è di nuovo l'uomo; anche se la monarchia davi
dica sembra finita, non è finita la missione dell'uomo. Nella creazione redenta
l'uomo realizza finalmente la sua vocazione di re della creazione: la sua regalità
non toglie nulla alla regalità di Jahveh, è al contrario la espressione di questa
regalità che l'uomo esercita in suo nome e come sacramento di Dio nella
creazione intera.

24 Quanto son numerose le opere tue,


Signore, tutte le hai fatte con sapienza,
la terra è piena delle tue creature.
25 Ecco il mare vasto, dalle immense braccia,
dove, innumerevoli, guizzano
i piccoli con i grossi animali.
26 Là si muovono le navi, e il Leviatan
che tu hai creato perché ci si diverta.
……
27 E tutti aspettano da Te
che Tu Dio loro il cibo a suo tempo.
28 Tu dai loro ed essi lo accolgono,
apri la tua mano e si sazian di bene;
……
33 Canterò al Signore per tutta la mia vita,
inneggerò al mio Dio finché vivrò.
34 Grato gli sia il mio canto;
io gioirò nel Signore.
……

Sembra quasi che nel salmo 104 il Salterio abbia la fine. In questo canto
sembra abbia fine il poema lirico dell'umana preghiera. Il cammino dell'uomo
termina là donde si è partito. Cacciato dal paradiso di Dio per il suo peccato,
l'uomo, attraverso l'esperienza di tutti i mali, vi è ritornato; Ora egli vive nella

116
sua presenza, in una creazione rinnovata dalla gloria. L'uomo non è più il
peccatore che implora il perdono, non è più l'oppresso, colui che è votato alla
morte, è il nuovo Adamo che, in una dipendenza gioiosa dalla volontà divina,
canta la lode di Dio.
II salmo esalta il suo lavoro, ma il lavoro dell'uomo non ha più carattere di
castigo, è piuttosto l'esercizio stesso di una sua regalità sulla creazione in cui egli
vive ora riconciliato con tutto. Nel suo lavoro continua e trova compimento
l'opera creatrice di Dio. Perfino le fiere selvagge, anziché minacciare la morte,
giocano con lui come aveva annunciato Isaia che sarebbe avvenuto nell'era
messianica, alla fine del tempi (cf. Is. 65,25).
……
25 Ecco il mare vasto, dalle immense braccia,
dove, innumerevoli, guizzano
i piccoli con i grossi animali.
26 Là si muovono le navi, e il Leviatan
che Tu hai creato perché ci si diverta (Sal. 104).
……
La morte è il retaggio solo degli empi - essi solo spariranno dalla terra e ne
vien meno anche il ricordo.
……
35 Spariranno i peccatori dalla terra
e gli empi cessino d'esistere.
Benedici anima mia il Signore. Alleluia. (Sal. 104).

IL QUINTO LIBRO DEI SALMI


LA LODE DELL'UOMO E DELL'UNIVERSO

Il mistero dell'alleanza

Fra il quarto e il quinto libro del Salterio si trovano tre salmi storici e
precisamente i salmi 105, 106 con i quali finisce il quarto libro e il salmo 107 che
inizia l'ultimo libro dei salmi. È con questo salmo che si dà congedo alla storia.
L'ultimo libro dei salmi è il libro nel quale la storia di fatto, trova
compimento nella lode divina. Se col quarto libro dei salmi Dio finalmente si fa
presente come Re e col giudizio delle nazioni si esercita il suo potere, nel quinto
libro si canta soprattutto la vita dell'umanità redenta, ritornata una sotto il
dominio di Dio, la vita di tutta la creazione glorificata dalla presenza stessa di
Dio.

Salmo 107
1 «Celebrate il Signore perché è buono
per i secoli è la sua misericordia»
2 dicano i redenti dal Signore,
quei che redense dalla mano del nemico,
3 che radunò dalle varie regioni
dall' oriente, dall' occidente
dal settentrione e dal mare.
……

Il raduno di tutti i popoli dai confini di tutta la terra già si è compiuto, è un


raduno ed è una liberazione. Nella loro liberazione, tutti i popoli non vivono più,
ora, che la celebrazione della bontà di Dio, la liturgia del ringraziamento e della
lode.

117
Il quinto libro è il libro del compimento. Ma il compimento non ha il solito
carattere apocalittico che è proprio dell'annuncio della une negli ultimi libri del
giudaismo, è piuttosto la liturgia cui assiste il veggente nel quinto capitolo
dell'Apocalisse giovannea. E tuttavia non è soltanto compimento è anche la sua
sintesi. Il cammino dell'uomo, in qualche modo, ha raggiunto già, col quarto
libro, il suo termine. Come il Deuteronomio chiude la Torah in un riepilogo degli
avvenimenti e in una meditazione religiosa di grande bellezza, così il quinto libro
dei salmi riassume i motivi del primi quattro libri in testi di preghiera più delicata
e viva; forse meno drammatica ma non per questo meno ricca e personale. Ci
sembra, anzi, che questo libro sia più direttamente il libro della preghiera. Dopo
il primo salmo storico (107) che, come dicevamo, continua l'ispirazione del due
salmi precedenti (115 - 106), la storia d'Israele, anche se è punto di avvio, non è
mai l'argomento di una narrazione distesa. La preghiera si fa più intima, più
personale. Appartiene a questo libro il salmo 119, il più lungo di tutto il Salterio,
che è anche la testimonianza più pura di una religiosità caratteristica di un'anima
che, tutta raccolta in Dio, non vive più che la sua intimità con lui. Altri salmi negli
altri libri sono teologicamente più alti, testimonianza di più sublime esperienza;
nessuno più di questo, nel suo tono insistente e pacato, assicura l'abbandono e la
semplicità della preghiera.
Quello che sembra distinguere il quinto libro è la semplicità serena di una
ineffabile intimità fra l'uomo e Dio che ha in questo salmo la sua espressione più
pura. Che il quinto libro sia diverso dai precedenti, lo si rileva anche dal fatto che
è formato da varie collezioni di salmi che hanno tutte una loro particolare unità di
composizione e di contenuto. I salmi 113 - 118 formano l'Hallel: erano i salmi
per eccellenza della lode divina, usati nella liturgia del tempo nelle feste principali
dell'anno: pasqua, pentecoste, tabernacoli. Questi salmi ha cantato Gesù mentre
si avviava alla passione.
Dopo il salmo 119 un'altra collezione di salmi forma il Salterio del
pellegrini: sono i salmi graduali (120 - 134). nei salmi del quarto libro si fa
presente la regalità di Dio. Questa regalità è la regalità promessa all'inizio del
Salterio (salmo 2): Dio regna nella regalità del suo Unto. Se i salmi della regalità
sembra che ignorino la regalità del Cristo, questi salmi tuttavia associano Israele
al trionfo di Dio e con il salmo 104 esaltano l'uomo stesso, nuovo Adamo, quasi
luogotenente di Dio: nella luce del giorno domina l'uomo sovrano su tutto.
L'originalità propria, inconfondibile della religione cristiana nei confronti
delle altre religioni, deriva precisamente dalla associazione dell'uomo a Dio; Dio
si fa presente nella creazione, ma anche la creazione si fa presente in Dio, senza
scomparire nella sua luce. La presenza della creazione non impedisce la presenza
di Dio e la presenza di Dio non distrugge, non consuma la presenza della
creazione. È certo una creazione rinnovata dalla divina Presenza, quella che ora
canta e vive nell'ultimo dei salmi, ma è tuttavia la creazione. Dio regna, ma non
è solo: egli associa alla sua regalità l'uomo stesso.
Il mistero dell'alleanza, che sembrava essere messo un poco nell'ombra
nel quarto libro, ritorna pienamente nel quinto. Essere sottratti a se stessi per
essere invasi dalla luce divina non è l'esperienza più alta, che è come una
connaturalità dell'essere umano con l'Essere divino, per la quale l'uomo sussiste
e vive, nel seno stesso di Dio. La sua vita è tutta trasfigurata, penetrata dalla
luce di Dio, ma rimane.
Se nel quarto libro è la luce del pieno meriggio, nel quinto è una luce
diffusa più adattata, si direbbe, agli occhi dell'uomo o almeno, i suoi occhi si sono
adattati ormai a quella luce. Non ci abbaglia più: abituati a questa luce noi
vediamo ogni cosa, noi ritorniamo a contemplare tutto. Se si passa dalla luce al
buio non vediamo più nulla, ma difficilmente l'uomo potrebbe abituarsi alla luce

