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LA 

VITA AL DI LÀ DEL VELO

IL  MINISTERO  DEL  CIELO
VOLUME  TERZO

MESSAGGI  DEGLI  SPIRITI  RICEVUTI
E  SCRITTI  DAL
REVERENDO  GEORGE  VALE  OWEN
(1860 ­ 1931)

Titolo originale: "The Life Beyond The Veil, The Ministry of Heaven"
Copyright © 2014
Pubblicato sul sito http://aldiladelvelo.wordpress.com/
in data 22/10/2014
Traduzione di: Eva Siviero e Michelangelo Costa
UN APPREZZAMENTO DI LORD NORTHCLIFFE

Non ho avuto l’opportunità di leggere interamente La Vita al di là del Velo, ma tra i brani che ho
studiato più attentamente ve ne sono molti di grande bellezza. Mi sembra di poter dire che la
personalità del Reverendo G. Vale Owen è un elemento di grande importanza e degno di
considerazione in relazione a questi straordinari documenti. Durante la breve intervista che mi
rilasciò ebbi l’impressione di trovarmi in presenza di un uomo sincero e convinto. Non avanzò
alcuna pretesa di possedere particolari doti psichiche. Espresse il desiderio di ricevere la minima
pubblicità possibile, e rifiutò gli ingenti proventi che poteva facilmente ottenere grazie all’enorme
interesse riscosso dai suoi scritti nel pubblico di tutto il mondo.
Lord Northcliffe.

Tratto dalle “Lettere di Helena Roerich” – Vol. 2:

“È davvero difficile immaginare la marea di libri che trattano della vita nel Mondo Sottile, e
inondano le librerie in Inghilterra e in America. In Inghilterra erano molto popolari i libri su questo
argomento scritti dal pastore G. Vale Owen, che furono dettati da alcuni spiriti. Io possiedo due o tre
volumi della serie di comunicazioni intitolata “La Vita al di là del Velo”, e devo dire che meritano
attenzione. Non c’è dubbio che furono impartiti sotto la supervisione della Fratellanza Bianca. I
Grandi Maestri usano molti metodi per risvegliare la coscienza dell’umanità. Ogni gruppo riceve,
secondo la sua coscienza, ciò che può assimilare e che gli è più vicino.”
Lettera n. 34 del 3 dicembre, 1937. – [N.d.T.]

2
INDICE

Prefazione………………………………………………………………………………… 5

Note di H.W.Engholm e G.V.Owen ……………………………………………………... 7

Introduzione………………………………………………………………………………. 8

08/09/17 – L’irrequietezza del mondo……………………………………………………. 11


06/11/17 – Un rifugio di pace nella Sesta Sfera………………………………………….. 12
08/11/17 – Acqua di Vita – Kathleen scrive su richiesta di altri…………………………. 13
10/11/17 – Gli angeli visitano la Terra…………………………………………………… 14
12/11/17 – Musica…………………………………………………………………………15
13/11/17 – L’ispirazione che viene dalle Sfere…………………………………………… 16
15/11/17 – Il Ciabattino…………………………………………………………………... 18
16/11/17 – L’importanza di Kathleen…………………………………………………….. 20
17/11/17 – Difficoltà di comunicazione …………………………………………………. 22
22/11/17 – Preparativi per la scrittura…..................................……………………………23
23/11/17 – Preparativi (continua) ……………………………………………………….. 24
27/11/17 – La costruzione di un Tempio nella Quinta Sfera……………………………... 26
28/11/17 – Il segno della Croce – Il suo effetto negli inferi……………………………… 28
29/11/17 – Il Tempio nella Quinta Sfera – Ostacoli nella comunicazione……………….. 31
30/11/17 – Il Tempio nella Quinta Sfera – Riparazione di una Torre difettosa………….. 32
03/12/17 – Metodi di comunicazione…………………………………………………….. 34
SACRAMENTI
04/12/17 – Il sacramento del corpo e del sangue di Cristo……………………………….. 35
05/12/17 – Il sacramento del matrimonio………………………………………………… 37
06/12/17 – Il sacramento della morte…………………………………………………….. 39
07/12/17 – La barriera di confine – Due giovani commilitoni: l’arrivo e l’incontro…….. 40
10/12/17 – L’arrivo di un sacerdote nella Seconda Sfera………………………………… 43
11/12/17 – La comunione fra la Terra e le Sfere – Una manifestazione del Cristo………. 45
12/12/17 – La discesa del Cristo nella materia…………………………………………… 48
14/12/17 – L’ascesa di Cristo – Il Regno del Figlio……………………………………… 50
17/12/17 – Il Tempio della Montagna Sacra – Il Veggente assegna una missione
al Leader e al suo gruppo……………………………………………………... 52
18/12/17 – Nella Quinta Sfera – La sala a forma di pera – Un canto sul Cosmo –
Un discorso del Leader……………………………………………………….. 54
19/12/17 – Il problema del Leader nella Quinta Sfera e la sua soluzione –
Una manifestazione del Cristo sofferente e glorificato………………………..56

3
20/12/17 – La Seconda Sfera – Le tre croci sul Calvario………………………………… 59
31/12/17 – Al Ponte – Nel Regno delle tenebre………………………………………….. 61
03/01/18 – L’ex giudice – Un piccolo Cristo della Quarta Sfera………………………… 63
04/01/18 – Nella tenebra più cupa – La Città della Blasfemia…………………………… 65
08/01/18 – La Città delle Miniere – Il Capitano della porta – Alle Miniere……………... 68
11/01/18 – Le Miniere……………………………………………………………………. 72
15/01/18 – Gli “spiriti in prigione” – Il Signore della Città delle Miniere……………….. 74
18/01/18 – L’uscita dalle Miniere – Il nuovo servizio del Capitano –
Il piccolo Cristo e il suo nuovo incarico……………………………………… 76
21/01/18 – Verso la Luce – Riguardo alle Miniere – Gli animali negli inferi –
Bene Supremo – Discorso di Kathleen……………………………………….. 78
25/01/18 – Ritorno alla Decima Sfera – Il Tempio della Montagna Sacra –
Il silenzio nelle Sfere superiori – Una visione del Cristo Regale…………….. 80
28/01/18 – Il diadema della devozione – Il progresso della gente di Barnabas………….. 83
01/02/18 – La Compagnia di Zabdiel – Sul futuro della gente di Barnabas………………86

4
PREFAZIONE

Tutti i messaggi contenuti in questo volume apparvero nel Weekly Dispatch durante il 1920, ma
per varie ragioni editoriali non venne rispettata la loro esatta successione. Queste trentanove
comunicazioni sono ora pubblicate in ordine consecutivo e nel modo in cui furono ricevute dal
Reverendo G. Vale Owen, a cominciare dal messaggio di Kathleen la sera dell’8 settembre, 1917.
Furono registrati tutti nella sagrestia di Ognissanti a Orford, dove il Rev. Vale Owen non mancava
di recarsi ogni sera fra le 17 e le 18.30.
Ho confrontato personalmente, parola per parola, le bozze di questo volume con i manoscritti
originali. In nessun caso è stata mai alterata una parola od omesso un passaggio. Il testo originale fu
scritto dal Vicario a matita nella maniera che ho descritto nel Primo e Secondo Volume della serie.
Il Rev. Owen nella sua nota a pag. 7 racconta come nel settembre del 1917 alcuni messaggi,
compitati sulla tavoletta che usava sua moglie, lo invitavano, dopo un’interruzione di tre anni e
nove mesi, a riprendere le sedute.
Ho avuto il privilegio di esaminare le registrazioni delle comunicazioni arrivate tramite la
tavoletta. Ho scoperto che di settimana in settimana, praticamente per un periodo complessivo di
oltre tre anni, il Vicario si era mantenuto in contatto, mediante questo sistema, con Kathleen e con
molti amici e membri della sua famiglia che si trovano al di là del Velo.
Da parecchie di queste registrazioni, si nota che durante il 1917 il Vicario ricevette varie
richieste da parte di Kathleen di riprendere la scrittura dei messaggi. Quindi, il 7 settembre 1917, ho
scoperto che il Rev. Owen aveva trascritto quanto segue:
“Kathleen vuole una risposta questa sera”.
(G.V.O.: “Benissimo, l’avrà stasera fra le 17 e le 18 – va bene in Sagrestia?”).
“Sì, è perfetto, ti ringrazio molto”.
Poi la sera successiva, e circa un’ora dopo la registrazione del primo messaggio di questo
volume datato 8 settembre a firma di Kathleen, il Rev. Owen si trovava seduto nella sala da pranzo
della Canonica, e mentre osservava sua moglie usare la tavoletta, fu compitato il seguente
messaggio: “Kathleen è qui. George ti dirà come siamo andati.”
(G.V.O.: “Come pensi che siamo andati, Kathleen?”)
“Molto bene per essere all’inizio”.
Dall’attento esame dei testi registrati con la tavoletta, che riempiono numerosi taccuini, osservai
diversi passaggi illuminanti che gettano gran luce sulle comunicazioni ricevute di volta in volta dal
Rav. Owen nella sagrestia. La realtà del contatto con le persone oltre il Velo risalta vividamente in
queste registrazioni.
Hanno qualcosa che le fa sembrare perfettamente naturali. Al tempo stesso, in queste
conversazioni, vi sono così tanti riferimenti all’inviolabile intimità del focolare domestico che
difficilmente ci si può aspettare che saranno rese pubbliche.
Per il Rev. Vale Owen l’autenticità dei messaggi del presente volume non è solo una questione
vitale, ma una realtà di fatto che per lui significa tutto. So che egli è fin troppo consapevole della
tremenda responsabilità che si addossa rendendo possibile la loro divulgazione nel mondo. Ma il
fatto di conoscere il Vicario di Orford permette una profonda immersione nel lato spirituale di
queste materie. Senza cercare alcun guadagno personale, egli ha considerato un dovere sacrosanto
per la sua fede associare il suo nome a questi messaggi, e conoscere “G.V.O.”, come lo conosco io,
significa avere la certezza che lo ha fatto in tutta umiltà. Egli ha lavorato con vero cameratismo
spirituale e assoluta fede in coloro che hanno ritenuto idoneo usarlo come loro strumento. Nessuna
vita potrebbe essere più semplice di quella che il Vicario e la sua famiglia conducono nella Casa
parrocchiale di Orford; e testimoniare il loro sforzo di vivere dei propri mezzi con lo stipendio
garantito dalla Chiesa, dovrebbe essere una risposta sufficiente a coloro che hanno prontamente
insinuato che la sua inevitabile popolarità gli avesse procurato ricchezza e benessere.
Quando leggo questi scritti, spesso mi viene in mente il 12° verso del Capitolo 16 del Vangelo di
Giovanni, in cui si legge: “Ancora molte cose ho da dirvi, ma non le potete portare per ora”. Questo

5
fu detto dal Fondatore della Cristianità quasi 2.000 anni fa. Da allora il genere umano ha progredito
in molte direzioni. Un attento osservatore dell’attuale stato di progresso mondiale noterà molti segni
di risveglio spirituale, di maggiore consapevolezza e di una migliore percezione delle verità più
profonde. Può darsi che adesso ci sia qualcuno fra noi che sia finalmente capace di accettare alcune
delle molte cose la cui rivelazione ci fu promessa non appena avessimo raggiunto il grado di
progresso spirituale necessario alla loro comprensione. Può darsi che questo volume contenga
qualche elemento in più di quelle “molte cose” destinate ad ampliare la nostra visione, a rafforzare
la fede e aiutarci a realizzare meglio le meraviglie che Dio ha in serbo per tutti quelli che lo amano.
H.W. ENGHOLM.
Londra, marzo, 1921.

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Note di H.W.E. sull’identità dei comunicatori
e di altri personaggi citati in questo Volume

Come è scritto nei messaggi del 16, 17, 22 e 23 novembre, queste comunicazioni sono
pervenute da un gruppo di persone guidato da colui che viene chiamato il Leader (vedi nota a piè di
pagina a pag. 25). In uno scritto successivo * è trapelato che il nome del Leader era Arnel, un nome
che egli usava solamente nelle comunicazioni effettuate senza la collaborazione del suo gruppo di
assistenti.
Kathleen agiva come intermediario fra il Rev. Vale Owen e i suoi comunicatori. La ragione di
questo è chiaramente spiegata nel messaggio del 16 novembre (pag. 20).
Nella vita terrena Kathleen era stata una sarta, vissuta a Liverpool e morta di tubercolosi all’età
di 28 anni, nel 1893. Questa informazione, assieme ad altri dettagli che la riguardano, venne fornita
al Rev. Owen e alla sua famiglia in diversi momenti fra il 1914 e il 1920, attraverso la tavoletta
usata dalla moglie del Vicario.
È bene spiegare che Ruby, di cui si parla alle pagine 22 e 25, è la figlia del Rev. Vale Owen.
Nacque a Fairfield, Liverpool, il 26 agosto 1895, e morì nello stesso luogo il 21 novembre 1896.
Secondo i messaggi registrati con la tavoletta dalla moglie del Vicario, quando la piccola Ruby
passò dall’altra parte venne assegnata alle cure materne di Kathleen; in seguito, sempre sotto la
tutela di Kathleen, la bambina fu condotta a visitare i suoi genitori quando usavano la tavoletta. Fu
in questo modo che Kathleen prese confidenza con la famiglia Vale Owen; ecco perchè il Leader e il
suo gruppo la scelsero come amanuense per comunicare i loro messaggi al Sig. Owen nella
sagrestia di Ognissanti a Orford.
L’accenno fatto a pag. 23 a “tua madre e il suo gruppo”, si riferisce alla madre del Rev. Owen,
che morì nel 1909 e trasmise i primi messaggi al Vicario durante i mesi di settembre e ottobre 1913.
Tali messaggi sono stati raccolti nel Primo Volume de La Vita al di là del Velo, intitolato “I Reami
Bassi del Cielo”.
Zabdiel, menzionato a pag. 23, 24, 25 e 26, è colui che dettò al Reverendo gli scritti pubblicati
nel Secondo Volume, “I Reami Alti del Cielo”.

Note di G.V.O.
Quando i messaggi di Zabdiel (contenuti nel Secondo Volume) terminarono, il 3 gennaio 1914,
sapevo che quella fase del lavoro era giunta al termine, e nulla mi fu detto di ulteriori
comunicazioni. Così lasciai andare la questione fino a settembre 1917 quando, attraverso i messaggi
che giungevano tramite la tavoletta adoperata da mia moglie, fui invitato a riprendere il lavoro. Fra
l’altro, sempre verso settembre 1917, avvertivo lo stesso impulso a scrivere che avevo sentito nel
1913, quando giunsero per la prima volta i messaggi di mia madre e di Astriel, ora raccolti nel
Primo Volume de La Vita al di là del Velo.

*
Incluso nel Quarto Volume intitolato “Le Schiere Celesti”.
7
INTRODUZIONE
di Sir Arthur Conan Doyle

La lunga battaglia sta per essere vinta. Il futuro non è univoco: a molti può riservare una battuta
d’arresto, ad altri una delusione, ma la fine è sicura. A coloro che erano in contatto con la verità è
sempre apparso chiaro che se un qualsiasi documento ispirato, contenente una nuova rivelazione,
potesse realmente giungere nelle mani del grande pubblico, allora certamente spazzerebbe via ogni
dubbio e ogni pregiudizio, in virtù della sua innata bellezza e saggezza. Oggi, proprio uno di questi
documenti* sta ricevendo un riconoscimento a livello mondiale e fra tutti quelli che potevano essere
scelti è il più puro, il più nobile, il più completo, ed eccelsa è la sua fonte. In verità, qui è presente la
mano del Signore!
La narrazione che abbiamo di fronte parla da sola. Non va giudicata meramente dall’esordio, per
quanto sublime si riveli, ma osservata nella bellezza che si disvela poco a poco nella narrativa, e in
un crescendo di meraviglie raggiunge livelli di splendore costante.
Non si cavilli sui dettagli, ma si valuti dall’impressione generale.
Non diventi un futile passatempo solo perchè è un argomento nuovo e insolito.
Si rammenti che non esiste opera sulla terra, neppure la più sacra di tutte, che non sia stata posta
in ridicolo a causa di certi passaggi estrapolati dal loro contesto, o per l’eccessivo risalto attribuito a
cose marginali. L’effetto complessivo sulla mente e sull’anima del lettore è il solo criterio atto a
giudicare la portata e la forza di questa rivelazione.
Per quale ragione Dio avrebbe dovuto sigillare le fonti di ispirazione duemila anni fa? Che
giustificazione abbiamo noi per sostenere una credenza così innaturale? Non è forse infinitamente
più ragionevole pensare che un Dio vivente continui a rivelare forza vivente, e che nuova
conoscenza e nuovo aiuto scaturiscano da Lui per sostenere l’evoluzione e far fronte all’accresciuto
potere di comprensione di una natura umana più ricettiva, e ora purificata dalla sofferenza?
Tutte queste meraviglie e portenti, questi straordinari avvenimenti degli ultimi settant’anni, così
evidenti e tristemente famosi, passati inosservati solo da chi aveva gli occhi bendati, sono futili di
per sè, ma sono diventati indizi capaci di destare l’attenzione della nostra mente materialista,
dirigendola verso quei messaggi di cui questo particolare scritto si può dire sia l’esempio più
completo.
Ce ne sono molti altri che presentano dettagli diversi a seconda della sfera descritta o del grado
di opacità del trasmettitore, il quale conferisce una sfumatura più o meno pronunciata alla luce nel
momento in cui essa lo attraversa. Soltanto con spirito puro si può ricevere un insegnamento
assolutamente puro, e tuttavia sarebbe meglio pensare che questo resoconto del Cielo debba essere
il più fedele possibile, per quanto le condizioni mortali lo permettano.
Sovverte le vecchie credenze religiose? Mille volte No. Anzi le espande, le chiarisce, dà loro
bellezza, riempie quegli spazi vuoti che ci hanno gettato nell’incertezza e nella confusione, e tranne
la ristrettezza dei pedanti della parola esatta che hanno perso il contatto con lo spirito, esso è
infinitamente rassicurante e illuminante.
Quanti passaggi sfuggenti delle antiche Scritture ora acquistano significato e forma visibile!
Forse cominciamo a comprendere quella “Casa con molte dimore” [San Giovanni 14: 2 – N.d.T.] e
a realizzare la “Dimora eterna, non costruita da mani di uomo” [Corinzi 2: 5,1 – N.d.T.] proprio
mentre riusciamo a cogliere un fugace bagliore di quella gloria ineffabile che la mente umana non
può concepire.
Tutto cessa di essere una lontana, elusiva visione e diventa reale, solido, sicuro, una luce chiara
dinanzi a noi che navighiamo nelle oscure acque del Tempo; essa aggiunge gioia più profonda alle
nostre ore di letizia e terge la lacrima di dolore giurandoci che non ci sono parole per esprimere la
felicità che ci attende, se solo siamo fedeli alla legge di Dio e seguiamo le nostre tendenze superiori.

*
Questo si riferisce all’intera serie di messaggi inclusi nei Volumi Primo, Secondo, Terzo e Quarto.
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Quelli che interpretano male le parole usate, diranno che il Sig. Vale Owen ha portato alla luce
tutto ciò traendolo dal suo subconscio. Possono allora spiegare, questi signori, come mai molti altri
hanno avuto le medesime esperienze, anche se di livello meno elevato? Io stesso ho compendiato in
due piccoli volumi la materia generale sull’aldilà, attingendo da numerosissime fonti. Il mio lavoro
fu svolto indipendentemente da quello del Sig. Owen, e allo stesso modo il suo resoconto non ha
avuto alcuna relazione col mio. Nessuno di noi ha potuto accedere al lavoro dell’altro. E tuttavia
dopo aver letto questo racconto, assai più grandioso e dettagliato, non trovo un solo punto rilevante
in disaccordo. Com’è possibile questa corrispondenza se lo schema generale non è basato su una
verità ispirata?
Il mondo ha bisogno di una forza motrice più potente. Il mondo prosegue la sua corsa sulla
spinta della vecchia ispirazione, come un treno che ha perduto la locomotiva. È necessario un nuovo
impulso. Se la religione fosse stata qualcosa di realmente influente e convincete, avrebbe avuto peso
nella questione più importate – ossia le relazioni fra gli stati, e l’ultima guerra non ci sarebbe stata.
Quale chiesa emerse, dunque, da quella prova suprema? Non appare chiaro che le cose dello spirito
hanno bisogno di essere riaffermate e riavvicinate alle cose della vita? Sta cominciando una nuova
era. Coloro che si sono battuti per essa possono essere scusati, se sentono un senso di deferente
soddisfazione vedendo le verità per cui hanno lottato e per cui si sono messi alla prova ottenendo
maggiore attenzione da parte del mondo. Non è un motivo di orgoglio, e ogni uomo e donna che ha
ricevuto l’onore di poter lavorare per una causa così nobile è ben consapevole che egli, o ella, è solo
un agente nelle mani di forze superiori e invisibili, ma reali e sagge. E tuttavia non saremmo umani
se non ci sentissimo sollevati nel vedere nuove fonti di forza e nel realizzare che la preziosa nave è
mantenuta più saldamente che mai lungo la sua rotta.
Sir Arthur Conan Doyle

9
CREAZIONE

Là dove lo spazio si protende verso l’infinito


stanno schiere di potenti Signori Angelici,
le cui solerti orecchie colgono il tono
dei sussurri che spirano dal Trono.
E con essi imbastiscono Luce e ombra in un ordito,
ed ecco, un Universo è creato.
Subito risuona una Voce, “Signori,
Ministri della Mia Onnipotenza, Create!”
Immobili, e tuttavia muovendo ogni cosa,
essi fan scendere i loro pensieri come pioggia dorata.
L’universo scuote, si agita,
e la Vita senziente comincia a pulsare.
Diverse e incantevoli, dal loro impulso animate,
miriadi di forme viventi emergono plasmate.
E su alberi, fiere e uccelli
essi infondono le loro qualità; mentre
Colui dal Quale tutte le cose hanno originato
trasforma in Uomo il composto forgiato.
Allora parla l’Eterna Sentinella:
“Ogni cosa creata, ben l’abbiam fatta.
Altro non serve. Che questi Miei figli
imparino a conoscere la loro origine divina,
assumano la dignità celeste che gli appartiene
e riconducano a Me la Creazione”.

Febbraio, 1921.

In seguito alla ricezione di una parte dello scritto contenuto in questo volume, ricevetti i versi
riportati sopra che dovevano essere considerati come la nota fondamentale del tema generale.
G.V.O.

10
L’IRREQUIETEZZA DEL MONDO

Sabato 8 settembre, 1917.


5.10-5.35 p.m.
Sto parlando attraverso la tua mente, dunque prendi nota dei pensieri che riesco a imprimerti e
giudicali dal risultato finale. In seguito forse saremo capaci di scrivere in modo diretto, senza che i
miei pensieri giungano a contatto coi tuoi. Cominciamo col dire che, benché molti siano in grado di
scrivere in tal modo, pochi tuttavia riescono a proseguire, perché i loro pensieri si scontrano coi
nostri e ne risulta un miscuglio che crea confusione. Ora, saresti sorpreso se ti dicessi che in
precedenza ero io a scrivere con la tua mano, e che l’ho fatto per molte volte? Ero io infatti che
accompagnavo tua madre e i suoi amici, e li aiutavo a trasmetterti quei messaggi che hai scritto
qualche anno fa, e così facendo mi sono anche esercitata per un nuovo lavoro di questo tipo, svolto
per altre persone. Questa sera cominciamo in modo molto semplice e, con la pratica, tu e io
progrediremo assieme.
Hai mai considerato la verità delle parole: “Tutte le cose cooperano al bene di coloro che amano
Dio”? È una verità che pochi realizzano nel suo pieno significato, avendone solo una visione
limitata. “Tutte le cose” include non solo le terrene, ma anche quelle dei reami spirituali, sebbene il
fine di “tutte le cose” resti a noi sconosciuto, essendo concepito in reami assai superiori ai nostri, il
cui punto d’origine è il Grande Trono di Dio Stesso. Tuttavia l’opera è vista chiaramente, anche se
in misura ridotta. La frase comprende gli angeli e i doveri che essi svolgono qui e sul piano terreno.
E benché l’esecuzione di quei comandi giunti da Esseri Superiori, che vigilano sull’economia
Divina, sembra spesso cozzare con le idee umane di giustizia, misericordia e bontà, ciononostante la
visione più vasta di chi è sopra, più vicino alla vetta della montagna, è giusta e limpida alla luce
dell’amore di Dio, e appare a loro, come a noi in misura minore, bellissima e magnifica nella sua
attuazione.
In questo momento il cuore degli uomini è sopraffatto dalla paura, e agli occhi della
maggioranza sembra che le cose non funzionino affatto come Dio le vorrebbe. Ma voi siete nella
valle, e le nebbie sono talmente cupe e fitte che vi è difficile vedere con chiarezza, e il sole può
penetrare le vostre regioni solo in misura ridotta.
Questa Grande Guerra è, nei concili eterni, nient’altro che il respiro di un gigante addormentato
in balìa di un sonno irrequieto, il cui cervello intorpidito viene colpito da raggi di luce che i suoi
occhi chiusi non possono vedere, così come è sordo alla musica che lo investe. Egli allora emette un
lamento d’inquietudine mentre resta disteso là nella valle – la Valle del Giudizio, se preferisci. Solo
lentamente si risveglierà e le nebbie si disperderanno, e apparirà il massacro orribilmente folle
consumatosi mentre dormiva; allora avrà il tempo di pensare e d’interrogarsi sulla notte trascorsa
con la sua follia, sulla bellezza di un mondo inondato da una luce che proviene da sopra la vetta
della montagna, e finalmente capirà che tutte le cose operano nell’amore, e che Dio è anche nostro
Padre e il Suo Nome è da sempre Amore, persino quando il Suo Volto era nascosto dalle fitte
nebbie, dai venti gelidi e dal miasma sceso come una coltre sul fondo della valle. Era un mantello
gettato per occultare tutto ciò che sapeva di morte nel mondo, e dopo la morte arriva la vita, e la vita
è tutta bella perché la Fonte e l’Origine della vita è Colui che è solo bellezza.
Perciò ricordati che le vie di Dio non corrispondono sempre a quelle che l’uomo vorrebbe
attribuirGli, e i Suoi pensieri non sono circoscritti da un recinto di colline, ma provengono da Reami
di Luce e Gioia; e là si trova la nostra via.
Per questa sera ci fermiamo qui. È un piccolo raggio di sole gettato sulla via di questo oscuro
momento per il bene di molte povere anime erranti.
Possa Dio tenere quel gigante in Sua custodia, e a tempo debito dargli il cuore di un bambino,
poiché di questi è il Regno di nostro Signore. Il gigante addormentato, cieco, sordo e inquieto è
l’Umanità che Egli venne a salvare. – Kathleen.

11
UN RIFUGIO DI PACE NELLA SESTA SFERA

Martedì 6 novembre, 1917.


5.20 p.m.
“Piantato presso la riva di un fiume”. Queste parole, se ci pensi, sembrano avere un doppio
significato. C’è ovviamente il significato più manifesto della pianta, o albero, che estrae la sua
fertilità dal corso d’acqua vicino al quale è stato piantato. Qui noi comprendiamo che ogni fatto
terreno ha un significato spirituale, un significato che è connaturato alle sfere celesti come quello
che la realtà più esterna trasmette a voi sulla terra. Non saprei dire se l’autore di quelle parole
avesse avuto qualche cognizione delle condizioni celesti a cui si adatta la sua frase. Ma è probabile
quantomeno che il suo Angelo Guida intendesse comunicare qualcosa di più che un mero fatto
terreno a coloro che hanno orecchie per intendere. Svilupperò questo tema secondo la mia alquanto
limitata conoscenza, con l’aiuto di coloro che hanno più saggezza di me nella scienza divina.
La riva a cui penso non è quella di un fiume, ma di un vastissimo lago che sulla terra sarebbe
considerato un mare chiuso, esteso a tal punto da formare un confine fra due grandi regioni della
Sesta Sfera. La costa marina è varia, in alcuni tratti rocciosa, persino ripida, in altri declina verso il
bordo dell’acqua con prati verdi e grandi giardini. Neppure io pensavo ci fossero così tanti alberi
quanti ce ne sono in un’intera foresta, che incorniciano le onde azzurro-oro del mare e si estendono
sulle colline e gli altopiani, contornando le scogliere con le loro rigogliose fronde. Presso la riva del
lago c’è un boschetto e nel boschetto una casa. È un luogo di riposo per i viaggiatori che, attraverso
il lago, vengono a questo rifugio di pace, alcuni molto affaticati per il lungo viaggio di terra e di
mare.
Alcuni arrivano per la prima volta nella Sesta Sfera, e vi sostano per acclimatarsi e adattarsi al
nuovo ambiente prima di proseguire nell’entroterra ed esplorare la loro nuova patria. Altri, già
cittadini di questa Sfera, escono in mare aperto per qualche missione nelle cerchie inferiori, certuni
procedono persino più giù, come ho fatto io, fino alla Terra. Quando rientrano, sovente ma non
sempre, si fermano nel rifugio per raccogliere le forze prima di presentarsi davanti al Signore
Angelico, o a uno dei Suoi delegati, e informarlo di come è andata la missione. Altri ancora,
semplicemente giungono qui per recuperare le forze, e avendo una missione urgente, non si
addentrano nella regione, ma s’immergono nella sfera inferiore attraversando il lago e scomparendo
nell’orizzonte meno luminoso di quel mondo, dove li attende un compito da portare a termine.
Di tanto in tanto, ma non così raramente, un visitatore delle Sfere superiori discende o sale dalla
terra o da qualche sfera intermedia, trascorre qualche tempo in questo Bosco della Quiete, e allieta
gli ospiti con lo splendore della sua persona. Sì, caro amico, noi qui sappiamo cos’è la Pace – ed
essa è uno dei piaceri più dolci, dopo aver compiuto qualche impresa rischiosa per il bene di chi
aveva bisogno del nostro aiuto. E là, proprio dove è giusto che sia, presso la riva del lago, al centro
di un frutteto, sorge la Casa dove vengono portati i raccolti delle molte semine realizzate in mondi
più lontani e cupi, per essere esaminati e classificati prima di offrirli al Signore Angelico. Molti
trofei, inoltre, conquistati per il Signore d’Amore a forza di colpi dati e ricevuti, forti e decisi,
vengono depositati qui per conforto e tenere cure – trofei di vita per cui il Cristo Stesso ha lottato e,
battendosi con coraggio, ha vinto.
Vedo che sei affaticato, amico mio. Man mano che faremo pratica riuscirò a usare la tua mano
più facilmente e con meno tensione. Accetta il mio amore e il mio ringraziamento, buona notte.

12
ACQUA DI VITA –
KATHLEEN SCRIVE SU RICHIESTA DI ALTRI

Giovedì 8 novembre, 1917.


5.15-6.0 p.m.
E ora, amico mio e compagno di viaggio, iniziamo a esplorare l’entroterra partendo dal Rifugio
di Pace e, strada facendo, scopriamo quali occasioni si presentano a coloro che si mettono in
viaggio. Entrambi siamo pellegrini, e percorriamo la stessa strada verso quello splendore che è
ancora lontano, oltre le alte montagne che segnano i confini fra questa sfera e la successiva.
Ci lasciamo alle spalle il territorio e i giardini della Casa, e imbocchiamo la strada che scende
verso la pianura accanto a un lungo filare di alberi; mentre proseguiamo notiamo che la strada non
procede diritta, ma segue il profilo della valle a fianco del fiume, che in tal guisa discende al mare.
Prima di continuare, lascia che ti illustri alcune qualità delle acque di questo fiume.
Hai letto dell’Acqua di Vita. Questa frase esprime una verità letterale, perché le acque delle
sfere celesti hanno proprietà che mancano a quelle della terra, e ogni acqua ha proprietà diverse. Le
acque di fiume, di fonte o di lago sono sovente trattate da spiriti elevati che le forniscono di virtù
tonificanti e chiarificanti. A volte le persone fanno il bagno e traggono forza corporale dalle
vibrazioni vitali impresse nell’acqua per opera di qualche gruppo di ministri angelici.
So di una fontana, situata in cima a un’alta torre, che quando viene azionata emette una serie di
intense armonie musicali. È usata al posto delle campane allo scopo di convocare la gente dei paesi
limitrofi ad assistere a certe cerimonie. I suoi getti si disperdono su un vasto raggio: cadono attorno
a giardini e case, e si propagano sulla pianura formando faville di luce variopinta. La natura delle
scintille è tale da trasmettere alle persone, vicino e sopra alle quali cadono, la percezione del tipo e
del proposito generale dell’incontro che avrà luogo; è una sorta di ardore che soffonde l’intero
essere e reca un tale senso di comunanza e amore universale da rendere il ricevente quanto mai
desideroso di mettersi in strada verso il raduno. Inoltre, per mezzo di questo metodo si diffonde
nella regione la cognizione di quando e dove avverrà l’incontro, e spesso si ottiene conoscenza del
Visitatore celestiale che parlerà all’assemblea o sbrigherà qualche incarico, come delegato del
Signore della sua Sfera.
La proprietà principale delle acque del fiume, di cui ora risaliamo le rive, è quella della pace.
Tutte le qualità delle sue acque infondono pace a chi passeggia accanto al suo corso, in un modo che
va ben oltre la comprensione terrena. I colori e le tinte, il mormorio della corrente, le piante che
fertilizza, la forma e l’aspetto dei suoi sassi e degli argini – tutto questo, in misura assai intensa,
ispira pace all’anima bisognosa. E sono molti che cercano la quiete fra coloro che tornano dalle
sfere inferiori attraverso il grande lago, poiché talvolta è davvero estenuante la vita che
conduciamo, amico mio, e non è affatto quell’esistenza terribilmente monotona che si figurano tanti
abitanti della terra. Così a volte occorre deporre il fardello e, per le future missioni, riacquistare
quella calma e solida quiete dello spirito tanto necessaria per l’adeguato svolgimento del lavoro
assegnatoci.
Inoltre devi capire che ogni cosa qui è permeata di una personalità. Ogni foresta, ogni bosco,
albero, lago, ruscello, prato, fiore, casa, è dotato di una personalità intrinseca. Non è una persona in
quanto tale, ma la sua esistenza e tutti i suoi attributi e qualità, dipendono dalla volontà sostenuta e
ininterrotta di certi esseri viventi. È proprio la loro personalità che viene avvertita quando si entra in
contatto con ciascuna di quelle cose, e ciò in misura proporzionale alla sensibilità di ognuno verso
la peculiare inclinazione di quella personalità. Alcuni, ad esempio, sono più sensibili alle creature
attive negli alberi; altri a quelle del fiume. Ma tutti sembrano percepire le qualità di un edificio,
specialmente quando vi entrano, dato che questi sono costruiti solitamente da spiriti più affini al
loro stato, mentre la maggior parte di ciò che potremmo chiamare spiriti della natura hanno uno
stato, un’esistenza e mansioni assai diverse e più lontane dal mondo degli uomini.

13
Ora, ciò che vale in questi Reami si scopre solitamente essere vero anche nella sfera terrena,
benché l’uomo comune lo percepisca con un minore grado d’intensità, a causa della sua profonda
immersione nella materia nell’attuale ciclo di evoluzione. È solo meno evidente, non meno vero.
Vedo che da qualche minuto nella tua mente si è formata una domanda. Chiedi pure, proverò a
risponderti.
Stavo pensando che tutto questo è molto remoto dai pensieri che di solito occupano la mente di
una signora. Hai detto che eri tu a scrivere con la mia mano, Kathleen. Sei sempre tu a scrivere
questo?
Sì, mio curioso amico, sono io che scrivo. Non avrai mica creduto che io avessi immaginato per
un solo minuto che ti avrebbe soddisfatto il mio discorso insulso, o lo hai pensato? Comunque mi
attrezzerò contro il ripetersi di un tale fiasco, portando con me qualche amico che mi userà come io
sto usando te. Non sono tutti uomini, ci sono anche donne, e lavorano all’unisono come una sola
voce, un solo messaggero, in modo che le parole che io scrivo siano una fusione di varie menti; fra
l’altro ci siamo amalgamati abbastanza bene, visto che siamo riusciti a controllare meglio la tua
irrequietezza. Aiutaci a tal proposito e noi pure faremo il massimo da questa parte.
E ora buona notte, con la pratica faremo maggiori progressi.

GLI ANGELI VISITANO LA TERRA

Sabato 10 novembre, 1917.


5.15-5.55 p.m.
“Partecipanti dell’appello celeste” – tali siamo, tu e io, caro amico, e mentre io ispiro te, a mia
volta sono ispirata da quelli a me superiori, ed essi da altri di grado ancora più elevato, finchè la
catena dei comunicatori trova la sua fonte in Colui che fu ispirato da Dio Padre e mandato in
missione sulla vostra povera e offuscata sfera molto tempo fa. Sta proprio in questo “appello” da
parte di esseri superiori, nella loro forza e facoltà di impartire tale forza a chi ha rango e potere
minori, che noi traiamo una fiducia incrollabile.
Ti assicuro che non è tanto piacevole ricevere il comando: “Esci da questo luogo e vai in basso”.
Procedendo verso la terra, la luce del nostro ambiente e della nostra persona diminuisce
gradualmente, e quando siamo nelle vicinanze della terra riusciamo a stento a vedere attorno a noi.
In un primo momento è così, ma dopo poco i nostri occhi si abituano alle impressioni delle
vibrazioni più grossolane, e allora siamo capaci di vedere. Questo diventa più facile con la pratica.
Tuttavia quel comando è una benedizione solo in quanto ci consente di svolgere il nostro lavoro in
mezzo a voi, e non tanto perché sia desiderabile in sé. Gli scenari che vediamo generalmente non ci
danno gioia, ma solo molto strazio da portare con noi nelle nostre luminose dimore. I luoghi come
quello che ti ho descritto, situato presso la riva del lago, oltre ad essere utili e gradevoli, sono
assolutamente necessari per il nostro lavoro. Altra funzione di questi Rifugi di Pace è conservare e
trasmettere, in base alle esigenze, correnti di potere vitale dalle Sfere superiori. Quando siamo
richiesti, ripartiamo in direzione della terra, permeati da questo flusso di forza vitale. Man mano che
ci avviciniamo alla terra, l’effetto di tale flusso non è così evidente ai nostri sensi. Tuttavia ci
circonda, ci bagna, penetra il nostro essere, e ci sostiene come il tubo dell’aria sostiene il palombaro
sul fondale marino, dove la luce della libera e spaziosa atmosfera sovrastante arriva fioca, ed egli si
muove faticosamente a causa dell’elemento più denso. Lo stesso vale per noi, e quando ci riesce
difficile raggiungere il tuo orecchio, o commettiamo errori nella formulazione o persino nel
contenuto del messaggio, allora sii paziente e non pensare che ciò sia dovuto alla presenza di
qualche impostore. E se pensi, amico mio, come sarebbe difficile per un palombaro parlare
udibilmente a un altro, essendo entrambi muniti di elmo e immersi nell’acqua, allora puoi capire
quanta tolleranza e impegno risoluto siano necessari da parte nostra, e forse ci presterai ascolto più
prontamente e con maggiore pazienza.
Ma dopo aver svolto il nostro lavoro quaggiù, volgiamo lo sguardo verso i cieli divini più
elevati, e sentiamo subito la corrente di vita che scorre dal lontano Rifugio di Pace e Ristoro. Allora
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riceviamo di nuovo la corrente purificatrice, che colpisce le nostre stanche fronti donandoci
refrigerio; e i nostri gioielli, la cui luce, come le lampade delle vergini, era divenuta fioca,
riprendono di nuovo la loro lucentezza man mano che ascendiamo al cielo.
Il nostro abito risplende di una tinta più accesa, i capelli si fanno più lucidi e gli occhi sono
meno stanchi e spenti, ma forse, meglio di ogni altra cosa, le nostre orecchie odono, con crescente
chiarezza, la melodia dell’Appello che ci invita a tornare dal campo della mietitura alla Casa del
Raccolto con qualunque covone abbiamo mietuto, purchè sia maturo per il Granaio del Signore.
Ora, amico, non ti trattengo oltre; so che hai altri impegni da portare a termine e che non puoi
rimandare.
Aggiungo solo questo: i tuoi vecchi dubbi si sono frapposti un’altra volta fra te e noi, che ti
ispiriamo. Sappi tuttavia che questo messaggio non è di tua creazione.
Come posso saperlo?
Solo con la pazienza che renderà sicuro il progresso e accrescerà la tua convinzione. Buona
notte, amico, la Pace sia con te. Da parte di Kathleen e di quelli per cui lavora.

MUSICA

Lunedì 12 novembre, 1917.


5.25-6.10 p.m.
Kathleen, l’organista che sta suonando ti è forse di ostacolo?
Tutt’altro, anzi sarà di aiuto, e forse a tal proposito potrei spendere qualche parola sulla musica
delle Sfere. La nostra musica è di natura simile a quella terrena.
Però – e qui c’è un grande “però” – la vostra musica non è che un effusione che trabocca dalla
riserva di musica celeste. Voi ricevete bagliori della nostra gloriosa armonia straripante. E quando vi
raggiungono sono attenuati a causa del denso velo attraverso cui tutto deve passare, persino se si
tratta dei migliori capolavori della terra.
Ascolta, amico mio, mentre cerco di spiegarti in che modo ricevete la musica da queste sfere, e
allora sarai in grado di dare libero corso alla tua immaginazione senza imporle alcuna restrizione,
perché la tua fantasia non sarà mai esagerata.
L’occhio non ha visto, l’orecchio non ha udito – né orecchio terreno poté udire – l’armonia
celeste, il suo palpito, i crescendi e diminuendi, e la solida consonanza con la sua profonda nota
fondamentale: la gloria.
In verità, mentre si è nel corpo materiale, con il cervello fisico che funge da ricevitore e
interprete, essa non può penetrare nel cuore dell’uomo perché concepisca, e tanto meno riproduca,
qualunque immagine degna della soave bellezza della nostra armonia.
Quale musica abbia plasmato le Sfere, noi, su questi livelli inferiori, non siamo in grado di dirlo,
così come voi sulla terra non siete idonei a valutare la nostra. Tutto ciò che sappiamo, o crediamo di
sapere – perché ad ogni modo supera la nostra conoscenza – è che l’armonia musicale origina nel
Cuore di Dio – non tanto nella Mente di Dio quanto nel Suo grande Cuore. Da Esso sgorgano le arie
d’amore della Sua melodia, e le sfere intonate alla Sua musica ricevono quelle armonie divine che,
con altri influssi combinati, raggiungono una sintonia sempre migliore con Colui che è la Fonte di
tutto il Bello e l’Amabile.
Così, mentre trascorrono le eternità, gli abitanti di quelle Sfere lontane assorbono un numero
sempre maggiore di formidabili e sublimi attributi, e ciascuno assimila in misura crescente la
Divinità.
Tuttavia è un processo immensamente più grande di noi per poterne parlare in modo adeguato.
Il nostro lavoro con te, in questa occasione, è di raccontarti come meglio possiamo, con poche e
chiare parole, qualcosa di ciò che osserviamo quando tale flusso discende su noi e scorre oltre, in
continua espansione, man mano che ciascuna molecola di suono si dilata e spinge avanti le sue
compagne, fino al momento in cui la corrente, trapassando il vostro confine, diventa di qualità più
grossolana e scadente, perciò adatta alle vibrazioni quasi tangibili presenti nella vostra sfera.
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Questo flusso dall’alto trova da noi un ricettacolo, e molto più di questo. Esso viene usato come
deposito, e la musica è modellata in arie e melodie, e ridiretta come una piccola ma intensa corrente
verso la terra. Immediatamente comincia a espandersi come ti ho detto, e ciò che ricevete non è
l’essenza suprema ma l’espansione attenuata della creazione originale. È come un piccolo fascio di
luce che, attraverso la fessura di una persiana chiusa, entra in una stanza buia. Ma quando il raggio
luminoso raggiunge la parete opposta è più rarefatto e saturo di quel pulviscolo danzante che tende
a coprire la lucentezza con cui entra dalla fessura.
Eppure, persino così, la vostra musica è deliziosa ed esaltante. Pensa allora come dev’essere,
amico mio, la musica delle nostre Sfere! Ci rapisce, ci eleva con piacere e passione, e ciascuno
accumula energia per effonderla nuovamente, interpretata e modellata dalla sua personalità a
beneficio di coloro che sono meno progrediti. E quelli di noi che possiedono un’attitudine speciale
ne attenuano la potenza e la finezza, in modo che non sia troppo sottile per essere compresa dalle
anime nobili della terra che catturano, e in qualche misura trattengono, le armonie mandate loro dal
supremo Maestro di Musica.
Vorrei poter continuare la nostra esposizione, ma non riesci più a ricevere correttamente. Allora
diremo in breve che la pura e grandiosa verità resta tale sia in questa che in altre questioni, a
cominciare dal Padre in ordine decrescente fino ad arrivare al più umile degli uomini, perché
“Come il Padre ha vita in Se Stesso, così ha dato al Figlio di avere la vita in Se Stesso” [Vangelo di
Giovanni, 5:26 – N.d.T.] – non solo la vita, ma la vita in tutti i suoi aspetti – e la musica è uno di
questi.
Come il Figlio che dalla riserva del Suo Essere dispensa la vita ricevuta, dandola come fosse
Sua, lo stesso fanno i Suoi servitori in misura minore, secondo le loro capacità – e non s’intende
solo la vita per come i genitori la danno al figlio, ma amore, bellezza, pensieri elevati e melodie
celestiali.
Hai il mio amore, amico mio. Sono Kathleen, e ti scrivo da parte di quelli che si avvalgono di
me per mandarti i loro pensieri, essendo io più vicina a te di quanto lo siano loro.

L’ISPIRAZIONE CHE VIENE DALLE SFERE

Martedì 13 novembre, 1917.


