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focus.

la chiesa nella babele culturale

Vangelo, pluralismo
e dialogo interculturale

La Chiesa, per riflettere la luce di Cristo nel mondo1,


deve continuamente situarsi e risituarsi nei diversi con-
Lucas testi locali e globali. Perciò per la Chiesa è imprescindibi-
le dialogare con la coscienza di ogni epoca2. Papa Fran-
Cervinho cesco lo ripete insistentemente, è innegabile che siamo
professore
immersi in un profondo cambio d’epoca che ha la sua
di filosofia radice nella cultura, intesa come «la totalità della vita
della religione, di un popolo»3, il modo d’essere e di stare nel mondo.
teologia morale Stanno cambiando i modi di rapportarsi con gli altri, con
sociale e il pianeta e con l’assoluto. Mutano i modi di conoscere,
dottrina sociale
della chiesa
di sentire e di agire dell’uomo.
al seminario L’articolo analizza il rapporto tra vangelo e culture
maggiore situandolo in questo cambio d’epoca, che esige un’evan-
della diocesi gelizzazione, sulle orme di papa Francesco, che sia cul-
di tehuacán tura dell’incontro al servizio dell’unità nella differenza. Si
(puebla, messico).
professore di
propone l’intuizione di Chiara Lubich dell’inculturazione
metodi teologici come scambio di doni per realizzare questa evangeliz-
latino-americani zazione.
e inculturazione
e interculturalità
alla facoltà di
teologia san
la chiesa nel contesto attuale:
pablo, università la sfida epocale del pluralismo
cattolica
boliviana Secondo un conosciuto sociologo della religione, «il
(cochabamba, pluralismo, la coesistenza di differenti cosmovisioni e
bolivia).
sistemi di valori nella stessa società, è il cambiamento
fondamentale prodotto dalla modernità per quanto ri-
guarda il luogo della religione nella mente dell’individuo

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Vangelo, pluralismo e dialogo interculturale

e nell’ordine istituzionale»4; il pluralismo costituisce, infatti, una grande sfi-


da per la fede religiosa, perché relativizza le certezze. Questo genera un’an-
sietà che tende a essere calmata da due atteggiamenti contrastanti ma, in
fondo, molto simili: il fondamentalismo e il relativismo. In nessuno dei due
c’è posto per il dialogo.
Il fenomeno sociologico del pluralismo è soltanto la punta dell’iceberg.
Come sottolinea R. Panikkar, «il pluralismo va un passo più in là del ricono-
scimento della differenza (pluralità) e della varietà (pluriformità), il plurali-
smo ha a che fare con la diversità radicale»5. Il pluralismo è un paradigma
emergente che, nella prospettiva dell’ontologia relazionale, ci rende consa-
pevoli della complessità della realtà. Questa, perciò, è irriducibile a un siste-
ma universale, anche se esibisce un’armonia invisibile in grado di evitare la
dispersione, a partire dalla relazionalità che costituisce la trama del reale.
La diversità culturale, guardata alla sua radice, rende evidente che la
real­tà non è la stessa per tutti. È condizionata dalla cosmovisione culturale.
Perciò la sfida del nostro tempo è quella di aprire la strada tra il fondamenta-
lismo e il relativismo. Intravedere e percorrere il sentiero interculturale, dove
sia le culture che le religioni «sono chiamate ad aprirsi l’una verso l’altra, a
lasciarsi interpellare e fecondare. In questa situazione di pluralismo devono
imparare a convivere una con l’altra in una nuova configurazione planetaria
che non solo è irreversibile ma che crescerà ancor di più»6.
Da un punto di vista antropologico, la sfida principale del cambiamento
epocale è il trasfigurare lo sguardo verso l’altro: che il diverso non sia con-
siderato un alius – strano, minaccia, pericolo –, ma scoperto come un alter
– prossimo, compagno, benedizione –7, per amarlo come un frater – fratello e
sorella. È possibile individuare tre grandi stagioni dell’umanità sulla relazio-
ne stabilita con l’altro8. La prima, quella tribale-isolazionista, in cui la dispo-
sizione principale verso l’altro è la chiusura su se stessi e l’indifferenza verso
la diversità. Nella seconda stagione, l’imperialista-espansionista, si trova
l’atteggiamento di assorbimento dell’altro, integrandolo alla propria visio-
ne del mondo e annullando la sua diversità. La stagione emergente, quella
pluralista-relazionale, invita a configurare il rapporto con l’altro partendo
dal riconoscimento della sua diversità che esige reciprocità. Queste stagioni
vanno capite in modo diacronico ma, allo stesso tempo, configurano ancora