118
del sole senza rimanere stordito, abbagliato. Invece l'anima che vive nell'intimità
col Signore non è più abbagliata nemmeno da Dio, e in Dio ora vive la sua piccola
vita, senza che quest'unione con Dio turbi più l'umiltà, la semplicità del suo
vivere terreno. La luce divina non eclissa né consuma definitivamente la piccola
fiamma che è la vita dell'uomo. L'uomo sussiste nel seno di un Oceano di fuoco.
Questa è la vita, nell'ultima sua perfezione. L'assunzione che Dio ha fatto
dell'uomo nel suo mistero, non ha distrutto quella distinzione che eternamente
sussiste fra l'uomo e Dio, fra la vita di Dio e la vita dell'uomo. Nell'unione più
intima, l'uomo e Dio rimangono eternamente distinti e l'uomo sussiste per lodare
Dio anche nella sua esistenza umana, sia pure trasfigurata dalla grazia, sia pure
penetrata tutta di luce. È una vita di calma, di pienezza, di pace; è una vita di
trasparenza infinita, è una vita di intimità profonda, dolcissima, quella di cui
cantano i salmi di questa collezione. Il salmo 136 è il grande Hallel. Finalmente,
dopo vari salmi senza un evidente legame fra loro, è il piccolo Hallel che chiude il
quinto libro e tutto il Salterio (salmi 146 - 150).

Il Regno messianico

Il primo salmo veramente caratteristico del quinto libro è il salmo IIO.


Viene dopo i salmi della regalità del quarto libro, ma è il salmo che ora precisa
come il Regno di Dio non è riconoscimento della sovranità assoluta di Dio, ma
esige l'avvenimento di una intronizzazione. Col cristianesimo il salmo è diventato
meritatamente il più celebre di tutto il Salterio, il salmo per eccellenza del Regno
messianico. Dopo il salmo 2, di introduzione a tutto il Salterio, mai l'uomo era
stato associato a Dio come in questo salmo.

Salmo 110
Disse il Signore al mio Signore:
«Siedi alla mia destra
finché io porrò i tuoi nemici
sgabello ai tuoi piedi».
2 Lo scettro della tua potenza
estenderà il Signore da Sion:
«Domina in mezzo ai tuoi nemici».
3 Il tuo popolo si offre a Te volenteroso,
nel giorno della tua potenza
in sacri paramenti.
Dal grembo dell’aurora è per Te
la rugiada della tua gioventù.
4 Ha giurato il Signore e non si pentirà:
«Tu sei sacerdote nei secoli
secondo il modo di Melchisedech».
5 Il Signore è alla tua destra;
stritolerà i re
nel giorno della sua ira.
6 Giudicherà fra le genti:
riempirà di cadaveri:
stritolerà i capi su vasta regione.
7 In viaggio, dal fiume berrà
e perciò solleverà alta la testa.

È il salmo della regalità non solo di Dio, ma del suo Unto. Non è la
promessa della regalità, ma l'investitura solenne all'esercizio della regalità: il

119
Cristo, Figlio di David, è Re e Sacerdote di tutta la creazione divina. Nel Regno
dell'Unto di Dio ha il suo compimento ultimo il disegno di Dio. Frequentemente
nell'Antico Testamento la presenza di Dio distrugge, consuma le cose, minaccia la
vita stessa dell'uomo; ora non più. La presenza di Dio non distrugge le cose, anzi
egli si fa presente nell'uomo.
Questo è vero per noi non solo nella vita mortale del Cristo, quando egli
vive in una come passibile, ma soprattutto nella sua risurrezione quando nella
sua umanità glorificata egli entra in possesso di tutta la terra ed esercita il potere
regale che è proprio di Dio. Risorto, Egli siede alla destra di Dio per regnare
insieme a lui per sempre.

Dio si fa presente nell'uomo

Mi sembra che sia in questa esperienza religiosa la testimonianza più pura


del quinta libro dei salmi. L'uomo vive tutta la sua vita, ma la vive in una
comunione intima con Dio. Dio vive nel mondo, Dio è entrato veramente nella
vita dell'uomo. È il mistero del roveto che brucia e non consuma (Es. 3,2 ss.).
Non vi è simbolo più significativo in tutta la Bibbia del mistero dell'alleanza.
L'uomo sussiste nella luce divina: diviene come l'icona della divinità. Dio
può unirsi in tal modo alla creatura, in tal modo penetrarla di sé che essa, per
tutto quello che è, non riveli più che Dio. È questo, ora, l'essere, la vita
dell'uomo. Penetrato dalla luce, trasfigurato dalle energie divine, l'uomo non è
più opaco a Dio. L'uomo rivela sé e rivela Dio. Dio e la creazione, ma soprattutto
Dio e l'uomo non sono più che un'unica gloria. È questa, mi sembra, la
testimonianza della vita religiosa che ci danno i salmi del quinto libro. È un libro
quasi interamente di pace, di letizia, di gloria. In questo libro non è più presente
Dio senza l'uomo, né l'uomo è presente senza Dio. La preghiera non ha ansie
drammatiche, è effusione di amore, è abbandono fiducioso e sereno, è lode
gioiosa. Si è già accennato al salmo 119 come a quello più caratteristico e tutto
sarebbe da trascrivere. Fu amato da Biagio Pascal, fu meditato da s. Ambrogio.
Naturalmente per il cristiano la Legge è già una Persona. L'intimità con Dio
non si stabilisce solo attraverso la meditazione della Parola, ma attraverso la
comunione can la Persona viva, che è il Cristo. Sia che l'anima viva questa
comunione con Dio, nell'intimità con Gesù, sia che viva questa intimità con Dio
nella meditazione della Legge, quello che è proprio della vita religiosa è
precisamente la dolcezza di una intimità che non potrebbe pensarsi né più
profonda, né più pacifica, né più continua.

Salmo 119
……
9 Come manterrà pura il giovane la sua via?
Osservando la tua parola.
10 Iati cerco con tutto il cuore;
non permettere che io devii dai tuoi comandamenti.
11 Custodisco nel cuore la tua parola
per non peccare contro di Te.
……
14 Gioisco nel seguire i tuoi insegnamenti
come se possedessi ogni tesoro.
15 Meditar voglio i tuoi comandamenti
e tener gli occhi fissi ai tuoi sentieri
16 I tuoi precetti son la mia delizia;
non dimenticherò la tua parola.