5.25-6.20 p.m.
Ti abbiamo parlato, amico mio, del flusso vitale d’amore del Padre, dell’acqua e dei suoi usi, e
anche della musica. Stasera diremo qualche parola sulla coordinazione delle forze volta a un
determinato scopo, stabilito da coloro che in questi mondi inferiori hanno il dovere e la
responsabilità di eseguire i comandi decretati dai cieli superiori. Sappiate dunque, voi che dimorate
nella più esterna di queste sfere, che i doveri a voi assegnati sono stati elaborati tutti, secondo la
classe e il fine a cui tendono, da coloro che dimorano nei reami molto sopra di voi. Questi
programmi di assegnazione del servizio sono trasmessi in basso fino a raggiungervi, e sono resi noti
a volte in un modo, a volte in un altro, a uno in maniera più chiara e a un altro, meno vigile, non
così chiaramente. Ciò nonostante, chi cammina sulla terra può aprire il libro della vita se vuole, e
continuare a perseverare nel desiderio che gli venga concessa luce per vedere come sarà la sua vita
e verso quale fine viene guidato.
Ma a pochi è dato conoscere o intravedere il futuro che attende lontano. “A ciascun giorno basta
la sua pena”, è la regola, come Egli disse una volta, e questo serve a far sì che la vostra fiducia sia
salda e stabile per tutto il tempo. Non perché il futuro sia inaccessibile, ma perché esso è aperto
unicamente a chi possiede elevate capacità e il diritto di scrutare il grandioso proposito celato nel
lontano corso della vita; la nostra capacità è appena sufficiente a darci una visione di corto raggio, e
quella dell’uomo comune è scarsa per qualsiasi visione del futuro. Poiché tali propositi discendono
attraverso molte sfere, ne consegue che siano colorati del carattere dominante di ciascuna delle sfere
da cui filtrano in basso e, quando raggiungono il livello terreno, hanno assunto un disegno la cui
natura è così complessa che la formulazione originale è difficilissima da decifrare, e sovente lo è
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persino per noi, che abbiamo maturato un po’ di esperienza in materia. Questo è uno degli scopi e
delle funzioni della fede: riuscire a comprendere il proprio dovere e null’altro, e una volta compreso
procedere e agire con coraggio, nella ferma convinzione che la meta finale è vista da coloro che
concepirono il piano nella sua interezza. Se coloro che sono gli strumenti per lo sviluppo di tale
progetto dimostrano fedeltà e solerzia, quelli che lo idearono hanno il potere di raggiungere lo
scopo. Non c’è altro modo, perché ogni uomo è libero di scegliere, e non vi è prevaricazione sulla
volontà dell’uomo quando è in gioco la sua facoltà di scelta. Se sceglie di andare avanti con lealtà e
fiducia, il raggiungimento della meta è assicurato. Se sceglie di uscire dal sentiero designato, non
viene abbandonato né costretto. Gli viene offerta una guida leggera. Ma se la rifiuta, è lasciato
andare da solo – sebbene non resti solo, ma avrà altri compagni, e in gran quantità.
Ti facciamo un esempio per illustrati cosa intendiamo. Verrà progettato un libro di cui si vede la
necessità. Diciamo che a tracciarne lo schema saranno gli abitanti di una sfera la cui nota dominante
è quella della scienza. Poi il libro sarà trasferito a un’altra sfera la cui nota fondamentale è l’amore.
Qui lo schema assumerà un carattere più dolce e smussato, e sarà passato ulteriormente di mano.
Una sfera in cui domina la bellezza aggiungerà qualche illustrazione che darà armonia e colore al
tema. Poi arriverà alla compagnia che studia i differenti tratti dominanti nelle razze umane. Questi
valuteranno molto attentamente il tema scelto, e cercheranno la nazione più adatta a divulgare tale
progetto nel mondo. Deciso questo, selezioneranno attentamente la sfera successiva a cui affidare il
compito. Potrebbe servire un’infusione di metodo storico, una vena poetica, o fantasiosa. E ciò che
nacque come una intelaiatura di meri fatti scientifici potrà sfociare sul piano terreno come un
trattato di scienza, un compendio di storia, un romanzo o persino un poema o un inno.
Leggi alcuni degli inni più famosi alla luce di quanto abbiamo detto e avrai un barlume, anche
se debole, di ciò che intendiamo. “Dio opera in modo misterioso”, potrebbe essere riscritto come
un’interpretazione scientifica di filosofia cosmica o persino come articolo di scienza. Lo stesso si
può dire per “Esiste un libro, chi si affretta può leggerlo”. L’inno “O Dio, nostro soccorso in età
remote” può costituire la base per uno studio molto istruttivo sulla Divina Provvidenza considerata
dal punto di vista storico, e molto probabilmente nella sua prima stesura fu concepito seguendo
quelle linee in qualche elevata sfera la cui nota si intona con tale impostazione. Avrai ben capito che
tali progetti non nascono tutti in una sola sfera, ma in molte, e non tutti passano da una sfera
all’altra in ordine identico. Inoltre, ciò che può nascere come un libro può, prima di giungere a voi,
essere stato così trasfigurato da diventare un atto del Parlamento, un’opera teatrale, o persino
un’impresa commerciale. Metodi e mezzi non hanno alcun carattere predefinito. Qualunque cosa
alla fine sembra affidarsi a schiere di compagnie impegnate a elaborare un progetto al servizio di
Dio e nell’interesse dell’uomo che è spronato a servire. Perciò l’opera che gli uomini sviluppano è
concepita da coloro che li osservano e li guidano dall’alto. Che sappiano dunque quale grande
esercito di aiutanti hanno alle spalle! E procedano con coraggio, senza dubitare, senza mai esitare
sul cammino, poiché non sono soli.
*****
A questi pensieri che ti ho trasmesso, caro amico, vorrei aggiungerne alcuni dei miei di minore
importanza. Kathleen.
Quanto è stato detto da coloro che hanno conoscenza superiore alla mia, riguarda gli uomini che
sono impegnati in attività di vario tipo nel mondo. Ma so che le loro parole sono applicabili anche
al tuo caso, poiché il lavoro di ognuno non è lasciato senza guida o supporto da parte di questi
splendidi reami. Accetta questo mio piccolo dono come saluto, amico mio. È piccolo, ma
confidenziale, Kathleen.

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IL CIABATTINO

Giovedì 15 novembre, 1917.


5.15-6.30 p.m.
Ai tempi in cui eravamo sulla terra, gli uomini erano soliti dire che colui che nella vita sceglieva
la retta via avrebbe subito penato, ma in seguito trionfato. Alcuni di noi comunque lo hanno
sperimentato e hanno capito che è un detto non privo di saggezza. Chi sceglie di agire così non
guarda al breve periodo, ma ha lo sguardo sull’eternità infinita. Da queste sfere ora ci guardiamo
indietro e, vedendo il nostro tragitto, di scorcio e appiattito, come fosse un dipinto, riusciamo a
osservare meglio i punti salienti disegnati sulla tela, e forgiamo il percorso futuro in armonia con la
lezione che possiamo leggervi sopra.
Com’è differente quel quadro, illuminato ora dalla bianca luce del Cielo, da ciò che appariva
quando eravamo intenti a crearlo e a raccogliere i materiali per comporre l’opera! Voi che oggi siete
impegnati a realizzarla, non siate troppo negligenti nel valutare i diversi elementi della vita e della
condotta umana. Ora noi vediamo che le grandi imprese a cui prendemmo parte erano grandi
soprattutto perché le guardavamo nella loro interezza. Ma la parte che ci fu affidata individualmente
era marginale, e solo il movente contava per noi, non il ruolo che vi sostenemmo. Questo perché
ogni grande impresa, allargando la sua influenza su tutti coloro che sono destinati a prendervi parte,
arriva a diradarsi a tal punto che a ciascun attore resta solo una piccola parte da recitare. Quello che
conta è la continua vitalità del movente con cui ognuno sostiene il suo ruolo. L’intero vantaggio è
per l’umanità. L’individuo riceve la sua quota di beneficio, ma ogni quota non può essere che esigua
mentre, se il suo movente è nobile, non gli importa che il mondo riconosca le sue gesta. E una volta
giunto qui gli viene assegnato il compito per cui si è reso idoneo nella battaglia della vita terrena.
Mi sembra un po’ complicato. Potreste spiegarmelo meglio con un esempio?
Potremmo fartene molti, amico. Eccone uno.
Come direste voi, molti anni fa giunse da noi un ciabattino. Nella vita terrena aveva guadagnato
quel tanto che bastava a saldare i suoi debiti e non gli rimase nulla dopo che le spese del suo
funerale furono pagate. Fu ricevuto sobriamente da un drappello di amici, e fu davvero contento che
si fossero ricordati di lui al punto da venire sulla terra a indicargli la via verso la sfera a cui era
destinato. Era una sfera vicina alla terra, non elevata, ma lui era molto felice. Vi trovò una grande
pace dopo tanta fatica e duro lavoro, e dopo aver lottato continuamente contro la povertà. Ora aveva
il tempo di godersi gli svariati e straordinari paesaggi di quel mondo. Per lui era davvero il
Paradiso: tutte le persone erano gentili, ed era felicissimo in loro compagnia.
Un giorno, per usare un’espressione terrena, un Signore di una sfera superiore apparve davanti
alla soglia della sua casa ed entrò. Trovò il ciabattino intento a leggere a voce alta un libro che
aveva trovato in quella casa quando vi fu accompagnato e gli fu detto che era la sua abitazione. Il
Signore Angelico lo chiamò col suo nome terreno – non ricordo quale – e il calzolaio si girò.
“Cosa leggi, amico mio?”, chiese l’Angelo.
L’uomo rispose: “Nulla che possa riguardare me, signore. In realtà riesco a malapena a
comprenderlo; indubbiamente non è stato scritto per la gente di questa sfera, ma di una molto
superiore”.
“Di cosa parla?”, chiese ancora l’Angelo, e l’altro replicò:
“Parla di imprese e ranghi elevati, signore, dell’ordinamento di grandi compagnie di uomini e
donne nelle sfere sopra alla nostra, tutti al servizio dell’Unico Padre. Capisco che una volta queste
persone appartenevano a nazioni e religioni diverse, come sembra mostrare il loro modo di parlare.
Ma agli occhi dell’autore, essi non appaiono diversi fra loro, in quanto sono riusciti, mediante un
lungo addestramento e molto progresso, a fondersi in una comunità di fratelli, e non esistono più
distinzioni che li separano, né nell’affetto reciproco, né nella giusta comprensione. Sono giunti
all’unità di proposito, di servizio e desiderio. Ecco perché ritengo che la vita qui descritta non si
riferisca a questa sfera, ma a una molto superiore. Il libro, inoltre, contiene istruzioni non tanto per
quella luminosa compagnia, ma è piuttosto una guida per i loro leader, poiché tratta dell’arte del
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governo e dell’alto comando, e della saggezza richiesta a coloro che dirigono. Per questa ragione,
signore, non mi riguarda attualmente, ma potrebbe interessarmi in qualche epoca lontana. Come il
libro sia giunto qui non saprei dirlo”.
Allora il Signore Angelico prese il libro, lo chiuse e lo riconsegnò al ciabattino in silenzio, e
mentre questi lo prendeva dalla mano dell’Angelo, il suo viso arrossì con grande imbarazzo perché,
sfavillanti sulla copertina, vi erano gemme bianche e rubini composti in modo da rievocare il suo
nome in lettere di fuoco e luce.
“Non l’avevo visto, Signore”, disse. “Non ho mai visto il mio nome scritto lì sopra finora”.
“Eppure è il tuo, come vedi”, disse l’Angelo, “ed è per la tua istruzione. Sappi, amico mio, che
questa sfera è solo un luogo di riposo per te. Ora che ti sei ripreso devi cominciare il tuo lavoro che
non è qui, ma nella sfera superiore di cui parla il libro e in cui fu scritto”.
Il ciabattino cominciò a balbettare qualcosa, era intimorito, arretrò e chinò la testa davanti alle
parole dell’Angelo. Riuscì a dire solo questo: “Io sono un calzolaio, signore; non un condottiero di
uomini. E sono felice dell’umile posto riservatomi in questa casa luminosa, che per uno come me è
un vero e proprio Paradiso”.
Ma l’Angelo replicò: “Solo per quello che dici meriteresti di avanzare. Devi sapere che la vera
umiltà è una delle corazze e protezioni più sicure di chi occupa i posti alti del comando. Ma tu
possiedi altre armi oltre allo scudo dell’umiltà, che ti protegge in modo passivo. Nella vita terrena
hai temprato e affilato anche le armi della lotta. Quando facevi gli stivali, ti preoccupavi di renderli
resistenti all’usura del tempo, così da non pesare troppo sul portafoglio del cliente povero. Pensavi
più a questo che al denaro che avresti incassato. Di questo ne hai fatto una regola; quella regola ti
fece maturare e divenne parte del tuo carattere. E tale virtù non è considerata alla leggera qui.
“Inoltre, benché fossi in difficoltà nel saldare i tuoi debiti, di tanto in tanto hai prestato un’ora
del tuo tempo libero per aiutare qualche amico a mietere il raccolto, a seminare il suo pezzo di terra,
a coprire di paglia il tetto o il pagliaio, e hai vegliato anche qualche malato al suo capezzale. Dopo
aver speso così il tuo tempo ti riposavi al lume di candela, perché eri povero. Anche ciò fu notato da
questa parte a causa del crescente splendore della tua anima; sappi infatti che noi possiamo vedere il
mondo degli uomini dalla nostra posizione di vantaggio, dove la luce delle sfere, proveniente da
dietro sfiora le nostre spalle, colpisce gli abitanti della terra ed è riflessa indietro dalle virtù presenti
negli uomini, mentre non trova alcun riflettore nei loro vizi. Così l’anima di chi vive rettamente è
illuminata, ma l’ombra e l’oscurità rivelano l’anima di chi vive indegnamente.
“Potrei dirti altro delle tue azioni e del loro significato. Ma questo è sufficiente per il momento.
Adesso ti annuncio il mio messaggio. Nel mondo di cui parla il libro, ti attende un gruppo di
persone. Sono state addestrate e preparate. La loro missione è visitare di tanto in tanto una sfera
vicina alla terra per ricevere da un altro gruppo, designato a tale incarico, gli spiriti recentemente
trapassati. Il compito della tua compagnia è studiare i nuovi venuti, assegnare a ciascuno il suo
giusto posto, e inviarli presso il gruppo di servitori che li attendono per addestrarli. Essi sono pronti
a cominciare in qualsiasi momento, stanno solo aspettando il loro leader. Vieni, buon amico, ti
mostrerò la via che conduce a loro”.
Allora il calzolaio s’inginocchiò, pose la fronte sui piedi dell’Angelo e, piangendo, disse:
“Signore, se solo fossi degno di questo grande servizio. Ma, purtroppo, non lo sono. Neppure
conosco questa gente, non so se sarebbero disposti a seguirmi”.
Il Signore Angelico rispose: “Il messaggio viene da Colui che non commette errori nella scelta
delle persone. Vieni con me, non troverai una comitiva di sconosciuti. Sappi che sovente, quando il
tuo corpo stanco dormiva, eri condotto in quella sfera, ed era così anche nella tua vita terrena. Là
venivi addestrato, e imparasti prima a obbedire poi a comandare. Li riconoscerai quando li vedrai, e
loro conoscono molto bene te. Egli sarà la tua forza, e tu procederai coraggiosamente”.
Allora fu condotto fuori casa, in fondo alla strada, oltre il passo di montagna. Man mano che
avanzava il suo abito si faceva più luminoso e raffinato nella trama, il suo corpo acquistava statura e
lucentezza, e salendo passo dopo passo il calzolaio era lasciato alle spalle, mentre il Principe Leader
emergeva.

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Dopo un lungo viaggio, assai piacevole, ma prolungato in modo che il cambiamento potesse
avvenire quanto più dolcemente possibile, giunsero davanti alla compagnia in attesa. Li riconobbe
tutti, e loro si fecero avanti mettendosi di fronte a lui: allora seppe che poteva guidarli con
sicurezza, vedendo i loro occhi traboccanti di luce amorevole.

L’IMPORTANZA DI KATHLEEN

Venerdì 16 novembre, 1917.


5.14-6.16 p.m.
Molto di quanto ti diciamo appare senz’altro strano alle tue orecchie, perché tu non hai mai
udito o visto ciò che noi abbiamo il privilegio di udire e vedere. Ma se qualcosa ti lascia perplesso,
stai pur certo di una cosa: quelle nubi fosche che ora sperimenti, anche noi le incontrammo un
tempo prima di te. Perciò conosciamo le tue difficoltà e i dubbi, e non ci meravigliamo per la tua
frequente esitazione. Ciononostante, annota i pensieri che entrano nella tua mente; in seguito leggili
con distacco e forse riconoscerai il risultato complessivo come degno dello sforzo compiuto, anche
se manca di perfezione, sia nel corpo che nell’abito. Il corpo è assai più importante dei suoi abiti,
ricordalo, ed entrambi racchiudono l’anima. Studia ciò che la nostra conversazione racchiude,
poiché se le nostre parole hanno qualche valore, è là che può essere trovato.
Il tuo modo di parlare è un po’ antiquato. Suppongo che lo trovi più facile dell’inglese corrente.
Non è così? Spesso sto per scrivere una frase in forma più moderna, e immediatamente qualche
espressione curiosa sembra venirmi in mente e premere per uscire.
Non ti sei sbagliato di molto, amico mio. In effetti troviamo più semplice pescare dalla nostra
mente i vecchi modi di usare e comporre le parole. Ma se vuoi, ci sforzeremo di adoperare il
linguaggio più moderno che troviamo nel tuo cervello. Proveremo a farlo se lo desideri.
Niente affatto. Ho semplicemente segnalato questo caso perché non rientra nella normale
prassi. Per esempio, quando celebro la messa, l’amico che mi assiste non mi fa usare una
fraseologia antiquata.
Certo, ci sono tante piccole differenze nel metodo con cui svolgiamo il nostro lavoro. Anche a
lui verrebbe più facile ricorrere, almeno ogni tanto, al modo di parlare che apprese quando si
trovava sul tuo piano. Ma con la pratica è riuscito a liberarsene e a usare la tua riserva di parole,
senza che la stranezza delle sue lasciasse perplesso il tuo uditorio e desse loro motivo di mettere in
discussione la genuinità del tuo contegno, e di chiedersi se ciò non fosse indegno per un pastore che
predica la semplicità e l’umiltà. D’altro canto nel dettarti le cose che devi scrivere, abbiamo parole e
frasi che non possiamo usare se non forzando la tua mente, ma in tal caso la tua perplessità ti
farebbe esitare e dovremmo uscire di strada rispetto al tema che ci siamo proposti.
Allora come gestite questa situazione?
Beh, solo in parte possiamo chiarirti il metodo che usiamo nel tuo caso particolare, e lo faremo
per quanto ci è possibile. Per prima cosa diciamo che stasera siamo un gruppo di sette persone – in
altre occasioni possiamo essere di più o di meno. Abbiamo già ampiamente stabilito ciò che sarà il
contenuto del messaggio a te indirizzato, ma le esatte parole saranno trovate solo nel momento in
cui potremo vederti e percepire la tua disposizione mentale e ciò che la tua mente mette a
disposizione per l’occasione. Successivamente prendiamo posizione stando a breve distanza per
evitare che il nostro influsso, le emanazioni delle nostre singole menti, ti raggiungano in dettaglio
non come una corrente unificata, ma come flussi molteplici, creandoti confusione. La breve distanza
che teniamo serve invece a unire e fondere le nostre emissioni, affinché si focalizzino diventando
una sola, in modo che quando i nostri pensieri ti raggiungono ci sia unità e non pluralità di discorsi.
Quando talvolta ti interrompi, dubiti di una parola o di una frase, ciò accade perché i nostri
pensieri, durante il processo di unificazione, non hanno perfezionato la giusta parola ricercata.
Allora ti fermi ma, continuando la loro fusione, alla fine i nostri pensieri diventano uno, e quindi
ricevi la nostra idea e riparti subito. Lo avrai certamente notato.
Sì, ma non sapevo la causa.
20
No, certo. Ma ora continuiamo. I pensieri che intendiamo mandarti a volte sono espressi, come
dici tu, con parole troppo antiquate perché tu possa afferrarli prontamente. Questo inconveniente
viene rimediato facendoli filtrare attraverso uno strumento più moderno, ed è proprio di questo che
vorremmo parlarti.
Quello strumento è la nostra giovane amica Kathleen, che è molto brava a interporsi fra te e noi
per renderti i nostri pensieri più accessibili. Ciò accade per più di una ragione. Primo, perché lei è in
uno stato più simile al tuo di quanto lo siamo noi che, stando qui da più tempo, siamo diventati in
qualche modo avulsi dalla terra, estranei ai modi e alle maniere terrene. Ella si è trasferita qui da
poco, e la sua distanza non è ancora tale da impedirti di udirla quando parla. Ecco la ragione per cui
funge da intermediaria. Ed è così in virtù delle parole che formano il suo attuale vocabolario. Può
ancora pensare nella sua vecchia lingua terrena, che è più moderna della nostra, anche se noi non
l’apprezziamo molto perché ci pare più complessa e meno precisa. Ma non è bene criticare ciò che è
pur sempre bello. Indubbiamente abbiamo ancora i nostri pregiudizi e ristrettezze di vedute. Queste
cose non sono maturate di recente, ma quando scendiamo a livello terreno non possiamo non
assumere di nuovo alcuni di quei tratti che avevamo un tempo, e che gradualmente abbiamo
abbandonato nel corso del nostro progresso. Quando riscendiamo qui ne riacquistiamo la
cognizione e la cosa non è affatto sgradita, ed è ben più che un semplice piacere. Tuttavia la giovane
Kathleen ti è più vicina di noi in questi aspetti, e ciò spiega perché la nostra corrente di forza la
dirigiamo a te tramite lei. Comunque restiamo un po’ distanti da te: la nostra presenza congiunta ti
opprimerebbe. Aura è la parola che possiamo usare – non ne siamo molto affezionati, ma per il
momento serve allo scopo. L’unione delle nostre aure avrebbe su di te un effetto tale che il contatto
con noi ti evocherebbe un intenso piacere – una sorta di estasi. E non riusciresti a scrivere ciò che
trasmettiamo; mentre il nostro proposito è d’impartirti un racconto con parole che risultino
intelligibili a te e agli altri, e se è possibile anche utili.
Sbirci nel quadrante del tuo segnatempo. Tu lo chiami orologio, perché? * Ecco un piccolo
esempio di preferenza per il nostro vecchio modo di parlare. Segnatempo ci sembra una parola più
precisa rispetto all’altra. Lo scopo della tua occhiata sull’oggetto è chiaro, casomai noi diamo il
nome all’oggetto su cui cade l’occhio.
Ti auguriamo una buona notte, caro amico; possa giungere a te e ai tuoi cari la dolce
benedizione di Dio. Buona notte.
*****
Sono Kathleen, posso aggiungere una parola, per favore?
Sì, naturalmente.
Questi buoni amici stanno conversando assieme adesso, di solito si trattengono un momento
prima di partire come in memoria dei tempi passati. So sempre quando stanno per partire, perchè
l’ultima cosa che fanno è girarsi verso di me per ringraziarmi e salutarmi. Sono un gruppo di
gentiluomini amabili e dotati di grande splendore, e a volte portano con loro una signora. Penso che
ciò avvenga quando devono trattare un argomento che la sola mente maschile non è in grado di
afferrare interamente. Non so chi sia quella signora, ma ha un aspetto assai dignitoso, bello e
gentile. Arrivederci per il momento, mio caro amico, tornerò presto da te. Ti ringrazio moltissimo di
consentirmi di scrivere con te.
Arrivederci, mia cara Kathleen. Ma penso che sono io a doverti ringraziare.
Tuttavia eri riluttante a cominciare, non è vero?
Sì, lo ero. Ho tanto da fare attualmente. E non ho dimenticato la tensione che sentivo quando
scrissi gli altri messaggi quattro anni fa.
Però hai trovato il tempo per riprendere il lavoro con noi, non è così? E la tensione non è tanto
grande come ti aspettavi, è vero?
Sono corrette entrambe le cose.
Beh, la seconda è corretta, come dici, dal momento che la tua inadeguata e giovane amica
Kathleen ha scelto come suo dovere quello di fare da intermediario. Così in futuro non considerarmi
*
In inglese la parola “orologio” si traduce con “watch”, che significa anche “guardare”. [N.d.T.]
21
di nessuna importanza, va bene? Arrivederci, e grazie ancora. Ruby * direbbe “e baci”, ma questo fa
parte del privilegio di essere tua figlia. Io ti dico solo arrivederci, con affetto e i migliori auguri.
Kathleen.

DIFFICOLTÀ DI COMUNICAZIONE

Sabato 17 novembre, 1917.


5.35-6.30 p.m.
Quando leggiamo il messaggio che abbiamo trasmesso, a volte, a causa di molte intricate
complicazioni, ci accorgiamo che buona parte del nostro sforzo di imprimere non vi appare, ma si
manifesta in misura minore quello che non avevamo in mente di comunicare. Non è altro che la
naturale conseguenza della presenza dello spesso velo che s’interpone fra la sfera da cui parliamo e
quella in cui vive il ricevente.
L’atmosfera delle due sfere ha una qualità talmente diversa che nel passaggio dall’una all’altra
avviene sempre una diminuzione di velocità, ma è così improvvisa e marcata che il nostro flusso di
pensieri riceve una scossa e allora, proprio sulla linea di confine, si genera immancabilmente una
certa confusione. È come un fiume che superando uno sbarramento precipita tumultuoso a un livello
inferiore dove la corrente si allarga in una superficie d’acqua increspata. Noi cerchiamo di entrare
sotto, dove la corrente non è così agitata, e i nostri messaggi arrivano con maggiore chiarezza. Ma
questa è solo una delle molte difficoltà che abbiamo.
Eccone un’altra. Il cervello umano è uno strumento meraviglioso, ma fatto di sostanza
materiale. A causa della sua densità la corrente dei nostri pensieri, anche quando lo raggiunge e lo
colpisce, ha difficoltà a penetrarlo e talvolta viene completamente bloccata. Quando le vibrazioni si
allontanano da noi hanno un’intensità elevata e la finezza della loro qualità impedisce di riprodurre
una corrispondenza nel cervello umano, che in confronto è grossolano.
Un altro problema è che qui esistono molte cose di cui nessuna lingua terrena possiede le parole
capaci di esprimerne il significato. Ci sono colori che i tuoi occhi non vedono, ma nondimeno sono
presenti nello spettro luminoso; ci sono altri colori ancora più sublimi di quelli che possono essere
riprodotti dallo strumento, il quale ti mostra i colori terreni e nel contempo registra quelli a te
invisibili, ma comunque presenti. Ci sono anche note e tonalità di suoni di natura similare, ma
troppo sottili per essere registrabili dall’atmosfera terrena. Esistono altresì delle forze che vi sono
inaccessibili e non si possono manifestare a voi che non avete alcuna esperienza o conoscenza
empirica di esse. Talvolta si dice che queste fanno parte della Quarta Dimensione. E anche se non è
il modo corretto di esprimere i fatti per come sono, è forse meglio che lasciare completamente
all’oscuro, a condizione che non si dia troppo valore a tale espressione.
Queste e altre questioni pervadono tutta la nostra esistenza e danno forma al nostro ambiente. E
quando veniamo qui a parlarti della nostra vita, o delle cause che vediamo in atto, di cui tu osservi
solo gli effetti, abbiamo molte difficoltà e ci sforziamo continuamente di trovare il modo giusto di
esprimerci, affinché risulti comprensibile a te e nel contempo non sia un tema troppo vasto rispetto
al nostro obiettivo. Come vedi non è un compito facile trasmettere dalla nostra sfera alla tua. Ciò
nonostante merita di essere realizzato; così facciamo del nostro meglio e cerchiamo di trarne
soddisfazione.
Questo lavoro potrebbe essere facilitato se gli uomini fossero propensi a credere alla nostra
presenza e compagnia più di quanto avviene al momento. Se la convinzione fosse più ardita e forte,
e il cuore degli uomini più umile e fiducioso, il tono e la struttura del vostro ambiente spirituale si
eleverebbero molto, il nostro compito ne sarebbe grandemente agevolato e lo sforzo di prestarvi
aiuto ci procurerebbe maggiore piacere.
È più facile parlare agli Induisti che a voi, perché sono più aperti alle materie spirituali. In
Occidente la scienza della sostanza organica e inorganica (come a torto supponete che sia), i fatti

*
Vedi pag. 7.
22
relativi alla materia e anche l’arte dell’organizzazione esteriore, che impegna tanto la vostra politica
di stato, sono le cose che vi appaiono più urgenti. E tale opera l’avete svolta molto bene, e fu
un’opera necessaria da realizzare. Fu anche necessario che i vostri maggiori sforzi fossero
concentrati su quell’aspetto delle faccende mondane. Ma ora l’opera è quasi compiuta, per quanto
concerne l’era attuale, e noi attendiamo che la vostra mente si trasformi in un canale superiore
diretto in alto verso la vita spirituale. E quando sarà così, coloro che vigilano in attesa di parlare agli
uomini, coglieranno l’opportunità e non se la lasceranno sfuggire. Quel tempo è quasi giunto, e
molte cose buone possono essere cercate e attese. Noi vediamo che la nostra battaglia più difficile
sarà superare il materialismo occidentale, e gioiamo nella dura lotta, come fai tu, e per giunta non ci
stanchiamo facilmente.
Fermiamoci qui per adesso. Vedo che sei stanco. Buona notte, amico, la pace di Dio sia con te.

PREPARATIVI PER LA SCRITTURA

Giovedì 22 novembre, 1917.


5.18-6.30 p.m.
Se tu, buon amico, ci presti attenzione per un qualche momento, cercheremo di spiegarti meglio
il nostro metodo di lavoro e di servizio agli uomini. Capirai che in questi mondi, aventi vasta
estensione e un incalcolabile numero di abitanti, esistono metodi di lavoro che variano da luogo a
luogo e in base allo sviluppo dell’organizzazione vigente in ciascun posto. Perciò questa volta
parliamo della nostra comunità e non delle altre. Potremmo parlare anche di queste dal momento
che ogni comunità ha il compito di studiare i sistemi delle altre, per trarne insegnamento e
coordinazione reciproca. Ma oggi ci limiteremo a occuparci della nostra.
Molte sono le cose da coordinare nell’opera di soccorrere l’umanità e che ci vengono affidate
come nostro peculiare compito nella sfera da cui veniamo. Questi incarichi sono ripartiti, e i compiti
di particolare rilievo vengono suddivisi e assegnati a diversi gruppi di lavoratori. Di questi gruppi
noi qui presenti, in numero di sette, formiamo ciò che chiameresti una sezione o dipartimento. Noi
siamo stati incaricati di svolgere il lavoro ora in corso, ossia la diffusione di una serie di messaggi,
prima tramite Kathleen, la tua giovane amica, poi tramite te. Il gruppo di cui facciamo parte ogni
tanto varia di numero, allorché nuovi membri vengono iniziati, o membri progrediti sono chiamati
nella sfera superiore. Attualmente il gruppo è composto di trentasei unità, e di solito lavoriamo in
reparti di sei incluso un leader, anche se a volte il numero varia in base alla natura dell’impresa da
svolgere. Il motivo per cui lavoriamo in gruppi e non singolarmente non è solo per accrescere la
forza e sviluppare maggiore potenza, ma anche per la combinazione delle influenze che devono
essere esercitate come un tutto unificato. Di questo ti abbiamo già parlato. Tale fusione, per essere
efficace, deve armonizzarsi con la singola o le diverse personalità attraverso cui operiamo,
altrimenti il risultato sarebbe di dubbia qualità e soggetto a errori più o meno gravi. Altri tipi di
servizio non richiedono l’applicazione di questo metodo, ma per adesso li lasciamo da parte, e
parliamo unicamente del nostro attuale lavoro.
Al momento consideriamo solo due personalità: Kathleen e te. Parliamo di voi due perché la
nostra interprete – se così vuoi chiamarla – è una di noi. Voi due siete stati sotto la nostra
osservazione per molti mesi. Prima abbiamo trovato te. Siamo venuti a tua conoscenza attraverso gli
scritti dettati da tua madre e il suo gruppo, e in seguito dal nostro signore Zabdiel*.
Puoi dirmi qualcosa di lui?
Certamente amico, lo faremo in un momento più adatto, non questa sera.
Abbiamo quindi studiato e analizzato sia la tua mentalità e quanto vi si era accumulato nel corso
della vita terrena, che la tua anima – cioè il tuo corpo spirituale, tale è la parola che useremo in
questi messaggi – la sua vitalità, e le parti in cui occorreva perfezionare meglio il vigore; abbiamo
anche studiato, per quanto potevamo, la qualità e il carattere dei vari aspetti del tuo spirito. Li

*
Vedi note a pag. 7.
23
facciamo passare attraverso il nostro spettroscopio – che non è proprio simile a quello di cui parlano
i vostri scienziati, ma che applichiamo agli uomini e alle loro emanazioni come gli scienziati terreni
fanno con un raggio di luce. È così che, a tua insaputa, ti abbiamo trovato e messo alla prova con
grande scrupolosità e rigore. Abbiamo fatto la nostra diagnosi, registrando accuratamente i dettagli,
per poi confrontarla con quella elaborata quando il mio signore Zabdiel si è servito di te, e anche
con la registrazione meno raffinata, ma abbastanza completa, usata all’inizio da tua madre e dai suoi
compagni per trasmetterti i loro pensieri.
Queste tre analisi ci mostrarono il tuo progresso. Vorresti che ti dicessimo in quali cose sei
migliorato, amico?
Sì, ve ne prego.
In alcuni aspetti eri progredito, in altri arretrato, soprattutto a causa della gran quantità di tempo
e di pensiero che hai consacrato al lavoro per l’attuale conflitto bellico. Considerando la situazione
generale, penso possiamo dire che abbiamo trovato in te uno strumento leggermente inferiore
rispetto a quando fosti provato qualche anno fa. Concordammo sul fatto che saremmo stati capaci di
usare la tua mente quasi come fecero gli altri. Ma era nelle cose più profonde che fosti trovato
carente – quelle che favoriscono il volo e l’estasi spirituale, e ci consentono di lavorare sulla facoltà
immaginativa, che potrebbe essere definita chiaroveggenza interiore, e sull’udito interno. Ciò
nonostante sei parso uno strumento idoneo da utilizzare e forse capace di migliorare con l’uso, e
fummo contenti di lavorare con te.
Inoltre, quando accostavamo gli estremi delle tre registrazioni poste in sequenza, abbiamo
riscontrato che le linee oscillanti del progresso non sempre combaciavano a formare linee rette
continue. C’erano delle discrepanze, e quelle relative alle ultime due registrazioni – la nostra e la
precedente – erano imputabili a noi, non a coloro che fecero l’analisi per il mio signore Zabdiel.
Non c’è da stupirsi se non comprendi il metodo che abbiamo usato. Siccome il tuo progresso non si
muove tutto nella stessa direzione, le linee s’incrociavano e s’intrecciavano l’una con l’altra, e ne
risultò confusione. Ma gli errori furono solo nostri.
Per ora ci fermiamo e speriamo di continuare l’argomento domani sera. Sei stato interrotto già
troppe volte, e non è facile guidarti questa sera. Dobbiamo cercare di migliorare la situazione, se
possiamo, in modo da evitare questi disturbi in futuro. Ci proveremo. Buona notte, amico, che Dio
ti benedica sul tuo cammino.

PREPARATIVI (CONTINUA)

Venerdì 23 novembre, 1917.


5.20-6.10 p.m.
Riprendiamo il discorso di ieri.
La catena che si allunga fra la tua mente, la matita e la carta su cui trasferisci questa corrente di
materia-pensiero agli altri, sta ora raggiungendo la sua completezza. Avendo esaminato la tua
personalità e i suoi tratti peculiari, dovevamo trovare un anello di collegamento tra noi e te –
qualcuno che potesse ricevere la medesima corrente dalle nostre menti unite, rifrangerla, trasmutarla
in una certa misura, e rimuovere quegli elementi che in uno spettro luminoso non sono adatti
all’occhio umano, né hanno effetto sulla retina, e infine trasmetterti la parte residua. Quello che
ricevi da noi, perciò, non è la totalità della nostra trasmissione originaria. È analogo a ciò che
chiamate la parte visibile dello spettro luminoso, è tutto ciò che può essere reso visibile all’occhio
umano – è il raggio che forma quella luce, le cui vibrazioni stanno dentro l’intervallo di visibilità.
Questo spiega le tante difficoltà di comunicazione che spesso ti appaiono così irragionevoli,
trovandoti tu alla fine della catena. Ora, tutte le leggi sono coerenti e hanno certi punti di
somiglianza. Ciò vale anche qui. E come la luce bianca, che ti permette di vedere, non è costituita di
un unico colore ma deriva da un processo di unificazione, la stessa cosa avviene con noi. La luce
bianca scaturisce dall’unione di più colori che, combinandosi, producono un fascio luminoso di un
solo colore, quello neutrale. Così noi, unendo le nostre menti, creiamo per te, non ciascuno la
24
propria emanazione separatamente, ma un’unica corrente coesa, come se provenisse da una sola
mente. Tale illusione è favorita anche dal fatto che trasmettiamo questo flusso di pensiero attraverso
la nostra eccellente giovane amica e mezzo di trasmissione, Kathleen. Sottolineo inoltre che queste
emanazioni devono essere fuse assieme nella dovuta proporzione, e ciascuna nella giusta quantità,
altrimenti il risultato sarebbe distorto, proprio come la luce non apparirebbe bianca, ma lievemente
colorata, se uno dei colori predominasse sugli altri nella fusione complessiva.
Come vedi stiamo raccogliendo i nostri ingredienti per preparare il budino, ma non è ancora
pronto per essere messo nello stampo. Ecco un punto molto importante che abbiamo trattato solo
marginalmente. Trovammo la giovane Kathleen grazie alla sua amicizia e affinità con una persona
della tua stessa discendenza.
Intendi dire Ruby?*
Proprio così – e chi altri? Kathleen è amica e tutrice di tua figlia Ruby. Molto bene. Quindi
esaminammo lei all’incirca come abbiamo esaminato te, al che c’imbattemmo in un problema
rilevante e assai delicato, sul quale dipendeva molto il successo del nostro servizio e dell’impresa.
Eravamo sei uomini, e Kathleen è una donna. Ora, l’essere maschio o femmina è un fattore
predominante della nostra scienza, come anche della vostra. Potevamo lavorare più agevolmente
attraverso un cervello maschile simile al nostro. Così, per non mettere troppo a dura prova la tua
pazienza, diciamo che trovammo una persona la cui mente poteva da un lato accordarsi con le
nostre, e dall’altro con una mente di ordine femminile. Questa è la signora che ricopre il ruolo di
interprete. Appartiene alla nostra sfera e al nostro gruppo, perciò ha molta esperienza, e da lungo
tempo fa parte della nostra compagnia. È in sintonia con noi in quanto membro della nostra
comitiva, e in sintonia con Kathleen in quanto donna. È lei che sintetizza e unifica la totalità delle
nostre emanazioni mentali – i pensieri – e li trasmette a te tramite Kathleen. Ti accorgerai che questi
messaggi hanno soprattutto un tono maschile nei pensieri e nelle espressioni. Ciò a causa della
predominanza dell’elemento maschile nella composizione di questo reparto del gruppo. Ma a volte
riuscirai forse a notare una prevalenza dell’elemento femminile. Ciò avviene quando l’argomento
risulta tale che conviene sia la mente di una donna a guidare, e noi poveri uomini non facciamo
altro che obbedire, applicando la nostra più rude forza agli ingranaggi, incrementando così
l’elemento dinamico di questa impresa. Persino Kathleen spiccherà a volte con le sue vicende
personali, e senza dubbio la troverai incantevole, come lo è per noi, nelle sue ingenue e dolci
maniere.
Parli come se intendessi dire che questa serie di messaggi dovrà essere piuttosto lunga. Non
voglio sembrare scortese, ma l’altra volta fu molto sfiancante per me.
No amico, non allarmarti. Abbiamo avuto alcune difficoltà a preparare questa impresa – ma è
un’impresa minore. Puoi smettere di scrivere per noi quando vuoi. Però non credo che vorrai
rinunciare tanto presto alla nostra compagnia. Hai già trovato alquanto piacevole starci vicino e
ascoltare i nostri messaggi. Penso che la cosa continuerà. Tuttavia, per tua consolazione, ti dico che
il soggetto che intendiamo trasmetterti non è vasto quanto quello che ti diede il mio signore Zabdiel,
è qualcosa di molto meno gravoso anche se profittevole, speriamo.
Talvolta dici ‘Io’ altre volte usi il ‘Noi’. Suppongo sia perché il tuo messaggio contiene due
aspetti: la corrente unitaria e i vari elementi che concorrono a formarla, i sette di voi che parlano
talvolta al plurale e talaltra al singolare. È così?
Non è una cattiva spiegazione, amico, e in parte è vera, ma solo in parte. Quando ci esprimiamo
al singolare parliamo in nome del leader* dell’intero gruppo dei trentasei, come ammonta
attualmente. Quando uso il “Noi”, sto parlando per conto degli altri sei di questo reparto. E ora hai
*
Vedi pag. 7.
*
Il mercoledì successivo al suddetto messaggio, fu posta al Rev. Owen la seguente domanda per mezzo della tavoletta
usata da sua moglie: “Domani George riuscirà a venire in chiesa da solo? Il Leader vorrebbe trovarlo tranquillo; senza
la pressione della gente che entra per parlare con lui. Verrò domani molto presto per prepararlo alla disponibilità del
Leader. – Kathleen.”
(G.V.O.) – “Intendi dire che il Leader della banda che ti accompagna si è reso disponibile?”.
“Sì; noi lo chiamiamo sempre ‘Leader’!”.
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qualcosa su cui riflettere: in che modo unità e molteplicità, singolare e plurale, possono essere così
facilmente intercambiabili in questi messaggi.
Amico, c’è una profondità qui che non riuscirai a sondare mentre sei incarnato, per quanto tu ci
possa provare. Tu sei nel cerchio esterno che circonda il santuario più recondito dove riposa il
sublime Mistero dei Tre in Uno.

LA COSTRUZIONE DI UN TEMPIO NELLA QUINTA SFERA

Martedì 27 novembre, 1917.


5.25-6.50 p.m.
Siamo pronti a trasmetterti il nostro messaggio, amico, e ti chiediamo di prestarci la tua
attenzione in modo da poterti raccontare un episodio accaduto di recente nella sfera dove spesso
stazioniamo allo scopo di supervisionare un’attività in corso di svolgimento.
Si tratta della costruzione di un edificio simile a un tempio. Quando sarà ultimato, avrà la
funzione di coordinare le energie in modo che gli abitanti della terra possano ricevere più facilmente
i nostri pensieri. L’edificio sta sorgendo lentamente da tempo addietro, ed è prossimo al
completamento.
Prima cercheremo di descriverti il materiale con cui viene costruito, poi l’uso a cui presto sarà
destinato.
Il materiale è di svariati colori e di varia densità. Non viene assemblato con mattoni o blocchi
simili alle pietre, come sulla terra, ma si utilizza come un pezzo unico senza soluzione di continuità.
Dopo averne elaborato il progetto, ci recammo sul posto prescelto per la sua collocazione. Si
trattava di un altopiano fra le regioni pianeggianti e quelle montuose della Quinta Sfera.
Noterai che nel numerare le Sfere seguiamo il criterio stabilito da Zabdiel. Alcuni talvolta
seguono lo stesso metodo, mentre altri ne adottano uno diverso di loro invenzione. Noi usiamo
questo metodo perché tu lo conosci già abbastanza. Inoltre è un sistema di progressione più efficace
rispetto ad altri, che sono spesso troppo complicati o troppo generici. Il mio signore Zabdiel ha
scelto una via di mezzo, perciò lasciamo le cose come stanno.
Una volta riuniti, il processo si svolgeva così: dopo una pausa di silenzio per armonizzare le
nostre personalità in un unico sforzo, concentravamo in senso creativo le nostre menti sulle
fondamenta e, gradualmente e molto lentamente, innalzavamo il flusso della nostra forza di volontà
dalla base fino alla sommità a forma di cupola, e là ci trattenevamo mentre il nostro Signore
Angelico e Capo, unificava la totalità delle nostre energie con le sue, e delicatamente correggeva i
nostri sforzi deviando la corrente di energia volitiva nello spazio. Intanto noi cominciavamo a
interrompere il flusso vibrante emesso da ciascuno, singolarmente.
Ora, questo può suonare strano alla tua mente. Ma esiste una ragione. Noi siamo un gruppo ben
addestrato, e per lungo tempo ci siamo esercitati a lavorare in armonia. Ciò nonostante, terminato il
primo stadio di quella fragile struttura, occorreva che una personalità molto più potente controllasse
le forze poste in azione da noi, altrimenti l’edificio sarebbe rimasto deturpato nella forma o
danneggiato nella struttura, e i nostri sforzi sarebbero finiti nel nulla. Un’altra spiegazione facciamo
fatica a dartela per farti intendere le nostre parole. Forse, riflettendo sulla questione, sarai in grado
di comprenderne il motivo, se non il metodo. Se provi a immaginarlo per analogia, come il processo
di tagliare il cordone ombelicale o il filo della vita nell’istante della morte, oppure come
l’improvvisa chiusura della paratoia di una chiusa, o qualcosa del genere, puoi avere una pallida
idea di ciò che ti diremmo volentieri se non ci mancassero le parole per esprimerlo.
Così il primo stadio fu il completamento dell’edificio esterno, anche se era vago nei contorni e
di durata provvisoria. Dopo un intervallo, ci rimettemmo all’opera, a cominciare dalle fondamenta
come prima. Rafforzammo ogni pilastro e ogni apertura, la torre e la torretta, risalendo lentamente
Nota. – Dopo questa registrazione pervenuta tramite la tavoletta, il Rev. Owen decise di considerare tutti i messaggi non
firmati del presente libro come coniati dal Leader. (Vedi pag. 41).