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lucas cervinho

oggi il rapporto con il diverso modo di rapportarsi personale, di gruppo e


sociale.
Il crescente pluralismo culturale esige una reciprocità intesa come re-
lazionalità orizzontale a doppia direzione e motivata da un arricchimento
mutuo. In questa accoglienza reciproca si radica la metánoia – conversione
del cuore e della mente – del secolo XXI: lasciare indietro sia la chiusura e
l’indifferenza tribale sia l’assorbimento e l’assimilazione imperialista. Acco-
glienza che non è relativismo, perché la diversità non diventa una frammen-
tazione soggettivista, ma unità nella diversità. È il tempo di esplorare, insie-
me all’altro diverso, il luogo sconosciuto del plurale, luogo che può diventare
uno spazio comunionale.
L’accoglienza reciproca richiede che l’apertura verticale della relazione
dell’uomo con il mistero sia concepita come immersione nell’abissale pro-
fondità interiore o come apertura verso l’esteriorità infinita e ineffabile, sia
questa confessionale oppure una spiritualità laicale. Quest’apertura verti-
cale nel rapporto orizzontale-interpersonale rende possibile l’incontro in un
luogo che non è posseduto da nessuno: il mistero del reale. Perciò, per per-
correre i sentieri dell’interculturalità, c’è bisogno di esperienze spirituali che
sorgono e si sviluppano in spazi di convivenza plurali. Esperienze che fanno
del rapporto e del dialogo con l’altro nella sua irriducibile diversità – cultura-
le, religiosa, sociale – un’esperienza sacra.

l’evangelizzazione in contesti di pluralismo:


testimoniare e promuovere una “cultura dell’incontro”

Il crescente pluralismo delle nostre società, per la Chiesa e per la sua


opera di evangelizzazione, è una sfida ineludibile e anche un’opportunità
storica. C’è bisogno di dialogare fino in fondo con i diversi contesti per poter
attualizzare la lieta novella del vangelo. I luoghi del pluralismo sfidano la
Chiesa a risituarsi, ripensarsi e riorganizzarsi. Nella misura in cui ogni comu-
nità cristiana realizza questo esercizio contribuisce a un’evangelizzazione
a favore di una «cultura dell’incontro in una pluriforme armonia»9. Così la
sfida diventa opportunità: possibilità di sviluppare e configurare un auten-

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tico cristianesimo multiforme, giacché «non è indispensabile imporre una