120
……
18 Aprimi gli occhi perché io contempli
le meraviglie della tua legge.
……
32 Correrò per la via del tuoi comandamenti
poiché mi hai dilatato il cuore.
……
50 Questo è il mio conforto nella mia afflizione;
che la tua parola mi ridà la vita.
……
64 Signore, la terra è piena della tua bontà;
insegnami i tuoi precetti.
……
76 Sia la tua bontà il mio conforto
secondo la promessa che hai fatta al tuo servo!
77 Venga su di me la tua misericordia e io vivrò,
poiché la tua legge è la mia delizia!
……
96 Di ogni cosa perfetta ho visto il limite,
ma i tuoi comandamenti sono senza confine.
97 Quanto amo la tua legge!
essa è la mia meditazione di ogni istante.
……
165 Grande è la pace per quelli che amano la tua legge;
per essi non c'è nessun pericolo d'inciampo.
166 lo spero nella tua salvezza, o Signore,
e metto in pratica i tuoi comandi.
167 L'anima mia osserva i tuoi insegnamenti
perché tutti i miei passi son dinanzi a Te.
……
171 Erompono le mie labbra in un inno di lode
mentre m'insegni i tuoi statuti.
……

Dopo l'Hallel segue questo salmo della legge, dell'esperienza intima di una
comunione con Dio, la più profonda anzi che si possa pensare quaggiù. Dio è
divenuto intimo all'uomo. Quello che aveva promesso Geremia come carattere
proprio dell'età messianica (cf. Ger. 33), si realizza per il pio israelita, si realizza
molto di più per ogni cristiano. La legge di Dio è scritta nel cuore; tu non la leggi
in tavole di pietra, la porti dentro di te, la gusti interiormente, la vivi. E il viver la
legge vuol dire vivere nell'intimità con lo Spirito, perché la legge del cristiano è lo
Spirito stesso che ci è stato donato. Non più l'uomo grida a Dio: fino a quando?
né Dio è lontano così che l'uomo debba gridare, né Dio fa attendere una sua
risposta. Dio vive con l'uomo: l'eternità si è come calata nel tempo; ovunque è
l'uomo, Dio è sempre presente. L'uomo non è più esule, non sembra aspettare
più nulla. Certo, questo salmo non è ancora il canto della vita escatologica come
aveva annunciato il trito Isaia o la fine del libro di Tobia (cf. Is. 65 ss.; Tob. 13),
eppure qualche cosa di quella vita si fa presente. Dio e l'uomo vivono ora la loro
alleanza di amore. Cosi i salmi del quinto libro sono espressione di pace, di
serenità. Ma il salmo fondamentale di questo quinto libro rimane sempre il salmo
II 9. Il libro si apre col salmo messianico che è il canto dell'investitura del Regno.
Ma il Regno è più interiore che esteriore: è il Regno di una pace fra Dio e l'uomo.
L'uomo si compiace della legge e vive in intimità col suo Dio.

121
L'intimità personale con Dio

Subito dopo il grande salmo della legge divina vengono i salmi delle
ascensioni: continua in essi il clima di serena dolcezza, di pietà intima - la brevità
anzi del componimenti e la squisita fattura poetica danno alla preghiera un più
caldo e vivo tono di intimità. L'anima vive nella Presenza di Dio ed è come
sollevata, volta per volta, a un'altezza più pura e luminosa.
Con i pellegrini che salgono verso Gerusalemme anche l'anima sale. Non è
più il cammino di Israele nel deserto: è un ascendere sempre più sereno e
gioioso. Non vi è combattimento né insicurezza della vittoria, ma come un essere
attratti invincibilmente da una Presenza. È questo inoltrarsi dell'uomo in Dio,
questo ascendere nella luce divina che si esprime nei salmi delle ascensioni, nel
quali domina la pace dell'intimità, la serenità dell'abbandono, l'esperienza di una
redenzione compiuta. E la pace, la gioia non solo sono nell'intimo del cuore, ma
ridondano nella famiglia, traboccano nella nazione, illuminano la città. La famiglia
numerosa si raccoglie intorno alla mensa; la città è abitata e difesa da Dio, la
creazione stessa si fa vicina e amica dell'uomo, il quale in tutta la sua vita, in
tutti i suoi rapporti è l'amico di Dio. Dio non è estraneo: tutta la vita dell'uomo è
vissuta nella luce in Dio, è penetrata nella sua pace. E tutto è trasfigurato.
L'intimità personale con Dio in una preghiera ora tenera, ora gioiosa,
sempre illuminata da una tranquilla sicurezza dell'aiuto divino, si congiunge al
sentimento festoso di una solidarietà umana, di una comunione umana e cosmica
di vera plenitudine, si fa coscienza, fiera e serena insieme, di appartenere al
popolo di Dio. Né la comunione col popolo nuoce all'intimità, né l'intimità del
rapporto personale con Dio nuoce alla ricchezza di una comunione universale con
le cose, con gli uomini. Per questo equilibrio così raro, per questa presenza di
motivi che sembrano così contrastanti e invece sono profondamente fusi in
un'esperienza religiosa autentica e originale, i salmi delle ascensioni sono forse i
più caratteristici di tutto il Salterio: in essi è come un progresso continuo.
Il primo salmo in realtà dice ancora la condizione di pena che è propria
dell'uomo quaggiù. Mai l'uomo quaggiù è al sicuro da tutte le prove; eppure le
prove non toccano più l'anima che è posseduta costantemente dalla pace di Dio.
Del resto se anche altri salmi rendono testimonianza di qualche lotta o di qualche
pena, la sofferenza non agita più, non è angoscia che strappa all'anima il grido
della disperazione. Il pellegrinaggio si muove dall'esilio. L'uomo si trova lontano,
esiliato in mezzo a un popolo che odia la pace.

Salmo 120
……
5 Misero me! Son come un esiliato in Mesec,
dimoro fra le tende di Chedar.
6 Abbastanza ha dimorato l'anima mia
con gli odiatori di pace.
7 lo san pace e così parlo:
essi san per la guerra.

Subito dopo il primo salmo già l'aria si rasserena. L'anima è sempre più
sicura della protezione di Dio e procede umile e calma nel suo cammino.

Salmo 121
1 Alzo i miei occhi ai monti ...
donde verrà il mio aiuto?

122
2 L'aiuto mi viene dal Signore,
creatore del cielo e della terra.
……
4 «No, non si assopirà, né dormirà
il custode di Israele».
5 Il Signore sia il tuo custode,
il Signore tua ombra alla tua destra.

Più semplice, più viva si fa la preghiera nel salmo 123. Dio è il Signore cui
l'uomo si affida nella sua umiltà, nella sua debolezza.

A Te sollevo i miei occhi,


a Te che abiti nei cieli.
2 Ecco, come gli occhi nei servi son volti alla mano dei loro signori,
come gli occhi della serva alla mano della padrona,
così gli occhi nostri verso il Signore, Iddio nostro,
fino a che si muova a pietà di noi.
……

In mezzo a questi due salmi è un canto di festa. Il pellegrinaggio sembra


avere già fine: è in vista la santa Città, anzi è già raggiunta la meta. Non è
soltanto la sicurezza dell'assistenza divina, è la gioia che inonda il cuore.

Salmo 122
Mi sentii pieno di gioia quando mi dissero:
«Andremo al Tempio del Signore».
2 Ora i nostri piedi si posano
entro le tue porte, o Gerusalemme.
3 Gerusalemme riedificata come Città
in cui tutto è ben unito insieme
……

La vita religiosa non può esser disgiunta dal vanto di essere membri del
popolo di Dio, di sentirsi fieri di entrare nella santa Città. L'unione con Dio è
inseparabile dalla comunione con tutto il popolo, nella pace.
L'esperienza dell'aiuto divino è trionfante nel salmo 124.
L'uomo vive già la sua vittoria sui nemici. Il loro furore non può nulla
contro la protezione di Dio e la vittoria conseguita ha la subitaneità del miracolo.
Tutta la potenza di Dio è a servizio dell'uomo che egli ama.