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fino a raggiungere ancora la cupola. Lo ripetemmo più volte, finché la struttura non si reggeva in
piedi da sola; si trattava dell’involucro esterno, ma la sua forma era completa. Ciò che mancava, in
primo luogo, era la profondità del colore, il perfezionamento dei dettagli decorativi e, una volta
fatto questo, il consolidamento dell’intero complesso fino a renderlo così robusto da resistere per
innumerevoli secoli.
Eseguimmo la procedura più volte e per lungo tempo, facendo ogni volta degli intervalli per
rinnovare le forze; ne risultò un capolavoro delizioso, capace di infondere immensa gioia. Le sue
proporzioni, le dimensioni e perfino il disegno conferivano al Tempio una solenne magnificenza –
era una struttura di grande bellezza, sempre più incantevole man mano che ciascuno di noi
contribuiva alla sua creazione. Non sempre gli edifici sono costruiti in questo modo nelle diverse
sfere; esistono molti metodi di costruzione. Ma quando vengono realizzati così, diventano non solo
l’opera di noi costruttori ma nostri figli amatissimi, poiché possiedono la nostra vitalità e l’ideale.
Edifici del genere rispondono, fra l’altro, alle aspirazioni dei loro futuri residenti, e hanno una certa
vita, forse non completamente cosciente, ma certamente sono dotati di sensibilità. Credo potremmo
dire così: durante la permanenza di un edificio come questo, il suo funzionamento sta a noi, i suoi
creatori, come il corpo umano sta allo spirito che lo usa sia in stato di veglia che quando dorme. Noi
siamo sempre in contatto con l’attività che si svolge all’interno grazie alla sua sensibilità. E se in
futuro i membri della compagnia che lo ha creato si disperdessero nell’una o nell’altra sfera,
avrebbero sempre un punto focale di vivida e reale comunione in quell’edificio, e la gioia che ne
deriva è tale che potrai assaporarla solo quando conseguirai la capacità di creare nelle sfere celesti,
se quella sarà la tua linea di ascesa nel Regno di Dio.
Ora, quando la parte esteriore fu terminata e consolidata, rimaneva da compiere il lavoro più
minuzioso all’interno: modellare camere, saloni e tabernacoli; collocare pilastri e colonnati; creare
fontane dal perpetuo scorrere dell’acqua, e molti altri interventi di cura dei particolari. Prima
rimanemmo all’esterno e ci concentrammo sui pilastri di sostegno e sui muri divisori e, una volta
sistemati, entrammo per osservare il nostro manufatto, come direste voi, anche se a realizzarlo non
furono le mani, ma le nostre menti e i nostri cuori.
Così iniziammo a lavorare all’interno dell’edificio e, per dirla come voi, ogni giorno ci
spostavamo di stanza in stanza, di salone in corridoio, dando foggia a ciascuno, poco a poco,
secondo il progetto e lo schema originale, finchè il tutto fu ultimato e rifinito con l’abbellimento
generale.
Quale grande gioia fu per noi, quando il nostro Grande Direttore scese nuovamente dal suo alto
reame per ammirare l’opera e apprezzare i nostri sforzi. Corresse molti piccoli dettagli, applicando
in prevalenza la sua volontà creativa. Ma altri dettagli chiese a noi di ultimarli e rimodellarli allo
scopo di perfezionarci con la pratica.
Allora venne il giorno in cui il Tempio fu completato, ed egli tornò in compagnia di un altro –
un potente Signore, il cui rango era di sublimità superiore al suo e la cui autorità era tale che in
Israele sarebbe paragonato ad Aronne e ai suoi successori; per i Greci sarebbe un Gerofante; per i
Cristiani, un Arcivescovo. L’operazione che venne a compiere fu ciò che chiamereste santificazione.
Consacrazione?
Sì, è una parola che rende bene l’idea. È ciò che collega un edificio in ogni sfera – terrena o
altre – a coloro che dimorano in qualche reame superiore per avere protezione. È anche un mezzo di
grazia e potere per quelli che si serviranno di quel luogo in futuro.
Sulla terra i vostri templi non hanno che una pallidissima somiglianza con quelli di questi reami.
Ma hanno, in essenza, lo stesso proposito e funzione. In Israele la nube mostrò la comunione fra le
due sfere: la terra e la dimora di Geova. Anche in Egitto la nube fu usata nei primi tempi. Nelle
colonie greche la qualità responsiva dei templi era meno vitale, ma non mancavano di vibrazioni.
L’Islam sembra prestarsi meno di tutti a questo particolare aspetto di assistenza e conforto da parte
dei Regni celesti. Ho visitato le sfere dell’Islam qui, e trovo che questa speciale opera di comunione
e grazia sia dispensata principalmente in altri modi. Lo stesso vale nelle Chiese Cristiane, ma a un

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livello molto diverso. In alcune basiliche consacrate a Cristo, la Sua Presenza e quella dei Suoi
Servitori è quasi visibile, e penso che fra breve sarà percepita da chi ne sarà capace.
Così sulla terra avete il principio all’opera, e lo è da molti secoli a questa parte. Ma da noi i suoi
effetti sono assai più potenti e il suo agire più evidente, magnifico e carico di benedizione per
coloro che salgono i gradini dei Regni Alti del Cielo, passando di sfera in sfera.
Qual è la funzione specifica di questo Tempio?
Comincia ad essere usato per raccogliere l’energia con cui saranno battezzate le persone che
giungono dalle diverse parti della Quinta Sfera, e qualche volta anche quelli provenienti da sfere più
basse. Vengono immersi nelle sue vibrazioni di colori, bagnati nelle correnti d’acqua e nelle fontane
poste all’interno, o avvolti in reti e trame musicali e, per quanto la loro natura risponde, vengono
rinvigoriti nelle parti più deboli, o illuminati in altri aspetti dove l’intelletto è offuscato. Ricordati
però che non è semplicemente un sanatorio, direi piuttosto che è di qualità superiore. Sarà utile sia
al corpo che alla personalità; esso prepara lo spirito al viaggio che lo attende non solo nella forza
corporale, ma anche nella chiarezza intellettiva, tramite la quale più prontamente e in maggior
misura potrà trarre profitto dalla conoscenza cui deve pervenire. Inoltre si viene messi in sintonia
con le persone il cui amore e vita sono focalizzati in questo Glorioso Tempio, e che attendono i
pellegrini diretti a dimore più alte.
Tutti devono passare per quel Tempio per potere ascendere?
No, non tutti, amico, ma la maggioranza degli abitanti della Quinta Sfera. È un livello dove
taluni, anzi molti, soggiornano a lungo. È una sfera cruciale dove i vari aspetti dell’uomo devono
pervenire all’armonia e ogni dissonanza deve essere eliminata. Per molti è un mondo difficile da
attraversare, ed è consueto trovarvi parecchi motivi di ritardo. Ecco perché abbiamo eretto il
Tempio: il bisogno era grande. Essendo appena nato non è ancora pronto per servire al suo scopo, e
indubbiamente man mano che gli esperimenti procederanno certi dettagli verranno modificati.
Ma ci sono alcuni che arrivando qui, si guardano attorno e nulla trovano da apprendere o
sistemare dentro di loro. Queste persone piene di forza e calma passano oltre, spandendo
benedizioni sul loro cammino, e la via che prendono diventa più luminosa al loro passaggio; chi si
trova nei paraggi è allietato nel vederli e prende coraggio. Sulla terra può essere diverso. Ma coloro
che giungono fino alla Quinta Sfera non sono di splendore mediocre, e la bellezza di uno spirito più
bello e forte di loro non fa altro che aggiungere grazia alla loro grazia, e gli conferma la realtà della
Fratellanza Universale.

IL SEGNO DELLA CROCE – IL SUO EFFETTO NEGLI INFERI

Mercoledì 28 novembre, 1917.


5.20-6.45 p.m.
Quando dubiti della nostra presenza accanto a te, fatti il segno della Croce. Ti aiuterà a percepire
la nostra protezione e a sentirti libero dalle intromissioni di coloro che ci intralcerebbero mettendosi
in mezzo; certo non in maniera fisica, ma con la proiezione dei loro influssi di pensiero che creano
una nebbia oscurante. Tieni presente, amico, che come grado di prossimità essi ti sono più vicini di
noi, e laggiù trovano un terreno favorevole che a noi manca.
In che modo aiuta farsi il segno della croce?
Per la realtà che esprime. Se ci rifletti, molto è rivelato dai segni, non perché essi abbiano un
effettivo valore in sé, ma per la potenza delle persone o delle forze che rappresentano.
Per esempio?
Ad esempio, le lettere che scrivi ora non sono altro che segni, ma chi le legge con comprensione
e amore coglierà tantissime opportunità che gli consentiranno di progredire molto più rapidamente
quando verrà da questa parte, rispetto a quanto farebbe se non avesse inteso quei segni. Il nome di
un re è solo un segno che lo rappresenta. Tuttavia chi lo porta sulle labbra con leggerezza, così
come chi trascura una legge scritta sotto quel nome, non viene trattato con riguardo in qualsiasi
ordinamento statale. Se non fosse così, il progresso di uno stato sarebbe grandemente ostacolato a
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causa del disordine e della disgregazione che ne seguirebbe. Quindi i nomi sono accolti con rispetto
non solo nelle economie della terra, ma anche nei reami celesti. E chi nomina un grande Signore
Angelico, mette a repentaglio lui e l’attività che sta compiendo, qualunque essa sia. Così è
decretato; e l’Altissimo, il Suo Nome, deve essere considerato col massimo rispetto come ingiunge
anche la vostra Scrittura Sacra.
Il Segno della Croce è solo uno dei segni della Santità che conosciamo e abbiamo fatto
conoscere nel passato e nel presente ai bambini della terra. Ma per l’attuale stadio di evoluzione, è il
segno più potente di tutti, poiché simboleggia la vita originata dal Vivente, versata per il progresso
della terra. E come in altre epoche ci sono stati periodi in cui si è assistito alla manifestazione divina
di altri... – scrivilo amico, non esitare – ... Cristi di Sua Maestà il Padreterno, così questa particolare
epoca appartiene a quel Cristo di Dio che, giungendo per ultimo da quell’alta compagnia, è il
Principe di Tutti, Figlio di Dio e dell’Uomo. Allora chi usa il segno della Croce, in realtà usa il Suo
Segno scritto a mano col sangue – la Vita – e di fronte ad esso persino quei fratelli che non
accettano la Sua Sovranità e non comprendono il Suo Amore devono sottomettersi, perché ne
riconoscono il potere e lo temono.
Allora anche gli abitanti dell’inferno conoscono il Suo Segno. È vero?
È assolutamente così. Lascia che mi soffermi brevemente sull’argomento, giacché sappiamo che
molti sulla terra rispettano poco quel segno, che non comprendono. Qualche volta vado nelle
regioni oscure – anche se non ci sono stato di recente, avendo altri doveri da sbrigare – e laggiù uso
quel segno con molta parsimonia, sapendo l’agonia che infligge alle povere anime che già portano
in sé un tormento non piccolo.
Mi racconti un episodio di quando hai usato quel segno?
Una volta fui mandato alla ricerca di un uomo che, in seguito al trapasso terreno, era stato
condotto alquanto stranamente nella seconda sfera. Non si era adattato a vivere in quel cielo e fu
attirato verso sfere sottostanti. Non mi dilungherò a spiegare la questione nei particolari. È raro che
accada una cosa simile – ma è un fatto noto. Sono errori commessi talvolta da guide poco esperte. Il
loro zelo supera la loro capacità di discernimento e perspicacia, e quando arriva una personalità
difficile e complessa capita che commettano errori.
Scesi dunque nei regni dell’ombra, e dopo aver modificato alquanto me stesso per adattarmi
all’ambiente, cominciai la ricerca. Andai di città in città, infine giunsi a un cancello dietro cui sentii
la sua presenza. Forse non capirai facilmente quanto ti ho appena detto. Ma lasciamo stare, un
giorno o l’altro ci riuscirai. Entrai e mi ritrovai in una piazza soffusa da una luce fosca e debolmente
baluginante in cui era raccolta una grande folla. L’aria sembrava tinta di rosso come l’officina di un
fabbro, e reagiva oscillando e tremolando quando la folla si deprimeva o si esaltava, si incolleriva o
si annoiava. In piedi su un blocco di pietra c’era l’uomo che cercavo. Parlava alla gente infervorato
e con voce aspra; io mi misi dietro di loro e lo ascoltai per un po’.
Parlava della Redenzione e del Redentore – senza nominarlo, bada bene, ma facendo allusioni.
Due o tre volte vidi il nome sulle sue labbra, ma non venne mai pronunciato, e ogni volta che stava
per farlo vedevo un’onda di dolore percorrere il suo volto, le mani stringersi a pugno, e per un
momento si faceva silenzioso poi riprendeva. Ma nessuno poteva dubitare sull’identità della
Persona di cui parlava. Da molto tempo li esortava a pentirsi, e spiegava loro cosa avesse prodotto
nel suo caso la mancanza di vocazione spirituale, e come fu costretto, volente o nolente, dopo una
fugace apparizione della gloria Celeste, a scendere in basso, verso le fitte tenebrose arene di questi
inferni di dolore e rimorso. Disse che era giunto in quei luoghi in tutta consapevolezza, e che aveva
contrassegnato il percorso in modo da riuscire a tornare sui suoi passi e raggiungere finalmente la
luce. Ma la via era lunga e molto cupa, e l’ascesa penosa. Pertanto li esortava ad essere disponibili a
partire con lui; e tutti insieme, come un gregge di pecore, stando in compagnia e dandosi aiuto
reciproco, sarebbero finalmente pervenuti in un luogo di pace. Però non era consentito allontanarsi
dal ciglio della strada, dovendo passare accanto a profondi orridi e fetide foreste, e chi si smarriva
poteva perdere, per secoli, la traccia del sentiero e vagare da solo in qualche luogo sconosciuto, ma
sempre nelle tenebre e nel pericolo di cadere nelle grinfie dei malvagi che stanno in agguato in

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quelle terre, pronti a sfogare la loro rabbia su chiunque capiti nel loro raggio d’azione. Così li
spronava a seguire la Bandiera che avrebbe portato dinanzi a loro senza nulla da temere, perché
quella Bandiera, che li avrebbe guidati, sarebbe stata un simbolo di grande forza per il loro lungo
cammino.
Questo era il nocciolo del suo discorso, e la gente riunita sembrava palesare uno struggente
desiderio di accettare. Stette in silenzio per qualche istante, poi dalla folla si levò una voce che
gridò: “Di quale bandiera parli? Con quali emblemi intendi adornarla, così da avere ben chiara la
guida da seguire?”.
Allora l’uomo, in piedi sul blocco di pietra in mezzo alla piazza, portò in alto la mano e cercò di
spingerla in basso per disegnare una linea, ma senza riuscirci. Tentò più volte, ma il suo braccio
sembrava paralizzarsi ogni volta che cercava di muoverlo in basso intenzionalmente. Alla fine
lanciò un forte gemito versando lacrime di dolore – fu una scena penosa per me che lo conoscevo –
e la mano gli cadde da sola pendendo molle al suo fianco. Ben presto si riprese, era di nuovo dritto
col volto pieno di fermezza. Aveva realizzato di aver disegnato nell’aria una linea verticale, e
davanti a lui brillava, lungo il percorso che la sua mano aveva tracciato cadendo, una scia
perpendicolare di luce fioca. Con grande sforzo e cautela sollevò un’altra volta la mano, la distese
lontano dalla linea, all’incirca sopra la metà della sua lunghezza, e cercò di avvicinarla e
attraversarla orizzontalmente, ma anche questa volta senza riuscirci.
Potevo leggere nella sua mente ciò che pensava. Stava cercando di tracciare per loro l’Emblema
della bandiera che avrebbero dovuto seguire, ossia il Segno della Croce. Così, preso da pietà mi
spinsi avanti, mettendomi al suo fianco. Tracciai prima la linea verticale ancora visibile. La ripassai
lentamente fino a darle una brillantezza che illuminava la piazza e i volti della gente riunita; poi
disegnai il braccio orizzontale. Ecco che allora irraggiò davanti a noi una croce, che ci copriva con
la sua luminosa radianza, e noi restavamo dietro non visti. All’improvviso sentii un urlo violento e
un diffuso lamento. Guardai attentamente. La Croce si stava affievolendo, vidi le persone prostrate a
terra contorcersi nella polvere della grande piazza, mentre cercavano di nascondersi i volti e
cancellare la memoria di quel segno. Non perché l’odiassero – erano persone già arrivate allo stadio
del pentimento – ma fu proprio il progresso che avevano fatto verso il pentimento a causare il loro
presente dolore. Il rimorso era mescolato alla sofferenza per il peccato commesso e per
l’ingratitudine, e quel rimorso aggiunse amarezza al loro dispiacere.
L’uomo accanto a me non si buttò a terra come gli altri, ma s’inginocchiò coprendosi il viso con
le mani e appoggiandosi sulle ginocchia – doppiamente prostrato nel tormento del suo pentimento.
A quel punto mi resi conto di essere stato troppo precipitoso, e quanto intendevo fare per
consolarli li aveva gettati nella disperazione, così mi diedi molto da fare per ripristinare il loro
giusto stato d’animo di calma. Una volta raggiunto, gravandomi del compito che è del mio amico,
cominciai a recitare la litania che egli aveva iniziato. Dopo lungo tempo il mio lavoro fu finalmente
coronato dal successo, ma decisi fin da subito di essere più cauto in futuro nell’usare quel potente
segno nei reami oscuri, per non causare ulteriore dolore a coloro che ne hanno già tanto da
sopportare.
Hai chiamato l’oratore tuo amico.
Sì, era mio amico. Abbiamo insegnato filosofia nella stessa università durante la vita terrena.
Visse onestamente, e non senza occasionali impulsi di generosità. Comunque era intelligente più
che devoto, e ora – beh ora è sulla via che sale e si sta comportando molto bene con i suoi
compagni.
Ebbero la loro bandiera dopo tutto, come ti ho raccontato. Non era di fattura eccellente –
semplicemente un paio di rami, alquanto storti e nodosi, come gli alberi che crescono negli ambienti
cupi, che avevano legato assieme con una corda e la chiamavano croce, anche se il braccio
orizzontale a volte piegava in alto a volte in basso. Ed era grottesco, se non fosse stato per la serietà
che mostravano e il significato che gli attribuivano; a loro importava il potere che essa
rappresentava e Colui da cui fluiva quel potere. Così lo consideravano davvero un Segno dei più
Sacri da seguire con coraggio, ma in silenzio, con timore reverenziale. E la striscia di stoffa rossa

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usata per legare i rami sventolava come un fiotto di sangue. Essi la seguivano dove la vedevano
andare nel loro lunghissimo viaggio, spesso faticoso e dolorante per i piedi, ma sempre verso le
regioni montane dove sapevano avrebbero trovato la luce.
Ti ringrazio. Prima di concludere vorrei farti una domanda a proposito del Tempio di cui hai
parlato ieri sera. Nella prima parte hai detto che la sua funzione era di aiutare le persone nella
sfera terrena. Ma dopo hai menzionato un proposito molto diverso. Sono un po’ confuso. Potresti
spiegarmelo meglio?
Ciò che abbiamo detto, amico, era vero quanto basta, sebbene non così chiaro come avremmo
voluto. La tua mente era piuttosto appesantita ieri sera. E anche oggi sei stanco. Cercheremo di
spiegarci meglio nel nostro prossimo incontro. Dio ti benedica e buona notte.

IL TEMPIO DELLA QUINTA SFERA – OSTACOLI NELLA COMUNICAZIONE

Giovedì 29 novembre, 1917.


6.20-6.45 p.m.
Abbiamo promesso di spiegarti la tua difficoltà a proposito del Tempio. C’è poco di difficile in
realtà. Se ti ricordi, dicemmo che fu costruito allo scopo di rendere servizio a quelli della Quinta
Sfera e delle sfere inferiori. Queste ultime includono la terra, che non è diversa da ciò che definisci
col nome di sfere spirituali, tranne che nella sua manifestazione esteriore. Gli influssi proiettati da
quella costruzione viaggiano lontano e attraversano i mondi inferiori fino a quello terreno.
Restammo sul vago non per la fretta, ma per i tuoi limiti di tempo e ricettività, in quanto l’uno
dipende grandemente dall’altro. Chi non ha tempo per la quiete e la pace non è in grado di
rispondere ai pensieri proiettati da noi che veniamo da Reami così diversi, e mentre ci avviciniamo,
portiamo, persino al margine esterno del tuo piano, molta di quella placida forza che avevamo
all’inizio del nostro viaggio. Non la disperdiamo tutta nelle sfere che attraversiamo mentre veniamo
quaggiù; quello che rimane cerchiamo sempre di trasferirlo alle persone che rispondono alla nostra
ricerca, e che necessitano grandemente della pace che abbiamo da dare. Quando anche noi
esauriamo la grazia e la forza per impartirvela, e poca ce ne rimane, torniamo verso casa a riempire
il serbatoio nell’aria libera e pura dei Cieli Divini, da cui vengono tutta la forza e la pace.
Questo ci riporta alla questione del Tempio, perchè proprio una delle sue funzioni è quella di
essere un serbatoio dove accumulare forza e grazia prodotte nei reami superiori e, quando si
presenta l’occasione, usarle a favore della terra e delle altre sfere inferiori.
In base a come si svilupperà il lavoro, il Tempio avrà altre funzioni che verranno coordinate con
l’attività attualmente in corso.
Questa sera sei arrivato tardi e non rimane molto tempo a disposizione prima che il prossimo
impegno con la tua gente ti allontani nuovamente. Così saremo brevi e aggiungeremo poco altro
circa un argomento che non comprendi abbastanza chiaramente. Quando arriviamo sulla terra, noi,
figli del Cielo, abbiamo talvolta molte difficoltà a entrare in contatto con le persone che ci aspettano
e tendono l’orecchio per udire il nostro arrivo. Tu stesso ne sei un esempio. E spesso abbiamo
notato che quando sei abbastanza consapevole della nostra vicinanza e dopo aver teso l’orecchio,
nella migliore delle ipotesi finisci col dubitare, mentre altre volte concludi che ciò che senti e odi è
solo la tua fervida immaginazione e non il soffio dei tuoi amici angelici. Ora, il motivo di questi
fallimenti nel processo di trasmissione da parte nostra e di ricezione da parte tua, sta principalmente
nella mancanza di coraggio nel credere. Tu hai pensato di avere questo coraggio, e per certi versi è
vero. Ma quando si tratta di comunione spirituale, spesso sei troppo timoroso di sbagliare per essere
efficace nel fare opera di verità. Non esageriamo nell’esprimerci così. In ogni modo, tutte le volte
che senti la nostra presenza accanto a te, sappi che si tratta dell’effetto di qualche causa. La causa
può essere o meno conforme al tuo desiderio, o quella che avverti come giusta. Comunque una
causa esiste e se in quelle situazioni rimarrai tranquillo e in vigile ascolto, allora la natura della
causa si paleserà più chiaramente. Potresti pensare che un certo amico ti sia vicino, quando invece
non si tratta di lui, ma di un altro, la cui identità ti sarà svelata nel processo di trasmissione dei suoi
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pensieri. Così, quando senti di essere cosciente di qualcuno vicino a te, lascia cadere, per quanto
puoi, i tuoi dubbi, fai svanire completamente la paura di sbagliare. Accogli ciò che ti diamo, e solo
in seguito al messaggio che ricevi trai le tue conclusioni.
Fermiamoci qui per adesso, ti attende un altro impegno. Possa nostro Signore essere con te in
ogni momento della tua vita, giorno dopo giorno.

IL TEMPIO NELLA QUINTA SFERA –


RIPARAZIONE DI UNA TORRE DIFETTOSA

Venerdì 30 novembre, 1917.


5.20-6.25 p.m.
Ogni cosa bella è sempre vera: ecco una delle leggi che più si staglia sulle altre in questi reami
luminosi. Vale anche il contrario: ogni cosa brutta ed esteriormente deforme, mostrerà, dopo attento
esame, che le manca la grazia della verità. Verità, per come usiamo tale parola, significa essere in
accordo con la Mente del Supremo che voi chiamate Dio e Padre. Tutto quello che scaturisce da Lui
è ordinato e in armonia con le più belle ed eccelse aspirazioni che nascono in noi, i Suoi figli. E
questa sintonia risponde alla bellezza, poiché la bellezza da piacere; e l’armonia è una veste
d’amore sempre attraente per coloro la cui natura risponde alle carezze dell’amore. Solo quelli che
possiedono qualche tinta contraria all’amore non apprezzano la delizia che solo l’Amore può dare.
Ricordati, inoltre, che l’Amore non è solamente un attributo di Dio, ma è Dio Stesso.
Così la bellezza di un paesaggio e dei corsi d’acqua, l’avvenenza di un volto o di una forma,
sappiamo essere manifestazioni di Colui dal Quale queste cose traggono la loro bellezza, e poiché il
vero è solo ciò che è in accordo coi Suoi pensieri, noi diciamo che qualsiasi cosa bella è anche vera,
e qualsiasi cosa vera deve manifestarsi nella bellezza.
Dove le correnti trasversali delle forze avverse incrociano il flusso principale della Vita e del
Potere di Dio, l’acqua diventa torbida e paludosa. Questo è vero sia per l’umanità che per le cose
nel concreto, in quanto la disarmonia presente in una famiglia o in uno Stato non si è creata da sola,
ma origina da quella lontana fonte di potere che si è allontanata dal proposito e dalla volontà
dell’Altissimo. Tuttavia Egli è meraviglioso, e con la Sua energia dinamica volge queste cose a
vantaggio generale e, da ciascuna manifestazione avversa e malamente usata della Sua forza-vitale,
trae una possibilità d’aiuto per migliorare la stirpe degli uomini e degli angeli.
Non so se ho ricevuto correttamente, potresti cercare di spiegarmelo in modo più esplicito e
meno complicato, per favore?
Sì amico, proveremo a descriverti meglio il Tempio presentato in precedenza. Per farlo
possiamo usare la tua vista interiore, oltre che il tuo udito, in modo da semplificare il nostro lavoro
di trasmissione e il tuo di ricezione. Vediamo che stasera non sei tranquillo come vorremmo.
Un angolo della Grande Torre sfuggiva alla nostra comprensione. La Torre si erge su un canto
della costruzione, ed è a base quadrangolare. Uno degli angoli non era come gli altri tre. Ma
stranamente, nessuno di noi, mettendoli a confronto, riusciva a dire cosa c’era di sbagliato e in cosa
differiva dagli altri. Mentre osservavo questi ultimi mi pareva che l’angolo difettoso avesse forma e
proporzione identiche ai suoi compagni. Ma quando osservavo gli altri, e tornavo di nuovo a quello,
girando ogni tanto attorno alla base, mi appariva sempre in disarmonia con loro. Non mi soffermerò
su questo, e passo subito a dirti di cosa fu trovato mancante. Non fu uno dei nostri architetti a
scoprire la natura del difetto, sebbene avessimo esaminato la torre svariate volte. A chiarirci il
problema fu uno di una sfera superiore, di passaggio nella Quinta. Era uno di quegli spiriti la cui
missione è scendere di tanto in tanto nei reami più bui, quando un determinato luogo ribolle di
discordia e tumulti al punto da avere effetti rovinosi sugli abitanti delle sfere contigue
immediatamente superiori. Tale putiferio libera una specie d’influsso fastidioso che, risalendo nella
sfera sovrastante, impedisce di progredire e trascina indietro gli spiriti poco robusti, facendoli
partecipare al destino di quel luogo fosco, dove perdono la speranza e smettono temporaneamente
di lottare per liberarsi dalla bruma e andare verso la luce delle sfere superiori. Di solito essi non
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percepiscono così potentemente questa oscurità da farli cadere nello sconforto della disperazione,
tranne che il tumulto sotto di loro non sia di straordinaria veemenza. Quando ciò avviene, la persona
di cui ti ho parlato scende con altri ad alleviare le povere anime irrequiete, inducendole in un tale
stato di torpore che il loro tormento cessa di influenzare quelli che sono un gradino più avanti di
loro sulla via che sale.
Egli, a causa del suo lungo e vasto servizio, è diventato esperto in queste faccende, perciò fu in
grado di risolvere il nostro problema nella Torre.
Dopo avere attentamente esaminato e studiato le quattro mura, si allontanò a grande distanza,
salì su una collina, e fissò la Torre distante molto intensamente e per lungo tempo. Quindi tornò da
noi, ci fece radunare su un pianoro, e ci disse qual era il difetto usando all’incirca le seguenti parole:
“Fratelli miei, quando realizzavate il Tempio, avete lasciato indietro questa Torre finchè tutte le
altre sale non furono ultimate. Poi avete usato tutta la vostra energia per edificarla tanto robusta per
quanto vi era possibile con la forza di cui disponevate. Ma nell’ardente desiderio di finirla avete
trascurato una cosa. Non siete stati attenti che su tutti i quattro lati ci fosse la stessa quantità di
materia. Inoltre, quando la Torre fu innalzata, la luce, proveniente da lontano, colpendo la sua parte
superiore, fece deviare le volontà di quelli sotto, che lasciarono le parti non direttamente esposte
alla luce in balia di qualsiasi corrente di forza volitiva di passaggio in quel momento. Ora, in quel
preciso istante passava un gruppo di noi reduce da un servizio nelle regioni buie, in cui trovammo
parecchie difficoltà a portare a termine la nostra missione. Per tale ragione mentre passavamo da
questo piano, piuttosto svuotati di energia, la recuperavamo gradualmente man mano che il nostro
viaggio procedeva. Così è avvenuto che, a causa della diversa forza applicata alla Torre nei suoi
quattro lati, senza farlo intenzionalmente, abbiamo assorbito un po’ di vitalità dalla parte meno
protetta, che corrisponde proprio all’angolo difettoso. Vedrete che il difetto non è nella forma o
nella proporzione, ma nella composizione del materiale di cui è fatto l’angolo. Guardatelo ancora,
alla luce dell’informazione che vi ho dato e, dove si trova la lacuna, scoprirete una tinta più scura
rispetto alle altre parti della Torre. La vitalità che estraemmo causò una riduzione di luminosità
nella parte interessata, di conseguenza appare imbruttita, mentre nella forma si concilia con gli altri
angoli”.
Trovammo vera la sua spiegazione e il rimedio fu semplice: riunimmo lo stesso gruppo di
costruttori e ricominciammo a lavorare. Facemmo fluire l’energia dalla nostra volontà sulle parti più
scure, che diventarono via via di tinta più chiara assumendo una lucentezza pari alle altre. Quando
furono esattamente intonate ci fermammo e, dopo avere esaminato l’angolo, appurammo che era
esattamente preciso e in perfetta armonia con gli altri.
Capirai, amico, che la causa dell’imperfezione era in realtà l’influsso involontario esercitato
sulla nostra opera, ancora incompleta, da coloro che avevano esaurito la vitalità nelle sfere buie.
Nessun male è positivo in natura, ma sempre negativo. È la negazione del bene. Tutto ciò che è
bene risulta forte. Fu gente priva di forza ad assorbire l’energia di questi buoni Angeli che
svolgevano il loro servizio laggiù. Nel riacquistare forza mentre passavano accanto a noi,
esercitarono sul nostro lavoro, per azione inconscia, un vero e proprio influsso portato da quei
luoghi foschi, e il risultato fu la mancanza di armonia, che significa mancanza di bellezza. E con ciò
torniamo al nostro primo discorso, come un gatto arrotolato davanti al focolare, con la testa che
tocca la coda in un circolo. E con questa immagine di piacevole quiete, ti lasciamo assieme alle
nostre benedizioni.

METODI DI COMUNICAZIONE

Lunedì 3 dicembre, 1917.


5.25-6.20 p.m.
Amico mio, quando ci accostiamo alla terra diciamo, strada facendo, che andiamo nella landa
della nebbia e del crepuscolo a spargere un po’ della nostra calda luce nel mondo interiore che vi
troveremo. Sentiamo che luce e calore sono estremamente necessari, persino nelle lontane sfere da
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cui proveniamo. Potresti chiederci mediante quale processo chimico o dinamico ci è possibile farlo;
in effetti non siamo in grado di spiegarti il metodo in dettaglio. Ti possiamo fare una descrizione
sommaria di questa attività, ammesso che la cosa sia di tuo interesse e di quelli che leggeranno i
nostri discorsi.
Grazie. Sì, mi piacerebbe ascoltare la tua spiegazione in proposito.
Allora cercheremo di renderla il più semplice possibile. Capirai facilmente che il primo e più
sublime requisito della comunicazione è già a portata di mano – cioè la presenza di un principio
universale in cui tutti siamo immersi, voi e noi, come in un unico grande oceano. Mi riferisco allo
spirito di vita, alla forza, all’energia. Questo spirito vitale ci pervade tutti, compresi coloro che
stanno tanto sopra di noi per quanto, al nostro livello, possiamo tendere in alto la mente con il
ragionamento e l’immaginazione. Sarai dunque disposto a convenire che lo spirito vitale è la causa
della vita fenomenica osservata sulla terra. Mentre progredisci, questa relazione di causa ed effetto
diventa più marcata in ogni sfera che incontri nella tua ascesa. È perciò ragionevole concludere che
tale nesso s’intensifica costantemente procedendo verso i mondi più eccelsi. Può darsi che lassù sia
così sublime da trovare la perfezione nell’unità. E noi pensiamo che coloro che sono capaci di
penetrare nei Luoghi Altissimi vedranno in tale Unità l’aspetto più profondo del principio di causa
ed effetto.
Così, quando parliamo dell’unico oceano di spirito-energia, stiamo alludendo a ciò che per noi
non è una mera teoria speculativa, ma un fatto tangibile da essere preso e applicato in ogni processo
di comunione che dobbiamo iniziare a concepire. Questa è la prima cosa da realizzare.
Ecco la seconda: man mano che ti allontani dalla terra e sali, non incontrerai nessuna
interruzione tra una sfera e l’altra. Sappiamo dell’abisso di cui parla il Libro Sacro. Ma non è un
vuoto, esso ha un fondo. Per di più non si trova fra la terra e la nostra sfera, è un luogo a parte, fuori
dalla linea di ascesa.
Salendo ti accorgi che ogni sfera è unita alla successiva da una specie di zona di confine. In tal
modo chi passa dall’una all’altra non subisce scosse e turbamenti. Noterai comunque che ciascuna
sfera è distinta e diversa dalle altre. Neppure la zona di confine fra due sfere è una terra neutrale, ma
partecipa delle qualità di entrambe. Perciò non esiste un vuoto o un’interruzione, ma un’effettiva e
continua gradualità per tutto il tragitto. Da queste due premesse dedurrai, senza troppa fatica, che
noi siamo potenzialmente in diretta comunicazione con te. E ora ti spiegheremo come viene usato
questo metodo di comunione.
Ci sono molte finestre per accedere a questa casa, e ciascuna viene adoperata. Ma tre sono i
metodi da mettere in evidenza utili a capire gli altri.
Esiste il metodo della continua registrazione, in cui gli operatori più vicini a te passano
messaggi e rapporti ai colleghi della sfera sopra, i quali proseguono l’operazione finchè il
messaggio giunge alla sua destinazione dove verrà opportunamente trattato. Ciò avviene
rapidamente – anche se nel suo viaggio attraverso i cieli ogni messaggio viene esaminato
minuziosamente e se ne estrae la parte adatta ai lavoratori di quella particolare sfera in modo da
elaborare una risposta. I messaggi degli uomini operosi e devoti della terra sono filtrati e resi idonei
per essere trasmessi nei reami superiori. Senza un processo di raffinazione, la loro grossolanità
materiale eserciterebbe un tale peso che la nobiltà del contenuto non sarebbe sufficiente ad elevarsi
fino alle sfere dov’è opportuno che vadano. Non proseguirò oltre – ho delineato a sufficienza questo
metodo, e passo a descriverti il prossimo.
Potremmo chiamarlo metodo diretto. Alcuni fra voi, che sono stati prescelti per svolgere compiti
speciali o ruoli di comando, hanno delle guide nelle sfere superiori. Alcune di queste guide sono
angeli molto luminosi e progrediti, la cui dimora è lontanissima dai mondi confinanti con la terra.
Essi non possono sempre discendere al livello degli individui di cui sono responsabili perché, pur
essendo elevati non sono onnipotenti, e scendere sulla terra richiede un eccessivo dispendio di
energia, tenendo conto che sono costretti a conformarsi alle sfere che attraversano, e che in ogni
sfera devono adattarsi a una nuova condizione fino alla terra. Lo fanno di tanto in tanto, anche se
non così raramente, quando è in corso un’azione che richiede garanzia di riuscita. Noi siamo sempre

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attenti a non sprecare energia, perché abbiamo molto da fare per soccorrere gli altri, e non siamo
prodighi nello spendere neanche ciò che costituisce una riserva infinita. Di solito il nostro lavoro
riesce meglio col metodo della comunione diretta.
Per stabilirla creiamo una specie di telefono o telegrafo – come dite voi – una corda di
vibrazioni e pulsazioni fra noi e voi, formata dalla vitalità combinata della guida e di chi è guidato.
Uso parole che non amo molto, ma non riesco a trovarne altre nel tuo cervello, così ci
accontenteremo di queste. Mi riferisco a parole come “formata”, “vitalità” e consimili. È un metodo
che consente un rapporto di rispondenza continuo e sostenuto.
È come il sistema dei nervi fra il corpo e il cervello: sempre potenzialmente attivo ogni qual
volta insorga il bisogno di dare aiuto. Ogni volta che l’amato rivolge un pensiero o un desiderio alla
sua lontana guida, questa ne è immediatamente consapevole e risponde nel modo che giudica
migliore.
C’è un terzo metodo, più complicato di quelli che ti ho descritto brevemente. Lo si potrebbe
chiamare metodo universale, un nome poco adatto, ma utile allo scopo. Nel primo procedimento il
flusso di pensiero, passando dalla terra a mondi più o meno lontani, viene trattato e modificato in
ciascuna sfera durante il suo itinerario, come un continuo passaggio di corrispondenza attraverso i
continenti – solo che qui non si fanno cambi di cavalli o soste lungo la strada. Nel metodo
successivo, la linea è sempre aperta e sempre in tensione, come un telefono che usa l’elettricità; è
una linea diretta fra l’uomo sulla terra e la guida nella sua sfera. Il terzo processo si distingue dagli
altri due. Per suo mezzo ogni pensiero e azione dell’uomo vengono registrati nei cieli, e possono
essere letti occasionalmente da coloro che sono capaci di farlo. Le registrazioni sono reali e
permanenti, ma la loro forma e come vengono create ci è impossibile spiegarlo. Se nella descrizione
dei primi due metodi il significato delle parole è stato forzato, qui vengono a mancare del tutto. Ti
dico solo questo: tutti i pensieri di un uomo hanno un’attuazione e un effetto universale. Chiamalo
etere, o come vuoi, ma il fluido che pervade queste sfere è fatto di una sostanza così sensibile,
compatta e continua che se lo sfiori con un soffio a un’estremità dell’universo, l’effetto viene
registrato nell’estremità opposta. Qui, di nuovo, “estremità” non è la parola giusta da usare; il
significato che gli attribuite voi non ha alcun senso da noi. Anche se in modo poco convincente,
cerco ora d’indicarti qualcosa del suo portento attraverso ciò che il Cristo Salvatore intendeva dire
quando, più parsimonioso di me, non attribuì alcun nome al metodo in esame, ma ne parlò
solamente per come viene visto operare, in questo modo: “Non muore un solo capello sul vostro
capo, né un solo passero cade dal suo nido senza che il Padre Onnipotente non lo sappia.”

IL SACRAMENTO DEL CORPO E DEL SANGUE DI CRISTO

Martedì 4 dicembre, 1917.


5.20-6.30 p.m.
Sii felice, amico, di scrivere quanto siamo capaci di trasferire nella tua mente, e non mettere in
dubbio che provenga da noi. Sappi che se da una parte manteniamo tenacemente la presa su di te
mentre scrivi, dall’altra non permettiamo che altri si approprino del nostro resoconto per loro
tornaconto. Sappiamo come fare, perché abbiamo imposto a te e a noi una lunga preparazione,
prima di comunicarti il nostro volere con l’aiuto della nostra giovane amica Kathleen.
Stasera parleremo dei Sacramenti del Cristianesimo, che dovrebbero essere degni della massima
attenzione e interesse per quelli che professano il Nome di Cristo come loro Maestro. Il Corpo e il
Sangue di Cristo è un sacramento costante nella vita di un Cristiano. È formato da molti aspetti che
riguardano l’aiuto offerto e l’insegnamento, e ora desideriamo parlarti di questo Sacramento. In
primo luogo riguardo alla sua origine. Ricorderai, in base alle scritture rimaste, che sono molto più
numerose le cose non scritte rispetto a quelle giunte a voi dalle epoche passate. Anche una veloce
lettura lo confermerà. Persino quei resoconti, benché conformi fra loro negli elementi principali,
non lo sono completamente nei punti minori. Devi sapere che questi scritti sono solo alcuni fra i
tanti. Gli altri sono stati distrutti o temporaneamente perduti, ma un giorno verranno nuovamente
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alla luce. Noi conserviamo tutti i documenti e li abbiamo studiati, e su quello studio basiamo ora i
nostri discorsi.
Il Maestro Gesù era ormai prossimo a passare dallo stato incarnato a quello disincarnato. Ne era
consapevole, e dopo essersi riunito con il gruppo dei Dodici, trasmise loro il Rito della
Rimembranza e della Comunione con cui essi e i loro seguaci potevano, di tanto in tanto e per
sempre, intensificare il contatto con Lui, estraendo la Vita di cui Lui Stesso è la riserva. Ripensa ai
tre metodi di comunione sopra descritti, e vedrai che il vibrante e pulsante flusso vitale che scende
da Lui a voi è talmente sensibile che il più lieve disturbo nel sistema delle vibrazioni, le cui speciali
qualità permangono e si estendono fino ai confini del Suo Regno, causerà un effetto così marcato
alla sua Fonte centrale da provocare una risposta immediata. Nulla vi è nell’economia del mondo
terreno di tale enorme intensità e velocità da poter paragonare a ciò che intendiamo. Ci basti
ricordare che maggiore è la velocità di una serie di particelle in movimento, maggiore sarà il
disturbo arrecato al loro assetto e direzione da parte di qualsiasi influsso penetri nel loro sistema.
Ciò è analogo a quanto intendiamo dirti della corrente di forza vitale che, procedendo dal Padre,
viene catturata dal Cristo, permeata della Sua qualità vitale e proiettata all’esterno in onde irradianti
verso la circonferenza e il confine del Suo Regno. Il disturbo, in tal caso, è creato dall’offerta
volontaria del Pane e del Vino, eseguita con parole d’invocazione nel Rito della Comunione che
Egli diede. Al pronunziamento della preghiera, questa corrente vitale viene diretta sugli elementi
assunti nell’offerta davanti all’assemblea riunita, ed essi si consustanziano con la Sua Vita
diventando, come Egli disse, il Suo Corpo e il Suo Sangue. La formula della preghiera che usi non è
solo un’invocazione, ma anche l’assenso dei presenti riuniti a ricevere la Sua Vita. Senza tale
consenso nessuna benedizione può essere mai riversata sugli uomini. Non importa che l’assenso sia
silenzioso. È lo spirito l’origine di quelle pulsazioni responsive che si lanciano avanti a incontrare il
flusso della Sua Vita che discende verso la terra e, incrociando la corrente di Cristo si fondono
assieme – come quelli che vennero da Salem per incontrarlo mentre Egli si dirigeva verso città oltre
il Monte degli Ulivi. Ma per l’impeto maggiore dalla corrente da Lui propagata, sono risospinte
indietro e, unite come un solo torrente, ricadono a fiotti sulla congregazione da cui partì il primo
impulso invocante.
Quindi la benedizione è triplice. Prima, la comunione dello spirito con lo Spirito – quella dei
devoti col loro Maestro e Signore. Secondo – il risveglio a maggior vigore e salute del loro
involucro spirituale, l’anima. E terzo, sempre procedendo verso l’esterno, l’effetto naturale di quei
processi: il trasferimento della vitalità interna nel rivestimento esterno, il corpo materiale.
Questa è la fase che possiamo chiamare vitalizzazione o risveglio dell’intero Corpo di Cristo in
ogni singolo membro, e avviene perché la Sua Vita partendo dalla Fonte Centrale è trasmessa per
mezzo del rituale della messa fino alla circonferenza.
C’è un altro aspetto di questo Sacramento che discuteremo, anche se brevemente. Non sarebbe
di alcun profitto tentare di darti una descrizione completa del suo significato. Non capiresti le parole
che saremmo costretti a usare, e nessuna delle tue è adatta al nostro proposito. È qualcosa che
supera di molto le sfere dove le lingue della terra sono ancora ricordate, e si comunica nel suo
profondo mistero solo nelle espressioni proprie dei Mondi più sublimi, vicini al piano del Cristo.
Come Egli disse, due oggetti comuni di origine materiale, il Pane e il Vino, giungono ad essere
il Suo Corpo e il Suo Sangue. Fanno parte di Colui che proferì quelle parole. Gli uomini hanno
chiesto in che modo poteva essere così, quando in quell’importante occasione Lui Stesso era ancora
presente in un Corpo di carne, ossa e sangue. Tuttavia, ogni uomo – di continuo, per tutta la vita e in
modo costante – trasferisce qualcosa di sé agli oggetti che lo circondano. Non c’è un solo abito che
non sia segnato con l’impronta della personalità di chi lo ha indossato. Non c’è oggetto che tocchi,
né casa che abiti in cui l’uomo non lasci la sua indelebile qualità, che può essere letta da chi è
capace di farlo.
Come quando diede la Sua forza vivificante al malato e allo zoppo in Giudea e in Galilea;
quando soffiò il Suo potere spirituale sugli Apostoli che furono infusi della Sua Vita, così riversò sul
Pane e sul Vino la Sua corrente vitale facendoli diventare davvero il Suo Corpo e il Suo Sangue.

