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nuova umanità trimestrale di cultura


rivista fondata da Chiara Lubich nel 1978

controcorrente
In nome del popolo sovrano – A. Lo Presti _____________________» pp. 5-9
L’onda dei populismi appare ingrossarsi nello scenario politico internazionale. Essa
è favorita dallo sviluppo del rapporto che la politica ha con il mondo dei mass media.
Ormai il consenso è misurato sui social network, e questi sono spesso influenzati da
gruppi di potere particolari. È necessario continuare a lavorare per il rafforzamento
della democrazia, attraverso la crescita della società civile come soggetto autono-
mo dalla realtà politica, dunque come strumento capace di controllare le derive po-
puliste. È una sfida che l’etica cristiana ha ingaggiato nel mondo moderno e che oggi
si propone come antidoto ai capi politici demagoghi del popolo sovrano

Focus
La piaga della corruzione
Corruzione giuridica e corrosione sociale – S. Barbaro ________ » pp. 11-29
Cosa è la corruzione? Cosa si cela all’interno di questo fenomeno? Come combat-
tere questa piaga? Il presente lavoro offre uno sguardo sul problema della corruzio-
ne analizzando alcuni dati statistici sul fenomeno che ritraggono una realtà ancora
preoccupante per il nostro Paese. I tanti strumenti normativi internazionali e nazio-
nali, finalizzati alla lotta alla corruzione, pur evidenziando diversi pregi (ma anche
molte lacune), non sono, da soli, in grado di debellare completamente le pratiche
corruttive. È necessario un approccio culturale diverso, che porti al superamento
della logica egoistica dell’altro come mero strumento per il perseguimento dei pro-
pri interessi.

Quando le norme da sole non bastano – A. Cosseddu __________ » pp. 31-49


Dinanzi a un male sociale come la corruzione, così antica nel suo apparire nella
storia dell’umanità e così presente per la sua attualità anche nel pensiero di papa
Francesco, la riflessione ricerca una possibile risposta e una nuova speranza. Senza
escludere la necessità di norme e di interventi di contrasto al fenomeno, intende
sottolineare la necessità di un rinnovato modello culturale, capace di declinare “cul-
sommario

tura del servizio” e “fraternità”, per ridare voce ai doveri di giustizia e verso l’umani-
tà. La risposta si fa così impegno di ognuno nell’oggi della storia.

E se la corruzione fosse la radice di tutti i problemi dell’Africa? –


R. Takougang _____________________________________________ » pp. 51-65
Più delle guerre, più delle carestie, e ancor più delle grandi pandemie, è la corru-
zione la radice di tutti i problemi dell’Africa. Nutrire i propri figli, assicurare loro
un’educazione e pagare le spese mediche rappresentano una sfida quotidiana. E la
povertà diventa miseria quando, nel concedere contratti di estrazione dei minerali,
come i tanti in favore delle multinazionali europee e americane, c’è un gioco di inte-
ressi che finisce con lo sfruttamento del Paese produttore. Ma saranno gli africani
stessi a ribaltare la situazione quando sceglieranno come propri leader coloro che si
mostreranno capaci di “morire per la propria gente”.

scripta manent
Il processo a Verre – M.T. Cicerone __________________________ » pp. 67-72
Corre l’anno 70 a.C. quando si svolge la causa contro Verre, di recente titolata: Pro-
cesso per corruzione. Il senatore Marco Tullio Cicerone sostiene l’accusa per incarico
delle 64 città della provincia di Sicilia, che si costituiscono “parte civile”. Invocano
giustizia contro i soprusi e le vessazioni subite ad opera di Gaio Verre, governatore
di Roma nell’isola di Sicilia, nei tre anni precedenti. Un episodio antico ma quanto
mai attuale nei suoi contenuti.

parole chiave
Legalità – C. D’Alfonso ____________________________________ » pp. 73-77
La legalità costituisce oggetto e fine dell’operare, determinando schemi di azione
(legalità-indirizzo) e fissando l’obiettivo dell’attività (legalità-garanzia). Lo schema
legale tipico è fissato dalla norma che attribuisce alla sua violazione la relativa san-
zione ma non di rado il contegno delle parti, in astratto lecito, può generare fenome-
ni di illiceità che l’ordinamento ha lo scopo di prevenire e sanzionare. L’arretramento
della tutela spesso costituisce occasione per consentire la conversione del modello
di condotta a garanzia dei diritti dei terzi senza frustrare la realizzazione di interessi.