Salmo 124
Se il Signore non fosse stato per noi,
(lo dica pure Israele)
2 se il Signore non fosse stato per noi
quando gli uomini c'insorsero contro,
3 ci avrebbero già inghiottiti vivi:
quando divampò la loro ira contro di noi
4 le acque ci avrebbero sommersi,
un torrente sarebbe passato sull' anima nostra;
5 già sarebbero passate sull'anima nostra
acque travolgenti.
6 Benedetto il Signore,
che non ci ha dato in preda ai loro denti!

123
7 L'anima nostra, come un uccellino,
è scampata al laccio del cacciatori,
il laccio è stato spezzato e noi siamo salvi.
8 Il nostro aiuto è nel Nome del Signore,
che ha fatto cielo e terra.

Nel salmo seguente (125), la confidenza in Dio dà all'anima una sicurezza


piena, pacifica, che somiglia alla stabilità stessa del monti, anzi, alla stabilità del
monte Sion che non vacilla, ma sta saldo nei secoli (Sal. 125,1). Non è solo
un'immagine: in realtà la promessa della protezione di Dio per Israele è divenuta
la promessa della protezione di Dio per ogni uomo che confida in lui. II senso
vivo del miracolo lievita e dà ali al salmo 126, un piccolo capolavoro di poesia.

Salmo 126
Quando il Signore ricondusse i reduci a Sion
ci parve di sognare.
2 La nostra bocca era piena di sorriso
e la nostra lingua di inni di gioia.
Allora si disse fra i popoli:
«Grandi cose ha fatto il Signore per loro».
3 Sì, grandi cose ha fatto il Signore
con noi, e siamo pieni di gioia.
4 Cambia, o Signore, le nostre sorti,
come fanno i ruscelli nel Negeb.
5 Quelli che seminano fra le lacrime
mieteranno con gaudio.
6 Chi va, se ne va piangendo,
portando il seme da gettare;
chi torna, ritorna cantando,
portando i propri covoni.

Dio opera meravigliosamente ed è tale la efficacia della sua azione nella


vita dell'uomo, che all'uomo sembra rimanere solo lo stupore e la gioia di sentirsi
e di essere salvo. Del resto l'atto dell'uomo è solo il puro, l'assoluto abbandono.

Salmo 127
Se non è il Signore che costruisce la casa
invano ci si affaticano i costruttori:
se il Signore non custodisce la città,
invano vigila la guardia.
……
L'uomo sperimenta sempre meglio, sempre più, come Dio non solo gli sia
vicino, ma come anche tutto dipenda da lui. La legge dell'uomo è proprio per
questo il sicuro riposo nelle mani di Dio.

Salmo 128
2 Quando del lavoro di tua mano mangerai,
beato te e te felice!
……

Difeso, protetto da Dio, l'uomo vive la gioia di una vita familiare ricca di
affetti, numerosa di figli: la benedizione di Dio riempie la sua casa di ogni bene:
cosi anche la nazione è prosperosa e sicura:

124
3 Tua moglie sarà come vite rigogliosa
nell'intimo della tua casa;
i tuoi figli, come polloni d'olivo,
intorno alla tua mensa.
4 Ecco, in qual modo è benedetto l'uomo,
che teme il Signore.
……

Stupendo il salmo 131. L'abbandono dell'anima si esprime attraverso


l'immagine di un bambino svezzato nelle braccia della madre. L'uomo vive con
Dio l'abbandono fiducioso e lieto d'un bambino; la vita spirituale nel rapporto
dell'uomo con Dio sembra terminare cosi nello spirito di infanzia, anticipando il
Vangelo. L'anima, come ha rinunciato ad agire indipendentemente da Dio, così
non vuol sapere più nulla: riposa.

Signore, non superbo è il mio cuore,


né alteri sono i miei occhi
non va in cerca di cose grandi,
né di cose troppo alte per me.
2 Ho reso invece mite ed umile l'anima mia.
……
3 Spera, Israele, nel Signore da ora e per sempre.

In questi salmi la vita spirituale dell'uomo non è separata né separabile


dalla vita della nazione santa. L'uomo vive in rapporto con Dio, ma questo
rapporto è pure rapporto con la famiglia, con la città, con la nazione intera. La
comunità è sempre presente nell'uomo che prega, come è presente la terra che
Dio ha benedetto come nuova patria dell'uomo. La comunità è Israele, la terra è
la terra promessa, la città è Gerusalemme, la casa è il Tempio di Dio.
Il pellegrinaggio dell'uomo termina, di fatto, nel Tempio.

Salmo 132
7 Entriamo nella sua abitazione
prostriamoci davanti allo sgabello del suoi piedi.
……
In questo Tempio si eleva la preghiera più solenne che conclude il
pellegrinaggio di tutta Israele, di tutta l'umanità. La preghiera implora
l'adempimento della promessa di Dio che riguarda in primo luogo il Figlio di
David.

10 Per amar di David, tuo servo,


non respingere la faccia del tuo Unto.
11 Ha giurato il Signore a David,
verità da cui non si rimuove:
«Del frutto del tuo ventre
collocherò sul tuo trono.
12 Se i tuoi figli osserveranno il mio patto
e i precetti, che loro insegnerò,
anche i loro figli in perpetuo
sederanno sopra il tuo trono».

125
Tutte le benedizioni di Dio al popolo, ai sacerdoti, dipendono da questo
adempimento. La prosperità, la pace, la gioia sono assicurate dal Regno dell'Unto
di Dio che ha la sua sede in Gerusalemme, nel luogo che Dio ha scelto per sua
dimora. E Gerusalemme è la città di David.

13 «Poiché il Signore ha scelto Sion,


l'ha voluta per sua dimora.
14 Questa è la mia dimora in perpetuo,
io vi abiterò perché l’ho amata.
15 Benedirò largamente le sue provviste,
i suoi poveri sazierò di pane.
16 I suoi sacerdoti rivestirò di salvezza
e i suoi devoti manderanno grida di gioia.
17 Là farò germogliare un Potente a David,
preparerò una luce per il mio Unto.
18 Ricoprirò d'ignominia i suoi nemici
e sulla sua fronte brillerà il suo diadema».

Questo salmo, il terz'ultimo della piccola raccolta, richiama così la


promessa di Dio a David. Questa promessa apre il Salterio con il salmo 2, chiude
il libro secondo con il salmo 72, ritorna al centro del Salterio con il salmo 89 e,
nell'ultimo libro del Salterio, si ritrova al salmo 110. L'ultima volta che ritorna è
in questo salmo 132: il cammino dell'uomo termina con l'adempimento della
promessa di Dio.
Questo oracolo di Jahveh che assicura il Regno 'universale' ed eterno al Re
messianico, Figlio di David, è la promessa che garantisce il senso sacro della
storia, il valore positivo della vita del mondo che termina nel Regno di Dio.
Solo il libro quarto non ha riferimento alla promessa fatta a David: il
Regno di Dio non sembra esplicitamente richiamare quella promessa, a meno che
non si vogliano ricordare come riferimento alla promessa i versetti 16 - 17, 22 -
23 del salmo 102:

16 Le genti allora temeranno il tuo Nome, Signore,


e tutti i re della terra la tua gloria,
17 quando il Signore avrà ricostruito Sion
e si sarà mostrato nella sua maestà,
……
22 affinché risuoni in Sion il Nome del Signore
e la lode di Lui in Gerusalemme,
23 quando colà si aduneranno i popoli
e i regni, per servire al Signore.
……

Cosi la vita spirituale non è soltanto rapporto con Dio, è anche rapporto di
amore. L'uomo non vive solo l'abbandono del fanciullo nelle braccia di Dio, la sua
vita è anche gioia di comunione fra gli uomini. I salmi delle ascensioni celebrano
la vita della famiglia, la vita della città, la gloria della nazione eletta da Dio. La
gioia del pellegrini che salgono a Gerusalemme, la festosa esaltazione della vita
comunitaria, tutto si riassume nella celebrazione del Re messianico, nella fierezza
di sentirsi accolti nel Tempio stesso di Dio. Prima della fine di questa raccolta di
salmi graduali, è il salmo della gioia nell'unione fraterna:

Salmo 133

126
Oh quant'è bello, quanto è soave
l'abitare del fratelli insieme!
2 È come l'olio sul capo,
che scende sulla barba, sulla barba di Aronne
e cola su lo scollo del suoi paramenti.
3 È come rugiada dell'Hermon
che scende sui monti di Sion
perché là il Signore largisce la benedizione,
la vita nei secoli.