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Anche oggi è così. Poiché Egli non offrì un dono così grande per ritirarlo tanto presto dopo che
l’ultimo pasto fu consumato e il Suo Corpo messo in Croce. No, la Fonte di quel torrente di vita
operante sul Pane e sul Vino, sugli Apostoli e sui corpi degli uomini, non fu il Corpo di carne che
Lo rivestì per brevissimo tempo e che lasciò cadere come un mantello consunto dal tempo. E
neppure fu il Corpo di sostanza spirituale, tramite cui non fece altro che far fluire l’energia, come
attraverso una conduttura dall’acquedotto nelle cisterne di una città. Quella Fonte era ed è lo Spirito
Stesso, il Cristo, non importa se nel Corpo di carne o disincarnato, poiché queste condizioni non
contano nulla quando si tratta di forza e potere spirituali, eccetto che per il modo in cui si
manifestano. L’essere interiore resta immutato, qualunque forma possa assumere per apparire.
Perciò è giusto dire che il Pane e il Vino dell’ultima cena, per Suo desiderio e volontà,
divennero depositari della Sua forza vitale, mutandosi così nel Corpo e nel Sangue di Cristo.
L’attuale assenza di quel Corpo materiale è lungi dal costituire un impedimento, sarebbe quasi più
vero dire che rende più facile e diretta una simile operazione da parte Sua, proprio perché viene a
mancare un intermediario. In ogni caso si può dire, a ragione del vero, che la mancanza del Corpo
di carne non ostacola il flusso di vita che giunge da Lui alle sostanze del Pane e del Vino.
Quando perciò il Ministro del Culto, il Sacerdote, raccoglie il consenso della congregazione e
depone il Corpo e il Sangue sul Tavolo, si appella al Sacrificio di Colui che oggi vive in altissimi
cieli. Così facendo, egli in sostanza pone la sua mano sul cuore del Signore e, guardando in quei
Reami ove dimorano Angeli sovrani, guarda il volto del Padre e implora l’Amore e la fedeltà di Suo
Figlio per il bene della povera umanità, affinché tutti gli uomini possano diventare splendidi come
Lui. E se il sacerdote è di mente semplice e ha il cuore di un bambino del Regno di Dio, sentirà
sotto la sua mano il quieto ma intenso battito dell’unico incessante Cuore del Cristianesimo
moderno. Saprà che se agirà superando le proprie debolezze, la Vita che sgorga interiormente ne
sarà rinvigorita, e ogni supplica rivolta al Signore non resterà inascoltata in quella Sfera luminosa di
elevatissima purezza ed estatica santità; e come Egli promise così è pronto a mantenere, e il Suo
Cuore, sospirando, emetterà una preghiera, cosicché, per amor Suo, le vostre preghiere saranno ben
accette.

IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO

Mercoledì 5 dicembre, 1917.


5.15-6.10 p.m.
Ieri sera, amico mio, abbiamo trattato in special modo il Sacramento più importante per i fedeli.
Oggi diremo qualcosa dei sacramenti minori, del significato che assumono per noi e di come
influiscono sulla vita di coloro che eleggono il Cristo come loro Guida e Sovrano. Usiamo la parola
“Sacramento” non in senso strettamente religioso che è limitante, ma per come lo intendiamo in
questi Reami, dove osserviamo gli effetti del potere e della forza vitale da una posizione più
prossima alla loro Fonte.
In primo luogo parliamo del Matrimonio come dell’unione di due personalità in grado di
procreare. La gente ritiene che il sesso debba necessariamente far parte dell’ordinario corso delle
cose, e che trovi il suo compimento nell’unione di maschio e femmina. Eppure non era affatto
indispensabile che fosse così, l’umanità poteva essere ermafrodita. Ma in tempi lontani, prima degli
inizi di quest’era della materia, quando i Figli di Dio erano forme in evoluzione, in ideale
concepimento, essi si consultarono e decretarono che una delle leggi necessarie a guidare la loro
opera futura dovesse essere non tanto una divisione della razza in due sessi, come asseriscono gli
uomini e la filosofia terrena, quanto piuttosto che il sesso divenisse uno dei nuovi elementi
costitutivi nel futuro processo evolutivo dell’essere, quando quest’ultimo fosse stato pronto a
entrare nella materia e assumere forma. La personalità venne prima della forma. Ma la forma ha
dotato la personalità di individualità, così il fattore personalità, con l’evoluzione della forma
concreta, ha dato vita al suo complemento: le persone. E come da un unico elemento sono risultate

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le persone, così il sesso è un’unità composta di due generi. Uomo e donna formano un unico sesso,
come il sangue e la carne formano un solo corpo.
Per quanto possiamo capire, la ragione per cui gli Eccelsi Signori presero tale decisione fu per
consentire all’umanità di conoscere se stessa nel modo migliore. È un grande mistero di cui noi non
possediamo la chiave per dischiuderlo interamente, neanche qui. Ma capiamo che nella creazione
dei due elementi, maschio e femmina, fu reso più semplice il processo tramite cui la razza umana
potrà alla fine comprendere l’Unità dalla quale proviene, e verso la quale nuovamente si volgerà
quando calcherà la via ascendente che dalla materia porta allo spirito.
I due grandi principi contenuti nell’Unità Divina furono resi manifesti come due cose separate,
in modo da poter essere studiati nei particolari da coloro che non erano in grado di indagarli come
Unità.
E quando l’uomo pensa alla donna non fa altro che aprirsi a una comprensione maggiore di una
parte di se stesso, e la stessa cosa vale per la donna quando riflette sull’uomo. Poiché i due elementi
non erano separati nelle epoche di sviluppo che precedettero l’attuale era di materia e forma, di
conseguenza saranno di nuovo uniti nelle ere a venire.
Affinché l’essenziale unità dell’essere, sperimentata in quel remoto passato, fosse riconquistata
nelle epoche future, era necessario che entrambi gli elementi fossero inclusi in ogni individuo
destinato ad essere un esemplare dell’intera razza umana. Così si sviluppò il matrimonio, che
rappresenta il punto di svolta per il destino dell’umanità.
Da quando venne emanato dal Cuore del Supremo il primo “fiat” di quel movimento che diede
luogo a una serie di eoni di evoluzione, l’unica nota dominante che risuonava nel cosmo è stata lo
sviluppo delle diversità, fin quando non apparvero, uno dopo l’altro nell’oceano dell’esistenza, i
principi della personalità – l’individualità e la forma. L’ultimo e più estremo atto di differenziazione
fu la creazione dei due aspetti della facoltà riproduttiva, che chiamate sesso. Quello fu l’apice del
processo di diversificazione – di principio e di fatto.
Quando i due si unirono di nuovo, allora l’impulso riflesso stimolò la spinta propulsiva
dell’evoluzione e il primo passo per ritornare all’Unità dell’Essere, che è Dio, venne compiuto.
Così dalla fusione dei due elementi, nello spirito e nel corpo, ne nacque un Terzo che riunisce in
Sé i due principi in una sola Persona. Il Signore Gesù era il Figlio perfetto del genere umano e la
Sua natura, dal punto di vista spirituale, è l’unione delle virtù maschili e femminili equamente
ripartite.
Questa grande legge è vera anche da un punto di vista fisico, perché nel petto l’uomo porta il
segno gemello della sua antica natura femminile, e i fisiologi ti diranno che una simile
corrispondenza non manca nell’altra metà, che con lui forma l’unità completa del genere umano.
Con questa esperienza dei due unificati in uno, in ere future e in mondi superiori di progresso
verso lo stato di compiutezza dell’Essere, l’essere umano perfezionato giungerà a comprendere
come sia possibile che, amando il prossimo e donando con abnegazione, egli, proprio a causa di
quell’abnegazione, finisca per amare ancor più se stesso ed essere ancor più generoso verso di sé, e
imparerà che più disdegna la propria vita, più la ritrova in quelle sfere luminose ed eterne. Tu sai
Chi insegnò questo, ed Egli non parlava di cose bizzarre né dell’applicazione sperimentale di
qualche principio. Tu e noi, amico, stiamo ancora imparando questa sublime lezione, ma abbiamo
molta strada da fare prima di comprenderla appieno. Egli invece l’ha già realizzata.

IL SACRAMENTO DELLA MORTE

Giovedì 6 dicembre, 1917.


5.15-6.10 p.m.
L’argomento di ieri è stato trattato in maniera succinta e non esaustiva. Non è possibile dirti
tutto, nemmeno delle cose che ci è consentito parlare, e servirebbe solo a rendere più voluminoso il
libro. Inoltre faremmo un cattivo servizio non lasciandoti abbastanza spazio per esercitare la tua
mente a penetrare il vero significato delle cose. Ti diamo quel tanto di grano con cui puoi fare il tuo
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pane. Se trovi buono questo cibo, allora germoglierà più grano per te; tu trebbialo, macinalo poi
impastalo, e più a lungo conserverai ciò che hai ottenuto, maggiore sarà il beneficio tuo e degli altri
che leggeranno il nostro scritto. Aggiungiamo qualcos’altro.
Quando dicemmo che il matrimonio era il punto di svolta nel ciclo evolutivo dell’essere,
parlavamo in senso ampio e non dettagliato. Ora entreremo nel dettaglio trattando specialmente del
frutto del matrimonio, l’unità umana, maschio o femmina che sia. Questi nasce, se ci pensi, da un
quadruplice elemento: l’elemento maschile e femminile del padre, e l’elemento maschile e
femminile della madre.
Nel padre domina l’espressione della mascolinità, nella madre la femminilità. Incorporando
questi quattro elementi nella persona unificata del figlio, ovvero i quattro aspetti di un solo
elemento, o più esattamente i due aspetti più altri due sotto-aspetti di un solo ente, c’è prima
molteplicità poi di nuovo unione di alcune di queste differenziazioni, che sono l’espressione
esteriore del principio spirituale del sesso. Così, questo figlio delle epoche passate, comincia a
vivere la sua vita e guarda avanti alle ere future.
Vedo che sei in attesa di un discorso sul Battesimo e il suo complemento, la Confermazione o
Cresima. Libera la tua mente, amico mio, e consentici di procedere insieme a te lungo la strada che
abbiamo tracciato e, col tuo beneplacito, saremo forse in grado di aiutarti meglio se non sarai tu a
stabilire la rotta che dovremmo percorrere. Le nostre carte nautiche sono tutte segnate e pronte.
Scrivi dunque i pensieri che ti mandiamo e non lasciare che la tua mente s’aggrappi a idee destinate
alla sera o all’indomani. Noi desideriamo che la tua mente resti libera per non dover essere costretti
a deviare i promontori o a muoverci con prudenza in strettoie perigliose. Allora faremo meglio a
procedere sulla nostra rotta, e meno bene a seguire la tua.
Mi dispiace. Sì, mi aspettavo di sentirvi parlare del Battesimo. Mi sembra piuttosto strano
l’ordine che avete dato ai Sacramenti – la Santa Comunione, poi il Matrimonio. Dunque, signore,
qual è il prossimo?
Il Sacramento della Morte, amico, e capisco che ti sorprenda. Ma cosa sarebbe la vita senza
sorprese! Esse sono come le stagioni dell’anno e servono a mettere in luce che l’indolenza non fa
progredire. Mentre il progresso è l’unico grande obiettivo nell’Universo di Dio.
Voi non avete considerato la Morte come un sacramento. Mentre per noi Nascita e Morte sono
veri e propri Sacramenti. Se il Matrimonio viene giustamente ritenuto tale, la Nascita segue
naturalmente nello stesso gruppo, e la Morte non è altro che la Nascita nel suo prolungamento fino
alla consumazione. Alla nascita il bambino esce dalle tenebre alla luce del giorno. Alla morte nasce
nella luce maggiore dei Cieli divini – né più né meno. Quando nasce, al fanciullo è concessa libertà
nell’Impero del Signore. Al Battesimo viene ammesso nel Regno del Figlio di Dio. Con la morte si
libera di quei Reami per i quali ricevette gli insegnamenti atti a renderlo idoneo al Servizio nella
parte del Regno che risiede sulla terra.
Con la nascita diventa un uomo. Col Battesimo realizza la sua umanità prendendo servizio sotto
il vessillo del suo Sovrano. Con la morte entra in un servizio più ampio: c’è chi ha agito bene come
veterano provetto e ha coltivato lealtà e bontà; chi ha fatto meglio come ufficiale al comando, e chi
si è elevato su tutti come Signore al governo.
Perciò con la morte nulla finisce, ma si porta avanti ciò che si è cominciato. E poiché la morte
sta fra la fase della vita terrena e la vita sovramundana, è un evento da curare come sacro; è una
transizione che congiunge le due sponde, quindi è un Sacramento, per come noi usiamo e
intendiamo quella parola.
In fin dei conti abbiamo parlato anche del Battesimo, e se non ci soffermiamo non è, credimi,
perché non comprendiamo la sua grande importanza nella carriera di un servo di Cristo, ma perché
abbiamo altre cose da dirti e non vogliamo perdere tempo su argomenti che conosci bene. Ancora
poche parole sul Sacramento della Morte, e per oggi avremo finito: vedo che hai un’altro lavoro da
svolgere.
Quando per un uomo si avvicina l’ora di cambiare sfera, nel suo essere avviene un
riassemblamento degli elementi che sono stati raccolti e generati durante la vita terrena. Sono

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particelle residue di esperienze vissute – speranze, propositi, aspirazioni, amore e altre espressioni
dell’autentico valore interiore dell’uomo. Per l’economia del suo essere, queste particelle sono
disperse nell’ambiente circostante, e sono esterne a lui. Ma con l’avvicinarsi del cambiamento
vengono tutte attirate e riunite nella sua anima, e allora l’anima si separa premurosamente
dall’involucro materiale e resta libera, diventando a sua volta il corpo dell’uomo per la prossima
fase di progresso nei Cieli divini.
A volte però la morte arriva con uno shock e nel tempo di un attimo. L’anima allora non riesce a
completare il suo lavoro per essere vigorosa e in perfette condizioni per proseguire. Perciò è
necessario ritardare il progresso finchè gli elementi suddetti non sono stati richiamati dal corpo
materiale e debitamente incorporati in quello spirituale. In realtà, finchè questo non avviene in
modo corretto e completo, l’uomo non nasce come si conviene nello spirito. È come una nascita
prematura nella vita terrena, il neonato è allora debole e gracile, e solo col tempo si fortifica
allorché recupera le forze che gli mancavano quando venne al mondo.
Così diciamo che la Morte è un Sacramento, e in effetti è davvero sacra. Alcuni della vostra
razza – che, per inciso, sono più numerosi di quanto pensate – si sono liberati dei loro corpi terreni
senza subire quella lentissima decomposizione che rappresenta la fine agli occhi degli uomini. Ma
in entrambi i casi l’atto essenziale è identico. E perché alla morte fosse attribuito il dovuto rispetto
nella sua forma più comune, il Signore della Vita non ebbe alcuna esitazione a passare da quella
porta per entrare nella vita eterna, e con la Sua morte dimostrò che, qualunque forma e valore abbia
per gli uomini, la morte è un processo naturale che l’umanità compie spingendosi verso tratti più
alti del Fiume della Vita che sgorga dal Cuore di Dio.

LA BARRIERA DI CONFINE –
DUE GIOVANI COMMILITONI: L’ARRIVO E L’INCONTRO

Venerdì 7 dicembre, 1917.


5.20-6.55 p.m.
Dal velo scuro che avvolge la sfera terrena, da cui deve penetrare chi vuole raggiungervi dai
reami luminosi, emerge un continuo flusso di gente che, varcata la Valle del Conflitto, arriva in
questi bei campi soleggiati, dove trova una pace raramente conosciuta dagli abitanti della terra. Non
parliamo ora di quelli che mancano di realizzare il loro alto destino, ma di coloro che cercando di
sondare il senso dell’Esistenza e d’intuire qual è il loro destino e ruolo, hanno costruito il proprio
percorso terreno con la bussola dell’Amore. Questi hanno riconosciuto che sopra l’oscurità e le
incertezze del tramonto, splende un sole di Rettitudine, Giustizia e Amore.
Costoro arrivano qui pronti, in qualche misura, a rettificare ciò che appariva sbagliato e hanno
fiducia in chi li ha aiutati a guidare i loro passi incerti per evitare che inciampassero rovinosamente
o perdessero la strada del loro pellegrinaggio alla Città celeste. Per lo più è così. Tuttavia ci sono
alcuni, pochissimi, che non alzano gli occhi con sorpresa e meraviglia davanti alla maggiore
bellezza e serenità della pace, che nella loro immaginazione vedono come il ritratto di una persona
vivente, il cui disegno piatto di luci e ombre cerca invano di emulare la vita pulsante dell’originale.
Certo, sono convinto di tutto questo, Leader * … così ti chiamano, mi dice Kathleen. Tuttavia
potresti farmi un esempio? Intendo dire un’esperienza personale, facile da capire.
È difficile scegliere fra tanti esempi. Tuttavia ti racconteremo di un caso recente. Non fa parte
dei compiti della nostra squadra avvicinarsi alla zona di confine e condurre alla loro dimora la gente
che vi giunge. Però siamo sempre in contatto con chi svolge questo lavoro, e la loro esperienza è
fonte di arricchimento per noi. Ti parlerò di un giovane che di recente ha oltrepassato il muro ed è
stato trovato disteso in un prato sul ciglio della strada.
Ti dispiace spiegarmi cosa intendi dire con muro?

*
Vedi nota a piè di pagina, pag. 26.
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Nel tuo regno di materia un muro è fatto di pietre o mattoni, diciamo. La pietra con cui è
costruito il muro non è solida nel senso di essere completamente dura e compatta. Ogni particella
che forma la pietra è in movimento, anche la vostra scienza lo ha scoperto da poco. E le particelle
stesse sono create da un moto più denso dell’etere, come chiamate l’elemento dentro cui fluttuano.
Il movimento deriva dalla volontà, e la volontà è messa in moto da una personalità. Perciò
considerando il processo in senso inverso, abbiamo: una persona o un gruppo di persone che
concentrano la loro volontà sull’etere e lo pongono in vibrazione, da quella vibrazione scaturiscono
particelle. Queste, inoltre, sotto l’influsso della volontà di altri gruppi – di gerarchie, se vuoi –
aderiscono tra loro in forma più o meno densa, e il risultato è l’acqua, la pietra o il legno. Perciò
ogni tipo di materia non è altro che la manifestazione esteriore di una personalità, e varia nella
composizione e nella densità in base al tipo di personalità che, agendo singolarmente o in gruppo
col continuo esercizio della volontà, produce una manifestazione adeguata al suo livello.
Qui vale un sistema di leggi che operano in maniera molto simile a quello che ti abbiamo
appena descritto come vigente tra i Regni spirituali e la vostra economia della materia.
Il muro di cui parliamo è prodotto e mantenuto nella sua posizione dalla forza di volontà
inerente la sfera terrena e in essa operante. Quando questa impatta sul nostro lato con la forza di
volontà propria delle Sfere sovramundane, e in esse operante, viene respinta e si condensa in un
muro cha ha un definito spessore e una consistenza palpabile per noi, che abbiamo una natura più
sensibile e raffinata, mentre per voi incarnati, dentro corpi di sostanza grossolana, è riconoscibile
solo come uno stato mentale di impenetrabile densità, che descrivete come una nuvola di
confusione, una nebbia spirituale o altri nomi.
Quando diciamo che il muro è prodotto dalla volontà degli uomini della terra, parliamo in senso
letterale della facoltà creativa dello spirito. Lo spirito è sempre creativo, e voi nella carne siete
spiriti: ognuno di voi è una scintilla dello Spirito universale, esattamente come noi. Questa nube di
vapore, quindi, che provenendo dalla terra s’infrange contro il nostro Confine, è una creazione
spirituale, proprio come quella che continuamente gli va incontro dai Reami sovramundani e la
tiene stabile al suo posto. Non è di natura o specie diversa, ha solo un diverso grado di densità.
Dunque il muro è creato dall’incontro fra superiore e inferiore, e in misura proporzionale
all’aumentare o diminuire dell’intensità dell’uno o dell’altro, esso avanza o retrocede verso la terra.
Ma è quasi sempre fermo al suo posto, e mai lontano dalla sua posizione consueta.
Con la tua domanda, amico mio, ci hai imposto il gravoso compito di dover spiegare in termini
terreni un argomento che è ancora lontano dalle indagini della vostra scienza moderna. Un giorno
quando la scienza avrà esteso i suoi confini ai regni celesti, qualcuno di voi sarà capace, forse, con
parole più familiari, di rendere semplice e chiaro ciò che noi abbiamo trovato faticoso mettere per
iscritto.
Penso di aver colto l’idea generale. Comunque, grazie per lo sforzo.
Così trovarono il giovane disteso sull’erba accanto al cancello da cui era entrato, portato da
quelli che lo avevano accompagnato fin lì. Ben presto aprì gli occhi, si guardò attorno pieno di
meraviglia e, quando ebbe abituato la vista alla nuova luce, riuscì a vedere le persone giunte per
condurlo alla seconda tappa del suo viaggio, nella sua nuova casa. La prima domanda che pose fu
alquanto bizzarra. Chiese: “Sapreste dirmi dov’è il mio gattino? L’ho forse perduto?”.
Una guida rispose: “Sì, ragazzo mio, temo proprio di sì. Ma noi possiamo regalarti un gattino
più bello e adatto a questo posto”. Il giovane stava per replicare, quando notò l’aspetto del
paesaggio e disse: “Chi mi ha portato qui? Non ricordo questo luogo. Non è come il posto in cui mi
hanno colpito”. Allora spalancò gli occhi e con un filo di voce chiese: “Dimmi signore sono forse
passato nell’altro mondo?”.
“È così, ragazzo mio”, fu la risposta, “sei nell’altro mondo. Ma non molti se ne rendono conto
così presto. Ti abbiamo osservato per tutto il tempo, ti abbiamo visto crescere, svolgere il tuo lavoro
d’ufficio, entrare nel campo di addestramento e prestare servizio nell’esercito fino a quando non
fosti ferito a morte. Sappiamo che hai cercato di fare ciò che ritenevi giusto. In generale, anche se
non sempre, hai seguito la via superiore, e ora ti faremo vedere la tua casa”.

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Rimase silenzioso qualche minuto, poi disse: “Posso fare delle domande, o è contro le regole?”.
“No, chiedi pure, siamo qui per risponderti”.
“Bene, fosti tu signore a venire da me una notte quand’ero di guardia a parlarmi della mia
imminente dipartita per l’altro mondo?”.
“No, non fu nessuno dei presenti. Ma un altro che ora ti attende poco più avanti sulla via. E se
sei forte abbastanza ti porteremo da lui. Cerca di alzarti e prova a camminare”.
Si alzò subito e si mise sull’attenti, per via dell’abitudine che aveva assunto nella vita terrena;
ma la guida sorridendo gli disse: “Mio caro ragazzo, tutto questo appartiene al passato. La
disciplina qui è molto diversa da quella che hai conosciuto finora. Consideraci tuoi amici, e vieni
con noi adesso. Riceverai degli ordini e obbedirai, ma non è ancora tempo. Quando sarà il
momento, riceverai ordini da gente superiore a noi, e obbedirai non perché temi il rimprovero, ma
per la forza del tuo amore”.
Rispose solo: “Grazie, signore”, e s’incamminò con loro in silenzio e meditando profondamente
su quanto gli era stato detto, e sulla singolare bellezza del suo nuovo paese.
Percorsero un sentiero in salita e, superata la cima della collina, scesero sull’altro versante che
era interamente ricoperto da un bosco di alberi enormi e bellissimi, ricoperto di fiori ai bordi del
sentiero, e con tanti uccellini canterini nel fogliame verde-oro. E là, su un tumulo di terra, sedeva un
altro giovane che vedendo la comitiva procedere verso di lui si alzò e gli andò incontro. Dopo aver
raggiunto il giovane soldato, gli mise un braccio sulle spalle camminando accanto a lui in silenzio,
anche l’altro rimase silenzioso.
All’improvviso il giovane soldato si fermò, spostò il braccio dell’altro e si girò verso di lui
fissandolo attentamente. Allora un sorriso illuminò il suo volto, prese entrambe le mani dell’amico e
disse: “Ma guarda, Charlie, chi l’avrebbe mai detto? Quindi alla fine non ce l’hai fatta”.
“No, Jock, grazie a Dio. Andai all’altro mondo quella notte, e in seguito mi lasciarono venire da
te per starti vicino. Ti ho accompagnato quasi ovunque, e feci il possibile per darti conforto. Poi mi
dissero che presto saresti venuto anche tu. Allora ho pensato che dovevo fartelo sapere. Mi sono
ricordato delle tue parole quando cercasti di tirarmi fuori dalle trincee nemiche per riportarmi dai
nostri, dopo che fui ferito al collo. E così ho atteso che fossi tranquillo e da solo, e ho tentato di fare
il possibile. Solo più tardi ho saputo che ero riuscito a farmi vedere da te, e a farti udire
parzialmente le mie parole circa il tuo venire all’altro mondo”.
“Ah sì, adesso si dice ‘venire’ e non ‘andare all’altro mondo’, non è vero?”.
“Questo è l’attuale stato delle cose, mio vecchio amico. E ora posso ringraziarti per ciò che hai
cercato di fare per me quel giorno”.
Così i due amici si portarono alla testa del gruppo, che rallentò la sua marcia per farli passare
avanti. E parlando con gergo familiare, com’erano soliti fare, espressero la loro amicizia reciproca.
Abbiamo scelto questo episodio per mostrarti alcune cose, fra cui le seguenti.
Nessun atto passa mai inosservato nelle sfere sovramundane. Chi compie una buona azione
viene sempre ringraziato qui da chi ne ha tratto beneficio.
Una volta giunte qui, le persone continuano a usare il linguaggio e i modi di parlare soliti di
quando erano incarnati. Alcuni di voi resterebbero scioccati nel sentire le frasi piuttosto forti che
escono dalle labbra di spiriti realmente luminosi quando rincontrano per la prima volta i loro amici
della terra. Parlo in modo particolare dei soldati che hanno combattuto la guerra, come questi due.
Qui il rango va di pari passo con il vero valore interiore, e non dipende dal ceto sociale né
dall’istruzione terrena. Di questi due, il primo arrivato era stato un manovale prima di arruolarsi, e
di famiglia povera. L’altro proveniva da una famiglia fortunata negli affari, e per alcuni anni aveva
lavorato in un ufficio commerciale preparandosi a ricoprire una posizione di responsabilità
nell’azienda di suo zio. Il loro ceto sociale non ebbe alcun valore quando uno condusse l’altro,
ferito, fuori dalle trincee nemiche. E da questo lato del velo non ha la minima importanza.
Pertanto gli amici si incontrano qui e cominciano la loro ascesa. Chi è fedele ai propri doveri
terreni è benvenuto quando raggiunge questi campi di bellezza e pace dove nessun suono della

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guerra è udito, dove nessuna ferita o dolore può penetrarvi. È il Regno della Pace dove lo stanco
viandante trova rifugio da tutte le sofferenze della terra, e la gioia di vivere abbonda.

L’ARRIVO DI UN SACERDOTE NELLA SECONDA SFERA

Lunedì 10 dicembre, 1917.


5.28-7.05 p.m.
Episodi come quello della volta scorsa non sono rari nei Reami celesti, benché possa sembrarti
strano sentir parlare di una scena di guerra terrena in questi luoghi di calma e pace. Ma la trama
della vita è intessuta di tante piccole cose, e la vita qui è vita vera. Quei due amici sono solo un
esempio, fra i tanti, di persone che si sono rincontrate in queste terre luminose e hanno rinnovato
l’amicizia nata tra gli affanni del lavoro e le apprensioni della vita terrena.
Ora parliamo di un altro incontro che servirà a illuminare quelli che dimorano sotto la cortina di
nebbia che ci separa, e che per il momento non possono penetrare a causa della loro visione
limitata. Non sarà sempre così, ma finchè i loro occhi non diventeranno più acuti, dobbiamo cercare
di aiutarli a vedere in questo modo meno diretto.
Nella Seconda Sfera a partire dalla terra, c’è una casa dove i nuovi arrivati attendono di essere
suddivisi in gruppi e trasferiti, ciascuno con la propria guida, nel luogo dove meglio possono
ricevere le loro prime istruzioni sulla vita sovramundana. È una Casa molto interessante da visitare:
vi sono riunite varie e numerose tipologie di individui, alcuni dei quali pur avendo meritato una
buona pagella nella prova terrena, non sono pienamente saldi nelle loro convinzioni e non è facile
classificarli. Bada bene, tale difficoltà non è dovuta alla mancanza di preparazione da parte dei
lavoratori di questi Reami, ma perché non sarebbe opportuno fare avanzare un novizio su un certo
sentiero se prima non è in grado di comprendere se stesso pienamente e con franchezza, riconoscere
le sue mancanze e doti, e ogni lato del suo carattere.
Così trascorrono qualche tempo in questa Casa, in tranquillità e piacevole compagnia, al fine di
eliminare parte del fervore e dell’inquietudine che portano dalla terra, ed essere capaci di valutare se
stessi e il loro ambiente con ponderazione e maggiore sicurezza.
Un membro del nostro gruppo si recò tempo fa in questa Casa per cercare un uomo giunto fin là
in siffatte condizioni. Sulla terra era stato un sacerdote, e aveva letto vari libri su ciò che chiamate
fenomeni psichici e sulla possibilità di comunicare con l’aldilà, come facciamo noi adesso. Ma non
riuscì a compiere fino in fondo la cosa giusta, temendo persino di esternare quanto nel suo cuore
sapeva essere vero e buono. Così si comportò come fanno molti suoi colleghi: mise da parte la
questione. Trovò altri modi per aiutare il prossimo, mentre quella forma di aiuto poteva restare in
sospeso fino a quando gli uomini non l’avrebbero accettata meglio; allora sarebbe stato uno dei
primi a proclamare quanto sapeva, e non si sarebbe sottratto al suo dovere in quelle circostanze.
Così avvenne che quando gli altri andavano da lui per sapere se era possibile parlare con i loro
cari estinti, e se tale fosse la volontà di Dio, egli rammentò a loro il credo cristiano nella Santa
Comunione, ma li esortò ad essere pazienti fin quando la Chiesa avesse esaminato, vagliato e
stabilito la direzione da seguire per i credenti.
Intanto che attendeva quel momento, il suo tempo sulla terra giunse al termine e fu portato in
questa Casa dove poteva fermarsi qualche tempo a riflettere sull’atteggiamento assunto circa le
varie questioni della sua vocazione e sull’uso che fece delle sue opportunità.
Il compagno di cui parlo –
Perché non mi dici il suo nome, e non risparmi le parole?
Non è un lui, ma una donna, la chiameremo “Naine”. La nostra compagna dunque si recò alla
Casa e lo trovò. Camminava da solo nel bosco lungo un viottolo coperto d’erba, circondato da
incantevoli fronde e fiori, luci e colori, e ombre di delicate sfumature; un luogo pacifico e quieto.
Cercava la solitudine per riflettere meglio sui suoi problemi.
Quando si presentò davanti a lui, l’uomo s’inchinò e fece per superarla, ma lei disse: “Amico
mio, è da te che mi hanno mandata per parlarti”.
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Lui replicò: “Chi ti ha mandato da me?”.
“L’Angelo che è responsabile davanti al nostro Maestro della tua condotta nella vita terrena”,
disse lei.
“Perché costui deve rispondere di me? Sicuramente spetta ad ognuno essere responsabile della
propria vita e del proprio lavoro – non è così?”.
Ed ella rispose: “È certamente così. Ma purtroppo qui sappiamo che non è solo così. Poiché
nulla si compie o si lascia incompiuto che coinvolga soltanto se stessi. Chi è responsabile di te fece
ripetuti sforzi per farti crescere e in parte ebbe successo, ma non pienamente. E ora che il tuo
periodo terreno si è concluso, egli ha ricapitolato la tua vita e deve rispondere di te, con sua gioia
ma anche con dolore”.
“Mi pare piuttosto ingiusto”, replicò l’uomo. “Non fa parte della mia idea di giustizia che uno
debba soffrire per le mancanze di un altro”.
Ed ella proseguì: “Tuttavia è proprio questo che insegnavi alle persone laggiù – fu la tua
comprensione dei fatti accaduti sul Calvario che comunicavi a loro. Non tutto quello che dicevi era
vero, ma solo in parte. E se condividiamo la gioia di un altro, perché non dovremo condividere
anche il suo dolore? Il tuo Angelo lo fa per te anche ora. Egli partecipa alla tua gioia e al tuo
dolore”.
“Spiegati meglio, per favore”.
“Egli si rallegra per il buon lavoro di carità che hai compiuto, poiché il tuo cuore era pervaso
d’amore per Dio e per l’uomo. Ma si addolora nel vedere che pur sapendo ciò che era tuo dovere
insegnare del Calvario, non fosti disposto a eseguirlo. Non volevi diventare lo zimbello degli
uomini ed essere umiliato dal loro disprezzo, e hai ritenuto più importante l’approvazione degli
uomini che quella di Dio. Hai sperato di poter, un giorno, comprare a un prezzo più basso la tua
ricompensa per aver gettato luce sulle tenebre, quando le tenebre della notte cominciavano a
lasciare il posto alle prime luci dell’alba. La tua debolezza, la tua mancanza di coraggiosa decisione
e di forza d’animo per sopportare l’onta e la freddezza della gente, non ti fecero vedere che il tuo
aiuto non sarebbe più stato necessario per quel tempo che attendevi; non hai visto la lotta ormai
vinta di anime più valorose, ma sei rimasto uno spettatore e osservavi la battaglia da un punto
favorevole quando altri invece combattevano, dando e ricevendo colpi duri e ben assestati, e
cadevano in battaglia senza mai arrendersi al nemico”.
“Perché mi dici tutto questo?”, domandò. “Per quale motivo sei venuta da me?”.
“Perché lui mi ha mandato”, rispose lei, “e anch’egli sarebbe voluto venire da te, ma non gli è
possibile fintanto che non sarai più risoluto e non avrai imparato a riconoscere perfettamente, nel
loro reale significato e valore, i vari fattori che hanno determinato il corso della tua esistenza
terrena”.
“Ora capisco, almeno in parte, e ti ringrazio. Sono stato dentro una nube per tutto questo tempo.
Mi sono rifugiato qui, lontano dagli altri, per cercare di comprendere la mia situazione nel modo
migliore. Sei stata piuttosto franca nel parlarmi di certe cose. Vorrai forse integrare il tuo servizio
dicendomi da dove devo cominciare?”.
“Questa è la missione che devo svolgere qui e ora. Il mio incarico prevedeva solo questo.
Dovevo sondare il tuo animo per indurti a guardare dentro te stesso e, se mostravi qualche volontà
di progresso, ero tenuta a comunicarti un messaggio – ebbene, tale volontà l’hai dimostrata adesso,
anche se poco energicamente. E questo è il messaggio del tuo Angelo guida, che ti attende per farti
avanzare quando sarai più maturo. Ti si chiede di prendere residenza in una casa nella Prima Sfera,
che ti mostrerò. Di là visiterai ogni tanto il piano terreno e assisterai quelli che sono in comunione
con i loro amici nelle sfere di luce, li aiuterai inoltre a mandare conforto e incoraggiamento agli
abitanti dei mondi più cupi, perché possano progredire nella luce e nella pace della Sua Presenza.
Fra loro ci sono anche persone che hai soccorso, e alcuni cercano di svolgere questa buona opera a
favore degli afflitti, donando e ricevendo gioia nel comunicare con i loro cari di qua. Essi cercarono
la tua guida sotto questo aspetto e tu non avesti il coraggio di dargliela. Ora va e aiutali, e quando
sarai in grado di farti riconoscere, ritratta i discorsi che facesti allora, oppure dì loro ciò che a suo

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tempo non avesti il coraggio di dire. Nel farlo proverai vergogna, ma per loro sarà una grande gioia
e ti accoglieranno con sincero calore, poiché hanno già respirato la fragranza dell’amore che emana
dai Reami più alti e luminosi della sfera in cui sei adesso. La scelta però spetta a te. Vai, o non
andare, come ti suggerisce il tuo cuore”.
Il sacerdote tenne la testa bassa, e restò in silenzio per lungo tempo, mentre Naine attendeva.
Lottò con tutte le sue forze, e non fu di poco conto per uno come lui. Poi, non riuscendo a pervenire
ad alcuna decisione, disse che avrebbe riflettuto sulle implicazioni che ciò comportava, e deciso in
seguito. Così il suo vecchio difetto della paura e dell’esitazione lo avvolsero come un mantello e gli
impedirono di proseguire, anche se lo avesse voluto. Naine allora tornò alla sua Sfera, ma senza
portare la felice risposta per cui era stata mandata.
E cosa fece l’uomo, quale decisione prese?
Dalle ultime notizie che mi sono giunte, non aveva preso alcuna decisione. È un fatto recente e
non si è ancora concluso. Non può finire fintanto che non deciderà di sua libera volontà di compiere
ciò che è tenuto a fare. Sappi che fra coloro che partecipano ai tuoi incontri di comunione, ce ne
sono molti come lui o molto simili.
Per incontri di comunione, intendi il servizio della santa comunione o le sedute spirituali?
E se dicessimo che sono di natura simile? In effetti dal punto di vista terreno sono due cose
molto diverse. Ma noi qui non giudichiamo secondo criteri mondani. Coloro che partecipano all’una
o all’altra lo fanno con un proposito identico: entrare in comunione con noi e col nostro Maestro, il
Cristo. Ciò è sufficiente per noi.
Ma torniamo al nostro sacerdote. Ti chiedi perché fu mandata una donna a svolgere quella
missione, e a ragionare con un sacerdote-teologo sul lavoro e sulla condotta della sua vita.
Risponderemo a quello che vediamo nella tua mente.
La risposta è abbastanza semplice. Nella vita terrena egli aveva una sorella che morì dopo pochi
anni di vita, mentre lui sopravvisse e divenne un uomo. Questa donna era quella bambina. Egli
l’aveva amata moltissimo, e se fosse stato in piena sintonia con la parte superiore di sé, l’avrebbe
riconosciuta in tutta la sua splendente bellezza di donna matura. Ma i suoi occhi erano impediti e la
sua vista indebolita, così ella se ne andò senza essere riconosciuta.
In verità, siamo tutti parte di una sola famiglia, uniti nella gioia e nel dolore, e dobbiamo per
forza di cose bere il calice come fece Lui, che bevve il calice dei peccati e dell’amore del mondo,
della gioia e del dolore.

LA COMUNIONE FRA LA TERRA E LE SFERE –


UNA MANIFESTAZIONE DEL CRISTO

Martedì 11 dicembre, 1917.


5.20-6.52 p.m.
Quando veniamo a parlare con te, come ora, fra noi e la sfera del nostro normale “habitat” esiste
una linea di comunicazione vitale, se così possiamo chiamarla. C’è voluto del tempo per modellarla,
ma ne è valsa la pena. All’inizio, recandoci nei regni inferiori al nostro, dovevamo compiere una
discesa molto graduale. Eravamo costretti a scendere con lentezza di sfera in sfera, stimolando in
noi la condizione del livello spirituale adatto all’ambiente che dovevamo attraversare.
Facendo questo tragitto avanti e indietro per molte volte, ad ogni viaggio ci riusciva sempre più
facile adattare la nostra condizione, e riuscivamo a passare più rapidamente da uno stato all’altro
rispetto ai primi tempi. Ora siamo capaci di andare e venire quasi con la stessa facilità con cui
viaggiamo da un posto all’altro della nostra sfera. Perciò venire da te non ci porta via del tempo;
arriviamo in un istante attraverso un unico continuo sforzo di trasposizione, invece di faticare con
ripetuti sforzi di adattamento e auto-condizionamento in ogni sfera che attraversiamo. È così che
abbiamo stabilito quella linea di comunicazione vivente, e la usiamo di tanto in tanto per scendere e
risalire.
Qual è la vostra sfera abituale?
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Per come le ha enumerate Zabdiel*, è la Decima. È quella che egli brevemente ti descrisse e da
cui recentemente è salito alla successiva. Pochi, e di rado, vengono sulla terra da una sfera di grado
superiore. È possibile, ed è accaduto molte volte, se consideri la totalità dei secoli. Ma ciò avviene
per adempiere a qualche grande proposito che noi della Decima e delle sfere sotto non siamo in
grado di comprendere così bene. Esso va al di là delle nostre capacità, e noi non siamo adatti per
essere scelti come messaggeri. Tale fu Gabriele che stando al cospetto di Dio, era pronto a eseguire
il Suo volere nei Reami Celesti, lontani e vicini. Ma anche lui ha raggiunto raramente le regioni
inferiori vicine alla terra.
Così come noi veniamo da te, allo stesso modo, nell’ordinamento della saggezza celeste, altri di
grado e rango superiori al nostro vengono a volte da noi. E per un proposito molto simile, e per la
gioia di servire in questi mirabili cieli di luce, veniamo istruiti sulla maggiore gloria e beatitudine
proprie del servizio e della saggezza più elevati, allo scopo di conoscere l’Altissimo che si dispiega
davanti a noi nel crescente sviluppo della forza, da uno stato all’altro di perfezione sempre
maggiore.
Ecco quanto viene dato a noi, e altrettanto sarà dato a quelli di voi che riceveranno il dono di un
rapido sguardo sulla via futura. In tal modo non ci sentiamo del tutto stranieri in quelle lontane
contrade verso cui andiamo elevandoci continuamente. E come per voi, anche a noi è permesso
sovente di visitare glorie maggiori per breve tempo e, ritornando, raccontiamo ai nostri compagni di
come i fratelli di grado superiore vivono nei mondi più sublimi che ci attendono.
Dunque l’economia di Dio è una sola, e ciò che si sviluppa nelle sfere inferiori si scopre essere
utile in quelle superiori. E come tu, che accetti la nostra missione d’illuminazione, guardi avanti
desiderando la tua vita futura e il percorso a venire, anche noi essendo in gioiosa armonia con la
nostra attuale condizione, guardiamo sempre avanti ai mondi che ci attendono quando, per Grazia
divina e con sforzo interiore, ci saremo arricchiti di quelle qualità che ci consentiranno di
intraprendere il nostro ulteriore pellegrinaggio.
È in questo modo che veniamo a conoscenza della vita dei reami maggiori, dove gli abitanti
sono così vicini a Cristo e alla sua Dimora che nel loro volto traspaiono l’immagine e i lineamenti
del Cristo stesso.
In questi sublimi reami celesti, nel silenzio della loro potenziale energia, il Cristo si muove
liberamente, ma quando viene da noi assume come ti è stato detto una Forma Presenza. E, credimi,
anche in quel modo appare di una bellezza assoluta. Ma se è così, quali astri splendenti devono
essere i Suoi veri occhi, e quale radioso fulgore deve mitigare la sua veste per lo sguardo di quelli
meno grandi di Lui, sì che non restino abbagliati e troppo turbati dalla Sua magnificenza!
Dunque tu lo hai visto?
In forma-presenza, sì; ma non nella Sua nuda bellezza, come ti ho appena detto.
Più di una volta?
Sì, amico, e non in una sola sfera. In tal modo Egli può visitare e visita persino la terra dove non
di rado viene visto. Ma in tal caso è veduto solo dai bambini o da chi ha il cuore simile a un
fanciullo, o chi in grande angoscia ha estremamente bisogno di Lui.
Potresti rievocare per me una delle occasioni in cui Lo hai visto, per favore?
Ti racconterò di una volta quando si era creato un certo trambusto nella sfera in cui le persone
vengono classificate e suddivise in gruppi, la sfera di cui ti parlai nel nostro ultimo incontro.
Numerosi erano arrivati in quel periodo, perciò il lavoro abbondava e la situazione era critica. I
lavoratori incontravano difficoltà e faticavano a capire come meglio aiutare i tanti che non erano
ancora stati raggruppati. Nella moltitudine, la mescolanza di bene e male era causa di agitazione,
molti erano irritati, a disagio, e sentivano di non essere trattati con giustizia e saggezza. Non è una
situazione frequente, ma ho constatato che talvolta si verifica.
Ricorda che non ci sono persone cattive in quella sfera, ma gente devota. Non si lamentavano
apertamente. Nel loro cuore sapevano che veniva fatto il possibile. Tuttavia la loro caotica
*
I messaggi di Zabdiel sono pubblicati nel Secondo Volume de La Vita al di là del Velo, intitolato “I Reami Alti del
Cielo”.
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mescolanza di luce e ombra gli impediva di comprendere. E benché non si lagnassero apertamente,
erano tristi nel profondo del cuore e in loro cominciò a venir meno il coraggio di affrontare il
compito di autoanalisi – che fra l’altro, tieni presente, è un duro lavoro per chi ha trascurato di farlo
nella vita terrena. E pare sia più difficile compierlo qui che nel tuo mondo, anche se ora non mi
dilungherò su questo.
L’Angelico Signore, responsabile della Colonia, uscì dalla sua Dimora e fece radunare la
moltitudine. Vennero con facce tristi: molti tenevano lo sguardo basso e non avevano il coraggio di
guardare la purezza della sua beltà. Una volta radunati davanti all’alta scalinata, in cima alla quale
si trovava lui, fuori dal portico della sua residenza, egli si rivolse alla folla con un pacato tono di
voce incoraggiandoli a non essere pavidi, perché Qualcuno prima di loro aveva sperimentato quello
stesso stato d’animo, e aveva disperso le nubi che si erano frapposte fra Lui e il volto del Padre Suo,
continuando a perseverare con salda fiducia, appellandosi ripetutamente al Padre.
Man mano che parlava, uno dopo l’altro sollevarono gli occhi e videro la maestosità del suo
splendore, essendo egli di una sfera superiore e capo di questa difficile colonia. Mentre continuava
gentilmente a rassicurarli con parole piene di saggezza, videro che una nebbia cominciò ad
avvolgerlo fino a nasconderlo; lentamente la sua forma sembrava dissolversi nella nube che,
condensandosi, lo ricoprì come un mantello. Alla fine non lo videro più, ma ecco che sui gradini al
suo posto cominciò ad apparire un’altra forma, la forma di Uno dall’aspetto più incantevole e
irradiante del primo. Il Suo splendore cresceva e attorno alla Sua fronte apparve una ghirlanda di
spine, e gocce di sangue gli pendevano sul petto come fossero appena cadute. Mentre la Sua luce
diventava più brillante, quelle migliaia di occhi tristi si facevano anch’essi più luminosi e pieni di
meraviglia per la straordinaria, gloriosa bellezza che Egli sprigionava. La ghirlanda si tramutò in
una corona d’oro e rubini, le gocce rosse si raccolsero assieme dando forma a un fermaglio sulla
spalla; la veste indossata sotto il mantello splendeva per la luce dorata emanata dal Suo corpo
radioso, luce che filtrava attraverso la trama di quel finissimo tessuto simile ad argento fuso, tinto di
luce solare. Non riesco a descriverti il volto, non mi è possibile farlo con le tue parole, dico solo che
eravamo di fronte alla maestà del Redentore, che tutto a conquistato. Aveva l’aspetto di un Creatore
di mondi e universi, ma con la delicata bellezza di una donna coi capelli lunghi ripartiti ai lati. La
corona esprimeva Regalità, anche se non c’era la superbia del comando nella morbidezza della Sua
chioma ondulata, e le lunghe ciglia suscitavano in noi tenerezza, mentre i Suoi occhi ci inducevano
ad amarLo e rispettarLo, ma con timore.
Così, lentamente la Sua immagine si dileguò nell’atmosfera – non dico che svanì – poiché
sentivamo che man mano diventava invisibile alla vista, la Sua forma, vaporizzandosi, rinvigoriva
l’aria con la Sua stessa Presenza.
Alla fine sparì del tutto e al suo posto rivedemmo il Signore Angelico della Colonia. Non era più
in piedi come prima, ma aveva un ginocchio a terra, la fronte piegata sull’altro, e le mani
avvolgevano il piede che stava davanti. Era così rapito dall’estasi della comunione che lo
lasciammo e ci allontanammo. Adesso il nostro passo era più leggero e il cuore sollevato. Non
eravamo più stanchi, ma pronti a svolgere il nostro lavoro, qualunque fosse.
Nostro Signore non disse una parola mentre lo guardavamo, ma nel nostro cuore risuonò
chiaramente la frase: “Sarò con voi sino alla fine dei tempi”. E così riprendemmo il lavoro contenti
e risoluti.