determinata forma culturale, per quanto sia bella e antica, insieme con la
proposta evangelica»10.
Risituarsi per la Chiesa significa imparare e reimparare a offrire il suo
tesoro – la vita del vangelo –, in modo orizzontale e rispettoso, esercitando
l’accoglienza reciproca, ai diversi attori sociali. Cioè, lasciare indietro qual-
siasi atteggiamento espansionista d’assorbimento dell’altro-diverso. Assu-
mere, fino in fondo, che oggi «l’evangelizzazione implica anche un cammino
di dialogo […] per adempiere un servizio in favore del pieno sviluppo dell’es-
sere umano e perseguire il bene comune»11. Dialogo dal quale nessuno è
escluso e che può, perfino, arricchire il nostro vivere e la nostra compren-
sione della fede, perché «ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere
l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio»12.
Che la Chiesa si ripensi vuol dire che si apra, promuova e accolga nuove
comprensioni della fede, sia del fondamento trinitario sia dell’unità ecclesia-
le, fino al modo di svolgere l’attività missionaria. Questo perché «non pos-
siamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede
cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato
momento della storia, perché la fede non può chiudersi dentro i confini della
comprensione e dell’espressione di una cultura particolare»13. Questo sano,
necessario e arricchente pluralismo teologico è una via indispensabile per
mostrare «nuovi aspetti della Rivelazione»14 e così fare un autentico servizio
all’«unità nella differenza»15.
La riorganizzazione della Chiesa passa per la configurazione di un cri-
stianesimo che in se stesso articoli la sua universalità come unità plurale,
sotto la scia dell’esperienza di Pentecoste, perché è così che la «Chiesa
esprime la sua autentica cattolicità e mostra la bellezza di questo volto plu-
riforme»16. La rilevanza culturale del cristianesimo nel secolo XXI si gioca in
questa esperienza comunitaria. Infatti, ogni volta che la comunità cristiana
testimonia e irradia la “pluriforme armonia” contribuisce in modo sostan-
ziale alla configurazione di un pluralismo umanizzante e giusto nel sempre
più complesso e plurale tessuto sociale. Ogni volta che la comunità eccle-
siale – dalla famiglia fino alla Chiesa universale – fa l’esperienza della «unità
nella differenza», superando le tentazioni della «diversità senza l’unità» e

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della «unità senza la diversità», è luce trasformante e piena di speranza per


il mondo17.
È impossibile testimoniare e promuovere una cultura dell’incontro sen-
za sviluppare un atteggiamento dialogico. Il continuo esercizio del dialogo
permette che il pluralismo non diventi né relativismo né fondamentalismo.
Il dialogo fa sì che la costitutiva relazionalità del reale si manifesti come un
intreccio di rapporti dove la diversità non è fonte di frammentazione e l’u-
nità non è vissuta come uniformità. Perciò, in questo processo di evangeliz-
zazione a favore di una cultura dell’incontro, è imprescindibile articolare e
sviluppare il dialogo interculturale, tanto a livello intra-ecclesiale quanto con
la società civile e con i suoi molteplice attori.
In chiave cristiana questo è possibile perché l’amore si fa dialogo. Infatti
il comandamento nuovo dell’amore scambievole (Gv 15, 12) in contesti plu-
rali deve diventare uno scambio dei propri doni e valori in chiave intercultu-
rale. Il dialogo interculturale diventa un modo d’evangelizzazione.

la strada del dialogo nell’evangelizzazione:


il dialogo interculturale come scambio di doni

Il carisma dell’unità, che ha come fonte di comprensione la visione uni-


trina di Dio, è un contributo dello Spirito per poter e saper vivere in tempi
caratterizzati dal pluralismo18. In riferimento a questo carisma, trasmesso
da Chiara Lubich e articolatosi nel Movimento dei Focolari, papa Giovanni
Paolo II ha scritto che «le Focolarine e i Focolarini si sono fatti apostoli del
dialogo, quale via privilegiata per promuovere l’unità»19. È indubbio che, per
promuovere l’unità nella differenza della famiglia umana, bisogna fare del
dialogo un cammino per percorrere i sentieri della fraternità interculturale
universale.
Per la Lubich, l’amore pienamente disinteressato è la fonte del dialogo,
il farsi uno facendo il vuoto totale è il segreto del dialogo, la simmetria nel
rapporto è la condizione del dialogo, l’arricchimento mutuo fino alla com-
penetrazione è la misura del dialogo, la fraternità universale e interculturale
è il frutto del dialogo, Gesù abbandonato come esempio di vita è la chiave