La conclusione di questa raccolta è l'invito alla lode nell'interno stesso del


Tempio, dove il pellegrinaggio ha condotto i servi del Signore (Sal. 134,1). Tutto
ha fine nella lode di Dio.

Salmo 134
Ed ora benedite il Signore,
voi tutti servi del Signore,
voi che state nella casa del Signore durante le notti.
2 Alzate le vostre mani verso il Santuario
e benedite il Signore.

La raccolta dei salmi delle ascensioni è cosi come un breve compendio di


tutto il Salterio - meno drammatica e solenne l'ispirazione, più semplice e pura la
poesia, essi, accompagnando il pellegrinaggio del fedeli al Tempio, ci ripetono
l'esperienza di ogni uomo, di tutto il popolo che dalla terra dell'esilio va verso la
patria che è la santa Città, verso il Tempio dove dimora Dio. Sorretto dalla
potenza divina l'uomo procede nel suo cammino, finché non giunge dinanzi al
Volto di Dio, finché non prende dimora nel Tempio per benedire e lodare il
Signore.

Il cammino dell'uomo

Fra i salmi graduali e l'Hallel finale, dopo il grande Hallel, salmo 136, si
trovano i salmi che sembrano, per il loro contenuto, aver preso posto in
quest'ultimo libro solo perché composti tardivamente. Di fatto nell'atmosfera
serena di questo libro, essi ci riportano all'esperienza di angoscia del libri
precedenti (soprattutto i salmi 140, 141, 142, 143). Sembra che la presenza e
l'azione del male debbano accompagnare l'uomo lungo tutto il cammino, fino alle
soglie della lode pura e universale dei salmi che concludono tutto il Salterio.
Qualcosa di simile avviene nella liturgia eucaristica. Proprio
immediatamente prima della consacrazione, il sacerdote, nel canone romano, con
le mani stese sopra le oblate, prega perché Dio voglia strappare l'uomo dalla
dannazione eterna. È nell'imminenza della gloria che è per dilatarsi su tutta la
creazione, l'ultimo assalto del Maligno contro Dio? L'Hallel finale sarà poi l'entrata
dell'uomo nella pura presenza di Dio, che investe tutta la creazione redenta.
Proprio fra questi salmi, che separano il grande Hallel finale, si trova il
salmo 139 che, forse più di ogni altro testo dell'Antico Testamento, insegna la
anni scienza di Dio e rende testimonianza della sua azione che penetra tutto e
possiede l'uomo fino alle sue radici. Il Dio trascendente è qui il Dio
dell'immanenza totale.
Forse il salmo è il più profondo testo teologico del Salterio, certo una delle
pagine religiose più alte di tutto l'Antico Testamento. L'uomo conosce Dio proprio
nel fatto che si sente posseduto interamente da lui. Ogni possibilità per l'uomo di

127
sfuggire alla Presenza di Dio è preclusa: l'uomo si muove in una luce che lo
penetra fino nel più profondo. Come l'umanità, così l'eternità di Dio abbracciano
l'uomo: l'uomo è, in quanto è conosciuto da Dio. La sua vita, il suo essere è
sospeso puramente a questo rapporto.

Salmo 139
Signore, Tu mi scruti e mi conosci;
2 se mi seggo o mi alzo, Tu lo sai:
Tu penetri da lungi il mio pensiero,
3 Tu scruti i miei passi
e tutte le mie vie ti sono familiari.
4 Ancora non mi è giunta la parola alla lingua
e già, Signore, la conosci appieno.
5 Di dietro e davanti mi tieni assediato
e su di me Tu posi la tua mano.
6 Troppo mirabile è tale scienza per me,
troppo sublime e non posso comprenderla.
7 Dove posso andare lungi dal tuo spirito?
dove fuggire dalla tua presenza?
8 Se salgo in cielo, lassù Tu sei,
se reclino il capo nello Sceòl, eccoti là!
9 «Prenderò le penne dell'aurora,
abiterò all'estremità del mare».
10 Anche là mi conduce la tua mano
e mi afferra la tua destra.
11 Ma penso: «Le tenebre almeno mi copriranno
e la notte mi circonderà».
12 Neppure le tenebre sono oscure per Te,
e la notte brilla come il giorno,
come l'oscurità così è la luce (per Te).
13 Poiché Tu hai formato le mie viscere,
mi hai tessuto nel seno di una madre.
14 lo ti ringrazio, perché in modo stupendo sono stato fatto,
meravigliose sono le opere tue ed io ben lo so.
15 Non ti erano occulte le mie ossa
mentre ero formato in segreto
ed ero intessuto nelle viscere della terra.
16 I tuoi occhi mi videro informe
e nel tuo libro tutti erano scritti i giorni fissati,
e ancora neppur uno esisteva.
17 Quanto profondi sono per me i tuoi disegni,
o Dio, e quanto grande ne è il loro insieme!

I salmi della lode divina

Il salmo II 9 più di ogni altro ci dice il clima e il tono del quinto libro dei
salmi; la serie del quindici salmi delle ascensioni è anche estremamente
significativa, tuttavia è sommamente importante riconoscere che i salmi della
lode divina caratterizzano in modo specialissimo quest'ultimo libro del Salterio.
L'Hallel (salmi 113 - 118), il grande Hallel (salmo 136), il piccolo Hallel (salmi
146 - 150), non raggruppano un numero molto elevato di salmi, ma nel libro,
sono quelli che maggiormente creano l'unità di quest'ultima parte del Salterio. Si
diceva che il quinto libro più che continuare i libri precedenti, li riassume; ed è

128
vero, perché il cammino della vita spirituale sembra aver termine col
riconoscimento della regalità di Dio. Questo era stato il motivo fondamentale del
libro quarto. Ma non è poco per la vita spirituale il rimanere dell'anima in quella
perfezione che ha raggiunto. Nel quinto libro l'anima rimane di fatto ferma sulla
cima. La sua vita è un'intimità, è un abbandono semplice a Dio, è soprattutto la
lode. Di questa lode è espressione il primo salmo dell'Hallel. La lode divina
diviene davvero, per questo salmo, così essenzialmente l'atto di ogni tempo, di
ogni luogo, l'atto in cui consuma la vita dell'uomo e la vita di tutto l'universo.

Salmo 113
2 Sia benedetto il Nome del Signore
da ora e per i secoli.
3 Da dove sorge il sole, fin là dove tramonta
si lodi il Nome del Signore.

