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LA VITA AL DI LÀ DEL VELO

I BAMBINI DELLE SFERE CELESTI


LE TERRE DI CONFINE

VOLUME QUINTO

MESSAGGI DEGLI SPIRITI RICEVUTI


E SCRITTI DAL
REVERENDO GEORGE VALE OWEN
(1860 - 1931)

Titolo originale: “The Life Beyond The Veil, The Outlands of Heaven”
Copyright © 2018
Pubblicato sul sito http://aldiladelvelo.wordpress.com/
In data 07/03/2018
Traduzione di: Eva Siviero e Michelangelo Costa.
INDICE

PREFAZIONE…………………………………………………………………………….3

COME FURONO RICEVUTI I MESSAGGI………………………………………………….. 4

NOTE SULLE SFERE…………………………………………………………………….. 6

PRIMA PARTE: I BAMBINI DELLE SFERE CELESTI

CAPITOLO 1 – Preambolo: parabola della grande strada del Re…………………….. 7


CAPITOLO 2 – Il periodo di Natale: un santuario celestiale………………………….. 10
CAPITOLO 3 – La festa del Cristo Bambino…………………………………………… 15
CAPITOLO 4 – Devozione e Servizio…………………………………. .……………… 20
CAPITOLO 5 – L’episodio della fontana……………………………………………..… 25
CAPITOLO 6 – Creazione ed Evoluzione………………………………………………. 30
CAPITOLO 7 – Come vengono addestrati i bambini……………………………………35
CAPITOLO 8 – I giochi dei bambini…………………………………………………….38
CAPITOLO 9 – La porta del Regno di Cristo……………………………………..……. 45

SECONDA PARTE: LE TERRE DI CONFINE

CAPITOLO 1 – Il potere di Wulfhere di domare la ribellione……………………...….. 51


CAPITOLO 2 – L’uomo e il suo ambiente……………………………………………… 56
CAPITOLO 3 – Le conseguenze di una tragedia terrena…………………….………… 59
CAPITOLO 4 – Diagnosi dei nuovi venuti dalla Terra……………………………..….. 64
CAPITOLO 5 – La gente della radura……………………………………………..…… 69
CAPITOLO 6 – Religioni della Terra: scena di un letto di morte……………………… 74
CAPITOLO 7 – Il progresso della colonia…………………………………………..…. 78
CAPITOLO 8 – Ampliamento e costruzione……………………………………………. 84
CAPITOLO 9 – Il lavoro nelle oscure terre di confine………………….……………… 91
CAPITOLO 10 – Il fabbro fa ammenda ………………………………………..………. 96
CAPITOLO 11 – La vita dentro la Fortezza…………………….……………………… 100
CAPITOLO 12 – Fuori dai confini……………………………………………………... 106

GLOSSARIO……………………………………………………………………………. 110

2
PREFAZIONE

“I Bambini delle Sfere Celesti” e “Le Terre di Confine” formano un’unica narrazione, e sono la
continuazione della serie dei quattro volumi intitolata “La Vita al di là del Velo”, trasmessi al Rev.
Vale Owen da un gruppo di messaggeri spirituali, operanti sotto la guida di uno spirito che si faceva
chiamare Arnel.
Arnel, in una precedente comunicazione col Rev. Vale Owen, affermò di essere stato, nella vita
terrena, di origine inglese e che, a causa della persecuzione religiosa, dovette fuggire a Firenze,
dove visse nella colonia inglese durante i primi giorni del Rinascimento. Insegnava musica e pittura,
e morì in età matura, evitando l’ostilità futura che sarebbe sorta fra Stato e Chiesa. Nel “Ministero
del Cielo” e “Nelle Schiere Celesti” (Volume Terzo e Quarto) fornisce interessanti dettagli sulla sua
esperienza di progresso da una condizione, o sfera, a quella superiore. Descrive la missione che lui
e altri intrapresero per promuovere la crescita di persone che non erano state capaci di superare la
loro vecchia condizione terrena e di altre che erano retrocesse.
I lettori dei suoi precedenti messaggi realizzeranno, man mano che seguono il racconto
presentato in questi due libri, di avere una certa familiarità col suo metodo di lavoro, sebbene
l’addestramento dei bambini e le missioni nelle terre di confine siano svolti in modo completamente
diverso l’uno dall’altro.

La PRIMA PARTE riguarda l’insegnamento dei bambini, il cui proposito è di farli diventare
cittadini dei regni spirituali. Nella maniera più approfondita possibile, e con dovizia di particolari, ci
viene mostrato come il carattere e le capacità dei fanciulli si sviluppano attraverso un percorso in
cui si mescolano divertimento e apprendimento. Mentre osserviamo dispiegarsi questo scenario
della condizione futura, notiamo che lo stile del componimento aumenta in luminosità e bellezza.
Attraverso la vivida narrazione di Arnel siamo portati in diretto contatto con l’allegria dell’infanzia
immacolata.
Sono forniti numerosi esempi di ciò che si dovrebbe chiamare “fisica spirituale”, e molta luce
viene gettata sul funzionamento delle leggi dello spirito, come ad esempio le leggi che governano la
Creazione. Questo e altri argomenti vengono presentati in forma chiara, e ciò che più conta è
illustrato attraverso la semplice vita dei fanciulli.
Ma non tutte le immagini sono così spensierate.
Alla fine, l’infanzia e la sua gioiosa armonia scemano nella distanza, lasciando Arnel e
Wulfhere a ripensare da soli alla bellezza e alla gioia di cui sono stati testimoni. Shonar non è con
loro; si trova nelle tenebrose terre di confine, a organizzare la missione che gli è stata affidata. C’è
una pausa, per così dire, durante la quale s’insinua un sentimento di tristezza, una premonizione di
ciò che sta per avvenire.
La SECONDA PARTE, “Le Terre di Confine”, contiene la vivida descrizione di Arnel su come
venne effettuata tale missione. Il lettore vedrà, mentre segue il racconto, che il compito stabilito al
di là del Velo di elevare “i bambini adulti” delle Terre di Confine, è essenzialmente identico al
compito di addestrare e sviluppare i fanciulli innocenti della Settima Sfera. Arnel si muove e opera
fra queste due mansioni; la sua pacata sicurezza e il buon umore spandono luce e gioia ovunque
vada.
Egli ci mostra qualche tipico esempio delle difficoltà che si presentano ai lavoratori nelle terre
di confine e che devono essere sormontate.
Accade che le vittime di una strage arrivano nell’Aldilà, temporaneamente stordite, piene di
paura e desiderio di vendetta. Queste persone devono essere destate e informate della loro
sventurata condizione, e tuttavia occorre evitare che esploda il panico; inoltre, devono essere
trattenute, se possibile, dal tornare al piano spirituale della Terra (nella Sfera Uno), per sfogare la
vendetta sui loro nemici ancora incarnati. Il gruppo di operatori spirituali, guidati da Wulfhere, di
cui anche Arnel faceva parte, è abbastanza potente da controllare questi spiriti vendicativi con la
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forza di volontà, ma il compito a loro assegnato è fra tutti il più arduo, perché il libero arbitrio dei
nuovi venuti è sacro e non può essere violato.
Questo non è che un esempio dei problemi che devono risolvere gli spiriti attivi nelle oscure
terre di confine. Con ricchezza di dettagli, Arnel racconta come vengono affrontate queste e altre
difficili imprese, e spiega in che modo i nuovi arrivati iniziano la loro ardua salita di sviluppo e
progresso. Noi seguiamo la loro lenta ascesa, ne osserviamo la graduale crescita del potere e delle
capacità mentre si elevano; e alla fine li lasciamo – malvolentieri – come cittadini di sfere più
luminose, che ritornano costantemente alle terre di confine in cerca degli spiriti bloccati, com’erano
loro, nelle pastoie dei vincoli materiali.
Attraverso questa narrazione, i personaggi e il loro ambiente si profilano distintamente davanti
agli occhi del lettore, e dubitare della loro realtà sarebbe più arduo che credere di essere di fronte ad
un autentico pezzo di storia.
Ma se a coloro che hanno letto fin dall’inizio il manoscritto di Vale Owen (come viene
generalmente chiamato) sembrerà che non venga raggiunta in questo volume l’elevazione di tono
che, ad esempio, distingue marcatamente “Le Schiere Celesti”, la ragione sarà facilmente compresa
quando verranno prese in considerazione le differenti condizioni in cui questi messaggi furono
ricevuti.
Quando il Rev. Vale Owen scrisse i primi quattro volumi, era circondato dalla quiete e
dall’intimità della sagrestia nella piccola chiesa di Orford – allora un’anonima parrocchia del
Lancashire, del tutto sconosciuta al pubblico. Ma quando la potente luce della ribalta fu rivolta
all’amanuense e alla parrocchia, la vecchia pace del ritiro fu interrotta dal fiume di lettere e
visitatori che giungevano ad Orford, e dai pensieri di migliaia di persone la cui attenzione venne
focalizzata sul Vicario. Ecco le turbolente condizioni in cui furono trasmessi questi ultimi messaggi.
La tranquillità è il presupposto fondamentale per svolgere il lavoro di amanuense nelle scritture
di questo tipo; e quella tranquillità venne meno.
Il Rev. Owen aveva sempre ricevuto i messaggi nella sagrestia della chiesa di Orford, dove
l’intensa atmosfera spirituale aiutava la trasmissione, ma purtroppo le frequenti interruzioni resero
necessario ritirarsi nella canonica. Questo cambiamento di luogo probabilmente influenzò in
qualche modo lo stato delle cose.
Il criterio più sicuro per giudicare un messaggio è l’effetto che esso esercita sulle persone che lo
ricevono. Mentre questi messaggi venivano pubblicati sulla stampa, il Rev. Vale Owen riceveva un
gran numero di lettere da parte di coloro che avevano “perduto” i loro piccoli. La corrispondenza
mostrava chiaramente che, a parte la notevole conoscenza acquisita da questi infelici sulla
condizione dei fanciulli dopo il trapasso, veniva gettata nuova luce sul Futuro, che portava
immediato sollievo ai tanti che avevano pensato di non poter trovare mai più la felicità perduta.
I lettori troveranno utili le Note Esplicative sulla numerazione e sulla natura delle sfere, o stati
spirituali, come adottati nel Manoscritto di Vale Owen. Un Glossario, alla fine del libro, fornisce
informazioni sui personaggi principali e sul loro lavoro, utile da consultare in qualsiasi momento.

L’EDITORE

Come furono ricevuti i messaggi


Prima d’iniziare a leggere queste comunicazioni, può essere utile al lettore profano
dell’argomento qui trattato avere qualche spiegazione su come sono pervenuti i messaggi.
È lo stesso Rev. Owen a darne una descrizione, pubblicata nelle Note Generali de “I Reami Alti
del Cielo”, di come egli divenne amanuense, e del modo in cui i messaggi giungevano alla sua
mente.
Ecco quanto afferma: “Circola l’opinione che i preti siano dei creduloni. Ma il nostro
addestramento nell’esercizio della facoltà critica ci pone fra le persone più dure da convincere
quando si parla di accettare una nuova verità. Mi ci volle un quarto di secolo per convincermi: dieci
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anni per riconoscere che le comunicazioni con gli spiriti erano una realtà, e quindici per ammettere
che erano qualcosa di buono e legittimo.
“Dal momento che raggiunsi questa convinzione, la risposta cominciò ad arrivare. Fu mia
moglie che, per prima, sviluppò la capacità della scrittura automatica. Poi tramite lei mi fu chiesto
di sedermi quietamente, con la penna in mano, per annotare ogni pensiero che sembrava entrare
nella mia mente, proiettato da qualche personalità esterna, e non in conseguenza di un mio moto
mentale. La riluttanza durò a lungo, ma alla fine sentii la vicinanza di quegli amici che desideravano
seriamente parlare con me. In nessun modo si sono sovrapposti alla mia volontà, né vi è stata alcuna
costrizione da parte loro – cosa che avrebbe posto fine alla questione in un batter d’occhio, nella
misura in cui ne ero coinvolto – ma i loro desideri si facevano sempre più espliciti.
“In fondo sentivo che dovevo dar loro una possibilità, perché avevo l’impressione che si
trattasse di un’influenza positiva, e alla fine, pur con molti dubbi, decisi di sedermi in abito talare
nella sagrestia dopo le preghiere serali.
“I primi quattro o cinque messaggi passavano da un argomento all’altro senza un ordine preciso.
Ma gradualmente le frasi cominciarono a prendere una forma consecutiva, e in ultimo mi fu
trasmesso qualcosa di comprensibile. Da quel momento, il progresso andò di pari passo con la
pratica. Quando l’intera serie di messaggi fu conclusa, calcolai che la velocità media della scrittura
era stata di ventiquattro parole al minuto. In sole due occasioni ebbi una qualche idea
dell’argomento che doveva essere trattato, e fu quando il messaggio era stato chiaramente lasciato
incompleto. Altre volte mi aspettavo di dover sviluppare un determinato tema, ma appena afferravo
la matita il flusso del pensiero deviava in una direzione completamente differente”.
L’effetto della ricezione dei messaggi sul ricevente, e la sua interpretazione di come ciò
avviene, fu descritta dal Vicario in una lettera al Sig. H. W. Engholm, editore dei primi quattro libri
de La Vita al di là del Velo. Il seguente estratto di quella lettera è ristampato dalle Note Generali de
“I Reami Bassi del Cielo”.
“L’effetto che gli stessi trasmettitori descrivono con un certo dettaglio*, è ciò che forse potremo
definire come la più meccanica delle operazioni, dal momento che queste impattano sulla struttura
del cervello umano.
“Le vibrazioni messe in moto da loro e proiettate attraverso il Velo, hanno come bersaglio il
corpo mentale dello strumento umano, e vengono riprodotte, da questo lato, in ciò che a tutti gli
effetti è una sorta di chiaroveggenza e chiarudienza interiore. … Ciò significa che il ricevente vede
queste scene nella sua immaginazione allo stesso modo in cui, con un processo simile, è in grado di
visualizzare il suo giardino o la sua casa, o altri luoghi ben conosciuti, quando si trova a una certa
distanza.
“Le parole dei messaggi sembrano viaggiare su una corrente telefonica tesa tra cielo e terra. Il
ricevente può udirle interiormente allo stesso modo in cui è capace di canticchiare a bocca chiusa
una melodia ben nota, o di riprodurre un discorso già udito con tutte le sue inflessioni e cadenze,
patetiche o esaltanti che siano – ma tutto ciò interiormente, senza emettere il minimo suono.
“Oltre a ciò, durante lo svolgersi dell’operazione, sale una profonda contentezza. È l’effetto
prodotto sullo strumento umano dal contatto, più o meno intimo, fra spirito e spirito. È la vera
‘Comunione Spirituale’ e la si può riconoscere nel Credo Cristiano della ‘Comunione dei Santi’.
“Ad ogni modo fra chi trasmette e chi riceve deve esistere una perfetta e intima comunione
d’intenti, al punto che ogni qual volta un pensiero atteso sembra in disaccordo con la verità,
immediatamente si avverte una scossa, e nella mente del ricevente rimane, per così dire, un punto
interrogativo, che dalla parte di chi trasmette viene notato e osservato all’istante”.

*
I “trasmettitori” sono i membri del gruppo di spiriti messaggeri guidati da Arnel; la loro descrizione, riportata dal
Rev. Vale Owen, si trova nel libro “I Reami Bassi del Cielo”.
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Note sulle Sfere

Una breve spiegazione circa la numerazione e la natura delle sfere, o stati spirituali, può essere
utile a coloro che non hanno letto gli altri quattro volumi della serie.
Il sistema di numerazione delle sfere è quello usato dallo spirito comunicatore chiamato
“Zabdiel” nei suoi messaggi (vedi Volume Secondo, I Reami Alti del Cielo), e adottato in tutto il
Manoscritto dai successivi comunicatori. Le sfere sono numerate in quel modo solo per poterle
identificare in questi scritti, ovviamente; ma non sono conosciute dai loro abitanti con quei numeri.
La terra è inclusa nella Prima Sfera, sopra cui si innalzano le altre, ogni sfera racchiudendo e
compenetrando quelle inferiori assieme alla loro più lenta vibrazione. Così, la Sfera Due, racchiude
la Sfera Uno, penetrandola come la luce attraversa l’acqua. La Sfera Tre include la Uno e la Due; la
Quarta Sfera contiene i tre stati ad essa inferiori, e così via. Innumerevoli stati, o sfere, si sovrastano
l’un l’altro in questo modo; ogni sfera superiore acquisendo una maggiore intensità di luce e potere
man mano che si accosta a Dio, il Grande Orizzonte.
La natura delle sfere è spiegata da Zabdiel ne “I Reami Alti del Cielo” (messaggio del
10/11/1913). “Queste sfere”, egli dice, “non corrispondono esattamente alle località della terra, sono
piuttosto differenti stati di vita e potere, in base allo sviluppo dell’individuo”. Quando leggiamo,
allora, di una sfera che “si eleva” sull’altra, questo elevarsi non implica un cambiamento di località,
ma di intensità; in altre parole, ciò significa un cambiamento di condizione piuttosto che un
cambiamento di posizione.
Arnel spiega così il mutamento di condizione: “Quando Gesù entrò nella casa in cui si erano
raccolti i Suoi amici in quella prima Pasqua, Egli era invisibile. Poi attirò da loro quella sostanza di
cui aveva bisogno e, attraverso quel processo che ora chiamate materializzazione, modellò il Suo
corpo fisico. Allora divenne visibile. Anche il Suo ambiente era mutato. Dopo aver svolto la
missione a cui era destinato a quel tempo, Egli smaterializzò di nuovo il Suo corpo concreto e, in
quell’azione, cambiò un’altra volta il Suo ambiente e tornò in quello dello spirito. Ma durante
l’intero processo, dall’inizio alla fine, non si può parlare di presenza e assenza. Sia prima che dopo
la Sua apparizione in forma corporea, Egli era invisibile a loro.” E “anche se gli spiriti parlano
spesso con voi della terra di ‘venire’ e ‘andare’, ciò avviene a causa delle vostre limitazioni. Noi
riteniamo necessario usare il linguaggio terreno quando parliamo agli abitanti della terra e quel
linguaggio rispecchia la vostra conoscenza delle tre dimensioni”.
I seguenti estratti dai messaggi di Zabdiel ne “I Reami Alti del Cielo”, offrono ulteriori
spiegazioni e indicano che un uomo ‘ascende’ a uno stato più alto quando ‘aspira’. “Di fatto ogni
sfera è in contatto con le altre. …L’armonia delle sfere è unitaria e concorde. Per questo un uomo
può aspirare alla sfera superiore, e s’innalza proprio grazie al contatto con quella zona più alta che
compenetra la sua.”
“Gli abitanti della Quarta Sfera, ad esempio, possono entrare nella Quinta e rimanervi, ma solo
quando si sono sviluppati al punto da sostenere senza fatica il grado d’intensità della luce che vi
prevale. Una volta conseguito il livello adatto alla Quinta Sfera, si abituano rapidamente alla sua
luce. E se ritornano nella Quarta, come avviene di tanto in tanto, quella luce gli appare più
offuscata, anche se riescono ancora a vedere con relativa facilità.”

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PRIMA PARTE
I BAMBINI DELLE SFERE CELESTI

CAPITOLO 1
PREAMBOLO: PARABOLA DELLA GRANDE STRADA DEL RE

Mercoledì 17 dicembre, 1919.


Cominciamo il racconto con una parabola, come piace a te.
Un giorno un Re cavalcava nella sua foresta accompagnato da due cavalieri quando,
rivolgendosi al più giovane, disse: “Vorrei che fosse costruita una strada nella foresta in modo che
le comitive che vengono a farmi visita possano trovare il viaggio meno disagevole. Cosa pensi tu
del progetto, nobile cavaliere, e come lo realizzeresti?”.
Il giovane cavaliere rispose: “Io credo, sire, che sarebbe bello se tutti fossero ben intenzionati
nei vostri confronti. Ma una carreggiata facile e diretta, dalle terre di confine alle porte del vostro
palazzo, potrebbe essere di vantaggio anche ad altri non così fedeli e leali come noi”.
“Hai parlato con sagacia”, replicò il Re, meditandovi sopra per qualche istante. Poi si rivolse
all’altro cavaliere, e chiese: “Tu, nobile paladino, grigio di barba e di capelli, cosa pensi della
costruzione della strada?”.
“In verità, Sire, una saggezza migliore di quella del mio giovane amico non saprei trovarla per
voi. Se è l’astuzia quella che andate cercando”.
“Cosa nascondi nella tua testa grigia?”, disse il Re. “Tirala fuori, uomo, e vediamo di cosa si
tratta”.
Il vecchio cavaliere parlò: “Oltre i remoti confini di questa grande foresta, Sire, abita gente non
bendisposta verso Sua maestà, sia nei confronti della vostra persona che della vostra autorità. Altri
clan dimostrano fervore, altri ancora non sono così focosi nella loro fedeltà. Laggiù le persone
covano la ribellione nel profondo del cuore, e talvolta agiscono contro la legge”.
“È vero”, mormorò il Re, “sono ostinati e di fibra dura. Non si piegheranno, e fatico a stroncarli
perché si disperdono fra le colline ogniqualvolta mando una squadra contro di loro. Allora, nobile
cavaliere, quel è la tua opinione?”.
“Io, come dite voi, signore, ho i capelli grigi; ho servito voi, vostro padre e vostro nonno nel
Regno. Ero cavaliere allora, e lo sono ancora oggi. Non sono andato oltre il rango di cavaliere per
avere titoli superiori, come un giorno farà il mio giovane amico; non posso portare in Consiglio
quella scaltrezza che i Re richiedono. Tuttavia, Sire, ho vissuto fino a invecchiare, mentre molti
miei amici sono caduti per mano della legge o per lo scontento dei loro stessi vassalli. Sulle mie
terre vivo e ho vissuto in pace, con la benevolenza della mia gente. Anche il Mio Re trova piacere a
stare in mia compagnia e confida nella mia provata e onesta fedeltà. Ma se fossi stato capace di
aggiungere alla semplicità che posseggo quella saggezza che ama il vostro Consiglio, non avrei
tenuto la mia testa così a lungo né la vostra benevola confidenza”.
“Bene, in qualunque modo sia chiamata, c’è saggezza nelle vostre parole, amico mio. E ora cosa
dite a proposito della costruzione della strada?”.
“Fate la strada, mio Signore. Fatela diritta e larga, tanto larga e ben lastricata che un esercito
possa marciare comodo dalle terre di confine alle porte del vostro palazzo. Io non la vedrò costruita
e completata, ma voi siete giovane, mio Re, e sarà straordinaria, degna del costo e degli anni di duro
lavoro”.
“Certo, sarebbe una scena che meriterebbe di essere vista – un esercito che muove contro di me
marciando sulla mia stessa strada maestra. Ma dici sul serio, nobile cavaliere? E cosa faremo
quando avrà inizio il saccheggio del mio palazzo?
“Non ci sarà alcun saccheggio del vostro palazzo, Sire, e la vostra sovranità non verrà
rovesciata. Essi verranno sventolando le vostre insegne, fedeli a voi e alla vostra casata”.
7
“FATELA COSTRUIRE DAI FUORILEGGE”

Il Re faticò molto a comprendere. Conosceva la lealtà del suo vecchio amico, ma le parole che
aveva pronunciato gli parevano stolte. Tuttavia non derise l’anziano cavaliere, avendo rispetto del
suo lungo servizio. E disse: “Bene! Ora come vorreste realizzare questa meraviglia, amico mio?
Dubito che i miei fedeli sudditi siano pronti a costruire la strada: essi temono quei formidabili
fuorilegge che vivono laggiù”.
“Allora fatela costruire dai fuorilegge. Decretate che la strada si debba realizzare; si cominci a
costruirla dalle loro terre di confine; stabilite salari alti e garantite sul vostro onore la sicurezza dei
lavoratori. La strada procederà da loro a voi. Ma voi non subirete alcun danno, mio sovrano”.
Così il Re emanò un decreto regio, affinché la strada percorresse unicamente il suo dominio e
non le terre in comune. Tutti gli aristocratici pensarono che fosse impazzito. Ma egli restò saldo nel
suo proposito; ormai lo spirito del vecchio cavaliere era entrato in lui ed egli vedeva con altri occhi
rispetto a loro.
Gli uomini delle terre di confine cominciarono a lavorare seriamente, pensando che la strada li
avrebbe aiutati a realizzare il loro scopo di detronizzare il Re. Ma gli alberi da abbattere erano
molti, e tante erano le colonie che anno dopo anno lavoravano e riscuotevano il salario. Mentre il
tempo passava si accorsero che la loro vita era più agevole. Il volto del Re, sulle monete che
ricevevano come stipendio, pareva diventare sempre più benevolo ai loro occhi. Ben presto il
Sovrano andò a trovarli di persona; talvolta si aggirava libero e senza paura in mezzo a loro, e
parlava ai bambini e alle donne che preparavano i pasti vicino agli alberi della foresta.
Quando la strada venne terminata non c’erano più ribelli nel regno, e dove prima covava ostilità
adesso era sbocciata la fiducia e la mutua confidenza. Questo perchè i confinati e il loro Re erano
stati impegnati verso un unico obiettivo, realizzare la strada, e ora esisteva una grande via di
comunicazione fra il palazzo e le terre di confine, e a questi non pareva di essere così lontani gli uni
dagli altri come prima.
Arrivò il giorno in cui nel regno si tenne una grande festa in seguito al completamento della
strada. E quel giorno un enorme esercito venne, come aveva predetto il vecchio cavaliere,
sventolando gli stendardi reali, e in mezzo c’erano donne e bambini. Le porte del palazzo furono
spalancate per farli passare, nessuna guardia le sorvegliava.
Esiste una leggenda di quel giorno, che ancora si tramanda dai Re ai loro figli. Si narra che
mentre l’allegra moltitudine superava cantando le porte del palazzo, il vecchio cavaliere, morto
molti anni prima, fu visto alla testa dell’esercito condurli davanti alla porta del palazzo in cima alla
scalinata, ai piedi del Re. Fu visto, si dice, inginocchiarsi sul gradino più basso e inchinarsi davanti
al suo Sovrano di un tempo, e da allora nessuno più lo vide.

UN BRANO DI STORIA

Giovedì 18 dicembre, 1919.


La parabola che mi hai raccontato nel nostro ultimo incontro, era una semplice fantasia,
signore, o si basava su fatti reali?
La volta scorsa, figlio mio, ti ho narrato un brano di storia dei cieli riadattato al linguaggio
terreno. Accadde davvero, ma non esattamente come te l’abbiamo esposta. Una colonia di turbolenti
si trovava nella Seconda Sfera – in base alla numerazione assegnata alle Sfere – portando dalla vita
terrena un certo scontento. Si beffavano delle restrizioni imposte dall’autorità, e vivevano sulle terre
di confine del loro mondo.
Non erano spiriti cattivi, perciò furono destinati alla Seconda Sfera. Ma avevano la mente
confusa e male interpretarono la loro ritrovata libertà dalla repressione esterna, così caddero
nell’idea di anarchia. Di conseguenza vivevano confinati ai limiti di quella Sfera. La storia che ti
abbiamo narrato, in guise terrene, era intesa a dimostrare cosa dovrebbe significare la democrazia
8
per coloro che governano. Riguardo alla conduzione delle operazioni, per come si è svolta qui, la
lezione va letta al contrario. Il Re non aveva bisogno di attingere alla saggezza dei suoi ufficiali. Li
convocò in Consiglio e disse loro cosa avrebbe fatto. L’idea di costruire una strada era unicamente
sua. I suoi vassalli misero in atto il piano e sovrintesero la messa in opera.
Un giorno – per usare il linguaggio terreno – il Re in persona fece visita ai lavoratori. Alcuni
tentarono di farlo prigioniero per piegare la sua volontà, ma senza riuscirci. Ogni volta che
cercavano di afferrarlo, dovettero ritrarre le mani, perché deboli e doloranti. Ciò accadde di tanto in
tanto, più di due volte. Egli sorrideva sempre con gentilezza a questa gente, senza farsene beffe, e la
loro incertezza cresceva di fronte al suo comportamento.
I bambini all’inizio erano timidi in sua presenza. Ma alla fine cominciarono ad avvicinarsi.
Allora un bimbo toccò il suo abito e guardandosi la mano vide che brillava; raggi color porpora
uscivano dal palmo e dalle dita. Si allontanò sbalordito, ma senza accusare dolore, correndo dai
compagni per mostrargli il prodigio accaduto.
Da quella volta, per qualche tempo, si tennero alla larga da lui quando andava a visitarli; alla
fine un fanciullo più coraggioso si avvicinò di nuovo e toccò il suo abito. I raggi elettrici fluivano
come in precedenza, ma erano meno brillanti. Così i bambini si accostarono in gruppi di due o tre,
ed egli si concedette a tutti quelli che volevano sfiorare il suo vestito. Dopo qualche tempo non
c’erano più raggi attorno alle loro mani quando lo toccavano. Da quel momento gli anziani più
progrediti cominciarono a mostrare maggiore gentilezza nei confronti del Re. Essi avevano
osservato, con curiosità, le sue visite e le azioni dei bambini.

I BAMBINI COME PIONIERI

Così mandarono avanti una delle madri, che domandò: “Vorresti dirci, signore, cosa significa
questa luce che esce da te verso i nostri bambini?”. Egli replicò: “Buona madre, la stessa luce era in
te nella fosca vita terrena, e la desti al tuo bambino quando nacque e quando lo allattasti al tuo seno.
Questa luce più grande in me, è quella che anch’io dono”.
“Ma signor angelo”, proseguì la donna, “perché negli ultimi tempi si è affievolita, da quando i
bambini toccano il vostro vestito? È forse la vostra luce più debole rispetto all’inizio?”.
“No, buona madre”, replicò lui, “la mia luce non è più debole, ma brilla ogni volta che vengo. Il
motivo per cui adesso vedete meno differenza fra me e i bambini, dipende dal fatto che essi hanno
assorbito più luce nella loro natura.”
“Tuttavia noi non lo notiamo. Ai nostri occhi non sembrano brillare di più rispetto a quando
venisti da noi la prima volta”.
“Questo perché anche voi siete più luminosi, senza esserne consapevoli. E i vostri uomini non
mi guardano in modo così minaccioso come un tempo. Inoltre, avete formato alcune colonie lontano
dalle terre di confine, dove ebbe inizio il vostro lavoro, e l’ambiente qui è più luminoso rispetto a
quello di laggiù. L’avete notato?”.
“No, signore, perché procediamo lentamente con la costruzione della strada e, come suppongo,
ci adattiamo all’atmosfera più rarefatta mentre saliamo. Tuttavia dici il vero, infatti qui gli alberi
sono più frondosi e si vedono prati e tanti fiori”.
“Il Regno dei Cieli è così in tutte le sue parti e province. E così è per coloro che dimorano in
ogni sua contrada. E ora, brava gente, mi rivolgo a tutti voi”, continuò il Re parlando alla folla che
si era raccolta per ascoltarlo mentre conversava con la donna, “serbatelo nel cuore e nella mente: i
bambini sono i vostri pionieri. Essi ebbero l’ardire di tracciare un nuovo cammino laddove voi
avevate fallito. Siate come loro; usate i loro metodi di domanda e fiducia, e andrete tutti lontano
verso la luce in tempi più brevi. Vi hanno condotto bene, questi piccoli. Lasciate che vi guidino
ancora e seguiteli. Non vi porteranno fuori strada”.

9
LA STRADA DEL PROGRESSO

Cosa significa, Arnel, l’apparizione del vecchio cavaliere davanti alla folla che giunse al
palazzo?
È così che avvenne, figliolo, anche se non fedelmente come nella parabola scritta per gli abitanti
della Terra. Lascia che ti racconti.
Venne il giorno in cui il Sovrano fece convocare il popolo in un punto a metà della strada, ora
finalmente completata. Li condusse fino all’estremità più distante, dove le condizioni erano così
pesanti che a stento potevano sopportarle, cosa che in passato riuscivano a fare con molta facilità. In
tal modo dimostrò loro che avevano fatto grandi progressi. Poi si girò e li condusse verso il Palazzo.
E mentre procedevano, egli andò in testa alla fila, da solo, ed essi notarono l’accresciuto splendore
che ammantava il suo abito e la sua persona.
Quando raggiunsero le porte del palazzo, la sua figura emanava un tale splendore che ardeva
tutta di luce, ed era poco visibile. Lo videro entrare e, a metà fra le porte e il palazzo, divenne
sempre più sfocato fino a scomparire dalla loro sfera, e da allora non fu più visto. Il suo compito
con questa gente era terminato.
E ora in cima ai gradini c’era un nuovo Re; sorrideva e dava loro il benvenuto, invitandoli ad
entrare per un canto di ringraziamento al Padreterno. Essi lo guardarono e videro che era solo un
ragazzo, dall’aspetto molto bello e saggio.
Così lo accettarono, ricordando il passato, e come per vie imprevedibili erano stati condotti fin
là senza comprenderlo, ma sperando che un giorno questo mistero sarebbe stato chiarito.
Allora entrarono in silenzio, con le teste chinate, seguendo il Re. E là si tenne la Festa.
Ecco quanto avvenne.
La versione terrena, tuttavia, te l’ho presentata con un proposito. La sua interpretazione la lascio
a te e ai tuoi lettori ancora incarnati.

CAPITOLO 2
IL PERIODO DI NATALE: UN SANTUARIO CELESTIALE

Vigilia di Natale, 1919.


È la vigilia di Natale, figlio mio. Mi chiedo quanti nella vita terrena abbiamo un’idea delle
tremende forze che si raccolgono attorno al mondo cristiano in occasioni come questa. Come sai, le
interazioni fra il mondo terreno e i regni della vita spirituale sono continue. Esse variano d’intensità,
anche a causa della quantità di energia che voi stessi generate con la vostra devozione. In questa
parola includo non solo le vostre preghiere canoniche, private o pubbliche che siano, ma l’intero
complesso di sentimenti che, in certe occasioni, si librano attorno alla terra.
Nel periodo di Natale questo è molto intenso e noi possiamo rispondere dal nostro lato. Le due
correnti di aspirazione e risposta s’incontrano a metà strada, fondendosi, e il risultato non è solo la
somma delle loro quantità separate. C’è un altro fattore che entra in azione: il potere creativo.
Quello che risulta dalla fusione è maggiore rispetto alla somma dei due.
Non è una qualità statica. Potresti pensare che la nostra risposta, saturando la vostra aspirazione,
la faccia salire al nostro livello di merito. Ma questo non è il risultato finale. Poiché di nuovo un
terzo elemento entra in gioco da luoghi più elevati rispetto ai nostri: così agisce ogni sorta di potere
creativo e generativo. Perciò il sentimento di questa devozione congiunta sale tanto sopra il nostro
livello quanto il nostro s’innalza sopra il vostro, ed entrambi voi e noi siamo benedetti nella nostra
elevazione.
Noi ci chiniamo su di voi come quelli che scesero dalla Città Santa per incontrare la folla, che
giungeva esultante dalle regioni più remote. Essi unirono le forze e il primo gruppo si girò e
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comprese che, mentre provenivano dal Tempio Sacro dove Dio aveva fissato il Suo trono, il Signore
loro Liberatore era anche con il popolo delle campagne, e così tutti assieme e con Lui al centro
salirono verso Zion; e Gerusalemme quel giorno fu ricoperta da una ricchezza tanto grande che mai
conobbero i suoi cittadini e devoti. E ora entriamo nel dettaglio.
Anche noi, come voi, Celebriamo il Cristo Bambino, ma con maggiore conoscenza e meno
azzardi speculativi. Qui il Cristo Bambino è tra noi – non con più convinzione e potenza rispetto a
voi – ma in questa occasione, come in altre, Egli ci rende visibile la sua Presenza; mentre sulla terra
è visto solo da pochi. Sta maturando il tempo affinché questa visione si schiuda a più persone di
quanto sia possibile ora; ma quel momento non è ancora giunto.

LA FORMA PRESENZA: IL CRISTO BAMBINO

Saprai, figlio mio, che il Cristo si manifesta in tutte le Sfere, e con regolare frequenza. Ogni
Manifestazione è adatta alla natura e all’ambiente della missione in corso. Non sempre assume la
stessa forma, né possiede le stesse caratteristiche.
Lo so, Arnel, me l’hai detto più di una volta.
È vero, figliolo, lo scrivo adesso, come allora, non solo per te, ma per i molti che leggeranno ciò
che hai scritto sotto mia richiesta. Alcuni potrebbero non aver letto gli altri Libri o potrebbero
leggere questo per primo.
Così lo ridiremo col rischio di essere ripetitivi – ripetizione che tra l’altro non è priva d’utilità
neppure per te, e per loro sarà di maggiore beneficio. Continuiamo.
In questo periodo sacro Egli viene come Cristo Bambino, e in molte Sfere si manifesta
simultaneamente. Il numero non importa; Egli possiede quel potere.
In Forma Presenza* suppongo.
In Forma-Presenza che, faccio notare, è Presenza Reale. In questo modo.
Quando le moltitudini si raccolgono per la venerazione, Egli è visto assumere visibilità nel
modo più consono a loro per ricevere aiuto ed elevazione. In questi raduni, stanotte, domani notte, e
per l’intero periodo di Natale, molti saranno raggiunti nella vita terrena durante il sonno – e pochi
durante la veglia – e saranno trasportati nel cielo adatto al loro grado di spiritualità. Là si uniranno
ai loro compagni disincarnati per venerare il Cristo loro Re.

RICORDI DEL SONNO

Arnel, in questi ultimi giorni c’è nella mia mente il ricordo di un bellissimo duplice salone che
vidi durante il sonno qualche settimana fa. Lo avevo dimenticato, ma è tornato con una tale
insistenza che sembra quasi che qualcuno lo abbia spinto nella mia testa. L’ho avuto presente per
tutto il tempo questa sera. Cosa ne dici?
Riesco a vederlo, figliolo. L’ho visto da quando sono con te questa sera. Conosco bene
l’edificio. Ma questa volta non sono stato io a metterlo nella tua testa. Aspetta un momento, figlio
mio, fai una pausa mentre chiedo.
(Pausa di un minuto).
Figlio mio, chi ti ha impresso quella scena nella tua mente e l’ha fatta riaffiorare circa tre giorni
fa, quando l’avevi dimenticata, era con te quando visitasti quel tempio. Egli è qui ora e vorrebbe
parlarti, se vuoi.
Lo desideri anche tu, Arnel?

*
“Una forma-presenza è la forma in cui una persona si localizza e risulta visibile a una certa distanza da se stessa. La
forma non è un segno vuoto o un simbolo, ma è viva, è la vita della persona che la manifesta in tal modo, con le sue
azioni ed espressioni che rispondono ai pensieri, alla volontà, all’agire e allo stato spirituale del suo originale.”
(I Reami Bassi del Cielo, pag. 12)
“La Forma Presenza può essere proiettata dall’operatore in qualche luogo lontano da sé. Oppure può essere attirata, da
una certa distanza, da una o più persone che operano all’unisono.” (I Bambini delle Sfere Celesti, 10/02/1920).
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Certamente, altrimenti non lo avrei autorizzato ad entrare in questa stanza. Invece, al contrario,
l’ho pregato di venire fin qui.

LA DESCRIZIONE RIPORTATA DA CASTREL

Mi permetti, amico, di assumere il compito di Arnel per breve tempo? Sono venuto col suo
permesso e sono pronto a parlare, se anche tu lo consenti.
Se egli ha autorizzato il tuo arrivo, certamente.
Grazie, amico, ecco la spiegazione. Fu per richiesta di Zabdiel che ti portai nel tempio a cui stai
pensando.
Perché Arnel non lo sapeva?
Egli sapeva che eri andato là e stava per parlarti di una cerimonia di cui lui stesso fu testimone.
Allorché ne hai parlato di tua iniziativa, egli mi ha invitato per guidare la tua descrizione del luogo.
Ci sono molte cose là che non hai conservato nella tua memoria terrena.
Quando avrò descritto quel luogo egli riprenderà il suo racconto. Ora interrompiamo,
continueremo domani.
Domani è il giorno di Natale. Non intendevo fare sedute domani.
Se puoi, vieni. Seguiremo l’evolversi della questione nella tua mente durante la giornata, e
comunque ti aspetteremo qui, se i tuoi impegni ti consentiranno di venire.
Mi dici il tuo nome, per favore.
Sono Castrel. La tua buona madre scrisse di me qualche anno fa.
Castrel?
Quello, in verità, è il nome con cui mi conosci, amico. Serve forse il passaporto per avere la tua
fiducia?
Va bene, signore. Cercherò di venire per te domani. Grazie per la visita.

Natale, 1919.
Ti racconterò di quando io e te visitammo assieme quel luogo. Per arrivare all’edificio
percorremmo una strada in salita, che si trova sugli altopiani della Settima Sfera. Passammo per
un’ampia strada che giace ai piedi delle colline e sale sinuosa verso il Santuario. In breve tempo
emergemmo in uno spazio pianeggiante, semi-circolare, limitato sul lato più distante e sul lato
destro e sinistro, da un pendio cosparso d’alberi fioriti e dalla foresta. Da qui, ogni tanto, s’inerpica
un sentiero tortuoso, riparato dalle fronde del bosco. Queste vie conducono ai territori montuosi che
si estendono ancora più avanti.
Il Santuario si trova in questa zona delimitata. Salendo i gradini davanti alla facciata, ci
voltiamo per guardare la regione da cui siamo venuti, che si dispiega in lontananza. Il panorama è
incantevole. Un manto ondulato variopinto, con molte sfumature di verde, si perde all’orizzonte,
alternando pendii e alture. Qui lo sciabordio di un rivolo che forma una cascata, là un sentiero che
conduce a qualche dimora. La cima di alcuni templi o luoghi di studio, le stazioni scientifiche o
colonie d’arte, brillano di verde, blu, viola o bianco cristallino. L’orizzonte non è uniforme. Una
montagna si erge alta a destra e scende a picco sull’oceano, che occupa quasi metà della prospettiva,
poi a sinistra si perde di nuovo dietro la dolce salita dell’altopiano montuoso, sul quale si trova la
città dove svolgo il mio attuale lavoro. È la capitale, come direste voi, della regione che presiedo
come Governatore.
Ci giriamo e vediamo l’edificio, è molto semplice e privo di decorazioni. Non ci sono colonnati
o portici. L’entrata principale è in cima alla gradinata. Ci sono finestre, ma pochi ornamenti. Questa
semplicità e povertà decorativa non è senza motivo. Dà enfasi, per contrasto, alla grandiosità
interna. Ti ho visto scrutare il profilo lungo e rettilineo della facciata che si estende per circa 150
metri a destra e a sinistra in egual misura, e per 50 metri in altezza, eccetto che alle due estremità e
al centro, dove spiccano tre torrette, di cui quella centrale, sopra la porta d’ingresso, è la più grande.

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DENTRO IL SANTUARIO

Entriamo e notiamo che la navata, larga circa 15 metri, fiancheggia a destra e a sinistra quasi
l’intera lunghezza della struttura.
La attraversiamo. Essa funge da atrio del Santuario, dando su sale e stanze più piccole; e quando
i fedeli sono presenti, è in queste salette che si vestono e attendono i loro ministri del culto. In quel
momento non c’erano cerimonie in corso; le persone che incontrammo erano soprattutto come te:
venivano dalla terra per fare una breve visita, assieme alle loro guide. E in quell’occasione la tua
guida ero io.
Dirigiamo lo sguardo avanti e, attraverso il lungo vestibolo, vediamo un varco di circa 4,5
metri. Il vestibolo continua per 150 metri e finisce in un’Abside che coincide con l’ampiezza del
Santuario stesso. Non ci sono porte in questo spazio. È possibile osservarlo in tutta la sua
estensione e altezza. Solo all’entrata pendono delle tende raccolte su ambo i lati per far passare i
visitatori. Scendono dal soffitto proprio davanti a questa entrata. Se lasciate calare, chiudono
l’estremità della sala, alta circa 37 metri come la lunghezza delle tende. Non le notasti a causa del
loro colore, sconosciuto agli abitanti della terra.

IL CERVELLO SPIRITUALE

Allora quelle tende mi erano invisibili?


Niente affatto, non le hai notate per la ragione che ti ho detto. Avresti potuto vederle, ma non
avresti capito la loro trama colorata. Per questo motivo non ti ho influenzato ad osservarle.
Non ti ho visto in quel luogo, Castrel. Non ero consapevole di nessuno che fosse vicino a me,
sebbene in seguito mi pareva che mia madre fosse là o in qualche modo in contatto con me.
Tua madre, amico mio, si trova spesso in quel luogo, ma quella volta non era presente. Ella
sapeva della tua visita. Per queste due ragioni hai percepito la sua influenza. Per quanto mi riguarda,
ho trattenuto l’irradiazione della mia presenza così che la tua mente potesse concentrarsi
sull’edificio che un giorno avresti dovuto descrivere con parole terrene. È solo grazie alla memoria
conservata nel tuo cervello di ciò che hai visto allora, che sono in grado di riprodurre e ricostruire
nuovamente quel momento.
Nel mio cervello?
Nel cervello del tuo corpo spirituale, che occasionalmente trasmette il suo contenuto in base a
quanto riesce a trattenere e a usare il tuo cervello fisico, con la sua minore capacità. Molte delle
scene che hai descritto nei precedenti scritti, sono state conservate nel tuo cervello spirituale e
riprodotte in questo modo. Su quel materiale che rappresenta le fondamenta, i tuoi messaggeri dei
Regni Spirituali hanno eretto la loro struttura.

INTENSIFICAZIONE DELL’ATMOSFERA SPIRITUALE

Attraversiamo l’atrio ed entriamo nella Sala vera e propria. Un terzo della sua lunghezza è
chiamata Arcata d’Oro. Eri così rapito dall’imponenza dell’Abside davanti a te, che desti solo una
breve occhiata alle pareti laterali di questo edificio mentre lo percorrevi. Pensavi che a sinistra vi
fossero delle finestre. Non è così. Ci sono alcune rientranze e altri stretti corridoi. Questo sul lato
sinistro. A destra si trovavano altre nicchie e corridoi, ma poco illuminati, che conducono verso la
parte interna, mentre quelli sulla sinistra danno sui chiostri. Tutti questi, da ambo i lati, sono
drappeggiati da tende giallo scuro di materiale simile alla seta – non propriamente seta, anche se
appare tale. Non sono di tessuto, ma di natura elettrica. Ne riparleremo fra poco. Le pareti che si
vedono fra le tende sono color oro pallido.
Percorso un terzo della sua lunghezza, un corridoio biseca questa struttura e l’attraversa da un
capo all’altro, questo segna il termine della Sala d’Oro e ne rappresenta l’unico confine. Non ci
sono gradini fra questa e la successiva Sala maggiore. Ma mentre procedi hai la sensazione di salire
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fino all’Abside stessa. Questo senso di ascesa non deriva dalla differenza di livello, ma
dall’atmosfera del luogo, che aumenta la sua intensità dinamica mentre ci si avvicina alla successiva
stazione più interna. Anche la Sala d’Oro è rischiarata da una luce sommessa pari ai due terzi della
luce di cui è soffusa la Sala sorella.
Cosa mi dici del tetto?
Che tu mancasti di notare? Per quanto puoi capire la Camera d’Oro non aveva tetto né soffitto.
Hai alzato lo sguardo una volta, ma senza comprendere. Davanti hai tuoi occhi era tutto scuro e
cadde nell’oblio. È la stessa ragione per cui non osservasti le tende appese all’entrata. La Camera
era coperta in alto da una sostanza di colore e carattere sconosciuti a voi della terra. Una sostanza
più densa delle nuvole e meno inerte del mercurio. Tuttavia, come il mercurio, è in continuo
movimento, essendo responsiva agli impulsi di pensiero che la impressionano da tutte le regioni di
questa vastissima Sfera. Perciò è mutevole anche nel colore, e varia di momento in momento.

CASTREL TERMINA IL SUO RACCONTO

Martedì 30 dicembre, 1919.


La Camera maggiore, oltre il corridoio, finisce in un’Abside, e adotta un diverso schema di
colori. Su ciascun lato s’innalzano pilastri intagliati, rivestiti di lamine d’oro. Tra loro scendono
delle tende blu-porpora scuro. Il tutto brilla intensamente ed è così armonioso che una maestosa
dignità pervade la Cantoria e il Santuario interno. A questo si aggiunge un’atmosfera di mistero,
perché mentre le persone attraversano la Camera d’Oro conversano tranquillamente fra loro, oppure
formano piccoli gruppi per piacevoli scambi di opinioni, ma non appena arrivano nella Cantoria
sprofondano nel silenzio. Qui viene sempre percepita una Presenza, non accentuata, ma inseparabile
dall’ambiente. Non ci sono finestre, eppure la luce è permanente. La luce proviene da un centro
invisibile, e soffonde tutto.
Quando eri là non ti sei spinto molto lontano, ma ti fermasti a osservare l’eccezionale bellezza
di quel Santuario. Poi sei tornato nella Camera minore in cui ti trovavi più a tuo agio, poiché non eri
intonato alle vibrazioni superiori della Cantoria. Fu allora che mancasti di notare che la geometria
arcuata della struttura dell’Abside era interrotta sul lato destro dello stesso da una rientranza. Questa
nicchia dava su una balconata all’esterno dove si trovava un altro Tempio. Un Tempio dove solo
pochi possono entrare, essendo il luogo di arrivo di coloro che giungono dai regni superiori per
svolgere qualche mansione nel Santuario maggiore. Esso è influenzato da vibrazioni assai più
raffinate e di maggiore intensità dinamica rispetto alla Cantoria. È qui che i visitatori che scendono
nella Settima Sfera si fermano per adattarsi all’ambiente del luogo prima di dedicarsi alle loro
missioni.
In occasioni come quelle l’intero Tempio si carica di elettricità, e il suo aspetto e l’influsso
mutano. Una volta, allorché venne un grande Signore, vidi il Tempio assumere un aspetto sfocato,
indistinto, e le due camere divenire iridescenti. I loro colori si fusero assieme man mano che
s’irradiavano nel corridoio, e un verde scintillante splendeva sospeso in aria. Ricordo che in quel
momento pensai al sole che proietta i suoi raggi dorati nel vasto blu dello spazio eterico. La fascia
neutrale di colori in prossimità del corridoio, intercettando e assorbendo sia l’etere che la luce
solare, assunse lo splendore verdeggiante della fertilità. Capisci, buon amico, che io vengo dalla
terra e che forse quella fu un’incursione del mio passato, perché non tutta la fertilità, persino sulla
terra, si ammanta di verde, e su alcuni pianeti è minore in rapporto alla loro superficie.
E ora il mio caro amico Arnel è dell’opinione di riprendere il suo racconto. Ringrazio lui e te,
amico mio, per avermi gentilmente concesso di farmi scrivere con la tua mano. Che Dio benedica te
e tutti coloro che accoglieranno noi come ci hai accolto tu. Non è sempre così, e noi siamo
felicissimi quando i nostri compagni della terra ci danno il benvenuto. È dolce per noi, e noi ci
sforziamo di non prendere tutta quella dolcezza, ma di riversarla su di voi e farla rimanere.
Prima di andare, Castrel, vorresti dirmi se sei ancora responsabile della città in cui ti trovavi
quando mia madre ti fece visita?
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Sì amico, lavoro ancora là e abito nella stessa casa. Ecco perché sono venuto qui. Il Tempio che
ti ho descritto e dove ti feci da guida, si trova sotto la mia giurisdizione. Non è sotto la mia
supervisione, ma è dentro i confini territoriali del mio governo.
Si trova nella Settima Sfera?
Sì, per come il mio signore Zabdiel ha numerato le sfere per te. Noi però le conosciamo in un
altro modo.
Grazie.

ARNEL RIPRENDE IL DISCORSO

E ora, figlio mio, riprendo il mio racconto. Una gran folla si raccolse nel corridoio e fu condotta
sotto l’Arcata d’Oro. Alcuni passarono oltre il corridoio ed entrarono nella Cantoria. Dopo un
momento di silenzio lo spazio cominciò ad assumere una sfumatura viola che si mescolò agli abiti
dell’assemblea, ivi raccolta, trasformandoli in una nuvola scintillante di materiale impalpabile.
L’Abside cominciò a brillare e numerose figure presero forma e si posizionarono in ordinata serie
attorno all’arco della parete all’estremità opposta. Allora dalla balconata apparve una compagnia di
visitatori. Erano di entrambi i sessi e indossavano vesti variopinte. Il colore dominante era un
cremisi scuro-porpora. Emettevano una radianza che fece scintillare e ardere le tende, come se
fossero in fiamme. Di fatto esse ardevano, ma il fuoco non le bruciava come avrebbe fatto il fuoco
fisico. Diede loro una certa vita e una forma di sensibilità che non riusciresti a capire. Quei maestosi
tendaggi assorbivano poco i raggi, perlopiù li trasmutavano e li proiettavano indietro verso la
Cantoria dove bagnavano la gente, là raccolta, con un’operazione a dir poco intelligente. Fu come
se la personalità di questi alti e potenti Angeli-visitatori fosse stata trasferita al materiale e quindi
alle persone che occupavano lo spazio interno che essi delimitavano da ogni lato.
Il proposito di questa Assemblea era di riceve un insegnamento e, per quelli entrati nella
Cantoria, un’iniziazione a qualche rango superiore di servizio entro la Sfera. Non fu per il loro
avanzamento nella Sfera successiva, ma per assegnargli qualche preciso compito in quello stesso
regno, indirizzandoli a mansioni per cui erano stati preparati a lungo.
Ora, quando un simile incarico viene assegnato sulla terra, il designato riceve anche una certa
autorità con cui esercitare il suo ufficio in nome dello Stato. Ma qui l’iniziato ottiene il potere di
realizzare il lavoro che si adatta alle sue capacità innate. Egli risulta trasformato nel potere
personale. Il campo di forze sotto il suo controllo si espande. In breve, egli diventa più importante
non solo nell’esercitare l’autorità, ma anche nel vigore dello spirito. Mi fermo con le parole, figlio
mio, provvederai tu a dare quel significato che io manco di esprimere.

CAPITOLO 3
LA FESTA DEL CRISTO BAMBINO

Mercoledì, Vigilia del Nuovo Anno, 1919.


Quando la comunità si riunì, era la Vigilia di Natale secondo il calendario terrestre. La nostra
gente celebrò il Cristo Bambino e diresse intenzionalmente il suo pensiero verso il mondo cristiano.
Nelle varie sfere si tennero cerimonie simili. Il potere della benedizione scaturito da tutte queste
congregazioni viene raccolto da coloro che ne sono incaricati, i quali lo coordinano e lo fondono per
proiettarlo, infine, sulla terra. Ci sono anche stazioni, in diversi centri, dove il potere così generato
viene ulteriormente trattato, questa volta in modo specifico.
Le grandi congregazioni celesti includono le diverse confessioni del cristianesimo. Nei mondi
superiori queste si sono spogliate delle caratteristiche meramente temporali e si avvicinano l’un
l’altra come figli dell’Unico Padre. Man mano ci si accosta al piano terreno, le distinzioni dei vari
ordini persistono. Nei mondi più vicini alla terra anche i pregiudizi sono presenti. Tutte queste
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componenti sono mescolate al complesso delle molte offerte elargite. Per tale ragione esse sono
trattate mediante un processo di fusione e raffinamento, poi divise in correnti d’influenza che
variano per intensità e composizione, e private di qualunque elemento di ostilità o rivalità. Così
raggiungono gli uomini della terra come aiuto nelle loro preghiere.
Questo ufficio è in continua attività. Ma durante il periodo delle grandi Celebrazioni si
conforma al sentimento di devozione dominante di quel tempo.