punti cardinali
Duhem e le origini cristiane della scienza – A. Giostra _______ » pp. 79-90
La visione sostenente una netta contrapposizione tra scienza e religione è stata del
tutto superata nel XX secolo dal lavoro di alcuni pensatori che, pur evidenziando le
differenze nel metodo di queste discipline, hanno rigettato l’idea di una loro incom-
sommario

patibilità. In particolare, il filosofo francese Pierre Duhem ha scoperto le origini me-


dievali della scienza, confutando il pregiudizio secondo cui la scienza sarebbe nata
in opposizione ai princìpi della teologia cristiana. L’importanza degli studi di Duhem
consiste proprio nell’aver determinato una netta inversione di tendenza all’interno
del contesto culturale positivista, dominante negli anni della sua attività, unendosi
a quel novero di pensatori francesi che hanno evidenziato i limiti dello scientismo
meccanicista.

Camminare insieme verso l’unità. Nel 500° della Riforma, alcuni stimoli
per avanzare sulla via dell’ecumenismo – H. Blaumeiser _______ » pp. 91-100
Quali gli atteggiamenti per poter progredire speditamente verso l’unità dei cristia-
ni? E come potrà contribuire in questo campo il carisma di Chiara Lubich? Sono le
domande che l’Autore ha affrontato in questo intervento alla Giornata ecumenica
Gaandeweg één svoltasi il 18 marzo 2017 a Mariënkroon, Nieuwkuijk, in Olanda, alla
presenza di 380 persone, tra cui i leader delle principali denominazioni cristiane
presenti nel Paese. L’occasione era offerta dai 500 anni della Riforma e dal settimo
anniversario della morte di Chiara Lubich. Con stimoli di riflessione teologicamente
fondati, l’articolo offre spunti per la prassi ecumenica.

alla fonte del carisma dell’unità


Storia di Light. 12 - La Chiesa madre – I. Giordani ____________ » pp. 101-119
Il Santo Offizio ha cominciato lo studio del nascente Movimento dei Focolari. Si
apre un periodo molto doloroso: Chiara accetta ogni prova con fede adamantina
nell’amore di Dio e della Chiesa, che riconosce madre e a cui dimostra obbedienza
assoluta e totale, costi quello che costi, mentre guida con sapienza tutti coloro che
la seguono a vivere ogni cosa con questo stesso atteggiamento. Intanto la vita del
Movimento cresce e si diffonde. Entrano nel racconto figure importanti: padre Ma-
ria, padre Lombardi… E il filo d’oro della divina Provvidenza conduce tutto e tutti.

Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo
sposo – M.C. Atzori _______________________________________» pp. 121-142
Tra i preziosi autografi a firma di Chiara Lubich, ve n’è uno di particolare rilievo nella
storia personale dell’Autrice. Si tratta di Ho un solo sposo sulla terra: Gesù Abban-
donato. Redatto di getto il 20 settembre 1949, lo scritto ha conosciuto nel tempo
importanti rivisitazioni, scandendo tappe significative della storia di Chiara e del
Movimento dei Focolari. Lo studio qui proposto, di carattere linguistico-letterario, si
concentra sulle varianti che hanno accompagnato e caratterizzato alcune edizioni
del testo, dall’autografo (1949) fino al suo inserimento nel libro Il grido (2000).
sommario

in biblioteca
Corrosione. Combattere la corruzione nella Chiesa e nella società –
A. Mazzella ____________________________________________ » pp. 143-147
Introduzione al pensiero politico di Ketteler – G. Rossi _____ » pp. 148-153