Il Dio che viene esaltato è il Dio che opera, è il Dio della storia d'Israele
(salmo 114), è il Dio che è eccelso sopra tutti i popoli, la cui gloria è al di sopra
del cieli

4 Eccelso, sopra tutti i popoli è il Signore,


la sua gloria è al di sopra del cieli. (Sal. 113)
……

è il Dio che si differenzia dagli idoli vani, è il solo vivente (salmo 115). Solo
i monti non lo lodano; tutti i viventi, tutti i popoli sono invece chiamati a lodarlo
(salmo 117). Lo debbono lodare per la bontà, lo debbono lodare perché è la
salvezza dell'uomo, perché ha compiuto prodigi (salmo 118).
Diverso dagli altri salmi dell'Hallel è il salmo 116. Quanta pace e quanta
dolcezza non dicono le parole! come l'intimità divina si manifesta in una perfetta
coesistenza di Dio e dell'uomo! Dio vive con l'uomo una vita di pura pace.
……
6 Il Signore ha cura degli umili;
ero un misero ed Egli mi ha salvato.
7 Ritorna, anima mia, alla tua calma
poiché il Signore ti colma di beni.
……
9 lo camminerò alla presenza del Signore
nella terra del vivi.
……
Il salmo finisce coll'inno di grazie e della lode (vv. 17 - 19). Tutta la vita si
riassume nel sacrificio di ringraziamento offerto a Dio, alla presenza di tutto il
popolo, nel Tempio.
……
17 A Te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il Nome del Signore.
18 Scioglierò i miei voti al Signore
in presenza di tutto il suo popolo,
19 negli atri della casa del Signore,
in mezzo a te, Gerusalemme.
Alleluia!

129
Le espressioni di questo salmo possono suggerire un contenuto
messianico, non il messianesimo regale che si esprime in termini di lotta e di
vittoria, ma il messianesimo che si esprime in elementi di sacrificio.
L'orante è il Servo di Jahveh del salmo 116. È nel lacci della morte (v. 3) e
Dio lo ha liberato (vv. 8 - 9); per questo in presenza di tutto il popolo (vv. 14 -
18) egli ora offre un sacrificio di ringraziamento a Dio (v. 17).
Un salmo, il 143, che non appartiene all'Hallel, forse è bene ricordarlo qui.
L'insistenza singolare dell'orante nel proclamarsi servo di Dio (Sal. 143,2 e 12),
nell'invocare l'intervento di Dio in una prova mortale richiamandosi alle opere
della mano di Dio compiute in passato, soprattutto la preghiera insegnami a fare
la tua volontà (Sal. 143,10) giustificano che lo abbiamo presente. Il servo di
Jahveh è colui che obbedisce, che fa la volontà del Signore (cf. Sal. 40).
Il Servo di Jahveh è poi più esplicitamente il Re messianico che entra in
trionfo nel Tempio, nel grande salmo 118. Il trionfo è preceduto comunque dalla
prova. I nemici si sono stretti d'intorno a lui, vogliono farlo cadere: egli li ha
sgominati nel Nome di Dio.

Salmo 118
10 Tutte le genti m'avevano circondato:
nel Nome del Signore, io le ho respinte.
12 Mi avevano attorniato come api,
avevano divampato come un fuoco di pruni;
nel Nome del Signore io le ho respinte.
13 Mi si urtò per farmi cadere,
ma il Signore mi è venuto in soccorso.
14 Mia gloria e mio canto è il Signore,
Egli è stato per me la salvezza.

Se il salmo 110 è il salmo messianico e sembra richiamare il salmo 2, il


salmo 118, alla fine dell'Hallel, li richiama poi tutti e due. È il salmo che
ispirandosi al profeta Isaia vede, nella pietra rigettata dai costruttori, la pietra
che è divenuta, per volontà di Dio, la pietra angolare sulla quale poggia il nuovo
tempio di Dio. Il Messia è re ed è anche sacerdote, egli è il tempio, egli è la
vittima del sacrificio. Il Dio cui va la lode dei salmi, non è il Dio di una teologia
astratta, ma è il Dio della storia - è il Dio che si è rivelato nel Cristo, Egli che
viene nel Nome del Signore. Nessun salmo ha un carattere pasquale più di
questo, nel quale ha fine l'Hallel.
Dobbiamo dire di più. Più esplicitamente che nel salmo 89, in questo salmo
il Re messianico, il Figlio di David è il Servo di Jahveh. Le due grandi immagini
del Cristo futuro che continuamente ricorrono, mai più coerentemente si
uniscono come in questo salmo, che perciò diviene come la chiave di
interpretazione di tutto il Salterio.

15 Grida d'esultanza e di vittoria


nelle tende del giusti:
«La destra del Signore ha fatto prodigi,
16 la destra del Signore si è mostrata grande,
la destra del Signore ha fatto prodigi!»
17 lo non morrò, ma vivrò,
e narrerò le opere del Signore.
……
21 Ti ringrazierò perché mi hai esaudito
e sei stato la mia salvezza.

130
22 Una pietra scartarono i costruttori:
è divenuta la pietra angolare.
23 È stato il Signore a far questo,
ed è cosa mirabile ai nostri occhi.
24 Questo è il giorno che ha fatto il Signore
esultiamo e rallegriamoci in esso.
……
26 Benedetto colui che viene nel Nome del Signore,
vi benediciamo dalla casa del Signore.
27 Il Signore è Dio,
e fa risplendere su noi la sua luce.
Legate con corde la sua vittima
e conducetela fino agli angoli dell' altare!
……

Il carattere messianico del salmo si fa esplicito nel richiamo alla pietra


scartata dai costruttori e divenuta pietra angolare (cf. Mt. 21,42). La vittoria sui
nemici, la salvezza del popolo, si sono compiute misteriosamente nel Cristo: egli
è la pietra che aveva cantato il profeta Isaia (cf. ls. 28,16). Il giorno di Dio è il
giorno della sua vittoria e del suo trionfo; in questo giorno egli entra nel tempio
per il sacrificio di ringraziamento e con lui tutto il popolo che egli ha salvato. Il
sacrificio di esultanza, la lode di Dio nella quale si chiude il Salterio, è lo stesso
sacrificio solenne del Re vittorioso. n Signore viene: le porte del tempio si
aprono: entra la processione a festeggiare l'evento. Non è più il passaggio del
mare, è il salire sereno, l'entrare dell'uomo nella dimora di Dio per abitare con
lui. È l'entrare dell'uomo nell' 'oggi' di Dio. L'uomo vive l'ineffabile pace di una
divina presenza; il passato è passato, e il futuro non è: l'uomo entra nella pura
presenza. 'Il giorno s'identifica all'eternità.
Questi salmi dell'Hallel ha cantato Gesù nell'andare verso la Croce. Quando
si compiva il mistero, questi salmi furono cantati dal Cristo medesimo. Questi
salmi sono la parola che più di ogni altra ci rivela l'esperienza religiosa
dell'Uomo-Dio, nell'atto supremo della sua vita. Stanno perciò anche al vertice
dell'esperienza religiosa dell'uomo, perché sono al vertice dell'esperienza
religiosa del Cristo; sono il commento più alto all'atto più sublime che si sia
compiuto nel mondo.
Il grande Hallel è il solo salmo 136, un salmo litanico di lode al Dio della
Creazione e dell'Alleanza. È questo alma forse il più usato nella liturgia del
Tempio e che ha ispirato l'anafora eucaristica del canone romano.

La vita dell'universo non è che la lode a Dio

Al termine di tutto il Salterio è il piccolo Hallel (salmi 146 - 150). Per


l'uomo si realizza nella storia il disegno di Dio, nell'uomo si riassume la creazione
intera. Il Salterio, come abbiamo detto, canta il rapporto dell'uomo, di tutta
l'umanità con Dio, ma vede realizzarsi questo rapporto in una creazione che è
rivelazione della gloria di Dio ed è insieme il regno dell'uomo. La lode diviene
l'unico contenuto della vita dell'uomo, anzi dell'universo.
La parola non è più invocazione e preghiera, la trasformazione dell'uomo è
compiuta: si è fatto uomo nella preghiera del povero, ma l'uomo ora è divenuto
Dio per partecipazione di amore nella lode pura del Verbo.

Salmo 146
l Alleluia!