C’È UNA SOLA RELIGIONE

Il Cristianesimo non è l’unico beneficiario di questa benedizione. In qualunque modo Egli è


conosciuto, vuoi col Nome di Cristo, o con un altro Nome, o nessun nome, tutta questa benedizione
giunge a loro attraverso Colui che voi chiamate il Cristo. Ciò si spiega perché tutta l’energia della
vita e del movimento hanno origine dall’Unico Padre. In alto, sopra di noi, e tra noi e Lui, c’è la
Sfera di Cristo, satura della Presenza di Cristo. Questa Sfera è un ambiente circolare che abbraccia
tutti i mondi inclusi fra essa e la terra. Il flusso di vita e potere emanato dal cuore di Dio deve
necessariamente attraversare la Sfera di Cristo lungo il suo percorso. E ci raggiunge dopo avere
assunto le qualità specifiche della Personalità e della Presenza del Cristo. E così, al contrario, tutte
le genti della terra, qualunque sia il loro sistema religioso devono, nella loro adorazione,
raggiungere il Padre attraverso il Cristo.
Non importa con quale nome siano conosciuti, se Musulmani o Buddhisti, in Lui,
potenzialmente, sono tutti una cosa sola, e Lo pregano anche col Nome che tu prediligi. Le divisioni
religiose assumono grande interesse per voi della terra. Ma qui misuriamo le cose in un altro modo.
Per noi ci sono solo due religioni, figlio mio: una è l’obbedienza a Dio, l’altra è l’obbedienza a
nessun dio. E quest’ultima non è religione. Così, in fin dei conti, di due una è di troppo. Esiste una
sola religione, una sola famiglia dell’Unico Padre. Ecco quello che impariamo durante il nostro
progresso verso l’Unica Sorgente di ogni cosa.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI

In quel Tempio celebrammo nostro Padre e Suo Figlio, il Cristo.


Potresti descrivermi la Cerimonia?
Posso dirti solo alcune fasi, figlio mio, altre sono troppo elusive per essere tradotte nel
linguaggio terreno.
Cominciammo in Silenzio. Man mano che questo si approfondiva, iniziammo a sentire onde di
adorazione, che dapprima giunsero dal piano terreno. Poi, dopo avere noi stessi intensificato la
concentrazione, ci elevammo e udimmo le armonie dei regni appena sopra la terra.
Piano piano la lirica cambiò e assunse maggiore dolcezza e volume, provenendo dai mondi più
prossimi a questo Tempio. Allora percepimmo l’amore di questa stessa Sfera e vi unimmo la nostra
venerazione.
L’assemblea continuò ad elevarsi in spirito, e ricevemmo le vibrazioni di armonia dall’Ottava
Sfera in avanti. E mentre il punto focale della nostra concentrazione saliva di cielo in cielo, il
numero di quelli capaci di afferrare il contenuto, tanto chiaramente da saperlo leggere e interpretare,
si riduceva progressivamente. Gli altri mantenevano il silenzio ricevendo le vibrazioni attraverso i
loro compagni più avanzati, mentre questi a turno catturavano e assimilavano il tema, e lo
proiettavano di nuovo in basso agli altri, e quindi verso la terra. Coloro che scesero a farci visita
potevano seguire l’armonia più alta ed erano in grado di ricevere le correnti di preghiera dai Cieli
più vicini alla Sfera del Cristo e trasmetterle a noi e a quelli sotto di noi. Quindi, figlio mio, tutto
quel sentimento d’amore, di buona volontà e di pace reciproca che chiamate lo Spirito del Natale
viene amplificato dal nostro contributo che proviene da tutte le Sfere spirituali. Voi lo assorbite e ne
provate gioia; ma pochi di voi sanno quanto vi siamo vicini nei momenti di aspirazione come
questo. E siamo vicini a voi tanto quanto lo erano coloro che diedero ai pastori la buona novella di
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un tempo. Essi furono “con” i pastori, dice la Bibbia. E anche noi siamo con voi, per davvero. Ora
ci fermiamo, continuerò domani la descrizione della Cerimonia.

PARABOLA DEL RAGAZZO E DEL GUFO

Vorresti inserire qui una piccola parabola, Arnel?


Mi rallegra il tuo amore per le mie parabole. E così sia.
C’era un ragazzo sulla riva di un fiume intento a fissare un grande albero ricco di fronde, dal
quale sentiva provenire un fruscio. Lassù, con gli occhi socchiusi davanti al sole della sera, un gufo
osservava il giovane dall’alto. Il ragazzo disse: “Mastro Gufo, perché non scendi nel prato? Poco fa
ho visto un toporagno e potremmo cacciarlo assieme e catturarlo”. Ora, il gufo non aveva la favella
del genere umano. Ma usava occhi, ali e zampe per aiutarsi ad esprimere quanto desiderava dire,
tanto che lui e il giovinetto divennero capaci di tenere una conversazione. Rispose: “Ragazzo mio,
in questo momento non mi è ancora possibile scorgere il toporagno. Ma quando il sole tramonterà,
scenderò e andrò a caccia”.
“Ma a quell’ora non sarò qui ad aiutarti, Mastro Gufo. Sarò già a letto”. “Certamente”, disse il
Gufo, “E ora ti spiego perchè. Un toporagno mi è sufficiente; e fra un ragazzo e un toporagno
scelgo il più piccolo. Ma un giovane umano non ragiona allo stesso modo. Fra un gufo e un
toporagno sceglierebbe secondo la sua specie. E la sua è una specie ingorda. Inoltre, i gufi, come gli
umani, hanno un solo collo con cui vivere – e una povera specie di collo”.
Qual è la morale di questa parabola, Arnel?
Nessuna, figlio mio, i gufi non hanno grandi morali; e i giovani umani ancora meno – tanto
meno quando stanno per intraprendere azioni di caccia. Non c’è morale nella mia parabola, salvo
che tu non sia capace di trovarne una.

IL CRISTO BAMBINO E ISRAELE

Capodanno, 1920.
Egli apparve nel Tempio lungo il corridoio, fra la Sala d’Oro e la Cantoria, a sinistra di dove mi
trovavo.
In quale parte del Tempio eri?
Nella Cantoria, vicino al corridoio, di fronte alla prima colonna sullo stesso lato dal quale Egli
entrò. Udii un tenero dolce sospiro e girai inconsciamente gli occhi in quella direzione. Fui alquanto
sorpreso da quanto vidi. Non c’erano bambini presenti a quell’incontro. Tuttavia un bimbo di circa
sei-sette anni si era introdotto nell’edificio, come se si fosse allontanato dalla sua balia e, dopo aver
vagato su e giù, si sentì improvvisamente confuso trovandosi in presenza di così tanti adulti. Perciò
piagnucolava.
Appena lo guardai, Egli chinò lo sguardo verso il basso dove scorse un fiore, che corse a
raccogliere con sorriso gioioso e sommesso. Ora il corridoio non era un pavimento di pietre, ma una
larga striscia di prato vellutato, che una mano invisibile aveva cosparso di fiori; Egli correva a
prenderli finchè le Sue braccia furono ricolme di fiori.
Stringendoli al petto si diresse al centro del corridoio, poi svoltò e camminò più solennemente
verso la Cantoria, proseguendo fino al Santuario. Tutta la timidezza era sparita: ora sorrideva e
guardava ovunque per cercare qualcuno che non riusciva a trovare.
Girandosi e ponendosi di fronte alla Camera d’Oro, dopo aver attraversato l’intera lunghezza
della Cantoria, pose il fastello di fiori sul pavimento davanti a Qualcuno. Sollevò le mani verso il
soffitto e gridò: “Vieni, buon Israele, dobbiamo dare questi doni ai nostri amati. Doni di
compleanno, buon Israele. E poiché ci offrono il loro amore, per la nostra gioia, dobbiamo
ricambiare benedicendoli.”
Poi diresse lo sguardo verso il corridoio e, dove fino a quel momento non c’era nessuno, ora
vidi un uomo molto alto e imponente, nel pieno della maturità per età e levatura. Era avvolto da
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un’antica grandiosità. Il volto assai amorevole e bello nella forza e nell’intelletto. Non indossava
abiti salvo una tunica indistinta, vagamente percepibile; nessun gioiello, perlomeno nessuno che
potessi vedere. Il suo corpo risplendeva puro in salute e santità, e il respiro emetteva raggi di luce
variopinta attraverso il lieve movimento del torace. Ricordo che fui invaso da un senso di
soggezione, perché la sua santità, benché soggiogata e tenuta a freno, sembrava che dovesse
esplodere in ogni momento su di noi come un fuoco che consuma. Temevo che se si fosse diretto
verso il Bambino, il bagliore che emanava mi avrebbe accecato.
Tuttavia, quando si mosse, le varie tinte della sua luce si mescolarono in modo da neutralizzarsi
l’un l’altra e ne emerse uno splendore opalescente.
Avanzò, s’inginocchiò davanti al Bambino, lo sollevò da terra e se lo caricò sulla spalla destra.
Poi prese i fiori nella mano sinistra tenendoli come uno scettro sopra la sua spalla. Allora si alzò in
piedi e lentamente si diresse verso la Cantoria portando il Bambino; poi scese nella Sala d’Oro
percorrendola tutta.
Finché non sistemò il Bambino sulla sua morbida e splendida spalla, come per adagiarlo su un
trono, non realizzai che il Cristo Bambino era venuto da noi. E appena lo fece, il mio primo
pensiero fu che dovevo inginocchiarmi e prostrarmi in adorazione. Ma non mi riuscì. Questo
Bambino era un bimbo vero, felice e allegro, un amorevole fanciullo la cui gioia e innocenza erano
fuse assieme in una grande seducente semplicità. E mentre sedeva là, desideravo andare a baciare il
Suo bel collo, il suo corpo, le gambe e i piedi per la straordinaria e dolce bellezza che emanava. Ma
nulla potevo fare. Nessuno poteva toccare il Suo corpo di perla, nessuno tranne colui che fosse stato
puro come una perla. Allora non avevo quel livello, figlio mio, e neppure oggi lo possiedo.
Mentre camminava coglieva i fiori dalla mano di Israele e ne dava uno ad ogni membro
dell’assemblea. Ora, questi fiori erano di specie diverse, e ciascuno riceveva il fiore destinato a
trasmettergli maggiore benedizione. Proverò a spiegarti cos’ha significato per noi.

I FIORI COME CANALI DELLA SUA GRAZIA

Si avvicinò e mi porse una viola del pensiero – che come sai è il mio fiore preferito. Mentre
prendevo il gambo fra le dita Egli lo trattenne per qualche istante, guardandomi negli occhi. Ciò
ebbe questo effetto in me: sentii che mi conosceva e mi amava in modo particolare. C’era un
legame fra Lui e me che non c’era fra Lui e gli altri. Qualche tempo prima avevo lavorato
strenuamente a un problema la cui soluzione mi era sfuggita parecchie volte. In quel momento
arrivò la risposta. Mentre il Bambino mi fissava, vidi nei Suoi occhi la piena cognizione di tutta la
mia paziente e lunga ricerca fin nel particolare; la compassione per i miei fallimenti, l’approvazione
per la mia perseveranza e l’amore riservato a me, e a nessun’altro, per l’unicità della mia persona.
Questo, come scoprii in seguito, è ciò che accadde a tutti gli altri. I fiori che ricevemmo furono
semplicemente usati, prima come canali della Sua grazia e benedizione e, secondo, come isolanti fra
Lui e noi. Nessuno in quella moltitudine avrebbe potuto toccare la Sua forma. Averlo fatto, in
teoria, avrebbe significato l’annientamento. In pratica, avvicinarsi al punto da toccarLo era
impossibile. Nessuno di noi aveva un livello di vibrazioni di frequenza così elevato da intonarsi a
Lui. Nessuno salvo uno: Israele.
Chi era Israele? Intendo nella sua vita terrena – se era vissuto sulla terra.
Ah, è là che mi vuoi portare, figlio mio. Non lo so. Qualcuno dice che è tutt’uno col Cristo, una
Manifestazione di certi elementi della Sua natura. Alcuni dicono che è uno di quei grandi Signori
Creativi che operarono agli ordini di Cristo, quando il Cosmo di Materia fu creato. Altri che è il
Cristo Stesso, e il Bambino la Sua Manifestazione. Perché esiti, figlio mio? Scrivi quello che ti
trasmetto – ti esorto a continuare. Certuni affermano che è Giuda Iscariota.
Colui che noi chiamiamo Giuda il Traditore, Arnel. Ecco perché ho esitato.
Anch’io una volta lo chiamavo così, figliolo.
Dici che ti piacciono le mie parabole. Eccone un’altra. Quando hai finito di scriverla, rileggila
con attenzione e riflettici sopra.
18
PARABOLA DEL GLOBO DI LUCE

Una leggenda narra di un potente Principe che governava gli elementi quando la terra era
giovane. Un giorno s’imbatté in una comitiva di altri Principi che se ne stavano su una scogliera
affacciata sul mare a discutere in concilio. Domandò cosa li preoccupava. Essi risposero che
avevano lavorato per correggere l’orbita della Terra e persino la sua rivoluzione assiale. Ma
rimaneva un problema: metà della sua massa era continuamente in ombra. Avevano costruito un
grande globo opalescente che, se fossero riusciti a posizionare oltre l’atmosfera terrestre dentro
l’etere, sarebbe diventato iridescente e avrebbe fornito luce a quell’emisfero della terra che, girando,
si oscurava allontanandosi dai raggi del sole. Ma quel globo era grande e pesante, nonostante fosse
cavo al suo interno, e non riuscivano a trovare il modo per sollevarlo in aria.
Dopo averli ascoltati disse loro che si sarebbe occupato del problema, e loro gli affidarono
l’incombenza.
Allora si recò nelle profondità dell’oceano, lontano dalla luce solare, dove tutto è tenebra. Parlò
con i Signori oscuri che governano le tenebre laggiù, e li arruolò al suo servizio.
Poi tornò e disse agli altri Principi di far galleggiare la grande perla sull’acqua; così fecero. E
mentre la guardavano, notarono che essa cominciava a perdere la sua bianchezza, la sua tinta si fece
più fosca e cominciò ad affondare.
Quando stava per sparire sotto la superficie dell’acqua, si rivolsero al loro compagno allarmati.
Ma egli li rassicurò: “Non angustiatevi fratelli miei. Il globo sta scendendo nelle profondità, attirato
giù dai poteri oscuri che dominano là in basso. Affonderà sempre di più, ma non verrà
danneggiato”.
Così il globo continuò a sprofondare attirato dalle forze oscure, e alla fine fu interamente
ricoperto da fango e conchiglie dopo essersi adagiato sul letto dell’oceano, lontano dalla luce e dal
calore solare, nelle profondità degli abissi marini. Ma una volta raggiunto questo risultato, i Signori
dell’oscurità scoprirono che per trattenere il loro gioiello sul fondo dell’oceano dovevano esercitare
una continua e inarrestabile forza per contrastare la sua potente spinta verso l’alto. Dentro era pieno
di aria pura e luce solare, e per loro era un grande sforzo trattenerlo. Sembrava avere dentro un
qualche strano principio naturale che gli conferiva una spinta ascensionale, che essi non riuscivano
a capire. E questo principio lavorava costantemente e senza sforzo, mentre loro stavano
rapidamente esaurendo l’energia. Così venne il giorno in cui tutta la loro forza fu consumata,
smisero di esercitare la volontà e lasciarono salire il globo. Così facendo il fango fu lavato via.
Miglio dopo miglio ascendeva verso la superficie e, salendo, la sua velocità aumentava finchè
quando raggiunse gli ultimi metri d’acqua tra lui e la luce del sole, prese lo slancio di una cometa
nel cielo.
Il Signore che aveva pianificato tutto questo se ne stava da solo sulla scogliera. Osservava le
acque e, finalmente, vide qualche movimento presso l’orizzonte. Poi balzò fuori dall’oceano una
grande palla bianca che risplendeva come una perla colpita dai raggi del sole. Saliva lontano dalla
superficie terrestre e per l’impeto della sua spinta, fu trasportata oltre la cintura atmosferica nel
mare dell’etere, e là trovò la sua orbita, immersa nella vivida lucentezza dello spazio celeste.
Ben presto gli altri Signori tornarono, trovando il loro compagno silenzioso sulla scogliera. Uno
di loro disse: “Fratello, abbiamo percorso mari e coste cercando il nostro lume che dicevi si sarebbe
sollevato dalle profondità marine, e non lo abbiamo trovato. Abbiamo cercato nelle vallate, ma non
c’era; su nessuna acqua l’abbiamo visto galleggiare. Temiamo sia perso per sempre, fratello”.
Ed egli: “No, è solo bagnato e pulito, fratello mio. E per quanto a fondo è sceso tanto ora è
salito. Più si tende l’arco, più grande è la spinta e la velocità della freccia. Più a fondo una palla
vuota viene spinta sotto le acque, più velocemente e più in alto s’innalzerà sulla superficie del mare.
Avete cercato troppo in basso, fratelli miei. Il vostro lume è lassù in cielo, e la sua luce aiuterà, sul
mare e sulla terra, molti pellegrini bisognosi. La sua luce rilette la luce solare, e quindi è vera luce”.

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Lo devo interpretare in questo modo? Può essere che Giuda, affondando nelle tremende
profondità del peccato, come fece, quando si pentì rimbalzò, per così dire, salendo in un luogo alto
dei cieli?
Per raggiungere una luce come quella d’Israele, direi che sarebbe necessaria una lunga,
lunghissima ascesa. Riguardo a Giuda, non so che dire.
Non ho trovato tracce di lui da nessuna parte durante il mio tragitto fin dove mi trovo ora. E io
ho viaggiato in lungo e in largo. Né ho avuto notizie di lui da altri viaggiatori incontrati sul
cammino. Circa la sua identità con Israele non saprei. È una delle congetture che circolano qui,
niente di più. Non ricordo chi per primo ventilò questa possibilità. Fu una proposta audace da
azzardare la prima volta, e ciò che mi rende perplesso è che occorre una mente assai vivace per
partorirla, e un cuore altrettanto intrepido per esprimerla – un cuore come quello del nostro Signore
il Cristo, figlio mio.

CAPITOLO 4
DEVOZIONE E SERVIZIO

Giovedì 6 gennaio, 1920.


Appena raggiunse il corridoio, Israele mise il Bambino a terra. Noi guardammo verso l’ingresso
e udimmo il suono distante di voci infantili provenire dal lato destro del corridoio. Queste cessarono
e il canto fu ripreso da un altro gruppo invisibile nella Cantoria, a sinistra. Allora cominciarono a
cantare assieme in coro mentre si avvicinavano l’un l’altro. Infine potevamo vederli tutti assieme, e
notai che quelli provenienti da destra erano femmine, gli altri maschietti. Si mescolarono in un
unico gruppo e si diressero fuori nei chiostri seguendo il Cristo Bambino e Israele che stavano
davanti.
Tutti noi ci accodammo per vedere cosa succedeva fuori. Cantavano man mano che
procedevano. Seguivano il Bambino che li condusse a destra, lungo un sentiero fra due colline. Il
sentiero nasceva in una zona pianeggiante coperta dalla foresta. Percorsero un viale, e gli alberi ai
lati assunsero un aspetto più trasparente, presero vita con luci colorate che irradiavano qua e là in
mezzo al fogliame. Anche gli uccelli furono bagnati da quella luminosità e cantavano il loro inno di
gioia in comunione con quello dei bambini. Ascoltavo, camminando dietro, e mi sembrava che
bambini e uccelli avessero fuso le loro menti nella purezza di un’allegra melodia.
Infine raggiungemmo una pianura di vaste dimensioni, dove l’intero spazio sovrastante era
coperto dai rami di alberi altissimi che formavano come un tetto. Quando il Bambino entrò, i
fanciulli rimasero nel viale. Egli si diresse al centro dello spazio aperto, dove si ergeva una piccola
e verde collinetta, ricoperta di fiori. Qui si fermò e su questo poggio Israele si sedette prendendo il
Bambino sulle ginocchia.
Lentamente l’ambiente cominciò a riempirsi di una luminescenza tale, come se migliaia di
lampade colorate fossero state frantumate dalle mani degli angeli e la radianza riversata nell’aria.
Gli alberi attorno ne furono inondati finchè il tronco e le foglie luccicarono e brillarono come
alabastro immerso nella luce solare, nel chiaro di luna e nella luce stellare – poiché tutte
sembravano essere presenti in quello splendore. È così che ci apparve quella scena. La vera causa
del fenomeno però era la presenza simultanea di molti angeli di rango assai elevato, che ci
restavano invisibili. Potevamo vedere solo la loro luce.
Poi dal tetto di rami sopra la pianura discese un grande battello simile a quelli che navigano
sulle acque presso la Torre degli Angeli. Ma il suo splendore era assai maggiore, e gemme colorate
luccicavano, lampeggiavano attorno, fuori e dentro, mentre scendeva e si posava accanto al
Bambino e Israele.
Era una cosa strana per me, in verità, e mi chiesi quale fosse il significato. Il battello si posò sul
tappeto erboso, poiché non c’era acqua su cui galleggiare. Avrei compreso più tardi il senso.
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LA FANCIULLA

Seduta a poppa del battello c’era una giovane Vergine. Ti parlerò di lei. C’erano altre ragazze a
bordo, davvero incantevoli per la bellezza del volto e della figura, per la costituzione dei loro corpi
assai più radiosi dei nostri. Ma la Fanciulla superava in splendore tutte loro nell’incanto e nella
delicata lucentezza della sua persona. Aveva fronte nobile e morbidi capelli castani, e l’aspetto
modellato a meraviglia. Il suo abito bianco si combinava a una radianza rosa. Sotto questa veste, il
suo bel corpo splendeva e ardeva e, mentre la fissavo, l’unico pensiero nella mia mente era di
grande amore e tenero rispetto per la sua santità.
Scese dal battello assieme alle altre, e il Bambino balzò giù dalle ginocchia d’Israele e le corse
incontro. Lei lo prese, lo strinse al petto e lo baciò, mentre Lui gli restituì le carezze. Ero così
ipnotizzato da quella scena che non avevo occhi per altro. Ma all’improvviso notai che davanti ai
miei piedi c’era l’acqua. Avevo camminato fino al bosco ed ero giunto nella radura a pochi metri a
sinistra del sentiero dal quale avevamo seguito i bambini. Loro aspettavano là, nel viale, e così girai
dietro di loro per avere una panoramica ravvicinata della radura.

UNA TRASFORMAZIONE NELLA RADURA

All’inizio l’acqua non lambiva i miei piedi quando giunsi al punto d’osservazione. Adesso
vedevo un tratto curvo di un canale circolare, largo pressappoco sei metri, che circondava tutta la
Radura sottostante gli alberi, alcuni dei quali sfioravano la sua superficie. Inoltre da questo canale si
dipartiva, a un quarto di circonferenza dall’entrata del viale, un altro corso d’acqua che si dirigeva
verso il dosso centrale, di modo che l’imbarcazione con cui la Vergine e il suo seguito di fanciulle
erano discese, ora potesse fluttuare sull’acqua. Lei e il Bambino salirono a bordo e il battello, come
mosso da una volontà propria, scivolò fino all’estremità del naviglio dove sfociava sul canale
circolare, e là si fermò.
Erano apparse altre imbarcazioni sull’acqua, e in queste salirono i bambini, cantando, ridendo,
giocando felicemente. Ogni battello aveva due rematori, uno a prua, l’altro a poppa, ed essi usavano
i remi per muovere e dirigere questi grandi natanti attorno alla radura. Prima seguirono il percorso
interno e, una volta superato il canale, si avvicinarono al battello del Cristo Bambino, il quale stava
a prua. Al suo fianco c’era la Fanciulla che teneva la mano sinistra del Bambino.
Ciò che vidi in quel momento mi rese quasi malinconico per quanto sia possibile essere tristi in
regni luminosi come questi, dove la gloria è un fatto reale. Su di noi, nel Tempio, Egli non aveva
posato la Sua mano. Ma adesso man mano che le imbarcazioni passavano avanti verso la Sua
postazione, accostandosi ad essa lungo-bordo, tutti i bimbi si avvicinavano alla fiancata della barca
a mani giunte, fianco a fianco e con i loro begli occhi celati dietro le ciglia abbassate, ed Egli pose
la Sua paffuta manina su ogni testa chinata e, uno a uno, li benedì mentre stavano inginocchiati
davanti a Lui.
Figlio mio, certe persone dalle strane convinzioni non credono che gli angeli possano piangere.
Noi lo facciamo, talvolta per dolore, talvolta perché le lacrime sono l’unica offerta che possiamo
dare in risposta al nostro rapimento estatico. Come tributo alla santità, con l’immensa dolcezza della
sua bellezza, per quello che vidi e sentii, i miei occhi si erano velati di lacrime. Era così dolce da
vedere: il Bambino, i Bimbi e la Fanciulla. Così bella era la loro santità che piansi di gioia e per la
pace che soffiava su noi adulti, sparsi qua e là fra gli alberi attorno all’acqua che circondava la
radura, in silenzio, assorti e non senza struggimento.
Poi si allontanarono di nuovo, e questa volta seguirono il percorso esterno sotto gli alberi.
Questi ultimi erano illuminati e vidi che dai loro rami pendevano sull’acqua molti tipi di frutti, e
presso la riva c’erano anche dei fiori. I bambini coglievano sia gli uni che gli altri quando i loro
battelli ci passavano accanto, sporgendosi oltre il bordo o rimanendo in piedi. E mentre coglievano
un fiore o un frutto, esso mutava, e ogni fanciullo al suo posto aveva una ghirlanda di gioielli

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luccicanti, con loro grande divertimento. Con questi incoronavano le loro graziose teste e
continuavano a cantare e ridere in allegria.

LA LEZIONE DEL SUO ARRIVO

Israele era rimasto vicino alla collinetta con le damigelle che accompagnavano la Santa
Fanciulla. E con queste ora intonò un inno di gioia carico di melodia ed elevazione. Serviva come
base per il canto dei bimbi, i quali si unirono a quella lirica in ordine sparso e nella maniera
confacente alle loro capacità. Man mano che il cantico proseguiva, essi riuscirono ad afferrare
sempre meglio il tema, e infine poterono contribuire tutti all’armonia. Allora l’inno si sviluppò
completamente. Le dolci voci dei bambini furono arricchite dai timbri più sonori delle fanciulle, e il
tenore profondo di Israele stabilizzava l’armonia dell’intero coro.
Attendevo di vedere la fine di quel raduno. Tutti i bimbi sbarcarono sulla riva interna del canale,
e il Cristo Bambino li salutò e disse loro che sarebbe tornato con nuove delizie se avessero appreso
la lezione della Sua visita. Poi, rimanendo in piedi sulla collinetta, Lui assieme alla Fanciulla e alle
damigelle, con Israele in mezzo, scomparvero tutti nelle loro sfere più alte.
E l’acqua e i battelli?
Questi rimasero; i bambini sarebbero stati condotti là, di tanto in tanto, per ricevere
insegnamenti sul vero significato di quella Manifestazione. Venire saltuariamente in questo luogo
avrebbe fatto parte dei loro studi. Non so se quel canale esiste ancora. Potrebbe essere permanente,
e talvolta accade. Ma se non se ne scorgono utilizzi futuri, verrà riassorbito nell’ambiente, e lo
stesso sarà per le imbarcazioni.
Ad ogni modo rimarrà finchè ciascuno di quei piccoli non avrà assimilato pienamente il
significato dell’arrivo del Cristo Bambino nel giorno del Suo Compleanno.

SHONAR

Mercoledì 7 gennaio, 1920.


Dalla pianura tornammo indietro alla Sala delle Colonne, come talvolta è chiamato il Santuario
di quel Tempio. Colà ci riunimmo in Concilio, quando giunse un visitatore per assisterci con la sua
saggezza. Veniva da una sfera superiore e si era fermato sulla balconata del Santuario minore, in
attesa del nostro ritorno. Entrò dall’ingresso laterale di cui ti parlai e si diresse verso noi mentre
eravamo riuniti in gruppi a conversare della sublime Festa a cui avevamo assistito nella radura.
So che sei sempre avido di conoscere l’aspetto di ogni personaggio che faccio entrare nel nostro
racconto, e desideri anche sapere il suo nome. Perciò ti dirò entrambe le cose. Lo chiameremo
Shonar. Non era molto alto per come s’intende la statura nell’aldilà. Circa dell’altezza del più
grande di noi. In terra misurerebbe più o meno 1,90 mt. La sua pelle era di tinta dorata, più che
bianca o rosata come la maggior parte di noi, come se fosse stata esposta alle intemperie e ai raggi
del sole. Una semplice fascia d’oro rubicondo gli cingeva i capelli castano scuro, che cadevano a
riccioli sulle spalle ai lati della testa. La sua tunica non era di tipica seta, ma più simile a
un’armatura corazzata, senza essere fatta di metalli duri, anche se brillava e aveva quel lustro. Gli
arrivava a metà coscia ed era orlata da una fascia cremisi. La cintura in vita era d’oro antico. Questo
era il suo solo abito. Braccia e gambe restavano scoperte.
Dal suo portamento e dall’aspetto trapelava una meravigliosa mescolanza di tenerezza e potenza
quasi spietata. Non lo capii all’inizio, ma dopo aver sentito la sua storia mi resi conto che non
poteva essere altrimenti. Sulle spalle aveva molti secoli di servizio, e quel servizio si era svolto in
epoche tormentate, specialmente nei secoli in cui sulla terra si affermavano rivoluzioni sanguinarie
e dominio tirannico.
Per esempio?
Egli era attivo negli eventi che segnarono l’epoca di Ivan detto “il Terribile”, in Russia”; ebbe
un ruolo durante le più atroci brutalità perpetrate da quelle genti da allora fino ai nostri tempi. Si
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mescolò col popolo francese nei tempi frenetici che precedettero l’avvento di Napoleone. Fu anche
con gli Inglesi dall’epoca di Enrico VIII in poi. Il suo lavoro è spaventoso. Tutti questi movimenti
mostrano agli storici il loro aspetto esteriore e grossolano, fatto di sangue e crudeltà. Ma c’è un altro
significato più profondo in queste vicende che viene studiato da noi sul lato interno, ed egli si
occupò di quegli eventi da questo punto di vista. Il lavoro di Shonar è prendere il controllo del
timone e guidare la nave oltre il mare di sangue. Il sangue deve fluire e i venti blasfemi devono
soffiare in tempi come quelli. È il solo modo per fare galleggiare la nave, l’unico modo per
costringerla ad avanzare lungo la sua rotta. Nelle vicende scaturite dal manifestarsi del libero
arbitrio umano, ci sono tempi in cui nient’altro può servire, figlio mio.
Con il mare insanguinato e la burrasca infernale, Shonar non aveva nulla a che fare. In questi
erano coinvolti coloro che le generarono. Il suo incarico era dirigere la nave del progresso umano, e
nient’altro. Il mare che doveva solcare e il vento al quale aveva dispiegato le vele, erano forniti da
uomini e demoni. Shonar doveva prenderne il controllo e servirsene; usare il fuoco dell’inferno per
accendere la sua lampada di santità. Tale era il suo compito. Fu allora che compresi il suo aspetto. E
compresi come mai prima d’ora quale enorme potere è insito nel volere del genere umano.

PIÙ ELEVATO DELLA SUA POSIZIONE

Cercherò di dirti qualcos’altro di lui. Egli era di rango più elevato rispetto alla posizione che
occupava. Intendo dire che se si fosse liberato del lavoro particolare che ti ho descritto e avesse
assunto il suo normale livello, avrebbe abitato in una sfera molto alta. Questo era ed è il suo merito
conseguito grazie al suo servizio instancabile. Potrebbe avvalersene come suo diritto e senza
biasimo in ogni momento. Ma finora si è astenuto dal reclamare la sua ricompensa. Così continua a
restare in contatto con l’ignobile e l’efferato per il bene degli uomini, e rinuncia alla beatitudine dei
cieli superiori dove, a causa di tale contatto, non può entrare. Non perché non ne sia degno, ma
perché i doveri che ha intrapreso non lo rendono idoneo.
Citerò un altro caso come esempio. La divinità del Cristo è prossima a quella del Padre. Quando
Egli si avvicinò alla terra aveva bisogno di adattare se stesso alla sfera terrena. Proprio per il fatto
dell’incarnazione. Una volta incarnato non poteva tornare a Casa. Dovette prima liberarsi della
carne umana, poi risalire le sfere nel loro ordine, liberandosi da ogni condizionamento man mano
che saliva verso cieli più elevati, fino a raggiungere la Sfera che è il suo proprio dominio.
Ho descritto l’ascesa del Cristo per farti capire, con una similitudine, il caso di Shonar. Il Cristo
agì in linea di massima come ti ho appena detto. Ma, di fatto, la Sua ascesa fu più spedita e diretta
di quanto sembrerebbe apparire. La Sua discesa verso la terra aveva già tracciato la via come la
strada maestra del Re.
È abbastanza per oggi, figlio mio. Riprenderò il racconto domani.

UNA CHIAMATA AL SERVIZIO

Giovedì 8 gennaio, 1920.


Shonar era stato assente per lungo tempo dalla Settima Sfera, il suo lavoro lo aveva trattenuto
vicino alla terra. Solo a lunghi intervalli saliva ai mondi superiori per riposare, e da uno di questi era
sceso fino a noi. Perciò pochi di noi lo avevano incontrato prima. Lo osservavo avvicinarsi ora a
una comitiva ora all’altra; notai che le sue parole erano decise, le sentenze brevi e dirette, mentre si
rivolgeva a ciascun membro individualmente. Egli prese provvedimenti per ciascuno di noi prima di
aprire il Concilio generale. Essenzialmente era un uomo d’azione e di rapide decisioni, ma senza
essere irrequieto. Anzi, la sua grande sicurezza, la calma, la forza e l’imperturbabilità, ci davano un
senso di energia tranquilla che era rilassante.
Quando dico che egli parlava, è solo per usare un gergo terreno. Tuttavia offre un’idea migliore
della parola telepatia, che attualmente essendo all’inizio del suo sviluppo, non si dimostra molto
efficace. Qui è ampiamente utilizzata, specie nei cieli superiori, ma non fino al punto da escludere
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gli altri metodi. Egli la usava in quel momento, e gli fu di maggiore utilità rispetto alle parole orali
per cogliere il calibro mentale e spirituale di ognuno di noi. Nell’esporre le vicende farò riferimento
a parole e voci, affinché tu e i lettori abbiate una migliore comprensione.
Perciò, dopo essere passato vicino a ciascuno di noi, si allontanò dirigendosi al centro del
Santuario e disse: “Fratelli miei, vi prego di riposare, come farò anch’io prima di augurarvi buon
viaggio”.
Era un modo piuttosto strano di dirci “accomodatevi”. Era un riflesso del suo lungo soggiorno
in prossimità della terra e allo stesso tempo ci comunicava la natura della questione che dovevamo
trattare. Ci sedemmo sulle panche fra le colonne d’oro, sotto le tende blu, e Shonar si adagiò sul
pavimento vicino al corridoio, appoggiandosi ora su un braccio ora sull’altro, mentre si rivolgeva a
quelli alla sua sinistra o alla sua destra.
“Mi è stato concesso di venire da voi, fratelli miei, per chiedere il vostro aiuto. I miei potenti
battaglioni si trovano sul piano terreno, sotto il comando del mio luogotenente Latimer. Io devo
tornare da loro: fra non molto avranno bisogno di me per svolgere un certo lavoro. Ho portato nella
Sfera Tre una compagnia di persone, raccolte sul piano terreno, che necessitano di vigore e
istruzione. Essi sono usciti dal vortice della terra e dal suo tormento, ma senza sostegno non
riescono a trovare l’equilibro. Siete disposti, fratelli miei, ad aiutarmi in questo lavoro e ad appagare
il mio cuore che desidera il loro bene, così che possa sentirmi libero di tornare a lottare più in basso
sulla terra?”.
“Di quante persone hai bisogno, mio signore Shonar?”, chiese qualcuno; ed egli rispose:
“Trentacinque, cinque gruppi di sette; ogni gruppo di sette composto da due gruppi di tre con un
leader”.
“E chi guiderà l’intera compagnia?”.
Shonar si alzò in piedi, e con rapida sicura grazia, rispose: “Voi mi chiamate ‘signore’, fratelli
miei. Vi prego di non chiamarmi così. Non sono qui per guidarvi, ma per supplicare il vostro aiuto.
Vi porterò il leader che vi condurrà nel vostro bel viaggio.

WULFHERE

Poi, chinandosi lievemente, si girò e camminò lungo il corridoio a destra. Ben presto riapparve
con al suo fianco una donna. Era quasi dell’altezza di Shonar, di corporatura perfetta. Il suo viso era
tondo, di forma e carnagione splendida. I suoi occhi scuri come il blu profondo del cielo notturno. I
capelli molto scuri, non completamente neri, erano legati in trecce sistemate attorno alla corona,
dietro la testa e sulle orecchie. Questo le conferiva l’aspetto di chi è pronto all’azione; una
personalità forte ma al tempo stesso dolce. Nella sua persona sembravano mescolate la dolce
devozione di Maria di Betania e il cuore guerriero di Budicca – una strana fusione, ciò nonostante
aggraziata. Poteva essere la gemella di Shonar.
Camminò con passo leggiadro e cadenzato fino al centro del corridoio, dove si fermò e, tenendo
le mani ai fianchi, rivolse lo sguardo alla compagnia. Shonar stava alla sua destra.
Ella disse: “Gentiluomini di Cristo, fratelli miei, mi è stato chiesto di lavorare con voi in questo
valente servizio. Volete prendermi come vostra compagna per la nostra impresa comune?”.
Nessuno parlò, ma uno di noi levò una mano di assenso, e tutti facemmo lo stesso.
Poi continuò: “Grazie, compagni e fratelli, grazie a tutti voi. Qui ci sono 63 persone, ma alcuni
di voi resteranno in veste di osservatori, mentre noi andiamo laggiù, e ci saranno d’aiuto di tanto in
tanto quando avremo bisogno di riposo. Ora Shonar radunerà la nostra prima compagnia di
servizio”.
Al ché Shonar passò accanto a ciascuno di noi e, mentre passava, toccava l’uno o l’altro, e nel
breve tempo che servì per completare il semicerchio aveva già raccolto trentacinque persone, né
più, né meno. Sapevo che egli aveva già deciso in precedenza quali di noi avrebbe scelto. E io ero
fra loro.

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Uno si rivolse alla donna, chiedendole: “Con quale nome possiamo chiamarti, signora? Poiché
ci sei sconosciuta da queste parti”.
Ella replicò: “Mi chiamerete col mio nome terreno, fratello, mentre svolgeremo questo compito,
cioè Wulfhere. Come sai, io non sono di queste parti. Il mio lavoro si svolge soprattutto lontano fra
le genti di un’altra evoluzione. Per questa ragione mi è stato chiesto di svolgere l’attuale impresa
che, come vedrete, non è ordinaria, perché i metodi consueti che qui conoscete non sarebbero utili.
Venite, gentiluomini, radunerò le mie dame e poi voleremo assieme verso la terra, voi e noi”.
Allora Shonar la baciò sulle guance e sulla fronte, ed ella lo abbracciò e lo strinse al suo petto
guancia a guancia, accarezzandolo teneramente. In seguito mi fu detto che era stato suo figlio nella
vita terrena.
Così Shonar prese la via della Balconata, e noi seguimmo Wulfhere lungo il corridoio, finchè
non raggiungemmo la sua residenza, dove le sue dame ne attendevano il ritorno.

CAPITOLO 5
L’EPISODIO DELLA FONTANA

Giovedì 13 gennaio, 1920.


Attraversando il corridoio mi chiedevo a quali nuove esperienze sarei andato incontro. Avevo
visto molti aspetti della vita e delle attività nelle sfere fino alla Undicesima. Ma queste regioni sono
talmente vaste e di natura così differente, nei loro paesaggi e abitanti, che qualche nuova sorpresa è
sempre pronta a rivelarsi. E ogni situazione sembra possedere il grande fascino della novità come
ogni cosa conosciuta prima. Figlio mio, la vita nell’aldilà non è mai noiosa per coloro che
procedono sulla luminosa via del progresso.
A sinistra, il corridoio era delimitato da un muro. Mentre a destra, dopo aver percorso un breve
tratto, si apriva sui giardini. Il tetto a reticolo era supportato da esili pilastri di bronzo. Attorno a
questo pergolato si aggrappavano bellissime piante rampicanti fiorite. Nei giardini c’erano tratti
erbosi, aiuole di fiori, corsi d’acqua e fontane.
Alla nostra sinistra continuava il muro, di color bronzo come i pilastri, ma ornato e scolpito con
splendidi disegni. Notai in particolare un grande pannello: alto circa otto piedi e lungo dodici. Era la
riproduzione in metallo di una fontana dell’Ottava Sfera. Questa immagine non era ferma, come i
vostri quadri, ma in continuo movimento. Acque bianche fluivano dalla fontana per poi incanalarsi
lungo quattro percorsi. I quattro flussi erano rispettivamente, blu, giallo, verde e rosso; e il territorio
attraversato da ciascuno assumeva il carattere del suo stesso flusso pervadente. Il fiume verde
irrigava terre destinate soprattutto al pascolo. Casolari, agricoltori e pastori coi loro greggi di
pecore, cavalli e bestiame: tutti contribuivano a creare un territorio agreste ideale. L’insieme
appariva vivo e dinamico. I frutteti di mele ondeggiavano al soffio del vento e, osservando i boschi,
potevo sentire il cinguettio degli uccellini. Persino le nuvole, come soffici pecorelle, traversavano il
cielo, gettando la loro ombra nelle praterie in basso.
Il torrente azzurro si gettava da un altopiano nell’oceano; in esso vi erano imbarcazioni di ogni
paese e di diverse epoche storiche: barche di vimini, canoe, velieri, fregate e navi di linea. E tutte in
movimento, come lo era il mare sul cui grembo navigavano.
Il fiume rosso volgeva verso una contrada laboriosa, dove gli uomini forgiavano i loro motori di
locomozione e commercio ed altri strumenti di metallo con cui il genere umano aveva esteso l’uso
delle due mani mediante sostituti artificiali di metallo. Persino questo era bello, poiché la nota
dominante era luce e fuoco, e l’artista doveva trattare il materiale esclusivamente dal punto di vista
del progresso. Nessuno strumento di guerra e distruzione era in fase di realizzazione. Niente
squallide montagne di spazzatura o cenere, nessun disdicevole spargimento di rifiuti. Queste cose
sulla terra sono il risultato della brama di profitto. Il movente ispiratore del disegno non era

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l’interesse personale, ma quello di raffigurare, in tutte le sue parti, il desiderio di servire la razza
umana. Per questo l’artista era stato capace di rendere affascinante anche questa scena.
Il torrente giallo procedeva nello spazio. Ti chiederai come poteva essere raffigurato, ma temo
di poterti dare solo una misera idea. Ripeto: non si trattava di un fermo immagine, tutte le figure
erano in continuo movimento. Questo fiume, nel suo percorso, si trasmutava prima in spruzzi, poi in
nebbia e infine in luce. Ma si trattava dell’essenza della luce, del suo principio. Includeva sia il
giorno, sia ciò che tu chiami notte. Come sai il buio della notte terrestre è soffuso dai raggi del sole,
ma a voi non paiono luminosi poiché li osservate da dietro, mentre sfrecciano nello spazio. State
guardando nella stessa direzione in cui essi viaggiano. Solo quando, sul vostro asse di visione,
volgete lo sguardo in direzione opposta a quella verso cui viaggiano i raggi solari, quando cioè vi
trovate sull’emisfero terrestre esposto al sole, allora potete affermare che questi raggi sono portatori
di luce.
In quel quadro erano ritratti i raggi luminosi in tutti i loro aspetti. Il risultato fu che vedemmo
l’universo come di fatto lo vediamo dal nostro lato spirituale della vita. Non c’era tenebra, ma solo
luce nei suoi differenti aspetti e angolazioni. E attraverso queste profonde intensità di luce e
radianza potevo vedere le stelle e i pianeti muoversi nelle loro orbite celesti con la magnificenza
della loro imperitura grazia. Fu molto istruttivo da osservare, come tutti gli altri temi del dipinto; e
feci una breve pausa per poterne assimilare il significato.

IL PERFETTO SERVIZIO DELL’UOMO

Ti ho descritto questa esperienza, alquanto dettagliata, avendo in mente un obiettivo, figlio mio.
Mi è consentito rivelarti lo scopo a cui sono destinati tali quadri. Essi sono usati come modelli di
studio per gli alunni. Mostrano l’azione interiore sulla terra di quelle correnti di forza generate qui
dai nostri chimici, biologi e da altri operatori specializzati. Se gli uomini fossero adeguatamente
sintonizzati con noi, le diverse attività della terra funzionerebbero come in questa rappresentazione,
proprio come i cieli annunciano la gloria di Dio, che era il motivo del fiume giallo, o dorato.
L’umanità sta imboccando quella via, ma è lontana dall’ideale. Verrà il tempo in cui quel quadro
avvamperà e brillerà in tutta la sua vivace gioia, quando la luce celeste risponderà all’esultanza
della terra nel perfetto servizio dell’uomo nel Regno del suo Dio.

LA FONTANA NEL GIARDINO DELLE DELIZIE

Mercoledì 14 gennaio, 1920.


Dopo la sosta che avevo fatto per immergermi in questo dipinto, mi ritrovai nel pergolato da
solo. Proseguii finchè non raggiunsi un arco sulla mia destra, e oltre una fila di scalini che
conducevano a giardini più in basso. Sentivo le risate e le voci dei miei compagni. Perciò scesi e mi
feci strada lungo i viottoli nella loro direzione. Su ogni lato vi erano siepi, aiuole e alberi in fiore.
Infine raggiunsi un vialetto pergolato che, a destra, si affacciava su un giardino di delizie. Era uno
spazio piacevole, largo circa 45 metri; un cerchio irregolare ben circoscritto dalla vegetazione come
lo erano i sentieri. Al centro si trovava una fontana con la sua vasca, il cui bordo era a livello del
prato che tappezzava quest’area delimitata.
Accanto alla fontana c’erano, sparsi in gruppi, i miei compagni e parecchie giovani donne, in
numero doppio rispetto a noi. Wulfhere stava parlando con una donna ai margini del giardino,
anch’ella una leader, come immediatamente compresi osservando i suoi abiti e l’aspetto generale.
Mi girai verso le acque zampillanti e cercai d’indovinare la causa di tanto divertimento. C’era
qualcosa che mi rendeva perplesso. Sentii lo scoppio di risate e, come avevo notato quando
camminavo lungo i giardini, anche ora, assieme alle voci degli uomini e delle donne, erano
mescolate quelle dei bambini. Di questo non avevo alcun dubbio. Ma dov’erano i bambini? Ciò mi
disorientava, poiché non vedevo bambini in quel giardino di delizie. La loro voce proveniva dalla

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fontana, e mi diressi là. Mentre mi avvicinavo i presenti si voltarono a guardarmi, e il loro
divertimento aumentò quando videro l’espressione di sconcerto dipinta sul mio volto.

DOVE SONO I BAMBINI?

“Arnel, fratello mio”, disse uno dei miei amici, “c’è un notevole baccano qui. Queste giovani
dame sono colpevoli di una grave mancanza nei loro doveri. Vuoi forse aiutarle a rimediare?”.
“Joseph” – gli risposi (era uno dei nostri fratelli più giovani) – “mi offri di buon cuore un
compito così piacevole, quando, scommetto, che tu stesso saresti impaziente di cimentarti. Questo
non ti dà molto merito in fatto di abnegazione. D’altronde, Joseph, figlio mio, queste giovani dame
mi sembrano affrontare i loro problemi con grande coraggio. Qual è il vostro errore, mie graziose
giovani peccatrici, a cui persino Joseph non può rimediare, e di cui anche voi mostrate tali insoliti
segni di pentimento?”.
Allora una delle damigelle corse verso di me, mise la mano sul mio braccio, e volgendomi il suo
delicato viso, disse con aria maliziosa simulando un facile pianto: “Ti prego signore, è una
condizione molto triste quella in cui siamo cadute. Abbiamo perso i bambini.”
“Quali bambini?”. Replicai con finta severità.
“I bambini di cui eravamo responsabili, signore”, rispose lei. “Stavano giocando nei paraggi
dopo la lezione. Sono bambini buoni e obbedienti. Così, quando dicemmo loro che non dovevano
oltrepassare questo giardino sapevamo che non avrebbero trasgredito. Tuttavia una volta arrivate
qui, non li abbiamo più trovati”.
“Però, mentre mi avvicinavo ho udito distintamente le loro voci”, dissi io. “È vero, signore”,
rispose, “le abbiamo udite anche noi. Ma dove sono i bambini?”.
Ora da quando avevamo iniziato la conversazione nessuna risata di bimbo si era sovrapposta
alle nostre voci. Tuttavia, sapevo che essi erano vicini e stavano ascoltando tutto quello che
dicevamo. Notai subito che, di tanto in tanto, un brusio sottovoce proveniva dalla direzione della
Fontana, e talvolta si udiva una risata sommessa, irrefrenabile, ma subito soffocata.
Così dissi: “Col tuo permesso, buona dama, è una questione che m’intriga molto, e desidero
mettermi alla prova. Dammi ancora un momento per riflettere e farò del mio meglio, perché dovrò
vergognarmi della mia maggiore età se non sono capace di risolvere questo mistero, come credo sia
il vostro caso”.

IL MISTERO È RISOLTO

Così, mentre lei tornava dalle sue compagne, mi avvicinai all’orlo della vasca per tentare la
fortuna. Devi sapere che la fontana era stata progettata in conformità all’istituzione di cui faceva
parte quest’area circoscritta. Uno dei dipartimenti si occupava dell’insegnamento dei bambini più
avanzati. Tu la chiameresti una Scuola Superiore mista. Il disegno della Fontana, perciò, esprimeva
una fase dei loro studi. Era costruita per rappresentare una collina in miniatura ricoperta di un
sottobosco e piccole foreste d’alberi, in cui erano rifugiati famiglie di animali e uccelli.
Mentre mi avvicinavo fui spinto ad esaminare queste sculture molto da vicino. Erano ben
composte, ma l’esecuzione mancava di rifiniture. In verità potevo riconoscere la maggior parte
degli animali che lo scultore aveva cercato di rappresentare; ma erano scolpiti in modo rudimentale,
alcuni addirittura grotteschi, e la somiglianza all’originale era piuttosto pietosa.
Tuttavia fui cauto nel formulare una conclusione. Sapevo che opere così imperfette nella
Settima Sfera sono come minimo assai inusuali. Ci doveva essere una qualche ragione di ciò.
Mentre ero immerso nei miei pensieri, uscì dalla bocca di un alligatore, situato proprio di fronte
a me, dall’altra estremità dello specchio d’acqua, un fortissimo e terribile ruggito. Ma nessun rettile
mai creato emetteva un verso del genere. Era un’imitazione molto mediocre del ruggito di una tigre.
“Sissignore, ce ne sono cinque in quello, mi dicono, e dal chiasso che fanno posso crederci”,
disse Joseph al mio fianco.
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Prima che avesse finito di parlare avevo risolto l’enigma. I bambini erano dentro quei mostri di
pietra. Mi voltai verso il mio compagno con un sorriso. “Joseph, mio giovane amico, tu mi
nascondi qualcosa, ma lo fai male. Chi ti ha detto questo presumo siano le donzelle che tanto
tristemente lamentano la perdita dei bambini a loro affidati. Così ci sono cinque giovani tigri dentro
quel povero alligatore. È così? Bene, ora quale numero pensi contenga quello struzzo?”.
“Andrò a chiederlo per voi, signore”, rispose lui con mansuetudine troppo perfetta per essere
vera, poi si voltò e con contegno serio si diresse verso un gruppetto di giovinette un po’ in disparte.
Bene, potevo essere soddisfatto della mia intuizione, ma l’enigma non era ancora
completamente risolto. Confesso che fui battuto in quell’incontro; mi mancava l’informazione per
avere la soluzione. Questa fu fornita quando il gruppetto tornò da me con Joseph e, avendo pietà
della mia difficoltà, m’illustrarono la vicenda fin dall’inizio.
Sembra che questi bambini (circa 150 fra maschi e femmine) avessero un età che andava dai
dieci ai sedici anni, calcolando gli anni come in terra. A questa età, se i bambini sono qui
dall’infanzia, o sono arrivati più tardi e posseggono abilità eccezionali, essi sono già progrediti
quanto basta per iniziare il corso più difficile degli studi creativi. In altre parole, dopo aver studiato
nelle scuole inferiori i principi creativi relativi alla vita vegetale di prati, alberi, fiori e frutta, essi
proseguono applicando il loro sapere al mondo animale.
Questa compagnia di alunni aveva studiato i mammiferi e aveva appena ricevuto una lezione
pratica sui metodi creativi, prima di essere mandata a giocare nel Giardino delle Delizie.

UN ESPERIMENTO ARDITO

Qui essi avevano ideato un grande e audace progetto che senza indugi avevano eseguito. Si
trattava nientemeno che della smaterializzazione dell’intera fontana e la sua ricreazione con loro
stessi all’interno degli animali.
La prima parte venne eseguita magnificamente, essendo ben capaci e allenati. Ma quando venne
il momento della ricostruzione scoprirono che avevano trascurato una difficoltà. Dovevano sì
riprodurre gli animali, ma rimanendo all’interno degli stessi. E questo li aveva confusi. Tuttavia
perseverarono, e a quanto pare furono molto orgogliosi del loro risultato. Poiché i rumori che
continuavano a fare uscire dalla bocca di quelle povere bestie, per quanto si potesse ridire sulla
verosimiglianza, non mancavano certo di vigore né di una nota di soddisfazione che tutto era stato
eseguito al meglio, e neanche di orgoglio per il loro successo. Capisci, figlio mio, che essendo
dentro non avevano idea che ciascun animale non era una perfetta opera d’arte come avrebbero
voluto che fosse.
Questo comunque aggiunse grande gioia al divertimento di noi adulti, e l’esperimento fu usato
in seguito nei loro studi per perfezionare le loro conoscenze e abilità.

Giovedì 15 gennaio, 1920.


Un altro inconveniente fece crescere la nostra allegria. Quando i bambini furono all’apice del
divertimento, avendo esplorato l’intera gamma dei versi dei mammiferi, e di altri esseri del regno
animale, fecero una pausa. Avevano fatto un tale baccano che credo non si fosse mai udito prima in
quel luogo di quiete. Dopo averci intrattenuto come si conviene con i loro duetti e quartetti, e
occasionalmente con assoli, secondo la loro peculiare idea di quale voce doveva avere un
particolare animale, essi, di concerto, ci tributarono un lungo e sonante peana per concludere
l’esecuzione.
Terminata questa esibizione con loro rammarico, ma non nostro, ne seguì il prossimo atto. Si
trattava di smaterializzare l’intero serraglio, uscire dalla fontana, e poi sostituire il gruppo di statue
sull’isola con uno sforzo di ri-materializzazione. La prima parte la eseguirono abbastanza
facilmente. Gli animali cominciarono a disfarsi e svanire.