english summary – a cura di Tim King_____________________ » pp. 155-157

murales – G. Berti __________________________________________ » p. 160


controcorrente

In nome del popolo sovrano

Ciò che in Italia chiamiamo rottamazione è un ven-


to che, negli ultimi anni, ha soffiato un po’ ovunque nel
Alberto mondo. Il cambiamento generazionale è stato reso ne-
cessario dai processi di trasformazione sociale e cul-
Lo Presti turale intercorsi e ha dettato le condizioni minime di
politologo.
accesso alla classe politica. I nuovi strumenti della co-
direttore di municazione rendono la democrazia un processo pre-
nuova umanità e valentemente discorsivo, cioè comunicativo, un’impresa
del centro igino che domanda nuove competenze, nuovi modi di gestire
giordani. insegna la propria immagine e l’informazione, nuove modalità di
teoria politica
all’istituto
interazione con la cittadinanza e il pubblico in genere.
universitario Forse è stata sottovalutata la componente populista che
sophia di loppiano tale processo globale poteva generare. Da esso, infatti,
(figline - incisa sono sorte figure di politici investite di un’autorità mi-
in val d’arno, surabile sul terreno del consenso popolare, quotidiana-
firenze).
mente rilevabile attraverso i mezzi più aggiornati di co-
municazione. Tali leader hanno spesso avvertito come
ostili le componenti formali e informali dell’assetto de-
mocratico: dai livelli di garanzia e di controllo preposti
al bilanciamento dei poteri agli organi di informazione
e di stampa. Il gradimento è faccenda di followers, di
like, di views, e queste nuove risorse della politica sono
oggi vendute sul mercato delle relazioni pubbliche come
beni di prima necessità. Una corte suprema, un’inchie-
sta giornalistica, un vincolo istituzionale sono avvertiti
come un intralcio nella marcia verso la costante crescita
del consenso popolare.
Probabilmente qualcuno, negli anni scorsi, ha otti-
misticamente sottovalutato il pericolo populista per-

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In nome del popolo sovrano

ché convinto che, sul terreno del pluralismo democratico, la società civile
avrebbe attivato antidoti alle influenze esercitate dall’uso spregiudicato dei
mass media. Il riferimento più eclatante è a Jürgen Habermas, il quale era
convinto che i mezzi di comunicazione dovessero essere i «mandatari di un
pubblico illuminato», una sorta di cinghia di trasmissione fra la società civile,
e le istanze che la attraversano, e la politica. In realtà i populismi raramente
incontrano resistenze “illuminate”. I piccoli o grandi incidenti di percorso,
gli scandali e le gaffe, raramente riescono a intaccare in modo importante
la fiducia in personaggi che sanno navigare nel mare magnum della comu-
nicazione globale.
Qualche decennio fa si diceva che questo era ormai un vero potere, un
“quarto potere”, che non poteva essere previsto dai padri del costituzio-
nalismo moderno (Locke, Montesquieu, Constant) i quali, nei loro secoli,
poterono al massimo immaginarsene tre (legislativo, esecutivo e giudizia-
rio). Per quarto potere s’intendeva la reale capacità di orientare le scelte dei
cittadini a piacimento, attraverso la manipolazione condotta dai mezzi di
comunicazione. Per molto tempo è stata avanzata la richiesta di aggiornare
la disciplina della separazione dei poteri dello Stato, contemplandoli tutti,
pure il quarto. Ancora oggi è ampia la domanda di fare norme che impedi-
scano la concentrazione dei mezzi di comunicazione e di impedire stretti
collegamenti fra potere politico e potere dei mass media. Nel frattempo,
però, questo quarto potere si è evoluto, costituendosi a fonte di ratificazione
degli altri tre. Non teme più nulla, ha persino smesso di nascondersi, cioè
non agisce più dietro le linee, favorendo in modo surrettizio questo o quel
leader politico, ma partorendo da sé tali leader (tycoon, guru, magnati…).
Credo che l’ampiezza e la portata dei processi di comunicazione sociale
rendano insufficiente un approccio esclusivamente giuridico al problema.
Lo abbiamo visto con le ultime tornate elettorali in giro per il mondo. Or-
mai è acclarato che la pirateria informatica ha avuto un ruolo nelle elezio-
ni di Trump. Secondo i rapporti dell’intelligence americana, sarebbe stato
direttamente Putin a ordinare attacchi informatici ai danni del Partito de-
mocratico, al fine di screditare Hillary Clinton nella fase iniziale della cam-
pagna elettorale e di favorire l’elezione di Trump nella parte conclusiva. Lo
stesso Trump ha dovuto riconoscere che la Russia ha avuto un ruolo nella