131
Loda, anima mia, il Signore!
2 Loderò il Signore per tutta la mia vita,
per quanto vivrò, canterò lodi al mio Dio.

Attraverso l'uomo è tutta la creazione che loda il Signore. La funzione


dell'uomo è quella di invitare, di chiamare tutte le creature del cielo, della terra,
del mare a lodare Dio o piuttosto è l'uomo stesso che presta la sua voce a questa
lode universale in cui consuma la vita della creazione intera. Prima del cantico dei
tre fanciulli del libro di Daniele (Dan. 3,51 ss.), del cantico delle creature di san
Francesco d'Assisi, il salmo 148, in un respiro di ampiezza universale, esalta Dio
e loda il Signore.

l Alleluia.
Lodate il Signore dal cielo,
lodatelo nel luoghi eccelsi.
2 Lodatelo, voi tutti Angeli suoi,
lodatelo, voi tutte sue schiere.
3 Lodatelo, sole e luna,
lodatelo, voi tutti astri luminosi.
4 Lodatelo, o cieli del cieli,
e voi acque al di sopra del cieli.
5 Lodino il Nome del Signore
perché Egli comandò e furon creati
6 li fece duraturi nei secoli,
dette loro una legge, che non sarà trasgredita.
7 Lodate il Signore della terra,
o mostri marini e voi tutti, o abissi,
8 fuoco e grandine e neve e nubi,
vento procelloso, che ubbidisci alla sua parola,
9 monti e voi tutte, o colline,
alberi fruttiferi e voi tutti o cedri,
10 belve e animali d'ogni specie
rettili e uccelli alati.
11 I re della terra e tutti i popoli,
prìncipi e giudici della terra,
12 giovinetti e fanciulle,
vecchi e bambini,
13 lodino il Nome del Signore,
perché eccelso è solo il Nome di Lui,
la sua maestà è al di sopra del cielo e della terra.
14 Egli ha risollevato la potenza del popolo suo:
inno di lode, per tutti i suoi fedeli,
per i figli d'Israele, popolo a Lui vicino.
Alleluia!

Ma qual è il motivo di questa lode a Dio se non la gloria stessa di Dio che è
traboccata nell'universo? La sua misericordia che ha colmato gli abissi della
creazione? la sua fedeltà che ha salvato Israele? Perfino negli ultimi salmi del
piccolo Hallel. La luce sfolgorante di Dio che investe tutto di sé, non cancella il
ricordo di Sion, della Città santa, dell'alleanza di Dio con Israele.
Dio così è glorificato meno per quello che è in se stesso, che per quanto
egli opera. È opera sua la creazione, è soprattutto opera sua la salvezza
d'Israele. Nell'opera sua rifulge l'onnipotenza, ma soprattutto rifulgono la

132
misericordia e la fedeltà. Quanto egli aveva promesso, ecco, l'ha compiuto. In lui
il prigioniero, l'orfano, la vedova hanno trovato aiuto, da lui il cieco, lo zoppo
hanno avuto salvezza.

Salmo 146
……
6 creatore del cielo e della. terra,
del mare e di tutto quello che essi contengono.
Egli mantiene fede nei secoli,
7 rende giustizia agli oppressi,
dà il cibo agli affamati.
Il Signore fa liberi i prigionieri,
8 il Signore apre gli occhi ai ciechi,
il Signore raddrizza i ricurvi,
il Signore ama i giusti.
9 Il Signore protegge il pellegrino,
sostenta l'orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie degli empi.

Gerusalemme è stata riedificata; i dispersi sono stati radunati nella santa


Città. Dio è in mezzo al suo popolo come sicura difesa ed ha stabilito la pace
entro il suo popolo di ogni bene.

Salmo 147
……
2 Il Signore riedifica Gerusalemme,
raduna i dispersi d'Israele,
3 risana quei che hanno il cuore ferito
e fascia le loro piaghe
……
12 Da gloria al Signore, o Gerusalemme,
loda il tuo Dio, o Sion,
13 poich'Egli ha reso forti le spranghe delle tue porte,
ha benedetto i tuoi figli in mezzo a te.
14 Ha stabilito la pace ai tuoi confini
e di pingue frumento ti sazia.
……
ama il Signore il suo popolo (Sal. 149,4).

In questi ultimi salmi non l'uomo e la creazione tutta con l'uomo lodano
Dio, ma la lode divina rifIuisce su tutto. La luce di Dio invece di eclissare
l'universo, trabocca sulle cose e le illumina, si effonde nell'universo e lo glorifica.
Il canto è dispiegato, esultante: è come un'ondata che si dilata, che cresce,
rompe e travolge ogni cosa. La preghiera, che nel primi libri era soprattutto un
grido di dolore, una supplica angosciosa, è ora un canto trionfale: la lode di Dio è
la gioia dell'uomo, la trasfigurazione del mondo. Citare alcuni versetti è far
violenza a questa onda di canto che rompe tutti gli argini e riempie tutti gli
abissi: tutta la vita dell'universo non è che la lode.
Così al termine del Salterio è tutto l'universo che loda Dio, tutto Israele
che canta. Certamente, anche quando è un orante solo, è sempre il Cristo che
prega. E tuttavia in questi ultimi salmi è sempre più esplicitamente Israele. Il
carattere liturgico dei salmi è sempre più accentuato, via via che si va verso la
fine. Al termine, la dossologia finale è veramente il canto dispiegato di tutta una

133
creazione associata alla gloria divina, associata alla lode di Dio. Non più l'uomo,
non più Israele soltanto, ma l'atta di tutta l'universo non è più che la lode di Dio.

Salmo 150
1 Alleluia.
Lodate il Signore nel suo Santuario,
lodatelo nel firmamento della sua potenza!
2 Lodatelo per le sue gesta,
lodatelo per la grandezza della sua maestà.
3 Lodatelo al suono della tromba,
lodatelo su l'arpa e su la cetra.
4 Lodatelo col timpano e con la danza,
lodatelo su le corde e su i flauti.
5 Lodatelo su i cembali armoniosi,
lodatelo su i cembali sonori.
Tutto ciò che respira lodi il Signore!
Alleluia!

Non sono cose nuove, se si vuole, quelle che ci dice il libro quinto nei
confronti degli altri libri. S'è detto questo fin dall'inizio: non si deve cercare
un'assoluta originalità che distingua un libro dall'altro, si deve sottolineare la
diversa atmosfera, e l'atmosfera del quinto libra è un'atmosfera di più limpida
pace, è un'atmosfera di più pura comunione con Dio.
Anche se si può dire che la gloria del Regno di Dio è fatta presente nel
quarto libro come non è forse fatta presente nel quinto, tuttavia nel quarta libro
non ancora l'uomo è così associato a Dio nella gloria. Ora l'uomo è presente, ma
è presente nella gioia dell'amore; l'uomo è presente, anche la creazione è
presente, ma nella presenza stessa di Dio. È vero, certo, che psicologicamente
l'uomo è prima consumato dal fuoco della Presenza di Dio, ma la distruzione
psicologica dell'uomo non è il termine dell'esperienza religiosa dell'uomo: dopo la
morte, è la risurrezione. Il Salterio canta, nella lode di tutta la creazione a Dio, la
risurrezione anche della creazione intera, che in questa lode vive e respira.