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UNA SITUAZIONE IMPREVISTA

Il primo a dissolversi fu l’alligatore. Ve n’erano cinque dentro impegnati nella sua distruzione, i
più grandi, quindi i più avanzati in quella scienza. Svanì molto rapidamente obbedendo alla loro
volontà. Noi stavamo accanto al bordo della Fontana attendendo l’emergere di questi giovani
scienziati. Ebbene, come ho detto, l’alligatore fu il primo a sparire. Ma quando essi apparvero in
piedi, liberi – due maschi e tre femmine – rimanemmo per un momento a fissarli con la bocca
aperta dallo stupore. Allora rendendoci conto del motivo della loro imbarazzante condizione
cominciammo a ridere. Erano tutti nudi senza nessuno straccio o pezza a coprire le loro belle forme.
Dapprima ci osservarono con qualche esitazione, chiedendosi cos’era che non andava. Ma
quando si guardarono l’un l’altro capirono l’origine della nostra sorpresa. Tuttavia, benché fossero
imbarazzati per la loro nudità, presero coraggio dalle nostre risa sapendo che l’accaduto poteva
essere prontamente rimediato. Allora si unirono alle nostre risate: erano loro adesso ad essere
subentrati a noi adulti nel ruolo di vittime, e noi eravamo contenti e soddisfatti.
Da quanto precede potrei ricavare per te molte lezioni, figlio mio, considerando l’intero
episodio come una parabola. Mi limito, tuttavia, a illustrartene solo due che ti aiuteranno a
conoscere meglio la vita e la scienza di questi cieli, dove un giorno verrai.

QUI NON ESISTE PECCATO

Lascia che ti rappresenti la scena. Qui, al centro di un Giardino di Delizie, si trova una Fontana.
Accanto al suo bordo sono raccolti un discreto numero di giovani uomini e donne con qualche
anziano fra loro. Sull’isolotto della fontana stanno cinque ragazzini di circa 16-17 anni. E sono
nudi.
Probabilmente la prima parola che tale situazione farebbe venire in mente al lettore comune
della terra, sarebbe “vergogna”. Di questo desidero parlarti molto chiaramente, e lo sottolineo.
Nessuno di quella compagnia attorno alla fontana è arrossito o ha provato vergogna. Non c’è
peccato nella Settima Sfera. Dove non esiste peccato, la vergogna non c’è e non ha alcun
fondamento. Nella Settima Sfera non ci sono fanatici del pudore. No; quando quei cinque giovani
videro che il risultato del loro audace esperimento era stato l’acquisizione di una nuova scienza,
furono dapprima attoniti e un po’ turbati, poi enormemente deliziati. E vedendo che erano i primi a
liberarsi dalla loro prigione, sorrisero e fecero segni l’un l’altro di restare in silenzio. Così
osservarono gli altri emergere nella luce del giorno mentre, uno ad uno gli animali si dissolvevano
nel nulla. E man mano che le comitive apparivano, ogni bambino si ritrovava nella medesima
condizione disadorna, e i primi attendevano con smania di vedere il volto sbiancato di sgomento che
doveva tradire le menti dei loro compagni in questa disavventura, per poi trasmettere la nostra
bonaria ironia ai loro amici. Nessuno era contrariato e deluso. Mentre un gruppo dopo l’altro usciva,
lo attendeva, prima una pausa, poi lo scoppio di amene risate, ogni volta più sonore, poiché i ranghi
degli emancipati si rinforzavano di volta in volta con l’arrivo dei ritardatari.
Alla fine tutti erano liberi, circa 50 e più bambini. I ragazzi più grandi presero per mano i
piccoli, e assieme camminarono nell’acqua fino a noi.
Ora però alcuni si sentirono leggermente a disagio per la perdita dei loro vestiti. Potresti
chiederti perché, dal momento che ho eliminato dall’elenco una delle ragioni che sarebbero state
prese in considerazione sulla terra. Te lo spiegherò.

IL SIGNIFICATO DEI VESTITI

Sai già che per noi l’abito non è come lo considerate voi. Esso fa parte della nostra personalità.
È, in senso molto preciso, la nostra personalità, manifesta e visibile. Ma è anche più di questo. In
quel Giardino di Delizie, con il gioco quale loro unica occupazione, questi bambini sarebbero stati
equipaggiati quasi del tutto anche da nudi, come in effetti erano. Ma se dovessero intraprendere un
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lavoro più impegnativo, o se i loro doveri dovessero portarli lontano, questa mancanza di abiti
diventerebbe un vero e proprio ostacolo. Non riesco a spiegartelo in modo adeguato, è una di quelle
cose che fa la differenza fra la nostra e la vostra condizione, ed è inesplicabile. Riflettici, comunque,
meglio che puoi.
Ognuno di voi, incarnati in un corpo fisico, possiede un’aura. Se quell’aura ti venisse portata
via, sentiresti all’istante la sua perdita. La tua coscienza resterebbe intorpidita e la tua attività
mentale ne sarebbe molto impedita. Sentiresti anche uno strano distacco dalle altre persone, come se
tu e loro non foste nella stessa sfera di attività.
Te ne parlerò in termini più materiali. Immagina che dal tuo corpo venga rimossa l’epidermide.
La perdita di quella copertura esteriore non sarebbe piacevole da guardare, ma se il tuo ambiente
fosse sufficientemente caldo, e per molti versi congeniale, non subiresti alcun danno. Poiché la
funzione del sottocute sarebbe sufficiente. Ma se tu dovessi eseguire un lavoro gravoso in un clima
mutevole, sentiresti un pesante disagio.
In qualche modo, perciò, la condizione di nudità di questi bambini avrebbe lo stesso effetto su di
loro. Per questa ragione la nostra prima premura fu di radunarli davanti a noi e, unendo la nostra
volontà alla loro, vestirli come prima che si avventurassero in quella grandiosa impresa.
L’altro argomento di cui voglio parlarti, riguarda il motivo di questa involontaria denudazione.
Sarò breve. Il compito che si erano prefissi rasentava il limite massimo delle loro capacità. Esso
aveva richiesto un impegno tanto strenuo e sostenuto che esaurirono tutte le loro usuali risorse; e
con l’intensa concentrazione per sostenere lo sforzo, avevano infuso nell’esperimento anche i loro
abiti spirituali. Poiché, come ti ho detto, questi abiti sono un’estensione dei nostri corpi e sono
conformi ad essi nella composizione.
La fase successiva fu la ri-materializzazione – o, come diresti tu, la ricostruzione – del gruppo di
statue sull’isolotto. Non intendo illustrarlo. Fu realizzato con l’aiuto di noi adulti. Non lo rifacemmo
completamente, con le linee e le curve perfette di un tempo. Chiamammo lo scultore originario ed
egli sopperì alle nostre mancanze.

CAPITOLO 6
CREAZIONE ED EVOLUZIONE

Martedì 20 gennaio, 1920.


In quel Giardino c’è un pergolato molto ampio e tranquillo. Fu qui che Wulfhere chiamò le sue
damigelle, che andarono a sedersi su panche coperte d’erba disposte su tre lati del quadrato, mentre
il quarto era aperto e si affacciava sul Giardino.
Lei si sedette nell’ultima panca adiacente all’apertura, a destra, se si osservava dall’esterno. I
bambini si misero comodi sul tappeto verde davanti all’entrata, presso la recinzione di siepe.
A loro, ella rivolse queste parole: “Un divertimento davvero regale è stato il vostro, piccoli miei.
Avete invaso il Regno di un altro, rovesciando e demolendo la sua opera, poi l’avete ricostruita con
grande diletto. Ma un pericolo benevolo vi ha accompagnato, tenuto al guinzaglio dal vostro
desiderio, vale a dire che nessun disastro poteva avvicinarsi a voi d’improvviso, mentre traevate
conoscenza dalla vostra esperienza. Ora vi darò altre spiegazioni e, quando la questione vi sarà
chiara, ascolterò il vostro giudizio in merito.
“Tanto tempo fa, giunse dalle nostre parti una compagnia di dame partite da una regione lontana
di questo regno. Erano state incaricate di cercare un luogo in cui stabilire una nuova colonia di
studenti come voi. Durante il viaggio, una di loro disse: ‘Credo, sorelle, che la spiaggia sia il posto
più adatto, perché ciò che questi giovani devono imparare sono i principi della Scienza Creativa. E
proprio dall’acqua iniziarono a uscire le creature viventi che, evolvendo, popolarono la terra con il
genere umano’.

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“Perciò si diressero verso il litorale. Ma dopo avere esaminato attentamente l’ambiente, non
trovarono alcun luogo davvero adatto. Non potevano erigere la scuola sul letto dell’oceano, visto
che i loro piccoli allievi non erano animali delle profondità marine, dove quelle origini potevano
essere studiate facilmente e alla perfezione.
“Perciò un’altra di loro dichiarò: ‘Io suggerisco di attraversare le terre boscose dove si trovano
ruscelli e laghetti. Lì la vita dell’acqua può essere trovata e studiata. E anche gli alberi hanno una
loro vita, e assieme agli uccelli e al resto della fauna silvestre saranno fonte d’istruzione come gli
animali acquatici.’
“Così si spostarono nella foresta, ma scoprirono che per costruire la scuola e le abitazioni
avrebbero dovuto abbattere gli alberi e far deviare i corsi d’acqua per creare una radura. La colonia
era destinata a ingrandirsi e avrebbe causato una tale devastazione della foresta, che l’intera vita
silvestre ne sarebbe stata scombussolata, e le sue peculiari caratteristiche alterate.
“Così si sedettero fra gli alberi per discuterne assieme; nel frattempo arrivò un uccellino: si posò
su un ramo sopra di loro e cominciò a cinguettare. Cantava e cantava, e pian piano il significato di
quel cinguettio cominciò a prendere forma nelle loro menti; quindi si fecero silenziose e ascoltarono
il suo canto. Tradotto in parole umane sarebbe così:

IL CANTO DELL’UCCELLO

“Il nostro canto non è per i saggi della terra,


Che di saggezza ne hanno abbastanza,
E, se non ce l’hanno, non possono sapere che
La saggezza è nulla, a meno che,
A meno che, non sia mescolata
A una buona dose di tacita contentezza.
Non ai grandi detentori del potere terreno
Noi offriamo la nostra musica
Poiché il valore che loro apprezzano
Deriva da talenti troppo diversi;
Noi non possiamo cantare la ricchezza o l’arme
Che sono le loro uniche attrattive.
Ma quando sotto il nostro frondoso nido
L’esausto lavoratore riposa le sue membra
Noi corteggiamo il suo cuore, di città o di campagna,
E colmiamo la sua anima di una dolce quiete;
Colmiamo la sua anima di una calma benevola.
Gli infondiamo la benedizione, ‘Pace’.
Colui che cerca d’imporsi
Con la forza delle armi o del potere mondano
Sarà ripagato con la solitudine e una vita agra,
Poiché nessuno forse vorrà essere suo compagno;
Così, volendo stringere tutto, tutto gli sfuggirà,
Giacché la sua ambizione è troppo grande.
Prendetemi a modello, tutti voi.
Posso solo gorgheggiare una singola e breve melodia;
Un singolo tema, ogni giorno lo stesso.
Tuttavia ciò di cui sono capace lo faccio.
Così facendo chi potrà mai dire
che non ho compiuto il mio dovere quotidiano?
Ed ora, brava gente, tutti voi,
Fate solo ciò che potete compiere bene,
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Astenetevi dai compiti impossibili;
E ora vi dico adieu --
Vado a salutare qualche altro sciocco,
a corteggiare, a trillare.”

Mercoledì 21 gennaio, 1920.


“Ebbene, fanciulli miei, quelle dame appresero la lezione del canto e diedero forma al loro
progetto. Come pensate che agirono per metterlo in pratica? Come fu costruita questa colonia?”.
Non intendo riferirti le loro risposte, figlio mio. Ti indicherò la soluzione così com’è stata
implementata in questa comunità, anche se probabilmente lo hai già capito.
Direi che esse stabilirono prima un tipo di scuola semplice e aggiunsero man mano quanto
occorreva.
È così, figliolo, come dici tu, abbastanza semplice. Ma se sapessi quanti molteplici dipartimenti
d’insegnamento seguirono da lì in avanti, rimarresti sorpreso come dal semplice possa svilupparsi
una tale complessità.
Potrebbe essere uno sviluppo secondo linee di evoluzione, come le comprendiamo sulla terra?
Voglio dire che dalla singola cellula si arriva, ad esempio, al corpo di un essere umano.
Abbastanza corretto. Non è una cattiva descrizione, se lo consideriamo in senso generale, ma
non è valido nel particolare. Vedi, figlio mio, la vostra teoria dell’evoluzione è vera nei suoi
contorni principali, ma la superficie di quel soggetto è tuttora appena sfiorata. Non mi dilungherò su
questo tema per non deviare troppo dall’argomento centrale.

EVOLUZIONE

Faccio solo notare una cosa: se il corpo umano, essendo un aggregato di cellule tutte simili fra
loro, derivasse solamente da un’iniziale forma unicellulare, crescerebbe come un agglomerato che si
espande grazie alla replicazione cellulare. Ma se ciascuna cellula primaria è simile a ogni altra, da
cosa dipende allora la varietà di strutture in organismi complessi e diversificati come, per esempio,
quello di un rovo, di un rospo o di un cavallo?
Esiste un altro fattore da prendere in considerazione, un fattore esterno. Questo è esterno non in
senso spaziale, ma in quanto fattore condizionante. È la personalità inerente del Supremo Uno,
manifestata attraverso la meno perfetta personalità dei Suoi Signori Creativi. Questo principio di
personalità si diversifica continuamente passando per i Signori Creativi minori fino a discendere
negli ordini angelici, ogni schiera manifestando una quantità sempre inferiore in ogni individuo,
finchè in ultimo raggiunge l’atomo di vita unicellulare. Qui la personalità sembra estinta. Ma non è
così: se paragonata alla sua più alta manifestazione direttamente subordinata a Dio – quella dei
Maggiori Signori Creativi – la personalità dinamica è più esteriore e l’entità, la cellula, di natura più
passiva che propositiva. In altri termini qui il cerchio è completato solo a metà. Dopo essere passato
per tutti quegli stadi, il processo, nel suo moto di esteriorizzazione, si conclude nella cellula. Ora la
cellula deve essere considerata dall’altro arco del cerchio, e ricondotta su un percorso di ritorno
lungo la seconda metà della circonferenza, non solo attraverso un’inversione della direzione ma
anche da un’inversione di processo.
Questo non lo capisco, Arnel. L’ho scritto bene?
Mi pare bene, per quanto io possa esprimerlo nel linguaggio terreno. Ascolta con attenzione il
seguito.
Sì, sto ascoltando.

LA FANCIULLA E LA BOLLA DI SAPONE

Due ragazzi riposavano nelle alpi della Svizzera. Parlavano della creazione e del processo
tramite cui continua a operare. “Evoluzione” fu naturalmente la parola che usarono. Erano grandi e
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avevano l’età giusta per ragionare su queste materie. Le menti in fase di maturazione sono sovente
brillanti e originali, e queste lo erano. Si domandavano se l’invisibile processo di creazione ed
evoluzione poteva avere un parallelo nella realtà concreta; se una strategia d’azione intrapresa da
loro stessi, poteva esemplificare questo principio fondamentale. Postularono che, poiché Dio era
Unitario, tutto ciò che usciva da Lui doveva, alla fin fine, ritornare a Lui. Così decisero di
sperimentarlo giorno dopo giorno.
Il primo giorno cominciarono il loro sentiero partendo dai piedi di una montagna, raggiunsero la
vetta e discesero fino alla sua base sull’altro lato. “È ovvio”, dissero, “che questo non è un percorso
idoneo per stabilire il progresso delle ere. Ci troviamo allo stesso livello da cui siamo partiti e con
un’intera montagna fra noi e il nostro obiettivo.”
Il giorno seguente salirono in vetta, poi discesero e cominciarono a scalare il monte che avevano
di fronte dopo aver attraversato la valle. Dissero che qui erano più propensi a studiare l’argomento,
per una duplice ragione: erano in alta quota, ma anche a un’altezza superiore rispetto a quella
iniziale, dato che questa vetta era la maggiore delle due. Inoltre avevano una visuale migliore
dell’intero percorso da una cima all’altra. E non erano tornati al punto di osservazione iniziale – fra
loro c’era un mare d’aria.
Quando uscirono, la mattina seguente, la figlia piccola del locandiere giocava facendo le bolle
di sapone. Si misero ad osservare lo sviluppo di una grande e splendida bolla e, mentre si
espandeva, scorsero le venature colorate muoversi tutte in moto circolare attorno al globo.
Uno dei ragazzi esclamò: “Ecco la soluzione del nostro problema”.
E l’altro, rivolgendosi alla bambina, le chiese: “Piccola, cosa c’è dentro quella tua bellissima
bolla?”
La bambina replicò: “Quando soffio le mie bolle, signore, penso sempre che ognuna sia un
paradiso.”
“Ma se questa bolla è un paradiso, allora dov’è Dio?”
“È dentro”, disse la piccola.
“Ma credi che quella bolla sia grande abbastanza per contenere Dio?”
“No”, rispose la bimba. “Ecco perché cresce cresce sempre di più. Guarda!”
Allora fece un grande respiro e la bolla si dilatò ancora, e scoppiò. “Ora”, continuò il ragazzo,
“la tua splendida bolla, con tutti i suoi continenti, oceani e alberi, è finita nel nulla. Quando hai
soffiato questa volta è scoppiata”.
“Sì, ma non Dio”, replicò la bambina.

ESTERIORE ED ESSENZIALE

Giovedì 22 gennaio, 1920.


Qual è il significato della tua parabola, Arnel? Come si collega alla fondazione di quel
Collegio?
No, figlio mio, mi piacerebbe che fossi tu a fornire l’interpretazione. Per questo motivo ti
racconto le mie parabole.
Beh, a me pare che abbiamo divagato un po’, non è vero? Non pensi sia stata una strada
secondaria al tema dell’evoluzione?
Tutte le volte che ti vengono trasmessi messaggi dalle sfere sovramundane, noi siamo sempre
sottoposti a una limitazione: non possiamo plasmare il tuo pensiero per te. Noi facciamo i mattoni, e
tu costruisci la casa. Con questo metodo ottieni molti più vantaggi. Tuttavia, vedo che il significato
di quanto ho scritto ti è oscuro, e può essere lo stesso per altri. Perciò ti darò la chiave di volta, e
lascerò a te erigere l’arco in cui fissarla.
Quando parlo di Scuola Superiore intendo, in primo luogo, l’istituzione stessa e non gli edifici
in cui essa dovrebbe trovare alloggio. L’errore di quelle dame è lo stesso errore presente nella tua
mente: esse intendevano pianificare un grande progetto architettonico, e si proponevano di scegliere

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il luogo più adatto su cui erigere il loro Collegio. Questo errore fu il ritornello del canto con cui
l’uccellino le redarguì. Esse confusero l’esteriore con l’essenziale.
La materia qui è molto più plasmabile sotto l’azione della volontà, come avrebbero dovuto
rammentare, cosa che non fecero. Il loro metodo doveva essere molto più semplice. E alla fine,
dopo un lungo ragionare, ci arrivarono. Una volta compreso come fare, lo misero subito in atto.
Questo metodo fu di raccogliere gli alunni, sistemarli in una regione prescelta, e cominciare
l’istruzione. Gli edifici erano solo un accessorio. Sarebbero stati eretti, man mano che se ne
avvertiva la necessità, sfruttando le stesse conoscenze che gli studenti acquisivano progredendo.
Vita e forza di volontà sono così vigorose qui che non è bene, né utile, erigere prima l’edificio e
poi modellare e adattare gli scolari secondo le sue dimensioni e il suo disegno. Come io e altri ti
abbiamo detto: alberi, edifici e tutte le cose che voi chiamate “materiali”, sono responsive e molto
sensibili alle personalità di coloro che si trovano nei loro paraggi. Oltretutto, questa risposta
sensibile è reciproca fra le cose e le persone. I Signori Creativi che progettarono e fecero evolvere la
chiocciola non adattarono l’animale alla sua casa, al contrario essa fu il coronamento finale. Nella
chiocciola o nell’essere umano opera la stessa Vita Divina, solo diversamente qualificata per grado
di potere e forma d’espressione. Con questo, figlio mio, richiamo alla tua mente la bolla di sapone,
e perché scoppiò, e Quello che non svanì quando la bolla conobbe la sua fine.
Penso che questo dovrebbe bastare come chiave di volta.
Ora costruisci la tua arcata e posiziona la chiave correttamente – in cima, nel punto di mezzo –
esattamente al vertice, o il tuo arco non sarà esatto né stabile.
Adesso intendo portarti lontano, e dare inizio al nostro lavoro.

ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE

Intendi parlare della missione che eri prossimo intraprendere?


Certo, quello è il nostro obiettivo, non credi?
Suppongo lo sia; ma sembra che siamo in luoghi piuttosto ameni in quel Giardino di Delizie, e
ciò mi dà grande diletto. Mi ricorda molto “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Hai nient’altro da
dirmi su questi luoghi, Arnel?
(Pausa di un minuto).
Devo cancellarlo? Voglio dire “Alice nel Paese delle Meraviglie”. È questo che ti sta
impensierendo, Arnel? Mi dispiacerebbe se fosse così.
No, no, figlio mio. Conosco il libro; ho fatto una pausa per ricordare la storia. Ora l’ho presente.
È un libro molto bello, educativo e creativo, poichè si basa sull’immaginazione e ne stimola l’uso.
Saresti sorpreso se ti dicessi che, eccetto qualche piccolo dettaglio, fu messo in pratica qualche
tempo fa nella nostra vita reale. No, io non l’ho visto. Mi è stato riferito da qualcuno che ne fu
testimone. Fu un esperimento basato sulla stessa serie di leggi di cui ti parlai a proposito della
costruzione della Scuola Superiore: le leggi che operano fra la persona e il suo ambiente.
Per farla breve il caso fu questo. Erano stati fatti esperimenti su diversi elementi che andavano a
formare l’ambiente – vegetazione, minerali, vita animale e poi l’atmosfera. Il gruppo che allora
sperimentava cercava condizioni ambientali più dirette e intime, e qualcuno suggerì di usare il loro
stesso corpo, dentro cui l’individuo – lo spirito – funzionava.
Fu audace! Qui amiamo le imprese audaci. Quindi si procedette all’attenta elaborazione del
progetto. Furono selezionati i protagonisti che riuscirono, dopo qualche fallimento, a produrre quasi
l’intera gamma di prodigi presenti in quel libro. Fu un metodo suggestivo e diede una dimostrazione
pratica a un ampia classe di giovani allievi circa l’effetto che il potere della volontà esercita
sull’ambiente esterno. Molti dei bambini conoscevano la storia e furono estasiati quando la videro,
non in un libro, ma nella vita reale, con i personaggi che presero forma davanti ai loro occhi.
Quando tutto fu finito, gli attori ri-visualizzarono se stessi nelle proprie personalità e
gradualmente le ripresero.
Riuscirono nel compito di allungare il collo, e Alice s’ingrandì e si restrinse?
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Certo, quelle parti furono abbastanza facili. Furono gli animali a creare maggiori difficoltà.
Adesso ci fermiamo qui, credo che qualcuno dei tuoi lettori brontolerà dicendo: “Basta così”.
Alla prossima, figlio mio.

CAPITOLO 7
COME VENGONO ADDESTRATI I BAMBINI

Martedì 27 gennaio, 1920.


Mi hai detto che desideri indugiare in quella deliziosa regione di cui ho scritto la volta scorsa.
Ebbene, questa volta seguirò le tue indicazioni, come spesso tu in passato hai seguito con
benevolenza le mie. Lo faccio anche perché, man mano che m’intrometto nella tua esistenza, scopro
che a molti suonano strani gli elementi più semplici della nostra vita sovramundana, e a questi una
narrativa poco impegnativa come quella appena terminata risulta appagante e non senza profitto
nell’apprendimento.
In quello stesso complesso di edifici di cui la Sala delle Colonne è il principale, ce ne sono altri
meno suntuosi dove gli studenti ricevono istruzione. In uno di questi, destinato soprattutto agli
allievi più giovani, i ragazzi dell’episodio della fontana furono convocati dopo il loro meraviglioso
esperimento nel regno della scienza creativa.
La descrizione di questa lezione servirà a mostrarti come tali trattazioni sono ricondotte a
finalità più serie, e come qui combiniamo la lieta gioia della vita con l’istruzione.
L’Aula era rettangolare e la Docente prese posto a mezza via fra i due archi centrali del
porticato che dava sui giardini sottostanti. Era come una sezione del Pergolato, ma delimitata da un
muro alle due estremità. Il porticato era aperto verso i giardini esterni, una terrazza correva a destra
e a sinistra dietro le arcate, e scalini accompagnavano l’intera lunghezza della terrazza fino ai
giardini in basso.
L’insegnante si sedette, e gli alunni si accomodarono in gruppi sparsi di fronte a lei. Alle sue
spalle e sulle due pareti laterali meno lunghe vi erano quadri come quelli che ti ho descritto nel
Pergolato. Altri insegnanti e studenti anziani sedevano o stavano in piedi attorno alla sala e davano
volentieri il loro aiuto, in silenzio, ogni volta che scorgevano l’opportunità di prestare un servizio
aggiuntivo a quello della Docente stessa.
Ella esordì con queste parole: “Miei cari giovani esploratori, adesso che siete tornati dal regno
del mistero in cui foste abbastanza audaci da entrare senza nessuna guida che vi mostrasse la pista
sicura da seguire, intendo trasmettervi la lezione nel giusto ordine, così che in futuro sarete armati
in ogni battaglia, in cui vi cimenterete, con quelle stesse leggi immutabili che governano il regno di
Dio.”
Poi spiegò loro in dettaglio i punti che ti ho già descritto in breve. Non li elencherò uno per uno
per non essere prolisso. Ma arriverò alla fine, alla parte sperimentale che servì a facilitare la
digestione delle diverse pietanze che formavano il pasto.

UN NODO IMPOSSIBILE DA SCIOGLIERE

Un grosso volatile se ne stava appollaiato in alto su una delle arcate, mentre altri piccoli uccelli,
di tanto in tanto, entravano dai giardini e volavano qua e là nell’Aula della lezione. Alcuni di questi
scendevano sul pavimento, saltellavano in mezzo ai bambini, si sedevano sulle panche, sulle loro
spalle e in grembo. L’uccello in alto era il più grosso di tutti.
Indicando lui, l’insegnate disse: “Ora, per mettere alla prova ciò che vi ho spiegato, e
trasformare i principi teorici in azioni pratiche, vi assegno un compito. Io credo che quel grande
uccello si ritenga superiore ai suoi piccoli cugini. Da quando è cominciata la lezione se ne sta lassù,
con portamento solenne e altezzoso, mentre questi uccellini sono diventati vostri amici. Adesso vi
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lascio, tornerò fra poco quando spero di vederlo meno sdegnoso e più socievole. Voi dovete
portarlo giù, bambini miei, fra i suoi compagni che cinguettano divertendosi con voi, che potreste
essere i loro nonni o cugini. Tuttavia, ascoltatemi bene bambini, perché questo gioco ha le sue
regole. Dovete farlo scendere senza gridare o chiamarlo, senza un qualunque gesto di richiamo, ma
solo con la concentrazione creativa della vostra volontà.”
E con una felice risata per il loro stupore di fronte a questo nodo impossibile da sciogliere, ella
se ne andò baciando l’uno o l’altro che incontrava, superando il Porticato fino ai giardini e oltre. La
maggior parte degli studenti anziani andò con lei. Io rimasi dietro per vedere il divertente risultato, e
così fecero anche una decina di noi.

UN REQUISITO DIFFICILE

Ora esiste più di un metodo per realizzare questo compito. Non è mia intenzione parlartene
adesso, ma solo dirti come questi giovani studenti si cimentarono nella loro impresa. Devi tenere a
mente che i loro studi erano, in quel momento, principalmente incentrati nell’apprendimento della
facoltà creativa, ed erano ancora ai primi stadi in questo campo scientifico. Per un ragazzo più
avanzato, il problema non avrebbe presentato grosse difficoltà. Ma questi turbolenti giovani
scienziati erano temporaneamente bloccati, a causa del requisito posto dalla Docente alla soluzione
del problema. Si trattava esattamente dell’uso creativo della volontà. Quello era l’espediente e
quello solo; sarebbe stato facile per loro indurre l’uccello a scendere e richiedere la sua obbedienza.
Ma in tal caso non avrebbero operato di concerto con la qualità della creazione. Capisci, figlio mio?
Desideri che sia chiaro e esauriente su questo punto, non è vero? Così sia.
Per un po’ essi rimasero in silenzio, impotenti e scoraggiati. Oh! Come fu piacevole vederli,
quei cari dolci fanciulli nella libertà del loro reciproco conforto e completo amore. E quando
ruppero il silenzio, il disordine irregolare delle loro voci divenne la melodia di un Te Deum,
spontaneo e naturale, a Colui che, credo, riceva non poca delizia da una spensierata libertà come la
loro.
Io stesso mi sento libero di confessare, che mentre riesaminavo il problema da ogni lato, e
valutavo lo stadio a cui erano giunti nei loro studi, ebbi molti dubbi sulla riuscita. Pensavo, con vile
piacere, che la mia vendetta era a portata di mano per la sconfitta subita quando non riuscii a
risolvere l’enigma della loro impresa alla Fontana.
Invece no, mi fu negata anche questa rivincita. Essi riuscirono a trovare la strada. Non con il
metodo che avrebbero usato i più progrediti. Ma fu un buon metodo. Rispettava le condizioni poste
e raggiunse l’obiettivo stabilito.
Di questo, figlio mio, ti parlerò domani.

CREARE COL POTERE DELLA VOLONTÀ

Mercoledì 28 gennaio, 1920.


Fu una ragazza a trovare il modo che poi venne adottato dopo una discussione molto animata. I
giovani misero in cerchio i divani che erano disposti nella sala in modo irregolare. Poi sistemarono i
bambini più piccoli al centro, e s’immersero nel compito con autentica buona lena.
La prima fase del procedimento fu di raccogliere tutti gli uccelli piccoli all’interno del loro
circolo. Questo fu facile. Essi vennero, uno dopo l’altro, fino a raggiungere circa sessanta unità. Gli
uccellini cominciarono a raggrupparsi al centro in risposta alla volontà concentrata degli allievi.
Quando furono riuniti, ci fu un gran cinguettio e svolazzare di piume. Ma, pian piano, cominciarono
a farsi quieti e silenziosi, finchè caddero tutti in un sonno incantato.
Assistevo alla scena con grande curiosità, quando notai il sopraggiungere di un cambiamento.
Le loro piume variopinte modificarono lentamente natura, divennero grigio scialbo, non spiacevole,
né del tutto puro, una tinta neutra. Capii subito cosa stavano facendo i bambini. Avevano rimosso

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da ciascun uccellino la sua aura, anche se non completamente, lasciandone forse l’ottava parte che,
comunque, non era visibile dall’esterno, essendo distribuita nel corpo all’interno dell’uccellino.
Poi i bambini situati a destra, io li osservavo dal basso del Porticato, lentamente e con calma,
lasciarono i loro posti e si diressero a sinistra in fondo alla sala, prendendo posto dietro gli altri
seduti sui divani. Intanto una luminosa nuvola si era raccolta davanti, fra loro e i piccoli volatili. Era
l’aura complessiva di tutti gli uccelli, combinata e fusa in una sola. Essa lentamente si condensò
fino a posarsi sul pavimento, in forma di grande uovo. Il quale fu allora delicatamente sollevato su
un’estremità. Il suo peso era cresciuto a causa della sua condensazione.
Poi ne venne modificato l’aspetto, finchè al suo posto prese forma una replica dell’uccello
grande seduto sull’arcata, il quale era molto attento alle strane manovre che avvenivano sotto. Alla
fine l’uccello appena nato mosse lentamente la testa, e alcuni dei piccoli allievi cominciarono ad
applaudire di gioia. Ma vennero subito azzittiti dai loro compagni più grandi per non distrarre la
volontà e rovinare il lavoro, ora quasi completato.
Il nuovo uccello rimase fermo e silenzioso, ma presto accennò a un lieve battito d’ali; aprì gli
occhi e poi percorse qualche passo verso i bambini. Essi continuarono ad applicare la loro volontà
sul volatile con unità d’intento, e alla fine ottennero un uccello vivo, una compagna per sua maestà
in alto.
La creatura alata corse verso un bambino, poi verso un altro, ricevendo carezze ovunque
andasse. Dopo qualche tempo che questo processo andava avanti, l’uccello femmina andò a qualche
metro di distanza da loro e intonò il suo canto d’amore, allora il maschio in alto scese e si avvicinò
alla sua compagna sul pavimento.

IL PROCESSO INVERSO

I giovani creatori emisero un grido di gioia e cominciarono a discutere con autentico zelo della
loro vittoria. Coccolarono i due uccelli con tale fervore che alla fine entrambi i volatili, infastiditi,
trottarono veloci dall’altra parte, dove si trovava il gruppo silente dei loro piccoli cugini e si
appollaiarono sullo schienale di una poltrona.
Ti dirò che il processo di sviluppo era in ogni fase sempre più strenuo per quei giovani
operatori. La parte più difficile fu creare la gola dell’uccello che doveva emettere le note corrette
del suo richiamo. Se quello fosse stato difettoso, il suo compagno non sarebbe andato da lei, e il
loro lavoro sarebbe stato inutile.
Ma essi lo fecero molto bene, e glielo dicemmo subito. Inviammo anche un messaggio alla loro
Docente, che venne e fece grandi elogi perché nessun errore era stato fatto, fra i molti in agguato in
cui potevano incappare ad ogni passo.
Ora rimaneva da eseguire il processo inverso, per cui l’uccello fu di nuovo trasformato in
un’aura-nuvola composita, e restituita ai suoi originari possessori.
Questo fu effettuato, non per mezzo della loro volontà concentrata sull’uccello creato, ma sui
piccoli volatili che se ne stavano là incoscienti e inanimati. Ciò spiega perchè la loro aura non venne
rimossa completamente. E questo era un motivo. L’altro era che non sarebbe stato un bene per gli
uccellini privarli del tutto delle loro aure. Fu quindi sulla parte rimasta che i bambini operarono e,
tramite essa, estrassero, dalla nube composta, l’aura di ciascun volatile. Fu più facile in questo
modo che se avessero cercato di operare direttamente sulla nube e separare le aure mescolate.
Ecco quale fu il problema che venne loro sottoposto, ed ecco spiegato il metodo col quale
pervennero alla soluzione.

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CAPITOLO 8
I GIOCHI DEI BAMBINI

Giovedì 29 gennaio, 1920.


Figlio mio, ho intenzione di raccontarti della vita che questi giovani conducono qui, nella Terra
d’Estate di nostro Signore. Sarà utile a coloro che leggeranno questo Scritto, sia per trarne
conoscenza che per conforto. Di questi due in verità ce n’è una scorta piuttosto piccola in mezzo a
voi. E perciò so molto bene che quanto ho da dirti sarà ricevuto da ciascuno, dal tuo lato del Velo,
solo in base al suo grado di essenza spirituale; e questa, nell’equipaggiamento personale di tante
brave persone, non è molto abbondante. Ma i tempi corrono; non è lontana l’epoca in cui le persone
guarderanno indietro e stupiranno per i due aspetti che distinguono l’attuale generazione.

I DUE ASPETTI DI QUESTA GENERAZIONE

Uno degli aspetti è il tremendo afflusso di forza motrice dietro l’attuale fase d’evoluzione
mondiale. L’altro è la gravosa natura di coloro che non furono capaci di accettare il progresso o di
apprezzarlo secondo il suo vero valore. Questo tuttavia non dovrebbe apparire così strano poiché,
anche se il Velo si assottiglia, esso è ancora tenacemente appeso laddove il materialismo lo fissò fin
dai tempi antichi; e la luce della Shekinah del Santuario può filtrare ancora solo debolmente – per
ora.
Perciò, come mi hanno detto, non è solo per l’attuale generazione che io divulgo questi
messaggi, ma per coloro che verranno dopo, coloro che cominciano a salire ai piedi della Montagna
di Dio, alla cui vetta stanno Quelli che incoraggiano noi, che siamo in mezzo e che dovremmo dar
voce alle loro ispirazioni, proprio noi che, rispetto a Loro, siamo più vicini a voi, in modo che la
Loro luce non accechi, la Loro voce non scuota la terra e il terrore non colpisca il cuore degli
uomini a causa della spaventosa bellezza e potente santità dei Grandi che gridano.
Così io ti parlo per quanto sono capace, facendo del mio meglio, e lascio ai tuoi figli di capire
forse più a fondo ciò che può sembrare strano a te, che appartieni al tempo presente. Aggiungo che
persino le persone che leggendo queste mie parole, le rigettano giudicandole fatue e vane, tuttavia,
dico che esse serviranno come punto di partenza per andare avanti quando verranno dalla nostra
parte. Anche se prima dovranno riconoscere che le assurdità non erano nelle nostre parole, ma nelle
loro, poiché quello a cui non credettero allora, quel giorno scopriranno essere vero.

VOLO AEREO ED EQUILIBRIO DELLA SFERA

Adesso voglio descriverti alcuni giochi con cui si dilettano questi giovani spiriti. Uno è quello
di raccogliersi in differenti parti del Giardino delle Delizie. Un ragazzo si piazza in cima alla
Fontana sulla sporgenza dove la struttura finisce in un albero. Egli chiama un compagno,
indicandogli una certa posizione sulla Fontana. Gli ordina di chiudere gli occhi e di sollevarsi,
mediante ciò che chiameresti processo di levitazione, e fluttuare fino alla sua postazione. Tutti
vengono chiamati, uno dopo l’altro, finchè non sono raggruppati nella giusta posizione. Allora
l’altro scende sull’erba, e li richiama indietro, ed essi devono venire giù nello stesso modo, ad occhi
chiusi, nell’esatto punto in cui stavano all’inizio del gioco. Se segui questo gioco con la tua
immaginazione, e i possibili errori che si possono commettere, vedrai quanto sia divertente giocarci
per questi esuberanti giovinetti.
Un altro gioco è quello di mettere uno di loro al centro, tra due file di giocatori distanti circa 8-
10 metri. Questi tiene in mano un bastoncino su cui una grande palla opalescente deve restare in
equilibrio. Le due file opposte attirano la palla verso di loro con la volontà. Il giocatore in mezzo
deve muovere la bacchetta a destra e a sinistra per cercare di tenere in equilibrio la sfera. Un trucco
è quello che una fila fa un segnale all’altra con gli occhi, e poi una tira e l’altra spinge con rapidità.
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Se il possessore del bastoncino è preso alla sprovvista, la palla perde l’equilibrio e cade sull’erba.
Così egli perde la sua posizione, ed esce dal gioco. Questo va avanti finchè rimangono in tre, poi in
due, che sono proclamati vincitori.

MANOVRE NELL’ARIA

Un altro gioco. Si forma un quadrato e al centro si posiziona un giocatore. Di preferenza si


sceglie uno dei bambini più piccoli, perché sono più spontanei nella loro allegria, mentre i
grandicelli, capendo meglio il processo, sono più studiosi, notano ogni effetto, e sanno giudicare la
forza richiesta per ogni particolare movimento, la direzione del punto focale e così via. I piccoli
accettano semplicemente il divertimento e strillano di gioia.
Quando i giocatori sono in posizione, cominciano le operazioni. Ti descriverò come lo vidi
l’ultima volta. Al centro c’era una piccola fanciulla. I ragazzi grandi misero in moto le loro volontà,
e la bambina cominciò a sollevarsi lentamente dal suolo. A circa 8 metri da terra, assunse poco a
poco una posizione orizzontale. Questo movimento continuò finchè non fu in verticale rovesciata,
coi piedi in alto, e allora completò il giro e tornò in posizione normale. Si divertì tantissimo e,
quando cominciò il movimento circolare, rise e gridò all’impazzata mentre gli operatori più giovani
applaudivano con risate di gioia.
In seguito la stabilizzarono mentre era ancora sospesa. Piegarono le sue ginocchia, finchè
pareva assisa su un trono invisibile ma ancora in alto a mezz’aria, ed ella si chinò da un lato e
dall’altro verso di loro, come una regina bambina coi suoi vassalli. Da quella posizione, obbedendo
alle volontà dei compagni sotto, vidi che volava oltre i confini del Giardino, fino a sedersi sulla
cima di un grande albero. In vetta a quel punto frondoso, con le braccia stese ai lati, rideva di
felicità.
Come vedi anche questo gioco offre molte possibilità. Tutti i giochi hanno un imprescindibile
movente educativo. I piccoli sono aiutati nel loro sviluppo mediante il sodalizio coi più grandi nella
manipolazione delle forze naturali che essi imprimono nel loro servizio in questi modi. I più grandi
maturano le loro facoltà con tali esercizi, e completano così i loro studi più importanti. Sono veri e
propri giochi, e vengono fatti innanzitutto per il piacere di divertirsi. L’aspetto scientifico entra in
scena solo più tardi.

IL LAVORO UNITO AL PIACERE

Martedì 3 febbraio, 1920.


Giochi come quelli che ti ho descritto sono fra i più semplici, anche se non mancano affatto di
valore educativo. Ed è proprio così che si usa fare da noi. Tutto il nostro lavoro, tranne quello che ci
conduce nelle sfere oscure del tormento, è mescolato con la gioia della vita e il piacere dell’azione
ed, essenzialmente, non è diverso da questi giochi dei bambini.
Tuttavia, alcuni giochi possiedono in misura maggiore l’elemento del passatempo, altri
l’elemento scientifico, e alcuni li fondono con quello della devozione. Intendo parlarti ora di
quest’ultima specie, che non so come chiamare. Ho assegnato il nome agli altri giochi, tu potresti
denominare questo, se vuoi. Ma non ha importanza, è sufficiente che tu ricevi le idee che io t’invio.

UN ESERCIZIO PER I PIÙ GRANDI

Questo passatempo è per quelli più grandi, che sono progrediti abbastanza nella scienza di cui
stiamo parlando, la scienza della creazione. Come sai, figliolo, la creazione, per prima cosa, non è
di natura oggettiva in quanto manifesta nella materia. Infatti, molta attività creativa non si
concretizza mai sul piano materiale, pur rimanendo vera creatività. E tutta la creazione, come
facilmente capirai, sia che si trovi o meno realizzata nella materia, è alle sue origini sempre ideale;

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ossia di contenuto esclusivamente spirituale, e solo quando progredisce verso l’esterno si esprime in
forma concreta.
I ragazzi più grandi, perciò, sono soliti radunarsi di tanto in tanto in qualche luogo prestabilito.
Qui conversano e scambiano i loro bei pensieri con amore. Così facendo raggiungono una migliore
unità di proposito e maggiore focalizzazione delle loro energie. Una volta raggiunto questo
obiettivo, si mettono al lavoro con serenità.
Voglio parlarti di una di queste occasioni quand’era presente, come talvolta avviene, un
Direttore di una sfera superiore.
Lo scenario era costituito da una valle ove le colline, rivestite di alberi e punteggiate da
tabernacoli lungo vie secondarie, formavano un’amena recinzione, e precludevano la vista delle
lontananze a coloro che giungevano fin là. A monte, un corso d’acqua emergeva fra due alte rocce
screziate, e precipitava a valle accompagnato da musica e spruzzi frizzanti, meravigliosi come
gioielli.
Quando la compagnia, formata da circa trenta giovani, entrò in sintonia, essi si adagiarono
comodamente sotto gli alberi fioriti all’interno della circonferenza formata dagli alberi attorno alla
valle. Allora il Direttore rivolse loro un discorso in modo molto pacato, dato che nessun turbamento
deve insorgere durante lo svolgimento di esercizi come questi. Egli disse: “Lasciate che la pace vi
circondi e penetri in voi, figli miei, così e così. Pace e quiete, quiete e amore. Ora lasciate salire i
vostri pensieri – tranquillamente, serenamente, bambini miei, perché quei reami in cui ora entrate
sono reami di pace, e nessuna inquietudine vi ha luogo. In questo modo”.

COSA VIDE IL GIOVANE RAOUL

Fece una pausa e aggiunse, per qualche minuto, la potenza della sua silenziosa aspirazione alla
loro. Poi li guardò uno a uno, non frettolosamente ma osservandoli bene fino a formarsi un giudizio
su ciascuno. Il suo sguardo si fissò su un ragazzo che non era seduto come la maggior parte dei suoi
compagni, ma era genuflesso, le cosce sui talloni e le mani distese sulle cosce sopra i ginocchi. I
suoi occhi erano rapiti in alto, non vedevano la valle; il loro punto focale era invece rivolto a grandi
distanze, per così dire.
Il Direttore, parlando sottovoce e lentamente per non rompere l’incanto, disse al ragazzo,
chiamandolo per nome: “Raoul, figlio mio, dicci, cosa vedono i tuoi occhi: in quale regione si trova
la scena che stai contemplando?”
Il ragazzo rispose, lento e quieto: “In piedi sulla sommità piatta di una roccia color porpora,
isolata, e alta come cinquanta uomini, vedo una figura. È un uomo. Il suo vestito è azzurro al centro,
poi sfuma nel verde e nell’ambra in prossimità delle ginocchia. La cintura intrecciata è scarlatta e
bianca. Sulle spalle porta un rubino a sinistra e uno zaffiro a destra. Il suo diadema non è fissato
sulla testa, ma si libra sopra a breve distanza. I gioielli sul diadema uniscono le loro scintille
rendendo quella corona coerente, un unico pezzo circolare, e si alternano con tinte dorate e verdi,
più brillanti sul lato destro. Da questi segni, e soprattutto dall’ultimo segno della corona, capisco
che egli è di rango elevato. Chi sia, e quale sia il suo proposito, non so. Penso che il luogo da dove
egli sta osservando, dalla cima della roccia in assorta concentrazione, sia vicino all’inizio della
seconda sfera dopo la nostra, o sul confine fra quella e la prossima sfera davanti a noi”.*
“È quello che vedo anch’io”, disse il Direttore, “salvo che con lui vedo un bambino che porta in
spalla. Anche loro guardano in questa direzione, ma oltre noi nelle sfere fra questa e la terra. Sono
Israele e il Cristo Bambino, Raoul. Quando li hai visti nella pianura nel periodo di Natale, essi si
erano adattati a questa Settima Sfera ed erano meno sublimi nella loro apparenza. Ora tu li vedi in
quella gloria che sono capaci di rivestire nella Sfera Nove. Hai calcolato correttamente la distanza.
Ma non hai visto il Bambino, perchè il suo corpo e l’abito sono più sublimi di quelli di Israele.”

*
Vale a dire, o nella Nona Sfera, o sul confine tra l’Ottava Sfera e la Nona.
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“UNIREMO LE NOSTRE CONOSCENZE”

“Ho visto la Sua luce, mio signore”, rispose il ragazzo, “ma non la Sua forma, e ho pensato
fosse l’irraggiamento delle stelle nel copricapo d’Israele.” “Proprio così”, riprese il Direttore.
“Comunque sono loro, il Bambino e Israele. Gli daremo la nostra benedizione, e omaggeremo il
Bambino. Ma lasciamoli là, sono troppo grandi per il proposito che abbiamo in questo momento,
mio Raoul. Andiamo invece ad ascoltare ciò che una giovane damigella riesce a vedere in mondi
oltre a questo. Hai raggiunto un buon risultato, Raoul, stai facendo importanti progressi. La tua
visione si è espansa; sei riuscito a vedere qualcosa di troppo grande perché ci sia utile adesso, nella
nostra impresa. Che Dio sia con te, figlio mio. E ora andiamo a scegliere la ragazza che ci dirà
quello che vede. Vieni Raoul, stai al mio fianco, e aiutami nella scelta. Tu le conosci come
compagne, e io come allieve. Così uniremo le nostre conoscenze e otterremo forse un risultato più
efficace rispetto al mio solo sapere.”

Mercoledì 4 febbraio, 1920.


In mezzo alla valle c’era un piccolo specchio d’acqua dove un rivolo del fiume rimaneva a
meditare per poi proseguire il suo corso purificato verso l’oceano. Qui si trovava un pergolato al cui
interno era posto un sedile di pietra, dove una fanciulla di circa 13 anni – secondo il computo
terrestre e non il nostro – aveva il suo giaciglio.
Era distesa sulla panca, le mani incrociate sul grembo, e così, senza il minimo turbamento,
assorbiva la bellezza del paesaggio che osservava oltre i limiti del suo regno.
Raoul indicò lei, e mormorò. “Signore, quella ragazza si dimostra più rilassata delle sue
compagne. Dovremmo domandarle quali meravigliosi scenari contempla per esserne tanto rapita!”
“Vai da lei, Raoul”, disse il Direttore, “richiama la sua attenzione. Può darsi che conceda a noi
per primi qualcosa della sua candida sapienza. E tu sei più sintonizzato con lei per l’età, di quanto lo
sia io.”

LA VISIONE INTERIORE COMBINATA

Il ragazzo sorrise al cortese invito e, con passo delicato, si avvicinò alla ragazza. Pose la sua
mano sulla fronte di lei senza parlare con la voce, ma solo col pensiero. Mentre il suo messaggio di
richiesta raggiungeva il suo stato di dormiveglia, ella si svegliò, prese la mano del ragazzo, la posò
sul suo seno e disse: “Raoul sei il benvenuto e sei giunto al momento giusto. Ti tengo in questo
modo, Raoul, così tu e io saremo in sintonia e vedremo come una sola persona. Sappi Raoul che io
ho molto chiara la mia visione, ma non ho la capacità di comprenderla. Aiutami a farlo, caro, perché
la tua saggezza è più sviluppata della mia, anche se abbiamo la stessa età.”
Così i due ragazzi dissero al Direttore cosa vedevano, lei continuando a stare reclinata, e lui
inginocchiato al suo fianco, con la mano destra stretta nelle mani di lei appoggiate sul suo seno.
Arnel, parli come se fossi stato là e li avessi visti tu stesso. È così?
Ma certo, figlio mio. Quella volta ero io il Direttore. La loro versione fu come te la descrivo ora
– il racconto della scena che essi contemplarono assieme:
Una grande strada fiancheggiava una foresta, e dall’altro lato della strada c’era un fiume. In un
punto, scendendo lungo il fiume, si vedeva un’ampia fila di scalini, e nel bosco sul lato opposto una
grande casa. Delle persone sbarcavano dai battelli che approdavano sotto i gradini, scendendo uno
alla volta senza interruzione. Poi risalivano fino alla strada, l’attraversavano e, varcati i cancelli,
s’immettevano su una carreggiata circondata ai lati dalla foresta. In prossimità della casa, la strada
era priva di alberi, mentre la casa si estendeva a destra e a sinistra affacciandosi alla foresta
attraverso la radura.
Le persone proseguivano, alcuni entravano nella casa, altri nei giardini o nel bosco. Altri ancora
rimanevano a conversare in gruppi.

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Ora, tutto questo era abbastanza semplice e privo di difficoltà. Ma c’era un’altra cosa, e fu
questa che la fanciulla non riusciva a interpretare.

COSA RENDEVA PERPLESSA LA FANCIULLA

Davanti ai cancelli si trovavano due uomini. Erano dotati di grande forza e bellezza. Essi
guardavano dall’altra parte del fiume e, di tanto in tanto, l’uno o l’altro alzava le mani come una
sorta di segnale. Quando lo facevano, accadeva che un raggio di luce attraversava l’acqua e
rimaneva per un momento sulla casa, sulla strada o sul bosco. Il suo arrivo e la sua partenza erano
immediati e risoluti, come se quelli che lo spedivano avessero perfetta conoscenza di quale fosse il
loro obiettivo, dov’era localizzato e del perché lo facevano. Questo rendeva perplessa la ragazza.
Io vidi tutto quanto, e compresi. Annota figlio mio, che ora parlo in prima persona. La tua
domanda e la mia risposta mi hanno fatto rientrare nei miei panni e dismettere quelli da Direttore.
Perciò il direttore come persona scompare.
Aspettavo di vedere cosa avrebbe compreso Raoul; egli possedeva una saggezza superiore alla
sua età, come disse la ragazza. Ma continuava ad osservare senza dire una parola.
Perciò mi avvicinai alla giovane coppia e, come fece lui, posi una mano sul capo della fanciulla
e l’altra sulla testa del ragazzo. Allora capii cosa lo bloccava: era avanzato fino alla porta del
mistero, ma non riusciva ad aprirla ed entrare. A quel punto svelai la soluzione del problema.
La scena si svolgeva non in un mondo superiore al nostro, ma due sfere sotto di noi. In altre
parole, il fiume era il confine fra la Quarta e la Quinta Sfera. Ora, coloro che vivono là sono brave
persone, ma non del tutto libere dalle influenze che ogni tanto salgono dalla Terza Sfera, dove
sovente si levano turbamenti, a loro volta provenienti dalle regioni prossime alla Terra.
Niente di grave può nuocere alla Quarta Sfera in questo modo. Gli influssi molesti, capaci di
salire, non recano danno, ma sono fonte di ostacoli e ritardi. Hanno cioè la capacità di limitare la
libertà di coloro che, essendo sulla via del progresso, conservano ancora una certa affinità con la
Terra. Questa attrazione può nascere sia dal fatto che i loro cari si trovano in carne e ossa, sia
perché nel mondo sono in atto certe imprese che riscuotono il loro interesse, o per altri motivi.

UNO SGUARDO IN ALTRE SFERE

Perciò, quando quelle persone passavano nella Quinta Sfera, avevano bisogno della
sorveglianza dei guardiani situati nei diversi punti in cui approdavano per la prima volta. Presso i
cancelli c’erano due guardiani. Vedendo alcuni segni di debolezza o tormento fra i nuovi arrivati,
essi immediatamente lo segnalavano e ricevevano solerte risposta circa il carattere, le potenzialità di
progresso e lo stato attuale di ogni singolo individuo del quale avevano chiesto informazioni. Inoltre
un raggio di forza veniva inviato sulla persona in questione. Questi raggi erano visibili solo ai
guardiani, restando invisibili a coloro cui erano diretti. Erano visibili anche ai due ragazzi, essendo
di una sfera più avanzata. Essi però non capivano le operazioni di cui erano testimoni perchè
pensavano che il regno osservato fosse di livello superiore al loro. Mentre, in realtà, era inferiore.
Come fecero a prendere una tale cantonata, Arnel? Non era facile per loro sapere se stavano
guardavano avanti o indietro?
Certamente, figlio mio. Mi poni la domanda in modo così crudo, mentre a me piace lo humor,
come ben sai. Continui ad essere serio, quando dovresti sorridere con me.
Ma basta prediche. Ti chiedo solo di visualizzare il nostro ambiente non in modo materiale. Io
sono costretto a raccontarti la mia storia col linguaggio terreno. Devo dire “sopra” e “sotto”,
“avanti” e “indietro”. Ma questi sono termini inadeguati per descrivere le nostre condizioni più
sottili, come sai.
L’incertezza di questi fanciulli non era nelle direzioni “avanti” e “indietro”. Quando essi
guardarono in altri regni, puntarono lo sguardo nell’infinito o verso l’infinito attraverso quei regni.
Annotalo bene, figliolo; l’operazione che descrivo non si svolgeva in un ambiente esterno a loro.
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Non gli fu chiesto di rivolgersi a questa o quella Sfera. Che per noi, come per te, vorrebbe dire
andare in questa o quella direzione – avanti o indietro, se vuoi. Essi erano impegnati in un processo
diverso. Un processo che è l’inverso dell’altro. Invece di muoversi in un ambiente esterno, essi
fecero la cosa contraria. Concentrarono la loro attività mentale volitiva dall’esterno all’interno di
loro, e per sintonia trovarono il loro specifico ambiente. La loro azione era, registralo bene, diretta
all’interno di loro stessi. Quando è così, i confini dei reami e delle sfere non sono distinti in modo
chiaro, come capita normalmente. Fu questo rovesciamento del processo a renderli perplessi. Essi
credevano di essere penetrati nella Sfera Otto o Nove, ma vi trovarono condizioni che erano
estranee a quei mondi. Ecco perché persero l’orientamento.