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alberto lo presti

violazione dei sistemi informatici del Partito democratico, anche se ritiene


ininfluenti le conseguenze sull’esito elettorale. Ma i cyberattacchi, i trolling,
le intrusioni e le violazioni dei sistemi informatici, in particolare ad opera
dell’esercito hacker russo, sono stati all’ordine del giorno nel caso della Bre-
xit, dell’ultimo referendum italiano e dell’elezione francese di Macron, per
citare solo i fatti più noti.
A meno di clamorose scelte illiberali, che in nome della cybersicurezza
censurano internet, chiudono alcuni siti, nazionalizzano i server e rendono
disponibili al governo l’accesso ai loro dati (casi avvenuti in Turchia e in Cina,
per fare due esempi), è difficile credere che la via per regolamentare e atte-
nuare il fenomeno possa passare per la promulgazione di leggi o di accordi
internazionali. Quel mondo è un far west ed è difficile impedire ai cowboy di
scorrazzare a piacimento nelle praterie della rete. Gli antidoti vanno cercati
altrove. Buone speranze arrivano dalla presa di coscienza del ruolo nevralgi-
co che tali dinamiche stanno prendendo nel destino di popoli e sistemi civili.
A tali potenzialità tecnologiche devono corrispondere adeguate competen-
ze professionali, riflessioni etiche e consapevolezze dei rischi connessi.
Intanto il populismo pare dilagare. Probabilmente è una concezione po-
litica con la quale dovremo imparare a convivere. Prima di pensare a come,
però, facciamo attenzione a distinguere fra il populismo occidentale, basato
spesso sulla presunzione demagogica, e il populismo autentico. Nel mondo
occidentale spesso il populismo è una posizione politica nella quale si pre-
tende di parlare a nome della gente perché ci si riserva, arbitrariamente, l’e-
sclusiva dell’espressione popolare, come se tutti gli avversari politici fossero
stati invece votati, scelti e sostenuti da extraterrestri. Ma la culla del populi-
smo, ricordiamolo, è il mondo latino-americano. Lì è sorto e si è sviluppato,
si è adattato alla destra e alla sinistra, è diventato perfino neoliberale, si è
esteso nei sindacati, nelle Chiese, nella società. Non ha dovuto fingere di
avere un rapporto esclusivo col popolo, piuttosto è sorto dalle ceneri dei re-
gimi bloccati dalle oligarchie economiche e politiche, che sistematicamente
calpestavano i diritti dei cittadini (la República Velha in Brasile, l’autocrazia
di Porfirio Díaz in Messico, la Concordancia argentina degli anni Trenta, solo
per fare qualche esempio). Ha avuto il volto autorevole (e contraddittorio) di
Perón, di Vargas, di Cárdenas, di Haya de la Torre, successivamente quello

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In nome del popolo sovrano

di Menem, di Collor, di Fujimori, poi quello di Chávez e di Morales; la lista


sarebbe lunga. Ha mostrato presto alcuni tratti ricorrenti, come una leader-
ship carismatica, una vocazione plebiscitaria, l’insofferenza all’eccesso di
vincoli istituzionali, una tendenza a proteggere il mercato interno e ad assu-
mere iniziative di politica economica volte alla redistribuzione del reddito. Si
alimenta di nemici interni (una classe dirigente chiusa e autoreferenziale) e
nemici esterni (il Fondo monetario internazionale, l’Unione europea ecc.).
A volte presenta qualcosa di esoterico perché definisce il popolo non tanto
come l’insieme dei cittadini che godono di diritti e hanno dei doveri, ma
come un tutto organico amalgamato da una sorta di principio sacro che lo
rende comunità viva e, soprattutto, veritiera, cioè portatrice sana di verità.
L’elemento religioso entra in gioco a questo punto del discorso. L’anti-
doto agli eccessi del populismo è nel senso del limite che la politica deve
acquisire per non oltraggiare le libertà umane. Ciò accade quando il potere
si vuole esprimere come una pura manifestazione della volontà umana, tra-
sformandosi così in una forza che opprime l’uomo e calpesta la sua dignità.
È indifferente che tale forza sia espressione di una dittatura, di un’oligarchia
o del popolo. Non c’è alcuna soddisfazione aggiuntiva nella consapevolezza
che invece del tiranno a prevaricarci è la volontà popolare (oggi si direbbe
del popolo del web, l’ordalia della rete).
Questo è un insegnamento particolarmente caro all’etica cristiana e ha
segnato la concezione di democrazia di tanti esponenti del cattolicesimo
politico. Storicamente si è espresso con una generale avversione alla sta-
tolatria, cioè a una visione in cui i rapporti politici riassumevano, ed esau-
rivano, tutte le funzioni di ordine sociale e civile. Nei secoli scorsi furono
soprattutto le Chiese a ingaggiare, in prima linea, una battaglia per la riven-
dicazione di spazi autonomi di azione e intervento nella società civile, cioè
non subordinati allo Stato o agli interessi nazionali. Nell’evolversi delle de-
mocrazie nell’era del web tali presupposti non possono smarrirsi e ogni cor-
tocircuito fra popolo e governo è, di per sé, un processo verso il quale pre-
stare molta attenzione (e preoccupazione). Jacques Maritain aveva intui­to,
già nella metà del Ventesimo secolo, dopo la tragedia delle guerre mondiali,
l’urgenza di dare un’anima alla democrazia. La stessa preoccupazione af-
fiora, fin dagli scritti degli anni Venti, nel pensiero di Igino Giordani, il quale