CONCLUSIONE

Il Salterio nella lingua parlata

La traduzione del Ceronetti è di forza incomparabile; la lingua, il ritmo


scattanti. Vi è una gran differenza fra questa e la traduzione consacrata dall'uso
liturgico della Chiesa cristiana. Quale di esse è più fedele? Sembra che la
tradizione religiosa abbia evirato il testo, lo abbia addomesticato, gli abbia tolto
vigore.
Alcune volte tuttavia si ha l'impressione che il Ceronetti medesimo abbia
esagerato. Ma non è questo il problema; esso rimane un altro. La traduzione del
Ceronetti fa dell'antico libro ispirato un documento puramente letterario; sarà
bello, può essere più bello di altre traduzioni, ma è il testo di un libro morto,
anche se la lingua è viva.
La traduzione nel greco del Settanta, nella Volgata latina e nelle lingue
moderne per l'uso liturgico può essere letterariamente più povera, più scialba,
ma non è un documento letterario. La fedeltà di queste traduzioni sta in questo:
che il libro della preghiera di Israele continua ad essere il libro della preghiera, è
divenuto anzi il libro della preghiera di tutte le nazioni, di tutta l'umanità.

134
Che povertà la traduzione del Ceronetti se fa del Salterio il documento
fossile di un'altra epoca! Per noi la fedeltà al testo, la vita del libro è assicurata
precisamente dal fatto che i salmi non son divenuti un pezzo di poesia per un
museo della storia letteraria, ma rimangono la parola viva dell'uomo, la sua
preghiera a Dio. E Jahveh non è il dio tribale di una civiltà ormai sepolta, è il
Padre di Gesù, il Dio di Agostino e di Tommaso, di Lutero e di Teresa. Nessun
testo può rimanere vivente se non ha la possibilità di approfondirsi, di dilatarsi
nel suo seno. La continuità della vita suppone lo sviluppo del vivente. È questo
sviluppo che, senza contraddire la fedeltà, assicura la continuità della vita al
testo ispirato.
Già per Gesù di Nazareth il testo dei salmi era rimasto vivo perché
divenuto veramente la parola, la preghiera sua. Rimane essenziale per noi
l'interpretazione che ai salmi ha dato Gesù quando ha fatto suo, più di ogni altro
libro dell'Antico Testamento, il Salterio. La parola dei salmi è la sua parola. Prima
ancora di nascere, egli ha rivelato se stesso, la sua missione, la sua vita, i suoi
sentimenti, attraverso questa parola (cf. salmo 40). Egli in questi canti si è
rivelato come il giusto perseguitato, il Servo di Jahveh, come il Figlio di David, il
Re messianico.
Questo libro, il più universale di tutta la Bibbia per l'amplitudine e la
ricchezza del temi, è il più singolare, perché tutto si accentra e si riassume nella
parola di Uno solo: del Cristo. Così non è forzare i testi riconoscere che, fra tutti i
libri dell'Antico Testamento, il Salterio è il più vicino al Vangelo. L'ispirazione
sapienziale fa del Salterio il documento più vivo umanamente dell'Antico
Testamento, l'ispirazione profetica lo fa il più cristiano, ma l'ispirazione
sapienziale non si oppone all'ispirazione profetica: l'uomo che parla, che soffre,
che prega nei salmi è David, è il servo di Jahveh. Non è certo ispirato il titolo dei
salmi che la tradizione. del giudaismo ha dato a molti salmi; ma è importante
riconoscere che l'attribuzione dei salmi a David, il richiamo alle circostanze
storiche della sua vita dona ai salmi, anche ai più apparentemente generici e
universali, un carattere concreta, li lega alla storia di una monarchia che ha la
promessa, da Dio, di una sua eternità e di una regalità universale. L'uomo è
Cristo; egli si richiama al Deuteronomio, al deutero Isaia, ma egli fa sua
soprattutto la parola dei salmi.
Una traduzione letteraria può compromettere questa interpretazione dei
salmi. La traduzione del Ceronetti è buona, anche se, trovata 'una via di
interpretazione probabile, ha esagerato facilmente per questa via. Come la
preghiera dei salmi implora l'azione, l'intervento di Dio, così può supporre
l'azione del Maligno, delle potenze del male. La dimensione della vita umana è
comunque un mistero. Il male, la malattia, la sofferenza implicano questa
segreta forza di distruzione che si può mettere a servizio del malvagio, come la
gioia, la vita, la sicurezza, la pace sono il segno della presenza di Dio, del suo
favore, della sua forza che è a servizio del fedele, del giusto.
Comunque, quello che attraverso ogni traduzione emerge, è
fondamentalmente lo stesso paradosso. Il contenuto universalistico della
ispirazione sapienziale sembra cozzare a prima vista con il contenuto concreto e
storico della ispirazione profetica. L'uomo universale, di fatto, coincide con
l'uomo concreto,col figlio di David, col servo di Jahveh. Questo rimane il mistero
fondamentale che ogni interpretazione dei salmi deve avere presente se
vogliamo conservare al Salterio una qualunque unità di contenuto. La vita
dell'uomo, il suo destino si identificano alla vocazione, alla missione, alla vita del
Re messianico, cui Dio ha promesso il dominio del mondo.
L'uomo è Cristo; il Salterio, che è la parola dell'uomo, è perciò la parola
del Cristo. Tutta l'umanità parla, in questi canti, attraverso la parola di Uno solo.

135
INDICE (reimpaginato)

INTRODUZIONE
L'unità del Salterio 1
Parola dell'uomo e parola di Dio, 1 - La parola d'Israele è la parola dell'uomo, 5 -
La progressione dell'insegnamento, 10 - La parola del Cristo, 12 - Che cosa
dicono i salmi, 17 - Il mistero della parola, 21 - La preghiera, parola efficace, 23
- Lotta cosmica tra Satana e Dio, 26 - La lotta, il giudizio, la lode, 30 - La
suddivisione del Salterio, 34 Inizio del cammino: l'esperienza universale del
peccato, 35.
IL PRIMO LIBRO DEI SALMI (salmi 1 - 41)
L’inizio. La notte 38
I primi due salmi del Salterio, 39 - Il rapporto dell'uomo con Dio, 43 - La
preghiera, atto di abbandono, 470 - I nemici. Dio è presente solo nella fede, 50 -
Nell'orante è il Cristo che prega, 52 - Il grido dell'orante diviene elegia, 53 -
L'obbedienza dell'orante, 58.
IL SECONDO LIBRO DEI SALMI (salmi 42 - 72)
La giovinezza. Il mattino 59
Il cammino dell'uomo, 59 - L'alleanza, 63 - La terra, 66 La sconfitta e la vittoria,
67 - La promessa del Regno, 75.
IL TERZO LIBRO DEI SALMI (salmi 73 - 89)
La maturità. Il meriggio 76
L'esperienza di Dio, 76 - Il ricordo della storia, 79 - Le promesse di Dio, 87.
IL QUARTO LIBRO DEI SALMI (salmi 90 - 106)
Il Regno di Dio 90
La divina Presenza, 90 - La visione del Regno di Jahveh, 93 - Dio regna assieme
all'uomo, 96.
IL QUINTO LIBRO DEI SALMI (salmi 107 - 150)
La lode dell'uomo e dell'universo 102
Il mistero dell'alleanza, 102 - Il Regno messianico, 103 - Dio si fa presente
nell'uomo, 104 - L'intimità personale con Dio, 106 - Il cammino dell'uomo, 111 -
I salmi della lode divina, 112 - La vita dell'universo non è che la lode a Dio, 114.
CONCLUSIONE
Il Salterio nella lingua parlata 117

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MEDITAZIONE SULL'ESODO 3" edizione pagg. 278 - L. 2.400
MEDITAZIONE SUL LIBRO DI GIONA pagg. 98 - L. 750
MEDITAZIONE SUL LIBRO DI SOFONIA pagg. 188 - L. 1.250
MEDITAZIONE SUL LIBRO DI TOBIA pagg. 158 - L. 1.100
MEDI T AZIONE SULLE LAMENTAZIONI pagg. 128 - L. 1.100

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