UN ALTRO ESPERIMENTO DI CREAZIONE

Martedì 10 febbraio, 1920.


Il tutto fu molto istruttivo, e fu registrato in modo che questi bambini potessero ricevere dai loro
successivi Docenti qualche conoscenza a scopo educativo. Questo è il metodo seguito quando i
giovani studenti sono invitati a svolgere esercizi di visualizzazione; essi vengono riprodotti in
qualche modo nelle loro aule, e l’insegnamento verte su tale argomento. Tuttavia non avevo ancora
trovato ciò che doveva servire al mio proposito. Così camminai intorno, posando la mano sulla testa
di ciascuno, finchè trovai ciò che cercavo. Attorno a tre ragazzi fluttuava una foschia poco
luminosa, la cui tinta era diversa da quella degli altri, pur restando affine.
Le loro aureole, presumo?
Non precisamente. Non si trattava di un elemento permanente delle loro aureole, ma di un
accrescimento che avevano attirato dall’ambiente in cui era penetrata la loro visione. Lo strumento
che usarono a questo fine era l’aureola. La foschia era di sostanza simile, ma non identica. Era solo
un fenomeno transitorio, e quando i ragazzi fossero tornati alla normalità, questa avrebbe gravitato
spontaneamente fino alla sfera da cui era stata attirata.
Chiamai vicino a me i tre ragazzi, mentre il resto della compagnia era tornato desto e attento, e
dissi: “Ragazzi miei, in questi tre ho trovato ciò che ci servirà per il nostro esercizio di scienza
creativa. Essi hanno visualizzato di concerto la stessa scena. Ora la riprodurranno e, così facendo,
unirete la vostra volontà all’unisono con la loro. Non abbiate fretta, figli miei, fate le cose nel modo
più perfetto possibile.”
Invitai i tre giovani a prendere posizione nel cerchio, ciascuno formando l’estremità di un
triangolo. Poi iniziammo a lavorare; l’intera cerchia era concentrata sul punto nel quale mi trovavo
io, al centro della radura. Ti descrivo ciò che accadde nel giusto ordine:
Attorno a me volteggiava una nube che poco a poco si condensò fino ad assumere le proprietà
malleabili della sostanza. Lentamente la sommità divenne più densa e opaca poi, dall’alto, la massa
nebulosa precipitò dividendosi in otto flussi che raggiunsero il tappeto d’erba. Il processo
continuava, e ciascun flusso prese spessore fino a formare otto solidi pilastri eretti a supporto di una
cupola.
Sotto i miei piedi sentii la terra salire e mi ritrovai sollevato di circa 50 cm dal pavimento di
questo piccolo padiglione. Rimasi fermo, guardai in alto e vidi che la cupola era rivestita d’oro
all’interno, e distanziava circa un metro e mezzo dalla mia testa.

ARNEL COME UN CAVALIERE GRECO

Ora, quando cominciai a lavorare, non era certo mia intenzione essere trasformato in una statua
su un piedistallo. Ma quando i tre formarono il triangolo, sentii subito un messaggio correre attorno
al circolo e poi fermarsi al centro su di me. Diceva: “Resta immobile, caro Arnel, proprio lì dove
sei. Dobbiamo usare te per creare. Per favore, asseconda il nostro desiderio.” E poi questi giovani
burloni aggiunsero, con umorismo: “Non ti faremo del male, dolce Arnel, se tu rimani immobile e
impavido. Ti tratteremo teneramente, col nostro amore, caro Arnel.”
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Ecco cosa fecero, figlio mio. Indussero un uomo vecchio a insegnare loro la scienza creativa e
poi gli riversarono cure materne appena ne ebbero la possibilità. Talvolta mi domando se non sia
troppo indulgente per guidarli con disciplina. Malgrado ciò, figlio mio, penso sempre che l’amore
sia così forte che l’eccesso d’amore non sia un peccato. E credo che il nostro e il loro Padre non li
ami un briciolo di meno a causa delle loro marachelle. Ad ogni modo, così è stato. Concludo le
chiacchiere e continuo la mia storia. Sono così dolci, questi fanciulli, e splendidi sia dentro che
fuori. Ma di nuovo non è la storia. Proseguiamo:
Il processo andava veloce; una grande compagnia era in azione, e presto l’intero progetto fu
completato. Ora c’era un padiglione di pietra traslucida. Gli otto pilastri erano scanalati, e i solchi
ravvivati in oro. All’interno c’ero io, trasfigurato in un uomo cinto da un’armatura argentata,
completa d’elmo e di gambiere. Una cintura avvolgeva i miei fianchi sulla tunica, con una spada
pronta per essere impugnata con la mano destra. Un vero e proprio cavaliere greco; ecco ciò che
fecero di me, queste giovani canaglie, piantandomi oltretutto su un piedistallo.
Bene, bene, che Dio li benedica, dopotutto fu una felice idea. Per farti capire, questa era una
riproduzione di ciò che i tre ragazzi avevano visto e portato con loro dall’Ottava Sfera. Là, in una
radura del bosco, è eretta la statua del Cavaliere d’Inghilterra che però indossa una panoplia greca
da combattimento. Qui, nella Settima Sfera, essi avevano richiamato in esistenza il suo duplicato
seguendo le leggi della scienza creativa che, operando in questo modo, consentono la riproduzione
della Forma Presenza.

LA NUOVA GERUSALEMME
Mi ricorda piuttosto la Nuova Gerusalemme nella Rivelazione di San Giovanni.
Giusto. Come noterai, la Forma Presenza può essere proiettata dall’operatore in qualche posto
lontano da sé. Oppure può essere attirata da una certa distanza da una o più persone che operano
all’unisono. Questo fu fatto seguendo il secondo metodo.
Quel modello della Città di Gerusalemme, perfezionato nei cieli, fu riprodotto da una
compagnia di operatori con lo stesso metodo, ovvero l’impiego della volontà creativa. Ma il
Veggente non seguì la sua discesa mentre essa scendeva nel cielo in cui lui si trovava. Lo devi
intendere così: egli vide la Città di Salem in Forma Presenza quando essa era discesa dalla Sfera
superiore fino alla sua. Si trattava ovviamente dello stesso processo che ho appena descritto in
piccolo e con dettagli meno elaborati. Essa fu, come ti dirò, materializzata e resa visibile nel mondo
in cui egli osservava, una riproduzione della Salem stanziale, la cui collocazione era nella Sfera
successiva in ordine crescente.
E circa gli Angeli che egli vide alle porte?
Anche questi erano Angeli viventi, ma in Forma Presenza, che con piena intenzione e solerte
collaborazione, riprodussero una replica della stessa città.

UNA RELIQUIA DELLA PRIMA CROCIATA

E cosa significava la statua di San Giorgio nell’Ottava Sfera?


Fu collocata là in risposta alle preghiere proferite in favore di coloro che partirono verso oriente
per la prima crociata. Si trovava all’interno dei giardini di una comunità la cui speciale missione era
dedicata ai crociati. Questa comunità diede origine all’ideale del Cavaliere come concepito dai
soldati d’Inghilterra. Non fu usato solo come ornamento. Fu sensibilizzato in un modo che non sono
in grado di spiegarti. Lo dirò con le tue parole: i pensieri e gli appelli che gli eserciti dei crociati
rivolgevano al Cavaliere erano attratti fin qui, dove venivano esaminati e trattati, come tutte le
preghiere simili a queste. E il punto focale di questa operazione era la statua del Cavaliere
d’Inghilterra.
Qual è il suo uso oggi?
Beh, figlio mio, il suo uso non fa interamente parte del passato persino oggi. Esistono ancora
alcuni vecchi crociati che si attardano nelle sfere oscure. E questi, ogni tanto, fanno ancora appello
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al loro Patrono. Tali preghiere non sono lodevoli tanto quanto quelle offerte dai loro compagni di
grado più elevato, e la loro virtù è meno potente di un sospiro in Nome di Cristo. Ma sono
comunque delle preghiere. E nessuna preghiera diretta a Dio onnipotente, al Cristo, al Suo Spirito
Operante, o ai Suoi Angeli, è mai pronunciata in vano.
E San Giorgio – il Santo Patrono d’Inghilterra – è una persona reale?
Non ho detto questo, figliolo. Non gli ho dato alcun nome. Tuttavia, se vuoi, non è sbagliato
chiamarlo così. Ma tieni presente che Giorgio non fu mai patrono d’Inghilterra. Ci sono altri che
hanno ricoperto quella carica di volta in volta.
La compagnia di cui parlo, e che eresse la Statua (la chiamo statua, ma è più di quanto quella
parola possa significare per te), ebbene quella compagnia era un gruppo dell’Ottava Sfera,
autorizzato da coloro con cui era in contatto, la cui speciale missione nei Mondi Superiori era
rivolta all’Inghilterra e alla benedizione dell’Inghilterra. Non un solo Cavaliere angelico, ma una
fulgida compagnia, figlio mio, e mi pare che abbiano eseguito quel compito con lealtà e precisione,
e con una dose non piccola di abilità e forza di proposito.
Pensi che abbia analizzato la questione in modo corretto? Bene, lasciamo stare il resto.
Attraverso Giorgio d’Inghilterra, o i cavalieri con altri nomi, l’Inghilterra è stata molto favorita
nella benedizione.
Allora amen e così sia, dice il tuo narratore, Arnel. †

CAPITOLO 9
LA PORTA DEL REGNO DI CRISTO

Mercoledì 11 febbraio, 1920.


Ora, figlio mio, comincerai a capire cosa intendevo dire quando ti parlai di come gli elementi
del gioco, dell’istruzione, e anche della devozione, interagiscono con gli esercizi che sono assegnati
ai bambini. Voglio raccontarti un altro episodio, poiché avverto nella tua mente una certa riluttanza
a lasciare questi piacevoli pascoli in cui i bambini si dilettano con grande allegria e soavità. Sarà
una storia in cui l’elemento della devozione domina sugli altri.
Vicino al Santuario, o Sala delle Colonne, c’è un edificio dentro al quale riuniamo i bambini
quando sono numerosi. È un grande spazio circolare sovrastato da una cupola, che non è aperta in
alto come il Santuario delle Colonne e l’Arcata d’Oro. Tuttavia la superficie della cupola non è
continua né integra nel suo insieme. Ci sono quattro fenditure che, salendo dalle mura circolari, si
proiettano verso l’alto e all’interno, e dividono la cupola in quattro petali appuntiti, i quali però non
si toccano l’un l’altro alla sommità centrale. Ciascuno termina con una punta acuminata che dista
circa 1,20 mt. dal vertice della cupola. Sono d’oro e piuttosto sottili, e oscillano in risposta alle
vibrazioni di devozione che man mano s’innalzano o scendono. Voglio dire, che rispondono alla
melodia della devozione e la permeano con la loro vibrante risonanza, aumentando così l’intensità
della sua dolcezza. Su queste quattro flangie dorate sono dirette le vibrazioni mentali di coloro che
sono all’esterno della Rotonda, certe provengono dalla Settima Sfera, vicine o lontane che siano, e
altre dai Regni superiori, per sostenerci nella devozione e offrirci benedizione.
Le sedie sono disposte in cerchio attorno allo spazio aperto sotto il centro della cupola, e
salgono in file ordinate fino alle pareti circolari, con piccoli corridoi qua e là, come si può trovare
negli edifici della terra. Sempre sotto la cupola, nello spazio aperto, ma abbastanza lontano dal
centro, c’è una tettoia dai colori blu, argento e cremisi, interamente tempestata di giallo e verde. È
sostenuta da cinque pilastri di una particolare lega di bronzo. Tutta la materia della tettoia e dei
pilastri è opalescente. Questa struttura è anche fortemente magnetica e mutevole nell’aspetto, sia nei
colori che nella sostanza. A volte l’ho vista diventare invisibile in alcune parti, o sparire interamente
alla vista. Poi di nuovo tornare visibile, come se le sue particelle fossero state disperse
nell’atmosfera e richiamate nuovamente al loro posto.
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LA SOSTANZA SENSIBILE DELLA SETTIMA SFERA

Figlio mio, mi fermo per rispondere a una certa difficoltà che vedo nella tua mente. Non essere
ansioso di soddisfare coloro che esaltano a dismisura la materia. Scrivi senza esitare ciò che ti
trasmetto. Certo puoi imbatterti nel sarcasmo di chi è ancora fortemente irretito nella materia. Ma ci
sono altri che comprendono molto di questi reami e non trascureranno queste informazioni; ci
ragioneranno sopra per capire se possono trarre conoscenza delle leggi che governano quello che
per noi corrisponde alla materia per voi.
La sostanza delle cose in questi mondi è più vivida rispetto a quella terrestre. È meno inerte, più
simile alla sensibilità che vedi nella vita vegetale. Tanto è capace di rispondere alle vibrazioni della
nostra volontà, che pare dotata di ciò che sulla terra sarebbe considerata vita animale e movimento
quasi cosciente. Non è esattamente così, ma un abitante della terra, vedendo certe nostre operazioni
sulla sostanza fondamentale di questa sfera, potrebbe certamente gridare: è viva! Ma non è così nei
mondi più vicini alla Terra. Adesso parlo solo della Settima Sfera.
Ora, quando i bambini furono radunati dentro, tutto era pronto. E dalle quattro entrate collocate
alle pareti, che coincidono con le quattro fessure nella cupola sovrastante, entrarono circa un
centinaio di insegnanti. Si diressero nello spazio circolare e formarono un anello dando la fronte ai
bambini.
Dopo che ebbero assunto quella posizione arrivò una donna, la loro leader, che andò sotto il
pergolato; vicino a lei c’era Wulfhere. Ti ho già descritto Wulfhere. Cosa dire di quest’altro
Angelo-Madre dei Bambini della Settima Sfera?
Ti prego di scusarmi Arnel. Verrò da te domani.

INTERRUZIONE DEL MESSAGGIO: NOTA ESPLICATIVA DI G.V.O.

Martedì 12 ottobre, 1920.


Prima di riprendere il lavoro ritengo necessario spiegare perché i messaggi cessarono
bruscamente l’11 febbraio.
Il nome dell’Angelo-Madre dei Bambini che mi fu dato era “Afrelda”. Io mi rifiutai di scriverlo,
dubitando della sua autenticità. Pensavo che il mio processo mentale stesse interferendo e si era
intromesso fra i miei comunicatori e la mia mano.
Il motivo del mio dubbio era questo: Il nome “Afrelda” è quello con cui conosciamo la madre di
mia moglie, che morì circa cinquant’anni fa.
Io non credevo che lei avrebbe potuto raggiungere una posizione così elevata come il messaggio
sembrava implicare. Perciò troncai la comunicazione con la promessa di tornare la sera dopo.
Mantenni questa promessa, ma non ci fu alcun contatto. Così decisi di sospendere del tutto le
sedute, finchè non avessi ricevuto una soluzione soddisfacente alla mia difficoltà.
Fu solamente qualche settimana più tardi che il primo tentativo di gettare luce sulla questione
ebbe successo. Ne seguirono altri, e poiché furono annotati nei diari delle nostre esperienze, è
inutile riscriverli in questa nota. Basti dire che alla fine fui pienamente convinto che il nome
“Afrelda” era stato indicato correttamente; i miei dubbi furono spazzati via, e io, seguendo diversi
suggerimenti giunti attraverso mia moglie e altri, mi convinsi di presentarmi nuovamente alle sedute
durante questo inverno, come in effetti avvenne.
G.V.O.

AFRELDA, ANGELO-MADRE

Giovedì 14 ottobre, 1920.


Se Wulfhere era l’incarnazione della forza e della regalità, l’altra donna era la personificazione
della dolcezza. Emanava nell’atmosfera un senso di grazia, profumata di umiltà e purezza.
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Il Pergolato, poco prima che lei vi entrasse, aveva un aspetto di maggiore solidità in contrasto
alla sua delicatezza, poichè qui era lei, e non Wulfhere, a imprimere il tono dominante all’ambiente.
In breve tempo, però, i suoi pilastri e la tettoia assorbirono questa influenza ambientale nella loro
sostanza e divennero più traslucidi.
Il nome di questa donna era Afrelda. Il suo volto era più ovale e luminoso rispetto a quello di
Wulfhere. Aveva i capelli castano chiaro e un abbigliamento meno severo. Di corporatura era più
esile e di statura meno alta.
Intanto le donne che formavano l’anello rimasero in silenzio, con le mani incrociate davanti e
gli occhi chiusi, tutte rapite in meditazione. Poi lentamente si sollevarono dal pavimento fino a
superare il pergolato. Quindi pian piano si divisero formando tre cerchi concentrici: il più piccolo
situato appena sopra il padiglione. Quando la loro disposizione assunse questo triplice ordine, i loro
abiti cambiarono colore. Il cerchio più alto era dorato; il mediano argento e rosa, e il più basso
azzurro.
Fatto questo, Afrelda sollevò la mano, e i bambini iniziarono a cantare la loro gioia. Intanto,
attorno ai tre cerchi, si raccolse una nuvola di luce rosa che, salendo, sfiorò le flangie dorate in alto,
le quali cominciarono a vibrare in risonanza alla melodia e lentamente si sollevarono come i petali
di un fiore aperto alle carezze del sole, finchè s’inclinarono leggermente all’interno, lasciando
aperto uno spazio sull’Arena sottostante.
Allora un’altra nube si appiattì sull’anello dorato e rimase sulle teste delle donne finchè, con la
loro concentrazione, assunse un aspetto solido dando origine a una piattaforma.

LA CITTÀ D’ORO

I bambini osservavano la piattaforma e sopra essa videro apparire lentamente una città circolare
fatta di sostanza aurea. C’erano torri, mura e cancelli, giardini e grandi strade, era una città
completa. Ora, questa Città era alquanto solida d’aspetto, tuttavia la qualità ad essa instillata le
consentì di diventare trasparente, tanto che le mura non erano di ostacolo alla visione. I bambini da
sotto potevano vedere in dettaglio tutto quello che c’era dentro. In mezzo alla Città si trovava
un’ampia piazza dove una grande fontana giocava con le sue acque variopinte. Queste acque,
debordando dalle conche, mescolavano assieme i loro colori per poi defluire lungo le strade,
cadendo infine dalla piattaforma circolare come una pioggia dorata.
Io fui testimone di tutta la scena, avendo preso posto all’entrata di uno dei corridoi dietro, dove i
bambini cantavano il loro inno di gioia. Li guardavo, e ti descriverò come lo spettacolo si palesava
dalla mia posizione di osservatore.
Il flusso dorato cadeva dalla piattaforma come nuvole vaporizzate che fluttuavano con moto
circolare sui bambini, cadendo su loro come gocce di rugiada. Il tutto era assai dinamico, e l’effetto
del suo contatto era di elevare l’aspirazione dei bambini e di sublimarli anche corporalmente.
Poi un altro fattore entrò nel processo, e aveva l’effetto di ricompattare la nebbiolina, la quale
però non riprese lo stato liquido, ma – come dire – venne condensata fino a formare due sentieri
rialzati di materia elastica e vibrante, eppure forte e coesa. Questi scendevano dalle due estremità
della grande strada che attraversava la Città da una parte all’altra, partendo dalla Fontana centrale
ed emergendo su ciascun lato dei due cancelli principali.
Perciò questi due sentieri si erano allungati dai lati opposti della piattaforma su cui poggiava la
Città, che fungeva da loro base, proprio dentro l’arena davanti ai bambini disposti in cerchio.
Ero molto interessato a vedere cosa sarebbe successo, come lo erano i piccoli. Ma osservando
alcuni dei bambini più grandi, mi accorsi che la loro espressione tradiva il fatto di essere stati già
preparati al ruolo che dovevano sostenere. Essi irradiavano felicità vedendo lo stupore e la
meraviglia palesata dai più piccoli, essendo fieri, senza dubbio, della loro maggiore età e saggezza.
Essi amano prendersi cura dei fanciulli, e ho notato che i maschi non sono meno desiderosi di
farlo rispetto alle femmine. Bene, ecco ciò che seguì. Afrelda lasciò il padiglione e raggiunse
l’estremità inferiore di uno dei sentieri inclinati; notai accanto a lei un’altra donna che non avevo
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mai visto prima. Due giovani donne si diressero verso l’altro sentiero prendendo posto ai piedi della
rampa dentro l’arena. Poi tutte e quattro cominciarono a salire, i bambini le seguirono incolonnati, e
al loro seguito varcarono le due grandi Porte della Città.

UNA NUOVA PERCEZIONE DELLA DISTANZA

Qui devo fare una pausa per dare qualche spiegazione, se ne sarò capace. Annota bene, figlio
mio, che questo episodio avvenne nella Settima Sfera, per come le abbiamo enumerate nei nostri
messaggi. Ora l’elemento primario della materia terrena è l’etere, come lo avete chiamato. Ma la
sostanza fondamentale di cui è fatta la materia della Settima Sfera è di qualità molto più sublime, e
ha proprietà plasmabili che sono estranee alla materia del vostro mondo. Così accadde che, sebbene
quella Città fosse interamente dentro la Sala, possedeva caratteristiche spaziali del tutto reali, e
comunque inusuali per quella sfera. Vi erano state infuse dal reame superiore, che aveva inoltre
dato origine alla Città stessa.
Perciò i bambini, entrando nelle strade principali e proseguendo verso la piazza dov’era situata
la fontana, conferivano alla mia visione – mentre li osservavo dal corridoio vicino alla parete
dell’edificio – una percezione di distanza sempre crescente man mano che si allontanavano da me.
Divennero più piccoli alla vista, proprio come se fossero lontani miglia e miglia in una pianura.
Vedo la parola “illusione” prendere forma nella tua mente. No, figlio mio, non è proprio ciò che
intendi come illusione ottica, la quale dipende molto dalla legge di comparazione. Non era quella,
ma piuttosto una qualità inconsueta per la Settima Sfera, discesa sugli abitanti di questo mondo, che
modificò la loro apparenza corporea, conferendogli una condizione insolita rispetto all’ordinario.
Mi dispiace figlio mio, non riesco ad essere più chiaro di così, mancando tu delle nozioni mentali
che andrebbero a soddisfare il mio proposito.

TRASMUTAZIONE SPIRITUALE

La duplice processione, perciò, s’incontrò nella piazza presso la fontana; e dopo essersi
mescolati e aver formato una sola fila, varcarono il portone di un grande edificio. Era un Tempio
molto bello, risplendente di luce dei regni superiori, e più brillante di tutte le altre cose attorno.
Sopra l’entrata attraverso cui passò la processione era scritto il motto del suo proposito, “La Porta
del Regno di Cristo”. Dopo averlo letto, compresi il significato di quanto avevo visto. Questi
bambini, riuniti assieme, avevano ricevuto il battesimo con la pioggia dorata della Sua grazia per
prepararli così alla Sua Presenza, e ora erano saliti nella stessa Sfera del Cristo per offrirgli
venerazione e ricevere la Sua benedizione.
Sicuramente le cose andarono così, perché in breve tempo l’intera Città riprese gradualmente la
sua condizione d’invisibilità e scomparve alla mia vista con tutte le donne e i bambini, e nessuno fu
più visto.
Perciò significa che il grande Tempio in cui erano andati era una specie di anticamera alla
Sfera del Cristo?
Non direi così, figlio mio. Esso era piuttosto un veicolo di trasmutazione. Non si trasferì con
loro, ascendendo nell’alto dei cieli. Ecco perché non dico che fu un mezzo di trasporto, ma di
trasmutazione. Esso svanì dalla mia vista, dopodiché anche loro sparirono. So che il loro
condizionamento alla Sfera del Cristo, cominciato nell’Arena, fu completato nel Tempio davanti
alla Fontana. Quella Fontana, come altre che conosco in diverse Sfere, aveva la sorgente nel Regno
del Cristo, ed era soffusa col potere della Sua grazia.

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CANALI ATTRAVERSANO L’ATMOSFERA

Come fecero i bambini e le loro guide a tornare nella Settima Sfera, Arnel?
Essi percorsero uno dei canali che attraversano l’atmosfera di questi mondi. Immagina un canale
o un fiume di un qualche liquido che scorre in un fluido quale ad esempio la cintura atmosferica che
avvolge la terra. Tali canali di sostanza sono resi più densi rispetto all’atmosfera dei Cieli mediante
precipitazione. Quando insorge la necessità, navigli del genere vengono creati e posizionati da certi
studenti di chimica dei Mondi superiori. I bambini furono rimandati a casa su imbarcazioni lungo
uno di questi fiumi, e sbarcarono da un lago della Settima Sfera su cui il fiume s’immetteva.
Ricorda, essi erano ragazzini, e tanti di loro poco più che bambini, e gli fu dato ciò che più li
avrebbe appagati. Li vidi arrivare sulla terraferma, e posso testimoniare quanto i loro incantevoli
visi irradiavano sorrisi. Ebbi molta difficoltà a farmi un’idea delle loro avventure, perché molti
correvano e mi gridavano tutto d’un fiato le loro vicende deliziose e straordinarie.
Ma tutti mantennero un contegno riservato, pieno d’amore e rispetto, quando parlarono della
maggiore gioia e meraviglia che videro. Avevano contemplato il Bambino nella Sua stessa Casa.

AUSTERITÀ, BELLEZZA E DOLCEZZA

Martedì 19 ottobre, 1920.


Là, in quel grande spiazzo, restò assieme a me un’altra persona. Wulfhere sedeva sulle scale del
Padiglione, in silenzio e in profonda meditazione.
Ti confesso, figliolo, che non badai molto a lei, ero troppo assorto dalla bellezza degli
avvenimenti accaduti da quando ero arrivato in quel luogo.
L’innocente dolcezza di questi cari fanciulli era concentrata nella persona del loro Angelo
Madre, e tutto ora si era dissolto nella sostanza e restava solo nella memoria. Per quelli come me, la
candida conversazione fra questi piccoli fiori del Regno di Cristo, era come l’ottava più alta di
qualche dolcissima arpa angelica, e il mio greve diapason inferiore non sembrava essere in accordo
con le loro eteree bellezze dell’armonia. La loro musica si librava al piano superiore, la mia era
grezza e, nel suo timbro più cupo, raccoglieva un certo grigiore delle sfere basse.
Eppure nessuno da solo è più bello rispetto all’altro, ma piuttosto guadagna consistenza di tono
dalla fusione. Questo almeno conforta me, che sono più avanti con gli anni. E un’altra cosa ancora;
un uomo bello dà gioia a chi osserva la sua figura, ma l’argento deve essere perfettamente lucidato,
o mai egli stesso potrà dissetarsi gioendo copiosamente della sua bellezza. E così avviene con questi
piccoli agnelli del nostro Pastore. Noi anziani possiamo godere nel contemplare la loro leggiadra
bellezza, mentre loro non sono consapevoli di quanto siano dolci e incantevoli.
Vedo la tua mente non pienamente soddisfatta delle mie parole, figlio mio. Ma un giorno capirai
che quando noi scendiamo negli abissi per conquistare le anime, non restiamo indenni. Tuttavia,
fatti coraggio nel sapere che le nostre ferite possiedono ciò nonostante un fascino particolare. Noi
adulti, che abbiamo impresse le cicatrici della grande spedizione, e quei piccoli le cui ferite sono
leggere o nulle, siamo come Lui nella Sua immane ricchezza spirituale. L’ho visto Bambino, l’ho
visto Condottiero regale dominare le forze delle tenebre negli inferi più profondi, austero e
inflessibile, implacabile nel Suo assalto, e non saprei dire in quale veste era più grandioso. Sì. Per
noi e per loro, Egli è una cosa sola.
Ti ringrazio, figlio mio, per quell’ombra di mestizia che ha annuvolato il tuo spirito mentre
soffiavo sullo specchio della tua mente il sussurro del mio breve lamento. Era un tributo del tuo
accresciuto amore per me, maturato di recente da quando parliamo assieme. Che Dio ti benedica,
caro amico, per la tua benevola simpatia.

49
VIBRANTI ALI DORATE

Ma non dobbiamo fermaci qui. Il lavoro procede, e già il soffio della tromba solleva il velo e
permette di vedere le sfere in basso. È là che dobbiamo andare, dove si svolge il lavoro di cui ti
parlerò. Questo è l’incarico che mi è stato affidato in Consiglio. E io l’ho accettato e devo
compierlo.
Basti dire che non ero il solo ad essere distratto in questa particolare occasione. Là seduta c’era
Wulfhere, l’indomita regina di rara forza, immersa nei pensieri, incurante quanto me dell’ambiente
circostante.
Presto tuttavia si destò, e mi chiamò a lei con un cenno della mano. Quando fui al suo cospetto
ella indicò in alto, dove le quattro ali dorate erano ancora sollevate, lasciando lo spazio esterno
aperto ai nostri occhi.
Poi disse: “Caro Arnel, sono bellissime quelle grandi vibranti ali dorate, quasi come se si
fossero sollevate e avessero fluttuato in loro compagnia fino a poco tempo fa, sprigionando un vivo
splendore secondo la cadenza della loro gaudiosa musica; io penso che siano magnifiche.”
Eppure sapevo che la visione della sua mente non era limitata a quelle ali, ma spaziava in un
raggio di portata più ampia. E dopo una pausa aggiunse: “Amico mio, vuoi rivolgere il tuo benevolo
sguardo lassù e dirmi se vedi quei piccoli e le loro buone dame, dove si sollazzano ora belli come
sono? Li vedi, Arnel, sai dirmi cosa fanno là in questo momento?”
Ma io non vedevo nulla. Guardai in alto attraverso l’apertura e scrutai strenuamente nello spazio
sovrastante. Nulla riuscii a scorgere, e glielo dissi.

MATERNITÀ RISVEGLIATA

“No”, replicò, ma più che a me parlava al cuore della sua memoria, “No; siamo troppo occupati
dai doveri e dalle faccende più torbide che riguardano la Terra e le altre remote province del Regno,
questo è il motivo. Tuttavia il mio antico senso materno, che mi infiammò nei secoli passati, è
ancora vivo in me. I miei splendidi bambini sono tutti cresciuti, e molti di loro hanno duramente
percorso in lungo e in largo le profondità di quelle vaste distanze fra le costellazioni che si
estendono ai confini dello spazio. Non ho più figli come questi ormai da molto tempo. E tuttavia il
mio grembo è pronto a far coricare una bella testolina dai capelli castano-dorati, e queste mani, che
hanno spezzato più di una volta forze tenaci come il ferro, le tenderei verso di lui amorevolmente
con tanta delicatezza. Ebbene, un giorno il lavoro per queste mie mani troverà compimento, e allora
forse mi sarà concesso di riposare per un lasso di tempo, e mi verrà affidato un gruppo come quello
stuolo di bambini laggiù, e allora…..”
Non concluse il suo discorso. Sfumò in un tono monotono e poi nel silenzio. Il suo volto aveva
un’espressione di sofferenza, ma nonostante soffrisse continuava a mantenere il controllo. Sì,
Wulfhere era regale qualunque ruolo sostenesse. Ma in quel momento, mentre era in silenzio, ebbi
una rapida apparizione di Wulfhere quand’era una giovane casta fanciulla, col suo dolce e smanioso
istinto di maternità nel cuore. Era una donzella davvero graziosa quella che vidi di sfuggita. E
tuttavia – quando quella visione dei tempi passati svanì dal suo volto ed ella tornò di nuovo
Wulfhere la leader, la donna d’azione – ho pensato che fosse ancora più bella.

50
SECONDA PARTE
LE TERRE DI CONFINE

CAPITOLO 1
IL POTERE DI WULFHERE DI DOMARE LA RIBELLIONE

Mercoledì 20 ottobre, 1920.


Saranno stati pressappoco diecimila coloro che si riunirono alla base della scalinata davanti al
Palazzo del Governo. Wulfhere si trovava in cima alla rampa, e attendeva che quelli trovassero un
accordo per poi esporre la loro richiesta comune. Funziona così nella Terza Sfera, dove non si è
ancora completamente estranei alle influenze della Terra, essendo solo di due gradi più avanzati; e
questo avanzamento non è dovuto tanto alla capacità di accedere a una forza maggiore, quanto
piuttosto dalla volontà di liberarsi da certi elementi di debolezza. Quindi non si tratta di un vero e
proprio progresso evolutivo, ma di un tirocinio che prepara le persone a rispondere all’appello che
un giorno le esorterà a procedere sul loro sentiero.
La Terza Sfera è divisa in molti dipartimenti, ciascuno dei quali segue una speciale linea
d’insegnamento. La maggior parte di coloro che sono ammessi in questo mondo hanno bisogno di
passare parecchi di questi reparti, e alcuni devono sostare in tutti. È una sfera ancora molto sensibile
alla Terra e ai pensieri della gente incarnata: primo, perchè è poco distante; secondo, perché molte
persone di questa sfera hanno ancora amici nella vita terrena. Tra loro c’è molta rispondenza
emotiva, anche se entrambi non sono capaci di capirne chiaramente la causa, né da dove e come
pervenga a loro.
Ora, Wulfhere fu mandata a stabilirsi in uno di questi dipartimenti, e il Palazzo del Governo era
il luogo che emanava le direttive riguardo ai doveri che devono compiere le persone di quel
particolare reparto. Essi però non erano sempre contenti di eseguire il lavoro assegnato e qui
c’erano, in quel momento, diecimila di loro a spiegarci il motivo.
La loro Signora era sulla gradinata da sola, e noi della Compagnia, ventuno in tutto, eravamo
riuniti sotto il portico le cui arcate ci sovrastavano e ci isolavano alquanto dallo sguardo diretto
della folla.

PROTESTA E RECLAMO

Infine ella si rivolse a loro in questo modo:


“Ora che vi siete abbastanza quietati, figli miei, vorrei sapere qual è il vostro problema e,
quando avrete concluso, proverò ad aiutarvi. Cercate di mantenere la calma, mentre uno di voi mi
riferisce ciò che sentite essere sbagliato”.
Allora dal gradino più basso della scalinata uscì un uomo alto, non d’aspetto sgradevole, che
rimase per un momento in disparte dai suoi compagni. Dopodiché sollevò la testa e parlò alla
donna.
“Siamo venuti da te per esprimere ciò che sentiamo essere non solo fuori luogo, ma anche
ingiusto. Ciò che sentiamo inopportuno è che tu, una donna, sia posta sopra di noi che non siamo
abituati ad avere una guida come la tua, dato che finora abbiamo seguito la guida di uomini; uomini
che abbiamo eletto per guidarci e, per giunta, per guidarci nella direzione da noi stessi stabilita.
Questo è il nostro primo reclamo. È ciò che intendo col termine ‘inopportuno’.
“L’ingiustizia, che mette duramente alla prova la nostra pazienza, madame, è che noi non siamo
ancora stati ammessi nei circoli migliori. Questa non è una lamentela che riguarda tutti noi, poiché
ci sono alcuni che francamente non sono ancora idonei ad avanzare, sia per la durata del loro
servizio, sia per i requisiti necessari a lavorare in questo regno. Tuttavia la maggior parte di noi è

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ben preparata e merita di progredire, e questa è la nostra protesta relativa all’ingiustizia, e ciò che
contestiamo.”
“Io penso, piccolo mio”, disse Wulfhere, “che tu…”
Ma l’uomo le troncò il discorso: “Io non voglio negoziare con te, che sei una donna, madame, e
dissento di fronte alla tua pretesa maternità nei miei confronti. Io non sono il tuo piccolo, madame,
e ti chiedo di trattarmi come rappresentate nominato da questi miei compagni che sono qui per
ottenere ciò che facciamo la cortesia di chiederti. Noi non conosciamo chi ti ha collocato dove sei
ora, né da dove vieni. Ma quando il mio signore Shonar ci ha lasciati, abbiamo visto te che avevi
preso il suo posto nel Palazzo del Governo. Per questo veniamo da te con l’intenzione di parlare
lealmente. Siamo uomini forti per la maturità dei nostri anni e capaci di usare la nostra volontà. Se
otteniamo ciò che vogliamo col tuo consenso, sarà bene. Se tu sceglierai di non ascoltarci…”
“E se non vi ascolto, cosa succede?”
“Madame, io chiedo la tua risposta, e spero che formulerai saggiamente quella risposta”.
“Ti risponderò, piccolo mio”, disse lei, “e uso questo termine non in modo scortese. Tu sei il
delegato dei tuoi compagni qui, e sei uno dei più forti. Ecco perché ti hanno scelto per parlare con
me. La tua forza volitiva e mentale non è piccola, e questo è positivo. Ma ne fai cattivo uso per
mancanza di umiltà. Per il tuo bene, ma ancor più per il bene di quelli alle tue spalle, che stai
fuorviando, è necessario che io debba mostrare i limiti dei tuoi poteri. Avvicinati a me”.

UN FANCIULLO BISOGNOSO DI UNA GUIDA SAGGIA

Egli non si mosse. Così lei guardò dritto in basso verso di lui, non con severità o cattiveria, ma
quasi noncurante. E io vidi presto come il volto di lui si fece inquieto, un’ombra d’imbarazzo lo
percorse, seguito da un debole fremito di paura. Così cominciò a salire i gradini, uno a uno, molto
lentamente arrivando davanti a lei.
Poi ella si rivolse alla folla: “Miei piccoli”, disse, “se vi chiamo così è vostro diritto sapere che
io ho la forza per dirigervi e guidarvi come una madre farebbe con i suoi figli. Questo uomo è il
leader che avete scelto, e in ciò avete dimostrato saggezza, poiché egli è invero il più grande fra tutti
voi. Ma, ad ogni modo, egli non è pronto sotto tutti i punti di vista. Perciò dimostrerò a tutti che lui
è per me – come lo siete voi – un bambino che ha bisogno di una guida saggia perchè possa
camminare sulla sua strada senza inciampare.”
Detto ciò, si girò verso l’uomo, pose le mani sulle sue spalle e, così facendo, egli cominciò a
mutare d’aspetto. I capelli si fecero canuti, le ginocchia iniziarono a vacillare. I vestiti mutarono in
una tinta grigio-cenere, e gli occhi apparvero smorti e infossati. Poi ella allontanò le mani e disse,
senza essere scortese: “E ora, piccolo mio, mi consideri forte e saggia? Seguirai la mia guida?”
E lui, con voce fievole: “ Madame, tu sei ciò che dici di essere. Sei capace di guidarci. Ma io
non ti seguirò, col tuo permesso. Conosco il messaggio che hai in mente per me, madame, e
desidero trarre aiuto da esso. Se è così che desideri, signora, andrò dove mi consiglierai di andare.”
“Adesso, figlio mio, dimostri più dolcezza e dignità rispetto a prima, quando mi parlasti con
parole altisonanti e poca saggezza. A questo punto capisci che è meglio per te percorrere un’altra
volta la strada da cui sei venuto, ma stavolta con più giudizio. In tal modo il tuo progresso sarà
veloce. Abbi fiducia in me, figliolo, ti manderò forza e benevolenza, e quando presto tornerai qui,
sarai capace di aiutarmi a governare questa gente, e io giudicherò il tuo servizio.”
Egli s’inginocchiò davanti alla donna, ed ella pose le mani sulla sua testa piegata e i lunghi
capelli bianchi. Poi l’uomo si congedò, camminò lentamente, a volte esitando, verso il fondo della
gradinata, e attraversò la folla che si aprì al suo passaggio per intraprendere il viaggio verso la
Prima Sfera, alla cui condizione era stato degradato.
Capisci, figlio mio, che egli non poteva rimanere nella Terza Sfera fintanto che era influenzato
dall’ambiente della Prima. Così egli, di sua volontà, se ne andò.

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UN TOCCO DI MAGIA ORIENTALE

Questa è una strana storia Arnel, non è vero? Contiene un tocco di magia orientale. Non credi?
Dici bene, figlio mio. E di quella magia ti dirò qualcosa. Esistevano, e ancora esistono certi
poteri che alcuni popoli in Oriente sanno impiegare. Tuttavia taluni racconti di magia, come ad
esempio mutare un uomo in un animale, o viceversa; rendere vecchio un uomo, o alleggerire gli
anni di una persona anziana fino a farlo diventare un avvenente giovane – non sono originati da
quei popoli e, in ogni caso, non si riferiscono a trasformazioni del corpo fisico. Essi sono le versioni
di uomini e donne dotati di facoltà psichiche, che esprimono nel linguaggio pittorico dell’Oriente
quelle cose che sono state mostrate a loro al di là del Velo. È la magia delle sfere sottili che essi
raccontano, e lo fanno col linguaggio che conoscono.
Capisco cosa intendi dire.
Ma sei ancora dubbioso. Beh, figliolo, la parola “magia” l’hai detta tu. Io preferirei chiamarlo
“processo” o “scienza”. Ciò che ti ho narrato non è sempre realizzato in una scenografia così
drammatica. In questo caso fu necessario, perché si trattava di una lezione pratica per una
moltitudine piuttosto presuntuosa; persone scontente, poco mature in saggezza per la loro età. Ma,
benché sia insolito, non è raro che un uomo venga retrocesso di una sfera per garantire un suo
sicuro avanzamento morale. Questo è particolarmente vero nei primi tre mondi, dove le persone
spesso diventano confuse e disorientate quando poste in una sfera più avanzata rispetto al loro
ambiente abituale. È consentito agire in quel modo, ed è il metodo migliore per insegnare la lezione
necessaria quando le persone sono arroganti e testarde come quell’uomo.
Questo è l’andare e il venire, figlio mio – un processo della scienza delle sfere, in questo caso
camuffato da piece teatrale per irretire gli occhi di quella moltitudine, che poteva così apprendere
ciò che col solo ragionamento sarebbe stato vano.

DOLORE, BISTURI DEL CHIRURGO

Giovedì 21 ottobre, 1920.


Degli avvenimenti che seguirono ho un brillante ricordo, poiché fu una di quelle vicende in cui
il bisturi del chirurgo, volente o nolente, intervenne. Questo strumento ha una doppia lama, una per
il malato, una per il guaritore.
Wulfhere parlò alla folla dopo che il loro leader era partito. Disse: “Figli miei, nei regni
superiori, la saggezza è una qualità che consente alla guida e ai seguaci di lavorare in armonia. Il
predominio del leader è sconosciuto, poiché entrambi sono concordi l’un l’altro, in amore e fiducia.
Ma qui siete poco progrediti in questa saggezza ed è necessario che comando e obbedienza siano
definiti e ben pronunciati. Voi avete bisogno, non tanto della guida di un Capitano d’Armi, quanto
piuttosto delle cure materne prestate dal robusto cuore di una donna. Per questo fui scelta e mandata
da voi. Se volete sapere quali sono le mie qualità per tale compito, vi risponderò volentieri. Sono
davanti a voi ora nella semplice apparenza di una donna. Ma alle mie spalle ho molti secoli di
strenuo lavoro svolto da una parte all’altra dell’universo.
“In tempi remoti fui una madre della terra, come alcune di voi lo furono di recente. Da allora ho
avuto poco tempo per dare importanza a pensieri teneri come quelli che riempiono il cuore di una
madre. Ma da qualche tempo si è fatto sentire in me, ancora una volta, il mio passato istinto
materno, e ora capisco quanto siano profonde, nella roccia sottostante, le fondamenta di quella
dolce condizione di maternità. Ho giocato il ruolo di donna autoritaria – per amore delle anime, ma
sono – come ho scoperto adesso – una madre, più di ogni altra cosa. E questo, suppongo, sia la
ragione della mia missione qui in mezzo a voi.
“E ora, figli miei, v’invito ad avere fiducia nell’amore e nella saggezza della madre che è in me,
e io farò in modo di farvi procedere nella luce che risplende oltre quelle colline che delimitano il
vostro attuale regno.

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“E se il vostro addestramento comporta una certa sofferenza, sappiate che anche ogni madre
conosce le pene che soffrono i suoi figli, poiché quando questi vengono al mondo il dolore diventa
per lei una cosa sacra, un’offerta d’amore al bimbo che porta in grembo.
“Non muovetevi, piccoli miei, restate in silenzio ancora un po’, capirete meglio le mie parole, e
la particolare dolcezza che alberga nel dolore.”

IMMERSIONE NEL PASSATO

Il seguito lo racconterò per come fu sperimentato da quelle persone, e poi t’illustrerò la causa
interiore di quanto avvenne. Essi furono conquistati dal potere affermato da Wulfhere sul più forte
di loro, che avevano eletto come leader. Erano perciò disposti a rispettarla e a fare ciò che diceva.
Ella non si vantò della sua vittoria sul loro delegato, ma parlò con fermezza, quasi con una certa
umiltà davanti a loro, mostrando grande calma e saggezza. Tutti perciò, tranne pochi indisciplinati,
presero a cuore le sue parole e chinarono la testa in silenzio.
Coloro che ancora si ribellavano furono i primi a mostrare i segni dei poteri misteriosi discesi
sulla moltitudine. Cominciarono ad alzare il capo al cielo, o a muoversi intorno senza alcun
permesso, altri iniziarono persino a strillare il loro disprezzo per l’influsso che sentivano attorno.
All’improvviso ammutolirono e si fecero immobili. Sembravano come tante statue in mezzo alla
folla, prive di parola e incapaci di muoversi, e nel frattempo caddero in un profondo torpore.
Nessuno dei loro vicini lo notò, perché ognuno era completamente assorbito dal suo lavoro
d’introspezione.
Infatti, uno dopo l’altro esordirono come se fossero pungolati da un coltello. Uno gridò:
“Ahimè, moglie mia, e povero me che l’ho trattata tanto duramente.” Un altro: “Bimbo mio, mi
guarderai con pietà quando ci incontreremo? Non mi comportai come una madre dovrebbe fare,
piccolo mio, ma ascolta: il mio cuore di madre è ora lacerato e sanguinante di dolore finchè non mi
chiamerai mamma ancora una volta, bimbo mio.” E un altro: “Come ho potuto trattarti in quel
modo, amore caro, fino ad abbandonarti quando quel volto che credevo più bello del tuo, guardò
dentro i miei occhi con languido amore. La luce dei suoi e dei miei occhi non era accesa dall’amore
celeste, ma dal bagliore dell’inferno. Chissà se ricordi ancora il nostro antico amore, e tutte le altre
cose ormai andate, mia dolce innamorata, dimmi che per te non sono indegno.”
Un altro: “Potrei tracciare ancora una volta il corso del mio viaggio terreno. Ho creduto che
l’oro fosse un buon metallo e ho pensato che fosse meritevole lottare per esso. Sì, ho combattuto la
battaglia di un uomo per i suoi averi, e ho scoperto che era una cosa ignobile come lo sarebbe se un
bambino dovesse usarlo per commerciare i suoi giochi all’asilo. Fui uno stolto, e sono ancora stolto,
anche se oggi lo sono meno. Che Dio possa riservarmi un posticino al servizio dei miei compagni,
che pensavo di dominare un tempo con quello che per me era d’immenso valore.” E un altro ancora:
“Li trovai in qualche luogo quando giunsi qui? No, non c’erano più. Nessun campo con siepi e case;
erano tutti svaniti nel nulla e sono rimasto senza possessi e senza gli altri beni di mia proprietà.
Sono un misero uomo oggi perché, per ottenere quelle cose, ho rovinato molti, e alla fine ho
rovinato anche me stesso.”

IL RISULTATO DELL’ESAME DI COSCIENZA

Andarono avanti così, mormorando queste cose, molti tormentandosi, molti singhiozzando. Così
facendo testimoniavano la loro angoscia che, colmando i loro cuori, non lasciava spazio a null’altro,
trovando sfogo nell’espressione esteriore. Ma nessuno di loro udì o fece caso ai suoi vicini durante
il suo esame di coscienza: ognuno sopportava tutta la fatica della sua particolare vicenda dovuta a
questo processo di rievocazione.
Dopo una lunga attesa, Wulfhere rivolse a loro queste parole: “Adesso, piccoli miei, vi richiamo
fuori dal passato dove avete spigolato il grano per la vostra nuova semina. Prometto che ciò porterà
buoni frutti al vostro raccolto. Andate ora verso le vostre case, e pensate a quelli che hanno sofferto
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per i vostri torti, poi ci rincontreremo per un altro consiglio. Non rimarrete senza risposta, se
offrirete il dovuto rispetto al silenzio, poiché coloro a cui siete legati conosceranno la vostra
condizione di necessità e vi daranno consolazione. Ma pochi di voi saranno in grado di vederli o
sentirli, tuttavia farò questo per voi, perciò impegnatevi a mantenere uno spirito di umiltà e
gentilezza verso i vostri compagni.”
Così andarono silenziosi verso il silenzio delle loro dimore per permettere alla volontà di
Wulfhere di lavorare su di loro dal Palazzo del Governo. Adesso erano giunti a credere che lei era
capace di fare ciò che aveva promesso.

DIETRO LE QUINTE

E ora, figlio mio, ti rivelerò il significato interiore di questi fenomeni.


C’erano tre gruppi nel Portico del Palazzo. Erano formati ciascuno da sei persone, più il loro
leader, uomo o donna. A un cenno di Wulfhere ci muovemmo; ci era stata data la conoscenza di cui
avevamo bisogno per agire, e realizzammo il lavoro tranquillamente, senza alcuna concitazione.
Cominciammo a cambiare la nostra condizione dalla Terza alla Quinta Sfera. Tale operazione ci
rese invisibili alla moltitudine, e capaci di raggiungere più facilmente il loro più alto sé interiore.
Così invisibili, il primo gruppo di sette avanzò in cima alle scale e si allineò; gli altri due gruppi di
sette si piazzarono sopra la folla, circondandola da tre lati.
Posizionati in questo modo, ognuno selezionò l’uomo o la donna la cui anima interiore
sembrava offrire un terreno favorevole alle nostre diverse personalità. Prontamente cercammo le
lacune che ancora legavano i loro piedi e gli impedivano il progresso. Una volta trovate, inviammo
un rapido fascio di luce in quel punto. Non era la luce della Terza Sfera, ma della Quinta. Era quindi
assai penetrante, e gli procurava una pungente fitta di dolore. L’effetto, comunque, fu istantaneo,
testimoniato dall’espressione dei loro volti, e spesso, come ti ho detto, da certe auto-confessioni e
lamenti di pentimento. Passammo da uno all’altro, svolgendo le nostre operazioni con grande
rapidità. Così in brevissimo tempo avevamo toccato tutti, e il nostro lavoro era compiuto.
È piuttosto difficile spiegarlo con precisione, figliolo. Hai compreso quello che ti ho detto?
Credo di sì, Arnel, grazie.
Sì, penso tu abbia capito, da quello che vedo nella tua mente dal mio punto di osservazione.
Vedi, figlio mio, noi trattammo quella moltitudine essenzialmente come io faccio con te. Opero
direttamente sulla tua mente, essendo facilitato dal fatto di poterti raggiungere da questa sfera
interiore.
C’è un’altra cosa che devo aggiungere, e allora il mio racconto sarà completo.

COME IN CIELO, COSÌ IN TERRA

Quelli indisciplinati furono lasciati qua e là quando la moltitudine si disperse.


Quanti rimasero?
Circa 20-22 persone. Di questi penso che la metà fossero donne. Stavano là, ancora incoscienti.
Così li prendemmo com’erano e li portammo nella Prima Sfera. Qui cercammo il delegato che era
partito prima, li affidammo alla sua custodia in modo che facesse loro da insegnante e da guida fin
quando non fosse giunto il tempo in cui potevano essere riammessi nella Terza Sfera. Egli fu assai
incoraggiato da questo primo segno della nostra fiducia in lui, e sta svolgendo questo lavoro
egregiamente. Inoltre, egli stesso sta imparando così bene che un giorno, credo, sarà un grande
leader.
Ancora una parola, figlio mio. Ti ho parlato di una serie di operazioni condotte nella vita dello
spirito, e del ruolo che vi abbiamo assunto noi, in quanto aiutanti di un mondo superiore. Te l’ho
detto per mostrarti le condizioni di vita in vigore qui, dove anche tu un giorno sarai messo all’opera
per servire i tuoi compagni. Ma è un altro l’obiettivo del mio racconto. Infatti, come in alto così in
basso. Noi restammo invisibili a coloro verso i quali spedimmo il nostro influsso per aiutarli. Allo
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stesso modo, operiamo con te che ancora percorri la tua strada nella vita terrena. È così che ti
raggiungiamo quando sei in compagnia o da solo, in silenzio. Che tu sia fuori o dentro casa, noi ti
rivolgiamo sempre la giusta premura e una vigile guardia. E come operammo con loro, lo stesso
facciamo con te, ogni giorno.

CAPITOLO 2
L’UOMO E IL SUO AMBIENTE

Giovedì 28 ottobre, 1920.


Nella Terza Sfera arrivano, in breve tempo, tanti di voi dopo il passaggio della morte, e forse
sarebbe interessante se t’illustrassi qualche particolare di questo mondo.
Per prima cosa esaminiamo il motivo per cui tanti passano direttamente nella Sfera Tre, e
altrettanti raggiungono le due sfere inferiori per poi approdare rapidamente in questa.
Ora, considera la Terra per com’è attualmente costituita e condizionata. Nel pianeta Terra puoi
notare molti aspetti che manifestano bellezza o bruttezza; inoltre ci sono luoghi che questi due
termini non riescono a descrivere in modo corretto. Dobbiamo trovare altri aggettivi, come
selvaggio, maestoso, solitario e via dicendo.
I vostri filosofi ammetteranno che qualunque effetto è un esatto riflesso di una specifica causa.
Quindi questi effetti fenomenici, nelle condizioni ambientali del pianeta, devono avere cause
appropriate alle caratteristiche che manifestano.

LE ONDE MENTALI PRODUCONO L’ATOMO

Tali cause non si trovano né dentro né in mezzo ai fenomeni. Affermo che esse non sono
presenti nella manifestazione. Tuttavia queste cause si trovano sia dentro, sia in mezzo agli effetti
fenomenici: sono dentro di essi in modo causativo o dinamico; sono in mezzo ad essi in quanto
producono coesione.
Le vistose manifestazioni della natura sono semplicemente un’estensione dello stesso processo
attraverso cui l’atomo viene creato e usato. Esso è creato dalla proiezione del principio di moto
nell’etere, in quanto viene provocata una certa attività in quell’elemento che opera nello stesso
tempo in due fasi. Queste due fasi possono essere grossomodo chiamate a spirale e centripeta, e,
combinate dinamicamente, producono come risultato l’atomo. L’attività di cui parlo ha fatto sorgere
qualche perplessità nella tua mente, figliolo. Non so se il mio inglese servirà bene lo scopo. Capisci
che sono limitato dalle tue stesse barriere mentali, e inoltre non sei sempre così malleabile come
vorrei. Io devo agganciarti mentre tu ti elevi, e purtroppo scivoli dall’uncino troppo spesso e…
Arnel, …
No figlio mio, non scriverlo. È proprio ciò che dico. Ho usato la parola “attività” per descrivere
l’effetto, nel tuo regno di manifestazione esteriore, della proiezione, da questo regno interiore dello
spirito, delle più raffinate e sublimi onde mentali che, immergendosi nella materia più densa che
chiamate etere, producono questa attività a causa dell’attrito derivato dall’opposizione presentata
dall’etere stesso.
Due cose diverse non hanno uguale potenza. Queste onde di pensiero sono più potenti
dell’inerte etere che è costretto a conformarsi all’azione dell’elemento più influente. Il risultato
nella forma è l’atomo – non l’atomo eterico ma l’atomo di materia.
Ora, questa è la sostanza primaria di cui è fatto il vostro pianeta. Da quanto ho già detto capirai
che questa sostanza corrisponde in ogni istante all’energia spirituale diretta su di essa dai reami
interiori e superiori. Di conseguenza, l’intero pianeta Terra, in tutte le sue parti e dettagli, è
incessantemente impegnato a manifestare all’esterno gli effetti di cause spirituali.