LA DISCESA DEL CRISTO NELLA MATERIA

Mercoledì 12 dicembre, 1917.


5.24-6.30 p.m.
Non pensare che siamo lontani da te, in realtà ti siamo vicinissimi. Per il fatto che Kathleen ti
scrive direttamente e noi parliamo attraverso di lei, sei convinto che ti trasmettiamo da grande
distanza. Non è così. Dal momento che abbiamo superato il problema della discesa con un rapido
processo di riadattamento, ci è più facile raggiungere la sfera terrena, e non abbiamo difficoltà ad
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armonizzare le nostre menti in modo da esserti molto vicini. Sulla terra come nelle sfere più
avanzate le persone hanno diversi livelli di sviluppo. Per noi sarebbe molto difficile, se non
impossibile, avvicinarci all’ambiente di coloro che spiritualmente sono progrediti poco oltre lo stato
animale. Ma a coloro che cercano di aspirare a noi, da parte nostra possiamo chinarci e incontrarli
nel punto più alto che riescono a raggiungere. È questo che facciamo con te. Te lo ricorderai almeno
in parte, amico?
Beh, ora che ho sentito la tua spiegazione, certamente. Ma se le cose stanno così, perché è
necessaria la presenza di Kathleen?
Il chiarimento di prima è solo parziale. Aggiungiamo alcuni fatti, che devi tenere a mente.
Innanzitutto Kathleen è vissuta in un periodo più vicino al tuo rispetto all’epoca più antica in cui la
maggioranza di noi visse sulla terra. La sua condizione è più affine alla tua di quanto lo sia
normalmente la nostra, e mentre noi possiamo entrare in contatto col tuo sé interiore, per lei è più
facile agire sulla tua parte esterna, dove hanno origine le parole e i movimenti delle dita, ovvero il
cervello del tuo corpo materiale. Inoltre, nel trasformare i nostri pensieri in parole ella gioca un
ruolo efficace tra noi. Ma fatta eccezione di questo, tu e noi siamo pienamente in contatto e in
sintonia.
Posso fare alcune domande?
Certamente, ma non correre troppo avanti per l’ardente desiderio di conoscenza, amico. Fai una
domanda e se c’è tempo per altre risponderemo anche a quelle.
Ti ringrazio. Riguarda la discesa del Cristo: quando uscì dalla Casa del Padre per incarnarsi,
suppongo Gli fu necessario adattarsi alle Sfere che man mano incontrava, prima di raggiungere il
mondo terreno. Venendo da un luogo così alto, immagino che tale processo
Gli portò via molto tempo, non è così?
Da quanto abbiamo appreso, amico mio, il Cristo era presente nella sfera terrena quando essa
era senza forma, quando cioè si trovava in uno stato non materiale. Quando la materia cominciò a
manifestarsi, Egli era lo Spirito Guida tramite cui il Padre forgiò la materia dell’universo in ordinate
costellazioni, così come le vedete ora. Ma, benché presente, Egli stesso era senza forma, e assunse
una forma non materiale, ma spirituale, man mano che l’universo veniva portato in manifestazione
esteriore fino a prendere forma materiale. Egli era dietro l’intero fenomeno, e tutto il processo passò
attraverso il Cristo col passare delle ere, mentre la materia usciva dal caos per mutarsi nel cosmo.
Ciò è stato possibile solo grazie alla presenza di certe entità dinamiche operanti fuori dal caos e
superiori ad esso, che agivano verso il basso e all’interno del caos. L’ordine non può nascere dal
disordine, a meno che non si aggiunga un nuovo ingrediente. Fu il contatto tra la Sfera del Cristo e
il caos a generare il cosmo. Il caos era materia in stato potenziale. Il cosmo è materia realizzata.
Quindi la materia realizzata non è altro che l’effetto fenomenico dell’energia dinamica che,
aggiunta all’inerzia, produce movimento. Il movimento stesso è la somma delle attività potenziali
della volontà. La volontà, passando dallo stato potenziale alla realizzazione, diventa movimento
regolato secondo la qualità di quella particolare volontà che è il suo creatore. Ne consegue che,
dopo ere di continuo impulso, il Creatore di tutto, operando per mezzo del Cristo, produsse il
cosmo.
Ora, se siamo stati in qualche modo capaci di chiarirti i nostri pensieri, capirai che il Cristo era
nell’universo materiale fin dal suo inizio, era cioè nella sfera terrena mentre essa gradualmente
assumeva prima materialità, poi forma, finendo quindi per incarnare a sua volta il senso che l’opera
evolutiva delle ere doveva esprimere con la genesi della Terra. Vale a dire che essa riprodusse da sé
il principio di creazione e gli diede espressione, in quanto dalla Terra nacquero le forme di vita
minerale, vegetale e animale. Capisci amico mio cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire
semplicemente che la Terra e l’intero Cosmo materiale è il Corpo di Cristo.
E cosa mi dite del Cristo che venne sulla Terra?
Il Cristo era Uno col Padre, ed essendo Uno col Padre, era il Sé del Padre. Gesù di Nazareth era
l’espressione del pensiero del Padre incarnato come Cristo per la Salvezza della Terra. Riflettici un
istante, poiché vedo un lieve disturbo nella tua mente. Sugli altri pianeti del vostro Sistema ci sono

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esseri non dissimili dagli uomini. Anche sui pianeti di altri sistemi vivono esseri simili agli uomini.
In altre costellazioni sono presenti creature plausibilmente collegate a Dio e a Cristo, che possono
comunicare con il loro Creatore, come fanno gli uomini. Ma essi non hanno forma umana e non
usano metodi umani di comunicazione del pensiero che voi chiamate parole. Tuttavia la relazione
che intercorre fra il Creatore, il Suo Cristo e quegli esseri, è la stessa che sussiste fra Loro e voi. Era
necessario, e lo è ancora che Cristo si manifesti a loro di tanto in tanto nella forma in cui essi si
sono evoluti. Ma in tal caso Egli si presenta non come Gesù di Nazareth, in forma umana, che a loro
non sarebbe di aiuto in quanto sconosciuta. Quando li visita Egli assume la loro stessa forma,
usando metodi di comunicazione e processi razionali loro propri. Questo era evidente tranne a
coloro che, dopo aver gettato nel vuoto dello spazio la teoria geocentrica in senso materiale, si sono
legati addosso quella teoria in senso spirituale, e come mummie fasciate faticano a muoversi e a
vedere che oltre il loro piccolo mondo ne esiste un altro di immenso valore per il Creatore, come lo
è questa nostra piccola terra.
Sappi dunque che il Cristo di Galilea non fu altro che l’espressione terrestre del Cristo
Universale, pur rimanendo sempre il vero Cristo.
Ora arriviamo alla conclusione, anche se il nostro racconto non ricopre neppure la decima parte
della gloriosa e splendida storia del poema, dell’avvicendarsi degli eoni, della nascita, del
matrimonio e della creazione dei soli e delle stelle che sorridono ai loro figli minori di oggi.
Il Cristo allora discese nella materia mentre la materia si condensava – per precipitazione, se
vuoi – per l’intervento di forze spirituali energizzanti. Egli fu incorporato nella vita minerale,
perché grazie a Lui tutta la materia sussiste. Fu racchiuso nella rosa e nel giglio, e l’intero reame
vegetale fu pervaso dalla Sua vita, e per Suo mezzo la bellezza e l’incanto di quel regno divenne
tale che si elevò dalla materia muovendo verso la ragione, ma al suo culmine sfiorò solo l’orlo della
veste che ricopre l’attività razionale. Si manifestò anche nella vita animale della terra, perché gli
animali, come gli uomini, sono parte della Sua evoluzione. Ma la suprema espressione della Sua
volontà fu il genere umano. E col tempo Egli uscì dal mondo invisibile per entrare in quello visibile.
Egli, che aveva fatto l’uomo, fu a Sua volta fatto uomo. Egli, da cui l’uomo discese per esistere e
perdurare, diresse la mente alla materia, e il Suo pensiero si manifestò in Gesù di Nazareth. Così
Egli fu l’Unto del Signore poiché, facendosi uomo, divenne il Figlio dell’Uomo che Lui Stesso
aveva creato.
Ciò ti basti, amico. Per le altre domande dovrai attendere il nostro prossimo incontro. L’unione
di Dio col Cristo ha originato te in quanto uomo, amico mio; rallegrati per quello che impari e aiuta
gli altri a realizzare lo splendore del loro stato di figli e del loro destino.

49
L’ASCESA DI CRISTO – IL REGNO DEL FIGLIO

Venerdì 14 dicembre, 1917.


5.20-6.50 p.m.
Amico mio, ti abbiamo parlato della Discesa del Cristo nella materia, come hai chiesto. Ora
continuiamo il percorso normale proseguendo il nostro discorso. La strada ora è non più in discesa
nel grembo del cosmo materiale, ma in salita verso il cosmo spirituale, verso quello stato di
perfezione spirituale che chiamate la Casa del Padre. Questo è il limite dell’attuale universo
immaginativo dell’uomo. Egli non può vedere oltre quando protende lo sguardo per contemplare le
possibilità dell’Essere.
Ma qui abbiamo appreso che lo Spirito, per quanto sublime nella sua essenza, non è la totalità
dell’Essere. Come al di là dei regni materiali si estendono quelli dello spirito, così al di là di quelle
remote altitudini di luce impenetrabile, di sacra e sconcertante purezza verso cui volgiamo il
pensiero, si trova l’Essere che non è soltanto Spirito, ma assimila entro di Sé tutto ciò che è Spirito
alla massima purezza di sublimità, e racchiude la totalità dei mondi spirituali dando vita a un
universo di perfezione ancora maggiore.
Come la luce di un pianeta non è che una minuscola parte dell’irradiazione emessa dal sole
centrale, che venendo riflessa indietro resta colorata della qualità propria del pianeta, così la materia
riceve dallo spirito, e similmente aggiunge il suo piccolo ingrediente che contribuisce a qualificare e
arricchire l’universo spirituale. Come il Sole, a sua volta, fa parte di un sistema molto più grande di
lui e non è che un elemento di una costellazione di stelle, così lo Spirito è solo una parte di un
universo dell’Essere, la cui grandezza e sublimità vanno oltre la nostra immaginazione. E persino
una costellazione fa parte di un aggregato ancora più vasto – ma non ci spingeremo oltre con
l’analogia per non perderci nello stordimento dello stupore, quando invece è più sensato trovare la
rotta lungo il sentiero della ragione e della comprensione.
Perciò seguiamo il Cristo sulla via dei cieli, ricordando che Egli, essendo glorificato e innalzato,
attira a Sé tutti gli uomini, trascinando le miriadi lungo il sentiero celeste in mezzo a sfere gloriose
verso la Casa da cui provenne. E là dove Egli è, anche gli uomini potranno essere un giorno.
Mentre le ere trascorse sfumano nei secoli dell’avvenire, la gloria del Cristo si rafforza ogni
volta che una nuova recluta arriva nel Suo esercito e aggiunge una scintilla al lustro del Suo
splendente Regno. Questo Regno viene visto, come abbiamo appreso, da coloro che stanno sulle
vertiginose vette del Reame più distante ed eccelso di tutti, come voi dal mondo fisico osservate una
stella lontana. Nell’oceano dello spirito tutte le Sfere del Cristo sono raccolte in una sola grande
Stella, che può essere vista esteriormente da chi dimora in livelli superiori. Non ci è possibile
comprenderlo appieno, tuttavia ne possiamo cogliere qualche pallida idea con la seguente analogia.
Dalla terra non potete vedere il Sistema Solare come un’unità, poiché siete dentro quel sistema e
parte di esso. Ma se qualcuno si trovasse in alto sulla stella Arturo vedrebbe una piccola sfera di
luce, nella quale sarebbe incluso il vostro Sole e i suoi pianeti con le loro lune. E come voi dalla
Terra osservate Arturo e altri milioni di stelle, così dal Reame più lontano viene visto il Regno e le
Sfere di Cristo. Questo Sistema, secolo dopo secolo, intensifica la sua luce mentre le razze che
formano il tutto evolvono poco a poco dalla sfera materiale alla spirituale. Sto considerando l’intera
economia spirituale come fosse una sola stella, e Coloro che possono guardarla dimorano su quelle
lontane praterie di Esistenza che superano i reami dello Spirito, nel grande Vuoto dell’Ignoto e
dell’Inconcepibile.
Talmente lontano e avanti sono gli Esseri di cui parliamo che noi, pur essendo progrediti di dieci
sfere spirituali, possiamo considerarci assai più vicini agli abitanti della Terra che a Loro. L’attuale
distanza fra voi e noi, se paragonata a quella che ci separa da Loro, è così infinitesimale che non ci
sarebbe modo di calcolarla.
E come l’insieme delle costellazioni stellari procedono in ordinata formazione verso un sicuro
ma lontano approdo, così le Sfere dello Spirito procedono verso il loro destino, allorché tale
pellegrinaggio dello Spirito si fonderà con ciò che è più remoto, trovando là la sua consumazione.
50
Per questo motivo il Cristo, chinandosi dal Cuore del Padre, ha toccato il genere umano con la
punta del Suo dito. L’uomo è stato così elettrificato per mezzo della Vita Divina che pulsa nella sua
anima con incessante slancio, al fine di mantenere il suo rango nelle schiere del Principe Sovrano
insieme a coloro che provengono da altri pianeti, cosicché tutti avanzino marciando come un unico
Esercito del Padre sotto la Vice-reggenza del Figlio.
Una cosa non mi è chiara. Nostro Signore disse a proposito dei bambini che “di questi è il
Regno dei Cieli”. Quanto hai detto sembra implicare che invecchiando diventiamo meno adatti a
quel Regno, nel senso che perdiamo la nostra fanciullezza. Ciò in effetti sembra concordare con la
nostra esperienza. Ma allora vorrebbe dire che stiamo regredendo, in una specie di sviluppo al
contrario. Inoltre, se il nostro progresso è solo la prima tappa del viaggio, che continua nelle Sfere
celesti, la condizione di fanciullo appare piuttosto incoerente. Puoi far luce su questa mia
perplessità?
Il bambino nasce dotato di certe qualità e capacità, che nell’infanzia sono quiescenti e non
sviluppate. Sono presenti, ma assopite. Man mano che la mente espande le sue capacità è in grado
di fare appello a questi poteri e di usarli. Così facendo l’uomo estende continuamente la sua sfera
d’azione e nello stesso tempo giunge in contatto con forze nuove che impattano il suo ambiente, via
via che questo accresce la propria circonferenza e contatta, una dopo l’altra, le sfere dove tali forze
risiedono. Ti sto parlando di forze creative, unificanti e spiritualizzanti, che portano con sé la
conoscenza divina. Dal modo in cui l’uomo adopera queste forze superiori dipende il suo sviluppo
come essere spirituale. Il fanciullo appartiene al Regno di Dio finchè non oppone la sua volontà a
quella del Padre. Possa l’uomo, man mano che crescono le sue capacità, serbare questo nella mente
e tener vivo nel cuore il candore del fanciullo, e possa usare i suoi crescenti poteri in accordo col
grande proposito Divino teso all’evoluzione della razza umana e delle altre razze appartenenti
all’unica grande famiglia del Creatore. Se col passare degli anni e lo sviluppo delle capacità, egli
manca di portare con sé la qualità di fiduciosa obbedienza così spiccata nei fanciulli, si troverà in
disaccordo con la mente del Creatore, e ne risulterà un attrito che intralcerà le ruote del suo carro;
allora comincerà a rallentare avvicinandosi lentamente alle province estreme del Regno di Dio, e
muovendosi verso la linea di confine sarà sempre meno in armonia con quella compagnia. Al
contrario, chi conserva interamente la sua fiducia di fanciullo e aggiunge altre virtù al proprio
carattere mentre avanza nel sentiero della vita, non regredisce, ma diventa sempre più simile a un
bambino del Regno dei Cieli.
Gesù di Nazareth era tale, e poiché era Figlio di Suo Padre, a quel Padre il Suo cuore era sempre
teso in perfetta armonia, come puoi leggere chiaramente nel Libro che ne testimonia la vita. Da
ragazzo erano le cose del Padre che occupavano la Sua mente. Fu la Casa del Padre che rivendicò
come Sua protezione dalle passioni mondane degli uomini egoisti. Nel Getsemani cercò di
mantenersi all’unisono con la volontà del Padre. Sulla croce rivolse lo sguardo al volto del Padre
Suo, oscurato per un momento dalla densità del miasma mondano. Eppure non smise di tendere il
cuore a Dio, e quando lasciò il Corpo di carne il Suo sentiero era già teso verso il Padre. Ma il
giorno di Pasqua doveva ancora diventare la stella polare del Suo cammino celeste, come disse a
Maddalena. Quando il veggente di Patmos Lo incontrò nel Tempio ultraterreno, gli rivelò che la Sua
unione con la volontà del Padre si era dimostrata tale che gli era stata concessa l’autorità di agire
con pieni poteri in Cielo e in Terra. E tra coloro che osservano la Sua breve vita terrena, o tra quelli
che hanno ammirato la Sua Persona qui, come noi che ora te ne parliamo, vedrà in Lui il Fanciullo
immacolato assieme alla dignità dell’Uomo forte e maturo, incoronato di Divina Maestà.
Così, amico mio, solo colui che ha raggiunto un posto elevato nel Regno del Padre, può capire il
Regno del Figlio.

51
IL TEMPIO DELLA MONTAGNA SACRA –
IL VEGGENTE ASSEGNA UNA MISSIONE AL LEADER E AL SUO GRUPPO

Martedì 17 dicembre, 1917.


5.18-7.00 p.m.
Nei messaggi precedenti ti abbiamo parlato, per come lo abbiamo appreso, del mistero della
creazione e del progresso dell’Universo materiale, e in grado minore di quello spirituale. Ma le
distese dell’universo spirituale superano di molto la nostra immaginazione, e pure la tua, e ci
saranno chiarite mentre, nei secoli, avanziamo gradino dopo gradino nella perfezione. Per quanto
lontano proiettiamo le nostre menti in quella remota immensità di vita ed essere, non riusciamo a
vedere una fine al nostro progresso; la vita eterna ci appare come un fiume visto dalla cima della
montagna da cui prende origine. Il ruscello si espande, e così facendo assorbe man mano altri corsi
d’acqua che provengono da territori di diversa natura. Ciò vale anche per la vita di un uomo, che
raccoglie nella sua personalità molte correnti affluenti di diverse qualità e le fonde in sé diventando
tutt’uno con loro. Come il fiume continua ad allargarsi finchè non sfocia e cessa di essere un’entità
distinta e separata, così l’uomo mentre cresce e supera il suo stato iniziale, passa in quel grande
oceano di luce dove non possiamo seguire il suo ulteriore cammino dal nostro punto di osservazione
sulla montagna in cui nacque. Tuttavia abbiamo imparato, e pochi ne dubitano, che come l’acqua
dell’oceano non muta la sostanza del fiume trasformandola in qualcosa di diverso, ma
semplicemente la arricchisce e ne modifica la qualità, anche l’uomo sarà sempre tale quando
emerge fra le rive dell’individualità da un lato, e della personalità dall’altro, e fonde la ricchezza
delle qualità accumulate con l’infinità di ciò che è il principio e la fine, con le forze emesse e
ricevute nella totalità dei cicli dell’Essere. Inoltre, pesci e animali acquatici hanno il loro habitat nel
fiume, ma nei regni più vasti e profondi dell’oceano vivono creature di maggiore forza e
dimensione, in tal modo coloro che vivendo in armonia dimostrano la loro immensa persona e il
loro immenso potere devono possedere una luce talmente grande da superare la nostra
comprensione.
Noi perciò tendiamo lo sguardo avanti, verso quei nostri fratelli lontani, sapendo che non si
dimenticano di noi che, pur essendo lontanissimi dalla loro dimora, teniamo gli occhi rivolti alle
loro sfere. E la vita che scaturisce dall’Altissimo attraversa quegli esseri e bagna con amore i nostri
mondi minori. Ciò è sufficiente. Beviamo un sorso dal calice del nostro destino, e più forti e
rincuorati adempiamo i doveri che ci attendono.
Vorresti parlarmi di alcuni di questi doveri, per favore?
Sono numerosi, e molto diversi fra loro. Ti parleremo di un compito assegnatoci proprio di
recente e di come lo abbiamo portato a termine. Nella sfera dalla quale veniamo c’è un Tempio
situato sulla cima di un altura.
È lo stesso di cui Zabdiel mi parlò: il Tempio della Montagna Sacra?
È proprio il Tempio della Montagna Sacra*. È chiamato così perché Esseri superiori vi
discendono per compiere missioni di benedizione a favore di quella e altre sfere inferiori; e anche
perché da qui salgono al mondo superiore coloro che hanno conseguito la santità e la saggezza
necessarie per vivere colà senza provare disagio, essendo abituati all’atmosfera più rarefatta di
questo luogo a causa del lungo addestramento, e anche per il fatto che ogni tanto visitano il Tempio
e la pianura sottostante. Qui vengono ricreate le condizioni prevalenti nell’Undicesima Sfera, ed
essi si immergono in quell’ambiente che un giorno sarà stabilmente il loro quando si saranno resi
idonei a vivere nella nuova dimora.
Quindi, dopo aver raggiunto la pianura, percorremmo il sentiero che sale attorno alla montagna
e giungemmo al loggiato davanti al portone principale.
Avevate i requisiti per progredire ulteriormente?

*
Il Tempio della Montagna Sacra è descritto nel messaggio di Zabdiel, datato 2 gennaio 1913, e si trova nel Secondo
Volume intitolato “I Reami Alti del Cielo”.
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Non nel senso che ti abbiamo appena descritto. No; quella condizione atmosferica intensificata
non è sempre presente lassù, ma viene creata nei periodi in cui stanno per arrivare coloro che sono
prossimi ad avanzare di grado. Attendemmo un istante sotto il loggiato, quindi uscì uno dei
luminosi abitanti di quel Luogo Sacro, un Custode del Tempio, che c’invitò a seguirlo dentro.
Esitammo a farlo, perché nessuno del nostro gruppo era mai entrato nel santuario. Ma egli sorrise, e
il suo sorriso ci confortò, allora entrammo senza timore. Non si stavano svolgendo cerimonie in
quel momento, di conseguenza non eravamo in pericolo di venire in contatto troppo diretto con
forze che per noi sarebbero state come la luce del sole sugli occhi di un uomo intento a fissare il
disco solare di mezzogiorno senza filtri.
Percorremmo un lungo colonnato, e i pilastri su entrambi i lati supportavano un grande
architrave che correva dal porticato all’interno del Tempio. Sopra di noi non c’era un tetto, ma il
vuoto dell’infinito stesso – la volta celeste, come dite voi. Le colonne avevano diametro e altezza
notevoli, e la trave in cima era riccamente decorata, nel basamento e nella facciata, con simboli che
non riuscimmo a decifrare. Solo un elemento del disegno fui personalmente in grado di riconoscere,
era il viticcio e le foglie della vite, ma senza frutti, la qual cosa mi sembrava del tutto coerente in
quel punto, che era semplicemente un corridoio come lo era l’intero Tempio, cioè un luogo di
passaggio da una sfera all’altra, e non un luogo di realizzazione o coronamento. In fondo a quel
lungo e ampio corridoio pendevano delle tende, davanti alle quali fummo fermati mentre la nostra
guida proseguì avanti, poi tornò e ci invitò a entrare. Accedemmo alla stanza successiva, e
realizzammo che si trattava solo di un’anticamera e non della grande sala centrale. Questa si trovava
sul nostro cammino e vi entrammo non dall’ingresso principale, ma da un accesso laterale. Era un
locale molto ampio anche in altezza; al centro, davanti alla porta da cui entrammo, il tetto aveva
un’apertura quadrata. Il resto era coperto. Girammo a destra e percorremmo tutta la stanza fino in
fondo, poi la nostra guida ci ordinò di fermarci davanti a un trono, e ci rivolse queste parole:
“Fratelli miei, siete stati chiamati per ricevere l’incarico di svolgere una missione nelle sfere basse.
Se avrete la buona volontà di attendere l’arrivo del nostro fratello, il Veggente, egli vi spiegherà
meglio cosa si richiede al vostro gruppo”.
Mentre aspettavamo, uscì da dietro il trono un altro uomo. Era più alto della nostra guida, e
quando si muoveva sembrava circondato da una foschia blu-oro cosparsa di zaffiri. Venne avanti e
ci prese ognuno per mano; nel toccare le sue dita diventammo consapevoli (parlandone in seguito
fra noi) della presenza di un altro mondo all’interno della Decima sfera, come una sorta di essenza
concentrata della sua condizione, tanto che penetrando la sua circonferenza eravamo in contatto con
ciò che accadeva nell’insieme di quel vasto reame e in ogni sua parte.
Sedemmo sui gradini attorno al Trono, e il Veggente stava dinanzi a noi davanti al Trono. Ci
parlò di cose che non riuscirei a farti capire pienamente, poiché non fanno parte della tua
esperienza, e persino noi iniziavamo appena a comprenderle. Poi disse cose che invece possiamo
raccontarti con profitto.
Ci disse che fra la gente che guardava Gesù di Nazareth sulla Croce, c’era l’uomo che lo aveva
tradito a morte.
Intendi dire che era là di persona?
Sì, in carne e ossa. Non riuscì a tenersi lontano, ma non si avvicinò troppo, quanto basta per
vedere in faccia il morente, l’Uomo del Dolore. La corona era stata rimossa, e sulla fronte aveva
gocce di sangue, anche i capelli erano macchiati di sangue. E mentre il traditore guardava il volto e
la figura di Gesù, s’insinuò nella sua anima una voce beffarda che disse: ‘Avresti potuto seguirLo
nel Suo Regno e là assumere un alto ruolo di potere, ora invece andrai nel Regno del Suo
avversario, dove potrai avere ciò che richiedi. Egli ti ha abbandonato. Ora andrai dove Lui non ti
sarà vicino per ripagarti di come Lo hai servito”.
Così le voci lo investirono ed egli si sforzò di non credere a loro, e cercò di fissare il volto
dell’Uomo in Croce. Bramava e tuttavia temeva quegli occhi che mai più sarebbe stato capace di
guardare senza provare vergogna. Gli occhi del Cristo morente erano troppo deboli per vedere
Giuda tra i presenti. Le voci continuavano a martellare, si prendevano gioco di lui, lo adulavano

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sottilmente, e alla fine, nell’oscurità che pervase il luogo, corse via e si fermò a morire in un luogo
dove trovò solitudine e un albero. Si tolse la cintura e s’impiccò all’albero. Così i due morirono lo
stesso giorno, pendenti da un legno, e la luce della terra si spense per entrambi nella stessa ora.
Quando entrarono nelle sfere spirituali erano entrambi coscienti, e s’incontrarono ancora una
volta. Tuttavia nessuno dei due parlò – Egli si limitò a posare il suo sguardo su Giuda, come fece
con Pietro, lasciandolo temporaneamente nel crogiolo del dolore e dell’angoscia, finché questo non
avesse compiuto la sua azione ed Egli sarebbe potuto tornare portando il perdono. Come fece con
Simon Pietro, quando questi fuggì nella notte piangendo amaramente, così fece ora con Giuda, che
allontanò lo sguardo da Lui e si dileguò barcollando, con le mani sugli occhi, in quella notte
funesta.
E come fece con Simon Pietro sofferente nella sua contrizione e nel bisogno estremo, così agì
con colui che, nella sua desolazione, Lo aveva tradito e, come con Simon Pietro, non lo lasciò senza
conforto per tutto il tempo, ma andò a cercarlo e nella pungente angoscia del suo dolore, lo
benedisse col perdono.
Questo e altro ci disse il Veggente. Ci invitò a restare un po’ nel Santuario del Tempio per
meditare sulle sue parole, e nel frattempo raccogliere le forze per poter uscire e raccontare la storia,
ripetendola – assieme ad altre cose che ci disse – ogni volta fosse stato necessario farla udire ai
peccatori, allorché nel buio della disperazione avessero perso la speranza del perdono del loro
Maestro tradito, perché peccare significa tradire.
Ma che genere di missione dovevamo svolgere te lo diremo la prossima volta, adesso sei
sfinito, e abbiamo avuto qualche difficoltà a trasmetterti persino questo.
Possa il Salvatore dei peccatori, il Compassionevole, essere vicino a tutti gli uomini caduti nelle
tenebre, fratello mio, poiché sono molti in terra e in spirito che hanno estremamente bisogno del
Suo conforto. La Sua misericordia ti accompagni.

NELLA QUINTA SFERA – LA SALA A FORMA DI PERA –


UN CANTO SUL COSMO – UN DISCORSO DEL LEADER

Martedì 18 dicembre, 1917.


5.20-6.43 p.m.
Uscimmo dalla Camera delle Udienze di quell’Alto Luogo, dove avevamo ascoltato le parole
del Veggente. Ci disse molte più cose di quanto ti ho raccontato, e con grande amore,
incoraggiandoci per la nostra missione. Fuori, sotto il porticato, ci fermammo a osservare il vasto
panorama davanti a noi. In basso, la verde pianura si estendeva lontanissima da entrambi i lati.
Tutt’intorno si levavano colline da cui scendevano corsi d’acqua che confluivano nella pianura per
poi raccogliersi in un lago alla nostra destra. A sinistra le colline si aprivano, e oltre il valico alpino
potemmo scorgere la catena montuosa che sorge fra la Decima Sfera e quella successiva di ordine
inferiore. Fra noi c’era anche il Veggente, il suo potere ci avvolgeva e fummo capaci di visualizzare
ciò che andava oltre la nostra normale vista, scorgendo i mondi in cui si trovava la strada che
dovevamo prendere. Essi ci apparivano luminosi, meno luminosi, poi indistinti e sempre più
indefiniti, finchè divennero una nebbia che non riuscivamo a penetrare da quella posizione elevata.
Le sfere più oscure erano quelle che si trovavano in prossimità della terra e in genere anche quelle
al di sotto di tale livello, da cui provengono coloro che, volendo raggiungere la terra, devono per
forza ascendere; mentre coloro che sulla terra hanno condotto con iniquità le loro esistenze vanno,
per attrazione naturale, verso il basso in quei luoghi dove l’ambiente è a loro più consono. Voi li
chiamate luoghi infernali. In effetti sono tali, figlio mio, se inferno significa angoscia, tormento e
straziante rimorso.
Così, avendo valutato attentamente le cose e il genere di compito che ci attendeva nella nostra
missione, ci inginocchiammo ed egli ci benedisse, quindi ci mettemmo in marcia. Imboccammo il
ripido sentiero di sinistra e, superato il valico, proseguimmo il nostro lungo viaggio. Le prime sfere
le passammo in volo, sorvolando le creste delle montagne, e scendemmo solo in prossimità della
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Quinta Sfera. Qui sostammo il tempo necessario per raccontare la nostra storia, usando le parole più
adatte per aiutare gli abitanti del posto a risolvere le difficoltà che più avevano a cuore.
Prima di continuare, ti andrebbe di dirmi come fu accolta la vostra missione nella Quinta
Sfera?
Quello era il primo di una serie di incontri e la prima sfera in cui cominciò il nostro lavoro.
Fummo ospiti del Governatore Capo della sfera, lui stesso di livello superiore alla Quinta, secondo
la consuetudine. Ma noi alloggiavamo nel Collegio dei Pretori – persone ben versate nello studio
dei problemi che insorgono nella mente di coloro che qui si attardano; essi avrebbero potuto
indicarci il campo di studio su cui lavorare e quali punti elaborare per presentarli nel nostro
insegnamento.
Una moltitudine si era raccolta in assemblea nella Grande Sala del Collegio: un salone enorme
di forma ovale, anche se una delle parti terminali era più stretta dell’altra.
Come una pera?
È un frutto che avevamo quasi dimenticato di nominare. Sì, il pianterreno era a forma di pera,
ma non così appuntito. La gente entrava dalla parte più stretta, coperta all’esterno da un grande
Portico. Il podio si trovava a uguale distanza tra le due pareti laterali e l’altra estremità della sala.
Qui prendemmo posto. Con noi c’era un cantante che esordì con un’affascinante melodia creata
apposta per l’occasione. Con tono basso cominciò a cantare il tema della Creazione. Ritmando il
racconto delle cose, parte delle quali ti abbiamo detto, descrisse come dal potere proiettato
dell’Altissimo nacque prima l’amore, e parve di una dolcezza così perfetta che i Figli di Dio vi si
immersero, e questo contatto con l’amore generò la bellezza. Ecco perché ogni cosa bella è amabile,
e ogni amore è semplice e genuino, e trabocca di bellezza in qualunque forma si manifesti. Ma
quando coloro che furono designati a cooperare allo sviluppo del Regno dell’Essere manifestarono
una volontà opposta al flusso principale della Bellezza suscitato dall’amore, ne risultò un elemento
che, discendendo da una volontà non operante in piena consonanza con la divinità originale,
sviluppò creature belle, certo, ma non perfettamente belle. E non appena il loro impulso si unì al
perenne scorrere del caos in divenire, vennero in evoluzione altre creature di fascino sempre
minore, ma nessuna completamente priva di qualche debole traccia di bellezza, anche se per lo più
recondita e invisibile agli occhi di coloro che proseguirono nell’ampia corrente discendente lungo la
linea diretta che dalla sorgente porta alla manifestazione.
Così cantava, e il grande pubblico ascoltava con molta attenzione le sue parole, perché la
musica sembrava provenire dal luogo dove nacquero bellezza e amore, e le parole stesse erano tali
che mostravano come il Supremo, l’Altissimo, fosse in Sé Unità e non diversità, e la diversità fu
consentita unicamente per essere il fulcro dove trovare quella resistenza, espressa nella molteplicità,
capace di far leva per innalzarsi ancora una volta verso l’Unità.
Quando concluse, un gran silenzio pervase l’assemblea e tutti rimasero immobili. Nessuno si
mosse; chi in piedi, chi seduto su panche, chi adagiato a terra: tutti restarono al loro posto in
silenzio. Notai che nessuno aveva cambiato posizione, il fascino del canto, narrando la sua lontana
origine in possenti onde di forza e pulsazioni di vita ed energia, li teneva avvinti e li induceva a
cercare di comprendere meglio il proprio ambiente e la scienza cosmica.
Poco dopo cominciai a parlare ai presenti. Il cantore aveva iniziato con tono sommesso e soave,
ma quando l’evoluzione diede inizio alle doglie del parto dei mondi, anche la sua voce s’ingrossò
nel travaglio, e le potenti sollevazioni della forza e dell’energia parevano uscire con penoso sforzo
dalla sua anima e in gran copia. Poi, quando il caos si plasmava per diventare Cosmo con la
molteplice progenie nata dall’immaginazione dell’unico Creatore, il solenne ritmo della sua voce e
del fraseggio, gradualmente si stabilizzava, in ordine progressivo e sequenziale, attorno a una
tonalità piana, fino a diventare monotono, come a voler lasciare il tema in sospeso a metà del Cielo
a indicare che l’eternità era appena cominciata e non finita.
Così feci una pausa prima di prendere il suo posto, per dare il tempo ai presenti di raccogliere i
loro pensieri facendoli uscire dalla nuvola luminosa nell’aria e avvolgerli attorno a sé come un

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mantello, in modo che potessi vedere e registrare ciò che ognuno portava nel cuore, comprendere di
ciascuno l’indole e le necessità, e cos’era meglio dire per aiutarli.
Mi rivolsi a loro nel complesso, e nel contempo a ciascuno singolarmente, continuando però a
considerarli come un’unità. Parlai dell’opera di ricomporre le diversità e di raccogliere le sparse
scintille d’amore in un unico grande sole di bellezza, che deve assorbire ed emanare la luce
infuocata dell’Altissimo che è perfetta Bellezza e perfetto Amore. Quindi parlai dei traditori Simon
Pietro e Giuda, e del loro pentimento, il primo nella vita terrena dove sperimentò il suo breve
inferno con risultati così buoni che il rimorso di mille anni fu condensato in un solo mese e potè
rivendicare il perdono – che gli spetta di diritto oggi come allora – e la riammissione nella santa
famiglia del Padre.
Parlai anche dell’altro che non si pentì fin quando Colui, che egli aveva brutalmente tradito
nella sua folle disperazione, venne condannato a morte, e di come, col suo carattere impulsivo e la
costante disperazione, si gettò fuori dal mondo dove nulla era accaduto di quanto aveva pianificato.
Dissi di come giunse al pentimento solo dopo che il Cristo manifesto, Gesù di Nazareth, era disceso
nei profondi orridi delle oscure montagne infernali in cerca del gregge perduto, per parlare a lui e
agli abitanti di quei luoghi cupi – dove la tenebra si tocca – della Redenzione che a Lui piacque
offrirci, Lui che era Luce e Amore, e che, attraverso l’Unto, proiettò i Suoi raggi d’Amore negli
spazi vuoti di ineffabile immensità per sondarli, e persino dentro quegli stessi lugubri inferni. E
mentre Lo guardavano ai loro occhi fu concesso di percepire la luce primigenia che alcuni di loro
avevano visto per moltissimi anni, finché non caddero in un oblio quasi totale dimenticando cosa
fosse quella luce e a cosa potesse somigliare. Egli emanava una luce tenue e delicata, adatta alla
loro attuale vista, e uno dopo l’altro si prostrarono ai Suoi piedi; le lacrime rigavano i loro volti
luccicando come diamanti di rugiada al sole, irradiate dalla Sua luce. Dissi che fra loro c’era Giuda
il traditore, e fu perdonato e, come Simon Pietro, solo in seguito venne a sapere che aveva ottenuto
l’amorevole perdono del Signore.
Così, figlio mio, essi mi ascoltavano e cominciarono a capire il mio discorso sul profitto
derivato dall’essere in armonia con l’Amore e col Potere di Dio, e sulla perdita quale prolifica fonte
delle innumerevoli difficoltà che hanno tormentato i figli degli uomini, dovuta alla mancanza di
obbedienza nei Suoi confronti.
Allora conclusi in silenzio, in silenzio li lasciammo, e uscimmo dalla sala e dal collegio per
proseguire il nostro viaggio. I pretori ci vennero rapidamente appresso con parole di sincera
gratitudine, alle quali rispondemmo con la nostra benedizione. Quindi ci apprestammo a partire.

IL PROBLEMA DEL LEADER NELLA QUINTA SFERA E LA SUA SOLUZIONE –


UNA MANIFESTAZIONE DEL CRISTO SOFFERENTE E GLORIFICATO

Mercoledì 19 dicembre, 1917.


5.30-7.10 p.m.
Proseguimmo con calma e senza fretta, poiché cominciavamo ad accostarci a quelle regioni
dove non ci era agevole dimorare prima di esserci adattati al loro stato. Così giungemmo alla Terra
di Confine dove ha inizio la Seconda Sfera, contando dalla Terra che a tal fine rappresenta il punto
zero.
Prima che continui, avrei una domanda da porti, Leader. Non è forse nella Quinta Sfera che hai
dimorato più a lungo che nelle altre, a causa di certe difficoltà che ti bloccavano? Intendo dire nel
periodo iniziale della tua ascesa.
Ti illustrerò il problema che mi angustiava e che mi trattenne più a lungo in quella sfera.
Sapevo che tutti gli uomini sarebbero prima o poi giunti a capire che Dio è il Padreterno, e
questo fu quanto dissero tutti i Suoi messaggeri a coloro che dimoravano lontani dal Suo Trono e
Santuario. Ma se le cose stavano così, perché miriadi e miriadi di esseri umani erano lasciati
indietro nelle sfere più buie, dove miseria e angoscia dominavano e parevano nascondere tutto
l’amore, contraddicendo la sua presenza universale? Ecco il mio problema: l’eterno cruccio
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sull’esistenza del male. Non riuscivo a capire come conciliare queste due forze opposte, così come
apparivano nella mia mente. Se Dio era onnipotente, perché permetteva al male di esistere anche
solo per un secondo e persino nel grado più lieve? Vi rimuginai a lungo e fu un grande strazio; la
sfiducia provocata da questa contraddizione in seno al regno di Dio mi tolse tutta la sicurezza nel
procedere verso le straordinarie altezze che mi attendevano e, per paura di perdere l’equilibrio,
soffrii terribilmente, sprofondando in uno stato di sconforto che mai avevo sperimentato prima.
Solo dopo molto tempo fui pronto a ricevere l’aiuto che sempre viene concesso al momento
giusto. A mia insaputa ero stato guidato nei ragionamenti per tutto il tempo, fin quando non fui
maturo per ricevere l’illuminazione, allora mi fu data la visione che dissipò tutti i miei dubbi,
gettandoli nell’oblio per mai più tornare a tormentarmi.
Un giorno, come diresti tu, sedevo in una radura su un cuscino di fiorellini rossi; gli alberi
attorno a me formavano una specie di pergolato. Non stavo pensando al mio assillante problema,
avendo molte altre cose più piacevoli a cui pensare. Ero assorbito da tutta la bellezza del bosco – i
fiori, le fronde, gli uccellini e i loro canti – quando girandomi vidi seduto accanto a me un uomo
dall’aspetto austero e assai incantevole. Indossava un mantello color porpora scuro, sotto il quale
portava una tunica di seta finissima attraverso cui il suo corpo risplendeva come luce solare quando
è riflessa dal centro di un cristallo. Il gioiello sulla spalla era verde scuro, mentre l’altro sulla fronte,
verde e violetto. I suoi capelli erano bruni e gli occhi di un colore che non avevo mai visto.
Se ne stava seduto là guardando davanti a sé, mentre io fissai lui e la sua bellezza per lungo
tempo, finchè mi disse: “Fratello mio, questo sedile è molto confortevole, è un piacere starci seduti,
non credi?”. E io replicai: “Sì, mio Signore”, non trovando altre parole da dire.
“Inoltre, è un letto di fiori su cui puoi distendere la tua mente”. A questo non riuscii a trovare
una risposta. Così continuò: “Pensi forse, amico, che queste piccole meraviglie rosse della famiglia
dei fiori, cariche di vita e bellezza germogliante, come lo sono i fanciulli, furono create allo scopo
di usarle come facciamo noi?”.
“Non ci avevo pensato, signore”, fu tutto quello che potei replicare.
“Certo, dopotutto è così per la maggior parte degli uomini, ed è inspiegabile se consideriamo
che ciascuno di noi discende da Colui che pensa per tutto il tempo, e nulla fa che non sia in accordo
con la ragione. E noi, di epoca in epoca, nuotiamo dentro l’oceano della Sua Vita e mai fuori di
esso. Quindi è strano vedere come possiamo agire senza pensare, proprio noi che siamo figli di un
simile Padre”.
Fece una pausa, e io arrossii di vergogna. Ciò nonostante nella sua voce e nei modi non c’era un
briciolo di severità, ma gentilezza e affetto, come una giovinetta che con amore materno si prende
cura di un uomo. Ora, a differenza di prima, cominciai a riflettere. Stavo schiacciando
sbadatamente, sotto il peso del mio corpo, questi fiorellini così graziosi e pieni di vita, ma così
inermi nella loro delicata bellezza. Quindi dissi: “Vedo il bersaglio della tua freccia, signore, essa è
penetrata in profondità. Non è bene starcene seduti qui a lungo, stiamo schiacciando questi fragili
fiori con il peso del nostro corpo”.
“Allora alziamoci e camminiamo assieme”, replicò lui. E così facemmo. “Passeggi di frequente
su questo sentiero?”, mi chiese mentre camminavamo.
“È la mia passeggiata preferita. È qui che spesso vengo a riflettere sulle questioni che mi
tormentano”.
“Certo”, proseguì egli pensieroso, “le difficoltà legate a questa sfera sono più rilevanti rispetto
alle sfere vicine. E venendo qui ti siedi spesso su un tumulo di terra a riflettere sulle cose – o
piuttosto a riflettere profondamente sulla tua difficoltà, suppongo. Ora riposiamoci un po’. Dove
sedevi l’ultima volta che sei venuto qui a pensare?”.
Nel rivolgermi la domanda si era fermato, e io indicai il posto davanti a lui: “È qui che mi sono
seduto l’ultima volta”.
Mi chiese se ero venuto di recente, risposi di sì.
“Comunque”, proseguì lui, “non vedo segni del tuo corpo sul muschio e sui fiori. Si sono ripresi
prestissimo dalla spiacevole pressione ricevuta”.