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Vangelo, pluralismo e dialogo interculturale

per dialogare sempre e con tutti20. Lei non ha parlato in modo esplicito del
dialogo interculturale, ma in occasione della sua visita in Messico, nella ba-
silica della Madonna di Guadalupe – patrona dell’America Latina –, ha dato
una definizione dell’inculturazione che c’entra chiaramente con il dialogo
interculturale.
L’inculturazione non è solo farsi uno con un altro popolo spiritualmen-
te, scoprendovi magari e potenziando i “semi del Verbo” presenti in esso,
ma è anche un assumere personalmente, con umiltà e riconoscenza, quel
qualcosa di valido che la cultura del fratello offre. L’inculturazione esige uno
scambio di doni. Questo ci vuol dire la Madonna di Guadalupe. Solo così il
vangelo potrà penetrare nel fondo delle anime e apportarvi la sua rivoluzio-
ne, con tutto ciò che ne consegue21.
Questa visione del rapporto tra vangelo e culture permette di capire il
dialogo interculturale come uno scambio di doni che, quando si vive, mette
in luce e potenzia tutti i frutti d’umanizzazione – il modo di rapportarsi con
se stessi, con gli altri, con la natura e con l’assoluto – che sono nella cul-
tura propria e dell’altro. Allo stesso tempo, questo incontro caratterizzato
da profondità e reciprocità focalizza l’importanza del dialogo nel processo
d’inculturazione: il vangelo penetra nel fondo delle anime soltanto quando si
stabilisce questo livello di dialogo interpersonale ed esistenziale.
Lo scambio di doni mette in luce innanzitutto che l’evangelizzazione non
consiste nel portare qualcosa – una visione di Dio, una dottrina, dei riti ecc. –
che non è presente nella cultura dell’altro o nei diversi ambiti del sociale.
L’evangelizzazione, prima di tutto, è trasmettere un’esperienza; anzi, stabi-
lire insieme all’altro un dialogo interculturale fino allo scambio di doni, fa-
cendo del dialogo un’esperienza spirituale. Questa esperienza di unità nel-
la differenza, permette di innescare la rivoluzione del vangelo nel cuore di
ogni uomo e di ogni donna secondo le rispettive condizioni culturali, sociali
e spirituali. Lo scambio di doni fa venir fuori il Cristo che vive in ogni uomo,
perché «con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni
uomo»22, secondo le sue condizioni.
La strada del dialogo fino allo scambio di doni, che fa sì che il dialogo sia
esperienza spirituale, fa sì che, nell’evangelizzazione, la buona novella – Dio ti
ama immensamente, ama e fai quello che vuoi (sant’ Agostino) – sia qualco-

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sa che sgorga dal di dentro, grazie alle condizioni di apertura, svuotamento,


reciprocità e accoglienza messe in atto dal dialogo interculturale. La garan-
zia di questo continuo, infinito e plurale esercizio d’inculturazione sta nel
fatto che le comunità cristiane si lascino guidare dalla presenza viva del Cri-
sto risorto – dono accolto grazie all’amore scambievole –, soggetto primario
di qualsiasi dialogo tra vangelo e culture. Con il Risorto in mezzo ai cristiani,
c’è lo Spirito Santo (cf. Gv 20, 21-22). È lui che fa venir fuori il modo proprio
e specifico di Cristo in ogni cosmovisione e cultura arricchendo il volto plu-
riforme della Chiesa. Senza la presenza del Cristo risorto tra i suoi e senza
l’azione dello Spirito di Dio, è facile che la relazione tra vangelo e culture
diventi ripiegamento e chiusura o imposizione e proselitismo, perdendo così
la chance di diventare accoglienza reciproca attraverso l’apertura all’unità
nella diversità, che è possibile grazie all’azione dello Spirito.
Il dialogo interculturale come scambio di doni può darsi non solo tra cri-
stiani, con le loro diverse culture, ma anche in ambienti caratterizzati dal
pluralismo religioso e secolare. Qui l’evangelizzazione come promozione di
una cultura dell’incontro ha due versanti. Il primo è quello di promuovere il
bene comune e la dignità umana facendo propria «una cultura che privilegi
il dialogo come forma d’incontro, la ricerca di consenso e di accordi, sen-
za però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di
memoria e senza esclusioni»23. Lo scambio di doni serve per raggiungere
consensi e accordi sempre maggiori grazie alla fusione di orizzonti che un
dialogo autentico genera. Un secondo aspetto è lo scambio di doni che si dà
nell’ambito dell’esperienza trascendente. C’è un arricchimento tra diversi
modi d’avvicinarsi a Dio, al mistero ineffabile o all’infinito del reale. Nell’in-
contro che il dialogo tra interlocutori di diverse culture, religioni e spiritualità
produce si dà anche uno scambio dei doni sacri che, in fondo, sono sempre
espressioni culturali. Questo scambio è possibile perché, se la centralità del
vangelo è l’amore – infatti il cristianesimo è la religione dell’amore che si
fa volto –, tutti gli uomini sono aperti alla pienezza dell’amore, che per noi
cristiani si svela pienamente nella kénosis pasquale. E «dobbiamo ritenere
che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che
Dio conosce, al mistero pasquale»24. Infatti, «ogni volta che ci incontriamo