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L’ENERGIA UMANA INFLUENZA L’AMBIENTE CIRCOSTANTE

Gli esseri che creano queste onde mentali sono composti dall’insieme di quella grande
moltitudine che è sempre in contatto con la Terra. E fra questi ci sono gli spiriti incarnati che
dimorano sul pianeta.
Noi?
Proprio così, figlio mio, siete voi, gli abitanti della Terra. Ora proietta la tua mente sui luoghi
della Terra e capirai diverse cose.
Alcune regioni sono splendide, altre no. Ma quasi tutti i luoghi della Terra dove gli uomini non
hanno interferito con l’operato di ciò che voi chiamate Natura, sono in ogni caso dotati di bellezza.
Dove l’uomo ha preso in mano questo stesso processo formativo, vediamo che la Natura assume un
aspetto meno bello.
Vedo in te ulteriori dubbi – ti spiegherò. Voi pensate che la vita primitiva vissuta dall’Africano
medio sia di livello spirituale inferiore rispetto a quella del comune cittadino Europeo. Eppure il suo
paese è più bello e presenta un ambiente più congeniale rispetto al vostro. Diciamo che quest’ultima
considerazione andrebbe modificata per essere corretta. Ma lasciamola così, come materia di
discussione; servirà in futuro.
La tua perplessità svanirà se applicherai al problema la seguente verità. L’Africano ha una
potenza spirituale meno dinamica rispetto all’Europeo più sviluppato. È perciò meno capace di
agire sul suo ambiente sia nel bene che nel male, per il bello o per il brutto. Un cumulo di rifiuti o
un quartiere povero dimostrano qualcosa di meraviglioso. Sono nel contempo l’immediata
testimonianza del progresso spirituale dei suoi creatori, e anche il fatto che il loro potere spirituale è
stato applicato in modo imperfetto. Il cumulo di rifiuti implica una locomotiva a motore; ma implica
anche un movente nella mente dei suoi creatori che si impone sul desiderio di bellezza, e cioè la
grande e potente forza motrice dell’avidità – l’istinto di accumulare portato all’eccesso.
Le conseguenze che ne derivano sono direttamente correlate; e sono traumi fisici accidentali alle
persone, il dolore causato a coloro che sono in lutto; la deturpazione della Terra prodotta dai binari
del treno, e così via. E parlo solo di questa macchina. Ma tu devi applicare il principio su vasta
scala.
E tuttavia questo testimonia che l’Europeo ha raggiunto uno stadio di sviluppo spirituale
superiore rispetto all’Africano. Dico “spirituale” perché, in ultima analisi, tutto lo sviluppo è
spirituale, non importa che il potere spirituale sia diretto al bene o a propositi malvagi.
Quindi le diverse manifestazioni che vedete sulla Terra, risultano dalla risposta della materia
all’energia infusa dallo spirito.
La stessa cosa avviene nella Sfera Tre. Ho mostrato questi fatti elementari affinché tu possa
afferrare meglio le condizioni della Terza Sfera, di cui ti parlerò nella prossima seduta.

LE CONDIZIONI DELLA TERZA SFERA

Martedì 2 novembre, 1920.


Ora le condizioni che valgono sulla Terra, come te le ho spiegate, possono essere traslate qui,
ma con un’importante modifica.
L’illustreremo in questo modo: la libera volontà opera dal centro verso la circonferenza esterna
della creazione. Diciamo che al centro c’è Dio. Egli è la Fonte di tutto il Libero Arbitrio, e dalla sua
riserva di provviste esce la materia di cui sono fatti tutti gli esseri con minore libero arbitrio. Questi
essendo in verità liberi, sono capaci di modificare la Sua azione volitiva e, in un certo grado,
conformarla secondo le loro misure. In altre parole, ogni essere dotato di libero arbitrio crea il suo
stesso ambiente.
Mentre se procediamo all’interno verso il centro, la libera volontà è esercitata sempre più in
accordo con la mente di Dio. Ecco dunque che l’ambiente degli Esseri Superiori diventa più

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soggettivo mentre andiamo verso il superiore, e più oggettivo andando verso l’inferiore, o man
mano che ci approssimiamo alla circonferenza.

PRESENZA E ONNIPRESENZA

Sulla Terra l’ambiente è fortemente oggettivo. Mentre t’innalzi nelle sfere avvicinandoti man
mano all’Energia Centrale, che chiamiamo Dio, l’ambiente si fa più sublimato nella sostanza.
Risulta perciò più facile da plasmare in conformità alle volontà dei loro abitanti. Ecco perché dico
che il loro ambiente diviene sempre più soggettivo mentre ci eleviamo. È un altro modo per dire che
gli Esseri Superiori, poiché assorbono in misura maggiore il loro ambiente in se stessi, diventano, di
fatto, più universali. Essi contengono più quantità di spazio, di essenza, o qualunque altro contatore
userai per enumerare i loro diversi gradi di potere.
Il Creatore riassume, e include in Se Stesso, l’intero spazio, l’intera esistenza, e così diventa
universalmente Soggettivo. Egli è il Suo ambiente. Considerando dal punto di vista più interno
verso l’esterno, questa è Onnipresenza e, guardando in senso contrario, è Unità.
Qui, e soltanto qui, l’Esistenza è elevata alla sua massima intensità di silenzio e quiete. È qui
che risiede, in quel bianco calore di energia statica continuamente operante. Certo è un paradosso,
ma solo il paradosso può esprimere per te, e per noi che ti parliamo, l’Onnipotenza di Colui che non
è soggettivo né oggettivo, ma eternamente presente, il Grande Uno di tutta l’Esistenza; l’unico Io
Sono.

LA MATERIALIZZAZIONE DEL PENSIERO

Ora capirai che procedendo verso l’esterno, dallo spirito alla materia, la sostanza di cui è fatto il
nostro ambiente diventa più oggettiva. Sul pianeta Terra essa è decisamente materiale. Nella
regione successiva, sopra la Terra, è meno materiale e più eterea; poi è eterea; andando avanti
diventa più spirituale e meno eterea; in seguito è spirituale; poi è spirituale ma più sublime. La
modificazione di cui parlo avviene per il distacco dall’ambiente materiale e dalla sua sostituzione
con lo spirituale. Prova a immaginare cosa implica questo nel rapporto fra la libera volontà e la sua
espressione esteriore nella forma.
Pensa a tutti i processi intermedi necessari per materializzare un pensiero sulla Terra. Un uomo
agisce nel suo essere più intimo e l’effetto è un pensiero. Questo colpisce il cervello fisico. Il
cervello viene usato come una camera di fusione. Poi quando gli elementi sono combinati nelle
dovute proporzioni, un messaggio viene spedito alla mano, al piede, agli occhi, o a tutti assieme
nello stesso tempo. Essi, lavorando di concerto, producono il progetto di un edificio. Questo viene
consegnato a un altro uomo; egli raduna altri artigiani che, a loro volta, raccolgono legno, ferro,
pietre e altri diversi materiali. Infine cominciano la costruzione della casa.

OGNUNO VA AL SUO LEGITTIMO POSTO

Ora, tutto questo procedimento è inevitabile a causa dell’habitat materiale in cui vivono. Ma
trapassando qui dopo la morte, si effettua nel contempo la dipartita dall’ambiente materiale e si
inizia subito a operare in un habitat spirituale. Tutti i processi intermedi sono eliminati, e la mente
agisce direttamente sull’ambiente e assume espressione nella forma.
L’effetto è perciò più immediato nella risposta e più appariscente nell’aspetto. È così evidente
che non è possibile per coloro che hanno indole molto diversa vivere assieme. Si creerebbe una gran
confusione.
Non solo, mediante questa legge, e per normale interazione gravitazionale, ciascuno va al suo
legittimo posto. Non è del tutto esatto dire che i mondi prossimi alla Terra sono più materiali di
quelli lontani. Lo si è detto solo per spiegare l’ambiente più denso in contrapposizione a quello più
raffinato. Ma essendo vicini alla Terra, quell’ambiente appare, per coloro che vi sono giunti da
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poco, troppo materiale, perché ancora non hanno compreso appieno l’enorme cambiamento
avvenuto nel loro stato soggettivo. La nuova condizione risponde al loro nuovo ambiente in modo
così naturale che, finchè non cominciano a fare qualcosa, non realizzano quanto la sostanza basilare
del mondo in cui sono giunti di recente sia più sensibile di quella della terra. Quando lo scoprono,
rimangono spesso turbati, come i bambini col fuoco.
Per certuni le condizioni dei tre mondi prossimi alla Terra sono molto confuse, e solo mentre
progredisci scopri che l’armonia aumenta tra i membri di una sfera, e questo sempre di più man
mano ti addentri nei regni superiori.
Nella Sfera Tre, quindi, ci sono luoghi più belli, che rispondono alla volontà di coloro che sono
in maggiore armonia con l’Unità Centrale rispetto ad altri. Ma si osserva anche il contrario.

PARADISO E INFERNO

Ora, figlio mio, voi gente della Terra siete stati indaffarati nelle ultime generazioni a classificare
le persone in buone, che vanno in paradiso, e cattive, che vanno all’inferno. Tuttavia riflettici: se
queste due regioni si trovano nell’aldilà, e non altrove, dove si posiziona la Terra rispetto a queste?
Ti dico che la Terra non è il paradiso né l’inferno, ma una fusione di entrambi. L’ho già spiegato
nei miei primi messaggi. Noi da qui, scrutando nei vostri cuori, vediamo che alcuni sono vicinissimi
al paradiso, altri prossimi all’inferno, altri metà e metà. E la stessa cosa avviene in queste tre prime
sfere dello spirito.
Non ci sono confini precisi per l’inferno. La discesa in quel luogo è graduale, e strada facendo si
trovano persone di ogni grado di arroganza.
Così, avendo parlato un po’ della Sfera Tre e della sua costituzione alquanto confusa, posso
procedere nel descriverti certi interventi di cui sono stato testimone. E lo farò tramite il tuo valido
servizio di scrittura, figlio mio.

CAPITOLO 3
LE CONSEGUENZE DI UNA TRAGEDIA TERRENA

Mercoledì 3 novembre, 1920.


Quello che ho scritto attraverso la tua mano le ultime due volte, tienilo a mente, figliolo, e
interpreta ciò che segue secondo le informazioni che ti ho trasmesso in merito.
Il pentimento è né più né meno che un riadattamento della personalità al nuovo ambiente.
Questa è un’affermazione realmente scientifica. Ma nella scienza dello spirito entra in gioco l’unico
fattore che la contraddistingue in maniera univoca: il Libero Arbitrio – sì, e nondimeno tutta la
scienza è spirituale. Questo rende il prezzo dell’avanzamento degno del rischio, ma eleva il
conseguimento a un livello superiore, dove l’ascesa è sovente molto ripida e i pericoli incombono
numerosi.
Mi trovavo nella zona di confine fra la Terza e la Seconda Sfera. Ero stato incaricato di
sorvegliare quel punto per attendere l’arrivo di qualcuno al quale probabilmente sarei stato d’aiuto.
Ora, quando prestiamo soccorso in questi mondi inferiori, non operiamo tanto spesso in forma
visibile, come accade nelle sfere appena più elevate. Possiamo svolgere il nostro lavoro al meglio
nell’altro modo. Così restai là, invisibile.
C’era un bel sentiero in quel luogo, con erba, alberi e aiuole di fiori, non rigoglioso ma
abbastanza riposante.
Un fossato attraversava l’argine verso le lande basse della Seconda Sfera, e calava bruscamente
pochi metri oltre il confine; poi si faceva ancora più scosceso, sprofondando nella valle sottostante
dove, come vedevo da quest’altezza, era tutto offuscato e nebbioso.

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Me ne stavo dunque invisibile sul ciglio del fossato, poiché sapevo che una persona dal basso
doveva sbucare da questa via. Da entrambi i lati e per un lungo tratto era tutto scosceso, solo qui si
poteva trovare un sentiero piuttosto arduo percorribile a piedi.
Ben presto intravidi la persona che dovevo aiutare. Era un uomo che si arrampicava lentamente
e con grande sforzo, facendo frequenti pause di riposo durante la salita.
Restai là e lo studiai. Trapassò dalla vita terrena circa a mezza età. Era finito in uno degli
inferni, e aveva lottato duramente per avanzare fino a raggiungere questo luogo fosco. Il magnete
che lo attirava era il rimorso per il male arrecato, e l’amore per una donna deceduta poco prima di
lui. Quest’ultima, resa folle dal troppo dolore, si tolse la vita gettandosi nell’acqua. Ella andò allora
alla Prima Sfera, dove fu attentamente sorvegliata, poiché aveva sofferto molto a causa di lui, e
presto fu capace di trovare l’equilibrio mentale per procedere verso la luce.
Lo osservai mentre si fermò un momento a riposare. Si schermava gli occhi fissando lo sguardo
in alto: vedevo che stava cercando quella donna. Ella era seduta in cima alla sponda e l’uomo,
guardando alla sommità, scorse il suo volto di profilo. Ma ella non lo vide perché, dalla sua
postazione, la figura meno progredita dell’uomo era molto fioca alla sua vista. E fra le rocce in cui
si muoveva, era del tutto invisibile agli occhi di lei.
Vidi in lui uno strano sguardo d’impaziente ardore, uno sguardo d’amore, di rimorso e pietà. Sì,
ora si notava in lui qualche segno di accresciuta bontà. Così si sforzava di salire verso la donna e
potevo vedere una supplica di perdono sulle sue labbra. Poi accadde qualcosa.

MADRE E FIGLIO

Lungo la strada che correva sotto l’argine arrivavano due persone. Una donna di grande
splendore e un ragazzino di circa 10-12 anni, dall’aspetto ancora più etereo. Si fermarono a una
certa distanza e la donna lasciò la mano del ragazzo. Allora lo vidi assumere un’apparenza più
solida e, dopo essere tornato alla piena visibilità, si mise a correre sulla strada fino alla giovane
donna; si inginocchiò e gettò le sue belle braccia attorno a lei, dandole un bacio sulla guancia. Ella
restò sbalordita, non ne capiva il significato. Piegò indietro le spalle, lo guardò in viso, ed emise un
grido di spavento. Ma un impulso d’amore cacciò via la paura e, stringendo il ragazzo al suo seno,
iniziò a piangere.
Alla fine lui disse: “No, madre mia, non piangere. Mi è stato detto tutto, e so che non fu la tua
mano a spingermi lontano dalla Terra in questi regni dello spirito. Quello che lui ha fatto è stato
molto malvagio. E questo, cara madre, è solo uno dei suoi gravi e numerosi peccati. Ma tu, io e il
mio angelo, lo aiuteremo, madre, e forse dopo lungo tempo egli verrà qui buono e bello, cara, come
altri hanno fatto prima.”
Ma lei continuava a piangere con la testa piegata sulle ginocchia, piena di vergogna e di
immenso dispiacere. Il ragazzo, liberato dall’abbraccio, si guardava attorno. Poco sopra dove ella
era seduta c’era un albero in fiore. Così si mise in piedi sull’argine e, allungandosi, spezzò un bel
rametto fiorito e lo intrecciò formando una corona. Andò da sua madre, la baciò sui capelli e la
cinse con la ghirlanda di fiori.

RICORDI DI IERI

Quando il ragazzino si mise in piedi sulla cima dell’argine, l’uomo in basso lo vide per la prima
volta. Lo guardò attentamente. Sembrava essere consapevole di qualche affinità col ragazzo che non
riusciva a definire. Ma allorché vide il giovane baciare sua madre e incoronarla con i fiori, i suoi
dubbi svanirono all’istante, senza sforzo. Uno sguardo di orrore e frenetica paura investì l’uomo, il
volto gli divenne livido e collassò candendo a capofitto dalla collina. Colpì un masso dopo l’altro e
alla fine si abbatté inerte e immobile in fondo al varco dove la foschia si era raccolta. E dov’era
caduto, la nebbia divenne ancora più fitta, attratta verso di lui dalla condizione del suo spirito.

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Sapevo che sarebbe stato un uomo difficile da trattare, perché alla sua paura vidi aggiungersi
un’improvvisa avversione.
La giovane donna non lo vide, e neppure il ragazzo. Quando l’uomo gridò, lei si fermò ad
ascoltare per un momento, come se sentisse qualche fievole eco lontano. Ma non se ne preoccupò
più di tanto.
Il ragazzo allora allungò la mano e la invitò ad alzarsi e a seguirlo in una radura assai distante,
ma più bella rispetto a quei luoghi. Ella lo accompagnò e assieme si avvicinarono alla donna più
matura.
Quest’ultima aveva assistito a tutta la scena, come me. Scorse l’uomo che saliva e lo vide
cadere. Notai che i suoi occhi versavano lacrime di pietà dove prima brillavano perle d’amore, ed
ella sospirò per i ricordi di ieri dissipati dalla luce del giorno.
Notai quant’era bella con quella malinconica dolcezza tipica degli spiriti puri che hanno sofferto
molto e peccato poco. Era trapassata circa 55 anni prima del ragazzo, che aveva cresciuto nella vita
dello spirito, dopo essere arrivato ancora neonato dalla Terra, avendo a malapena respirato una
mezza dozzina di volte, cacciato via da una mano assassina.
Mentre la giovane donna si avvicinava, ella divenne più visibile, assumendo le condizioni della
Terza Sfera. Nel vederla, la giovane diventò pallida, cadde sulle ginocchia, mise la fronte a terra e
cominciò a singhiozzare senza posa. I suoi bei capelli rosso-dorati scendevano coprendole il volto;
notai allora che il ragazzo, e anche l’uomo, avevano quello stesso colore di capelli. La donna meno
giovane invece aveva capelli castani, molto aggraziati.
Non era affare mio restare con loro, e potevano sbrigarsela bene da soli.

DIFFERENTI GRADI DI VISIONE

Discesi nella valle dove l’uomo era ancora a terra stordito. Non lo svegliai, ma lo trasportai in
un luogo di riposo dove, quando si fosse ripreso, gli sarebbe stato assegnato un compito da eseguire.
Quel compito sarebbe consistito nell’eliminare tutte le sue macchie interiori ed estirpare l’odio dal
suo cuore per colmarlo di umiltà. Ciò gli avrebbe richiesto tantissimo tempo. Poiché quando un
uomo odia invece di fare penitenza e implorare pietà, ebbene questa è una condizione assai
spiacevole da cui liberarsi, e ardua da rettificare. Egli lo farà, e dovrà farlo, prima di poter effettuare
un ulteriore progresso. E per questo gli serviranno molti, molti anni.
Suppongo, Arnel, che tu e la donna matura potevate vederlo quando egli precipitava perché
siete entrambi di una sfera superiore rispetto alla giovane donna.
Rispetto alla donna più giovane, che era ancora nella Terza Sfera. È così, figliolo. Ma ti ho dato
due messaggi all’inizio di questa notte, e uno è la Chiave per decifrare dettagli come questo. Sì, la
donna più anziana e io avevamo una gamma più ampia di relazioni con l’ambiente rispetto alla
giovinetta, o al ragazzo che al momento aveva già assunto la condizione della Terza Sfera. E
l’uomo, naturalmente, era di livello più basso rispetto a ognuno di noi.

UNA COLONIA DI QUIETE

Giovedì 4 novembre, 1920.


C’era un dolce splendore sulle acque che increspavano gentilmente come oro battuto. Il
frangersi delle onde sulla sabbia era delicato e riposante come i baci di un bambino assonnato sulla
mano della mamma, che gli canta la ninnananna. Tutto era quieto, e l’aria sembrava esalare sospiri
di tenerezza. Invero, noi sappiamo che qui, in questa landa, tutte le cose come queste rispondono
alle presenze benigne che dai regni superiori si tendono in basso a permearle con la loro influenza
dinamica.
Poco lontano dal confine c’era una foresta che si estendeva nell’entroterra per molte miglia. Ma
qui si trovava un sentiero tra gli alberi che dalla spiaggia conduceva in una grande radura dove
sorgevano molte abitazioni. Ciascuna casa era dotata di un giardino privato. Alcune erano grandi,
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ma per lo più si trattava di piccole villette. Grandi o piccole che fossero, quasi tutte erano costruite
su un cumulo di terra e avevano un terrazzo davanti. C’era acqua sia ferma che in movimento. Era
una colonia davvero graziosa, su essa aleggiava un senso di riparo, un clima riposante che preserva i
cuori affaticati nella pace. Qui infatti vengono le persone per ristorarsi e, dopo avere assorbito
vitalità e riguadagnato un certo equilibrio, se ne partono di nuovo da quella dolce radura per le loro
occupazioni.
Il nostro gruppo aveva fatto un lungo viaggio, poiché questo luogo si trovava nelle regioni più
luminose della Quarta Sfera. Io, avendo consegnato l’uomo ai suoi custodi nella Seconda Sfera, ero
partito all’inseguimento, ed ero arrivato nella radura attraverso la foresta mentre gli altri percorsero
il sentiero dalla strada costiera.

È UN ANGELO?

Andai dalla donna più matura e le portai i miei saluti: “Dunque è qui che c’incontriamo, cara
Ladena, e al momento giusto, credo. Se fa piacere a te e a questi amici, andiamo assieme dall’altra
parte della radura a vedere la casa, e poi alla spiaggia per accogliere il giovane James; credo che sia
già entrato nel nostro campo visivo.”
Così ci recammo verso la casa. Non era una delle più grandi, né delle più piccole. La balconata
era quasi nascosta dai fiori colorati e dalle forme che assumevano attorno ad essa. Era una delle
dimore più graziose dei dintorni, emanava un aspetto di freschezza che esprimeva la vitalità del
padrone di casa.
Poi tornammo indietro e lungo un sentiero raggiungemmo la spiaggia. Arrivati qui, il nostro
piccolo amico Habdi lanciò un grido di contentezza e, afferrando la gonna della giovane donna,
gridò: “È arrivato, madre mia. Vedi, la sua vela è issata, ma nessun vento la spinge, eppure si sta
avvicinando spedito, mamma, come fa sempre.”
“E chi è che viene, Habdi?”, domandò la giovane.
“È James, cara mamma, solo lui viene da noi. Viene a trovarci tante volte. E la gente qui è
molto contenta quando arriva, perché lui è gentile, ha una grande capacità di aiutarli ed è sempre
disponibile a svolgere un servizio in loro compagnia.”
“È un angelo, Habdi?”, chiese lei.
Il ragazzino osservò perplesso. Capisci, figlio mio, che le parole qui non sono così importanti
quanto il significato che gli diamo. È la parola interiore, vale a dire, il senso che informa le parole
parlate, che colpiscono le nostre orecchie; non solo la forma del vocabolo stesso. La giovane aveva
portato con sé dalla Terra le sue idee di ciò che un angelo doveva essere, e questo rese perplesso il
ragazzo.

PIÙ AMORE CHE SULLA TERRA

Ma ben presto egli si avvicinò al significato che lei intendeva, e rispose: “Lui è giovane solo
negli anni, madre mia, ed è giunto nello spirito dopo che sono arrivato io. Ma fu un angelo persino
nella vita terrena; era molto buono e coraggioso nel fare grandi sacrifici per amore. Così, quando è
arrivato qui, ha progredito molto velocemente, cara mamma.”
Allora il viso radioso del bambino assunse uno sguardo di profondo affetto e solenne rispetto,
mentre aggiunse: “Però io lo amo molto, e anche lui mi ama, madre; parla con me e mi racconta
delle cose.”
“Quali cose ti racconta, caro Habdi?”.
“Molte cose, madre. Egli mi parla del Cristo e soprattutto di chi imita il Cristo, perché lui dice
che i nostri volti devono guardare in quella direzione, e dobbiamo imparare quanto più possiamo da
loro in modo da percorrere la strada con passo fermo e direzione sicura. Poi mi racconta di come il
cuore degli alberi rende un albero verde e l’altro marrone, uno slanciato e l’altro dall’ampia chioma.
E talvolta parla di te, mamma.”
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“Di me? Caro Habdi, ma cosa mi dici, figlio mio!”.
“Oh, ma certo mamma, egli sa molte cose di tante persone, più di quello che sa la gente di
questa sfera. E conosce anche te, mamma.”
“Conosce forse tutti sulla Terra e i loro affari?”.
“Non ho mai pensato alla cosa in questo modo”, rispose il bambino, esitando. Poi continuò più
lento e ponderato, “Io penso, cara mamma, che il motivo sia perché egli ama il suo piccolo amico
Habdi, e tu sei la madre di Habdi. James mi ama molto teneramente, e lui e Ladena mi hanno
insegnato ad amare te, cara madre. C’è molto amore in questi reami, più che nella vita terrena, mi
dicono. In certi luoghi la gente non ama tanto, ma costoro sono lontani, al di là delle montagne, e
quelle povere persone non possono venire in questa regione. Ladena ti ama, mamma. E James sta
arrivando, ed egli ti amerà perché tu piangi talvolta, sei gentile con me, e sei bella, anche se non
bella come Ladena, non è vero madre?”.

JAMES E IL SUO LAVORO

Come risposta ella si chinò e lo baciò sulla fronte, ove i suoi graziosi riccioli scendevano qua e
là sulla superficie marmorea della sua radiosa carnagione. Allora intervenni e dissi: “Bene, Habdi,
piccolo mio, la tua galanteria non l’hai imparata sulla terra e non è male in verità. Ma ora
dirigiamoci verso la riva per andare incontro a James, o verrà prima lui, e allora saremo tutti sgridati
per il nostro ritardo.”
Così gli andammo incontro. Era appena sbarcato dal suo battello e veniva diretto verso di noi
che lo aspettavamo sotto la fronda del sentiero boscoso.
Il suo passo era fermo e sicuro. Aveva un corpo snello ma molto energico, e ondeggiava
leggermente mentre procedeva. I capelli erano castano scuro, e gli occhi quasi color porpora nella
loro profondità. Era davvero molto bello.
Ora, ciò che il ragazzo aveva detto di lui era vero. Egli era un novizio nella vita dello spirito, per
come si calcola la lunghezza del servizio in questi reami. Ma era una di quelle grandi anime, ben
poco riconosciute nelle aspre battaglie terrene, che quando passano da questa parte sono apprezzate
per il loro grande valore. Pochissime loro imprese sarebbero considerate dei successi dagli uomini.
Ma la terra deve a queste persone molto più di quanto i suoi abitanti possano immaginare.
Così, quando egli venne qui, avanzò speditamente fino alla Settima Sfera, che era il suo
legittimo posto. Qui prese coscienza delle cose, e fece subito richiesta di essere mandato a lavorare
vicino alla terra fra coloro che tribolavano a causa della loro condizione.
Egli considerò che sono pochi coloro che avanzano tanto rapidamente verso una sfera così alta
come la sua; di solito accade che, una volta giunti là, molto del contatto con la terra viene perduto e
la terra stessa ha assunto la complessità di un altro periodo. Ma egli, avendo assorbito in sé i poteri
inerenti alla Settima Sfera, era ancora fresco dei modi di pensare terreni, e l’epoca sulla terra non
era cambiata, poiché a soli pochi mesi dal suo arrivo era riuscito a salire in quel regno elevato. Così
possedeva tutte queste qualità che facilitavano il servizio al suo simile ancora incarnato. E uno in
particolare non poteva lasciare indietro: la giovane Mervyn.
La giovane madre?
Sì. Non dico i loro nomi terreni. Infatti non vidi la necessità di domandare quali fossero, e questi
serviranno altrettanto bene.
In questo momento ho bisogno di spiegare ciò che riguarda lui. Nella Quarta Sfera egli aveva
una stazione dove svolgeva i suoi compiti quando doveva trattenersi da queste parti. Capitava
spesso che sulla via verso le regioni più prossime alla Terra sostasse in una o nell’altra casa nei
regni intermedi; poiché aveva una dimora in ogni sfera dalla Settima alla Quarta. Da quest’ultima si
metteva in viaggio verso i luoghi infernali, ma non aveva residenze laggiù.

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UNA TRAGEDIA DELLA VITA

Poni le tue domande, figlio mio. Vedo che sono presenti nella tua mente.
Come faceva il battello a muoversi se non c’era vento?
La vela era issata. La vela non serviva per il vento, ma come una specie di schermo. Su questa è
diretto il flusso di volontà del nocchiere, e la vela, essendo in opposizione, muove avanti il battello.
Ecco il modo migliore per descriverlo. Il processo è uno dei più usati in quel mondo. Ce ne sono
altri. Talvolta nelle regioni più turbolente c’è vento. Ma questo non è utilizzato di frequente per la
locomozione.
Da quanto tempo si conoscevano James e il ragazzo?
James giunse qui circa quattro anni dopo la giovane donna. Habdi precedette lei di qualche
mese. Fu il fatto di venire a conoscenza di come il ragazzo morì a provocare la rapida dipartita della
giovane. Le venne tenuto nascosto a quel tempo. Ma ella lo scoprì, e ciò la fece impazzire.
James, come ti ho detto, andò quasi diretto alla Settima Sfera. La giovane Mervyn si fermò a
lungo nella Sfera Uno, e ancora più a lungo nella Sfera Due. Egli l’aiutò per mezzo di Ladena
finchè non riuscirono a incontrarsi a metà strada, nella Quarta Sfera. Lui non poteva soccorrerla
subito come avrebbe desiderato fare. L’aveva amata molto nella vita terrena. Poi l’ombra discese su
di lei. Lui non sapeva chi gettò quell’ombra. Ma ella divenne irrimediabilmente fredda, sebbene il
suo cuore prorompeva d’amore per lui. Non è utile parlarne ancora, figlio mio. È una di quelle
tragedie della vita che attendono di essere illuminate dai riflettori di questi regni. Ecco dov’è situato
l’inferno per molti, persino dentro i raggi bianchi della luce che, pur essendo per loro come tenebra,
mostra tuttavia ogni macchia, ogni vergogna nascosta e ogni pensiero malevolo. Perché qui nulla
può essere tenuto nascosto. E, come disse il Signore: “A causa del male compiuto, essi odiano la
luce.”
La Luce e Dio sono parenti stretti, figliolo.
La casa nella radura che hai mostrato alla ragazza era la dimora di James, presumo.
Sì. Era la sua casa nella Quarta Sfera; e la gente di quella colonia era davvero felice solo quando
la luce della sua presenza compariva nei dintorni. Di questo parleremo in seguito.

CAPITOLO 4
DIAGNOSI DEI NUOVI VENUTI DALLA TERRA

Martedì 9 novembre, 1920.


Mentre James si avvicinava a noi, Mervyn lo guardava con crescente ansietà mista a esitazione.
E quando realizzò appieno che era l’uomo a cui pensava, uno sguardo di paura percorse il suo viso e
si girò indietro per la vergogna. Lui ci accolse calorosamente con un sorriso e, andando verso la
ragazza, pose le mani sulle spalle di lei, la girò delicatamente, e la prese fra le braccia. Così stretta,
la giovane pianse lacrime di dolore a lungo soffocate; non parlarono ma stettero in silenzio nel loro
reciproco amore, nel dare e ricevere in perfetta comprensione.
Poi tornammo tutti lungo il sentiero del bosco, lui tenendo per mano il bambino, e infine
raggiungemmo con passo tranquillo la Casa di James.
Nessuna notizia fu inviata, nessuno annuncio fu diffuso del suo arrivo. Eppure, mentre egli
entrava a casa sua, dalle abitazioni della radura cominciò a spargersi la voce. La gente veniva avanti
affermando con un sorriso, rispondendosi l’un l’altro, che James era arrivato da loro, ed erano felici
per la grande gioia che ricevevano dalla sua presenza.
Si raggrupparono all’aperto a guardare la casa, e la loro intuizione ricevette conferma. Le mura
lentamente assunsero un aspetto più trasparente e la brillante radianza, passando in mezzo a loro
verso l’esterno, toccava le foglie e i fiori e persino l’atmosfera attorno alla casa, finchè l’intero
complesso splendeva con la luce della sua presenza.
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Egli uscì subito e si avvicinò ora a uno ora all’altro, chiedendo dei loro progressi, e se erano
stati utili i consigli che aveva dato durante il suo ultimo soggiorno. Egli conosceva le necessità e la
condizione di ciascuno individualmente, e tutti erano deliziati dalla quieta energia e dall’opportunità
di progresso che irradiavano attorno a lui ovunque andasse. Erano tutti incoraggiati e felici perché
sapevano che lui, prima di loro, era stato in luoghi più luminosi, e aveva a cuore il loro
avanzamento.
James svolse il servizio che era suo dovere compiere, poi si recò più lontano nelle zone
periferiche dove l’aiuto era necessario. In questi viaggi Habdi chiedeva sempre il permesso di
accompagnarlo, e sovente questa richiesta era accolta, per la grande gioia del ragazzo. Ma Mervyn
rimase nei paraggi, contenta di riposare e ricevere le notizie al loro ritorno. Ladena restò a guidarla
nella sua nuova sfera di progresso. Ladena doveva svolgere molto lavoro da quelle parti, dove lei e
James agivano di comune impegno per istruire la gente di quella regione della Quarta Sfera.

SHONAR MANDA A CHIAMARE HABDI

Nel frattempo io ero tornato da Wulfhere per assisterla nel suo difficile compito, per quanto mi
era possibile farlo.
Un giorno sedevo con lei nel cortile interno del Palazzo del Governo. Era un luogo piuttosto
piacevole, situato in mezzo al gruppo di edifici che prendevano quel nome. Si tratta di un giardino
recintato e isolato dalle condizioni di quella regione della Terza Sfera in un modo che noi
conosciamo e usiamo quando è necessario. In questo cortile, con le sue piacevoli acque, alberi, prati
e fiori, la condizione era più simile ai migliori luoghi della Sesta Sfera che non della Terza. Qui ci
ritiravamo per riposare e pensare in tranquillità quando occorreva. E qui eravamo meglio capaci di
comunicare con la Quarta Sfera e oltre, e assumere i provvedimenti per aiutare questo reame assai
turbolento.
Ora tenterò di spiegare ciò che accadde mentre sedevamo assieme parlando di varie cose e, nei
momenti di silenzio, assorti ciascuno nel suo lavoro interiore di comunione con qualsiasi reame
richiedesse il nostro aiuto.
A un certo punto dissi: “Wulfhere, so che James cerca di comunicare con me, ma non riesco a
raggiungere la sua mente. Ti è forse possibile vedere in quella direzione con la tua visione?”
“No”, rispose lei, “non ci riesco. Dimmi Arnel, quale necessità sembra avere secondo te?”
“Non penso che abbia bisogno di qualcosa, ma piuttosto sembra offrire il suo aiuto, che sente
essere necessario nelle vicinanze. È anche intenzionato a portare con lui il ragazzo Habdi”.
“Portare Habdi qui hai detto, Arnel?”
“Mi sembra di captarlo, ma non sono certo.”
“Se non sei sicuro è perché egli, forse, non fa nessuna richiesta né offerta precisa, ma pone una
domanda.”
Allora restai in silenzio per ascoltare James, e ben presto scoprii che Wulfhere aveva ragione.
“È proprio così”, le dissi. “Egli non offre aiuto. È stato richiesto il suo aiuto. È certamente
importante. Anche quello del ragazzo Habdi. La sua domanda è: ‘Dove si trova lui nella Terza
Sfera?’”.
Lei rispose: “Arnel, figliolo, resta in silenzio mentre sbroglio questa faccenda.”
Dopo una pausa continuò: “Ora mi è chiaro ciò che mi rendeva perplessa qualche istante prima
che tu parlassi. Stavo cercando di rispondere a una chiamata laggiù in basso, ma non riuscivo a
capire. Adesso ho afferrato. È Shonar che chiama. Egli ha chiamato prima James perché portasse il
ragazzo. E ci chiama qui per incontrarci con loro e con lui al confine di questa Sfera dove vuole
passare a noi il suo fardello. Presto, manda un messaggio a James per incontrarci al Porto Pietroso.
E ora prepariamoci a partire. La questione ha un senso d’urgenza.”

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INCONTRO AL PORTO PIETROSO

Il Porto Pietroso era un luogo arido sull’estrema frontiera della Terza Sfera. Era cosparso di
grandi massi rocciosi, e fra loro diverse decine erano disposti a formare un passaggio irregolare
oltre i pendii della collina in basso, verso la regione inferiore. L’atmosfera del posto era piuttosto
cupa e pesante, e tutt’attorno si avvertiva la deprimente sensazione di una presenza infelice.
Arrivammo qui, non lungo la via principale né dalle pianure, ma direttamente dall’aria. Anche
James arrivò, ma il ragazzo non era presente. Wulfhere gli disse: “Ora, quale pensi che sia, giovane
amico, lo scopo di questo incontro?”
“Non so nulla”, disse James, “salvo che il ragazzo è venuto. Ma non l’ho portato con me in
questo posto. L’ho lasciato nel giardino del Palazzo del Governo.”
“Ti è arrivato il messaggio di Shonar?”
“Sì, e conteneva una certa urgenza.”
“Lo penso anch’io, caro James. Riguardo al ragazzo, forse hai fatto bene o forse no. Non saprei
dirlo. Dobbiamo attendere l’arrivo di Shonar.”
In breve tempo da lontano vedemmo, oltre la landa deserta di quella Seconda Sfera, un
movimento di gente. Venivano verso di noi lentamente. Infine, si fermarono ai piedi della nostra
collina e dalla folla uscì Shonar, che arrivò davanti a noi.
Disse: “Grazie, madre, e grazie a voi, amici miei, per aver risposto gentilmente alla mia
chiamata. Le cose stanno così: queste persone sono state appena massacrate dai loro oppressori.
Vengono dalla Terra, storditi e con violenti desideri di vendetta nei loro cuori. Li ho tenuti assopiti
e li ho trascinati via. La maggior parte di loro ha una vaga percezione di quanto è successo prima
della loro dipartita, e desiderano tornare per incitare i loro compatrioti a compiere rappresaglie.
Questo non deve accadere. Non c’è spazio in quel povero paese per ulteriori spargimenti di sangue
dettati dall’odio. L’atmosfera è già satura e non può assorbirne altro. Prendeteli e io tornerò senza
indugi là, nel luogo di tutto questo orrore. C’è ancora qualche demone all’opera laggiù, e io sono
necessario.”

UNA MOLTITUDINE INERME

“Perché venisti via, Shonar?”, replicò Wulfhere, con una certa severità. E potei vedere scaturire
il suo antico spirito di lupo che a fatica si teneva al guinzaglio.
“Perché essi sono di mente assai violenta e ostici da domare. Nessun altro poteva portarli così
lontano dalla loro normale atmosfera fino a questo luogo, Wulfhere. Se vuoi, madre mia, li
consegno a te. Troverai tutta la tua antica forza d’animo necessaria per il compito. Io do garanzia di
quella, madre mia. Accetterai questo incarico?”.
“Lo accetto”, disse lei, e vidi la sua forte e ampia fronte sollevarsi, ma solo di poco; la sua testa
sembrava fissata più fermamente nelle spalle.
“Vai, figlio mio; hanno bisogno del nostro possente gruppo laggiù. Io qui, tu là, agiremo
assieme e porteremo a termine il nostro lavoro. Hai fatto bene, Shonar, a inviare il tuo messaggio
direttamente a James. E il ragazzo, Shonar, è stata una buona idea chiamare il ragazzo. Ora vai, che
la Grande Potenza sia con te, ne hai bisogno, come vedo dai tuoi occhi.”
Shonar era in un momento di fortissima tensione. Ogni suo atomo di energia era teso e contratto
per la missione che doveva svolgere. Non aveva tempo per le parole. Si avvicinò con grandi passi a
sua madre, pose le sue poderose mani ai lati della sua testa, sopra i suoi bei capelli intrecciati, la tirò
verso di sé e la baciò dove i capelli si dividono, poi sollevò la mano per salutare noi due uomini, e si
diresse ai piedi della collina superando la moltitudine, la quale si muoveva a fatica, senza separarsi
troppo, ma stando vicini l’un l’altro nella loro impotenza. Ed egli si allontanò verso l’oscurità
sempre più cupa.
Wulfhere osservò la sua sagoma finchè non scomparve, e mormorò: “Sì, l’ho visto così in
precedenti occasioni. Sarà dura con i suoi avversari.”
66
COME EVITARE IL PANICO?

Per un po’ ella rimase seduta su una roccia in silenzio, assorta nei pensieri. I suoi occhi non
lasciarono mai quella massa di persone, il suo sguardo si muoveva su di esse, valutando la loro
complessiva condizione spirituale, intanto essi ondeggiavano come acqua disturbata dai venti
provenienti da molte direzioni. Sospesa in alto e attorno a loro aleggiava una nuvola di nebbia
percorsa da correnti di un rosso scialbo e un cupo verde-grigio. Osservai il loro numero, per quanto
fossi capace di vederli in quell’ammasso e nell’oscurità che li avvolgeva. Penso che fossero
all’incirca tremila uomini, duemilacinquecento donne e circa mille bambini.
Anch’io, come Wulfhere, mi concentrai sul loro animo interiore e alla fine giunsi ad avere
un’idea del problema che dovevamo affrontare. In breve le cose stavano così, per come si
presentavano a noi in quel momento:
Questa gente era stata orribilmente uccisa. Non erano persone di grado spirituale elevato,
eccetto alcune di loro. Se si fossero all’improvviso risvegliati dal loro torpore per la repentina e
violenta morte che li aveva colpiti, ci sarebbe stato uno scoppio di frenetica rabbia da parte di tre
quarti di loro. Questi avrebbero travolto gli altri e il risultato sarebbe stato il panico, un disordinato
fuggi fuggi per la paura e l’odio rievocato dalla scena del loro massacro. Arrivati qui, avrebbero
fatto, a loro volta, aizzare i loro compaesani ancora incarnati e il massacro sarebbe stato reiterato
contro i loro malvagi assassini. Sarebbe stata una vendetta, e la terribile storia della violenza si
sarebbe prolungata. Avevamo le nostre difficoltà da superare in questa faccenda. Il nostro obiettivo
era chiaramente tracciato davanti a noi. Dovevamo prevenire questa catastrofe. Ma i mezzi per farlo
non erano tanto chiari. Ciascuna di queste povere vittime era un essere dotato di libero arbitrio. Il
libero arbitrio è sacro, e non può essere negato. A ognuno di loro doveva essere data la possibilità di
scegliere quale strada seguire e cosa voler fare. E questa scelta doveva essere fatta in piena
conoscenza di ciò che sarebbe accaduto a lui e ai suoi simili. Non dovevamo ostacolare quella
scelta, né in alcun modo deviarla dal dominio della libertà.

IL LIBERO ARBITRIO IN CONDIZIONI FAVOREVOLI

Era nostro dovere fare in modo di assicurare che la scelta fosse fatta nelle condizioni favorevoli
alla saggezza. Nel loro stato attuale, queste persone non sarebbero state in grado di usare
liberamente la ragione, accecate com’erano dall’odio e dal terrore. Se avessero ripreso piena
coscienza in questo momento, le ultime emozioni sentite nel corpo fisico avrebbero fatto irruzione
nello spirito, e a questo disturbo si sarebbe aggiunto lo sbigottimento di ritrovarsi in un nuovo
ambiente: un deserto dove si sarebbero sentiti persi e destinati a morire di sete. Infatti non
avrebbero compreso la loro mutata condizione. Allora quella violenta esplosione di empie emozioni
li avrebbe immediatamente riportati al piano terreno che, a causa della sua estraneità, li avrebbe di
nuovo spaventati. Sarebbe stato bizzarro e inconsueto per loro osservarlo per la prima volta dal lato
dello spirito. Tuttavia avrebbero percepito i loro carnefici e tutti i fatti malvagi accaduti da quelle
parti. Allora ne sarebbe seguita una di quelle scene infernali sulla terra che, messa in atto
singolarmente o in gruppo, rende perplessi di tanto in tanto gli uomini circa la causa e le dimensioni
della diabolica crudeltà implicata. Noi qui vediamo l’origine di simili eventi.
Ti dirò in seguito come abbiamo affrontato questa bestia selvaggia, mettendole il giogo e
conducendola al recinto dove poteva trovare il tempo per riflettere sulla vicenda.
Ti ho illustrato il problema con qualche dettaglio, figliolo, e ciò ti servirà come chiave per
comprendere altri casi. Per la stessa ragione sarò quanto più preciso nel narrarti la soluzione.

ERRORE SIGNIFICA DISASTRO

Wulfhere e io alzammo gli occhi assieme e ci guardammo con sguardo interrogativo. Entrambi
ci accorgemmo subito di essere pervenuti alla stessa idea rispetto a come dovevamo procedere per
67
cominciare. Feci un cenno col capo e mi avvicinai a James che, non avendo fatto abbastanza luce su
questa complicata faccenda, si era appartato e stava osservando la folla inerte. Gli dissi: “James,
amico, c’è un gravoso lavoro da svolgere qui. Nessun errore deve essere commesso, altrimenti ne
seguirà un disastro. Prendi nota di quanto ti dico ed eseguilo con sollecitudine, figliolo. Capirai
meglio mentre le cose procedono.
“Vai al Palazzo del Governo, manda quaggiù quindici persone della nostra compagnia; essi
sapranno chi deve comporre il gruppo. Assieme a loro fai venire anche il ragazzo, Habdi.
“Poi vai da Ladena. Dille di preparare la mente della gente nella radura a svolgere un servizio.
Lei capirà. Dio sia con te, figliolo; siamo solerti nel Suo servizio.”
Posi le mani sulle sue spalle, egli mi guardò intensamente negli occhi e poi, girandosi, volò
veloce sulla regione per compiere la sua missione.
Poco dopo arrivò la comitiva. Wulfhere vide che avevo inteso il suo proposito e mi lasciò
impartire gli ordini al gruppo, mentre lei usava tutti i suoi poteri sulla moltitudine per consentire ai
nostri compagni di svolgere il lavoro il più efficacemente possibile. Così cominciammo a lavorare
assieme, io e lei. Il gruppo erano le nostre dita per districare questa matassa ingarbugliata, ed era
composto da sette uomini e sette donne, più una donna a condurre, e Habdi.

IL RISVEGLIO DEI BAMBINI

Assegnai loro il compito da svolgere, e subito si misero all’opera.


La folla lentamente cominciò a riordinarsi, finchè si formarono lunghe file di uomini e donne,
attraverso cui passavano i soccorritori. Io e Wulfhere sedevamo vicini e proiettavamo il nostro
influsso sulle persone. L’effetto era questo: i loro corpi cominciavano ad assumere un aspetto
semitrasparente, e dentro quei corpi poteva essere visto un duplicato mentale dei loro corpi fisici
recentemente abbandonati. Si vedevano le ferite, gli abiti che indossavano e i loro accessori, e anche
il luogo esatto in cui erano morti – ogni dettaglio nello stato terreno al momento del loro trapasso
era visibile come se fosse stato registrato nella loro mente. Questi furono analizzati dalla nostra
compagnia e, una volta fatto, furono separati in gruppi secondo la loro valutazione.
In seguito arrivò il momento di risvegliarli, allora anche noi due offrimmo il nostro aiuto
mentale. Prendemmo i bambini e li portammo sulla collina a una certa distanza nella Terza Sfera.
Qui creammo rapidamente uno scenario piacevole per loro, mutando le condizioni dell’area in
modo tale da neutralizzare il male e potenziare il beneficio. Così fu creato un grande, delizioso
prato vicino a un fiume, e il tutto fu inondato di luce solare. Ma solo coloro per i quali lo avevamo
approntato potevano vedere il luogo in quel modo; non era possibile vederlo per un viandante di
passaggio, perché restava invisibile.
Portammo qui i bambini e li risvegliammo. Destammo il primo e lo affidammo ad Habdi, che
lo portò via, gli mostrò alberi e fiori, e rispose alle sue domande. Quando questi fu a suo agio, ne
svegliammo altri tre. E poco a poco furono tutti svegli e tranquilli, quasi mille bambini.
Dopo aver ripreso le loro abitudini, quando furono capaci di pensare con calma, chiesero
dov’era situato questo posto, come vi erano giunti, dov’erano i loro genitori e le altre persone che
amavano. Habdi, si unì a loro, e diede molto aiuto con la sua spensieratezza e la sua saggezza di
fanciullo allegro. E poiché si era presentato come un abitante di quel quartiere a cui essi potevano
chiedere informazioni, quando ne facemmo richiesta, fu felice di farci conoscere ai bambini. Noi,
per conquistare la loro fiducia, dicemmo di conoscere i loro amici e che, fra non molto tempo, li
avremmo accompagnati in quel posto.
Questa fu la fase iniziale delle nostre operazioni, ed eravamo contenti che tutto fosse andato per
il meglio. C’è da dire che i bambini riescono a restare più sereni in queste circostanze rispetto agli
adulti. Questi ultimi erano il prossimo compito che ci attendeva, così lasciammo i bimbi alle cure di
Habdi, e ritornammo al Porto Pietroso.

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CAPITOLO 5
LA GENTE DELLA RADURA

Giovedì 11 novembre, 1920.


Rivolgemmo poi la nostra attenzione alle migliaia che erano in piedi, o per meglio dire, disposti
in ordine sulla pianura alla base della collina. Presi con me i sette uomini, e Ladena giunse al
comando di sette donne come assistenti. Ci muovemmo avanti e indietro lungo le file per un tempo
considerevole. Li osservammo, indagandoli con cura alla ricerca di coloro che potessero fare al caso
nostro, nel cui animo non fosse rimasto troppo rancore. Li avremmo risvegliati, conversato con loro,
e poi invitati a entrare nella nostra compagnia per aiutarci col resto della moltitudine. Non trovai
nessuno, tranne un uomo che era stato sacerdote. Lo risvegliai e lo presi da parte.
Ladena invece trovò tre donne, e alla fine erano otto le persone da aggiungere a quel numero
rispetto a tutta quella moltitudine. In verità fu un misero raccolto, a causa dell’immenso odio che
avviluppava i loro cuori. Ma devi considerare un fattore, figlio mio, ed è il seguente. Queste persone
si trovavano ora nello stato in cui erano al momento della loro uccisione. Sapevamo che molti di
loro, una volta risvegliati in coscienza e ricevute le spiegazioni di quanto era accaduto, avrebbero
respinto il frenetico odio della loro morte e sarebbero venuti a più miti consigli. Ma non sapevamo
chi di loro lo avrebbe fatto, e quali sarebbero stati gli individui più ostinati. Era una questione di
previsione e per noi era difficile anticipare la loro linea di condotta mentale e spirituale. L’elemento
preoccupante era quello stesso libero arbitrio che contraddistingue l’uomo, e lo rende paladino della
divinità. Per il momento lasciammo da parte questo problema; sarebbe stato affrontato con più
calma in un secondo tempo. Tornammo perciò alla nostra compagnia con Ladena, per supportarli
nella loro più promettente ricerca.

IL VESCOVO

Prima aiutai il sacerdote. Era seduto su una collinetta nella pianura, con la testa tra le mani.
Sollevava di tanto in tanto gli occhi, ma poco poteva scorgere non riuscendo a focalizzare bene
quell’ambiente. Sospirava senza sapere il perché, credeva di dormire e di sognare, e che presto si
sarebbe svegliato. E in questo non si era sbagliato di molto.
Restai davanti a lui e riversai la mia volontà nella sua, assistito dai miei compagni. Intanto egli
si alzò, distese le braccia in alto, sospirando ancora una volta. Allora lo guardammo negli occhi, e
infine riuscimmo a fissare i suoi nei nostri. Lentamente i suoi occhi si misero a fuoco, aggrottò le
sopracciglia sul suo grazioso volto, e in poco tempo fu pienamente sveglio; poi si diresse verso di
noi e ci rivolse queste parole: “Vi prego di perdonarmi, signori, mi ero appisolato un attimo. Ma –
non capisco – sì, in verità mi sono addormentato, ma non ero qui – non penso, signori, che voi siate
della compagnia di quegl’altri. Siete venuto in mio soccorso, gentiluomo? Sono piuttosto
confuso……….”
S’interruppe bruscamente, avendo intravisto le migliaia di suoi ex compatrioti in prevalenza
assopiti, alcuni agitati, altri camminare lentamente per pochi metri e di nuovo sedersi con gli occhi
smarriti nel torpore.
Allora ci guardò seriamente e senza paura. Era di animo nobile, e mi rallegrai molto pensando
che presto si sarebbe unito alla nostra comitiva. Disse: “Ora ricordo. Miei poveri fratelli, il mio
popolo. Dio aiuti loro a dominarsi, come spesso gli ho consigliato di fare; trattenetevi, povere
pecorelle, e perdonate. Ma riguardo a voi”, continuò, girandosi rapidamente verso di noi; poi si
fermò e disse più adagio: “Tuttavia voi non avete l’aspetto di coloro che commisero questo crimine
contro il nostro popolo, né vedo armi nelle vostre mani.”
A quel punto replicai: “No, e non ne abbiamo neanche addosso. Vedo, signore, che tu già
intendi il tuo nuovo stato, sai che hai superato la porta della morte.” Egli annui. “Vedo anche che
appartieni all’ordine sacerdotale.”
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“Sono sacerdote e vescovo; ma ciò è irrilevante.”
“Tu, assieme a questo tuo gregge, siete stati uccisi dai vostri nemici. Ma tu hai perdonato quei
nemici.”

“POSSO AIUTARVI IN QUESTO COMPITO”

“È tutto vero, signore, perché nell’altra vita m’imposi come regola di perdonarli in anticipo
qualsiasi cosa mi avessero fatto, dato che vivevo sempre in presenza della loro malevolenza e
cattiva intenzione. Ma chi siete voi, se posso chiederlo, gentiluomini?”
“Noi siamo soccorritori angelici avviati a una difficilissima ricerca”, dissi io, parlandogli del
nostro compito e dei nostri timori circa quella moltitudine. Questi era una grande anima, e percepì
prontamente la nostra serietà e il nostro obiettivo, afferrando molti dettagli con l’intuizione.
Allora disse: “Posso aiutarvi in questo compito, se mi arruolerete al vostro servizio, e aiutando
voi, sarò d’aiuto anche a questi poveri piccoli; poiché, signori, essi sono poco più che bambini, e
dovrete avere pazienza con loro.”
Così tenemmo una riunione, ed egli ci fu realmente di grande aiuto. Indicò quelli che erano
sacerdoti e officianti; poi altri suoi compaesani che sapeva essere di buon cuore. Inoltre ci mostrò
chi erano i più pericolosi e turbolenti – circa 700, e di questi circa una ventina appartenevano al
clero.
Svegliammo gli individui più spirituali uno alla volta; egli parlava con loro, spiegando con
grande pazienza tutto quello che era successo, e in che modo potevano aiutare gli altri facendo del
loro meglio. Poi li riunimmo in disparte per farli riposare un istante.