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In effetti è così che avviene in questi reami. Non è come sulla terra. I fiori, il muschio e i prati
riacquistano rapidamente il loro decoro, e appena ci si rialza è difficile vedere dove si era stati
adagiati. Parlo della Quinta Sfera, ma non è così in tutti i mondi, perlomeno in quelli più vicini alla
terra.
Poi continuò: “Tuttavia la preoccupazione del Creatore è quella di essere equanime nel valutare
il valore delle anime umane e delle percosse che hanno subito. Perché qualunque opera è Sua e solo
Sua, in verità. E ora vieni, fratello, ti mostrerò ciò che non sei stato capace di vedere per mancanza
di fede. Ora comincerai a dubitare della saggezza della tua opinione, e quel dubbio è il seme della
fede nella bontà di Colui il cui Regno è Amore, e la Luce di quel Regno è la Sua Saggezza”.
Quindi mi condusse lungo un sentiero laterale del bosco verso una collina. La risalimmo fino a
superare le cime degli alberi, dove fui capace di vedere il panorama distante. Osservando, vidi sulla
pianura lontana il Tempio della Sfera. Dalle aperture della volta uscivano brillanti fasci di luce, che
si univano in un solo raggio attorno alla cupola centrale. Ciò avveniva a causa delle pratiche
spirituali esercitate da coloro che erano riuniti al suo interno.
Poi si levò al centro della cupola la figura di un Uomo, che ascese fino alla sua sommità. Si
trattava del Cristo. Era vestito tutto di bianco, solo i piedi rimanevano scoperti. In breve tempo una
tinta rosa cominciò a colorare il Suo abito, assumendo un tono sempre più scuro, fino a diventare di
un intenso rosso cremisi. La fronte era contornata da un diadema di rubini rosso vivo, anche i
sandali erano ornati di rubini. Mentre teneva le mani protese in avanti, vidi sul dorso di ciascuna
una grande pietra rossa luccicante, e mi resi conto cosa significava per me quella visione. Se prima
Lo vidi circondato da un incantevole candore, ora scintillava di un ammagliante rosso cremisi, e la
sua straordinaria bellezza mi fece provare un’estasi da restare senza fiato.
Mentre Lo osservavo, si addensò attorno a Lui una nuvola dorata, tempestata di zaffiri e
diamanti, e dietro di Lui si ergeva, sopra la Sua testa, una larga fascia verticale color rosso sangue.
Un’altra fascia, con la stessa intensità e tonalità di colore, attraversava orizzontalmente quella
verticale, circa all’altezza del Suo petto, ed Egli stava davanti alla croce in tutto il Suo regale
splendore.
Sulla pianura sottostante la gente si accalcava per catturare uno scorcio di quella gloria. I loro
volti e vestiti risplendevano della luce proiettata dal Suo corpo, che sembrava rivolgere un appello
al sacrificio e alla fiducia necessaria per intraprendere il servizio. Poiché coloro che si offrivano per
compiere l’opera dovevano uscire e patire, ma senza sapere nulla del mistero della sofferenza. Molti
erano inginocchiati con le teste abbassate in attesa di risposta, ed Egli scelse questi dicendo loro di
recarsi nel Tempio dove gli avrebbe dato la parola per la missione. Poi scomparve nel Tempio
attraverso la cupola e non lo vidi più.
Avevo dimenticato l’uomo al mio fianco e per un po’ restai inconsapevole della sua presenza
dopo che la visione era sfumata. Allora mi girai verso di lui e vidi che la sofferenza aveva segnato il
suo volto con profondi solchi. Eppure non facevano parte del presente, ma del passato, e per quello
che evocavano lo rendevano ancora più amabile.
Non riuscii a parlargli e rimasi fermo in silenzio. Fu lui a parlare: “Fratello mio, sono venuto da
un mondo molto più luminoso di questa tua sfera per portarti a vedere l’Uomo del Dolore nel Suo
splendore. Liberamente volle soffrire per raccogliere su di Sé la sofferenza e farla Sua. Senza quel
dolore la Sua bellezza mancherebbe di qualcosa che invece oggi possiede. E le sofferenze che
danno a Lui tanta dolcezza sono le stesse che, nel loro stato rude e primitivo, inondano la terra di
patimento e gli inferi di tormento. Ma non sono che afflizioni passeggere, che toccano chiunque
passi sotto la loro ombra. Fratello mio, noi non possiamo penetrare tutto il grande Cuore di Dio. Ma
possiamo, come abbiamo appena fatto, ricevere ogni tanto un lampo di ragione scintillante, e allora
la difficoltà perde alcuni suoi aspetti più sinistri e sorge la speranza che un giorno saremo capaci di
comprendere meglio.
“Ma finchè non verrà l’alba di quel giorno, sono contento di sapere che Chi venne dal Cuore del
Padre uscì bianco e puro, e con risoluto proposito affrontò il compito che lo attendeva percorrendo
il sentiero fra le torbide nubi del peccato e dell’ostilità che si raccolgono attorno alla terra. Non

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solo, ma Egli andò negli inferi in cerca dei sofferenti, e a causa della loro angoscia anch’Egli soffrì;
poi l’Uomo del Dolore tornò presso i Gradini del Trono Paterno, avendo portato a termine la
missione. Ma non tornò com’era partito. Andò nella bianca purezza della santità, e ritornò
ammantato di rosso cremisi come Principe-Guerriero e Vincitore. Il sangue versato non era di un
altro, ma solo il Suo. Una battaglia strana davvero, e nuova nella misteriosa storia del mondo, quella
in cui il condottiero, incontrando il suo nemico, rivolge la spada verso se stesso, e tuttavia ne esce
vincitore per aver versato il proprio sangue.
“Così, aggiungendo quei rubini alla Sua corona e la tinta rosata del sacrificio alla Sua persona,
tornò più splendido di quando partì. E ora il dramma della Sua discesa nella materia è solo come il
momentaneo disagio del muschio su cui siedi senza darti pensiero, che resta intatto nel perenne
vigore della sua crescita e fioritura.
“Egli, venendo da alti Cieli di Luce e Potere, che superano la nostra capacità di giudizio, ci
svela la grandezza del sacrificio di sé – Egli è garanzia per me della buona saggezza di Dio.
“A proposito della tragedia del peccato e della folle ribellione dell’Inferno – anche quelli che
vissero nelle contrade oscure fanno ritorno con qualcosa. Quando coloro che, dopo aver lasciato la
via maestra dell’obbedienza per cercare un altro padrone, escono dalle tenebre per amore di Dio e di
Suo Figlio si ritrovano con qualcosa che è prezioso e dolce per loro, perché li lega più stretti al
Signore. Sì, fratello mio, un giorno capirai meglio quella saggezza. Sii paziente fino ad allora. Ma
passerà molto tempo prima che tu possa comprendere. Non riuscirai tanto facilmente né tanto
presto, come fu nel mio caso, a scandagliare questo profondo mistero, perché tu non sei affondato in
quelle profonde caverne di rimorso e agonia. Ma io ho abitato laggiù, e sono passato per quella via”.

LA SECONDA SFERA – LE TRE CROCI SUL CALVARIO

Giovedì 20 dicembre, 1917.


5.10-6.17 p.m.
Arrivammo alla Seconda Sfera, e cominciammo a cercare il luogo dove gli abitanti erano
prevalentemente raccolti. Dall’epoca in cui soggiornavo in questa sfera erano avvenuti dei
cambiamenti, perciò ero costretto a recuperare la conoscenza dei modi e delle maniere correnti.
Devi sapere, amico mio, che diversamente da quanto accade nelle sfere più alte e progredite, in
quelle più vicine alla terra le piccole cose sono maggiormente soggette a mutamenti.
Nella Seconda Sfera lo sviluppo della conoscenza terrena e le relazioni fra i popoli sono ancora
avvertiti nella loro evoluzione generazionale, poiché la sfera, pur intervenendo su questi aspetti, di
fatto li modifica poco; inoltre le abitudini di pensiero e i pregiudizi terreni incidono ancora molto
sulla vita di quel mondo, mentre la loro influenza gradualmente va scemando man mano che si sale
alle sfere superiori. Anche persone molto progredite conservano tracce di questi influssi, ma non
così potenti da arrestarne lo sviluppo e guastare la Fratellanza con i figli di Dio. Queste differenze,
dovute alla vita terrena, diventano varianti tipologiche che aumentano il fascino e l’interesse per le
Sfere a cominciare dalla Settima andando in su, e non conservano tracce di separatività, né di
discredito delle opinioni e credenze altrui. Chi ha progredito a tal punto nella luce, ha imparato,
grazie a quella luce, a leggere gli insegnamenti nel Libro degli Atti di Dio. E non esiste che un solo
Libro per tutti, perché tutti parlano una sola lingua e formano l’unica grande famiglia del Padre.
L’amore li tiene uniti con la sincera cooperazione nel servizio e nell’amicizia, non come nella vita
terrena dove si è costretti a tollerare e sopportare passivamente.
Ma ora parliamo della Seconda Sfera e della nostra missione laggiù. Qui le persone vengono
suddivise in gruppi, in base alle loro preferenze. Alcuni chiedono di associarsi alla gente della loro
stessa razza. Altri gruppi si formano in base alla fede religiosa, che loro giudicano più importante
dell’etnia. Non mancano neppure circoli politici. Singoli individui appartenenti a queste comitive,
partecipano ogni tanto agli incontri di altri gruppi che riscuotono parzialmente il loro interesse. Un
mussulmano potrebbe visitare in amicizia un gruppo di socialisti internazionali, o un imperialista
aggregarsi ai devoti di fede cristiana. Sono molti e svariati i criteri per la formazione dei gruppi e
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spesso gli individui passano da un gruppo all’altro. Tuttavia la maggioranza delle persone resta
assieme e continua il percorso secondo la fede religiosa, l’ideale politico e la stirpe di cui faceva
parte.
L’arrivo di una missione dalla Decima Sfera fu ben presto noto nell’intera regione, e ormai non
era rimasto tanto malanimo a dividerli come nella vita terrena, al contrario c’era molta buona
volontà. Stavano imparando la lezione che noi avevamo imparato tempo fa. All’inizio sembravano
esitanti a riunirsi assieme, perciò dicemmo loro che così doveva essere se ci volevano ascoltare, e
che non potevamo parlare alle singole comitive, ma solo all’assemblea nel suo insieme, come un
unico gruppo.
Così vennero avanti e si fermarono su un tappeto erboso, fatto di piccoli dossi e avvallamenti,
che si distendeva da una collina non molto alta, ma più alta di quelle intorno. Noi eravamo a mezza
via sul pendio della stessa collina, dove potevamo vederli tutti; dietro noi c’era un’altissima parete
rocciosa dalla superficie piatta. Dopo aver glorificato assieme l’Unico Padre, sedemmo accanto alla
sporgenza della roccia, e uno del nostro gruppo, più vicino agli abitanti di questa sfera, si rivolse a
loro. Apparteneva alla Settima Sfera, ma era stato innalzato fino alla Decima per ricevere con noi
l’incarico e la forza necessaria per eseguirlo.
Aveva grande abilità nel parlare alle folle, quindi alzò la voce e si rivolse a quella vastissima
compagnia, i cui membri erano tanto diversi nel colore degli abiti quanto nella loro idea di verità.
La sua voce era nel contempo forte e dolce, e in sostanza disse quanto segue.
In basso sul piano terreno viveva una famiglia che era stata suddivisa in molte fazioni. Ma
riconoscendo il male di tale divisione, molti volevano riconciliarle. Persino in questa sfera si vide
quell’orgoglio ostinato, che dice: “La mia razza e la mia fede sono più importanti delle altre agli
occhi del Padre”. Ecco perché prima di poter procedere liberi e senza impedimenti dovevamo
riunirli come una sola famiglia e trasmettere all’intera adunata il messaggio da parte dell’Unico
Padre annunciato dall’unico Cristo.
Udito questo, un po’ di agitazione scosse la moltitudine, ma nessuno disse parole fuori luogo, e
quando videro che la nostra lucentezza era maggiore della loro, ci prestarono attenzione sapendo
che un tempo anche noi eravamo come loro, e solo mettendo da parte certe nostre opinioni e
correggendone altre avevamo raggiunto una forma e un’espressione più splendenti. Così diedero
ascolto al nostro oratore.
Egli fece una breve pausa, poi riprese il discorso: “Ora ascoltatemi con pazienza, amici miei e
pellegrini che avanzate sulla strada regale verso la Città Splendente del nostro Re. Sul Calvario vi
erano tre Croci, ma un solo Salvatore. C’erano tre uomini, ma solo Uno poteva promettere il Regno
dei Cieli, perché dei tre solo uno era Re, e benché scesero le tenebre, e con le tenebre giunge il
riposo, solo Uno cadde addormentato – e sapete perché? Perché nessun altro aveva compassione
così dolce, amore sì grande, spirito sì puro da intendere il proposito del Padre nel creare l’uomo a
sua immagine, e capire il piano delle forze terrificanti che si erano sollevate lungo i secoli a lacerare
il Regno e la Famiglia di Dio. Il fatto di conoscere la vastità di quella battaglia a lungo combattuta e
l’opprimente carico d’odio del nemico, Lo resero talmente debole che si addormentò. Era disceso
nella materia per sondare l’abissale divergenza dall’Altissimo. Ora, abbandonato il corpo materiale,
cominciò la Sua ascesa per tornare di nuovo ai Luoghi Elevati. E il Suo primo prigioniero fu colui
che lo supplicò sulla croce, il secondo colui che tradì il Signore per trenta denari. Abbiamo allora
una curiosa trinità di persone. Ma come nella Divina Trinità i Tre si risolvono nell’Unità, anche
questi tre dovranno pervenire all’unità.
“Il ladrone cercò il Regno di Cristo; Giuda aveva cercato il Regno di Cristo, ma il Signore lo
aveva cercato e trovato per offrirlo al Padre. Lui solo aveva trovato ciò che era venuto a cercare. Il
ladrone non comprese che quel Regno non era solo di questo mondo fin quando non vide coi suoi
occhi morenti il regale aspetto di Colui che era in procinto di salire alle soglie dello spirito. L’altro,
il traditore, lo trovò solo dopo aver superato il cancello delle tenebre e veduto il Sovrano nella
raggiante bellezza della Sua grazia innata. Ma Colui che venne e lo trovò, disse quale specie di
Regno sarebbe stato giudicato buono dal Padre. Era della terra e del Cielo. Era dentro di loro mentre

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erano incarnati. Era là avanti dove stavano andando. Abbracciava sia i cieli che la terra, come
all’inizio di tutte le cose, quando dalla Mente di Dio uscirono i cieli e la terra.
“Così vi parlo, e vi chiedo di considerare gli altri come vostri fratelli. Pensate alla diversità di
questi tre uomini sulle Croci del Calvario: il Perfetto e i primi due redenti all’inizio della Sua Vita
trionfante. Ciò dimostra quale sia la volontà di Dio: che tutte le persone, di ogni ceto e luogo della
terra, siano uno col Cristo, e uno con Colui che è maggiore del Cristo. Dunque, ora vi chiedo di
trovare fra voi delle differenze come quelle che sussistono tra Gesù di Nazareth e l’Iscariota, o gli
altri sulla croce al Suo fianco. E così, riflettendo, fratelli miei, vedrete che il Padreterno, la cui
tollerante saggezza consentì agli uomini di dividersi, li condurrà ancora una volta nella Casa Celeste
della Sua Gloria, perché di tutte le Sue glorie la maggiore è l’amore, e l’amore unisce ciò che l’odio
vorrebbe dividere”.

AL PONTE – NEL REGNO DELLE TENEBRE

Vigilia di Capodanno, 1917.


5.15-6.25 p.m.
Finora abbiamo raccontato brevemente della nostra discesa, ma ora ci avviciniamo a quei mondi
dove la luce brilla fioca, e di cui poco hanno parlato coloro che sono venuti sulla terra per mostrare
agli uomini ciò che li attende quando varcheranno il confine ed entreranno in risonanza con la vita
più rapida che pulsa in questi regni spirituali. Adesso amplieremo il discorso nell’interesse di chi è
disposto a sapere in ugual misura della luce e dell’ombra. Ma chi è di natura debole, e desidera e ha
bisogno di abbondanti dosi di gioia e di bellezza, può saltare queste pagine e lasciarci passare
l’abisso da soli, attendendo il nostro ritorno nelle sfere dove domina la luce e poche ombre
rabbuiano la bellezza della vita che vi trabocca.
Così, avendo superato la zona dove arrivano le persone che hanno lasciato la terra, e di cui in
breve ti abbiamo già parlato, ci dirigemmo verso i regni più tenebrosi. A questo punto sentimmo
crescere quel disagio dell’anima che richiede coraggio e passo guardingo pronto alla lotta.
Noterai che non seguivamo il metodo per cui gli spiriti superiori mantengono il contatto con
quelli nelle tenebre, pur restando a loro invisibili. Come abbiamo dovuto condizionarci all’ambiente
delle sfere inferiori alla nostra, così facemmo quando visitammo i mondi di livello ancora più basso.
Di conseguenza il nostro corpo non divenne così denso e grossolano come quello degli abitanti del
posto, ma abbastanza simile da potere, talora e a nostra discrezione, essere visibile a loro con una
certa rapidità e, all’occorrenza, fargli percepire il nostro tocco e far sì che anche loro potessero
toccarci. Proseguimmo lentamente a piedi, assorbendo per tutto il tempo la condizione
dell’ambiente attorno per lo stesso motivo. Giungemmo anche a sentire una certa comunione di
sentimenti con coloro che erano i destinatari della nostra missione.
C’è una regione che rimane ancora nella luce, ma termina in una ripida discesa il cui fondo è
inghiottito dall’oscurità. Ci fermammo sul bordo a osservare la valle profonda, che pareva di un
buio così fitto da non riuscire a penetrarla dal nostro punto di osservazione nella luce. Sopra il cupo
oceano di nebbia e vapori aleggiava una fievole luce che non riusciva a scendere sotto la superficie
di quell’oceano, tanto era denso. Laggiù dovevamo andare.
Il Ponte di cui ti parlò tua madre, attraversa direttamente la valle e termina dall’altra parte su un
rilievo più in basso. Coloro che dall’abisso si arrampicano su quel lato, si riposano per un periodo
presso l’estremità opposta del ponte, poi percorrono la grande strada soprelevata fino a questo lato
più luminoso. Lungo la via si trovano disseminati qua e là ricoveri dove può sostare e rinnovare le
forze chi è troppo affaticato per affrontare il viaggio senza interruzioni. Sappi che dopo aver
raggiunto il Ponte, attraversarlo risulta gravoso: i viandanti vedono da ogni parte l’opprimente
oscurità che solo di recente hanno abbandonato, e odono i pianti dei loro compagni di un tempo che
si attardano in basso nella valle della morte e della disperazione.
Il nostro intento non era di varcare il Ponte, ma di scendere direttamente nell’abisso da questo
versante.
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Cosa c’è oltre il “rilievo più in basso” a cui hai accennato, e su cui poggia la strada
soprelevata che termina dall’altra parte?
Il sentiero rialzato poggia su un crinale meno alto della Terra del Riposo, la quale conduce alle
regioni illuminate. Il crinale è tutt’altro che breve, e corre parallelo al precipizio fin dove il Ponte
ormeggia qui, nelle regioni luminose. Quel crinale o cresta è come una montagna, ha la forma di un
ovale allungato, e separa la valle sottostante dalla Terra del Riposo. Oltre il crinale c’è una vasta
pianura, alta come il fondo della valle, ma di superficie irregolare, intercalata da cavità e burroni, e
più avanti un declivio che finisce in regioni ancora più basse, di maggiore oscurità. Su quella
montagna devono ineluttabilmente arrampicarsi coloro che desiderano raggiungere il Ponte da quel
lato. Il crinale della montagna è di breve lunghezza, se comparato alla vastità dell’intera regione, ma
ciononostante è talmente esteso che molti smarriscono la strada e finiscono per ritrovarsi più volte
nella valle. Il fatto di trovare rapidamente la via di fuga dipende dal grado di visione posseduta, che
a sua volta dipende dalla qualità del pentimento e dalla volontà di migliorare se stessi.
Sostammo ancora un poco a ponderare, poi mi rivolsi ai miei compagni e dissi: “È un luogo
minaccioso, fratelli miei, non c’è bellezza che ci attiri laggiù. Ma la nostra strada deve proseguire
da quella parte e sarà meglio se ci diamo da fare”. Uno della comitiva replicò: “Sento il freddo
dell’odio e della disperazione provenire dal fondo dell’abisso. Possiamo fare poco in quell’oceano
di angoscia. Ma quel poco non può attendere, e mentre noi indugiamo quelli soffrono”.
“Hai parlato bene”, gli risposi, “questo è lo spirito di Colui che andò laggiù tempo addietro. Noi
Lo abbiamo seguito nella Sua Luce. Scendiamo dunque nelle tenebre, perché anche quelle sono
Sue, come ci testimoniò con la Sua discesa agli inferi”.
Così prendemmo il sentiero diretto in basso, e mentre camminavamo il buio aumentava e il
freddo si faceva sempre più carico di paura. Ma noi, consapevoli della nostra missione di aiuto, non
avevamo timore; nel nostro passo non c’era esitazione, anche se avanzavamo con cautela, attenti al
percorso da seguire per cogliere il sentiero giusto. La nostra prima tappa era situata leggermente a
destra rispetto alla direzione di marcia, e non fra la Terra del Risposo e il Crinale. Era una colonia di
abitanti stanchi della vita miserabile che avevano sopportato, ma privi di forza per abbandonarla e
ignari della via da prendere, qualora si fossero decisi a lasciare il loro ancoraggio disperato.
Man mano che proseguivamo, i nostri occhi si adattavano sempre meglio all’oscurità, e
riuscivamo a vedere attorno a noi, come se di notte si scorgesse una città in lontananza a causa dei
bagliori rossastri sulle torri di guardia. Notammo molti edifici in rovina, alcuni raggruppati assieme,
altri solitari. La decadenza imperava ovunque attorno a noi. Ci sembrava che nessuno avesse mai
finito di costruire una casa, una volta iniziati i segni dello sfacelo. Dopo averla costruita,
l’abbandonavano al primo segno di logoramento per erigerne un’altra in un posto diverso, oppure la
lasciavano perchè si erano stufati e ne iniziavano una nuova. Indolenza e incostanza si respiravano
nell’aria – l’apatia causata dalla spossante disperazione e lo sconforto del dubbio, indebolivano la
forza del loro proposito e anche quello dei vicini.
Gli alberi, alcuni dei quali molto grandi, erano per lo più senza foglie, e le foglie presenti in altri
non avevano un bell’aspetto: erano di un verde-giallo cupo, appuntite come denti simili a lance,
avendo assunto l’aspetto ostile delle persone vissute nelle vicinanze. Ogni tanto incontravamo dei
fossi pieni di pietre e sassi taglienti, con poca acqua, e quell’acqua era una melma densa e fetida.
Dopo aver camminato a lungo giungemmo a scorgere la comunità che stavamo cercando. Non
era una città, ma un grappolo di case, grandi e piccole, sparpagliate qua e là senza ordine. Era un
paese senza strade. Molte abitazioni erano semplicemente capanne di fango o ripari realizzati con
un paio di lastre di pietra. Negli spazi aperti erano accesi dei fuochi per dare luce agli abitanti.
Attorno ai fuochi si erano raccolti drappelli di persone: alcuni sedevano in silenzio fissando le
fiamme, altri bisticciavano a gran voce, altri ancora discutevano con rabbia. Così ci avvicinammo a
un gruppo silente, restando in disparte a guardarli, e una grande pietà ci afferrò il cuore per la loro
disperazione spirituale. Allora ci prendemmo per mano e ringraziammo il Padre nostro per averci
assegnato questo incarico.

62
L’EX GIUDICE – UN PICCOLO CRISTO DELLA QUARTA SFERA

Giovedì 3 gennaio, 1918.


5.18-6.45 p.m.
Quando ci avvicinammo a quella comitiva, tutti rimasero seduti attorno al tremolante fuoco in
astioso silenzio. Eravamo dietro di loro, ma nessuno girò lo sguardo. C’è da dire che se lo avessero
fatto non ci avrebbero visto, perché i loro occhi non erano intonati al nostro stato che ancora non era
del tutto adattato al loro livello. Quindi ci prendemmo per mano e lentamente diventammo visibili;
intanto quelli cominciarono, uno alla volta, a mostrarsi insofferenti, a disagio, avvertendo una
presenza sconosciuta, non in sintonia con loro. È così che avviene immancabilmente, è lo stesso
senso di irritazione e inquietudine che tanto sovente li trattiene quando l’aspirazione comincia a
farsi sentire. La via che mena in alto è sempre ardua, piena di difficoltà, e i fallimenti sono
frequenti. Alla fine la ricompensa è ben meritata, ma essi non l’hanno ben chiaro, e ciò che sanno
deriva dal resoconto di quelli che si recano da loro come facemmo noi.
Infine si alzò un tizio che, con inquietudine, cominciò a guardarsi attorno nella foschia. Era alto
e scarno, con arti nodosi e postura ricurva, la faccia era pietosa a vedersi: sfiducia e disperazione
gravavano talmente su di lui che trovavano espressione in tutta la sua figura. Venne verso di noi con
passo barcollante, si fermò a qualche metro di distanza e ci fissò incuriosito. Allora ci rendemmo
conto che, benché solo debolmente, potevamo essere visti almeno da qualcuno degli abitanti di quel
luogo cupo. Quindi feci un passo avanti e dissi: “Sembri molto stanco, amico mio, e molto
disturbato nell’animo. Posso aiutarti in qualche modo?”. Così udimmo la sua voce. Era un lungo e
sofferto lamento, come uscito dal sottosuolo, tanto pareva strano. “Chi siete?”, disse. “Siete più di
uno, vedo altri alle tue spalle. Non siete di questo posto. Da dove venite? Perché siete venuti da noi
in questa oscurità?”.
Lo guardai con più attenzione: persino in quella voce spettrale mi sembrava di ravvisare
qualcosa di familiare, o almeno di non completamente estraneo. Allora lo riconobbi. Avevamo
vissuto l’uno accanto all’altro sulla terra. Era il Giudice della città che abitava nella casa di fianco
alla mia; così pronunciai il suo nome, ma egli non reagì come mi sarei aspettato. Mi guardò
confuso, senza capire; dissi il nome della città, poi quello di sua moglie, infine abbassò lo sguardo e
si mise una mano sulla fronte cercando di richiamare la memoria. Prima ricordò il nome di sua
moglie, mi guardò in faccia e lo ripeté più volte. Allora pronunciai di nuovo il suo nome, e lui
afferrandolo rapidamente dalle mie labbra, disse: “Sì, mi ricordo, mi ricordo. E che ne è di lei? Mi
porti sue notizie? Perché mi ha lasciato in questo modo?”.
Gli spiegai che sua moglie si trovava in una sfera superiore, e non poteva andarlo a trovare
finchè lui non avesse cominciato il viaggio di ascesa verso la casa in cui ella dimorava. Mi
comprese solo in parte. Tanto sono confusi gli abitanti delle sfere oscure, che generalmente non
sanno dove si trovano; alcuni non si rendono conto di aver lasciato la vita terrena, e solo certe volte
emergono sprazzi di memoria, che poi svaniscono lasciandosi dietro il vuoto. Così per la maggior
parte non sono sicuri di essere vissuti in luoghi diversi da questi inferni. Ma quando il tormento
comincia a stancarli, diventano irrequieti e desiderano trovare un altro posto meno sgradevole, per
vivere fra persone meno degradate e crudeli. Allora il ricordo riaffiora nei loro cervelli intorpiditi e
comincia l’agonia del rimorso sincero.
Quindi tornai a ripetere la mia risposta e cominciai a spiegare. Visto che sulla terra aveva amato
sua moglie, anche se in modo alquanto egoistico, pensavo di attirarlo a lei sfruttando quel legame.
Ma egli m’interruppe: “Dunque lei non verrà da me, ora che sono caduto in brutte acque”.
“Non può venire fin qui”, gli risposi. “Tu devi seguire la via che porta da lei e lei ti verrà
incontro”. A quel punto sbottò di rabbia: “Sia dannata quella serva orgogliosa e testarda. Si è
sempre atteggiata a perfetta santa con me e si lagnava per ogni mio piccolo sbaglio. Dille, se capiti
dalle sue parti, che può restare nel suo immacolato palazzo e gioire di perfidia per la condizione di
suo marito. Qui c’è abbondanza di persone più tolleranti di lei, anche se non così raffinate come lei.

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E se vorrà scendere dal suo alto seggio, troverà una folla entusiasta ad accoglierla. Quindi, buon
giorno signore”. E si girò ridacchiando verso la folla per averne l’approvazione.
Allora si alzò un altro, andò verso di lui e lo prese in disparte. Costui era rimasto seduto fra loro
e, come gli altri, indossava un abito grezzo e scolorito. Ma nei suoi modi c’era una gentilezza e
persino qualche traccia di grazia che ci sorprese. Gli parlò per un istante, poi tornarono assieme da
me, e costui mi disse: “Signore, quest’uomo non ha compreso affatto il significato delle tue parole,
e neppure che tu sei davvero venuto a dare conforto e non a provocare risentimento. È così poco
pentito che ti ha rivolto parole sconvenienti e indecorose. Gli ho detto che voi due, un tempo, non
eravate degli estranei. Parlagli ancora con la tua dolcezza, ma non di sua moglie, perché egli non
tollera di essere stato abbandonato, come chiama l’assenza di lei in questo posto”.
Fui molto colpito dal suo discorso, espresso con tanta calma, mentre attorno a noi brulicavano
rumori riottosi, grida e bestemmie provenienti dai gruppi accanto ai fuochi sulla landa. Lo ringraziai
e restai con l’uomo che un tempo conoscevo. Sentivo che i miei sforzi dovevano dirigersi su di lui
in particolare: avevo la ferma convinzione che se fossi riuscito a impressionarlo, saremmo stati
capaci, tramite lui, di destare l’interesse dei suoi compagni per il loro futuro cammino, ed egli mi
sembrava la figura dominante e più importante fra loro.
Così lo presi per il braccio e lo chiamai per nome sorridendo, poi ci allontanammo a fare una
passeggiata. A poco a poco lo indirizzai a parlare della sua vita terrena, delle sue speranze, delle
imprese e dei fallimenti, e alla fine parlammo di certi suoi peccati. Non li ammise prontamente, ma
prima di lasciarlo mi permise di riprenderlo su due questioni, e confessò che avevo ragione. Era una
grande conquista. Gli chiesi di riflettere bene su tutto quanto, come gli avevo suggerito, e se lo
avesse desiderato lo avrei cercato per parlargli nuovamente. Allora afferrai la sua mano con una
stretta forte e risoluta, e lo lasciai da solo. Lo vidi sedersi, raccogliere le ginocchia al mento e
abbracciarsi le gambe, mentre fissava il fuoco con profonda introspezione.
Comunque non volevo partire senza aver parlato con l’altro, che sembrava maturo per trasferirsi
in una regione più intonata al suo animo penitente. Non riuscii a trovarlo subito; alla fine lo vidi
seduto in disparte su un tronco di un albero in compagnia di una donna, intenta ad ascoltare con
grande interesse il discorso che lui le rivolgeva.
Vedendomi arrivare si alzò, mi venne incontro, e io gli dissi: “Amico mio, ti ringrazio per la tua
valida mediazione; con il tuo tempestivo aiuto sono riuscito a scuotere quell’infelice, al contrario di
prima. Conosci meglio di me l’indole di questi tuoi compagni, e hai usato la tua esperienza con
grande efficacia. Ora, cosa mi dici della tua vita e del futuro?”.
“Sono io che ti ringrazio, signore”, replicò a sua volta, “e non occorre che mi dilunghi con te
sulla mia identità. Io non sono di questa regione, signore, ma appartengo alla Quarta Sfera; ho
scelto di servire, per quanto posso, in mezzo a queste povere anime smarrite”. “Vivi qui
stabilmente?”, gli domandai sbalordito. “Sì, da molto tempo. Ma quando la pressione diventa troppo
gravosa, ritorno alla mia casa e vi resto il tempo necessario per rimettermi in forze, poi vengo di
nuovo in questo posto”. “Quanto di frequente?”, gli chiesi. “Da quando sono venuto la prima volta,
circa 60 anni dopo aver lasciato la terra, sono tornato alla mia casa nove volte. Diverse persone che
conobbi sulla terra vennero qui nel periodo iniziale, nessuno è venuto di recente; ora sono tutti
stranieri. Ma io continuo a inventarmi modi per aiutarli, uno alla volta”.
Di fronte a questo rimasi fortemente colpito e imbarazzato. Io e i miei compagni avevamo
viaggiato fin là e pensavamo fosse un’impresa virtuosa. Ma colui che avevo davanti mi richiamò
alla mente un Altro, che mise da parte il Suo splendore e svuotò Se Stesso per riempire gli altri.
Fino a quel momento non avevo realizzato appieno cosa significasse dare la vita per i propri amici;
sì, e per amici come questi, e vivere con loro nelle terre dell’ombra e della morte. Egli mi guardava
e vide alcuni dei pensieri che mi passavano nella mente e, prendendo la mia vergogna su di sé, disse
pensosamente: “Egli fece molto per me – moltissimo – e a un costo enorme”.
Allora prendendo le sue mani, replicai: “Fratello mio, mi hai insegnato una lezione dal Libro
dell’Amore divino. Il Cristo va oltre la nostra comprensione con la Sua Bellezza maestosa e il Suo
Amore così dolce e inclusivo. Noi non Lo possiamo capire, ma solo venerare con ardore. E visto

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che le cose stanno così, è di grande profitto incontrare un uomo che sa vivere come un piccolo
Cristo. E questo, mi pare, l’ho incontrato in te”.
Egli abbassò semplicemente la sua bionda testa in segno di rispetto, e mentre lo baciavo sulla
testa dove i capelli si dividono, mormorò rivolto a se stesso: “Se fossi degno – se solo fossi degno di
quel Nome”.

NELLA TENEBRA PIÙ CUPA – LA CITTÀ DELLA BLASFEMIA

Venerdì 4 gennaio, 1918.


5.30-7.55 p.m.
Da quella colonia ci addentrammo ulteriormente nelle terre dell’ombra. Facevamo quanto era in
nostro potere, passando di comunità in comunità dove c’erano grappoli di case o fuochi accessi, e
davamo conforto e consiglio a chi ci accoglieva. Ma la maggior parte di loro non aveva molta buona
volontà. Alcuni riuscirono a tornare sui loro passi prendendo la via ascendente, ma tanti dovettero
scendere nello squallore di regioni ancora più basse, finchè la loro dura ostinazione non lasci il
posto alla disperazione, e dalla disperazione nasca il desiderio di tornare indietro, e una debole luce
si accenda nelle loro povere anime perse. Solo allora giungerà il pentimento e la correzione, e
inizierà il difficoltoso viaggio verso la Valle del Ponte. Ma quel tempo era ancora lontano a venire.
Così li lasciammo, avevamo degli ordini da eseguire e nella mente la mappa del territorio, grazie
alla quale orientarci per trovare la strada verso i luoghi che ci attendevano per un lavoro speciale.
Non vagavamo a caso in quelle lande tenebrose, ma secondo un piano fissato per noi da coloro che
ci mandarono laggiù.
Man mano che andavamo avanti sentivamo crescere intorno a noi la forza del male. Sappi che
esistono gradazioni di Potere maligno in base alle diverse colonie, come pure diversi sono gli aspetti
del male che dominano le varie regioni. E, come sulla terra, ci sono differenze di autorità e potere.
La forma e la natura del male non si manifestano in tutti allo stesso modo. Il libero arbitrio e le
qualità personali contano là come altrove e, in base alla loro tenacia, alcuni hanno maggiore potere
altri meno, esattamente come sulla terra e nei mondi più luminosi.
Così arrivammo in una grande città, e passammo una massiccia cancellata presso la quale le
guardie marciavano avanti e indietro. Avevamo ritirato la volontà che ci rendeva visibili ed
entrammo senza essere visti. L’ampia strada dopo l’entrata era costeggiata da casermoni di struttura
rozza e pesante come le fortezze di detenzione. Da diverse feritoie, pallide e tremule luci si
proiettavano sulla strada incrociando il nostro sentiero. Proseguimmo fino a una grande piazza,
dove su un alto piedistallo era collocata una statua, non al centro della piazza, ma da un lato davanti
all’edificio più importante.
Era la statua di un uomo vestito con la toga di un nobile romano, nella mano sinistra teneva uno
specchio dentro cui guardava, e nella destra una brocca da cui usciva vino rosso che si riversava in
un catino sottostante – era una parodia della nobiltà. Il catino era ornato di figure sparse intorno al
bordo. Alcuni bambini stavano giocando: il loro gioco consisteva nel torturare un agnellino
scorticandolo vivo. Da un’altra parte c’era la statua di una donna rozzamente scolpita che stringeva
al seno un neonato capovolto. L’intaglio era nello stesso stile, derisorio e dissacrante le virtù come
l’infanzia, la maternità, il coraggio, la devozione, l’amore, ecc. Una sconcia e variegata folla ci fece
quasi perdere la speranza di ottenere buoni risultati facendo appello alla nobiltà degli abitanti di
quella città. Dileggio e sozzura imperavano ovunque attorno a noi. Persino il disegno e gli
ornamenti degli edifici sconcertavano gli occhi in qualunque direzione si guardasse. Ma noi
eravamo là per uno scopo – che fra poco dirò – e dovevamo sopportare tutto ciò che incontravamo e
compiere la nostra missione.
Così ci ponemmo nella condizione di essere visti, e superammo il cancello dell’oscuro Palazzo
del Male davanti a cui si ergeva la statua. Passammo da un’entrata larga, simile a quella di una
prigione sotterranea, e dopo aver attraversato il corridoio ci ritrovammo davanti a un’apertura che
dava su una balconata. Questa correva attorno a un soppalco, a mezza via fra il pavimento e il
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soffitto, e ogni tanto vi scendevano gradinate. Ci accostammo alla balaustra per guardare la sala
sottostante, da cui proveniva una voce forte e pungente. Non riuscimmo a vedere subito chi parlava,
ma quando i nostri occhi si adattarono meglio alla luce rossastra che riempiva il grande spazio sotto
di noi ci rendemmo conto di quanto accadeva. Antistante a noi si ergeva, dal pavimento alla
balconata, un’ampia scala sulla quale sedeva stipata la folla presente nella sala. Sui gradini più bassi
e fino a metà si vedevano uomini e donne attorcigliati, in vari atteggiamenti, tutti sgradevoli, con
abiti scarni e discinti, che davano sfoggio di grandezza. Sparsi qua e là apparivano fasce e diademi
d’oro e d’argento, spille e gioielli argentati, fibbie e fermagli ingioiellati; ma erano tutti falsi: l’oro
era una lamina luccicante, e le gemme contraffatte. Sui gradini appena sopra di loro c’era l’oratore.
Di altezza gigantesca, più grosso di tutti, li dominava con la sua malvagità. Portava una corona a
punte e un lungo mantello grigio sporco, come se una volta fosse stato bianco ma senza lo splendore
della bianchezza, e avesse assunto il tono scialbo di chi lo indossava. Sul petto si incrociavano due
fasce d’oro finto, legate ai fianchi da una cintura di pelle. Calzava dei sandali, e accanto a lui sulle
scale c’era un bastone da pastore. Ma fu la corona a trasmettere alla nostra compagnia una fitta di
dolore indicibile. Le punte erano costituite dalle spine di un rovo d’oro, che cingendo la sua fosca
fronte assumevano la foggia di una corona.
Volevamo andarcene, tuttavia la nostra missione era già prestabilita, e fummo costretti ad
ascoltare il suo discorso fino all’ultima parola. È penoso per me esporti la sua orazione, come per te
scriverla. Ma è bene, fratello mio, che la gente ancora incarnata sappia come si vive nei mondi
oscuri, perché laggiù non esiste più la mescolanza di bene e male. Il bene va in alto, il male affonda
nei luoghi infimi, e la mistura di bene e male non fa parte dell’economia di quelle regioni infernali.
Così il male lasciato a se stesso produce empietà che sono impensabili nella composita società
umana della terra.
Predicava il Vangelo della Pace. Riporterò alcuni brani del suo discorso, da cui potrai giudicare
il resto: “E così, miei fratelli e sorelle, siamo riuniti in mansuetudine per adorare la Bestia che
uccise l’agnello. E se l’agnello viene trucidato per noi, colui che lo uccide è il vero benefattore della
nostra razza. L’agnello non è altro che lo strumento passivo per giungere alla beatitudine e
sopravvivere alle odiose sciagure della dannazione. Sappiate allora, fratelli miei, che la Bestia andò
scrupolosamente in cerca dell’agnello e lo trovò, e dall’innocua inutilità di questi ottenne il sangue
della vita e della salvezza. Così voi, inclini a nobili azioni, cercherete e troverete l’omologo
dell’agnello e farete come il Pastore ci ha insegnato. Astuti come siete, trarrete vita dalla passività
dell’omologo agnello con tutto il fervore e la follia della vostra inebriante passione. E chi
assomiglia di più all’indifeso e timido agnello se non la donna, fratelli miei, la più avvenente,
benché più stupida, controparte dell’uomo?
“E alle vostre orecchie, sorelle mie, così acconce alle raffinate volgarità, vorrei sussurrare una
confidenza. I bambini non vengono quaggiù in questi vasti reami dei quali mi avete fatto l’onore di
eleggermi Governatore. Tuttavia voglio dirvi: osservate la mia mansuetudine, guardate questo
bastone che prendo in mano, e vogliate seguirmi come vostro pastore. Vi condurrò da quelle donne
che hanno troppi bambini, bambini di cui privarsi, che possono essere strappati dal seno materno,
come un tempo esse estirparono la vita immatura che aveva iniziato a pulsare nel loro grembo,
sacrificandola, piene di misericordia, sull’altare di Moloch, ancor prima che venisse a nascere nella
vita terrena, segnata com’è dal duro lavoro e dalla sofferenza. Venite, belle signore, vi unirete a
queste miserabili che compiangono il trucidato, mentre rifuggono e si sforzano di reprimere i ricordi
troppo vividi dei loro amati, i loro piccoli assassinati”.
Usò altre parole, troppo nefande per ripeterle ora, e neppure chiederei a Kathleen di riferirtele,
né a te di ascoltarle. Ma ti ho detto abbastanza affinché tu e altri possiate avere un’idea della perfida
parodia e beffarda mansuetudine di quell’uomo, che è solo un esempio delle migliaia presenti in
questi reami. Costui, che ostentava un carattere così gentile e una grazia tanto sgradevole, era uno
dei più feroci e spietati despoti di tutta la regione. In verità, come disse, lo avevano eletto
Governatore, ma solo perché spaventati dalla sua grande malvagità. Dopo essersi rivolto a quei
poveri deformi, semi-deliranti, chiamandoli nobiluomini, essi lo applaudirono servilmente per lo

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stesso motivo. Quelle miserabili megere, le donne nello squallore del loro abbigliamento vistoso,
che chiamò gentildonne, e che invitò a seguirlo come le pecore il loro pastore, anch’esse, per la
paura, lo approvarono con acclamazioni e si alzarono per seguirlo mentre si apprestava a salire la
grande scalinata.
Dopo aver fatto il primo gradino, appoggiando il bastone su quello successivo, si fermò, si voltò
indietro e lentamente discese scalino dopo scalino fino in fondo; aveva visto che l’intera folla si era
rannicchiata nella sala senza respirare, presa da stupore, con un misto di speranza e paura. Ciò era
dovuto alla visione che avevano scorto in cima alle scale. Giacché noi eravamo là, e avevamo
assunto gran parte del nostro naturale splendore, per quanto possibile in quell’ambiente. Una dama
della nostra compagnia stava una mezza dozzina di gradini sotto di noi. Una ghirlanda di smeraldi
le brillava sulla fronte circondando la sua chioma castano chiaro, e sulla spalla il gioiello del suo
ordine splendeva luminoso e verace della sua propria virtù. Indossava una cintura d’argento. E tutto
ciò risaltava sullo sfondo di quei grossolani e pacchiani gioielli indossati dalla folla davanti a lei.
Nelle braccia teneva un mazzo di gigli bianchi. Se ne stava là, esibendo la purezza della femminilità
nella sua perfetta bellezza, sfidando il volgare cinismo con cui il precedente oratore parlò del genere
femminile.
Dopo averla contemplata a lungo, una donna tra la folla si sfogò in un pianto che cercò di
soffocare nel mantello. Anche le altre si lasciarono andare di fronte alla comparsa della loro perduta
femminilità, e la sala fu pervasa dai lamenti delle donne – oh com’erano disperati da sentire in quel
luogo di miseria e schiavitù, tanto che pure gli uomini cominciarono a coprirsi i volti, crollare a
terra, e premere la fronte nella fitta polvere del pavimento. A quel punto il Governatore prese in
mano la situazione, vedendo il suo potere in pericolo. Pieno di rabbia cominciò a calpestare i corpi
delle donne facendosi strada per arrivare a colei che aveva innescato i loro lamenti. Allora decisi di
scendere in basso e gli gridai: “Ferma la tua mano e vieni da me”.
Al che egli si girò e con ghigno beffardo disse: “Ma tu, mio signore, sei il benvenuto. Vieni in
pace fra noi. Questi miseri vigliacchi sono troppo abbacinati dalla luce della gentildonna alle tue
spalle, e io cerco solo di riportarli alla ragione, in modo che possano darti il benvenuto che meriti”.
Allora gli dissi con durezza: “Smettila, e vieni qui”. Venne da me, e continuai: “Ti sei macchiato
di blasfemia nel proferire i tuoi discorsi e nell’ostentare questi tuoi ornamenti. Togliti l’empia
corona che indossi e posa il bastone pastorale. Come osi farti beffe di Colui che chiama questi Suoi
figli e che tu tieni prigionieri con le catene della paura!”. Egli ubbidì, poi mi rivolsi ad alcuni
uomini vicini con tono più gentile: “Siete stati codardi troppo a lungo e quest’uomo vi ha tenuti
schiavi, nel corpo e nell’anima. Egli sarà condotto in una città dove governa uno più potente e
malvagio di lui. Voi, che finora lo avete servito, fate quanto vi ordino. Spogliatelo del mantello e
della cintura che ha indossato per scimmiottare Colui che un giorno dovrà diventare suo Sovrano e
Signore”.
Poi attesi, e quattro di loro si fecero avanti e cominciarono a slacciargli la cintura. Lui s’incollerì
furiosamente, ma io gli avevo tolto il bastone e lo tenevo appoggiato sulla sua spalla, e attraverso
quel tocco sentiva il potere che era dentro di me e smise di lottare. Così imposi la mia volontà su di
lui; gli ordinai di uscire dalla sala e andare nell’oscurità esterna, dove le guardie lo attendevano per
condurlo in una lontana contrada dove lo avrebbero trattato allo stesso modo in cui egli aveva
trattato gli altri.
Dopodiché invitai la folla a sedersi attorno alla sala e, una volta fatto, chiamai il cantante del
nostro gruppo. Egli alzò la sua potente voce e riempì il salone di melodia. Mentre cantava i cuori di
quelle persone cominciarono a battere più liberamente, non essendo più tenuti al guinzaglio della
paura da colui che videro essere così impotente nelle nostre mani. E la luce cominciò a perdere il
suo vivo rossore facendosi più delicata, un senso di maggiore pace pervase il luogo e bagnò i loro
corpi bollenti e febbricitanti con la sua brezza rinfrescante.
Quale canto intonò per loro?
Una canzone gioiosa e vivace – inneggiante lo spirito della primavera, la luce del mattino che
irrompe di notte attraverso le sbarre della prigione, e il melodioso canto liberatorio degli uccelli,

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degli alberi e dei mormoranti corsi d’acqua. Non fece parola della santità o delle qualità divine, non
laggiù, non a quel tempo. La prima medicina necessaria era stimolare le loro personalità a realizzare
la libertà dal loro recentissimo stato di schiavitù. E così cantava della gioia di vivere, del piacere
della fratellanza. Certo non divennero gioiosi, ma riuscirono ad essere meno disperati.
In seguito ci prendemmo cura di loro, gli demmo istruzioni, poi venne il giorno in cui la sala fu
piena dei devoti di Colui contro il quale avevano sentito bestemmiare un tempo quando vivevano
nella letargia della paura. Non era una cerimonia di adorazione come quelle propizie a persone che
vivono in uno stato di bontà superiore. Ma le loro misere voci, prive di armonia, contenevano una
nota di speranza che era dolcissima per noi, che tanto avevamo faticato per dipanare i dubbi e
placare i loro terrori.
Allora altri vennero a prendere il nostro posto per rafforzarli e incoraggiarli fin quando non
furono pronti a intraprendere il viaggio, lungo e difficoltoso, ma sempre verso l’aurora dell’est,
mentre noi proseguimmo per la nostra prossima destinazione.
Avevano tutti la stessa disposizione d’animo?
Quasi tutti amico, quasi tutti. Solo a pochi mancò la fiducia. E ora ti dirò una cosa che troverai
strana e inverosimile. Alcuni scelsero di seguire il loro Capo nella sua degradazione. Tanto si erano
uniti a lui nella malvagità, che non riuscirono a trovare nulla nel proprio carattere che permettesse
loro di decidere in autonomia. Così lo seguirono nella caduta come lo avevano servito nella sua
spaventosa gloria di potere. Solo alcuni finirono in questo modo, mentre pochi altri se ne andarono
altrove per conto loro. Ma la stragrande maggioranza rimase e apprese di nuovo quelle verità che
avevano abbandonato da lungo tempo. E l’antica storia fu così nuova e meravigliosa che fu
commovente vedere la loro reazione.
Cosa accadde al Governatore?
Egli vive ancora in quella lontana città dove le sue guardie lo condussero. Non ha fatto passi
avanti, essendo tuttora di intento cattivo e molto malvagio. Persone come lui, amico mio, sono
difficili da muovere verso le cose superiori.
Hai parlato delle sue guardie. Chi erano?
Tocchi uno dei temi più difficili da comprendere, finchè non avrai appreso di più sui modi della
Saggezza di Dio e della Sua Sovranità. Per farla breve, sappi che Dio è Sovrano non solo in Cielo
ma anche negli Inferi, e in tutto l’Inferno è Lui e solo Lui a governare. Gli altri dominano
localmente, ma Egli regna su tutti loro. Le guardie di cui ti ho parlato appartenevano alla città in cui
fu mandato il Governatore. Sono uomini malvagi e avversi al loro Creatore. Ma non sapendo quale
giudizio era stato pronunciato per la vittima che tenevano in pugno, e che questo era per la sua
salvezza finale, fecero la nostra volontà senza indugio. E qui, se scavi abbastanza in profondità,
puoi trovare la chiave di molte cose che avvengono sulla terra.
Tanti pensano che i malvagi operino fuori dai confini del Regno di Dio; e che il male e le
sciagure siano manifestazioni ingiuste della Sua energia dinamica. Entrambi però vengono usati da
Lui, e persino i malvagi sono inconsapevolmente costretti a realizzare i Suoi piani e propositi
ultimi. Ma questa è materia troppo vasta da trattare ora.
Ti auguro buona notte, la nostra pace sia con te, amico.