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Vangelo, pluralismo e dialogo interculturale

con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire


qualcosa di nuovo riguardo a Dio»25.
Il dialogo interculturale, come strada per l’evangelizzazione al servizio di
una cultura dell’incontro caratterizzata dall’unità nella differenza, è possibi-
le soltanto se c’è un sostrato spirituale negli attori che generano lo scambio
dei propri doni culturali, religiosi o spirituali. Il dialogo interculturale deve
diventare esperienza spirituale, lo scambio di doni è infatti un incontro reli-
gioso: apertura al mistero nell’apertura intersoggettiva reciproca.

la spiritualità nell’evangelizzazione:
lo scambio dei doni come mistica dell’incontro

Il metodo di evangelizzazione qui proposto esige una conversione spiri-


tuale non indifferente. Si tratta di fare un salto epocale per rispondere crea­
tivamente al crescente pluralismo. Buttarsi verso la novità della “mistica
dell’incontro” – per dirla con le parole di papa Francesco –, cioè «la capacità
di sentire, di ascolto delle altre persone. La capacità di cercare insieme la
strada, il metodo»26. Allora, lo scambio dei doni non è un incontro con l’altro
staccato dalla mia vita spirituale, ma questo stesso incontro è vita spirituale,
è un’esperienza mistica. Questo è possibile perché nell’esercizio del dialogo
interculturale «viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cer-
care il loro bene» e così «allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più
bei regali del Signore»27. La potenza rivoluzionaria del vangelo prende posto
in noi e tra noi, trasformando i rapporti interpersonali, e perciò il tessuto
sociale diventa più fraterno e comunionale. Il Cristo risorto abita tra noi e
lo percepiamo secondo le nostre matrici culturali. La casa comune, tutto il
creato, diventa la nostra interiorità.
Il dialogo interculturale come esperienza mistica dell’incontro manifesta
chiaramente che «l’impegno dell’evangelizzazione arricchisce la mente ed
il cuore, ci apre orizzonti spirituali, ci rende più sensibili per riconoscere l’a-
zione dello Spirito, ci fa uscire dai nostri schemi spirituali limitati»28. Perciò
il dialogo, anziché essere uno strumento sottile per assimilare e convertire
l’altro alla nostra visione della vita, è un evento spirituale in se stesso. Un