UNA DIFFICOLTÀ

Ladena intanto si occupava delle donne nello stesso modo. Prima separò quelle che avevano
figli, le portò via dal deserto e le condusse a quel prato dove i piccoli cominciavano a divertirsi,
sentendosi a loro agio.
Qui le donne trovarono, per il momento, abbastanza tempo per coccolare e abbracciare i loro
bambini. E così Ladena le lasciò e ritornò a sistemare il gruppo successivo.
La cosa andò avanti così finchè avevamo ridotto i ranghi a 700 anime violente e altre, più del
doppio di quel numero, difficili da definire: gli incerti. Di questi circa 50 erano donne.
Delle persone risvegliate avevamo riunito una compagnia di 180 uomini e 23 donne, che
potevano darci una mano nel nostro lavoro. Gli altri non erano abbastanza risoluti d’animo. Alla
loro testa ponemmo il vescovo e un consigliere, che era stato amico e protettore del vescovo nella
vita terrena; e noi guidammo la compagnia tramite questi due.
Tuttavia c’era una difficoltà. Le persone violente erano addormentate. Dovevano essere
risvegliate. Ma noi avevamo timore di farlo, poiché sapevamo che l’esplosione di violenza sarebbe
stata disastrosa. Parlammo a lungo, e nessuno dei miei compagni del Palazzo del Governo, né di
questi nuovi arrivati dalla Terra, trovò una soluzione. Così piombammo in un pensoso silenzio.
Mentre sedevamo là, arrivò, da poco distante, una voce profonda e potente, ma assai dolce e
piena di melodia: “Quale lezione hai imparato dal Cristo Bambino, Arnel, figlio mio?”
Mi alzai e mi guardai attorno. Lontano, seduta sulla cresta della collina c’era Wulfhere come
l’avevo vista l’ultima volta, serena e tranquilla ma, come potei osservare, energica e tesa all’azione.
Poggiava il mento sul palmo della mano, con il gomito sulla gamba, e i suoi occhi fissavano dritti i
miei e mi trattenevano.

“UN FANCIULLO LI CONDURRÀ”

Mentre la guardavo, la scena nella Sala delle Colonne apparve come una visione nella mia
mente, assieme a quella nella radura e nella Rotonda, dove i bambini erano ascesi alla Città.
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Sospirai molto per il contrasto fra quei dolci scenari e questo. Ma alla fine sapevo quale risposta si
aspettava Wulfhere, e gliela diedi: “Un fanciullo li condurrà, come disse l’antico profeta. Sì, in tutte
le imprese dei bambini, il Cristo Bambino era davanti.”
“Io non conosco il tuo profeta, Arnel. Ma egli ha parlato bene. Tieni conto del suo
insegnamento – dell’insegnamento del Cristo Bambino.”
“Egli li guidò con la dolce bellezza del Suo amore”, dissi, mentre cercavo di capire in che modo
lei avrebbe applicato questo principio al caso in questione.
“È così che li condusse”, rispose lei, “invece io ho perso l’arte di farlo, nel passato, a causa del
lavoro strenuo e spietato che venne assegnato a me e a Shonar. Ma mi sovviene nel cuore ciò che la
mente faticherebbe molto ad ammettere e cioè che io comprendo meglio di te, mio buon Arnel, la
forza trascinante che la tenera guida di un bimbo può esercitare. Poiché, come vedi, questa è la
soluzione del tuo problema, figlio mio, e tu non l’hai trovata.”
Allora la raggiunsi sulla collina e dissi: “Ma Wulfhere, non possiamo pretendere che il Cristo
Bambino venga da queste parti. La sua somma purezza non sopporterebbe queste condizioni di
male.”
“Persino in questi luoghi pregherei per la Sua dolce Presenza se fosse necessario. Ma la nostra
attuale esigenza non è così grave. C’è un altro.” Immediatamente il senso delle sue parole irruppe
dentro di me, e dissi: “Habdi!”
“Egli sarà adeguato. Portalo da noi, Arnel, poi ti chiarirò la questione. Non l’ho nominato
all’inizio, per evitare che mi credessi irragionevole. Ma hai avuto qualche difficoltà a capirlo, caro
Arnel.”
“Pensi che sia forte abbastanza per esserci d’aiuto, Wulfhere?”
“Ti dirò in seguito come egli sarà d’aiuto.”
Così corsi a prendere il giovane Habdi e, dopo aver fatto velocemente ritorno, feci sedere il
ragazzo davanti a lei.

ANCORA DIAGNOSI DEI NUOVI VENUTI

Martedì 16 novembre, 1920.


Con l’aiuto di queste persone scelte andammo di nuovo fra le schiere. Chi nella vita terrena
aveva conosciuto gli individui ancora assopiti, ci trasmise il suo bagaglio di conoscenza man mano
che fu capace di inquadrare il loro carattere. Usammo queste informazioni per la nostra diagnosi.
Fummo così in grado di raggruppare in un luogo alcune centinaia di individui dal carattere migliore.
Questi furono disposti in cerchio e risvegliati alla piena coscienza.
Li osservammo molto meticolosamente, rimanendo a breve distanza fuori dal cerchio, senza
essere visti. Potevamo leggere il processo mentale di ciascuno mentre aprivano gli occhi nel loro
nuovo ambiente. L’idea generale che circolava era che i loro nemici li avevano confinati in esilio e
lasciati in questo luogo tetro e abbandonato, forse, a morire di fame. Questo era il tenore della loro
conversazione quando ruppero il silenzio.
Ma ben presto uno dopo l’altro ammutolirono tutti, dopo che una strana visione era apparsa
davanti ai loro occhi.

LA SAGGEZZA DI HABDI

In mezzo al cerchio stava un ragazzo giovane, calmo e controllato. Sorrideva e poi, dirigendosi
verso uno che riteneva avere l’aspetto più intelligente dei suoi compagni, disse: “Hai attirato la mia
attenzione, signore, perché nel tuo volto traspare un’espressione di tenerezza. Spero vorrai
piacevolmente conversare con me, o no?”
L’uomo l’ho guardò incerto. Si alzò e si mise in allerta sospettando complotti e tradimenti
provenienti dalla terra.

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“Chi sei tu, giovanotto”, disse l’uomo, “che mi parli con tanta audacia? Non appartieni al
gruppo dei nostri bambini. E te ne vai solitario da queste parti.”
“Io non sono proprio di queste parti”, rispose Habdi, “vivo ad alcune leghe di distanza. Però mi
è stato concesso di conoscere un po’ questa zona e se posso aiutare voi, che siete stranieri, mi
farebbe molto piacere.”
“Hai una certa dose di sfrontatezza, ragazzo, ma nonostante questo mi piaci. Come mai non hai
paura di noi, che siamo uomini violenti, visto che sei venuto da solo e sei soltanto un bambino?”
“Signore, ho già mostrato una certa saggezza, infatti, ho trovato quello che cercavo, e ho indotto
te a darmela.”
“E cos’è che cercavi e che io ti ho dato senza che tu me lo chiedessi?”
“Ero deciso a conoscere com’era il tuo cuore, se duro o gentile, e ora so che non è l’uno né
l’altro nel complesso; tuttavia c’è più gentilezza che odio, e per questo ti aiuterò.”
L’uomo, malgrado i suoi dubbi e qualche pensiero astioso a causa della sua recente esecuzione
da parte dei suoi compaesani, scoppiò a ridere.
E poco dopo disse: “Eppure, giovanotto, c’è qualcosa di strano nel tuo aspetto; è così. Chi sei, a
quale tribù appartieni? Dimmelo subito.”
Habdi indugiò un attimo, ma non chiese il nostro aiuto, né noi lo mandammo. Alla fine replicò:
“Vedo che non sei solo di animo gentile, ma sei anche un osservatore. Forse un giorno saremo
amici, tu e io. Bene, signore, dammi la tua mano, aumenterò ancora la sua saggezza.”
L’uomo con un sorriso stese la sua mano, e Habdi la strinse forte nella sua. All’istante lo
sguardo dell’uomo si trasformò. Non c’era paura, né dolore, né dubbio, ma un misto di tutto. Cercò
con qualche esitazione di ritirare la mano, ma senza riuscirci. Habdi lo tratteneva col suo sguardo
intenso senza mollarlo e, a sua volta, sorrise. E mentre se ne stavano là, il ragazzo assunse pian
piano un’apparenza più luminosa. Non s’innalzò alle condizioni della sua sfera, né di quella
superiore in cui eravamo. Ma effettuò una parziale trasmutazione del suo corpo così che, restando
visibile all’uomo, appariva più radioso, più etereo, pur mantenendo la sua presa energica come
all’inizio.
Poi lentamente riassunse la precedente condizione e, continuando a sorridere, lasciò la mano
dell’uomo. Gli altri assistettero sbalorditi.
Allora Habdi si rivolse a questi e spiegò tutto quello che era accaduto; gli disse dov’erano i loro
compagni, le donne e i bambini, e li invitò a seguirlo, che li avrebbe condotti a unirsi a loro.
Non tutti, ma quasi tutti, andarono con lui. Alcuni rimasero indietro e ricaddero nel torpore,
ritornando da quelli che avevamo lasciato addormentati.

“SEGUI IL CAPO BRANCO”

Il prossimo intervento era il penultimo della serie. Te ne parlo adesso. I precedenti interventi
avevano richiesto un considerevole arco di tempo. Se parlassi in termini terreni direi che ci vollero
pressappoco tre settimane. Da allora i primi che furono salvati si erano rapidamente adattati alla
nuova vita, specialmente i bambini.
Ora dovevamo trattare con i peggiori di loro.
Adottammo di nuovo la formazione circolare, ma lasciando uno spazio verso il passaggio fra le
rocce sul bordo dell’altura. Di nuovo Habdi si mise al centro, ma con lui c’erano una dozzina di
bambini provenienti dal prato. Questi erano felici e si trastullavano giocando a “Segui il capo
branco”. Si erano messi in fila tra le rocce e fuori di esse completando il cerchio. Non erano turbati
dalla gente assopita a causa della loro diversa condizione, che li rendeva poco riconoscibili dai
bambini, sebbene non del tutto invisibili. Voglio dire che i bambini se pur avessero conosciuto
qualcuno di loro, non sarebbero stati in grado di identificarli, con le loro facce e forme, essendo,
come dire, offuscate e non chiaramente delineate. È il meglio che posso esprimere per fartelo
capire, figliolo.

72
DOLORE

Quindi li risvegliammo. Attesi finchè non potei di nuovo vedere facilmente tutti i bambini che
seguivano Habdi, il quale, questa volta, li dispose attorno al cerchio, a pochi passi di fronte agli
uomini. Sul secondo cerchio uno di loro che aveva osservato i fanciulli molto attentamente – con gli
occhi tremuli a causa delle vibrazioni provenienti da loro in contrasto col suo stato più grossolano –
giunse a dedurre che uno di quei bimbi era senz’altro il suo. Così, allungò le mani e ne prese uno fra
le braccia. Era una fanciulla di circa sette anni.
All’istante quel contatto lo fece gridare di dolore. Si accasciò al suolo, rimanendo là arrabbiato e
impaurito.
Puoi dirmi cos’era successo, se ti fa piacere, signore?
Quando si avverte dolore nel corpo accade per l’effetto di una serie di vibrazioni che entrano e
impattano sul funzionamento energetico della parte colpita; queste vibrazioni sono discordanti con
quelle già presenti nell’area affetta. Le nuove vibrazioni non corrispondono per rapidità e qualità
alle altre. Sia la velocità che la direzione del loro moto vibrante sono atipiche. Esse inoltre
ostruiscono il fluido vitale che connette il corpo etereo e il sangue. C’è ancora molto nel campo del
dolore fisico che i vostri uomini di scienza devono scoprire. C’è anche molto di più di quanto ti
abbia detto adesso.
Andiamo avanti. L’interazione tra il corpo della bimba e quello dell’uomo era di natura
pressoché simile. Il contatto dei due corpi fu penoso per lui perché la sua più lenta vibrazione non
poteva conciliarsi col flusso di vibrazione superiore che lo colpiva proveniente dal corpo della
bambina.
Ma se avesse perdonato e fosse stato di animo gentile, sarebbe andato tutto bene?
Certo, figlio mio. Il tocco della bimba sarebbe stato piacevole per lui invece di procurargli
dolore.

ALTRI DUE GRUPPI SISTEMATI

Allora i suoi compagni ruppero il cerchio per vedere in quale ulteriore disastro era incorsa la
loro compagnia. La paura della sciagura invadeva la loro mente, mentre odio e sete di vendetta
prevaricavano i loro cuori.
Ci facemmo avanti, io, il vescovo e il consigliere, lasciando i nostri aiutanti fra i massi rocciosi.
Richiamammo i bambini, e il consigliere chiese di fare silenzio. E, come fece Habdi con i loro
compagni, spiegò cosa gli era accaduto e il loro attuale stato.
Ne seguì un gran chiasso mentre discutevano della faccenda. Alcuni si unirono a noi e si
affidarono alla nostra guida. Altri vollero andare ad esplorare la regione con le loro forze. Altri
ancora nulla accettarono se non tornare verso la terra e cercare il modo di vendicarsi sui loro
assassini.
Noi con pazienza li dividemmo in tre gruppi. Il primo lo assegnai alla guida dei miei stessi
colleghi. Il secondo lo affidai al vescovo e al consigliere. A questi ultimi, e ad alcuni dei migliori,
dissi che mi sarei tenuto in contatto durante i loro pellegrinaggi, a volte sarei andato a trovarli, e li
avremmo soccorsi casomai ne fosse sorta la necessità. Erano due anime grandi e forti, figlio mio.
Faranno un buon lavoro qui; e penso che la terra li sentirà ancora nel corso delle loro operazioni.

IL RESTO RITORNA AL PIANO TERRENO

Dopo aver sistemato queste due compagnie, mi avvicinai ai rimanenti. Stavano imprecando
contro i loro nemici e l’uno contro l’altro; erano in uno stato davvero pietoso.
C’erano delle donne fra loro?
Non poche donne, e alcuni sacerdoti. Non ho registrato il loro numero mentalmente. Poco
importa, dovrei cercarlo per te nei nostri archivi. Sì, c’erano donne, e alcune erano madri di quei
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bambini che le attendevano nel prato. Ero dispiaciuto, figlio mio. Forse si pentiranno della loro
follia quando ormai i loro dolci fanciulli saranno lontani dalle loro aspirazioni, nei regni superiori,
fuori dalla loro portata. Può anche darsi che esse non desiderino questi bambini, nati dal loro
grembo, prima che siano passati secoli. Lasciamo che sia così, figliolo. È, come dico, una storia
dolorosa, che rende triste il cuore di un angelo.
Così, dopo avere recuperato meno di una dozzina di loro, e con qualche difficoltà, lasciammo
partire i restanti. Inviammo un dispaccio a Shonar per informarlo delle nostre operazioni e
dell’arrivo degli impenitenti verso la sua sfera d’azione. Egli se ne sarebbe occupato laggiù e,
quando il loro desiderio fosse stato soddisfatto e arrecato tutto il male possibile sul piano terreno,
avrebbero gravitato attorno ai loro inferi per redimersi e purificarsi. Alcuni avrebbero insistito nel
visitare la terra di tanto in tanto; questo non poteva essergli negato. Tuttavia solo quelli di animo
veramente cattivo sarebbero stati capaci di fare del male. Questi sono coloro che fanno del tuo
mondo un luogo di sofferenza, figlio mio, quando invece potrebbe essere un posto felice.

“PREGA PER LA GENTE DELLA RADURA”

Cosa fece Wulfhere durante tutto questo tempo, Arnel?


Dopo aver fatto quant’era in suo potere, ci lasciò e andò prima al prato, poi alla radura. I
reclutati furono inviati là, uno alla volta, e la colonia aumentò rapidamente; la foresta fu pervasa
dalle grida dei bambini, che assieme alle donne e agli uomini furono istruiti nella nuova vita, nelle
sue leggi e meraviglie.
I bambini di Barnabas, figlio mio: ricordi i Bambini di Barnabas?
Sì, Arnel; prego ancora per loro da quando mi invitasti a farlo.
Dio sia con te, figliolo, fai bene, perché un giorno li conoscerai. Prega anche per questa Gente
della Radura, e un giorno sarai contento di loro, così come avrai gioia quando la Gente di Barnabas
ti darà il benvenuto per i gentili pensieri che hai mandato a loro.

CAPITOLO 6
RELIGIONI DELLA TERRA: SCENA DI UN LETTO DI MORTE

Mercoledì 17 novembre, 1920.


Qualche tempo dopo gli eventi di cui ti parlai l’ultima volta, il popolo della radura fu raccolto
per essere istruito. Essi si erano mescolati assieme e, sotto la saggia e gentile guida di James,
avevano appreso a tollerare le differenze di opinione e di usanze in fatto di religione con reciproca
buona volontà. Tuttavia queste differenze perdurarono e si mantennero per un certo periodo. Ma
James cercò di mostrare loro le grandi verità che avevano in comune, e come le piccole verità
potevano talvolta essere combinate per rendere completa qualche verità maggiore. Così le
divergenze terrene furono superate, lasciando il posto a un vero e proprio senso di bene comune.
Nessuna diversità venne tralasciata. Fu affrontata amichevolmente e con franchezza, e le
persone trovavano piacevoli questi incontri.
Un giorno James si trovava sulla terrazza davanti a casa sua, e Habdi sedeva sui gradini di
fronte, mentre Ladena e Mervyn erano sdraiate sotto la piccola pensilina che correva lungo la parte
anteriore della casa.
La veranda.
Proprio così, figlio mio; una cosa del genere. Io ero appoggiato contro uno dei pilastri di questa
veranda, un po’ dietro e alla sinistra di James.
Ti racconto l’episodio che ne seguì. James disse: “Penso che l’uomo laggiù abbia qualcosa da
dirci.”

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Indicò un uomo in mezzo alla radura che si era adagiato su una collinetta sotto un grande albero
alla sinistra dello spazio aperto, rispetto a dove eravamo per osservare le persone.
L’uomo era un po’ esitante, ma dopo aver guardato l’aspetto gentile del giovane leader, disse,
alzandosi: “Nulla di importante ho in mente, signore. Volevo porre una domanda. Sto cercando di
capire perché siamo così diversi gli uni dagli altri al punto da non riuscire, col passare degli anni, a
trovarci d’accordo su certi argomenti, quando dovremmo vedere tutte le cose allo stesso modo.”
James stava per rispondere quando ci fu una piccola interruzione. Gli alberi che prima erano
immobili cominciarono a oscillare, e le foglie ad agitarsi, come se un vento leggero percorresse la
radura. Ma nessun venticello soffiava. Lo stesso fecero le piante rampicanti attorno alle case; e le
case stesse tremarono leggermente. Persino i nostri abiti ne erano lambiti e sembrava che un
uccellino volasse attorno a noi sfiorando delicatamente i nostri corpi con le sue ali. Tenui ombre
colorate increspavano il tessuto di cui erano fatti i nostri abiti; poi lentamente il tremito di case,
alberi e atmosfera si esaurì. E tutto tornò fermo.
Fu un’esperienza gradevole, e diede ai nostri corpi un brivido di vitalità che fu edificante. Molti
non lo compresero. E noi non demmo spiegazioni in quel momento. Invece James lanciò
un’occhiata nella mia direzione, io annuii e sorrisi dando un tacito consenso alla sua richiesta e mi
feci avanti.

PARABOLA DI UN GIARDINO

Cominciai: “Un uomo decise di ripulire la sua terra alberata per poter costruire una casa nella
sua nuova proprietà. Vi avrebbe lasciato spazio anche per un giardino. Così chiamò i suoi figli e
chiese loro di cominciare a piantare l’orto scegliendo gli alberi e le piante più capaci di produrre
frutti. I fratelli però non si trovarono d’accordo fra loro. Il primo disse: ‘Io pianterò un albero di
mele, perché il frutto è salutare e abbondante.’ Un altro asserì: ‘Ma d’inverno il melo non è
attraente. Io pianterò agrifogli che mostrano un aspetto brioso tutto l’anno.’ Il terzo concluse:
‘Tuttavia le bacche dell’agrifoglio non sono buone da mangiare. Io pianterò i cavoli, che sono buoni
e danno un copioso raccolto.’
“Così andarono assieme dal padre e ciascuno elogiò la propria scelta. Ma egli non fece lodi a
nessuno. Ordinò di coltivare il giardino, ciascuno secondo il proprio desiderio.
“Avvenne che, alla fine dell’anno, li mandò a chiamare: ‘Il giardino è stato seminato, figli miei,
i frutti sono stati raccolti. Ho notato che chi ha piantato le mele non disdegna di mangiare il cavolo
nella sua stagione. E chi ha piantato il cavolo non esita ad ammirare l’agrifoglio quando cade la
neve. Mentre chi ha piantato l’agrifoglio è stato felice di avere nel piatto sia le mele che il cavolo.
Avete fatto tutti bene, ciascuno nello spazio che aveva a sua disposizione. Però io ho dimostrato di
avere maggiore saggezza rispetto a ciascuno di voi in ragione della mia anzianità. Poiché se ognuno
di voi avesse seguito il suo desiderio, avrebbe coltivato l’intero giardino in base alla sua scelta. E
guardate: avremmo tutti mancato di qualcosa, perché ognuno di voi mancò di saggezza. Vi
consiglio perciò di aiutarvi l’un l’altro in futuro, di coltivare e seminare assieme il giardino.
Capirete che sarà più facile lavorare in questo modo, e anche più piacevole.’
“Così, miei bravi bambini, anche voi siete qui nel giardino del vostro giovane leader James, e
sono certo che egli trova piacere nella diversità che offrite al bene di tutti.”
Feci una pausa e poi continuai.

UN FLUSSO D’AMORE

“Poco fa avete costatato la presenza di un leggero disturbo vibrante, buona gente. Ho notato che
ne foste perplessi, ma anche compiaciuti quando vi passava accanto. Esso ha toccato ciascuno di noi
allo stesso modo, come se fossimo una sola mente e un solo cuore. È così che avviene quando per
un momento aspiriamo verso il nostro destino superiore. I piccoli problemi si aggiustano

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facilmente, e gli elementi più nobili dentro di noi pulsano all’unisono con gioia, come abbiamo
sperimentato in quel breve lasso di tempo.
“Non sapevate, figli miei, cos’era quella piacevole onda di pace e buona volontà che ci fu
inviata. Coloro che piantarono il giardino ebbero una visione solo parziale. Loro padre fu capace di
vedere l’insieme così come sarebbe diventato nella sua interezza. E io ho avuto la stessa visione,
mentre ognuno di voi seminava l’una o l’altra verità in questo giardino di anime; tuttavia, come un
tutto, voi siete un giardino fruttuoso e in armonia per quanto riguarda le vostre aspirazioni più
profonde. È solo su una comunità come questa che angeli elevati sono capaci di spandere raggi
splendenti d’amore e la loro benedizione.
“E quando una compagnia di quei luminosi servitori passò poco fa sulla radura, l’intero
ambiente, e voi, fu in grado di ricevere il loro flusso d’amore mentre essi sostavano un momento a
guardare, e con un sorriso versarono la dolce rugiada della loro benedizione sopra di voi, per poi
proseguire il loro cammino verso la terra per adempiere a qualche servizio.
“Fatevi coraggio, dunque, e procedete sul sentiero che avete intrapreso, e la radura splenderà
man mano che il vostro reciproco amore crescerà.”

I SISTEMI RELIGIOSI DELLA TERRA

Giovedì 18 novembre, 1920.


Dopo aver terminato la lezione rivolta a quegli adulti, che erano come bambini, li osservai con
qualche interesse misto a divertimento. Discutevano i diversi punti di vista che si potevano adottare
circa la questione di cui avevo parlato, ed erano molto presi dalla loro discussione. Sembrava
esserci una nuova luce con cui guardare le cose e le altre persone, con i loro diversi modi di pensare
e di praticare la fede in un Creatore. È strano vedere come coloro che vengono qui, persino
nell’epoca attuale, siano ancora fissati con l’idea che tutti i loro vicini siano fuori strada, e che solo
loro possiedono l’amore totale del loro Creatore.
Questo non è il modo con cui trattiamo l’argomento, tuttavia annotalo, figlio mio. Noi non
diciamo che tutti i sistemi religiosi sono uguali. Certo che no. Ma sappiamo che fra tutte le religioni
di oggi, alcune accentuano un certo aspetto della verità, altre ne accentuano un altro, ma nessuna
abbraccia l’intera verità. Tutte guardano verso l’unico Trono Centrale del Firmamento, e da quel
Centro giungono a loro i raggi della saggezza che rendono il mondo, in cui si dispiega il tuo attuale
destino, un oggetto di studio di grande interesse per noi che viviamo nei regni spirituali.
Ora qualche piccolo approfondimento.
Noi non disdegniamo alcun sistema religioso. Ci serviamo di tutti in base alla loro utilità per
l’uno o l’altro caso. Sicché io, che nella vita terrena m’impegnai a cercare e trovare Gesù Cristo,
che potei amare e servire, venni qui ancora smanioso di ricerca. Portai avanti la mia impresa, poiché
trovavo l’idea terrena di Lui molto difettosa e inadeguata, e arrivai a conoscerLo più di quanto avrei
fatto se avessi deviato e battuto altri sentieri lungo il mio percorso. Al contrario, mi fu dato il
consiglio di continuare ciò che avevo cominciato dal momento che, persino sulla Terra, ero una
sorta di cavaliere errante alla ricerca della verità, e non mi facevo scrupoli a schernire coloro che
dicevano di possedere la facoltà concessa da Dio di custodire la verità e di trasmetterla non appena
gli uomini di scarso sviluppo spirituale fossero stati in grado di riceverla. Ecco cosa mi faceva
arrabbiare, figlio mio. Ed è ancora così che ora, dotato di più forza e saggezza, guido i pensieri degli
uomini a maggiore espansione. Essi chiamavano me e i miei amici eretici. Ma l’eretico più grande
di tutti i tempi era Cristo, che loro veneravano, mentre a noi ci condannavano.

LUCI ATTORNO AL LETTO DI MORTE

Ma non andrò oltre con questo.


Quando Habdi venne da questa parte, fu prima messo al corrente della verità secondo l’aspetto
che si trovava nella Fede del suo battesimo. Egli fu battezzato come bambino cristiano, e fu istruito
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qui nella fede Cristiana – non nei suoi errori, ma nel suo contenuto di verità. In questo modo fu
capace di aiutare sua madre quando anche lei arrivò qui. Inoltre fu meglio equipaggiato per trattare
coi bambini appena nati nella vita spirituale, quando vennero posti sotto la sua responsabilità. È di
questo che ti parlerò adesso.
Mi trovavo ancora nella radura quando mi giunse un messaggio. Ascoltai attentamente poiché la
maniera in cui mi perveniva denotava una certa urgenza. Veniva da quello stesso gruppo di
viaggiatori angelici che era appena transitato sulla radura, e di cui ti ho parlato. Si rivolsero a me
per chiedermi di seguirli e condurre Habdi al loro servizio.
Così partii senza indugi e li incontrai riuniti attorno al letto di una bambina di circa sei anni.
Potevo vedere che era sul punto di passare da questa parte. La casa apparteneva a un signore di
media agiatezza. Non era ricco, ma lavorava per guadagnarsi il pane. Quando arrivai la stanza era
piena di luci colorate.
Intendi le luci spirituali?
Parlo di come ci apparvero a noi su questo lato. Sì; erano luci spirituali, come hai detto. Tuttavia
non provenivano da noi disincarnati. Alcune di quelle luminescenze erano generate dal padre e dalla
madre della bimba. Esaminai bene queste luci. E tramite esse compresi i due genitori. Non c’erano
che poche tonalità di grigiore nelle loro aure. La donna era spiritualmente meno elevata dell’uomo.
Ma entrambi erano bravissime persone. Mentre la bambina s’indeboliva, essi cominciarono a capire
che la situazione gli stava sfuggendo di mano, così si raccolsero attorno a loro colori più tristi e la
lucentezza si affievolì. La fede cominciò a vacillare – la loro fede nella bontà di Dio.

HABDI ACCOGLIE UN NUOVO VENUTO

Tuttavia erano anime sincere, ecco perché esseri superiori erano venuti ad aiutarli in quell’ora
buia.
Un uomo e due donne erano gli angeli che si occupavano della bimba. Stavano là e
controllavano che tutto andasse bene mentre la piccola trapassava. Condussi Habdi da loro. La
compagnia che mi aveva chiamato nel frattempo se ne stava appartata ed era concentrata sull’uomo
e sua moglie per sostenerli.
Infine la piccola fece un respiro profondo, poi smise di respirare. Durante questo momento il
suo corpo spirituale si era sollevato dal corpo fisico, ed era quasi libero. Così le due donne addette
la presero fra le braccia e la distesero per farla riposare qualche minuto. Poi la svegliarono. Habdi
andò da lei, la prese per mano, le sorrise e la baciò sulla fronte dandole un’allegra accoglienza. A
sua volta, ella sorrise prontamente e così, mano nella mano, i due bambini andarono via, l’uomo e le
due donne li seguirono, e presto raggiunsero la Casa di James nella radura.

LA VISIONE DELLA MADRE

Ora, quando l’ultimo profondo alito fu esalato, i due genitori si gettarono sul corpo privo di vita
della figlia e caddero in lacrime, pronunciando parole amare per la loro dolorosa perdita. La donna
si mise la mano sinistra sul petto e, tirandosi su, appoggiò la destra sulla spalla del marito, poi fissò
lo sguardo al capezzale del letto, leggermente a sinistra rispetto al suo punto di vista. Là vide la sua
piccola guardare fervidamente verso l’alto, negli occhi ridenti di un ragazzo che sembrava parlasse
con lei di qualcosa di molto piacevole a cui pensare. Questi era vestito con una tunica color crema
con ai fianchi una cintura d’oro: un abito molto simile a quello della sua bambina. Il ragazzo le
aveva donato un bellissimo mazzo di fiori bianchi e blu, che ella prese con una mano, mentre con
l’altra teneva la mano del suo giovane compagno, il quale le trasmetteva forza. Lentamente
svanirono, lui parlando, lei sorridendo graziosamente. Allora si sollevarono dai lati del letto un
uomo e due donne con abiti radiosi, e seguirono i bambini.

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Ecco ciò che vide la madre, e per questo non sentì più motivo di piangere. Le lacrime velavano
ancora i suoi occhi, ma non era solo un pianto di tristezza, era una gioia inaspettata mista al senso di
perdita, con qualche sfumatura di pietà.
Allora la vidi girarsi verso suo marito e dire: “Caro, hai visto?” Lui la prese fra le braccia e la
baciò, ma non rispose. Andarono verso il letto e accarezzarono il corpo della loro piccola. Egli
rispose alla domanda di sua moglie, ma non prima che tutto questo fosse terminato e si fossero
rasserenati.

NESSUNA SOFFERENZA O SENSO DI PERDITA

Erano seduti nel loro salotto, quando lui disse: “Ora, cosa hai visto cara quando la nostra piccola
ci ha lasciato? Ho notato che fissavi qualcosa vicino al cuscino. Cos’era?”
Ella spiegò ciò che aveva visto, e lui rispose: “Io non ho visto nulla. Ma questo può spiegare
l’esperienza che ebbi. Mentre tu eri assorta nella tua visione, io ho sentito una forte brezza
circondarmi. Non era un vento, ma una specie d’influsso – una corrente di forza, potrei definirla.
Sembrava attraversare il mio stesso essere e portarmi via tutta la sofferenza e il senso di perdita. E
ho sentito, o mi è sembrato di sentire, delle voci parlare. Una diceva qualcosa di questo tipo: ‘Il
ragazzo conosce la via giusta e non devierà. Che sia lui a guidarla, noi li seguiremo e li aiuteremo
con la nostra forza durante il viaggio.’ Non conoscevo quella lingua, cara, eppure ho compreso tutto
chiaramente. Non vidi nulla, tranne una fievole nube di luce esattamente nel punto in cui guardavi
tu. Prima sembrava raccogliersi attorno alla nostra piccola, poi la vidi salire dal letto e fluttuare a
sinistra man mano che la osservavo. È quello il punto dove hai avuto la tua visione, non è vero?”
“Sì, caro”, replicò lei, “e grazie a Dio, perché se non avessi avuto quella visione, non posso
immaginare quali mali pensieri occuperebbero la mia mente in questo momento.”
Poi andò da lui, s’inginocchiò davanti alla sua sedia, appoggiando il viso contro il suo petto e
scoppiò in lacrime. Erano una coppia semplice, e il loro stile di vita era tale da consentire a questi
angeli elevati di prestare loro un servizio. Non li giudicarono poco importanti da non meritare il
loro interesse. No, figlio mio, noi non consideriamo il maggiore e il minore con il metro di giudizio
degli uomini. Abbiamo le nostre misure, e queste sono più corrette di quelle terrene.

CAPITOLO 7
IL PROGRESSO DELLA COLONIA

Martedì 7 dicembre, 1920.


Di tanto in tanto andavo a visitare la gente del Vescovo nelle terre deserte, come avevo
promesso. Talora mi accompagnava James, altre volte veniva il giovane Habdi o qualcun altro. Lo
facevamo sia a scopo d’aiuto, sia per istruzione. Laggiù i giovani studenti avevano molto da
imparare da quella variegata moltitudine.
In un’occasione andai a visitarli da solo. La maggioranza di loro, dopo molta irrequietezza e
lungo vagare, era giunta a comprendere che quel modo di vivere non li aveva condotti da nessuna
parte in termini di progresso. Così fecero un plebiscito e, poiché tanti lo approvarono, i due leader si
accinsero alla creazione di una colonia. Trovarono una pianura libera, con le colline a una certa
distanza, e un fiume che scendeva dalle colline e attraversava la pianura. Iniziarono a lavorare il
terreno e a costruire grossolani ripari, attorno ai quali piantarono aiuole di fiori, e infine
cominciarono ad abituarsi all’idea che quella potesse essere la loro casa.
In seguito, man mano che la pianura si faceva più gradevole, essi migliorarono i loro ripari che
divennero capanne, e poi casette assai graziose. Crescevano alberi e rose lungo l’argine del fiume e
nei giardini, e ben presto questi boschetti comparvero in diverse zone della pianura, e le colline
cominciarono a inverdirsi, ora qua ora là, con tappeti d’erba e arbusti. Poi svariate macchie di selva
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estesero i loro confini crescendo fino a formare una foresta. Erano molto orgogliosi di ciò che
avevano compiuto. Non fu tutto lavoro manuale, molto fu eseguito con l’energia mentale, o volitiva,
con cui avevano dato forma all’ambiente esterno. In questo io e altri miei compagni li aiutammo in
modo invisibile e senza che alcuno lo sospettasse, eccetto i pochi più progrediti.
Habdi era diventato un giovane vigoroso e attraente; e gli affidammo un piccolo incarico da
intraprendere tutto da solo.

LA COLONIA IN CONCILIO

Feci un incontro col Consigliere e il Vescovo. Con noi c’erano altre tre persone, le sole
abbastanza avanzate da saper condurre i loro compagni. Erano un sacerdote e due laici. Vennero
con me e sedemmo sull’argine del fiume dov’era comparso un boschetto. Gli chiesi come andavano
le cose. Il Consigliere fece un cenno a uno dei laici, che pronunciò queste parole: “In modi per certi
versi imprecisati, siamo entrati in possesso di questa terra, e la gente non ha dimenticato il tuo
benevolo aiuto, buon signore e amico. Essi hanno avuto tempo di ricordare, e le più raffinate qualità
del cuore e della mente sono di recente affiorate in molti di loro. Ora chiedono dove sono i loro
amici e parenti che, come pensano ma senza esserne sicuri, trapassarono con loro a causa del
massacro.”
“E voi cosa gli avete detto, amico mio?”, chiesi io.
“Noi tre andammo da loro per appurare quanti avevano questi pensieri, e scoprimmo che era un
argomento diffuso; pochi erano coloro che non avevano accanto qualche persona amata al momento
del loro brutale assassinio. Ed essi ritengono che non tutti siano in questo posto. Ma si chiedono,
perplessi, dove si trovino i loro cari uccisi.
“Signore, noi abbiamo sentito dalla tua bocca parlare del Prato, ma non ne abbiamo parlato con
loro, nel timore che potessero mettersi alla ricerca e finire per perdersi. Così, dopo matura
riflessione, li invitammo a pazientare ancora un po’, e che avremmo chiesto il tuo consiglio circa il
piano che abbiamo preparato noi tre per il loro avanzamento.”
Fece una pausa, e io dissi: “Avete agito con saggezza, e mi congratulo con voi, figli miei. Non
dubito che anche il vostro piano sia saggio. Ditemi qual è, e sarò lieto di consigliarvi.”

DUE PIANI PER IL MIGLIORAMENTO

Allora parlò il sacerdote. “Signore Arnel, sono due i piani sotto esame. Questi miei fratelli
hanno in progetto di costruire una Sala dell’Assemblea dove riunirsi e discutere come trovare
parenti e amici smarriti. Questa, secondo loro, dovrebbe essere un centro di governo per l’invio,
dopo unanime decisione, di ambasciate alla ricerca dei dispersi.
“Il mio piano invece è quello di costruire, non una Sala dell’Assemblea, ma una Cattedrale.
Poiché qui abbiamo il nostro buon Vescovo, che ci guiderebbe nella devozione. In questo modo, ci
verrebbe inviata una guida a illuminare il nostro futuro cammino.”
Mi girai verso i due buoni amici che dirigevano assieme questa colonia, così come avevano
guidato di comune accordo la loro città e i territori vicini sulla Terra. Essi avevano afferrato il punto
saliente e ne furono rallegrati. Si sorridevano l’un l’altro con gran divertimento. Dio aveva
benedetto il loro lavoro con questa gente ed erano uomini davvero felici. Ma ora i loro tre
luogotenenti li avevano fatti diventare rivali. Mentre i due laici volevano costruire una Sala delle
Assemblee come luogo d’autorità per il Consigliere, il sacerdote voleva innalzare una Cattedrale
dove incoronare il suo amato Vescovo.
Le facce dei due leader erano radiose e quando mi voltai di nuovo, fui commosso nel vedere
l’espressione piuttosto apprensiva e accorata dipinta sui volti di quei tre, e scoppiai a ridere. E anche
loro risero.

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FONDERLI ASSIEME

Nessun dissenso era finora apparso durante i concili di quei cinque. E l’umana tendenza al
contrasto, che era entrata irrompendo nella scena, si erano sforzati di nasconderla a noi. Ma volente
o nolente divenne palese, esponendo in tal modo i nostri amici.
Così dissi: “Figli miei, siete lontani tre sfere dalla terra – e anche più, in verità, perché da
quando siete venuti qui, la vostra gente ha progredito molto. Ora non dovete dividere l’autorità in
sacra e profana. E anche se le idee terrene non sono completamente annullate in questi reami bassi,
esse pian piano svaniscono mentre avanzate verso i regni superiori, come i colori dell’arcobaleno
che, seguiti fino alla sorgente, diventano tutti bianchi.
“Voi chiamate quest’amico ‘vostro Vescovo’, ed egli lo è, purchè lo consideriate tale. E
quest’altro, ‘vostro Consigliere’, e tale è, allo stesso modo. Ma io penso che ora siete migliorati al
punto da poter condurre, senza pericolo, il vostro popolo avanti di un passo. Non consiglio che il
religioso e il mondano siano annullati nella vita della comunità. La vostra gente non è ancora pronta
per questo. Ma penso che potreste fonderli assieme, e guidare il popolo lentamente, passo dopo
passo.”
“Credo di capire cosa intendi dire, signore”, disse il Vescovo. “Erigeremo una Casa
dell’Alleanza, dove io e il mio buon amico Consigliere guideremo la gente di comune accordo.”
Allora fu fatto come il Vescovo aveva suggerito. Essi costruirono un ampio e grazioso edificio
dove incontrarsi, sia per consultarsi che per pregare; e la gente ne era appagata, e riceveva un lauto
giovamento.

LA COSTRUZIONE DELLA CASA DELL’ALLEANZA

Mercoledì 8 dicembre, 1920.


La costruzione della Casa dell’Alleanza occupò la colonia per un lungo periodo. E mentre la
costruivano crescevano anche nello spirito. Officianti invisibili ispiravano nelle loro menti qualche
pensiero elevato. Cosicché, quando la casa fu terminata, le sue pareti erano di materiale più
luminoso di quando avevano iniziato il lavoro. Nel frattempo la colonia si era ingrandita, a causa di
quelli che si associavano alla loro comunità giungendo da diverse regioni. Alcuni appartenevano al
loro stesso popolo, ma si erano allontanati all’inizio. Altri avevano girovagato nelle terre desolate lì
attorno, e alcuni vi erano arrivati nel corso del loro normale avanzamento dalla Seconda Sfera verso
i regni superiori.
Arnel, puoi descrivermi l’edificio?
Era fatto secondo lo stile di un teatro greco, ma coperto da un tetto. I sedili erano disposti a
semicerchio in file sovrapposte e, nello spazio aperto in basso, c’era un palco su cui dovevano
sedere i loro leader e il Consiglio del popolo. Le pareti curve, una volta terminate, erano di color
castano chiaro. Ma dopo che furono tenute alcune assemblee, mutarono in un tenue porpora che
luccicava ogni volta che era in corso una seduta. Poiché quelle persone, sotto la guida dei loro due
principali governatori, erano progredite rapidamente.

IL GIOVANE INTERPRETE

Habdi era diventato un avvenente giovane di circa 17 anni, come direste voi. E lo speciale
compito e l’incarico che gli assegnammo fu quello di Profeta. Mi spiegherò meglio per aiutarti a
capire come si svolge il nostro lavoro da questo lato.
Il Vescovo e il Consigliere erano potenzialmente di una sfera superiore rispetto a quella in cui
svolgevano la loro opera. Ma, per compire quel lavoro, rimasero nelle condizioni della Terza Sfera
finchè, ascendendo, non poterono portare quella gente con loro. Così il giovane Habdi fu incaricato
di sedere con loro in Consiglio in modo che, quando era necessario un contatto con una sfera fra

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quella e la Settima, egli poteva fungere da interprete per comunicare il messaggio che riceveva
tramite visione o udito interiori.
Capisco; era chiaroveggente e chiaroudente.
Proprio così, figliolo. Ma era qualcos’altro rispetto a ciò che voi abitanti della Terra intendete
normalmente con quei termini. Per quanto ne so, i vostri veggenti e chiaroudenti hanno tali facoltà a
prescindere dalla loro levatura spirituale. Essi possono essere o non essere progrediti nella
realizzazione spirituale della santità. Ora, Habdi, che all’epoca apparteneva alla Settima Sfera, era
capace non solo di vedere e udire coloro che scendevano alla Terza Sfera. Ma in qualunque
momento, era in grado, con uno sforzo di volontà, di essere consapevolmente presente nelle Sfere
superiori alla Terza e, senza l’aiuto di simboli o per bocca di un messaggero, parlare alle persone di
ciò che aveva ricevuto direttamente.

L’ASPETTO DI HABDI

Bene. Un giorno le persone erano riunite coi loro leader, e Habdi era seduto sul palco con il
Vescovo e il Consigliere.
A un certo punto il Consigliere si alzò e rivolse queste parole all’assemblea: “Stiamo facendo
progressi, amici e fratelli miei, sulla questione decisa in consiglio nella nostra ultima riunione. Voi
allora sentiste che il tempo era maturo per tentare, a Dio piacendo, di cercare il luogo dove
dimorano i nostri congiunti, perduti in questi nuovi reami. Ti prego, giovane signore, di spiegare a
questa brava gente quanto è accaduto dall’ultima volta che parlammo a loro nel nostro precedente
concilio.”
Habdi si alzò e fece un passo avanti.
Dici che era cresciuto, Arnel. Potresti dirmi qualcosa del suo aspetto?
Mi hai condotto al punto, figlio mio. Tuttavia potresti pensare che io vada per il sottile.
L’aspetto che aveva nel suo mondo era diverso da quello assunto nella Sfera Tre. Ma se desideri
sapere come egli appariva alla gente nella Casa dell’Alleanza, ti accontenterò.
Era alto, ma non troppo, snello e aggraziato. Capelli castani ondulati gli scendevano sul collo e
la testa era cinta da un diadema azzurro. La sua tunica era corta, di seta blu. Sul petto, dove il
colletto si abbassava, portava una pietra d’oro bianco attorniata da rubini. Era l’unico segno
distintivo della sua sfera, salvo che il suo corpo e la tunica avevano maggiore lucentezza rispetto a
quelli dei presenti. Ma egli tratteneva questo lustro, che diventava visibile solo lievemente quando
si elevava nell’esercizio del suo dovere, quando cioè vedeva e sentiva su un piano superiore a
quello della Terza Sfera. Allora il suo corpo e l’abito brillavano di luce propria, ma ciò era
involontario da parte del giovane Habdi. E in tali momenti, questo splendore si accentrava nel suo
gioiello e nella cintura d’argento che cingeva i suoi fianchi. Vedo la parola ‘sandali’ nella tua
mente, figlio mio. No; non aveva calzature. Quando era in piedi, o seduto in silenzio mentre altri
parlavano, il suo corpo era leggermente più scuro del tuo, ma non così scuro come quello delle
persone nella Casa dell’Alleanza.
Egli disse: “Ho cominciato a intraprendere quelle azioni di cui abbiamo parlato assieme al
nostro ultimo incontro, brava gente. Ho anche parlato con i vostri benefattori, Sire Arnel, James e
Lady Wulfhere. Essi hanno esaminato il vostro attuale stato, e io sono qui per dirvi che è giunto il
momento di riunirvi coi vostri parenti e amici che, per via della loro cultura, avevano bisogno di
restare isolati finchè voi non foste progrediti tanto da avvicinarvi alla loro odierna condizione.
“Sono molto contento di dirvi che Sire Arnel e Lady Wulfhere, coi loro assistenti, sono alle
porte di questa vostra Casa dell’Alleanza, e vi daranno ulteriori spiegazioni sulla questione.”

ZAMPILLI DI TENUE RADIANZA

Allora entrarono i due che Habdi aveva nominato.


Tu e Wulfhere.
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Sì. Passammo lungo il corridoio che conduce diretto al semicerchio in basso davanti al palco.
Qui c’era uno spazio aperto, e attorno ad esso le panche salivano ordinate in file sovrapposte.
Li salutai dal palco, e tenni la mano alzata sulla folla, Wulfhere era al mio fianco.
Vorresti spiegarmi cosa significa “tenni la mano alzata sulla folla”?
Ricordi Mosè, quando Aaron e Hur gli tenevano alzate le mani? Quella è l’antica storia di un
eccidio. Ma questa era una storia di pace. Le due storie sono cugine in verità. Sollevai la mano
verso i leader sul palco, poi lentamente mi voltai, dirigendo la mano sulle teste della moltitudine e
mi girai ancora verso il palco. Non fu un gesto casuale. Attraverso me fluiva l’energia della mia
stessa sfera. Mentre passava attraverso il filtro del mio corpo, essa s’intonava alla condizione di
quella gente, e cadeva su di loro in zampilli di tenue radianza. Pochi riuscirono a vederla mentre
usciva dalle mie dita. Penso che soltanto Habdi la vedesse.
Apparve ai presenti solo quando, cadendo da sopra, si combinò alle loro più pesanti vibrazioni,
come una corrente elettrica o un flusso di vapore che rimangono invisibili finché non colpiscono le
particelle atmosferiche e poi, mescolandosi ancora una volta, ritornano ad essere impercettibili. Ma
i sorrisi illuminati sui volti degli astanti mostravano che la benedizione li aveva raggiunti.

INIZIAZIONE NELLA QUARTA SFERA

Fatto questo, parlò Wulfhere. “Sono felice oggi, brava gente, perché ciò che il mio signore
Shonar a cominciato, con l’aiuto della divina grazia, noi abbiamo fino a questo punto completato.
Vi siete impegnati molto e siete stati vittoriosi. Avete progredito lentamente, per gradi, fino a
meritarvi di avanzare nel prossimo regno superiore. Da quando siete entrati qui, in questa Casa,
ignorate che tale trasmutazione si è già prodotta in voi, e ora siete nella Quarta Sfera.
“State quieti adesso, buona gente, e al momento opportuno vi unirete ai vostri benamati, agli
amici e ai bambini che avete tanto cercato.”
Allora io, lei e la nostra compagnia formammo un cerchio, rivolto all’esterno; non era un
cerchio completo, venne lasciato uno spazio verso il palco. Quindi il caro giovane Habdi si unì a noi
e, prendendo la mia mano, mi espresse il suo amore e ringraziamento come rappresentante di quella
gente che era diventata, in un certo senso, la sua gente.
Fermi là, in silenzio, immersi nel nostro lavoro, le pareti divennero di sostanza meno densa fino
ad essere traslucide e poi completamente invisibili. La pianura apparve davanti a quella moltitudine,
ed essi videro una bellissima prateria, con alberi, fiori e fontane d’acqua che erano assenti quando
entrarono nella Casa.
Si sentivano confusi. Così mi rivolsi a loro e dissi che il luogo attorno alla Casa dell’Alleanza
era completamente mutato adesso, e che dovevano uscire e mettersi alla ricerca, perché in quella
regione abitavano le persone che cercavano; e anche altri che erano diventati amici dei loro cari, in
modo che ora si potesse formare un’unica colonia.

UN GRADUALE AVANZAMENTO

Giovedì 9 dicembre, 1920.


Quando le pareti furono di nuovo materializzate, la moltitudine si riversò fuori. Qui si
fermarono a vedere com’era cambiato il luogo. Ai loro occhi, abituati alla luce piuttosto scialba
della Terza Sfera, questo era davvero un Paradiso di lucentezza. Gli alberi, i fiori, l’erba erano più
brillanti, e la luce attorno più vivida. Non c’era alcuna landa deserta in vista, poiché la foresta
copriva l’orizzonte su ogni lato con una ricca cortina di colori. Ma da nessuna parte vedevano le
persone che cercavano. Così s’incamminarono nei sentieri della foresta vagando in ogni dove. Non
sostarono a considerare quale direzione prendere. Né videro la compagnia di coloro che erano giunti
dai regni superiori per guidarli. Ma, uno dopo l’altro, trovarono i loro amici e furono ben contenti. E
adesso cresceva in quel luogo una colonia estesa. Le piccole casette, che erano state la dimora di

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donne e bambini, e degli uomini che fecero parte della nostra compagnia quando gli venne
assegnata la prateria – furono rifatte, ingrandite e abbellite.
Ora, figliolo, devo spiegarti due cose, affinché tu capisca, per quanto ti è possibile, le modalità
con cui svolgiamo il nostro lavoro, le forze inerenti a questi reami, e come le usiamo.
Il cambiamento compiuto su queste persone non fu di natura improvvisa come potrebbe apparire
dalla mia narrazione. Ci fu una lunga preparazione. Essi, col loro impegno e i nostri insegnamenti,
hanno progredito verso la condizione della Quarta Sfera durante un lungo periodo di tempo. La
Casa dell’Alleanza servì come punto focale dove si raccolsero le loro aspirazioni. In quel luogo,
specialmente, avevamo diretto le nostre correnti di energia. Mischiandosi e fondendosi, questo
contenuto di livello superiore li aveva bagnati e impregnati mentre essi proseguivano la loro opera
di costruzione. Senza saperlo – salvo pochi, come il sacerdote, i due laici e un altro esiguo numero –
si erano elevati spiritualmente finchè lo stato della loro personalità superò la Terza Sfera,
nonostante l’ambiente gli apparisse come se vivessero ancora in quel mondo. L’iniziazione
avvenuta nella Casa dell’Alleanza era semplicemente il sigillo di ciò che era già avvenuto in loro, e
niente di più.

L’AMBIENTE TRASMUTATO: IL CAMBIAMENTO DI CONDIZIONE

Il secondo fatto è questo. Noi non li abbiamo trasferiti da una località all’altra.
Ora trovo difficile chiarirlo per te, che consideri la distanza come cosa reale. Per noi non è così.
Potresti dire, ad esempio, che tu e io in questo momento stiamo parlando, ma siamo distanti l’uno
dall’altro.
Infatti tu non mi vedi, e mi senti solo interiormente, come la voce di qualcuno lontano. Ma non
è così. È solo che abbiamo due stati differenti. I nostri ambienti sono diversi a causa della nostra
condizione di esistenza su due differenti piani di attività. Tuttavia non siamo completamente
dissimili perché, come capisci, tu scrivi ciò che io t’imprimo di scrivere e la cosa non potrebbe
avvenire se non ci fosse una certa somiglianza di natura fra te e me.
Così è stato per la gente della Casa dell’Alleanza. Non fu la loro dimora a cambiare di località,
ma il loro ambiente fu trasmutato attorno a loro, ed essi, per quella transizione, non furono più
conformi alle condizioni della Terza Sfera, bensì a quelle della Quarta.

GESÙ: IL CAMBIAMENTO DI CONDIZIONE

Desidero molto farti capire questo argomento, per quanto posso. A tal proposito ti illustro il
seguente esempio.
Quando Gesù entrò nella casa in cui si erano raccolti i Suoi amici in quella prima Pasqua, Egli
era invisibile. Poi attirò da loro quella sostanza di cui aveva bisogno e, attraverso quel processo che
ora chiamate materializzazione, modellò il Suo corpo fisico. Allora divenne visibile. Anche il Suo
ambiente era mutato. Dopo aver svolto la missione a cui era destinato a quel tempo, Egli
dematerializzò di nuovo il Suo corpo concreto e, in quell’azione, cambiò un’altra volta il Suo
ambiente e tornò in quello dello spirito. Ma durante l’intero processo, dall’inizio alla fine, non si
può parlare di presenza e assenza. Sia prima che dopo la Sua apparizione in forma corporea, Egli
era invisibile a loro. Mi capisci, figliolo? Il cambiamento fu di condizione, non di località.
Sì, credo di afferrare cosa intendi dire. Ma i nostri amici in spirito a volte ci hanno detto che,
dopo aver concluso la seduta, di solito restavano con noi per un momento. In questo sembra esserci
l’idea di venire e andare. Tuttavia suppongo che il vero senso di ciò sia che essi attendevano un
momento prima di cambiare il loro stato dal mondo terreno a quello del proprio regno.
Potresti metterla così, certo. E anche se gli spiriti parlano spesso con voi della terra di venire e
andare, ciò avviene a causa delle vostre limitazioni. Noi riteniamo necessario usare il linguaggio
terreno quando parliamo agli abitanti della Terra, e quel linguaggio rispecchia la vostra conoscenza

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delle tre dimensioni. Nel caso dei vostri amici, come hai scritto poc’anzi, direi piuttosto che si
trattengono un istante prima di rivisualizzare il loro ambiente.
Voi, abitanti della Terra, non appartenete tutti alla sfera terrena dal punto di vista spirituale. Fate
parte di sfere differenti, alcune basse alcune alte. Certuni sono capaci talvolta di elevarsi alle
condizioni di mondi molto elevati. Quando entriamo in comunione con questi individui, non
troviamo necessario mutare di stato abbassando le nostre vibrazioni. Dobbiamo solo circondarci di
un ambiente terrestre per adeguarci a costoro che, pur essendo di condizione spirituale elevata,
restano tuttavia abitanti della terra.
Attraverso questo processo di istruzione, perciò, guidammo quelle persone a progredire finchè
l’intera moltitudine fu incorporata con la Gente della Radura. Qui essi furono organizzati in
comunità, che si stabilirono ovunque, dalle foreste alle pianure, fino alle colline. Delegammo James
e Habdi a governare e insegnare, e di questo ho altro da dirti tra poco.