LA CITTÀ DELLE MINIERE – IL CAPITANO DELLA PORTA – ALLE MINIERE

Martedì 8 gennaio, 1918.


5.16-7.42 p.m.
Mentre ci aggiravamo in quelle terre per svolgere la nostra missione di soccorso e misericordia,
ci accorgemmo che il nostro piano preordinato era stato concepito in modo molto accurato. Ogni
colonia visitata aggiungeva al nostro bagaglio di conoscenze l’esperienza necessaria per fare un
passo avanti. Così, mentre soccorrevamo gli altri, noi stessi eravamo aiutati tramite questi da coloro
che vegliavano sul loro benessere e sulla nostra istruzione. Qui, fratello mio, puoi scorgere e

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scorgerai un’altra fase del principio di cui ti abbiamo parlato: il reclutamento di coloro che si
ribellano a servire lealmente il loro vero Re.
Senza il loro permesso?
Senza la loro opposizione. Anche quelli persi nelle tenebre più profonde non oppongono la
volontà alle autorità inviate loro da chi li osserva presso i celestiali rifugi di Vita e Luce, e sono
costretti a servire Cristo Re. E quando tornano sui loro passi verso il sole del Grande Giorno, dopo
aver pagato i loro debiti, anche questo verrà iscritto nel libro dei meriti della vita, visto che, benché
inconsapevoli, si sono conformati alla santità e, anche se per poco, non hanno seguito la loro
abitudine di ribellarsi alla Volontà di Dio.
Ma il Governatore di cui mi hai parlato nell’ultima seduta, non era uno di questi a quanto pare.
Tuttavia fu usato, in un certo senso.
Fu usato, certo, perché con la sua disfatta dimostrò ai suoi ex sudditi che esisteva un potere più
grande del suo. Fu mostrato inoltre che il male fatto non resta impunito per sempre, perciò altri pesi
vengono posti sull’altro piatto della bilancia, affinché si raggiunga l’equilibrio e la giustizia sia in
tal modo ristabilita. Ma questo non sarà annoverato tra i suoi vantaggi, perché la sua volontà era
contro di noi, e fu sopraffatto fino al discredito. Tuttavia, giacché la punizione gli fu assegnata, in
parte, per i crimini commessi, una volta espiata sarà sottratta dalla somma totale dei suoi debiti e, in
senso contrario, ricordalo, andrà parimenti a incrementare il suo rendiconto positivo.
La tua domanda ha un certo fondamento, amico. In verità a quel governatore fu imposto, con
l’arresto, un trattamento di costrizione contro la sua volontà, e ciò avvenne quando la sua opera di
malvagità fu ritenuta sufficiente per il proposito di coloro che gli consentirono di esercitare la sua
crudeltà fino a quel punto. Ecco perché fummo mandati e guidati in quella sala. Non ne sapevamo
nulla a quel tempo, ma agimmo per come ritenemmo opportuno, in base all’analisi delle circostanze
che trovammo laggiù. Tutto era stato pianificato da coloro che ci mandarono in missione.
E ora, se vuoi, continueremo il nostro racconto descrivendoti alcuni dei luoghi che
incontrammo, delle persone, le loro condizioni e vicende, e come ci comportammo con loro. Nel
nostro viaggio ci imbattemmo in parecchie colonie dove gente di mentalità simile cercava di
associarsi. Fu triste vederli vagare di paese in paese in cerca di una compagnia capace di alleviare la
loro solitudine, e scoprire ben presto che l’amicizia reciproca non si era saldata in misura stabile, e
quindi riprendere a vagare nel deserto per fuggire da coloro a cui avevano creduto di offrire qualche
possibilità di benessere e piacevole confidenza.
Scoprimmo che quasi in ogni colonia c’era un capo – e talvolta più di uno, pressoché uguali
nella forza di carattere – che dominava sugli altri, e li teneva in schiavitù col terrore. Uno di questi
regnava su una città a cui giungemmo dopo un lungo viaggio attraverso una regione desolata e
desertica. La città era circondata da una massiccia muraglia, e occupava un’area vasta. Appena
superammo le mura di cinta, la guardia davanti all’entrata ci intimò l’alt. Una pattuglia di dieci
soldati sorvegliava la porta d’ingresso principale, che era di grandi dimensioni e con doppio
battente. Erano tutti di statura gigante, per la grande malvagità che avevano sviluppato. Ci
ordinarono di fermarci e ci domandarono: “Come siete giunti fin qui?”. “Abbiamo attraversato il
territorio desertico”, rispondemmo al loro capitano. “E quali affari vi portano in questa città, cari
signori e gentiluomini?”, disse garbatamente, poiché era stato un uomo colto nella vita terrena e
aveva conservato i tratti formali delle buone maniere, anche se ora erano tinti di malizia e tono
beffardo, com’è d’abitudine per la maggior parte degli abitanti dei luoghi tetri.
Alla sua domanda risposi, in nome della compagnia: “Abbiamo una missione di soccorso per i
lavoratori delle miniere che il tuo padrone tiene schiavi”.
“Un proposito molto attraente per il vostro viaggio”, disse in tono affabile, cercando di
ingannarci. “Quelle povere anime lavorano così duramente che sono ben disposte verso qualunque
buon amico si interessi alla loro esistenza e alle loro afflizioni”.
“E alcuni”, continuai io, “sono anche pronti a partire da questo posto, e liberarsi dal giogo che il
tuo padrone usa per incatenarvi tutti, ciascuno al suo livello”.

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All’improvviso la sua faccia mutò d’espressione, da sorridente divenne buia e minacciosa, e i
denti che mostrava si fecero simili a quelli di un lupo famelico. Con il cambiamento d’umore scese
attorno a lui una foschia più densa. Chiese: “Vuoi forse dire che anch’io sono tenuto in schiavitù?”.
“Sei schiavo e prigioniero del tuo padrone, che è lui stesso uno schiavo e guida di schiavi”.
“E lui farà di te uno di noi, poiché presto sarai fra coloro che scavano per estrarre l’oro e il ferro
per il nostro signore”, ribatté immediatamente.
Dopodiché si voltò e ordinò alle sue guardie di legarci e portarci al palazzo del loro sovrano. Ma
io, che ero più vicino a lui, appoggiai la mano sul suo polso destro e questo contatto gli procurò un
intenso dolore, al punto che lasciò cadere la spada che aveva prontamente alzato su di noi.
Continuavo a tenerlo a freno, mentre l’unione delle nostre aure creava un senso di agonia e
turbamento nella sua anima, ma non nella mia, giacché avendo maggiore forza spirituale restai
indenne laddove lui pativa tormenti. Queste dinamiche spirituali dovresti studiarle, se vorrai, fra le
persone incarnate che ti sono vicine. È un principio di applicazione universale, come scoprirai se lo
indaghi. Allora gli dissi: “Non siamo di queste sfere oscure, signore. Veniamo da un luogo
illuminato dalla Presenza di Colui che ti diede la Vita, Vita che tu hai violato per intenti malvagi.
Per te non è ancora tempo di ottenere la libertà da queste mura e dalla tirannia dei crudeli padroni
che vivono qui”.
Allora ruppe la sottile corazza del suo portamento signorile e pianse pietosamente: “Perché non
posso andarmene anch’io liberamente da questo inferno e dal diavolo che qui domina? Perché gli
altri sì e io no?”.
Replicai: “Tu non sei ancora giudicato degno. Osserva ciò che facciamo in questo posto, non
opporti alla nostra volontà, ma aiutaci nell’impresa che dobbiamo realizzare, e quando ce ne saremo
andati, riflettici sopra e a lungo, e forse persino tu troverai in noi un po’ di benedizione”.
“Benedizione”, sogghignò con tono sgradevole. Poi disse più sobriamente: “Ebbene, cosa vuoi
che faccia, buon signore?”.
“Voglio che ci conduci alle bocche delle miniere”.
“E se mi rifiutassi?”.
“Ci andremo da soli, e tu perderai un beneficio”.
Allora fece una breve pausa poi, vedendo che poteva esserci l’opportunità di un tornaconto,
affermò: “E perché no? Se c’è da ricevere una ricompensa, perché non io che per primo ho
rischiato? E lui sia ancora più dannato nella sua dannazione, se questa volta si oppone e ostacola la
mia azione”. Quindi cominciò a camminare e noi lo seguimmo, intanto mormorava fra sé e sé: “Lui
è sempre in disaccordo con i miei progetti. È sempre pronto a ostacolare la mia volontà. Non è
soddisfatto nonostante tutta la malvagità che ha mosso contro di me”, e così via, finchè bruscamente
si girò verso di noi dicendo: “Chiedo il vostro perdono, gentiluomini. Qui siamo spesso confusi
quando invece le nostre menti dovrebbero essere più limpide. Probabilmente è il clima, o forse il
troppo lavoro. Seguitemi, cortesemente, vi porterò dove troverete ciò che andate cercando”.
Volubilità, cinismo e asprezza trapelavano dal suo discorso e dal portamento; ma da quando lo
ebbi in pugno era più sottomesso e non ci oppose resistenza, così lo seguimmo. Percorremmo
alcune strade dove vedemmo case a un solo piano, disposte senza uno schema o un ordine
particolare; erano separate da zone aride prive di erba e vegetazione, oppure ricoperte da un prato
rozzo e malsano, o da arbusti con sterpi e rami disseccati dal vento di scirocco che soffiava intorno
a noi, anche se eravamo dentro la città e alle sue alte mura di cinta. Quel vento caldo proveniva in
gran parte dalle miniere verso le quali ci stavamo avvicinando.
Questi tuguri erano luoghi dove gli schiavi facevano una breve pausa, intercalata a lunghi
periodi di lavoro forzato. Passammo oltre, e ben presto giungemmo presso una grande bocca di cava
che conduceva nelle viscere della regione. Ci avvicinammo, e sentimmo uscire folate di un vento
pregno di odori così ripugnanti, bollenti e fetidi che arretrammo per prendere tempo e raccogliere le
forze. Quindi rafforzammo i nostri cuori ed entrammo dirigendoci in basso. Il Capitano continuava
a farci strada, ora in silenzio e in grande angoscia spirituale, come ci accorgemmo dalla sua
andatura, con le spalle ricurve persino mentre percorreva il sentiero in discesa. Vedendolo in quello

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stato, lo chiamai ed egli, fermandosi, lanciò un’occhiata indietro e in alto verso di noi, il suo volto
era tetro e sofferente.
“Perché sei diventato così triste, mia guida? Hai assunto un aspetto infelice da quando ti sei
avvicinato all’ingresso delle miniere”.
“Signore”, rispose con tono dimesso, “una volta anch’io lavoravo con piccone e badile in queste
fornaci infernali, e la paura di un tempo mi assale ancora”.
“Allora cerca nel profondo della tua anima un grano di pietà per quelli che ora lavorano qui,
dove una volta anche tu hai sofferto penosamente”.
Si accasciò su un masso ai margini del sentiero, vinto dalla stanchezza, e replicò al mio discorso
con strane parole: “No, no, bisogna che loro abbiano pietà di me, non io di loro. Il loro destino è
l’inferno, ma il mio è un inferno raddoppiato dieci volte”.
“Come può essere dal momento che sei sfuggito dalla schiavitù delle miniere per entrare in uno
stato di servizio migliore agli ordini di colui che chiami tuo signore?”.
“Pensavo fossi grande in saggezza”, replicò con un sorriso amaro, “e tuttavia non capisci che
fuggire da uno stato di servitù verso una posizione superiore di comando, è come togliersi una
giacca di pelle e mettersene un’altra fatta di rovi e spine”.
Allora mi vergognai di me stesso, perché avevo appena imparato una lezione magistrale da
aggiungere alle altre apprese nella nostra esperienza in quelle lande oscure dell’inferno. Chi vive
nelle tenebre della morte aspira sempre a una sorte più favorevole, e si aggrappa ad ogni occasione
per sottrarsi alla schiavitù con la promozione a qualche posto di autorità. Ma una volta conquistato
quel posto, si accorge che l’incanto svanisce nel miasma della paura, trovandosi a contatto più
stretto col demonio, che con la sua brutalità e spietata malvagità si è impadronito del potere più
grande. Allora, il miraggio scompare, e la speranza muore con l’illusione. Tuttavia essi continuano
tenacemente a voler avanzare di grado e, soddisfatta la loro ambizione, si contorcono più di prima
nell’agonia della frenetica disperazione.
Ebbene, fu in quel momento che me ne resi conto, guardando quell’uomo davanti a me
completamente abbattuto e stremato nella sua miseria per i molti ricordi suscitati da quel luogo
orrendo. Era così pietoso da vedere in quello stato di enorme sofferenza, che gli dissi: “Fratello mio,
è forse degna di un essere umano questa vostra vita?”.
“L’essere umano” replicò “l’ho ripudiato dal momento che ho preso servizio qui”– o meglio mi
è stato tolto da coloro che mi spinsero qua dentro. Oggi non sono un uomo, ma un demonio che
prova piacere a fare il male, e prospera sommando crudeltà su crudeltà, guardando come gli altri
sopportano ciò che ho sopportato io”.
“E questo ti fa piacere?”.
Restò a lungo in silenzio, poi disse: “No”.
Allora gli posi la mano sulla spalla, questa volta non opponendo la mia aura alla sua, ma con
compassione, e aggiunsi: “Fratello mio”.
Al che balzò in piedi guardandomi con ferocia, e gridò: “Non hai detto quella parola prima! Mi
stai prendendo in giro come gli altri, come facciamo qui tra noi?”.
“No”, dissi, “tu chiami colui che servi qui ‘tuo signore’. Tuttavia il suo potere è illusorio come
illusoria è l’autorità che hai ricevuto dalle sue mani. Ora sei a un passo dal rimorso, e sebbene non
ci sia grande merito nel rimorso, tuttavia esso è un uscio che fa entrare nella stanza del dolore per il
peccato commesso. Quando avremo concluso il nostro lavoro e ce ne saremo andati, pensa a tutto
quello che è successo fra noi, e vedrai che a ragion veduta ti ho chiamato fratello mio. E se allora mi
invocherai, ti manderò il mio aiuto – è una promessa. E ora andiamo giù, fino alle miniere.
Vogliamo portare a termine il nostro lavoro e uscire. È opprimente per noi stare qui”.
“Opprimente per voi? Come potete soffrire voi che venite per libera scelta, e non in
conseguenza dei vostri crimini?”.
Allora gli diedi la risposta che lo avrebbe aiutato se l’avesse afferrata: “Credi a me, fratello mio,
credi a uno che ha visto Lui. Mentre uno di voi scende in queste oscure galere dell’Inferno e si
prepara a soffrire, Lui lassù porta sulla spalla un rubino rosso come il sangue. Quando scorgiamo

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quel segno e guardiamo i Suoi occhi, sappiamo che anch’Egli soffre. E noi, che al nostro livello
seguiamo la Sua impresa di salvare gli uomini, siamo contenti che ci permetta di stare al passo con
Lui almeno in questo, perchè anche noi possiamo soffrire, sebbene il Suo dolore ci sia sconosciuto.
Così non meravigliarti che la tua sofferenza sia la nostra, o che ora ti chiami fratello. Egli, col Suo
amore, che ha riversato su tutti noi come un unico immenso oceano, ci ha resi tali”.

LE MINIERE

Venerdì 11 gennaio, 1918.


5.25-6.45 p.m.
Continuammo a scendere, e il Capitano procedeva davanti a noi rincuorato dalle mie parole.
Giungemmo a una serie di gradini scolpiti nella roccia, in fondo ai quali trovammo un portone
pesante. Egli bussò con l’impugnatura della frusta che si era sfilato dalla cintura, e attraverso una
grata apparve un volto orribile a domandare chi fosse. Era un viso umano, ma con marcati tratti
animaleschi: bocca larga, denti enormi e orecchie lunghe. La nostra guida rispose brevemente, con
tono di comando, allora la porta fu aperta verso l’interno e noi entrammo. Ci ritrovammo in una
caverna spaziosa: davanti avevamo un’apertura da cui proveniva una luce rossastra e caliginosa, che
a malapena illuminava le pareti e il soffitto di quel luogo. Proseguimmo, e attraverso l’apertura
notammo l’esistenza di un ripido declivio, profondo circa come una pila di sei uomini. Da quel
punto ci guardammo attorno e, avendo abituato meglio gli occhi all’oscurità, scorgemmo un
territorio vastissimo, tutto sotterraneo. Non riuscimmo a vedere fin dove arrivava, e talvolta si
vedevano gallerie che si allontanavano dalla caverna principale, sparendo nella tenebra più nera.
Figure si spostavano qua e là, avanti e indietro, con passo furtivo, sembravano impaurite che
qualche orrore apparisse sul loro sentiero cogliendole di sorpresa. Ogni tanto si udivano rumori di
catene, allorché qualche poveretto strisciava i suoi ceppi sul terreno; poi uno spaventoso grido di
agonia, seguito sovente da una risata folle e crudele e dalla stoccata di una frusta. Era uno
spettacolo triste per l’udito e la vista. La crudeltà sembrava fluttuare nell’aria, mentre una vittima
dava sfogo alla sua agonia torturando un altro miserabile più inerme. Mi girai verso la nostra guida,
e dissi: “Questa è la nostra destinazione. Da quale sentiero dobbiamo scendere?”.
Egli notò prontamente il tono severo della mia voce e rispose: “Fai bene a parlarmi in questo
modo. Le tue maniere dure non mi sono così penose da sopportare come lo è sentirmi chiamare
fratello. Anch’io ho lavorato duramente quaggiù, poi mi diedero una frusta per far sgobbare altri, e
infine, per la mia durezza, divenni capo sorvegliante di un reparto che si trova oltre quella porta, e
che ora non potete vedere. Conduce a condizioni di lavoro infime e più profonde di questo reparto,
che è solo il primo di una serie. In seguito mi guadagnai un posto presso il palazzo del Signore,
dopodiché fui promosso Capitano delle guardie della Porta principale. Ma se mi guardo indietro
penso che, se dovessi scegliere, soffrirei meno come anima persa nelle viscere delle miniere che nel
ruolo di potere cui sono giunto. Tuttavia, non tornerei indietro – no – no davvero”.
Si era perso in pensieri angosciosi, e si fece silenzioso, trascurando la nostra presenza, finchè gli
dissi: “Amico mio, cos’è questo grande locale in cui ci troviamo?”. Lui rispose: “È il dipartimento
dove il metallo, fuso e preparato nelle gallerie più profonde, viene forgiato per fabbricare armi,
ornamenti e oggetti vari per il Capo. Una volta rifiniti, vengono issati in superficie attraverso il
soffitto e portati dove egli ordina che debbono andare. Nella stanza a fianco, i metalli sono laminati
e decorati; in quella prima, fusi e plasmati. La più lontana e profonda è la cava d’estrazione. Qual è
la tua volontà, signore? Vuoi continuare a scendere?”.
Dissi che volevamo andare giù e vedere di persona cosa c’era nella camera immediatamente
sotto di noi. Così ci fece strada fino a una botola nel pavimento della stanza; scendemmo per una
scaletta lungo un breve passaggio, emergendo poco lontano, sotto la struttura dove prima ci
eravamo fermati ad osservare. Passammo questa prima camera, il cui pavimento declinava man
mano che procedevamo, superammo i reparti di cui ci aveva parlato, finchè giungemmo alla miniera
stessa, poiché ero risoluto a scandagliare fino in fondo il mistero di queste cupe regioni.
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Tutte le stanze frapposte erano come ce le aveva descritte, di dimensioni immense in altezza,
lunghezza e ampiezza. Molte migliaia di prigionieri vi lavoravano, e a lunghi intervalli venivano
raggruppati dai loro carcerieri in piccole squadre e portati fuori all’aria aperta. Mi sembrava che il
motivo di questo gesto non fosse la compassione, ma piuttosto la crudeltà e il tornaconto. Infatti
quando dovevano tornare giù la loro disperazione si riacutizzava. Era anche una ricompensa per
coloro che sgobbavano più duramente e si mostravano obbedienti.
L’aria era fetida e pesante ovunque andavamo, e l’apatia della disperazione sembrava gravare
sulle spalle di quella gente, sia sorveglianti che lavoratori, perché tutti erano schiavi. Alla fine
raggiungemmo le cave. Un portone grande e pesante dava su uno spiazzo. Non vidi nessun soffitto.
Sopra era tutto nero. Ci sembrava di essere non in una grotta, ma in un buco profondo, in un
burrone, e le rocce laterali salivano in alto che non riuscivamo a vedere la loro fine, tanto eravamo
in basso sotto la superficie terrena. I tunnel scavati qua e là penetravano ancora più in profondità e
la maggior parte si trovava nel buio fitto, tranne a volte quando una luce tremolante appariva e di
nuovo scompariva. Sentivamo attorno a noi un suono come il soffio di un vento, era un gemito
lungo e perpetuo. Ma l’aria non si muoveva. Inoltre vedemmo dei condotti inabissarsi nel
sottosuolo, mentre degli uomini li percorrevano scendendo lungo pareti verticali aggrappati a
gradini intagliati nella roccia, per andare a prendere il minerale metallifero da tunnel più profondi,
scavati molto sotto il livello in cui ci trovavamo. Dallo spiazzo scendevano sentieri verso altre
aperture che a loro volta conducevano a lavorazioni più lontane, sia nella gola stessa che attraverso
corridoi scavati ai lati. È una regione vastissima, molto al di sotto del livello di quella terra oscura,
che è di per sé lontana e bassa rispetto al Ponte o alla pianura sotto il Ponte. Oh, l’angoscia
disperata di quelle povere anime indifese – perse nell’immane oscurità e senza nessuna guida a
condurle fuori.
Pur trovandosi in quella condizione, ciascuno di loro viene osservato e registrato nelle sfere di
luce, e quando sono pronti per ricevere l’aiuto, questo gli viene inviato, come avvenne persino
allora.
Mi guardavo attorno e il Capitano, la nostra guida, ci dava informazioni, così gli ordinai di
aprirci tutte le porte vicine e quelle che conducevano nella caverna da cui eravamo giunti. Ma egli
rispose: “Signore, vorrei tanto farlo, ma temo il mio sovrano, il Governatore. La sua collera è
terribile, e persino ora ho il terrore che alcuni segugi spia, cercando di accattivarsi i suoi favori, mi
facciano rapporto per ciò che ho già fatto”.
Io gli dissi: “Mi sembra che stai progredendo velocemente da quando ti abbiamo incontrato in
questa oscura città, amico mio. Ho notato già da prima un certo avanzamento nei buoni sentimenti,
anche se non te ne ho parlato. Ora vedo che non mi sbagliavo, così ti offro una scelta. Pensa
rapidamente e con decisione. Noi siamo qui per condurre fuori quelli pronti a progredire verso la
luce. Sta in te restare dalla nostra parte o metterti contro di noi. Vuoi partire con noi, o rimanere e
servire il tuo attuale signore? Decidi ora e in fretta”.
Si fermò per pochi secondi e mi guardò, poi rivolse lo sguardo ai miei compagni e ai tunnel che
conducevano nelle viscere, quindi fissò il pavimento ai suoi piedi. Fece tutto questo rapidamente,
come gli avevo ordinato, infine rispose: “Signore, ti ringrazio. Farò come mi comandi e aprirò le
porte. Ma non ti prometto di venire con te. Non mi azzardo fino a questo punto – non ancora”.
Poi, come se la risoluzione a obbedirci gli avesse dato nuova vitalità, si girò attorno, e persino in
quella luce debole notai un’aria di decisione; anche la sua tunica sembrava calare con più grazia
sulle ginocchia nude, e la sua carnagione assunse un aspetto più sano e decente. Grazie a questo
sapevo che era avvenuto un cambiamento nel suo stato spirituale, più di quanto ne fosse
consapevole lui. È così che, ogni tanto, la forza del carattere, ricoperta e sepolta sotto un carico di
iniquità, si riattiva all’improvviso e si lancia oltre le porte della sua prigione facendo un salto verso
la libertà e la luce solare Divina.
Sì, ma lui non lo sapeva, e io non ero affatto sicuro che la sua forza restasse costante, così non
dissi nulla prima di vederlo continuare sulla sua via. Lo sentii ordinare, con gran voce, al
sorvegliante di aprire la porta. Lo udii gridare lo stesso comando al secondo mentre si affrettava

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lungo il tunnel verso la porta successiva; poi la sua voce divenne più fievole man mano che si
allontanava da noi in direzione della grande grotta che anche noi dovevamo raggiungere.

GLI “SPIRITI IN PRIGIONE” – IL SIGNORE DELLA CITTÀ DELLE MINIERE

Martedì 15 gennaio, 1918.


5.25-7.15 p.m.
Allora levammo le nostre voci in coro e intonammo un potente canto di lode. Cantammo con
tono crescente, fino a riempire il luogo di una melodia che penetrava i tunnel, pervadeva le gallerie
e le miniere dove poveri disperati faticavano per il loro padrone, il crudele Principe delle Tenebre
che li teneva incatenati con la ferocia del suo potere malvagio. In seguito molti ci dissero che
quando le armonie del nostro canto giunsero a loro con crescente intensità, si fermarono ad
ascoltare quello strano motivo, poiché la loro musica era molto diversa dalla nostra, e il tema che
cantavamo era diverso da quello che erano soliti ascoltare.
Qual era il tema del canto, Leader?
Lo adattammo al proposito che dovevamo raggiungere. Cantammo del potere, di come viene
esercitata l’autorità in quelle spaventose città del mondo oscuro. Descrivemmo la crudeltà, l’infamia
e la condizione disperata di coloro che vi sono prigionieri. Illustrammo gli effetti che tale malvagità
spande sul territorio, di come le tenebre discendono dall’oscurità dello spirito, disseccano la
vegetazione, bruciano la terra e modellano i luoghi rocciosi in caverne e baratri; di come l’acqua
diventa lurida e l’aria fetida per la putrefazione e la corruzione del male che pervade tutto. Quindi
passammo a un altro tema, e ricordammo i bei pascoli della terra, la luce che bagna le cime dei
monti, la dolcezza delle acque che s’inseguono e precipitano allegramente fino alla pianura dove
crescono prati verdi, e tappeti di graziosi fiorellini si aprono dolcemente verso il sole di Dio, perché
possa baciarli nella loro bellezza. Lodammo i canti degli uccelli, la ninnananna della madre al suo
piccino, la serenata dell’amante alla sua innamorata, gli inni di ringraziamento che la gente canta
nelle chiese dove si prega il Signore, che mandò i Suoi angeli per fare arrivare le loro preghiere e
adorazioni ai piedi del Suo trono, ed essere offerte a Lui con l’incenso della purificazione per la Sua
gloria. Cantammo di tutte le cose che sulla terra donano bellezza, poi alzammo le voci a
squarciagola e con ardore descrivemmo le case dove vengono accompagnati coloro che hanno
audacemente compiuto il loro dovere sulla terra, e che ora vivono nella splendida luce del Divino
Giardino delle Delizie, dove crescono alberi maestosi, fiori dai colori sgargianti, e la bellezza
dell’intero paesaggio offre una gioia riposante per coloro che sono sudditi del potere sovrano del
Principe Redentore che li governava come vassallo del Padre.
Di quante persone era composta la vostra comitiva?
Quindici – due gruppi di sette più io stesso. Era una formazione completa. Mentre cantavamo,
quegli schiavi del male si avvicinarono uno dopo l’altro incuriositi. Facce pallide e tristi uscivano
da un tunnel, poi da un altro; certi sbucavano dalle fessure della roccia, altri da cavità e pertugi, e
non ci accorgemmo quanti ci stavano osservando finchè l’intero dirupo attorno a noi fu gremito di
persone terrorizzate e desiderose, troppo timorose di uscire allo scoperto, ma avide di abbeverarsi
alla fonte ristoratrice, come un uomo assetato nel deserto. Certuni però ci fissavano rabbiosi con
occhi rossi sprizzanti fulmini d’ira; altri ancora tenevano la testa bassa tormentati dal rimorso per i
misfatti passati e per il ricordo di quella ninnananna materna di cui cantammo, della via che essa
indicava ma che disdegnarono di seguire, deviando su un’altra strada fino a questo posto.
Allora abbassammo la voce divenendo più delicati, per concludere in un lungo e dolce accordo
di pace e riposo, e un lunghissimo solenne “Amen”. Quindi si fece avanti un tizio, fermandosi a
poca distanza da noi, si inginocchiò e disse: “Amen”. Quando gli altri lo videro trattennero il respiro
per vedere che tipo di flagello lo avrebbe colpito, essendo quel gesto considerato un tradimento
verso il signore del luogo. Ma io mi mossi verso di lui, lo sollevai e lo attirai in mezzo a noi per
proteggerlo, in modo che nessuno potesse fargli del male. Allora ne vennero avanti altri fino al
numero di 400: prima due o tre alla volta poi a dozzine, e come bambini che ripetono una lezione,
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avendo udito il primo, mormoravano anch’essi “Amen”. Intanto, quelli ancora fermi o accovacciati
nel buio delle gallerie e delle rocce ci lanciavano maledizioni, anche se nessuno uscì allo scoperto
per sfidarci. Quando vidi che erano uscite tutte le persone desiderose di unirsi a noi, mi rivolsi agli
altri ancora nascosti: “Tacete tutti: oggi avete fatto la vostra scelta fra luce e tenebra. Questi, più
coraggiosi di voi, lasceranno presto le miniere e i luoghi oscuri per andare verso la luce e il
benessere di cui vi abbiamo cantato. Spronate il vostro cuore col desiderio di prepararvi affinché,
quando giungeranno altri nostri compagni della divina luce solare, siate pronti a seguire la loro
guida, come costoro oggi seguono la nostra”.
Poi mi girai verso la nostra compagnia di anime salvate, e vedendoli timorosi e tremanti per
l’avventura che li attendeva, dissi loro: “E voi, fratelli miei, attraversate le vie della città e non
curatevi di chi vi minaccia con la punizione del sovrano. Egli non è più il vostro padrone, ma
imparerete a servire un Signore più luminoso, e presto indosserete la sua livrea, quando sarete
progrediti al punto da meritarvela. Ma ora non avete niente da temere, dovete solo ricordare le
nostre parole e obbedire, poiché il signore di questo posto sta per arrivare e noi dobbiamo
affrontarlo prima che la vostra via sia libera e sicura”.
Così ci dirigemmo verso la porta che il Capitano aveva attraversato, e che molti dei 400
dovevano passare andando ad accrescere la nostra comitiva. E proprio allora sentimmo un gran
baccano provenire da lontano verso l’ingresso esterno; il rumore diventava sempre più forte e più
vicino a noi. Allora attendemmo l’arrivo del Governatore mentre passava da una cava all’altra
ordinando ai suoi schiavi di seguirlo e di vendicarlo degli intrusi insolenti che erano entrati nel suo
regno osando sfidare la sua autorità. Veniva avanti con parole prepotenti, minacce e maledizioni; e
quei poveri spiriti codardi, sconvolti dal terrore della sua presenza, lo seguivano sbraitando e
inveendo, costretti dalle sue blasfeme imprecazioni ad obbedire ai suoi ordini. Noi eravamo davanti
alla nostra comitiva per accoglierlo, quando infine apparve.
Com’era, Leader? Intendo dire il suo aspetto.
Amico mio, era un figlio di Dio, perciò un fratello, ma perduto nel male. Per questa ragione
sorvolerei volentieri sul suo aspetto avendone pietà e compassione, poiché era soprattutto la pietà
che sentivo per lui in quel momento di grande collera e maggiore umiliazione. Ma giacché mi hai
chiesto di descriverti com’era, lo farò, e capirai quale profonda verità si celi dietro le parole: “Come
sono caduti i potenti”.
Era di statura gigante, alto come un uomo e mezzo. Le sue spalle erano sbilanciate, la sinistra
più bassa della destra, e la testa, quasi calva, sporgeva in avanti confitta su un collo grosso.
Indossava una tunica color oro sbiadito e senza maniche; una spada gli pendeva dal fianco sinistro
legata a una cintura di cuoio che gli passava sulla spalla destra. Portava gambiere di ferro
arrugginito e scarpe di pelle non conciata, la fronte era cinta da un diadema d’argento, annerito e
macchiato, con davanti una borchia scolpita nelle sembianze di un animale che si potrebbe chiamare
piovra di terra, se mai esistesse, simbolo del suo potere maligno. La sua figura era una caricatura
della regalità o, più precisamente, l’aspirazione verso una regalità che andava oltre le sue capacità.
Tendenza al male, follia, avidità, crudeltà e odio sembravano dipinti sulla sua faccia losca, e ne
dominavano interamente la personalità. Nascondevano la sua potenziale nobiltà, annichilendo ciò
che avrebbe potuto essere un grande potere per il bene, ora rivolto al male. Era un arcangelo
maledetto, che è un altro modo di dire “arcidiavolo”.
Sai chi era stato nella vita terrena?
Alle tue domande, amico, mi piace rispondere, e quando le poni non posso fare a meno di
sentirne la spinta propulsiva, che deve avere la mia considerazione. Perciò risponderò. Non smettere
di fare domande, perché possono emergere significati di cui non mi rendo conto e che scorgo solo
con i tuoi quesiti. Ma non fraintendere il senso delle mie parole. Se fosse stato un famoso chirurgo
di un grande ospedale per i poveri della tua Inghilterra, ciò non implica che altri siano come lui. Se
fosse stato un sacerdote o un filantropo, sarebbe stato altrettanto insolito. Poiché l’apparenza esterna
non sempre corrisponde all’uomo reale. Ebbene, tale egli era, e questa è la risposta, per farla breve.
Scusa se mi intrometto in modo sconsiderato.

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No, no, figlio mio. Non è così. Non travisare le mie parole. Chiedi ciò che vuoi; le tue domande
potrebbero essere poste da molti, e tu parli per loro.
Dunque egli era là, il re indiscusso di tutta quella marmaglia, ed erano in migliaia stipati dietro
di lui e al suo fianco. Ma attorno a lui veniva lasciato uno spazio, per non essere troppo vicini al suo
braccio. Nella mano sinistra stringeva una pesante frusta nodosa dall’aspetto raccapricciante, e su
questa essi lanciavano spesso un rapido sguardo per poi distoglierlo altrettanto rapidamente. Noi
restavamo in silenzio, ed egli esitava a parlare: era abituato da tanto tempo a rivolgersi agli altri con
autorità e prepotenza, ma quando ci vide gli mancò il coraggio di parlare, poichè avevamo un
aspetto tranquillo al contrario dell’aria spaventata e tremante degli altri lì presenti. Stando in attesa
gli uni di fronte agli altri, notai dietro di lui un uomo legato e tenuto stretto da due guardie come
quelle che incontrammo alla Porta principale. Lo fissai più attentamente poiché era nella penombra,
e mi resi conto che si trattava della nostra guida, il Capitano. Allora feci subito qualche rapido passo
avanti passando accanto al Governatore, e incidentalmente toccai la lama della sua spada, quindi mi
misi davanti ai due che tenevano il Capitano legato e ordinai: “Liberate quest’uomo e lasciatelo
venire dalla nostra parte!”.
A queste parole il Sovrano scoppiò di rabbia e cercò di levare la sua spada contro di me. Ma la
tempra aveva abbandonato la lama, che ora pendeva floscia come erba bagnata, e lui fissandola con
raccapriccio lo riconobbe all’istante come il segno che la sua autorità aveva perso potere. Non
avevo intenzione di farne un fantoccio da deridere, ma gli altri, i suoi schiavi, videro il lato comico
della situazione, non con ironia ma con malizia, e dai locali nascosti si sentirono scoppi di risa e
sbeffeggi. Allora la lama avvizzì e si staccò, completamente marcita, dall’impugnatura, ed egli la
scaraventò in un punto fra le rocce dove qualcuno rideva più di altri. Mi girai di nuovo verso le
guardie, e queste slegarono in fretta il prigioniero e lo portarono da noi.
Immediatamente il Governatore assunse un’aria di finta maestà, si inchinò cortesemente verso
di me, poi verso la mia comitiva. In verità quest’uomo è destinato nei secoli a diventare un grande
servitore di nostro Padre, allorché la sua malvagità sarà rivolta al bene.
“Signore”, disse, “sembra che tu abbia il privilegio di un potere maggiore del mio. Ad esso mi
inchino, e vorrei sapere cosa intendi fare con me e con questi miei servitori che mi servono così
bene e di buon grado”. Nonostante il grande autocontrollo, non poteva evitare di far trapelare, ogni
tanto, il suo recondito spirito di sprezzante malizia. È sempre così in quelle regioni infernali; tutto è
falsità – tranne la schiavitù.
Gli dissi della nostra missione, e lui replicò: “Non ero stato informato del tuo rango, altrimenti ti
avrei dato il benvenuto in modo più adeguato. Ma poiché sono stato negligente, voglio rimediare
con solerzia. Seguitemi, io stesso vi guiderò alle Porte della mia Città. Seguitemi, gentiluomini,
mentre vi faccio strada”.
E così lo seguimmo, attraversando cave e lavorazioni, e giungemmo all’ultima delle porte più
piccole che davano sulle scale conducenti alla botola tramite cui eravamo scesi nelle miniere.

L’USCITA DALLE MINIERE – IL NUOVO SERVIZIO DEL CAPITANO –


IL PICCOLO CRISTO E IL SUO NUOVO INCARICO

Venerdì 18 gennaio, 1918.


5.20-7.25 p.m.
Nell’attraversare le miniere, la nostra compagnia si faceva più numerosa man mano che si
accodavano nuove persone provenienti dagli scavi più profondi e oscuri. Le notizie, così scarse fra
quella gente, avevano raggiunto velocemente i confini estremi di quelle fosche regioni, e ora ci
contavamo in migliaia, dove prima eravamo centinaia. Fermi davanti alla parete, sotto il foro da cui
prima guardammo in basso la caverna dove ora sostavamo, mi girai e riuscii a vedere poco oltre la
parte più vicina di quella moltitudine, ma potei udire i lavoratori delle cave sotterranee più profonde
e distanti venire avanti con fervente sollecitudine, aggregandosi agli altri, per poi piombare nel
silenzio alla presenza del Sovrano e dei suoi imbarazzanti ospiti. Allora parlai a lui, dicendo: “Ciò
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che porti nel cuore non corrisponde alle parole cortesi che ci hai appena rivolto. Ma noi siamo qui a
portare pietà e benedizione, tanta o poca che sia. E se tu non vuoi restarne senza, ti consiglio di fare
attenzione alle conseguenze del tuo attacco e della nostra risposta. Quando proseguendo il nostro
viaggio ci saremo allontanati, assieme a costoro che fra poco non saranno più al tuo servizio ma
serviranno un altro non così affondato nelle tenebre del male come te, rifletti e pondera sul
significato delle cose, e ricorda queste mie parole d’aiuto, quando ti morderai le mani di rabbia e
sarai umiliato nell’orgoglio per la tua inutile guerra contro di noi, che veniamo da sfere dove
orgoglio e crudeltà non trovano posto nell’abbondante luce dei cieli del tuo Sovrano”.
Egli restò in silenzio, con lo sguardo basso, senza dire sì o no, ma col viso rabbuiato e
minaccioso: ogni muscolo e tendine era teso e pronto a non farsi sfuggire l’occasione di colpirci,
anche se timoroso di correre dei rischi. Poi mi rivolsi alla moltitudine: “Siccome non avete paura
delle conseguenze della vostra decisione, avendo scelto di stare dalla parte più forte, non fallirete in
alcun modo. Siate solo molto sinceri, non esitate nei vostri passi e conquisterete presto la libertà
giungendo alla meta del vostro viaggio, negli altipiani inondati di luce”.
Feci una pausa, tutti restarono in silenzio, finchè il sovrano sollevò la testa e, guardandomi,
disse: “Hai finito?”.
“Sì – per ora. Quando saremo fuori da queste gallerie nello spazio aperto, li radunerò dove
possono ascoltarmi tutti e darò loro la direzione che dovranno seguire”. “Sì, quando saremo fuori da
queste buie gallerie, certo, sarebbe meglio”, ribadì, e notai la minaccia sottointesa nelle sue parole.
Allora si girò, superò la porta, e giunse in fretta sino al pertugio sopra di noi, poi disse alla folla di
salire e seguirlo fino in Città. Ci spostammo di lato lasciandoli passare, intanto cercai il Capitano e
gli feci sapere la mia intenzione con queste persone e con lui. Così si unì a loro e uscì dalle miniere.
Aspettammo i ritardatari nelle retrovie, alla fine tutti attraversarono la porta e restammo soli. Allora
uscimmo anche noi, e finalmente ci trovammo sulla landa brulla che circondava la bocca delle
miniere.
Là mi rivolsi di nuovo alla folla dicendo che dovevano dividersi, andare nelle case e nei tuguri
che meglio conoscevano e dove erano conosciuti, informare delle novità e condurre chi voleva
seguirli nella piazza della Porta principale, dove infine ci saremmo ritrovati. Così cominciarono ad
allontanarsi, e mentre se ne andavano, il Sovrano ci disse: “Se vi fa piacere, gentiluomini, che ci
avete onorato della vostra presenza, vorrei mi accompagnaste fino al mio palazzo, mentre questi
vanno a prendere i loro amici. Può darsi che anche la mia dimora riceva una benedizione dalla
vostra presenza”.
“La benedizione scenderà certamente su di te e sulla tua casa, grazie a questa nostra visita”,
replicai, “ma non nel momento e nella maniera che speri”. Così andammo con lui, ed egli ci fece
strada. Giungemmo nel centro esatto della Città, e nell’oscurità apparve un grande edificio in pietra.
Era più un castello che un palazzo a vedersi, e più una prigione che un castello. Isolato e di forma
rettangolare, delimitato su ogni lato da una strada, si ergeva come una collina dal piano della
carreggiata. Era una dimora lugubre, davvero sinistra e bieca, intonata, in ogni linea, con l’anima
potente e oscura del suo costruttore.
Entrammo. Ci condusse lungo corridoi e saloni, giungendo infine in una stanza non molto
grande, dove ci invitò ad attenderlo un momento mentre lui allestiva il nostro ricevimento. Così si
congedò da noi, io sorrisi ai miei amici e chiesi loro se avessero sondato le oscure profondità del
suo proposito.
Per lo più erano dubbiosi, ma alcuni percepirono di essere stati ingannati, allora dissi loro che
eravamo prigionieri, secondo la sua idea di tenerci rinchiusi, e quando un nostro compagno andò
alla porta da cui entrammo scoprì che era bloccata, sprangata dall’esterno. Un’altra porta, dal lato
opposto della stanza, una sorta di anticamera alla Sala del Trono, era anch’essa chiusa col
catenaccio. Tu, che vivi sulla terra, penserai che almeno alcuni di quei quattordici temessero il
peggio in una situazione del genere. Ma sappi che quelli inviati in missioni come la nostra, e in
regioni come queste, non conoscono più la paura grazie al loro lungo addestramento, e sono forti
abbastanza per esercitare lo straordinario potere del bene con infallibile maestria e sicurezza, tanto

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che nessun male può resistergli e restare indenne. Sapevamo cosa fare senza ricevere consigli o
indicazioni, così ci prendemmo per mano e c’innalzammo verso la luce e la vita del nostro ambiente
naturale. La condizione più grossolana che avevamo assunto era dovuta al fatto di poter interagire in
quelle regioni nella guisa dei loro abitanti. Ma mentre eravamo concentrati, la nostra condizione
mutò gradualmente, i nostri corpi assunsero una natura più sublimata, e così passammo all’esterno
delle mura, tornando nella piazza davanti alla Porta principale, in attesa del ritorno della nostra
compagnia.
Non vedemmo più il governatore. Sapevamo che aveva pianificato di catturare nuovamente le
persone che avevamo liberato dalla sua schiavitù; vennero persino inviati messaggeri nelle regioni
confinanti con la città allo scopo di radunare un grande esercito, che fu fatto avanzare su tutti i
fronti per punire coloro che avevano osato mettere in ridicolo la sua autorità. Comunque non ho
niente di drammatico da dirti, amico mio – nessuno scontro d’armi, né suppliche di pietà, nessun
arrivo di un esercito di guerrieri luminosi in soccorso. Tutto accadde in modo molto banale e piatto,
in questo modo: in quella finta Sala del Trono egli radunò la sua corte, e dopo avere acceso le
fiaccole alle pareti e appiccato dei falò al centro della sala per illuminarla, rivolse un grande
discorso ai suoi loschi cortigiani. Allora la porta dell’anticamera venne solennemente aperta e noi
fummo invitati a entrare per ricevere i suoi onori. Ma quando si accorsero che la stanza era vuota, la
sua vendetta fu vanificata, e la sua vergogna fu evidente davanti ai nobili di corte. Tutto ciò fu la
conseguenza dei suoi piani e delle sue azioni, allora egli crollò completamente, mentre gli altri lo
deridevano vedendolo umiliato in quel modo. Battute perfide circolavano fra loro mentre se ne
andavano lasciandolo solo e sconfitto, seduto sul suo trono di pietra.
Ricordati, amico, che in questi stati ribelli la tragedia e la farsa grossolana si contendono la
scena ovunque vai. Tutto è vuota finzione, perché tutto si oppone all’Unica Realtà. Così questi finti
sovrani sono serviti dai loro sudditi in finta umiltà, e sono circondati da finti cortigiani la cui
adulazione trafigge in profondità con le frecce avvelenate del cinismo e del dileggio scurrile.