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evento che ogni volta che accade ci trasforma dal di dentro. In questo in-
contro cresciamo spiritualmente, cresce in pienezza tutto l’essere umano.
Allora il dialogo diventa un’esperienza di trasfigurazione: cambia il nostro
sguardo verso il mondo, verso gli altri – per diversi che siano –, verso il mi-
stero di Dio. Impariamo a scoprire e a intravedere l’azione amorosa dello
Spirito che continuamente sta generando e sostenendo ogni creatura nel
cosmo. Ci sentiamo partecipi dell’interrelazione di tutto con tutto. Crescia-
mo in una spiritualità della «solidarietà globale»29.
Vivere lo scambio dei doni in ogni dialogo interculturale è possibile nella
misura in cui riusciamo a «scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere in-
sieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci,
di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una
vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegri-
naggio»30. In questi tempi di pluralismo radicale, la spiritualità che sostiene
ogni evangelizzazione non può coltivarsi come ripiegamento su se stessi o
su gruppi chiusi e tribali per la paura del diverso, neanche come spirito di
espansione e di assimilazione della differenza dell’altro. La sorgente spiri-
tuale del secolo XXI sta nell’incontro con l’altro riconoscendo la sua diversi-
tà e nell’apertura con l’altro al mistero ineffabile, per trovarci insieme nella
voragine dell’amore. Questa è la chance storica cha abbiamo di fronte come
cristiani, fare sì che la marea caotica del pluralismo, grazie al dialogo inter-
culturale come scambio di doni che ci apre alla presenza del divino, diventi
unità nella diversità e sia percepita – secondo la diversità di ciascuno – come
carovana solidale e giusta o come santo pellegrinaggio per ringraziare Dio o
come esperienza di fraternità interculturale e interreligiosa.

1
Cf. Lumen gentium, 1: «Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adu-
nato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo
ad ogni creatura (cf. Mc 16, 15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che
risplende sul volto della Chiesa».
2
Cf. Gaudium et spes, 44: «È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei
pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discer-
nere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce

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Vangelo, pluralismo e dialogo interculturale

della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio
compresa e possa venir presentata in forma più adatta».
3
Francesco, Evangelii gaudium, 115.
4
P. Berger, Los numerosos altares de la modernidad, Sigueme, Salamanca 2016, p.
10 (traduzione mia).
5
R. Panikkar, Pluralisme e interculturalitat, Fragmenta Editorial, Barcelona 2010,
p. 13 (traduzione mia).
6
J. Melloni, Hacia un tiempo de síntesis, Fragmenta Editorial, Barcelona 2011, p.
28 (traduzione mia).
7
Cf. R. Panikkar, Diàleg intercultural i interreligiós, Fragmenta Editorial, Barcelo-
na 2014, p. 75.
8
Cf. J. Melloni, Hacia un tiempo de síntesis, cit., pp. 26-29.
9
Francesco, Evangelii gaudium, 220.
10
Ibid., 116.
11
Ibid., 238.
12
Ibid., 272.
13
Ibid., 118.
14
Ibid., 116.
15
Francesco, Omelia nella solennità di Pentecoste, Città del Vaticano, 4 giugno
2017.
16
Id., Evangelii gaudium, 116.
17
Cf. Id., Omelia nella solennità di Pentecoste, cit.
18
Chi ripercorre i duemila anni di storia del cristianesimo riconosce l’impor-
tanza della dimensione carismatica della Chiesa. Infatti, lo Spirito Santo fa sorgere
diversi carismi per rispondere alle necessità e alle sfide di ogni epoca. Di fronte
alle ricchezze opulente della Chiesa nel Medioevo sorgono gli ordini mendicanti, di
fronte alla modernità con la centralità del soggetto nascono i Gesuiti, e così via. In
questa chiave bisogna guardare il carisma dell’unità come una luce e un’azione dello
Spirito per vivere in tempi di pluralismo.
19
Giovanni Paolo II, Messaggio a Chiara Lubich in occasione del 60o della nascita del
Movimento dei Focolari, Città del Vaticano, 4 dicembre 2003.
20
Cf. C. Lubich, La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, pp. 438-490.
21
Id., Discorso al Santuario della Madonna di Guadalupe, Città del Messico, 7 giu-
gno 1997.
22
Gaudium et spes, 22.
23
Francesco, Evangelii gaudium, 238.
24
Gaudium et spes, 22.
25
Francesco, Evangelii gaudium, 272.

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26
Id., Discorso ai rettori e agli alunni dei Pontifici Collegi e Convitti di Roma, Città del
Vaticano, 12 maggio 2014.
27
Id., Evangelii gaudium, 272.
28
Ibid..
29
Francesco, Laudato si’, 240.
30
Id., Evangelii gaudium, 87.

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