CAPITOLO 8
AMPLIAMENTO E COSTRUZIONE

Martedì 14 dicembre, 1920.


Ora il Popolo della Radura era cresciuto fino a diventare una colonia molto estesa. Ma noi
continueremo a chiamarlo in questo modo, poiché la Radura era il loro centro, e qui i loro
governanti avevano la dimora.
James era il capo, e il giovane Habdi il suo ausiliario, con funzioni d’autorità come luogotenente
quando James era assente. Il giovane era anche il portavoce di James quando si recava da qualcuno
come messaggero. Ladena svolgeva abitualmente i suoi doveri da altre parti. Tuttavia trascorreva
molto tempo nella radura con Mervyn e, in tali occasioni, aveva l’opportunità di servire.
Ma ora che la colonia si era ingrandita, gli edifici non erano più all’altezza di svolgere un
servizio adeguato. Per cui cominciarono a ricostruirli per adattarli alle necessità attuali; di questo ti
parlerò adesso.
Prima rivolsero la loro attenzione alla Casa dell’Alleanza. Questa doveva diventare un Collegio
dove chi era avanzato fino a quel settore riceveva istruzione. Dato che adesso la colonia era
diventata la prima in grandezza della Quarta Sfera, d’ora in avanti sarebbe stato da quella regione
che le persone, normalmente, dovevano passare nella Quinta Sfera.
Quindi si occuparono della Casa dell’Alleanza, e costruirono vari edifici deputati
all’addestramento delle persone nelle diverse discipline necessarie al perfezionamento.
Quali erano questi dipartimenti?
Uno era destinato ad abituare i nuovi venuti all’atmosfera più progredita e raffinata di quel
distretto. Ciò era indispensabile per non sentire un disagio che li avrebbe distratti dai loro studi. Si
trattava di una vasta tenuta senza un edificio centrale, ma con pergolati e piccoli luoghi appartati, e
qualche casetta dove potersi rilassare e trovare tempo per meditare o conversare, come meglio
piaceva. James e altri assistenti andavano da loro, anche se non di frequente, e parlavano con
ognuno dell’opportunità cui andava incontro. Non si seguiva un regolare programma d’istruzione.
Le persone riposavano e agivano come credevano.

PROIEZIONE DEI MESSAGGI

Un altro dipartimento fu destinato all’insegnamento del linguaggio. Nella tua riserva di parole
non trovo quella giusta per esprimere il significato. “Telepatia” non mi piace tanto, e “favella” non
fa al caso mio. Devo girarci attorno per mostrarti cosa intendo dire.
Da questa parte noi adottiamo vari metodi di comunicazione. Comunichiamo a voce nelle sfere
inferiori. Con ciò mi riferisco al suo aspetto esteriore. Tuttavia queste parole sono vibrazioni come
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le vostre; e tale definizione sarà utile. Comunichiamo anche attraverso lampi d’immagine.
Un’immagine mentale si proietta da un cervello all’altro, vicini o distanti che siano; questo bagliore
può essere visto a volte come una spada di luce proiettata dalle labbra e dagli occhi nell’atmosfera
circostante, dove perde visibilità. Quando raggiunge la sua destinazione, l’immagine si fissa davanti
alla mente del ricevente e, in base alla natura del messaggio, può restare invisibile al compagno
vicino, oppure se questi è sensibile può percepire il suo arrivo per via di una luminescenza che
circonda il destinatario del messaggio.
Inoltre comunichiamo direttamente da spirito a spirito. Ma questo metodo viene utilizzato dai
più evoluti, e raramente nei regni inferiori.
Ti ho descritto tre modalità, ognuna diversa nel suo modo di operare. Ne esistono anche altre; e
altre ancora possono essere combinate assieme. Immaginiamo, ad esempio, che Habdi sia nella
Seconda Sfera, e io nella Settima; e che io abbia intenzione di inviargli un messaggio. Ora egli,
essendo soggetto alle condizioni di quel mondo inferiore, il suo sé interiore resta assopito. Perciò, al
fine di evitare qualsiasi errore di comprensione dovrei trasmettere sia il messaggio stesso, ma anche
contemporaneamente, lanciarlo in forma figurata; il confronto dei due contenuti escluderebbe ogni
errore.

DIPARTIMENTI DI SCIENZA E ARTE

Un altro reparto era quello della scienza delle Sfere. Qui s’insegnava in dettaglio ciò che essi
hanno dovuto affrontare durante il travagliato progresso attraverso i regni inferiori. Gli veniva
spiegata la costituzione particolare di ogni mondo, e il significato di quelle esperienze che avevano
vissuto lungo il percorso. Dopodiché, veniva illustrata la Quarta Sfera in tutte le sue parti, assieme
ai poteri inerenti al loro attuale stato spirituale.
Ti stai chiedendo se veniva studiata anche la Quinta Sfera. No, figliolo. Quella l’avrebbero
esaminata in futuro. I regni superiori al Quarto erano trattati solo brevemente, non di più.
Altri dipartimenti erano quelli della Musica, del Colore, della Scienza Creativa, e ciò che tu
chiameresti dell’Economia Sociale. Ma erano molto elementari. Era qui che cominciavano
realmente a capire cosa li attendeva in questi corsi di apprendimento. Essi non erano iniziati nelle
dinamiche interne di queste materie, perché non le avrebbero comprese a causa del loro attuale
livello di sviluppo.

LA RADURA INGRANDITA

Ora devo spostare la mia attenzione sulla Radura. Di essa se ne occuparono dopo che le scuole
erano state istituite ed erano in piena attività. L’ultima delle scuole era destinata a prendersi cura di
coloro che arrivavano in quella regione molto indeboliti. Era una sorta di ospedale. Fu costruito
poco lontano dal luogo di ristoro di cui ti ho parlato, ed era collocato ai confini della tenuta verso la
Terza Sfera. Qui il debole veniva rinforzato e passava nel settore del riposo.
Ora veniamo alla Radura.
Questa doveva essere ingrandita. A tale scopo furono radunati gli individui più progrediti di
diversi luoghi. Furono selezionati dai loro compagni di studio, che ne stimavano la diligenza
nell’apprendimento e la condotta benevola. Tale metodo fu adottato soprattutto per insegnare agli
stessi selezionatori le virtù dell’amore e dell’umiltà.
Con loro andò il Consigliere e il Vescovo, oltre a James e Habdi. Quando furono tutti riuniti
entrarono in comunione d’intenti e diressero i loro poteri congiunti su quella parte del confine
collocato alla sinistra della Casa di James. Lentamente spostarono il loro influsso di potere lungo la
fila degli alberi e delle villette, circondando i tre lati dello spazio aperto. Quando ebbero concluso,
dopo aver fatto molte pause e non in un’unica operazione, la Radura aveva allargato i suoi confini e
adesso la sua superficie era tre volte più grande di prima.

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Quest’area fu ricoperta di prati verdi, e su entrambi i versanti venne eretto un colonnato ad
angolo retto rispetto alla Casa. All’estremità opposta della Radura, contrapposto alla Casa, fu eretto
un arco di superbe dimensioni, con due torri su ciascun lato. Di là dall’arco venne realizzata una
larga strada che portava fuori nello spazio libero. La strada originava dall’arco, attraversava i grandi
giardini che si estendevano ovunque e si collegavano a quel complesso residenziale in cui erano
situate le scuole di cui ti ho parlato.
Gli artefici furono deliziati dal risultato del loro lavoro e, dopo aver terminato, andarono a
esaminare l’opera creata.

“IL VOSTRO CONSEGUIMENTO SARÀ CORONATO”

Quando s’incontrarono ancora, il Vescovo parlò loro dicendo: “Cari amici, ho pensato a una
cosa, e lo stesso ha fatto mio fratello, nostro Consigliere; abbiamo un altro compito da svolgere
prima di tornare ai nostri rispettivi distretti e continuare l’apprendimento. La Casa del nostro
giovane Leader James è ancora uguale a quando questa comunità era poco numerosa. Ora non è più
adatta a trattare la maggiore accumulazione di forze che si sono concentrate in essa, provenienti
dalle varie parti della nostra colonia qual è ora.
“Perciò, con il vostro gentile permesso, signore, raduniamoci ancora, e costruiamo assieme una
casa dove potrai abitare tutte le volte che vieni da queste parti; una casa che sia all’altezza dei
doveri più gravosi che ora dovrai adempiere.”
A questo James replicò: “Mi fa molto piacere, cari amici, che abbiate in mente di fare
quest’opera. Voi ricostruirete questa Casa per noi, fino al limite delle vostre capacità. E per quel
tanto che vi manca per terminarla faremo ricorso a coloro che osservano il vostro progresso dai
regni superiori. Essi la finiranno e la completeranno, portando a perfezione il vostro lavoro. Grazie
per la lealtà che avete dimostrato finora, e per il vostro prezioso servizio. L’attuale grado di
conseguimento che avete raggiunto sarà, perciò, coronato con la costruzione della nostra Casa.”

UNA DELEGAZIONE DI CINQUE

Mercoledì 15 dicembre, 1920.


La realizzazione della Casa di James fu eseguita in questa maniera. Chiedemmo istruzioni di
come procedere a coloro che avevano competenza in queste arti, e dalle sfere superiori venne una
delegazione di cinque architetti e un mastro artigiano. Due di loro venivano dall’Ottava Sfera.
Erano i progettisti. Due erano della Quinta Sfera, e avevano un’esatta conoscenza degli elementi
fondamentali della Quarta Sfera, poiché si tenevano costantemente in contatto con la scienza di
questo regno. Erano perciò i meglio qualificati per occuparsi della costruzione della casa. L’altro
risiedeva abitualmente nella Quarta Sfera; vi soggiornava per scelta personale, essendo più
progredito in termini di meriti reali. Vi era rimasto di propria volontà per essere utile, di tanto in
tanto, in servizi come questo.
La ragion d’essere di questa comitiva era che gli architetti, appartenendo a regni superiori,
avrebbero creato un progetto più sublime rispetto a quello degli abitanti della regione dove la casa
doveva sorgere. Gli artigiani avrebbero ambìto, assieme al loro capomastro, di ricalcare il progetto.
Non vi riuscirono del tutto, questo no, ma ottennero una struttura tale da condurre gli osservatori a
realizzare la presenza di un ingrediente mistico. Ciò avvenne per la presenza di elementi facenti
parte di reami superiori al Quinto, che furono concepiti per essere integrati nell’edificio. In tal modo
la gente sarebbe stata anche indotta ad aspirare. Questa è una delle finalità che attribuiamo alle
nostre costruzioni quando se ne presenta l’occasione. Sono lezioni visibili, di qualità invisibili, che
attendono di essere manifestate man mano che le persone progrediscono di grado in grado.
Al quinto lavoratore spettava di osservare la costruzione in ogni fase delle operazioni, per
assicurarsi che niente eccedesse la competenza degli artigiani e la malleabilità dei materiali di
quella regione che dovevano essere utilizzati nella struttura.
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Prima venne il progetto della Casa. Non era come i vostri sulla Terra, figlio mio. Per illustrarti
come svolgiamo questo lavoro, ti narrerò il processo in maniera abbastanza dettagliata.
Dopo che la vecchia Casa fu disgregata e lo spazio ripulito, i cinque vennero nella Radura, e noi
convocammo i lavoratori. Questi si allinearono lungo i due colonnati e davanti all’arco. I Cinque
erano sull’altura, ora molto più larga, dove prima era situata la Casa del giovane leader.
C’erano anche lui e Habdi?
Certamente. Andammo tutti a vedere questa bella opera. Restammo sull’altura con gli operatori.

LAVORARE A UN MODELLO

Essi si misero al lavoro con grande serietà, e molto presto in mezzo alla Radura vedemmo
apparire sul prato uno spazio luminoso occupante una dozzina di metri per tre. Poi dalla figura
allungata si proiettarono sei quadrati, tre su ciascuno lato lungo. Questa sagoma era il piano terra
della casa in costruzione. Lentamente le pareti si sollevarono e le arcate presero forma dalla base
verso l’alto. Fu realizzata molto adagio, salendo poco a poco, e rifinita di tutti i dettagli
architettonici e ornamentali, sia dentro che fuori. E alla fine il modello della Casa fu terminato.
Vi girammo attorno per ispezionarlo, e riuscimmo a scorgere ogni contorno. Era soffuso di una
luce brillante che lo rendeva semitrasparente. Così le sale interne ci apparivano come se fossero
parti esterne.
Il lavoro di costruzione vero e proprio non cominciò subito; gli operai si presero tempo per
discutere il modello punto per punto e su come avrebbero cominciato a eseguire le varie parti: se
questo pilastro, arco o scala, poteva essere realizzato secondo il progetto coi materiali che avevano
a disposizione. Allora, un gruppo dopo l’altro, tornavano al modello per incontrare altri operai
animati dallo stesso proposito. Ne seguirono nuove discussioni, in cui l’aiuto veniva chiesto e
offerto reciprocamente. La cosa andò avanti così, e per loro fu fonte di grande gioia, e anche per noi
che notammo il loro portamento allegro e l’espressione luminosa. Molti di questi li avevamo
condotti fin qui dal Porto Pietroso, figlio mio. Puoi immaginare i nostri cuori che avevano accudito
questi infelici bambini della terra così deboli com’erano. Ora erano forti e belli, e pieni di buoni
propositi. Era una cosa davvero benedetta da vedere.
Dunque la casa venne cominciata e terminata poco a poco. La costruivano fino a un certo punto,
poi si fermavano per consultare il modello, confrontando dettaglio per dettaglio. Ecco un pilastro
innalzato per un paio di piedi dalla sua base, ma i due lati non erano proprio della misura corretta,
oppure il colore forse era lievemente carente. Così lo rifecero finchè tutto fu perfetto. E
procedettero al successivo tratto da innalzare. Erano molto accurati, in verità, perché tutto doveva
essere fatto meglio che potevano. Questa era la Casa di James, il loro giovane e buon governatore, e
il loro amore per lui era profondo e sincero.

LA STRUTTURA COMPLETA

Alla fine la struttura della Casa venne completata. Voglio dartene una descrizione.
Ci avviciniamo dal parco che sta oltre la radura. Davanti si trova un bellissimo arco curvo
sovrastato da un cornicione simile alle labbra di un bambino, tanto morbide e arrotondate sono le
sue curve.
Su ciascun lato, con le mura di collegamento, svetta una torre le cui camere sono destinate a
coloro che osservano l’arrivo di visitatori dalle province lontane, e anche per i messaggi provenienti
dalle colonie disseminate sul territorio. Superiamo l’Arco ed entriamo nella Radura. È un tappeto
verde, e su ciascun versante sorge un colonnato, tra i cui pilastri spuntano fiori e arbusti, e più
avanti si intravede la regione boscosa con sentieri e viali. La pace sovrasta ogni cosa, dentro e fuori
la Radura.

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Davanti a noi, all’estremo opposto, si erge un pendio che prosegue in una scala d’alabastro.
Questa corre quasi per l’intera estensione della Radura e, al di là delle balaustre, a ognuna delle due
estremità c’è un pergolato, con una fontana d’acqua, fiori e rampicanti.
La facciata è composta da una serie di nove archi che escono dal terreno fino ad arrivare a 2/3
dell’altezza dell’edificio. Le due arcate più grandi circondano da entrambi i lati l’arco centrale, che
è chiuso dentro un’apertura ogivale. Sopra questa serie di volte ci sono altri sette archi minori, e un
cornicione avvolge il tutto e disegna il suo profilo.
Tale profilo è interrotto da altri archi e cupole che sorgono più indietro dalle sale centrali. È una
porzione di Casa che si estende dietro la facciata, distante dalla Radura. Da ciascuno dei due lati
lunghi si slanciano tre torri. Ma queste non si vedono dalla Radura, tranne la loro cima, poiché
queste torri sporgono oltre la Radura e sono nascoste dagli alberi. Invece la loro sommità si vede ed
è circolare.
Le sei torri hanno duramente messo alla prova l’abilità dei costruttori; le curve erano insolite e
difficili da eseguire poiché, mentre la loro base è quadrata, il vertice è rotondo. Sono molto graziose
da osservare dalla pianura che si estende da ambo i lati della Casa.
All’interno c’è un’ampia sala centrale di ricevimento, di forma quadrata. Da qui si dipartono
corridoi, e davanti uno specchio d’acqua funge da atrio.

GUERRA NELLE SFERE INFERIORI

Qual era lo scopo delle sei torri, Arnel?


Erano destinate ai visitatori. Quelle a sinistra per i visitatori dei mondi superiori, quelle a destra
per la gente della Quarta e Terza Sfera, e le altre per coloro che giungevano dalla terra durante il
sonno. Avevano un disegno particolare e furono costruite con materiale speciale. Erano sempre
servite da una compagnia il cui compito era quello di consentire ai visitatori di prepararsi alle
condizioni ambientali tipiche di quella Radura.
Chiamiamole “Sale di Vestizione”, figliolo. Ciò descrive bene il loro uso e proposito. Conosci
la parabola dell’abito nuziale e di colui che non lo indossò. Ritengo che queste torri avessero lo
scopo di evitare il verificarsi di qualche spiacevole incidente del genere nella Radura.
Sarebbe stato possibile?
Sicuramente, figlio mio. Ho conosciuto molti spavaldi indisciplinati introdursi senza permesso
in regioni con cui non erano in armonia. Il libero arbitrio qui è sovrano come da voi, ed è sempre
liberamente impiegato. Certuni hanno forza sufficiente per scavalcare facilmente la loro saggezza.
Ed è nella ritirata verso la loro atmosfera che ritrovano la saggezza. Alcuni imparano la lezione in
questo modo, e non potrebbe essere altrimenti. Ma sono sempre eccezioni. È raro vederli arrivare
tanto lontano fino alla Quarta Sfera, nella regione progredita dove si trova la Radura.
Sarebbe possibile per quelli di sfere molto basse, intendo gli spiriti malvagi, farsi strada nei
mondi superiori e nuocere ai loro abitanti?
Non saprei, figlio mio. In teoria non vedo perché non potrebbero farlo, salvo che il danno che
sarebbero in grado di infliggere non sarebbe né grave né permanente. Se mai avvenisse un tale
attacco, le conseguenze per gli abitanti non consisterebbero tanto nei danni arrecati, quanto nel
dispiacere. Quest’ultimo sarebbe provocato da due fattori, ovvero, assistere all’agonia degli invasori
quando la frenesia della loro fuga si dovesse esaurire, e questo accadrebbe rapidamente; e per la
vicinanza dell’elemento inferiore che emana quelle vibrazioni, senza amore, che cozzano con le
loro durante il breve periodo in cui gli invasori riescono a perseguire il loro proposito.
Questo in teoria. In pratica non ho mai saputo di una simile violenta invasione da parte di una
banda non progredita.
Non c’è memoria di un simile attacco?
Mi pare, figliolo, che hai in mente le leggende terrene della guerra in cielo. Cambia la parola
“cielo” in “sfere” e queste, in sfere inferiori, ed ecco qua. Ti ho già raccontato di una simile guerra,

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ed è solo una delle tante che sono state combattute col passare degli eoni. Ma queste sono politiche
elevate, e non appartengono alla Radura e alla Casa di quel giovane nobiluomo che là, governa.

ALTRI DECORANO LA NUOVA CASA

Giovedì 16 dicembre, 1920.


Quando tutto fu finito, gli operai restarono ad ammirare il risultato del loro lavoro con grande
piacere e non poco orgoglio. Iniziarono a vedere che il loro strenuo impegno a progredire nella dote
spirituale non era senza vantaggi pratici. I loro talenti potevano essere messi a frutto e diventare
visibili in un’opera permanente a favore della comunità com’era questa Casa di James.
Mentre essi riposavano, altri erano indaffarati attorno a quella costruzione. E adesso chi
camminava nella Radura poteva scorgere sagome mezze visibili passare sotto gli archi, o indugiare
sul tetto o sull’altura. Le vedevano svanire, o entrare nella Casa, e perdersi. Si trattava di lavoratori
dei reami superiori. Vennero per consolidare l’edificio, infondere nella struttura qualche mistura del
loro ambiente, ed elevarne l’influsso per quanto possibile per una casa ancora situata nella Quarta
Sfera, e quindi creata dai suoi cittadini.
Dopo che ebbero finito il lavoro, l’intera struttura emanava un’accresciuta bellezza. Ma nessuno
riusciva a dire quale particolare avesse adesso che prima le mancava. Ciò nonostante, in un certo
indefinibile modo, tutti avvertivano un senso di maggior eleganza, sia nel colore che nella
geometria. Inoltre, in modo debole, sembrava essere dotata di facoltà sensitive, ma non in grado
pronunciato come nelle strutture situate in regioni più avanzate.

IL SANTUARIO E CIÒ CHE RIFLETTE

Una cosa devo dirti prima di procedere col racconto. Riguarda il modello che stava al centro
della Radura. Esso non fu smaterializzato quando la Casa venne completata. La sua funzione
primaria era terminata. Ma venne lasciato come elemento ornamentale nel grande spazio verde su
cui riposava.
Quando fu creato da quei validi aiutanti dei nostri architetti, era stato accuratamente colorato in
ogni parte come doveva essere la Casa. Ma ora essi lo modificarono in modo che non fosse, sotto
questo aspetto, la copia esatta dell’edificio costruito. Fu fatto rendendo ogni parte rilevante del
modello qualcosa d’altro in termini d’interesse e di grazia artistica. Così essi diluirono il suo colore
per farlo apparire di una sostanza fra l’alabastro e l’avorio scuro, con la cima delle torri e le curve
degli archi di colore oro pallido. In tal modo divenne al tempo stesso sia un tabernacolo che un
indicatore. Fu connesso alla Casa mediante un certo sistema di vibrazioni mutuamente responsive.
Se un visitatore passava di là, o se qualcuno era solito svolgere il suo lavoro da quelle parti,
avrebbe saputo cosa stava accadendo dentro la Casa; chi frequentava la Radura poteva guardare
all’interno di quel tabernacolo e sapere tutto ciò che desiderava conoscere. Ciò faceva risparmiare
molto tempo e lavoro, poiché la Casa era enorme, con numerosi reparti all’interno e fuori, nei
giardini e nei parchi tutt’intorno. Nel Santuario, invece, si poteva leggere, compendiato, l’intero
lavoro in atto in ogni momento nella Casa e nei suoi dintorni.
Era un luogo sacro, anche perché ogni volta che qualcuno sentiva il bisogno di avere una
piccola forza supplementare per eseguire il suo lavoro in qualsiasi momento andava là e,
adagiandosi nella Radura, o fermandosi vicino al modello, cominciava a meditare. Le persone erano
coscienti dei grandi poteri inerenti alla Casa stessa, e della loro comunione col Governatore e i suoi
ufficiali. L’aiuto veniva quindi ottenuto senza sottrarre tempo ai loro validi leader. Essi andavano
alla Radura come la tua gente va in chiesa, per il silenzio e la devozione, e ciò costituiva per loro un
altare di offerta e di conforto.

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UN MESSAGGIO DALLA SFERA DEL CRISTO

Ora quando la Casa fu completamente finita tenemmo un’assemblea d’inaugurazione. Una


nuova epoca si era affacciata ed era necessario che tutti, il luogo e la gente, si adeguassero alla
nuova prospettiva.
L’interno della grande sala era pieno di gente. Su un palco rialzato posto in fondo stava James.
Là venne avanti un uomo di aspetto molto bello. Indossava una lunga tunica bianca con sopra un
mantello di colore oro e blu scuro. Ai fianchi portava una larga cintura cremisi con riflessi bianchi.
Il viso splendeva tanto che sembrava giocare con l’aspetto del suo volto, e sui capelli aleggiava
un’emanazione dorata di vapore quasi invisibile proveniente da qualche regno in alto.
Disse: “Vengo da voi che siete chiamati Popolo della Radura per portarvi i saluti da parte di
coloro che, a voi invisibili, osservano ancora il vostro progresso presso quei cieli verso cui state
intagliando la vostra via. Giungo a voi come delegato di colui che, dalla Sfera del Cristo, discese
nella mia per incaricarmi di consegnarvi il suo messaggio. È questo: Cristo nostro Signore non è
immemore di voi e del sentiero che avete percorso finora. Poiché egli fu cacciato dalla terra con
violenza dai Suoi simili, e lo stesso accadde a voi. Serbatelo nella memoria, perché in questo siete
Suoi compagni. Egli conosce il vostro conflitto interiore quando vi sorgevano pensieri malevoli; ma
voi avete rifiutato di coltivare quei pensieri volgendo lo sguardo al cielo con mestizia e cuore
anelante. Lo stesso fece Lui; e anche in questo voi e Lui vi somigliate. La luminosità che avete
raggiunto in queste alte sponde della Quarta Sfera, la cosparse Lui quando salì verso la Casa del
Padre, quella volta dal Monte degli Ulivi. Questa radianza che avete raccolto, e che brilla attorno a
voi e alle vostre dimore, è condensata dall’attrazione dei vostri sé sempre più luminosi.

JAMES, IL NUOVO LEADER

“Continuate così, cari fanciulli della Radura e del Cristo, poiché Egli vi attende lassù dove
potete vederLo nella gloria della Sua santità e nella semplicità del Suo amore.
“E ora vi parlo del vostro leader, che siete giunti ad amare per la sua saggezza e benevolenza.
Mentre questa Casa era in costruzione, egli è entrato in una sfera più alta di quella che era di sua
appartenenza quando per la prima volta vi trovò nelle tenebre per condurvi fin qui. Egli vi guiderà
rettamente, e voi assolverete un gran servizio per i vostri compagni che hanno grande bisogno del
vostro aiuto, come egli vi mostrerà.
“Dio, e il Cristo del Signore, vi guideranno sempre, caro Popolo della Radura. Elevate ora i
cuori in un canto di gioia, e al vostro giovane signore James offrite la vostra benedizione.”
Ed essi cantarono, figlio mio, e il suono uscì da loro assai vigoroso. Essi amavano il giovane
nobiluomo di un amore immenso. E poi egli parlò. Appariva più solenne di quando l’avessero mai
visto prima. Anche la sua persona e i suoi gesti erano più carichi di dignità. Da parte sua ne era
consapevole, e non poteva essere altrimenti. Era avanzato nella sfera successiva, e ciò significava
non solo possedere un maggior grado d’autorità, ma anche un intrinseco aumento di potere
personale. Tuttavia si manteneva semplice e umile com’era sempre stato, mostrando però
un’accresciuta nobiltà. Quando videro il suo aspetto mutato, compresero. E il loro amore per lui
rimase inalterato, non meno intimo, ma con aumentato rispetto.
James disse: “Amici miei, vi ringrazio per il vostro caloroso sodalizio. Questa Casa, che sarà la
mia dimora quando soggiornerò fra voi, risuona delle vibrazioni del vostro dolce amore per me.
Assieme abbiamo fatto qualcosa di buono, e presto faremo di più. Laggiù c’è gente che attende il
nostro aiuto; un aiuto che nessuno può offrire tanto bene quanto voi. Questo mi è stato mostrato
mentre ero in quel reame che ora è la mia dimora abituale.
“Nostro Padre ci ha dato una terra bellissima in cui costruire la nostra colonia. Ma laggiù ci
sono coloro che lasciaste dietro di voi vicino alla terra, perché non erano pronti per l’ascesa che
avete realizzato voi. Dobbiamo andare in loro aiuto, e tutto ciò che potremo fare, lo faremo.”

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Poi volgendosi verso l’Angelo, che in quell’occasione gli faceva da padrino, disse: “E a te, mio
signore, e a coloro che per il nostro bene operano con te in quell’alta sfera, va tutta la nostra
benedizione come segno di gratitudine. Porta loro i nostri saluti. Se ti fa piacere, digli che stiamo
percorrendo il loro stesso sentiero, ma prima dobbiamo tornare sui nostri passi, poiché ci sono
persone che non conoscono la strada per arrivare fin qua, e a noi spetta indicargliela per evitare che
si allontanino ancora dalla retta via.
“Concedici la tua benedizione, mio buon signore, e noi manderemo, come suoi compagni, il
nostro amore e la nostra gratitudine lungo il tuo cammino.”
Poi James s’inginocchiò davanti all’Angelo, e questi pose la mano sinistra sul suo capo chino.
La destra la distese verso le persone e le benedì, mentre anch’essi, con cuore traboccante, avevano
abbassato il capo davanti allo splendore della sua persona.

CAPITOLO 9
IL LAVORO NELLE OSCURE TERRE DI CONFINE

Martedì 21 dicembre, 1920.


Incontrammo Shonar nella sua residenza principale nei reami bassi. Si tratta di una fortezza,
massiccia e quadrata, situata sui rilievi meno prominenti di una montagna. Devi comprendere,
figliolo, che quanto ti racconto è diverso da ciò che direi a un gruppo di amici da questo lato del
Velo. Qui sarei capace di usare termini precisi e connaturati alle nostre più duttili operazioni. Ma,
parlando con te che sei dall’altro lato, devo adattare la mia pittura alla tela, in modo che il dipinto
sia apprezzato da voi della terra.
Così dico che questa casa di Shonar era una Fortezza. L’aveva costruita durante i molti anni di
lavoro fra i demoni incarnati con i quali doveva svolgere il suo compito. E quando essi venivano
dopo la morte, li affrontava e si occupava ancora di loro; e come prima lezione gli insegnava che lui
era il Capo. Talvolta lo imparavano velocemente e lo riconoscevano. Di solito quelli assegnati alla
sua custodia erano grandi anime sviate dalla retta via. Costoro erano testardi, e sfidavano la sua
autorità per lungo tempo. Ma fintanto che non ammettevano la sua supremazia erano tenuti a freno,
per quanto possibile, affinché il male che avrebbero continuato a infliggere ai loro compagni non
fosse stato ridotto in minima misura. Il male non poteva essere eliminato del tutto poiché, durante
l’incarnazione terrestre, il simile attrae il proprio simile in spirito. Ma Shonar si adoperava per
quanto poteva.

LA FORTEZZA DI SHONAR, E IL SUO PROPOSITO

All’esterno, questa grande roccaforte di pietra, era piuttosto scura. Immersa in una luce più
debole del crepuscolo, vigilava su un’ampia spianata, interrotta da baratri e rocce e, sparsi qua e là,
foschi rivoli d’acque marcite. Attorno, montagne alte e impervie stagliavano le loro guglie aguzze
nello spazio tenebroso. Fra le montagne c’erano numerose caverne.
Viaggiando in questo territorio, un nuovo arrivato avrebbe l’impressione che il luogo sia privo
di abitanti. Ma, dopo un’estesa ricerca, ne troverebbe un gran numero nascosto nelle fessure o lungo
le gole, con qualche vagabondo disperso nella pianura.
Si potrebbe pensare che sia una terra di nessuno, priva di ordinamento, e senza qualcuno che
tiene registrate le persone. Ma non è così. Nascosti fra le vette montane, o dentro le caverne più
profonde, o da qualunque parte si aggirino senza meta, ognuna di quelle anime smarrite è contata,
registrata e classificata dentro quella Roccaforte.
L’edificio stesso serve a un duplice scopo. È possente sia per opporsi agli assalti, che per
ristabilire la salute. Deve resistere contro coloro che, da soli o in branco, cercano con furente
frenesia di vincere quelle mura; nel contempo proietta il suo potente influsso sul debole che deve
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essere ammesso al fine di rafforzarlo. Questo avviene quando il soggetto si è allontanato dalle
proprie nefandezze e desidera un destino migliore di quello vissuto finora in quelle terre oscure.

DENTRO LA FORTEZZA

Il grande ingresso ad arco è sempre aperto; ma nessuno potrebbe entrarvi senza il permesso dei
funzionari del posto. Costui potrebbe fare tre o quattro passi all’interno, ma sarebbe costretto a
fermarsi di colpo, sopraffatto dallo smarrimento, col respiro affannato, e obbligato a fare marcia
indietro per tornare di corsa da dov’è venuto. Questo perché il piccolo spazio cubico sotto l’arco è
climatizzato secondo le condizioni della Quarta Sfera. Se ricordi le lezioni che ho cercato
d’impartirti, capirai che nessuno potrebbe superare questa barriera se non possiede un livello di
sviluppo superiore a quello di questa regione, né ricevere aiuto da coloro che lavorano in quel
luogo.
Passando all’interno, un lungo corridoio corre avanti rasentando numerose camere, alcune
piccole, altre grandi. Ciascuna di esse risponde a un proposito, ed è condizionata a gradi diversi di
progresso e sottoposta a una varietà d’influssi. Qui sono destinati coloro che devono essere trattati
secondo le loro particolari necessità.
Al centro del castello c’è un ampio salone, alle cui pareti s’affacciano corridoi e camere. È una
sala drappeggiata di tende sontuose, molto gradevole; non è maestosa, ma è piena di comfort per
occhi, orecchie e corpo. Per gli occhi, perché anche se la luce non brilla risulta piacevole. Per le
orecchie, in quanto le tende sono fatte in modo da emettere delicati suoni melodiosi ogniqualvolta si
muovono; si sente anche il rumore dell’acqua e, all’estremità opposta, c’è una grande fontana
ricoperta di marmo, con dentro i pesci. E da sopra le pareti discende una cascata incantevole da
osservare e udire. Da sollievo al corpo, perché in questo posto vengono, di tanto in tanto, i
lavoratori per rinnovare le forze; nella sala c’è un’atmosfera di quiete, gentilezza e purezza e, in
effetti, si respira un misto di tutti i sentimenti opposti a quelli malevoli, coltivati dalle povere anime
ottenebrate che vivono fuori, nei dintorni delle montagne e nelle pianure.

BELLE NOTIZIE DA CLAIRE

Qui incontrammo Shonar. Era seduto vicino alla fontana dei pesci e con lui una giovane ragazza
gli stava accanto sul bordo di pietra. Ogni tanto lei lo guardava con amore e gratitudine. La
conoscevo, l’avevo incontrata in una mia precedente visita.
Mentre andavamo verso di loro, ella si alzò, mi venne incontro di corsa, appoggiò la mano sul
mio petto, poi mi guardò intensamente negli occhi e disse: Oh, mio signore Arnel, novità, novità!”
“Ciò che per una giovane donzella è come lo zucchero per una puledra”, dissi sorridendo.
“No”, replicò; “questa volta si tratta di vere novità, caro Arnel. Lui è qui finalmente; è davvero
qui, Arnel. Gioisci ora per la mia notizia!”
Ella mi tratteneva con entrambe le mani sul mio petto, tenendomi a distanza di braccio mentre
fissava risolutamente il mio sguardo con un’espressione di vittoria. E così abbassai subito le mie
difese. La presi fra le braccia con tenerezza e, appoggiando la sua bella fronte contro le mie spalle,
dissi: “Claire, piccola mia, questa è davvero una bella notizia, una benedizione di Dio. Vale la pena
fare il viaggio per venire in questo posto lontano per ascoltarla. E ora, mia cara, mi devi portare da
lui; anch’io voglio dargli il benvenuto. Lo ammiro molto, piccola Claire, per la sua gloriosa lotta e
per la vittoria finale. Ma prima vado a salutare il mio signore Shonar, perché a causa del tuo sincero
entusiasmo, ci siamo dimenticati la nobile arte della cortesia.”
Egli ci accolse lietamente, poi parlammo per qualche istante dell’incarico che dovevamo
adempiere, e di cui ti parlerò fra breve. Ora desidero dirti qualcosa di questa ragazza e della sua
novità.

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CONTRASTO

L’uomo di cui ella mi aveva parlato era suo fratello. Sulla Terra erano stati bambini di lignaggio
nobile e di famiglia benestante. Lei venne a conoscenza di qualche malvagio complotto ordito da
suo fratello, e lui la uccise. Quando seppe che anche suo fratello era trapassato, dopo essere stato
trucidato in una colluttazione a causa di questa congiura, ella supplicò di poter tornare vicino al
luogo di espiazione del fratello per assisterlo come meglio poteva, e accoglierlo dopo la sua
emendazione. Più volte la incontrai durante l’attesa di colui che dimorava ancora nell’oscurità. Era
solenne e silenziosa, ma piena di dolce pazienza e fiduciosa che le sue preghiere avrebbero giovato
nel tempo dovuto. Ora finalmente egli era entrato nella Fortezza, e alloggiava in una di quelle
stanze debolmente illuminate accanto alle mura esterne della cittadella.
Mi portò da lui. Lo trovai seduto su una panca appoggiata al muro; gli parlai gentilmente,
raccontandogli di come tutti noi l’avevamo aiutato a trovare la strada fino qui, senza che se ne fosse
reso conto. Gli dissi della decisione di sua sorella di volergli stare accanto e della sua paziente
attesa.
Quando terminai il mio discorso, era in lacrime, col volto fra le mani, piegato sulle ginocchia.
Nella vita terrena era stato un giovane che ebbe in spregio tutto ciò che sapeva di bene, e quasi
sempre preferì il male, rivelando una condotta altezzosa a causa del suo ceto elevato e antico
lignaggio.
Dietro di me, all’ombra del corridoio, stava James, un tempo contabile presso un ufficio
commerciale, d’umili origini e povero di beni mondani. Ma qui era un giovane nobile della
cavalleria celeste con rango e ricchezze ben al di là dei sogni terreni di questo povero giovane
scellerato, caduto in disgrazia.

DUE ANIME AFFINI

Pensai a questo mentre rimasi in silenzio per un momento. E allora Claire parlò: “Ho avuto il
permesso di venire a trovarlo già tre volte, Arnel. E gli ho detto che adesso non è più fra coloro che
devono disperarsi in nessun modo, poiché è arrivato in questa casa come vincitore.”
“È vero”, replicai, “e ora che sei giunto così lontano, vai avanti. Sii coraggioso, caro ragazzo,
Claire ti aiuterà, e anche noi.”
Egli alzò la testa, lentamente si mise in piedi, pensando un istante, poi camminò adagio verso di
noi. Attorno a noi l’oscurità non era così profonda, dato che non potevamo attenuare del tutto la
nostra condizione più luminosa. E disse: “Ti conosco signore come colui che mia sorella chiama
Sire Arnel. Grazie per tutto quello che hai fatto per me, un estraneo. Che orrori, che torture ho
subito e ben meritato. Ma quando la buona Claire, mia sorella, volle spargere sorrisi amorevoli su di
me, che le inflissi un siffatto torto, questo mi diede angoscia mista a dolcezza. E chi è costui,
signore, col tuo permesso? Non ho mai visto prima questo giovane nobile nei dintorni.”
Gli raccontai la storia di James, e lui, rivolgendosi al giovane leader, disse: “Se ci fossimo
incontrati nella vita terrena, signore, ti avrei disprezzato perché eri un plebeo di umili origini
rispetto alle mie. T’incontro qui e desidero, col tuo consenso, di poter stringere la tua mano.”
A questo punto James fece un rapido passo avanti e afferrò la mano dell’altro con una stretta
calda e decisa. Poi guardando il giovane con benevolenza, gli disse: “Fratello mio, quel tuo nobile
sangue fece di te un buono a nulla sulla terra. Ma dentro di te esiste qualche vera ricchezza e alta
nobiltà. Noi, fratello mio, le troviamo qui nelle persone più inaspettate. E tu sei una di queste.
Ricordati di me, fratello, poiché tu e io possiamo fare grandi cose assieme.”
Sentivo che c’era mutua simpatia e comprensione fra questi due, ma non riuscivo a metterla a
fuoco. Era uno di quei casi dove due anime s’incontrano per la prima volta e, in modo naturale e
senza sforzo, si cercano l’un l’altro. Realizzano, infatti, senza alcuno ragionamento, che nel
profondo del cuore sono anime affini.

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UNA MISSIONE NELLE TERRE DI CONFINE

Mercoledì 22 dicembre, 1920.


In compagnia di Shonar visitammo le numerose stanze dove si sbrigava l’attività di quella
regione. Il nostro intento era di esaminare accuratamente le registrazioni custodite. Vi trovammo i
dettagli di condizioni, progresso o mancanza di progresso e attuale residenza, di tutte le numerose
anime che erano disseminate nelle vicinanze. Non avevamo alcuna intenzione di occuparci di altri
salvo di quelli appartenenti alla compagnia arrivata col Vescovo e il Consigliere. Tuttavia se si
fosse presentata l’occasione, eravamo pronti ad occuparcene.
Ti racconto ora come svolgemmo il nostro servizio in alcuni casi. Farò qualche esempio, per
farti capire in che modo si svolge un simile lavoro da queste parti.
Tralascio coloro che erano stati ammessi nella Fortezza, e mi accingo a narrarti alcuni episodi
accaduti fuori.
Con i dettagli memorizzati dalle registrazioni, ci mettemmo in cammino. Ero con Shonar, Habdi
e James. Perlustrammo la pianura finchè giungemmo in un luogo dove era stata eretta una piccola
capanna. Entrammo, e vi trovammo tre uomini e una donna. I tre uomini erano adagiati a terra e la
donna in piedi. Quest’ultima lavorava sotto il comando di Shonar. E fu subito consapevole della
nostra presenza, mentre gli altri no.
Aveva appena finito di parlare, e uno degli uomini le domandò: “Da dove vieni, signora? Le tue
parole sono perbene e la tua voce gentile. Noi siamo qui da tanto tempo e non abbiamo visto
nessuna delle cose piacevoli di cui ci parli.”
Ella rispose: “Certo che no, e tuttavia quelle cose vi attendono se continuerete con coraggio
sulla strada del progresso. È giunta voce, a noi della Fortezza, che desiderate andare via da questo
posto tetro verso la luce dove abitano i vostri cari.”
“Perché non vengono loro da noi, ora che abbiamo varcato la soglia della morte? Tu dici che
loro ci amano ancora. Perché allora non vengono qui, dai loro amati?”

IL PASSAGGIO È SICURO

“Fratello mio, rifletti un momento. Vorresti che tua moglie e il tuo piccolo figliolo fossero
venuti da te di recente?”
Egli ci pensò. Davanti alla sua mente balenarono le blasfemie che aveva proferito nella sua
disperazione; l’impeto di follia che l’aveva afferrato nelle lande oscure quando persino la fosca luce
del Porto Pietroso era una sofferenza per i suoi occhi; in seguito aveva attraversato le vie del male, e
si era associato a compagnie di uomini e donne di aspetto ripugnante e cuore tenebroso. Allora
replicò: “Signora, mi vergogno a dirlo, ma dici il vero. Non vorrei che camminassero lungo i
sentieri che ho percorso io, né che fossero testimoni di quel modo di vivere che ho sperimentato
dall’ultima volta che li vidi. No di certo, stanno bene dove sono. Ma ti chiedo, posso andare io da
loro, signora, io e questi miei amici?”
“Se la loro mente fosse in armonia con la vostra, potreste andare. Ma non ci andrete
direttamente. C’è ancora bisogno di molta preparazione per andare verso la luce. Tuttavia il
passaggio è sicuro, non dovete fare altro che accettare come guida me stessa e quelli per cui lavoro,
fratello mio.”
L’uomo si alzò e richiamò i due amici. Erano stati in profonda meditazione. Ma ora erano
pienamente svegli, e anch’essi si levarono in piedi. Uno disse: “C’è una ragazza poco distante da
qui alla quale sono riconoscente. Quando quel prepotente, chiamato il fabbro, mi buttò a terra lei si
mise in mezzo e prese il colpo al posto mio. Signora, tu dici che ci condurrai alle nostre donne e ai
nostri bambini. Vorrei portare anche quella povera ragazza assieme a noi, affinché la mia buona
moglie possa ringraziarla per ciò che ha fatto per me.”

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La donna diede il suo consenso, ed essi si misero in cammino lungo la pianura in cerca della
giovane donna. Anche noi andammo con loro, restando invisibili, anche se la donna sapeva della
nostra presenza.

IL FABBRO

Raggiunsero un bosco disadorno con alberi senza foglie. Alcuni rami erano stati intrecciati
assieme ai rovi per formare un riparo.
Un fuoco era acceso davanti all’entrata, e attorno erano seduti una ventina fra uomini e donne.
Quando si resero conto della presenza dei quattro risero con sdegno, e uno esclamò: “Ve lo avevo
anticipato, miei baldi compagni. Dunque siete tornati, eh? D’altronde perché non avreste dovuto?
Che altro si trova da fare in questa terra meravigliosa? E poi non è saggio vagabondare da soli nella
landa deserta.” E si girò con un cinico sogghigno per riscaldarsi le mani sul fuoco.
Intanto si era alzato un altro di aspetto diverso. Costui era alto, di grossa stazza e sembianze
feroci. Venne avanti, si fermò stando a gambe divaricate e pugni sui fianchi, e nella mano destra
impugnava un pesante randello nodoso. Prima si rivolse ai tre uomini. “Ora, che significa questo,
cari compagni? Vedo che avete una donna nel vostro gruppo. L’ho già vista prima, e non si addice
alla nostra compagnia. Madame, questi tre non sono uomini, ma vigliacchi. Rispondi tu per loro.
Per quale motivo venite qui?”

RIVOLTA

Ella lo disse in poche parole, e lui replicò: “La sciattona è dentro al suo nascondiglio. Se la
desideri, prendila e andatevene via.”
La donna si avvicinò al rifugio, e all’atto di chinarsi per chiamare la ragazza all’interno, il
fabbro sollevò il suo bastone per colpirla. Ma i tre uomini si lanciarono verso di lui e lo bloccarono
prima che potesse sferrare il colpo. Lo spinsero indietro, e lui cadde sul fuoco rotolando qualche
metro nel buio. Poi di nuovo si rialzò e si precipitò verso i suoi assalitori, quando tre donne e due
uomini balzarono su da seduti parandosi davanti a lui.
Uno di questi uomini disse: “No, fabbro, hai oppresso quella ragazza troppo a lungo, e anche
noi. Qui ci sono tre che si sono già separati e altri cinque sono in procinto di farlo, e una che sta
dentro al rifugio si è aggiunta al nostro numero. Stai lontano, ci siamo stancati della vita che
facciamo qui. Seguiremo questi altri e la dama che li guida. Non siamo gente nobile, no; ma
troveremo un luogo in cui abitare, e non sarà certo peggio di questo posto in tua compagnia.”
Allora Shonar assunse visibilità e si fece avanti: “Per quanto tempo ancora, fratello mio,
ingannerai te stesso e le tue vittime? Non sei l’uomo forte che cerchi di apparire. Non hai la forza
corporale né quella volitiva che supponi di avere. Cessa questa finzione e abbandona la tua follia.
Solo così compirai il tuo destino, che non è in questa landa spoglia, come ben sai.”
L’uomo si trasformò. Gli abitanti della regione su cui la Fortezza vigilava avevano qualche
fievole propensione verso la luce. Alcuni di loro venivano da luoghi più oscuri. Certuni vi avevano
trovato la strada per normale gravitazione dopo aver oltrepassato i confini della morte. L’unico di
quella compagnia che era stato degradato era il Fabbro.

IL DOLORE DELLE PAROLE NEL CUORE

Ora ogni parola che Shonar pronunciava trovava posto nel suo cuore. Egli sapeva che quelle
parole erano vere. Ma in quel momento non poteva domare del tutto la sua tracotanza. E disse: “Sì,
signore, le tue parole sono giuste, ma non fanno ancora per me. Tuttavia se questi altri scelgono di
andare, io non gli impedirò più di farlo. Andranno via, e resterò da solo a risolvere il problema del
mio cuore. È meglio così. Mi sentite, rammolliti? Alzatevi da quella farsa di fuoco e fatevi forza

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temprando i vostri cuori. Questo gentiluomo vi porterà in un luogo meno spaventoso e più adatto
alla vostra mentalità.”
Shonar alzò la mano, ma l’altro continuò, “No, signore, abbi pazienza, ti prego. Ammetto che
nelle mie parole v’erano tracce di derisione. Ciò nonostante sono vere, perché questi sono deboli e
hanno bisogno di un trattamento delicato, per così dire. Ma io non voglio più nuocere a loro.
Prendili, non sono una compagnia adatta a uno come me; se è vero che sono pungente nelle parole e
duro di cuore, tuttavia tu non hai detto tutta la verità riguardo a me. Dici giusto, io non sono forte.
Però dentro di me ho energia, tenuta a freno. Lasciami solo, verrò da te quando sarò pronto. E ora
vattene, se vuoi darmi sollievo.”
Allora Shonar radunò gli altri, che portammo nella Fortezza dove furono assistiti e temprati per
il loro successivo viaggio. Alcuni di loro erano destinati alla Radura, altri a luoghi diversi. Ma tutti
misero piede sul sentiero della luce, e ora che erano sotto la responsabilità di guide amorevoli non
avrebbero più smarrito la strada.

CAPITOLO 10
IL FABBRO FA AMMENDA

Giovedì 23 dicembre, 1920.


Qualche tempo dopo, mentre Shonar riposava dopo un periodo di lavoro più strenuo del solito,
un giovane aiutante del suo castello lo chiamò: “C’è un uomo fuori dalle mura che vorrebbe
parlarvi.”
“Non puoi occupartene tu del suo problema?”, chiese Shonar; e il giovane rispose: “Non saprei
dire quale sia il suo problema, mio signore Shonar; egli non intende dirlo a nessuno tranne che a
voi.”
“E chi è quell’uomo?”
“È appena arrivato al cancello, e non abbiamo ancora avuto il tempo di consultare i registri per
cercare i suoi dati, signore.”
“Andrò da lui”, disse Shonar, e si recò al cancello. Questo era il passaggio ad arco di cui ti
parlai la volta scorsa. L’uomo stava qualche metro distante, proprio nella zona d’ombra. Shonar lo
chiamò, rimanendo nel portico, “Avvicinati, amico, in modo che possa vedere chi sei.”
“Signore”, replicò il visitatore, “non posso venire verso di te. Quella luce mi disturba,
tuttavia……….” e, stringendo le labbra, fece cinque-sei passi avanti. Era come se stesse risalendo
un corso d’acqua, lottando contro corrente. Poi si fermò ancora: “Non posso procedere oltre, mio
signore Shonar. Ti deve bastare.”
Eri presente, Arnel?
Ero dietro, alla sinistra di Shonar, il quale replicò: “È sufficiente, amico. Ora ti vedo molto
meglio. Sei stato parecchio in conflitto con te stesso dal nostro ultimo incontro, fratello.”
Potevo costatare che era vero. Infatti, non era più alto come quando lo vidi l’ultima volta, e la
sua mole si era ridotta. Era abbastanza magro e molto umiliato. Era vero ciò che Shonar gli aveva
detto presso il fuoco nel suo accampamento. Finché consentì alla sua parte prepotente di
primeggiare, riuscì a conservare un’apparenza di forza e un aspetto robusto. Ma non appena si
decise a cercare la verità sulla sua condizione, capì subito che doveva ravvedersi; allora tutto
quell’inganno di grande potenza e falso coraggio cominciarono a svanire, ed egli apparve
semplicemente com’era, non un eroe, né un leader, ma un peccatore nella sua debolezza, uno che
doveva seguire umilmente coloro che erano migliori e più potenti di lui, se voleva trovare sollievo
nel corpo e nella mente.

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CONSULTANDO LE REGISTRAZIONI

Shonar parlò ancora: “Cosa posso fare per te, amico mio? Non abbiamo ancora guardato le tue
registrazioni dell’ultimo periodo. Quindi non so altro di te, se non ciò che leggo sul libro aperto
della tua persona. Cerchi forse di essere ammesso qui?”
“No, questo no, non sono pronto. E come hai detto della mia situazione, recentemente ho dovuto
combattere con certe parti più profonde di me, rispetto a quanto ero intenzionato a fare in passato.
Ero uno stolto che esultava per la sua follia. Ora sono uno stolto che abbraccia ancora la sua follia,
ma senza esultare. Inoltre sono abbastanza stolto, mio signore Shonar, per rifiutare il tuo gentile
invito a entrare, e per ritornare al mio tetro rifugio nel bosco.”
Ogni tanto cambiava posizione, come se fosse a disagio. Shonar lo notò e, per dargli sollievo gli
disse: “Ora, Fabbro, fermati dove sei per un attimo. Ritorno subito. Suoneremo per te della musica
mentre aspetti.”
Si girò, e assieme ci recammo nella sala in cui sapeva di trovare la registrazione della storia di
quest’uomo. Non potei leggerla, ma dopo che Shonar ebbe finito si voltò verso di me con un sorriso
dicendo: “Mio caro Arnel, il nostro amico sta diventando un cavaliere valoroso, ma si vergogna a
dircelo. Aveva solo una donna nella sua tenda quando andammo a trovarlo l’ultima volta. Ora ce ne
sono quattro.”
“Quattro donne in quel tugurio? Allora per quale motivo è venuto qui, Shonar?”, chiesi io.
“Non so, non ho letto tutto. Ho guardato solo i punti salienti, e questo è il principale. Sarà
sufficiente per farlo parlare delle sue ultime avventure. Arnel, penso che ci farà piacere quello che
ha in mente di dirci.”

“VUOI VENIRE CON NOI?”

Quando tornammo, lo trovammo adagiato sotto un albero che cresceva dentro la zona luminosa
davanti all’entrata. La musica che proveniva dalle mura era cantata da un coro femminile, e suonata
come una tenera ninnananna. Un canto del genere non l’aveva più udito da quando aveva lasciato la
terra; lo alleviava e la sua parte migliore rispondeva. Pertanto fu capace di avvicinarsi al portico e
alla sua luce.
Shonar, come sempre, andò dritto al nocciolo della questione: “Resta dove sei, Fabbro; è meglio
così. La musica ti aiuta. Ora, dimmi, cosa possiamo fare per te e per le quattro compagne che hanno
trovato rifugio nella tua capanna nel bosco?”
“È per questo che vengo da te, mio signore. Trovai queste quattro donne crudelmente maltrattate
da una piccola banda di vagabondi. Così le portai con me per proteggerle. Se ti fa piacere, vado a
prenderle, in modo da poter continuare il mio lavoro di meditazione e giungere alla verità delle
cose.”
“Verremo noi”, disse Shonar, e andammo con lui dalle quattro donne. Tre erano del gruppo del
Vescovo, una era forestiera.
Quando furono pronte per partire con noi, Shonar si rivolse all’uomo: “E ora, amico mio, vuoi
venire anche tu assieme a noi? Sarai benvenuto dentro la Casa, te lo garantisco; avrai una bella
accoglienza, e tempo per riposare e meditare con comodo. Se questo è il tuo proposito, perché non
realizzarlo in un ambiente migliore?”
“No”, disse lui, “hai buone intenzioni nei miei confronti, signore, ti ringrazio per questo e per il
sostegno che mi offri. Ma io ho in mente di fare qualcosa di utile per compensare il male che ho
arrecato per lungo tempo. Soggiornerò nelle vicinanze e forse, se vigilo con occhi e orecchie aperte,
sarò capace, a volte, di portare altro pesce alla tua rete. Non ho quella forza corporale che avevo
qualche tempo fa; tuttavia la mia mente è più pronta all’azione e la mia volontà più potente. Queste
mi basteranno. Fai di me la tua sentinella nelle periferie, e io farò ciò che sono capace con gli scarsi
mezzi meritori che possiedo.”