NOTA
Fine del messaggio del 18 gennaio, 1918.
Qui mancano le pagine del manoscritto originale (una seduta).
– Le persone salvate furono consegnate alle cure del “Piccolo Cristo” che, con il Capitano come
Luogotenente, fondò una Colonia in una regione a parecchia distanza dalla Città delle Miniere. La
colonia è formata da coloro che furono portati fuori dalle Miniere assieme ad altri, uomini e donne,
raccolti in Città. Di questa colonia si parla ancora nelle sedute del 28/01/18 e del 01/02/18.
H. W. ENGHOLM.

VERSO LA LUCE – RIGUARDO ALLE MINIERE – GLI ANIMALI NEGLI INFERI –


BENE SUPREMO – DISCORSO DI KATHLEEN

Lunedì 21 gennaio, 1918.


5.30-7.05 p.m.
Il nostro viaggio ora volgeva verso la luce. Se ti dicessi che la Valle sotto il Ponte era come una
notte buia sulla terra, capirai quant’era grande la tenebra nelle regioni ancora più lontane. Nulla
puoi vedere nel buio fitto. E tuttavia c’è un’oscurità ancora più densa, e se sulla terra il buio è solo
buio, qui è fatto di una sostanza che appare essere un vero e proprio orrore a coloro che non sono
protetti dalle sfere superiori. I miserabili gravitati nella fitta oscurità si sentono soffocare come se
annegassero, senza avere albero o altro pezzo della nave naufragata per stare a galla, così soffrono
fino ad essere sopraffatti da pazzia e disperazione, e allora l’inferno chiama l’inferno nella
blasfemia, non sapendo che la loro stessa volontà è l’unico fulcro su cui fare leva per sollevarsi fino
alla luce. Tale è la densità della tenebra nelle regioni più remote. E coloro che vivono là hanno una
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visione debole, da cui non ottengono beneficio, ma essa porta alla loro coscienza solo cose orribili e
malvagie, e rende più strazianti le pene che devono sopportare. E di questa gente che ha vissuto
sulla terra e ha ricoperto ruoli nella società, alcuni si sono comportati in modo malvagio, altri
portavano nomi rispettabili e rivestivano cariche onorevoli. Ti dico questo affinché tu possa
mostrare la verità agli altri, giacché alcuni dicono che l’inferno non esiste, perché l’Altissimo è
Amore sia al principio che alla fine. Certo, ma chi parla così dell’Altissimo è giunto solo al
Principio della conoscenza di quell’Amore incomparabile, anche se noi che ti parliamo siamo ben
lungi dall’aver conseguito la Conoscenza Ultima. Noi, che abbiamo penetrato abbastanza la Sua
Saggezza – abbastanza, ma pur sempre pochissimo – siamo certi che Egli è veramente Amore. Non
possiamo comprendere la Sua Perfetta Saggezza e Perfetto Amore, ma tutti noi abbiamo imparato a
conoscere Colui che ha sviluppato e consolidato la nostra fede.
Leader, una volta durante il sonno ho visitato alcuni siti di lavoro sotterraneo nelle regioni
oscure. Sei al corrente di questa mia esperienza, e se la conosci puoi dirmi se si tratta dello stesso
luogo in cui ti sei recato quando hai salvato quelle persone dalle miniere? C’è una certa
somiglianza, ma con qualche differenza.
So di quell’esperienza, perché prima di prepararti a scrivere per noi ci siamo informati bene su
tutta la tua vita, in modo da non commettere errori lavorando con te. Ti garantisco che la vita di
ciascuno viene studiata qui per l’uno o l’altro proposito, e nessuno viene trascurato da coloro che
sono pronti a offrirgli aiuto. Rispondo alla tua domanda: il luogo in cui fosti portato era a qualche
miglia da quella città, ed è governato da un vassallo del Governatore di cui ti abbiamo parlato. È un
posto dove vengono portati quelli che si ribellano alla sua autorità, per essere ridotti in schiavitù e
lavorare sotto più stretta sorveglianza rispetto ai lavoratori delle miniere e dei giacimenti in cui
andammo, i quali hanno più libertà, essendo più remissivi e addomesticati. Nel posto che menzioni
vanno per lo più i nuovi venuti di quella regione, che non sono ancora abituati al grado di crudeltà
che esiste laggiù, né alle diverse forme in cui gli sarà inflitta.
A cosa servono gli animali?
Servono per incutere soggezione e controllare i prigionieri.
Ma cosa potevano aver fatto gli animali per meritarsi di finire in un tale inferno ed essere
sfruttati in quel modo?
Questi animali non sono mai stati incarnati. Gli animali della terra vanno in regioni più
luminose. Questi invece sono creazioni dei Poteri maligni, capaci di generarli fino a un certo punto,
ma non di proiettarli oltre, nell’incarnazione terrena, divenendo così animali compiuti, attraverso la
dotazione di un corpo costituito dagli elementi che formano l’ambiente delle regioni oscure. Ecco
perché fosti perplesso nel classificarli secondo un ordine. Essi non hanno un ordine nell’economia
terrestre della vita animale, dove solo grandi Esseri Creativi sono autorizzati a esprimere le loro
facoltà nell’evoluzione delle specie animali che hanno raggiunto luoghi elevati nelle sfere più
luminose. Capisci il mio tentativo di trasporre una verità sovraterrena nel linguaggio della terra?
Mi sembra di sì. Grazie signore. È un grande mistero e una novità assoluta per me. E mi pare
possa essere una chiave per altri misteri, se si ha il tempo di rifletterci sopra.
È proprio così, figlio mio; ragionaci su, ti sarà utile. Tieni sempre a mente che alla luce
dell’Unico Bene e della Bellezza, il male è un aspetto negativo, ma quando considerato dall’altro
lato, cioè a cominciare dall’estremo opposto e procedendo in direzione contraria alla Corrente di
Vita dell’Unico Bene, esistono grandi e potenti esseri delle tenebre che sono le controparti degli
Arcangeli, dei Principati e Troni di Luce. Esiste comunque una grande differenza ed è questa.
Mentre attraverso i piani dei cieli c’è un costante progresso che conduce il Sublime a unirsi alla
Somma Sublimità, nelle sfere oscure non esiste tale compimento, né esiste un Supremo.
Come in tutte le altre fasi di attività, anche in questa i poteri oscuri interrompono bruscamente il
perfezionamento, e la successione viene meno per mancanza di una Natura Divina. Se così non
fosse, le tenebre sarebbero di potenza pari alla luce e in espansione evolutiva, fino a che la luce non
troverebbe più posto, e l’amore e la bellezza potrebbero essere sopraffatte dai loro opposti, fino a
scomparire del tutto. Allora il proposito dell’Altissimo sarebbe deviato, ed errando in vie secondarie

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naufragherebbe nello spazio, e nelle eternità muterebbe in confusione senza giungere a
compimento.
Così, per quanto potenti siano i Signori delle Tenebre, non sono Onnipotenti. Questa è una
prerogativa di Dio, e Sua soltanto. Avendo Egli una perfetta conoscenza della sua Potenza, sa fino a
che punto può concedere licenza alla progenie ribelle, a cui è permesso allontanarsi per qualche
eone finchè, con la loro capitolazione finale, volontaria e incondizionata, daranno prova della
supremazia dell’Amore. Allora la relazione reciproca fra l’Alfa e l’Omega sarà chiarita, e la
Saggezza di Dio manifesta.
Amico mio, potrei dirti tante cose di quell’aspetto del Regno dei Cieli che conosciamo solo
parzialmente, e con un linguaggio più adatto di quello terreno. Temo quindi di non poterti dire altro
che questo. Ma se hai un’altra domanda, chiedi pure.
Grazie; ma non su questo argomento.
Allora per il momento sarà sufficiente. Penso che Kathleen abbia in mente di dirti qualcosa,
perciò le lasceremo esporre i suoi dolci pensieri ritirando dalla sua sfera la nostra più poderosa
influenza, in modo che il suo stesso bellissimo sé sia libero di suggerirle ciò che deve dirti. È molto
gentile e paziente come nostra amanuense, e la ringraziamo sinceramente per il volenteroso servizio
che ci offre.
Ci incontreremo di nuovo quando avrai la possibilità di stare in nostra compagnia. Buona notte,
amico mio. Lo Splendore di Dio sia con te e con la tua gente, che è avvolta nella luce più di quanto
ne sia consapevole. E un giorno sarà rivelata a loro e a te.

RITORNO ALLA DECIMA SFERA – IL TEMPIO DELLA MONTAGNA SACRA –


IL SILENZIO NELLE SFERE SUPERIORI – UNA VISIONE DEL CRISTO REGALE

25 gennaio, 1918.
5.25-7.43 p.m.
Giungemmo al Ponte dal lato buio, lo attraversammo e arrivammo sui pendii che salgono alle
sfere progressive; là ci riposammo un po’ riesaminando il lavoro che avevamo svolto. Qui
incontrammo un messaggero della nostra regione, il quale ci portava notizie delle azioni intraprese
lassù riguardo alla nostra missione. Da quando lasciammo la Decima Sfera non avevano mai perso
il contatto con noi; mise in evidenza quelle situazioni di particolare bisogno in cui coloro che
vigilavano su di noi dalle alte dimore, sentirono la necessità di aprire un canale immediato di aiuto e
consiglio. Talora ne fummo consapevoli, in altri casi ne avevamo il sospetto, ma la maggior parte di
questi interventi avvennero in situazioni di estrema tensione, quando tutte le nostre facoltà erano
concentrate a risolvere le difficoltà contingenti, e dunque non fummo in grado di riconoscere
l’effettivo soccorso esterno che giungeva a influenzare le circostanze. Dato che in basso, nelle
regioni più tenebrose, ci eravamo ampiamente adattati alle condizioni locali, dovevamo tollerare
alcuni limiti dell’anima operante nel gravoso ambiente che allora ci attorniava. Lo stesso vale per te
nella sfera terrena, amico mio, e se tu non realizzi sempre l’aiuto inviato, ciononostante ti viene
concesso e dispensato quando ne hai bisogno.
Ora sorvolerò sul viaggio di ritorno, e ti parlerò del nostro arrivo alla Decima Sfera.
Sulle colline distanti ci venne incontro una comitiva di cari amici che attendevano il nostro
rientro con grande gioia, e non vedevano l’ora di ascoltare le nostre avventure. Strada facendo gli
raccontammo della missione, finchè non arrivammo alla grande pianura davanti al Tempio della
Montagna Sacra, quindi salimmo fino al Porticato. Fummo condotti dentro, e ci dirigemmo nella
grande Sala Centrale del Santuario, dove trovammo radunate un gran numero di persone. Erano
inginocchiate in adorazione del Sublime Invisibile, e non si mossero mentre entravamo in silenzio
fermandoci dietro di loro.
Voi non sapete cosa sia il silenzio sulla terra. Nel mondo terreno non esiste un silenzio perfetto.
Non potete lasciarvi i suoni alle spalle. Ma qui nella Decima Sfera, e in quel momento nel
Santuario, c’era il Silenzio in tutta la sua maestosa meraviglia. Se tu potessi volare lontano dalla
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terra, ti allontaneresti gradualmente dai suoni della superficie terrestre. Ma ci sarebbe sempre il
rumore dell’attrito atmosferico a violare il silenzio. E perfino oltre quella fascia atmosferica
sentiresti il suono dell’etere, in quanto elemento potenziale, allorché il pianeta risponde alla forza di
gravità di un altro pianeta. Superato il Sistema Solare, nel vuoto spaziale fra questo e altri sistemi, ti
avvicineresti all’idea di silenzio, mentre la terra sarebbe lontana milioni di anni luce, perduta alla
vista, inavvertita e quasi sconosciuta. Ma l’etere sarebbe presente, e benché le tue orecchie non
udirebbero nulla, sappi che al reame dell’etere si accede dall’anticamera dell’atmosfera, e il suono è
un elemento prossimo all’etere e gli è strettamente affine.
Bisognerebbe raffinare l’etere dieci volte attraverso un processo di sublimazione per ottenere
l’atmosfera che abbiamo qui nella Decima Sfera; e il Silenzio non è qualcosa di passivo, ma di
attivo negli effetti che produce su coloro che si bagnano nel suo oceano. Il silenzio qui non è
assenza di rumore, è la Presenza di Colui che è Silente. È un’entità vibrante, di pulsazione così
rapida che quiete e Silenzio sono una cosa sola. Non riesco ad essere più chiaro, poiché non è
possibile per te, confitto come sei nel tuo elemento più grossolano, immaginare, persino in minima
misura, la condizione a cui prendemmo parte non appena entrammo nella grande Sala del Tempio.
In seguito, attraverso il corridoio ci raggiunse il Veggente che, prendendomi per mano, ci
condusse verso l’Altare in fondo alla Sala dov’era posto il Trono, e da cui si era accomiatato da noi
all’inizio del nostro viaggio.
Eravamo un po’ affaticati, con i cuori ricolmi di quanto avevamo visto in quei remoti regni delle
tenebre. I nostri volti mostravano i segni delle tante battaglie combattute per la vittoria – ti ho
raccontato solo poche vicende della nostra impresa, non l’intera storia. Eravamo soldati usciti
dall’incessante guerra fra il bene e il suo opposto. Ma le nostre ferite e cicatrici sarebbero ben presto
sfumate nell’armonia, e il nostro aspetto sarebbe divenuto più aggraziato di quanto fosse prima di
quell’esperienza.
È lo stesso processo avvenuto per il nostro Regale Principe e Guida che ci ha mostrato la via
alla Bellezza dello Spirito quanto dell’aspetto del corpo. Egli, infatti, nelle cui vesti si legge ancora
la lezione del Sacrificio nella sua alta dignità, è così incantevole che non riesco a dipingere la Sua
grazia con parole terrene – e neppure sovraterrene.
Così ci fermammo di fronte all’altare, stando a una certa distanza, poi c’inginocchiammo anche
noi per venerare la Fonte dell’Essere, il Supremo, che si manifesta a noi solo in Forma Presenza, e
raramente, ma di solito tramite il suo Unto che è più in sintonia col nostro attuale stato, in virtù
della Sua Umanità.
Allora, finalmente, avendo ricevuto il segno, sollevammo tutti la testa e guardammo verso
l’altare. Il segno era un senso della Presenza che ardeva dentro e intorno a noi. In piedi alla sinistra
dell’Altare, con l’Altare alla sua destra, vedemmo il Figlio dell’Uomo. Questi non si presenta mai
due volte con la stessa identica foggia. C’è sempre qualche dettaglio nuovo da cogliere che cattura
la mente e trasmette il suo significato.
Allineati sulla Sua testa, con le mani incrociate sul petto, erano fermi, sospesi in silenzio, sette
grandi Angeli. Non avevano gli occhi chiusi, ma le palpebre erano abbassate, e sembravano fissare
il pavimento leggermente dietro di Lui. Indossavano finissime vesti di tinta variopinta. A dire il vero
le vesti non erano realmente colorate, ma suggerivano il colore senza manifestarlo. Erano colori
inesistenti sulla terra, e fra essi ce n’erano alcuni simili ai vostri viola, oro, cremisi chiaro (non rosa,
ma cremisi chiaro, come ho detto), è difficile da capire per te perciò sorvoliamo, un giorno capirai –
e blu; rimandavano solo a questi colori, pur avendo grande splendore. Sotto le sottilissime vesti, i
loro corpi nudi parevano di un’incomparabile bellezza. Erano talmente elevati nella santità che gli
abiti sprigionavano una lucentezza irraggiungibile da alcun vestito, per quanto ornato possa essere.
La testa era cinta da una corona di luce – una luce viva che, irraggiando, mutava man mano che i
loro pensieri assumevano una disposizione verso l’esaltazione, l’amore o la pietà. E tanto
equamente intonata e simile era la loro mente, che persino il più lieve cambiamento di pensiero
influenzava quei diademi di luce i quali, fra l’altro, proiettavano un bagliore rosso cremisi attraverso
una veste blu, o un bagliore d’oro attraverso una veste viola.

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Il Cristo, in piedi accanto all’Altare, era più visibile, e anche i dettagli dei Suoi lineamenti ci
erano più distinguibili di quelli degli Angeli presenti. Sulla testa portava una doppia corona, una
dentro l’altra. La più ampia ed esterna era color porpora, quella interna era bianca mista cremisi.
Stanghette d’oro univano le due in una sola struttura, e fra queste c’erano zaffiri di finissima fattura,
e la luce che emanava creava una nube attorno alla Sua testa. Indossava una veste d’argento
scintillante con sopra un mantello color porpora-cremisi – un colore inesistente sulla terra. In vita
portava una cintura di metallo, colore argento e rame. Sto facendo del mio meglio per descriverti il
Suo aspetto, e per farlo devo usare strani miscugli di parole terrene, e persino così non riesco ad
ottenere il risultato voluto. Sul petto una collana di rubini gli reggeva il mantello attorno alle spalle.
In una mano teneva una verga variopinta, che appoggiò con estrema grazia sull’altare. La mano
sinistra era posata sul fianco, col pollice dentro la cintura, così che il mantello era spostato indietro
su quel lato. La grazia della Sua figura era intonata alla gentilezza del Suo volto.
Il Suo volto somigliava all’immagine convenzionale che abbiamo dei Suoi ritratti?
Poco, amico, solo un po’. Devi sapere che i lineamenti del Suo volto non sono sempre identici
nei dettagli ogni volta che si manifesta, anche se nelle linee essenziali non cambiano. Per come lo
vidi allora, aveva il volto di un Re. L’Uomo del Dolore era presente, ma dominava la Regalità. Ci
apparve come uno che ha conquistato il Suo Regno. I segni della battaglia si erano trasformati nella
calma che viene dalla realizzazione. Ti stai chiedendo se aveva la barba, come nei dipinti che avete
di Lui. Non quella volta. In realtà, nelle 15 o 16 volte che L’ho visto non portava mai la barba. Ma
ciò non significa nulla. Non c’è motivo per cui non dovrebbe apparire con la barba, e di tanto in
tanto può farlo, anche se io non l’ho mai visto così. Ed è tutto quello che posso dire.
Mentre Lo guardavamo, assieme agli Angeli sopra di Lui, Egli ci parlò. Non capiresti il
significato del discorso che rivolse alla grande congregazione riunita. E quando cominciò a
rivolgersi a noi quindici, appena tornati, pronunciò queste parole, ma senza articolare i suoni come
si fa sulla terra: “E voi, che siete stati laggiù in quelle estreme contrade oscure, sapete bene che la
Mia presenza pervade anche quei luoghi. Non posso manifestarmi alle Mie anime perse che vivono
là, tranne che in parte e rare volte. Ma dopo essere entrato nei regni di manifestazione oggettiva del
Padre Mio, prima di tornare su questa via di progresso, mi recai in quei luoghi, come avete fatto voi,
e parlai a molte persone, le quali si destarono nell’udire la Mia voce, e un gran numero fissò lo
sguardo verso questi reami. Ma alcuni si allontanarono da Me attratti verso sfere più buie, non
potendo sopportare gli effetti provocati dalla Mia Presenza, che da allora si impresse più
intensamente nell’atmosfera di quelle regioni, e così deve rimanere. Voi non avete raggiunto il covo
di coloro che fuggirono da Me allora. Ma io sono anche con loro, ed essi saranno qui con Me un
giorno.
“Ebbene, Miei zelanti apostoli, che date seguito alla Mia missione, io ho osservato la vostra
opera dal Mio mondo. Non siete usciti illesi dalla battaglia. Anch’io ricevetti colpi. Non sempre
quelle persone hanno riposto fiducia nell’onestà del vostro proposito, quando avete richiamato gli
uomini verso la luce solare di queste sfere. Anche di Me dissero che non agivo bene, ma portavo il
male. A volte i vostri cuori si sono riempiti di dolore nel vedere le sofferenze dei nostri fratelli di
quelle lande buie. A volte vi siete avviliti fino al punto da chiedervi perchè il Padre è chiamato così
– in certi momenti, soprattutto quando l’angoscia degli altri vi opprimeva col suo carico di dolore,
quasi a schiacciarvi. Miei amati compagni di lavoro in quelle terre lontane, rammentate che anch’io,
come per tutte le altre cose, ho scandagliato le profondità dell’esperienza umana. Anch’io conobbi
le tenebre quando lo sguardo del Padre si allontanò da me”.
Discorreva quietamente, con tono calmo e misurato, e mentre parlava il Suo sguardo sembrava
perdersi in una foschia, in una lontana rimembranza, come se raccontando queste cose fosse là in
mezzo a quelle persone, commiserandole e soffrendo con loro in quei remoti e cupi luoghi, e non
qui nel Santuario circondato dalla bellezza della santità e dello splendore dei sette fulgidi Angeli
che brillavano sopra di Lui. Però non c’era sofferenza nelle Sue parole, solo grande regalità,
compassione e dominio su tutto il male di cui parlava. Ritorno ancora al Suo discorso, per quanto
riesco a tradurtelo:

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“Ora, ogni volta che venerate la bontà e il generoso amore del Padre, vi darò da indossare un
segno a suggello del vostro viaggio, del servizio compiuto e del patimento che avete sopportato”.
Egli parlava del nuovo gioiello che da allora fu aggiunto al diadema di adorazione che
indossavamo.
Quindi sollevò la mano sinistra e lentamente fece movimenti circolari sulle teste della
moltitudine inginocchiata, dicendo: “Miei nunzi, nel prendere congedo da voi vi comunico la
prossima missione che vi attende qui. In questo incarico sarò con voi per aiutarvi, essendo una
grande impresa quella che vi affido. Non abbiate fretta di cominciarla, ma una volta iniziata, siate
strenui e risoluti nel portarla a compimento in modo adeguato, affinché non sia necessario che altri,
più avanzati di voi in conoscenza e potere, debbano intervenire a porvi rimedio. Invocatemi e io
risponderò. Ma non interpellatemi più di quanto occorre. Questa missione dovrà servire non solo al
progresso delle sfere inferiori, ma anche per mettervi alla prova. Ricordatelo, e impegnatevi al
massimo ricorrendo alla forza che è in voi. Tuttavia non lasciate che la missione venga guastata per
il mancato appello rivolto a Me, perché sarò pronto a rispondervi. Che il buon esito del compito che
vi accingete a intraprendere abbia per voi importanza maggiore del vostro avanzamento, poiché
l’opera appartiene a Me e al Padre Mio”.
Quindi alzò la mano destra in segno di benedizione e insieme di venerazione, e molto
lentamente affermò: “Dio È.”
Così dicendo, nell’atto di ritirarsi verso le sfere superiori, Lui e i Sette Angeli gradualmente
svanirono alla nostra vista, lasciandoci apparentemente soli nel Silenzio. Ma in quel Silenzio c’era
la Sua amata Presenza, e noi ne eravamo rapiti, sapendo che il Silenzio era la Sua voce. Quindi
restammo immobili mentre Lui parlava, e così facendo udimmo e rendemmo omaggio.

IL DIADEMA DELLA DEVOZIONE – IL PROGRESSO DELLA GENTE DI BARNABAS

Lunedì 28 gennaio,1918.
5.24-7.06 p.m.
Il nostro viaggio e la missione si conclusero come ti abbiamo raccontato. Hai delle domande da
porci a proposito di quanto ti abbiamo detto? Mi sembra di vedere che alcuni interrogativi stanno
prendendo forma nella tua mente, e questo è il momento giusto per darvi risposta.
Sì, vorrei farti alcune domande. Innanzitutto, cosa intendevi dire con diadema della devozione,
o qualunque fosse l’espressione che hai usato nel tuo ultimo messaggio?
Nessuna emozione, nessun pensiero rimane senza manifestazione esteriore. Tutto ciò che vedi
attorno a te sulla terra è una manifestazione del pensiero. Tutto il pensiero fa capo all’Essere, da cui
origina tutta la vita. Ogni pensiero che viaggia dall’esterno verso l’interno trova in Lui il suo punto
focale. In senso inverso, Egli è la Fonte di tutto il pensiero, e a Lui il pensiero ritorna in un circolo
infinito. Negli intervalli, questo flusso di pensiero attraversa la mente di Personalità con vari gradi
di potere, fedeltà e unità con Lui. Questa corrente di pensiero, passando attraverso Principi,
Arcangeli, Angeli e Spiriti, si manifesta attraverso loro verso l’esterno, in Cieli, Inferni,
Costellazioni di Soli, Sistemi solari, Razze, Nazioni, Animali, Piante, e in tutte le entità che voi
chiamate “cose”. Tutte le cose vengono in esistenza oggettiva per mezzo di esseri pensanti, allorché
i loro pensieri, diretti esteriormente, assumono un’espressione tangibile ai sensi di coloro che
abitano la sfera in cui dimorano i pensatori, o con cui sono in contatto.
Non solo, ricordati inoltre che i pensieri di ciascuno, in ogni sfera, che sia la Terra, gli Inferi o i
Cieli, sono manifesti a quelli capaci di percepirli secondo il loro livello di potere. Ma è ugualmente
vero dire che tutti i tuoi pensieri, amico mio, sono registrati qui, nei Cieli bassi, e nelle regioni più
sublimi che pulsano all’unisono col battito dello stesso Cuore dell’Altissimo e Santissimo,
dell’Universale e Supremo.
Ciò che vale per l’universale, vale anche per il particolare. Quindi i pensieri di una comunità
nelle regioni celesti si manifestano nella temperatura e nella tinta dell’atmosfera. (Uso parole
terrene, le sole che possono trasmetterti quanto intendo dirti). Così la qualità e il livello della
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persona si rivelano qui in più di una maniera: dal tessuto, dalla foggia e dal colore dei suoi abiti;
dall’immagine, dalla statura e struttura del suo corpo, dalla tinta e lucentezza dei gioielli che
indossa.
Perciò, tornati dalla missione nelle lontane regioni oscure, avendo assimilato nella nostra
personalità qualità che prima ci mancavano, ci venne dato un altro gioiello da incastonare nel nostro
diadema.
Questo gesto da parte del Cristo non fu di natura arbitraria. Qui tutto è compiuto con rigorosa e
puntuale giustizia, ma nei modi più incantevoli. Ho chiamato questa corona il nostro diadema di
devozione perché non sempre è visibile sulla testa, ma solo quando i nostri pensieri ed emozioni
sono concentrati sulla devozione. Allora appare sui nostri capelli, chiusa dietro le orecchie. Tutti i
gioielli che l’adornano non sono frutto di una scelta, bensì rivelano le qualità che abbiamo
sviluppato nel nostro progresso di sfera in sfera. E quella volta ci venne dato un altro segno come
risultato delle nostre conquiste nelle sfere inferiori, dove svolgemmo la missione.
Il significato di gioielli e gemme è molto più profondo di quanto puoi comprendere, persino se
te lo potessi esprimere a parole. Un giorno vedrai la loro bellezza, ne scoprirai il simbolismo, la vita
che li anima e il loro potere. Ma non ora. Diciamo che ciò è sufficiente per il momento. Vuoi pormi
la prossima domanda?
Grazie, Leader. Puoi dirmi qualcosa della Colonia in cui avete portato la gente salvata, che
affidaste all’uomo che chiamerò il Piccolo Cristo?
Hai fatto bene a chiamarlo così; egli è degno di quel nome.
Sì. Assieme ad alcuni compagni che vennero con me in quel viaggio, ho visitato la sua Colonia
diverse volte, come gli promisi. Scoprii che non aveva deluso le mie aspettative. Questo annotalo
bene: io sono pienamente soddisfatto del suo lavoro. Ma questa era la sua prova, e il risultato non fu
esattamente quello che speravo. È molto interessante per me andare laggiù di tanto in tanto, o
ricevere i rapporti dei miei emissari che vi si recano in mio nome, portandomi notizie di ciò che
accade.
Durante la mia prima visita scoprii che avevano costruito una Città in modo abbastanza
ordinato, anche se gli edifici erano rozzi e di scarsa qualità a causa dei materiali disponibili in quella
regione. Sembravano mancare di completezza. Diedi la mia approvazione per ciò che avevano fatto,
li incoraggiai verso ulteriori sforzi, e li lasciai lavorare al progetto per conto loro.
Col tempo mi accorsi che il Piccolo Cristo – per comodità lo chiamerò “Barnabas” e ciò servirà
bene allo scopo – mi accorsi dunque che il suo potere non stava nella leadership del comando, ma
piuttosto nella sua persuasiva guida amorevole. Egli esercitava un grande potere in mezzo alla sua
gente, essi aumentarono la loro comprensione e, con lo sviluppo, furono in grado di ricambiare. Egli
abbondava in saggezza, ma non nel comando. La sua saggezza lo mise in grado di vedere le proprie
mancanze, e grazie alla sua umiltà fu capace di riconoscerlo prontamente, senza vergognarsi. Così,
mentre trattava le faccende più profonde e spirituali, come fa tutt’ora, affidava in misura sempre
maggiore il compito di organizzazione al suo luogotenente, il Capitano. Questi ha una personalità
davvero forte, e un giorno risplenderà nei Cieli di luce come un potente Principe, dotato
dell’audacia per compiere grandi cose in modo magnifico; sarà un uomo di grandi imprese.
Lentamente egli risvegliava in quei poveri cervelli ottenebrati le capacità che una volta
possedevano sulla terra nei loro mestieri, e li persuase a lavorare. Fabbri, falegnami, incisori,
muratori, architetti, ma anche artisti e musicisti, ciascuno con la propria vocazione. Ogni tanto
andavo là e trovavo la Città migliorata nell’ordine e nell’aspetto, e la gente più felice. Scoprii anche
un’altra cosa.
Quando li condussi fin là, uscendo dai luoghi di maggiore oscurità, la luce era solo un debole
bagliore sulla landa. Ma ogni volta che tornavo in Città notavo che luce e visibilità aumentavano, e
la Città diffondeva i suoi raggi sulla regione circostante. Era un effetto della pacifica attività di
Barnabas stesso. Fu lui che tese lo spirito di ciascun membro del suo popolo verso il proprio reale
destino. Con l’amore accendeva le loro aspirazioni spirituali e, man mano che queste si facevano
più concrete, le persone stesse aumentavano la loro luce che, nascendo da dentro, irradiava

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all’esterno: il risultato si osservava nell’incrementata e sempre crescente luminosità dell’ambiente
in cui vivevano.
Così i due, coordinando lealmente i propri poteri a quelli dell’altro, avevano fatto grandi cose, e
presto ne faranno ancora di maggiori, con mia grandissima gioia e per la gioia di tutti quelli che
soffrirono con me, percorrendo i sentieri oscuri di quell’Ade in cerca delle anime che avevano
perduto la strada.
Non vengono mai molestati dagli abitanti delle regioni vicine?
Alla tua domanda, figlio mio, come fra breve ti dirò, rispondo di no. Nessuno li molesta adesso,
né osa farlo. Ma all’inizio, quando erano deboli e meno capaci di affrontare i loro nemici, subivano
ripetuti attacchi.
Te lo racconterò più avanti. Prima voglio dirti una cosa che ti sembrerà strana. Ricorderai i
144.000 redenti di cui scrive San Giovanni. Sì; ebbene il numero di quelli che salvammo era lo
stesso. Ti domandi come e perché avvenne? La cosa fu decisa nelle consulte formate da coloro che
concepirono quell’impresa; essi appartengono a sfere molto superiori alla mia e il loro proposito mi
è sconosciuto, ma riguarda future epoche di sviluppo. Vorresti sapere se quella gente ha una qualche
relazione con gli altri redenti di Giovanni. No, non in maniera diretta almeno. Indirettamente c’è
una ragione, e si scoprirà nel futuro sviluppo di quella compagnia, che più tardi formerà un nuovo
dipartimento celeste indipendente – mi capisci se mi esprimo così? Non un nuovo Cielo, no, ma un
nuovo dipartimento celeste.
Ora vengo alla tua domanda. All’inizio erano molto ostacolati e tormentati dai clan vicini, che
arrivando e scoprendo ciò che facevano, gli ringhiavano insulti e se ne andavano. A loro volta
riportavano la notizia ad altri clan, e squadre di lavoratori subirono molti assalti quando capitava
l’occasione. Poi gli attacchi minori cessarono per un lungo periodo. Intanto il Capitano,
recuperando pian piano la sua antica prontezza e abilità, aveva posizionato delle sentinelle sulle
collinette periferiche e nelle torrette di guardia intorno al perimetro della città. Tramite queste
sapeva se stava per incombere una battaglia, quando da quelle postazioni scorgevano i vari clan
raccogliersi in un grande esercito, addestrare i loro soldati, e agire con smodata ostentazione
rivolgendo discorsi gloriosi alle schiere, come è d’uso fare in quelle terre dove la realtà è tutta
falsata.
Ma la nostra gente cresceva costantemente in forza e splendore, e quando venivano attaccati
riuscivano a respingere i loro nemici. Fu una battaglia lunga e molto aspra di forze e volontà. Ma
vinsero, poiché erano destinati a vincere e, per quanto ti possa suonare strano e paradossale, fu una
battaglia vera ed estenuante. Un grande aiuto gli venne dalla loro accresciuta luminosità personale e
ambientale. Questa luce era molto penosa per i loro avversari, immersi com’erano in una maggiore
oscurità; essi gridavano come degli ossessi in preda al dolore, quando entravano nel raggio d’azione
e venivano trafitti dall’imperturbabile aura di quella Città e della sua Colonia fatta di gente in
costante evoluzione.
Il miglioramento procede tutt’ora e, in misura del loro crescente splendore, la Colonia si è
gradualmente allontanata dal suo stato originario, accostandosi alle sfere di luce. In tal modo
osservo il principio operante in questi reami: la relazione reciproca fra stato interiore e ambiente,
ma per te può essere difficile da intendere – se non impossibile. Quindi non mi dilungherò. Dirò
solo che i loro oppositori trovarono più arduo avvicinarsi, mentre i Coloni scoprirono che ad ogni
tentato assalto, l’aura protettiva della Città era cresciuta e continuava ad aumentare, e le truppe
nemiche si vedevano costrette a interrompere la loro avanzata sempre più lontano.
Così qualche piccola squadra si stabilì in aree limitrofe progressivamente più illuminate per
lavorare e coltivare le terre, piantare boschi e scavare miniere. Le miniere erano le ultime di cui si
occupavano, la gente rifuggiva alla sola idea perchè troppo carica di tristi ricordi. Ma il metallo era
necessario, e alcuni coloni più audaci e determinati cominciarono l’estrazione, scoprendo che
lavorare come schiavi o come uomini liberi aveva un effetto molto diverso su di loro. E ora non
mancano volontari ben felici di aiutarli.

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Pertanto, mentre aumentano in bontà, aumenta anche la luce attorno alle loro abitazioni e in
Città. Quella è la loro forza, poiché è segno che progrediscono verso una condizione superiore, e ciò
significa che possiedono maggiore potere. Ecco perché i loro nemici sono incapaci di raggiungerli e
recare danni.
Figlio mio, questo annotalo bene: può vivere felice anche colui che durante il suo pellegrinaggio
terreno è contornato da nemici. E ricorda che i nemici, incarnati o disincarnati che siano, non
differiscono in nulla da quelli che circondano la Città di Barnabas; cosicché anche su scala più
vasta, man mano che l’influsso della Città si estende in misura costante verso la luce, i loro
oppositori sono lasciati sempre più indietro nelle tenebre, in basso.
Il mio amore è con te, figlio mio. Hai la nostra benedizione.

LA COMPAGNIA DI ZABDIEL – SUL FUTURO DELLA GENTE DI BARNABAS

Venerdì 1 febbraio, 1918.


5.38-6.35 p.m.
Kathleen ha una parola per te, figlio mio, e dopo che ti avrà parlato continueremo noi.
Dimmi, Kathleen?
Sì; volevo dirti che siamo stati in contatto con la Compagnia di Zabdiel; ci hanno trasmesso un
messaggio per te, che ora devo riferirti. Desiderano farti sapere che puoi rasserenarti e metterti
tranquillo. Fin da quando vennero da noi, durante il periodo in cui parlavamo con tua moglie, ti sei
sempre chiesto se fosse Zabdiel in persona, o qualcuno della sua Banda, a trasmetterti la serie di
messaggi a suo nome. Ebbene, fu il Signore Zabdiel stesso che venne personalmente a parlare con
te, assieme ad alcuni suoi amici. Non era uno del suo gruppo, ma lui in persona. Egli desidera che tu
lo sappia.
Alcuni di voi, che vennero qualche sera fa, dissero a mia moglie che avevano visto il nome di
Zabdiel sulle loro cinture?
Sì, questo è vero.
Non sapevo che avesse una sua compagnia, e mi sono chiesto se avessi scambiato uno di loro
per Zabdiel stesso, siccome ho saputo che certi spiriti portano spesso messaggi in nome del loro
Leader.
È così. È un’abitudine piuttosto comune. Ma in questo caso fu Zabdiel che venne a fare il lavoro
di persona.
Grazie, Kathleen. È tutto ciò che volevi dirmi?
Sì. Ora puoi rivolgere le tue domande al Leader. Lui sa che hai in mente dei quesiti, e attende di
rispondervi.
Molto bene. Innanzitutto, Leader, per tornare al tema del nostro ultimo incontro, vorrei
chiederti: in quel futuro Dipartimento dei 144.000 redenti, quale sarà il tuo ruolo? Ho la
sensazione che sarai in qualche modo collegato a loro. È così?
Non senza motivo è stato scelto quel numero per formare un nuovo Dipartimento celeste. Non
sapevo il loro numero prima della mia seconda visita, dopo che si stabilirono con Barnabas. Da
allora ho intuito che la tua supposizione può avere un certo fondamento. Niente di preciso mi è stato
detto, poiché il tempo di cui parli non è ancora venuto. Essi necessitano ancora di molta
preparazione, prima di emergere nella Luce verso cui stanno costantemente intagliando il loro
sentiero. Inoltre, il ritmo di progresso dell’intera colonia è quello del più lento e regredito di loro,
altrimenti il loro numero, fissato con evidente precisione e intenzione, perderebbe di significato.
Voglio dire che se potessero avanzare individualmente quando giungono a meritarsi il progresso,
verrebbero divisi, e la formazione stabilita finirebbe in un nulla di fatto.
Come dico, non mi è stato dato un ulteriore incarico riguardante loro e il percorso futuro che li
attende. Osservo il loro progresso attuale e sono molto contento, e traggo molta gioia dal nostro
lavoro. Il resto attende la decisione di quelli che ci dirigono dalle Sfere Superiori.

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Questo, comunque, posso dirlo. Mi hai ricordato che ti accennai al nostro numero, che era di
quindici. Ti dissi, inoltre, che i quindici erano composti da due gruppi di sette più me stesso come
Leader. Se pensi a noi come due gruppi, ciascuno composto da sei membri, con un Capo, e a quelli
sotto le dipendenze di un Governatore che amministra un intero Dipartimento, capirai allora che la
nostra formazione di quindici era completa. Troverai interessante osservare questa nuova Colonia
dei Reami Celesti. Tu hai preso parte al suo inizio, o almeno al primo sviluppo, e senza dubbio sarai
sempre coinvolto nel suo progresso.
In che senso ho preso parte al suo sviluppo?
Ma certo. Tu sei lo strumento tramite cui è stato divulgato sulla terra un resoconto dell’attuale
condizione della gente di queste sfere. Le anime buone e premurose che lo leggeranno, pregheranno
per queste persone e avranno pensieri benevoli sia per loro che per noi che le aiutiamo. Così tu e
altri li sosterrete nel loro sviluppo.
Temo di non avere ancora pensato di pregare per loro.
Perché non hai avuto il tempo di riflettere sull’effettiva realtà di ciò che hai scritto su nostra
richiesta. Quando lo farai pregherai per loro, o vorrà dire che mi sono sbagliato su di te. Anzi, ti
chiedo di farlo.
Certamente, farò così.
Sì, e quando passerai da questa parte, vedrai quella Gente con i tuoi occhi, e gioirai per l’aiuto
che gli hai dato. Essi saranno pronti per un grande avanzamento solo dopo molto tempo che tu sarai
venuto qui con noi. Prega per loro, quindi, e molti ti saranno grati e ti ricambieranno con il loro
amore, come amano colui che diede la sua benevola comprensione quando ne avevano tanto
bisogno, come ora. Parla di loro, pensa a loro come alla Gente di Barnabas.
Perché non pensare a loro come alla tua gente, Leader?
No amico, essi non sono ancora la mia gente. Corri troppo veloce. Forse un giorno sarà così e lo
spero: li considero figli miei, miei pargoli indifesi, nati in mezzo ai morti. Nel tuo cuore puoi
immaginare cosa significhi questo per me. Ti chiedo dunque di pregare per loro e di inviargli dolci
pensieri d’amore, fai lo stesso anche per Barnabas e il Capitano. Sono tutti tuoi fratelli, figlio mio, e
tu, tramite noi, sei stato posto in reale contatto con loro. Chiedi ad altri di pregare per loro.
Grazie per avermi spiegato ciò che temo di aver trascurato.
Sì, e prega anche per le altre persone di cui ti abbiamo parlato, perché hanno disperato bisogno
di preghiera e di soccorso che li conforti – parlo dell’ex Dominatore dell’oscura Città delle Miniere,
e degli altri di cui ti accennammo. Se gli uomini della terra si rendessero conto di quanto aiuto
possono dare pregando per gli abitanti degli Inferi, renderebbero più lievi i mali di cui essi stessi
soffrono. Sollevando quei poveri spiriti verso la luce e mitigando la loro angoscia, ridurrebbero il
numero dei malvagi e la malvagità di quegli spiriti che si lanciano sulla terra per tormentare i loro
simili e, tramite loro, l’intero genere umano.
È cosa buona per gli uomini guardare in alto e cercare di raggiungere la luce. Ma ancora più
lodevole è guardare in basso verso quelli che hanno disperato bisogno di forza per superare le loro
infelici sfere. Ricordati, amico, che il Cristo fece questo molto tempo fa, e così Essi fanno oggi.
Figlio mio, possa il Signore darti quel dono generoso che mandò allora sulla terra. E possa Egli
intonare il tuo spirito e le tue azioni con la mente di Colui che lo portò. Intendo dire quel Munifico
Dono del Padre, che Suo Figlio un tempo recò agli uomini in questa oscura sfera terrena, e che
ancora oggi elargisce e per sempre.
Ricordalo, e allora non potrai far altro che dare agli altri quanto tu stesso hai ricevuto, per tua
grande gioia e serenità.

Nota. – Altri messaggi pervennero la sera del 5 febbraio 1918, con una o due interruzioni, fino
al 3 aprile 1919, e sono pubblicati nel IV Volume de La Vita al di là del Velo, intitolato “Le Schiere
Celesti”.

FINE DEL TERZO VOLUME.

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