97
UN GRANDE ENIGMA

Shonar lo osservò a lungo e in silenzio. L’uomo guardava in basso. Alla fine alzò la testa e,
voltandosi, fissò la pianura che aveva saccheggiato come capobanda nei tempi passati. Vidi i suoi
occhi inumidirsi leggermente. Poi si girò di nuovo verso Shonar e disse a bassa voce: “È nulla
quello che faccio. È nulla, signore, non merito il tuo sguardo benevolo. Dici che possiedi le mie
registrazioni. Non comprendo bene cosa intendi dire, ma so che è vero se lo dici tu. Se leggi quei
registri, forse penserai a me con più imparzialità e meno benevolenza. Lasciami andare ora, e
quando ne avrò occasione, tornerò ai tuoi cancelli per salutarti.”
Shonar si avvicinò a lui, pose una mano sulla spalla dell’uomo, e con l’altra gli prese la mano.
Nessuno dei due parlò. Il fabbro volse lo sguardo a terra, ma tenne la testa eretta; solo le palpebre
erano abbassate.
Shonar lo guardava dritto in faccia, tenendo ben stretta la sua mano, e ancora nessuno parlava.
Poi ci voltammo e ripartimmo, portando con noi le quattro donne attraverso la pianura.
Proseguimmo ancora in silenzio, poi il mio amico si girò verso di me e, con voce sommessa, parlò
lentamente con pensiero assorto: “Arnel, fratello mio, quando Dio creò l’uomo, diede vita a un
grande enigma, intricato da risolvere – come un labirinto in un giardino. Ma una volta raggiunto il
suo centro, troviamo una deliziosa pergola ricolma di bellezza, come il canto inesauribile di un
uccellino. Vale la pena arrivare fin laggiù.”

IL SOCCORRITORE

Mercoledì 29 dicembre, 1920


Eravamo seduti nel salone della Casa di James, quando questi venne da noi e disse: “Ho appena
ricevuto notizie dal mio signore Shonar che c’è bisogno di me alla Fortezza. Fratello Habdi affido
alla tua giovane saggezza il compito di guidare il Popolo della Radura, e prego sire Arnel di
consigliarti nelle decisioni difficili e straordinarie. Mi faresti questa gentilezza, Arnel, mio buon
padre?”.
Vidi che l’appello era urgente e gli assicurai che ci saremo presi cura del suo popolo mentre era
assente. Egli allora partì subito per il suo viaggio, lo vidi uscire di gran carriera dall’Arco mentre
stavo davanti alla porta della sua Casa. Non andò solo, con lui c’erano due ragazzi di circa 14 e 16
anni, e due giovani donne. Una sembrava avere 19 anni e l’altra quasi 28.
Ora, ciò che avvenne lo appresi qualche tempo dopo. Intendo narrartelo perché è collegato agli
eventi accaduti di recente, e serve in qualche modo a completarli.
Quando il gruppo arrivò alla Fortezza, venne ricevuto da Shonar all’ingresso. Egli affidò gli altri
alle cure delle sue donne, e a James disse: “Ti dirò di cosa si tratta strada facendo, figlio mio. Vieni
adesso, c’è bisogno di noi laggiù.”
Per lungo tempo il Fabbro lavorò al suo rifugio come aveva stabilito. Aveva concepito e
realizzato i suoi piani di propria volontà. Shonar lo lasciò fare, ritenendo fosse di vantaggio per il
progresso dell’uomo. Quando il Fabbro effettuava un soccorso, si presentava davanti all’entrata e
consegnava il suo carico con poche parole. Appena un cenno di saluto e un addio, poi ritornava ai
propri affari nell’oscurità delle Terre di confine lì attorno.
Una volta Shonar era andato a vedere come se la cavava, rimanendo invisibile. Trovò che
l’uomo era riuscito a erigere un’umile abitazione di pietra, in cui dava alloggio a coloro che aveva
sottratto al pericolo. Li assisteva e gli forniva una certa forza. Poi li conduceva alla Fortezza. Ma il
vecchio rifugio era ancora in piedi, e veniva aggiustato di tanto in tanto. Esso testimoniava la sua
antica degradazione, e gli serviva da monito per spronarlo a pareggiare i suoi passati misfatti con le
buone azioni del presente.

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LE REGISTRAZIONI CESSANO

Quando Shonar e James arrivarono sul posto, si fermarono un attimo per avere un’idea più
chiara della situazione. Stranamente, le registrazioni alla Fortezza avevano mostrato solo che
qualcosa dalle parti del Fabbro era improvvisamente cessato. Né dettagli né ulteriori fatti
giungevano alle sale di registrazione. E questo era molto inusuale e difficile da spiegare. Shonar
disse a James: “Figlio mio, qui vive un uomo che un giorno salirà in alto, al comando di vasti reami,
e li governerà con grande forza e dedizione. Riesci a percepire cos’è successo?”
“Qualche disgrazia è giunta alla sua porta, mio signore. Oltre a questo non vedo.”
“Perché le registrazioni delle sue azioni sono cessate così all’improvviso? Cosa ne pensi tu?”
“Non saprei, non vedo nulla di chiaro in questa faccenda.”
“Figliolo, il Fabbro giace legato in quel tugurio, sopraffatto da coloro che avrebbe dovuto
consegnare a noi. Per evitare di farsi aiutare da noi nel suo soccorso, si è messo in testa
d’interrompere tutti i flussi delle informazioni in uscita. Ecco perché nulla era segnalato alla
Fortezza di ciò che stava accadendo in questo posto. Egli ha intrapreso questo lavoro di propria
iniziativa, e l’ha portato avanti con la sua forza di volontà. Così ha tagliato tutte le comunicazioni
con noi. È una grande anima.”
“È uno, che può stare al cospetto del cuore di Shonar”, disse James, “da amare, tanto per
somiglianza di carattere quanto nel metodo di applicazione, signore. Ma dove sono coloro che
l’hanno imprigionato?”
“Sono nella casa che ha costruito laggiù, ora ci andiamo. Fatico a capire come trattare questo
caso con saggezza. Egli deve fare intervenire la sua volontà, almeno in una certa misura. Si è
assegnato un compito di grande portata, ed è una cosa buona da lodare. Ma noi dobbiamo valutare i
suoi poteri e quelli dei suoi nemici quando li avremo soppesati entrambi. Forse il nostro aiuto sarà
necessario, o forse no.”

“QUELL’UOMO È VOSTRO AMICO”

Così si avvicinarono alla casa ed entrarono, restando invisibili all’inizio, e poi, gradualmente,
dopo aver assunto le condizioni del luogo, si fermarono fuori dalla porta di una grande sala, e
attesero. Si trovavano in una stanza poco ampia confinante con altre quattro camere. Tre erano
piccole, quella più distante era la sala principale della casa. Non c’erano porte, così riuscirono a
vedere cosa avveniva dentro. Erano presenti una quarantina di uomini e donne. Sedevano in cerchio
su delle panche, mentre al centro nello spazio libero mezza dozzina di persone eseguiva una danza
per diletto degli altri. Non era una bella visione; cercavano di imitare la grazia del minuetto, ma le
loro menti squilibrate lo interpretavano goffamente. Gli applausi erano al culmine quando Shonar e
James apparvero davanti alla porta. Ben presto furono notati, e uno di loro che sembrava essere un
leader, gridò: “Venite dentro, cari amici. Sono certo che siete stanchi come noi dell’oscurità che c’è
là fuori. Accettate il conforto che potete trovare qui in nostra compagnia.”
C’era un sincero tono di gentilezza nella sua voce, poiché le persone in questa regione non sono
completamente perverse, mancano piuttosto della volontà di progredire. Essi furono capaci di
percepire le condizioni più luminose nella casa del Fabbro ottenute dalle sue vittorie interiori, e
s’impadronirono della sua dimora per avere sollievo.
I due allora si fecero avanti, e Shonar parlò: “Che strana cosa da vedere, brava gente. La vostra
allegria è ostentata, ma manca qualcosa di sostanziale. E questo non sarà d’aiuto all’opera di
progresso che siete stati invitati a compiere.”
Uno di loro rispose: “Siamo stufi di camminare, straniero, e cerchiamo un po’ di riposo. Inoltre
abbiamo perso le nostre guide, assieme alla strada che ci avevano indicato. Di sicuro verranno a
cercarci fra poco. Intanto ci riposiamo.”
“Voi non riposate, fratello mio”, replicò Shonar. “Questo non è riposo. In realtà, non fate altro
che aggiungere fatica alla fatica. Dov’è il Padrone di questa Casa?”
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Si erano completamente dimenticati del Fabbro. Quando Shonar lo nominò, una donna protestò:
“Per fortuna che manca, ma anche lui si sta riposando! L’abbiamo legato poco fa, perché cercava di
impedire la nostra danza.”
“Aveva ragione, come ben sapete. Ora, brava gente, prestatemi la vostra attenzione e buona
volontà. Quell’uomo è vostro amico, e deve prendere il posto delle guide che avete perso per la
vostra stessa stoltezza. Per quanto mi riguarda, non vivo da queste parti, ma più lontano. Forse
c’incontreremo ancora. Nel frattempo pensate al vostro amico che avete maltrattato, e liberatelo.
Egli vi aiuterà a progredire se seguirete la sua guida.”

ATTRAVERSO LE LANDE BUIE

Allora i due, per arrestare le intenzioni della folla, esercitarono la loro volontà e ritornarono
invisibili. In quella condizione rimasero ad osservare, e quando videro che tutto andava bene,
tornarono alla dimora di Shonar.
Quelle persone restarono sbigottite quando videro svanire all’improvviso i due visitatori. Un
uomo, rimasto seduto in disparte in silenzio, che a giudicare dall’aspetto non era molto contento
dello spettacolo arrangiato dai suoi meno progrediti compagni, si alzò in piedi e disse: “Siamo degli
stolti. Ci trastulliamo qui quando quel buon uomo poteva dirci quale via dovevamo seguire. Presto,
liberiamolo prima di commettere altri errori. Quei due non erano come noi. Vi dico che erano
uomini di talento. Avete visto come se ne sono andati. Anche il loro aspetto non era sgradevole, e
quello che parlava aveva modi risoluti. Andiamo, forza. Se ci attardiamo falliremo, come abbiamo
già fallito tante volte.”
Nessuno riuscì a trovare un suggerimento migliore. Dall’avvento dei due stranieri, tutta l’ilarità
era cessata, e la danza si era fatta insipida. Così andarono dal Fabbro, che quando li vide, disse:
“Salve, amici miei, venite con spirito di vendetta per sfogare su di me la vostra cattiveria, o con
spirito di pentimento per liberarmi dalle catene?”
L’uomo* che aveva ammonito gli altri, rispose: “Buon amico, non abbiamo intenzione di farti
del male. Ne abbiamo avuto abbastanza del nostro passatempo e ora siamo pronti a procedere, se tu
vorrai guidarci.”
Egli si chinò e slegò il Fabbro; e dopo averlo liberato mormorò: “Andiamo da loro, svelto, ti
aiuterò per quanto posso. Essi sono deboli e non hanno un cuore malvagio. Ti seguiranno se li
guiderai.”
Così egli si alzò e li condusse attraverso le lande oscure attorno a quell’oasi. Infatti, la sua casa e
i dintorni irradiavano una lieve luminosità che si era poco a poco raccolta là, in conseguenza del
progresso del Fabbro verso la luce, e anche per il suo lavoro esteriore e interiore.
Si misero in marcia, e lui si mise in testa alla fila, guidandoli sull’interminabile strada che
dovevano percorrere verso la loro destinazione. Camminavano lentamente, essendo deboli di gamba
e di proposito. Intanto che egli procedeva davanti, essi notarono attorno a lui un debole alone di
luce in quell’oscurità. Quindi andavano avanti, e altri si unirono qua e là lungo il percorso, avendo
anch’essi smarrito la strada.

CAPITOLO 11
LA VITA DENTRO LA FORTEZZA

Giovedì 30 dicembre, 1920.


Nel salone della Fortezza era raccolta una gran comitiva, per lo più assistenti della Compagnia
di Shonar. Con loro c’erano alcune persone salvate, il cui progresso era stato tale da consentirgli di

*
In seguito noto come “Il Dottore”.
100
arrivare a quella luce con facilità. Un certo numero era riunito presso il drappello di alberi dove
l’acqua scendeva nel bacino della fontana. Davanti a loro, una decina di persone li dirigevano in
esercizi canori. Ovunque, intorno alla sala, comitive più piccole conversavano di tanto in tanto
ascoltando la musica del coro.
Accanto alla porta principale c’era James. Stava parlando con Claire e suo fratello, di cui ti ho
già detto. Di là entrò un giovane uomo, addetto a custodire l’entrata esterna. James vide che
osservava attentamente i vari gruppi, e sapeva che stava cercando Shonar. Così gli disse: “Fratello
mio, il nostro signore Shonar è occupato laggiù dietro la fontana. È un problema che posso risolvere
anch’io al posto suo?”
“Se verrai fuori con me, lo valuterai tu stesso, signore”, disse il giovane. E si recarono
all’ingresso esterno della Casa. Qui James vide uno spettacolo insolito. Un’enorme compagnia di
persone dall’aspetto affaticato si estendeva da ogni parte nel buio. Avevano percorso un lungo
spossante viaggio; i vestiti erano logori e impolverati, i corpi magri e l’aria assente e fiacca.
Davanti a loro, dentro la zona di luce presso l’ingresso, stava il Fabbro. Era pietoso da vedere.
La lucentezza che possedeva era stata assorbita da queste persone quando decise di guidarle; poiché
la loro forza non era sufficiente per la lunga marcia attraverso il deserto. Così egli ogni tanto
prestava la sua forza. E adesso era esaurito, e col suo gravoso carico, trasportato con tanto coraggio,
era giunto a destinazione.

BENVENUTO

Non parlava; sembrava smarrito e mezzo stordito. Per qualche momento anche James restò in
silenzio, osservando lui e la moltitudine alle sue spalle. Guardava e capiva, e i suoi occhi si
bagnarono con lacrime di pietà, mentre affioravano i ricordi di quando anche lui aveva sofferto per
il bene degli altri, e ciononostante lo avrebbe rifatto.
Figlio mio, ci sono certe strane manifestazioni di spirito cristiano in quelle lande tristi, e
individui d’improbabile forza d’animo ci fanno riflettere, a volte, per le loro inaspettate virtù.
Alla fine James tornò alla realtà. Andò avanti e prese quel leader logorato per un braccio,
conducendolo dentro dolcemente. Qui, le condizioni erano intensificate, e il Fabbro sentì un
improvviso fremito e fece per allontanarsi di fretta, essendo stato colto di sorpresa. Questo lo
svegliò dal suo torpore, e si guardò attorno cercando di esprimere con gli occhi ciò che con la bocca
non riusciva a dire.
Allora James disse: “Va bene, fratello, va tutto bene. Non devi avere più paura di questa luce.
Hai fatto più progressi di quanto pensi. Vieni dentro ora; affiderò i tuoi compagni alle cure di questi
bravi lavoratori. Saranno trattati bene. Tu riposati, dopo ti porterò dal nostro buon padre Shonar.”
Condusse l’uomo lungo il corridoio, lentamente, facendo ogni tanto qualche pausa. Man mano
che il Fabbro camminava, aumentava la sua forza corporale, e i suoi vestiti perdevano l’aspetto tetro
diventando più consoni.
Quando arrivarono all’entrata della grande sala si fermarono. Shonar gli andò incontro, entrando
da una porta situata in un’altra parete, dietro la cascata d’acqua. Strinse forte la mano del Fabbro e
disse: “Sei il benvenuto qui, mio bravo luogotenente. Vieni dentro e riposati, ho qualcosa da dirti
che dovrebbe farti piacere.”

RICONOSCIMENTO E RIAVVICINAMENTO

Entrarono nel salone e si sedettero su una panca a destra della porta. Allora il nuovo arrivato
parlò: “Ti ringrazio Shonar, mio signore, per la grande pazienza che hai avuto con me. Questo
giovane cavaliere mi ha detto che i miei poveri girovaghi saranno trattati con cura. Ne hanno
davvero bisogno. Così, se ti fa piacere, mi riposerò un attimo, se mi darai il permesso di farlo, poi
tornerò di nuovo al mio lavoro.”

101
“Fabbro”, disse Shonar, “hai compiuto molto lavoro e per questo hai meritato una promozione.
Noi abbiamo lavoratori qui che si occuperanno delle faccende che finora hai svolto da solo. Essi
faranno della tua casa laggiù il loro avamposto, e tu inizierai un’altra attività in luoghi più luminosi,
che ti sei meritato.”
Ma egli replicò: “No, continuerò… continuerò---”, e s’interruppe. Aveva visto quattro persone
conversare al centro della sala. Era il gruppo che aveva accompagnato James.
“Conosci forse quei quattro?”, chiese Shonar; e lui rispose: “I due ragazzi somigliano ai miei
due figli. Ma di figlie femmine ne avevo una sola. Tuttavia quelle due sono certamente sorelle, si
somigliano. Non riesco a risolvere questo enigma, signore, sono molto confuso.”
“Eppure una è più vecchia dell’altra, Fabbro.”
“Ma ci sono pochi anni di differenza fra loro.”
“Amico mio, finora hai trascorso il tempo in luoghi dove la gioventù si vede raramente. Questi
quattro vengono da un regno dove i bambini diventano ragazzi e l’anzianità retrocede alla
giovinezza. Genitori e figli conservano la loro relazione, che trova anche espressione esterna. Ma
nessuno può dire che uno è vecchio e l’altro è giovane, per come vecchiaia e giovinezza sono
considerate sulla terra.”
Il Fabbro osservò con attenzione il gruppo, poi lentamente si alzò e, girandosi verso Shonar,
disse: “Ho il tuo permesso, mio buon Signore?”
Shonar annui sorridendo, e l’uomo si mosse avanti. Mentre si avvicinava, essi si voltarono e lo
videro. La fanciulla gli corse incontro gettandogli le braccia al collo. Poi vennero i due ragazzi che
gli presero le mani, le baciarono e accarezzarono a lungo. Pian piano mollarono al presa, e si fece
avanti l’altra donna. Lacrime di gioia sgorgavano dagli occhi dell’uomo e di sua moglie mentre si
stringevano forte l’uno all’altra, felici d’incontrarsi e salutarsi dopo molti anni.
Per quanti anni erano stati separati, Arnel?
Non sono in grado di dirtelo con esattezza. Azzarderei che erano passati circa 60-70 anni da
quando la morte li aveva separati.

RITORNO ALLE TERRE DI CONFINE

Si appartarono; il Fabbro sedette con sua moglie su una panca accanto al muro, e i tre figli
rimasero in piedi davanti a loro.
Per un certo tempo conversarono calorosamente, poi l’uomo si alzò, li abbracciò e li baciò uno
alla volta e, salutando con la mano e un sorriso, si diresse verso Shonar che conversava con altri
presso la fonte. Quando vide il Fabbro gli fece cenno di unirsi a loro. Allora l’uomo disse: “Mio
signore Shonar, devo ringraziarti per la tua somma benevolenza, e per la mia famiglia. Ringrazio
anche te, mio giovane signore James; essi mi hanno parlato della tua abbondante generosità che
offri senza riserve al popolo della Radura. Vorrei un’altra cortesia, buon Shonar, se ritieni
opportuno accordarmela. Quando verrò qua, di tanto in tanto, per il mio lavoro, vorrei mi fosse
permesso d’incontrare i miei cari per un breve momento come ho fatto adesso. Ciò mi darà la forza
per affrontare il successivo turno di lavoro.”
“Fratello mio”, disse Shonar, “è stabilito che tu puoi andare con loro anche adesso nella Radura,
dov’è la loro casa. Abbiamo ricevuto l’ordine affinché ti sia concesso.”
“Da chi?”
“Da coloro che nei regni superiori hanno osservato la tua opera di progresso in questa regione.”
“Possono vedermi e sapere cos’ho fatto, il perché e come l’ho fatto?”
“Nei modi che a loro competono, essi possono fare tutto questo.”
“Allora sapranno anche, caro Shonar, perché tornerò al mio lavoro laggiù, e mi daranno il
permesso di farlo.”
Ora Shonar lo guardava come l’altro aveva guardato lui prima. Aveva davanti un uomo del suo
stesso calibro. Anzi, in quel momento Shonar rappresentava un caso simile al suo, poiché di propria

102
volontà si era trattenuto in quella regione quando, per meriti acquisiti, aveva maturato il diritto di
avere una valida occupazione in una sfera più alta, nella Terra d’Estate.
“Dio ti dà il permesso, fratello mio”, era tutto quello che poteva dire e, gettando il braccio
attorno alle spalle del compagno, lo accompagnò lungo la sala e il corridoio fino all’uscita, e là lo
congedò con l’augurio di buona fortuna per il suo viaggio.
Poi tornò, cercò i quattro, e disse: “Buona madre, porta questi bravi bambini alla Radura e digli
che devono essere felici di avere un padre come il loro. C’è sempre un posto qui per voi, siete i
benvenuti ogniqualvolta deciderai di venire. Lui verrà per incontrarti e riposare un istante fra una
missione e l’altra.”

COME SI SONO ACCLIMATATI GLI ABITANTI

Mercoledì 5 gennaio, 1921.


La Fortezza si affaccia sulla pianura deserta. Se ti avvicini al lato sinistro, vedi che la facciata
ripiega indietro e la casa stessa continua con alte mura che si estendono posteriormente fino alle
colline. A destra invece la facciata continua con un muro per circa 450 metri. Questo muro non era
alto come l’edificio. Alla fine anch’esso ripiega indietro, alla stessa stregua della facciata sulla
sinistra, entrambi ad angoli retti, proseguendo posteriormente per circa 200 metri fino alla collina.
Si ricavava così un’area rettangolare in cui la Casa stessa costituiva uno degli angoli. Il resto è
parco-giardino, ed offre grande aiuto per coloro che, dopo essere stati assistiti dentro, sono
progrediti fino al punto da riuscire a sopportare l’ambiente più lucente dei giardini.
Presso la Fortezza questo parco è influenzato dalla Seconda Sfera, più avanti verso le colline
dalla Terza, poi dalla Quarta. In tal modo, dentro quell’area è possibile acclimatare gli abitanti
gradualmente, finchè non raggiungono lo stadio di sviluppo idoneo per essere mandati avanti.
Alcuni vanno alla Seconda Sfera. Ma spesso si ritiene opportuno, per svariate ragioni,
prolungare il trattamento di certuni affinché possano andare diretti, o con un breve intervallo, nei
mondi interposti alla Quarta Sfera e altri alla Terza. Non ci sono regole rigide. Ogni caso è trattato
secondo la propria natura e i suoi peculiari meriti.
Dalla parete posteriore dell’edificio si dipartono una serie di archi che si dispiegano all’interno
del perimetro disegnato dalle mura di cinta. Questi archi sostengono una strada soprelevata e un
corso d’acqua che scorre lungo la mezzeria. Tale struttura si protende direttamente verso la collina.
È qui che le persone, in procinto di partire per la Quarta Sfera, sono normalmente condizionate
all’ambiente più rarefatto che troveranno. In questa importante strada rialzata le condizioni sono
molto simili a quelle della Quarta Sfera. Nel canale scorre l’acqua che proviene dalle colline,
raggiunge la grande sala e fuoriesce nella cascata che ti ho descritto.
Il Fabbro aveva fatto diverse visite alla Fortezza, avendo il compito di soccorrere le anime.
Entrava, consegnava il suo carico a Shonar o, se questi era assente, a uno dei suoi assistenti. Poi
faceva una breve pausa e, occasionalmente, sua moglie, i bambini o tutt’insieme, lo incontravano
per allietare il suo cuore.
Di recente, in conseguenza del suo progresso, era stato capace di andare con loro e passeggiare
verso le colline. Trovava delizia e ristoro in questi giardini. Poi tornava al suo lavoro nelle terre
basse dov’era situata la sua casa. Era una grande anima che aveva sbagliato. Lui e Shonar erano
molto simili. E diventarono grandi amici.

IL DOTTORE È PERPLESSO

Una volta il giovane Habdi camminava in questi giardini, com’erano soliti fare gli individui più
progrediti per aiutare chi aveva bisogno di consiglio. Camminava lentamente, con la testa bassa,
lungo un sentiero costeggiato, da ambo i lati, da un’incantevole siepe verde e dorata. Ben presto fu
destato dalla voce di qualcuno che si rivolgeva a lui: “Buongiorno signore, potresti dare un’occhiata

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al mio lavoro? Ci sto mettendo la mia abilità, ma in un’opera manuale come questa non ho molta
pratica. È un lavoro nuovo per me.”
Habdi lanciò uno sguardo e vide una persona impegnata a sistemare la siepe alla sua destra. Qui
c’era un’intersezione di sentieri, e l’uomo lavorava a uno dei quattro angoli. Subito riconobbe in
questo potatore colui che aveva aiutato il Fabbro in una delle sue missioni di salvataggio giunte
all’ingresso. Faceva parte del gruppo che lo aveva legato, ed era l’uomo che lo aveva sciolto dalle
sue catene mentre si trovava nel rifugio.
Così Habdi rispose: “Ciononostante, quell’angolo eccelle rispetto agli altri tre. Devi dare più
fiducia al tuo senso artistico, fratello mio.”
“Sì, ho senso artistico, o meglio l’avevo una volta, tempo fa. Ora, giovane signore, le vostre
parole hanno sollevato un altro problema da dipanare prima di molti altri. È strano da comprendere
questo luogo di passaggio. E in verità anche noi veniamo insolitamente plasmati e fatichiamo a
capire.
“Qual è il tuo dubbio?”
“Nella vita terrena ero uno scrittore, e avevo una certa fama per via della mia abilità a dare una
forma stravagante a parole e frasi. I miei amici dicevano che avevo propensione artistica nella
pittura e nella scultura. Buon gusto, in poche parole. Ora mi trovo qui, non sono né scrittore, né
uomo mortale di qualunque genere, e dubito che in queste sfere il mio senso artistico sia di alto
valore. Tuttavia, sento dentro di me che la ragione per cui sono tanto deliziato dalla forma che ho
dato a questa siepe, sia dovuta proprio al mio senso artistico di cui tu hai appena parlato. È molto
strano, dico io. Cosa ne pensi tu, mio giovane signore?”

BUON GUSTO

“Devi sapere, Dottore” – così l’avevano soprannominato i suoi compagni – “che tutte le
peculiarità che si manifestano nella vita terrena sono semplicemente l’espressione esterna di
qualche profonda qualità interiore dell’anima. Questo senso delle giuste proporzioni, come io lo
chiamerei, può trovare espressione in un uomo nell’arte musicale, in un altro nella pittura, in altri
ancora nella scultura, oppure nella scrittura, nel disegnare abiti, o in molti altri modi. La specialità è
del tutto secondaria, e trova tante diverse manifestazioni a causa delle modificazioni dovute a certi
tratti specifici, o delle opportunità offerte, o di diversi altri fattori. L’abilità che tu hai mostrato nel
rifinire la siepe è quella che una volta esprimevi nella scrittura. Inoltre Dottore, ultimamente si è
espressa in un altro modo.”
Habdi fece una pausa, il Dottore attese, poi disse: “Si è espressa in un altro modo. Ora non ti
seguo più, giovane signore. Non riesco a ricordare le cose con precisione. E quando me le ricordo
non sono sempre in grado di vederle nitide. Il mio cervello è ancora abbastanza annebbiato.”
“Non ti preoccupare, fratello mio, col tempo migliorerai. È da pochi giorni che sei qui, sei
appena uscito dall’oscurità per venire in questo luogo luminoso.”
“Sì, il Buon Dio sa quanto lo ricordo bene. Fu un vero e proprio esodo dall’oscurità Egiziana.
Sì, lo ricordo, infatti.”
“Tu sei colui che liberò il Fabbro e lo aiutasti con i tuoi compagni a guidarli.”
“Sì, erano i miei compagni.”
“Tuttavia non eravate compagni. Questo è il punto. Ho saputo gli eventi che ti hanno indotto a
unirti a quella miserevole folla. Ma tu eri sempre discosto da loro, non è così?”
“Erano gentili con me nonostante le loro maniere rozze. Ma io non fui mai capace di sentirmi
uno di loro.”
“Perché?”
“Beh, è difficile dirlo esattamente, signore. Penso che possa essere per la loro maniera di
vivere, e anche per il modo di pensare, che non erano consoni al mio.”
“Ecco che parla l’autore di parole e frasi”, disse Habdi, sorridendo, “quel talento possiede una
vita propria. Ma perché non dire ‘buon gusto’ e basta?”
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“Buon gusto, sì, è questo, buon gusto.”
“Proprio così. E fu quel buon gusto che ti spinse ad aiutare il Fabbro.” Habdi si accorse che sul
volto dell’altro c’era uno sguardo di perplessità, e continuò. “Amico mio, quel gusto, o senso delle
proporzioni, come preferiresti forse chiamarlo, aveva un filo piuttosto lungo e teso fra la superficie
esteriore di te stesso e il centro del tuo cuore: da qui origina questo filo. Riflettici bene: sento che
sarai d’accordo con me.”
Ciò che Habdi intendeva dire era che l’atto illogico d’imprigionare colui che voleva liberarli
dalla schiavitù, urtava col suo senso innato di ciò che era commisurato al fine, e si era insinuato in
lui un sentimento di vergogna e d’irritazione a causa dell’incoerenza dell’intera faccenda. Così era
stato spinto a intraprendere l’azione che aveva compiuto. Ma Habdi non proseguì oltre, vedendo che
sarebbe stato meglio lasciare al Dottore sbrogliare la questione da solo.

“DIO LO SA”

Ciò che disse fu questo: “Ma io, fratello, apprezzo il tuo progresso da quando sei entrato fra
queste mura.”
“Poca cosa, credo, mio giovane signore; e penso di dover ringraziare i tuoi buoni amici e il mio
sire Shonar per questa giusta gratifica.”
“E anche qualcun Altro, fratello mio.”
“E chi sarebbe?”
“L’hai nominato prima, Dottore. Hai detto che Lui sapeva della battaglia mentale e spirituale
che hai ingaggiato da quando sei venuto qui. Non l’hai espresso con queste parole, ma quanto hai
detto implicava questo e molto altro.”
“Beh, vedo che la mia memoria m’inganna sempre, poiché non ricordo di aver nominato
qualcuno da quando abbiamo cominciato a parlare.”
“Allora devo aiutarti. L’hai chiamato col nome di Dio.”
L’altro arrossì, e disse con impeto: “Mai, da quando ho lasciato la vita terrena, ho menzionato
quel Nome, mio giovane signore. Sulla terra ero abituato a usarlo non sempre col dovuto rispetto.
Qui non mi sono mai azzardato a pronunciare quel Nome.”
“Hai detto ‘Dio lo sa’.”
L’altro esitò e fissò intensamente gli occhi di Habdi per lungo tempo, intanto la sua mente
viaggiava indietro, infine disse: “Dimmi, signore, come ti chiami.”
“Mi chiamano Habdi.”
L’uomo allora pronunciò una strana frase: “Habdi; sì, ho sentito chiamarti in questo modo,
‘Habdi’. Ma c’è qualcosa che manca qui e un giorno sarà aggiunto. Non so di cosa si tratta, né chi
ispira nel mio cervello le parole che ti dico. Non pensi che siano parole bizzarre per uno come me,
buon signore? Quale significato trovi in loro?”
“Non saprei dargli una spiegazione, Dottore.”
“Nemmeno io. Per quanto riguarda l’altra questione, dici la verità, signore, e imploro il tuo
perdono. Mi sono sbagliato. La mia memoria serve a poco. Ho detto quel Nome, sì, e l’ho
pronunciato senza insolenza. Grazie, signore, per averlo richiamato alla mia mente.”
Così si separarono, con parole d’amicizia. E mentre se ne andava per la sua strada, il giovane
Habdi pensò molto alle pieghe e alle curve insolite che vanno a formare il carattere di un uomo.
Inoltre, era giunto a conoscere, in seguito alla loro conversazione, che nella personalità del Dottore,
sepolto sotto il fango e le impurità, c’era uno spirito sensibile alle influenze superiori che per un
attimo, persino in quel regno basso, dove avevano conversato, emersero e sfiorarono un certo spirito
affine, candido e bello.
Quando l’uomo pronunciò quello strano, imprevedibile discorso, Habdi intravide un lampo
luminoso proiettarsi su di lui. Per cui sapeva che l’uomo, per un breve istante, era il portavoce non
dei suoi stessi pensieri, ma di qualcun altro la cui dimora era molto distante, in un regno superiore.

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CAPITOLO 12
FUORI DAI CONFINI

Giovedì 6 gennaio, 1921.


Superati i crocevia di quel sentiero verdeggiante, in cui ebbe luogo il dialogo fra Habdi e il
Dottore, c’è un giardino rotondo. È circondato da un’alta siepe che si apre e racchiude questo posto,
facendo del giardino un rifugio isolato per coloro che desiderano intrattenere una conversazione
tranquilla o meditare. C’è una fontana, aiuole fiorite e panchine. È un piccolo santuario molto
gradevole. Un giorno, mentre vi sedevo con Shonar e Habdi, venne dalla Fortezza un giovane che
rivolgendosi a Shonar disse che il Dottore aveva lasciato la Casa, e con lui era andato il giovane
Jean, il fratello di Claire, la ragazza di cui ti parlai.
Nessuno li aveva visti partire, ma le registrazioni mostravano che non erano assenti da lungo
tempo; ed erano diretti verso la Casa del Fabbro.
Shonar si prese un momento per riflettere, poi si alzò e disse: “Habdi, figliolo, questo è un
problema che dobbiamo risolvere io e te. Vieni.”
Partirono. Uscirono dalla tenuta da una porta laterale ricavata nel muro a sinistra, se guardi
verso il territorio montuoso; ricorda che le mura corrono, su quel lato, dalla Fortezza fino alle
colline. Dopo aver percorso una certa distanza, raggiunsero la contrada in cui lavorava il Fabbro.
Egli non era in Casa, e nemmeno gli altri due si trovavano nei paraggi. Habdi disse: “Mio sire
Shonar, sento che sono laggiù abbastanza lontani, tutti e tre. Ma non sono insieme: due da una parte
e uno dall’altra.”
“È così”, replicò Shonar, “i due fuggitivi non hanno ancora raggiunto il loro amico, ma si stanno
muovendo in fretta nella sua direzione.”
Quindi si rimisero in marcia e raggiunsero i due che si affrettavano lungo una gola. Questi
procedevano più che altro in silenzio, e ogni tanto l’uno o l’altro spronava il compagno a muoversi.
Shonar e Habdi li accompagnarono non visti per un breve tratto dopodiché, avendo arguito qualcosa
dell’impresa in atto, si spinsero avanti, lasciando gli altri due affrettarsi dietro di loro.

GIRARE LA CHIAVE

Ben presto raggiunsero un campo aperto. Era un’ampia pianura, alla cui sinistra c’era un mare
d’acqua salmastra. La luce era molto più fioca di quella attorno alla Casa del Fabbro. Proseguirono
in linea retta lungo il bordo dell’acqua, allorché Shonar disse: “Figlio mio, il Fabbro ha consentito
che il suo zelo avesse il sopravvento sulla sua saggezza. È andato oltre i confini che ho stabilito per
il suo lavoro, e si trova in pericolo, in zone sconosciute ed estranee alla sua condizione.”
“Perché si è allontanato tanto, caro Shonar?”, chiese Habdi, e Shonar rispose: “Te l’ho detto,
figliolo. Egli ha visto che c’era un compito da svolgere laggiù e non ha riflettuto sulle sue capacità.
C’è anche un’altra questione, Habdi, la cui soluzione è persino più sfuggente. Come facevano il
Dottore e il suo giovane amico a sapere che il Fabbro aveva bisogno di aiuto?”
Proseguirono in silenzio. A un certo punto Habdi disse: “Mio buon padre, mi è venuto in mente
che forse posso gettare luce su questo mistero.”
“Perché dici ‘forse’?”
“Sono ancora perplesso, caro Shonar. Posso inserire la chiave nella serratura, ma non riesco a
girarla.”
“E quale chiave può inserirsi nella serratura e tuttavia non funzionare?”
“È questa. Ho trovato qualche strano miscuglio di elementi nella personalità del Dottore. Egli
possiede la facoltà dell’intuizione. Tanto è vero che mi disse certe parole insolite mentre
conversavamo assieme qualche tempo fa. Ecco la mia chiave.”
“Una buona chiave, fatta apposta per questa serratura, per così dire. Ma cosa la blocca e non la
fa girare?”
106
“Penso che la sua intuizione si affacci verso regni più alti, e non verso queste regioni buie dove
lavora il Fabbro.”
“Ma cos’è che blocca la chiave, figliolo? Tu puoi girarla facilmente, se giri a destra invece che a
sinistra. Se il Dottore ha un certo contatto coi mondi superiori, allora è da quel luogo che gli è
giunto un segnale. Ricordati, Habdi, che la moglie e i figli del Fabbro sono nella Radura. C’è molto
amore fra loro, ed ella ha percepito che suo marito aveva bisogno di aiuto. In tal modo inviò una
parola al suo amico, il Dottore.”
Ora Shonar era giunto alla verità sulla questione nel suo complesso. Ma su un dettaglio si era
smarrito. Il messaggio di soccorso urgente era stato inviato dalla moglie e dai figli che avevano
rafforzato il loro potere di trasmissione con l’aiuto di una ventina di amici. La moglie aveva sentito
che il suo amato era in pericolo, e senza indugi si avvalse del loro sostegno. Essi avevano proiettato
il messaggio direttamente al Fabbro. Ma l’empatia spirituale fra lui e il Dottore, suo amico, permise
a quest’ultimo di intercettare la trasmissione lungo il tragitto. Egli percepì qualcosa come “Fabbro”,
“pericolo”, “aiuto” e, dopo aver trovato il giovane Jean, fu spronato a dare il suo solerte soccorso, e
partì. Come aveva fatto Shonar, anch’essi erano usciti da un accesso laterale, perciò non furono visti
lasciare la Casa.

IN PERICOLO

Shonar trovò il Fabbro in piedi appoggiato di schiena contro alcune rocce che lo separavano dal
mare. Davanti a lui era raccolta una folla numerosa. Alcuni erano adagiati a terra, altri in piedi, altri
ancora arrampicati sulle rocce per vederlo meglio.
Restando invisibili, si avvicinarono e osservarono cosa stava succedendo. Il Fabbro parlava:
“Voi siete molto numerosi, amici miei, ma io ho buone intenzioni. Potete farmi del male, in verità,
ma non potete uccidermi. Inoltre, vi dico che più darete sfogo alla vostra malvagità, più sarà lunga
la strada fra voi e quelle terre luminose di cui vi ho parlato. Proprio adesso tre persone della vostra
comitiva sono dentro quel Santuario che attende anche voi.”
C’era un uomo in piedi davanti alla moltitudine. Aveva una faccia più scura rispetto agli altri.
Possedeva maggiore forza di carattere e d’intelletto. Fu lui che replicò al Fabbro.
Disse: “Sì, abbiamo già avuto la tua compagnia, buon uomo. A quel tempo mi rubasti la lealtà di
quei tre compagni. Ma avvenne quando vagavamo dentro i confini affidati alla tua giurisdizione dal
Signore della Fortezza. Qui sei tu ad esserti allontanato e sei meno potente da queste parti. Lo sai
bene.”
Il Fabbro discusse e li esortò con molta pazienza. Disse loro che si era spinto così lontano
perché li aveva avvistati dall’altra parte della gola mentre prendevano la via per il mare. Li aveva
seguiti per poterli informare del progresso compiuto dai loro ex compagni.
Li implorò di andare con lui, e che, in qualche modo, avrebbe ottenuto il permesso di fare uscire
quei tre dalla Fortezza attraverso la pianura, e loro stessi avrebbero testimoniato che lui diceva la
verità. Alcuni dei presenti erano disposti a seguirlo. Ma il loro capo li tratteneva col laccio della
paura, ed essi restarono in silenzio, salvo a esprimere ogni tanto caute esclamazioni.

SACRIFICIO

Poi parlò di nuovo il loro leader: “Ora noi traverseremo quelle acque. C’è stato detto che laggiù
c’è una terra libera, dove non domina il Signore della Fortezza, e dove possiamo fare quello che
vogliamo senza permessi o divieti. Tu verrai con noi come ostaggio.”
“Cosa significa come ostaggio?”
“Quella terra ci è sconosciuta. L’ambasceria che giunse qui da noi ce ne parlò favorevolmente e
ci fece pure una bella descrizione del paese e della gente. Ma non vogliamo più rischiare. Può
essere che laggiù troveremo del pericolo. Se ciò dovesse accadere, invieremo al tuo potente Signore

107
un messaggio per sollecitarlo a soccorrere te, il nostro aspirante salvatore. E quando accadrà faremo
in modo che tu non vada da solo.”
Egli si girò e diede qualche ordine ai suoi aiutanti accanto a lui, questi si avvicinarono al Fabbro
e lo legarono. Poteva farli cadere a terra: erano tutti uomini deboli tranne il loro capo, l’unico ad
essere davvero forte. Ma non fece resistenza. Si sottomise mansueto all’arresto, dicendo soltanto:
“Amici miei, vi esorto a desistere da questa grande follia. Quella terra laggiù è spaventosa, e i
discorsi che vi hanno riportato sono falsi. Tuttavia, se volete andare verrò con voi, potrei esservi di
qualche aiuto. Voi siete poveri di saggezza e amore, ma non siete del tutto malvagi. Per questo
motivo sarete deboli laggiù fra coloro che, nei loro territori, sono forti nel male.”
Habdi appoggiò la mano sul braccio di Shonar, e disse: “Mio signore Shonar, questo sacrificio
non può essere fatto. È troppo grande. Perché non torniamo visibili e non lo fermiamo?”
Ma Shonar non si mosse. Guardava verso il burrone. Habdi continuò: “Mio buon padre, lo
trattengono per l’imbarco, e lui non oppone resistenza. Lo porteranno via, buon signore.”
Ancora Shonar non si mosse, né fece alcun segno. Habdi continuò: “Tu non guardi da questa
parte, signore. L’hanno portato a bordo, e ora gli altri battelli si stanno riempiendo. Presto
salperanno. Non dovremmo accorrere in suo aiuto, Shonar?”
Allora Shonar rispose: “Non è affatto necessario, figlio mio. Stanno arrivando gli altri due.
Dovremmo iniziare questa buona azione escludendo quelli che cercano di compierla? Sono uomini
coraggiosi. Guarda come arrivano spediti, senza curarsi del pericolo.”

“HO PROMESSO DI ANDARE”

Dalla direzione del burrone le due figure avanzavano velocemente. Ben presto videro cosa stava
accadendo e affrettarono il passo. Non badarono al pericolo, erano disposti a condividerlo con il
loro amico. E mentre si avvicinavano, Habdi capì cosa aveva in mente Shonar. Questi due, il
Dottore e Jean, avevano fatto grandi progressi da quando erano entrati nella Fortezza. Adesso
appartenevano potenzialmente alla Terza Sfera. Di conseguenza non erano riusciti ad assumere
rapidamente le condizioni di questa regione più tenebrosa. Il Fabbro, invece, risiedendo nella sua
Casa, era stato capace di farlo, perchè in quel luogo l’atmosfera non era tanto diversa da quella della
landa oltre la gola. Così egli appariva come i suoi aguzzini, non era più luminoso di loro.
Questi due, che andavano spediti verso di loro, avevano, al contrario, un altro aspetto. Erano
tanto splendenti che in quella tetra regione era facile notarli.
Quando si fecero vicini, le persone arretrarono facendoli passare, e loro andarono diretti fino
alle imbarcazioni. Il Fabbro li vide, ma in un primo momento non li riconobbe; la sua vista si era
ristretta, come quella dei suoi carcerieri. Vide solo due uomini d’aspetto più luminoso degli altri.
Ma quando il Dottore parlò, riconobbe lui e il suo compagno.
Il Dottore disse: “Scendi dalla barca, buon amico. Non dovrai più subire violenze. Perché hai
permesso quest’oltraggio, quando potevi liberarti e allontanarti sano e salvo?”
“Avevo deciso di farlo, amico mio”, replicò il Fabbro, “poi ho riflettuto per un attimo, e mi sono
detto che in tal modo non sarei stato d’aiuto a queste povere persone deboli. Così mi sono
trattenuto. E tu, buon Dottore, e tu, giovane signore, sappiate anche questo, sebbene non mi faccia
piacere dirlo a voi che siete venuti fin qui con buone intenzioni. Io non posso venire con voi, tranne
che l’uomo laggiù non mi dia il suo consenso; io ho promesso di andare con questa gente.”

IL CORAGGIO VINCE LA PAURA

Questa volta il loro leader fu capace d’indurirsi per essere abbastanza risoluto da affrontare con
coraggio la maggiore luminosità di questi nuovi venuti. Si portò a circa tre metri da loro. Ma tale
vicinanza dava molta sofferenza al suo corpo e alla sua mente. I due gli intimarono di liberare il
Fabbro, che era loro amico.
“E se non eseguo il vostro comando, signori?”
108
“Allora anche noi verremo con te, seguendoti nella tua ricerca di terre lontane”, disse Jean; e il
Dottore aggiunse: “Io salgo sul tuo battello, e questo mio giovane amico va sul battello del tuo
prigioniero.”
Poi si avvicinarono a lui e lo trattennero con la volontà, tanto che egli non poté muoversi. Il suo
volto si contorse dal dolore, e la schiena si piegò per la terribile tensione. La corrente delle loro
vibrazioni superiori aveva un effetto simile a quello di un getto di idromele versato su una ferita
aperta. È una bevanda dolce e gradevole per un palato sano. Ma se c’è una piaga provoca intenso
dolore.
Alla fine allentarono la volontà, ed egli riuscì a distanziarsi di qualche passo. Allora il Dottore
disse: “Ora vai in quel battello laggiù, e resta vicino al bordo.”
Quando lo ebbe fatto, il Dottore parlò alla moltitudine, che arretrò spaventata da quanto era
accaduto, e alla vista del loro tiranno disonorato. Disse: “Amici miei, ciò che avete visto non ha
bisogno di essere spiegato con le parole. Venite da noi ora, resterete un po’ nella casa del Fabbro.
Quelli che hanno coraggio ci seguano.”
Così i tre amici cominciarono a camminare lungo la banchina con passo comodo.

LA FINE DELLA FUGA

A quel punto Shonar disse: “Habdi, figliolo, quel Dottore ha una tale sicurezza di sé che è un
piacere guardarlo. È fuggito dalla mia casa, e questo è riprovevole. Ma qui si dimostra un maestro
di uomini, da lodare e non poco per la sua abilità e rapida decisione. Il giovane Jean si comporta da
buona spalla per il suo amico. Nondimeno il Fabbro si merita ugualmente un rimprovero, essendosi
avventurato oltre i confini che gli ho assegnato. È una ben piccola evasione, Habdi, figlio mio. E
quei tre non sembrano affatto a disagio. Guarda ora, come camminano laggiù, uno con le braccia in
spalla all’altro, indifferenti, come tre vagabondi che vanno alla fiera. Sì, Habdi, sono proprio una
bella compagnia. Dobbiamo trovargli un’occupazione all’altezza dei loro maggiori poteri. Sono
bloccati nel loro attuale lavoro. Questo almeno riesco vederlo con certezza.”
Ora, figliolo, vorrai sapere cosa accadde in seguito. Ti dirò solo alcuni particolari, poiché le tue
forze sono arrivate al limite stanotte, e cominci ad arrancare un po’.
Di tutta quella moltitudine solo una decina seguì convinta il Fabbro e i suoi amici. Da quel
momento il loro leader non era stato più capace di affermare la sua autorità. Ed essi cessarono di
temerlo; certi scelsero di andare per la loro strada. Alcuni presero la via lungo la gola, ma poi il
Fabbro li trovò e li prese sotto le sue cure.
Altri girovagarono lontano in diversi luoghi. Solo pochi decisero di accompagnare il loro
vecchio leader, quelli che avevano uno spirito affine al suo.
Il Dottore e Jean rimasero solo per breve tempo col Fabbro nella sua Casa. Sapevano di aver
infranto le regole e, con un po’ di vergogna, ora che l’angoscia per il loro amico era passata, si
affrettarono a tornare alla Fortezza. Non rientrarono nei giardini dalla porta laterale. Sentivano che
sarebbero stati più contenti di affrontare la questione apertamente. Così tornarono come scolari che
hanno marinato la scuola, pronti a riconoscere il loro sbaglio e a prendere la sgridata. Passarono
quindi dalla porta principale.

F I N E

109
GLOSSARIO

Shonar, che sostiene un ruolo principale in questo racconto, è descritto come appartenente a
un’alta sfera spirituale; ma egli rinunciò al suo legittimo rango per lavorare tra i nuovi venuti dalla
Terra, in particolare fra coloro che, a causa dei loro errori, si ritrovano destinati alle regioni oscure
nelle “Terre di Confine”.
Egli vanta molti secoli di servizio, ed è stato specialmente attivo durante le epoche di disordini e
rivoluzioni sulla terra – come ad esempio, durante il regno di Ivan il Terribile in Russia, nella
Rivoluzione Francese, e al tempo di Enrico VIII d’Inghilterra. Il suo lavoro consiste nell’occuparsi
delle vittime che sono scaraventate bruscamente nel mondo sottile con la mente ricolma d’odio e
terrore, e bramose di vendetta.
I suoi modi e l’aspetto, quando è impegnato in quest’attività, esprimono una mescolanza di
tenerezza e potenza quasi spietata. È alto circa 1,90 mt., e la sua pelle sembra rovinata dal tempo. I
capelli castano scuro gli cadono a riccioli sulle spalle da ambo i lati della testa, e attorno indossa
una semplice fascia color oro-rossastro. La sua tunica – che non è una normale seta, ma somiglia
più a un’armatura placcata a lucido – gli arriva fino a metà coscia, ed è orlata con una fascia
cremisi. Questo è il suo solo abbigliamento, salvo che indossa una cintura d’oro giallo, mentre
braccia e gambe sono scoperte.
Arnel racconta come Shonar visitò la Settima Sfera alla ricerca di 35 volontari disposti ad
aiutarlo per occuparsi di certe persone nella Terza Sfera, che erano appena arrivate dalla Terra dopo
una morte violenta.

Wulfhere, madre di Shonar, era responsabile del gruppo di lavoratori della Settima Sfera, che si
arruolarono volontari per soccorrere la moltitudine di nuovi venuti nella Terza Sfera, i quali,
essendo stati massacrati dai loro oppressori, sarebbero tornati nel piano terreno sfogando la loro
vendetta sui nemici ancora incarnati, se fossero stati lasciati a loro stessi.
Viene descritta avere quasi la stessa altezza di Shonar. Il suo viso ha una bella forma e una bella
carnagione, i suoi occhi sono blu scuro, i capelli scuri, non completamente neri, sono legati in trecce
sistemate sulla testa. Di forte personalità, ella appare sempre pronta all’azione, ma il suo carattere è
dolce e affascinante.

James, novizio nella vita spirituale, per come si calcola la lunghezza del servizio nell’aldilà, è
tuttavia una di quelle grandi anime che non sono apprezzate sulla Terra, ma acquistano pieno valore
quando passano a Miglior Vita. Per questo motivo, egli progredì rapidamente fino alla Settima
Sfera, dove chiese subito di essere mandato a lavorare vicino alla Terra, fra coloro che erano in
condizioni di tormento. Egli perciò operava in tutte le sfere dalla Settima alla Quarta, essendo la
Quarta il suo punto di appoggio più basso, da cui usciva per viaggi di soccorso e salvataggio nelle
oscure Terre di Confine, e a cui tornava per riposare e recuperare le forze.
Egli era con Wulfhere e Arnel quando incontrarono Shonar al Porto Pietroso, nella Terza Sfera,
e ricevettero da lui le vittime stordite di un massacro avvenuto sulla Terra. Egli prese parte al
compito, estremamente delicato, di aiutare queste persone a rinunciare alla vendetta che
desideravano scatenare sui loro assassini, e d’indirizzarle verso un futuro luminoso. L’impresa fu
realizzata senza pericoli, tranne rari casi, e queste vittime dell’odio e della violenza cominciarono a
costruire una comunità, organizzata e amministrata con amore e tolleranza. La Colonia crebbe
rapidamente, e in seguito fu integrata al Popolo della Radura, governato e diretto da James, assistito
dal giovane Habdi, nelle Sfere Tre e Quattro.
Egli inoltre accompagnò Shonar in diverse spedizioni nelle regioni oscure vicino al mondo
terreno – le Terre di Confine – e là venne in contatto con il Fabbro e il Dottore.

Habdi, dapprima descritto come un ragazzo di 10-12 anni, fu portato nella Sfera Tre da Ladena,
una dama che lavorava nel gruppo di James, per incontrare sua madre Mervyn, la quale era salita a
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questo livello dopo dolorose esperienze terrene e le loro conseguenze. Egli la portò nelle regioni più
luminose della Quarta Sfera, alla Casa di James.
James e Habdi erano amici intimi, e fu tramite il ragazzo che il suo amico e sua madre si
ricongiunsero, e ora si amavano come si erano amati sulla Terra, prima che l’ombra della tragedia li
separasse temporaneamente.
Habdi giocò un ruolo importante nel trattare con le vittime del massacro; accolse i loro bambini
dopo che furono risvegliati, e spiegò agli spiriti più turbolenti ciò che era accaduto e ciò che
dovevano fare. In seguito, quando la loro Colonia fu integrata con la Gente della Radura, fu al loro
servizio come Profeta, o Interprete. In quel tempo egli era cresciuto diventando un giovane
vigoroso.
Poiché lavorava in un mondo inferiore al suo, dovette trattenere il suo naturale splendore. Al
Popolo della Radura, nella Quarta Sfera, egli appariva alto e snello; i capelli castani ondulati gli
scendevano sul collo, e la testa era cinta da un diadema azzurro. Indossava una tunica corta, di seta
blu, e non calzava sandali. Sul petto, dove il colletto si abbassava, portava una pietra d’oro bianco
contornata di rubini.

Castrel, che interviene per descrivere al Rev. Vale Owen il Santuario che quest’ultimo visitò
durante il sonno, è ritratto ampiamente nel Capitolo Quattro del volume “I Regni Bassi del Cielo”.
È descritto come il responsabile di un ampio distretto e della Città Capitale – il cui nome non è dato
– situati fra le montagne della Settima Sfera.
Nell’aspetto è più alto dell’uomo medio sulla Terra, circa 2 metri e 30; indossa una tunica color
crema, lunga fino alle ginocchia, con braccia e gambe scoperte, e senza sandali. Ha una bella
chioma di morbidi capelli scuri, ripartiti nel mezzo, arricciati attorno al viso e al collo. Un nastro
dorato gli cinge la fronte, dove al centro e ai lati del quale sono fissate tre grandi pietre azzurre.
Indossa una cintura di metallo color argento misto a rosa, e le sue braccia risplendono di una
delicata lucentezza. Tutte queste caratteristiche, assieme ad altre, indicano il suo rango elevato.
Egli supervisiona i vari collegi dell’arte e della scienza che circondano la città, che è un centro
di saggezza e conoscenza. Lui e i suoi funzionari analizzano i resoconti provenienti da questi
collegi, disponendoli in tabulati e, dove necessario, testandoli nei laboratori sotto la sua
giurisdizione.

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