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alberto lo presti

assegnava tale compito al cristianesimo, perché riteneva la democrazia la


naturale evoluzione dei rapporti civili nell’alveo della religione cristiana. Il
populismo è tanto più pericoloso quanto più usa l’idea di popolo contro la
realtà complessa e mutevole dei rapporti sociali, dei meccanismi identita-
ri, dei progetti civili. La realtà è sempre superiore all’idea, come ci insegna
papa Francesco, e ciò «implica di evitare diverse forme di occultamento del-
la realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichia-
razionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli
eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza» (Evangelii gaudium,
231). Una lezione importante e attuale, un monito per coloro che abusano di
formule ideali per potenziare le proprie ambizioni politiche.

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dallo scaffale di città nuova

Parole di vita
vol. 5 della nuova collana
OPERE DI CHIARA LUBICH
a cura di Fabio Ciardi

Nell’ampia produzione letteraria di Chiara Lubich la “Parola di


Vita” costituisce un genere particolare, da lei stessa creato.
Più che un commento al Vangelo, ne è una lettura carismatica,
un’intuizione, uno sprazzo di luce, un deciso impulso a metter-
lo in pratica, a viverlo.
Presenta un carattere immediato, incisivo, diretto. Destinata
fin dal principio a un vasto pubblico, è sempre apparsa su fo-
glietti modesti, scritti con un linguaggio alla portata di tutti.
Pur nella sua semplicità, l’iniziativa ha offerto un notevole con-
tributo alla riscoperta della Parola di Dio  nel mondo cristiano
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Chiara Lubich. Promotori il Centro Chiara Lubich e l’Editrice Città
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La serie Opere di Chiara Lubich raccoglie in quattordici volumi gli
scritti della Fondatrice dei Focolari, molti dei quali inediti, orga-
nizzandoli per “generi letterari” e raggruppati a loro volta in tre
blocchi omogenei: La persona / La via spirituale / L’opera.

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focus. la piaga della corruzione

Corruzione giuridica
e corrosione sociale

Sergio
Barbaro la corruzione: un fenomeno
di difficile definizione
avvocato.
professore Cosa è la corruzione? Cosa si cela all’interno di que-
incaricato di sto fenomeno? Come combattere efficacemente questa
comparative law
presso l’istituto
piaga? Sono tutte domande che ci poniamo ogni giorno
universitario e che trovano difficile soluzione. Lo stesso concetto di
sophia di corruzione ha contorni sfuggenti che ne rendono ardua
loppiano (figline una definizione univoca1.
- incisa valdarno, Le ragioni di tale difficoltà risiedono in diverse mo-
firenze).
tivazioni: in primis nella mutevolezza del fenomeno che
assume forme e manifestazioni diverse essendo legato
alla società e alle consuetudini sociali2. In secondo luo-
go la corruzione è un fenomeno nascosto e sommerso
all’interno della realtà sociale per cui lo studio dello stes-
so non è agevole3. In terzo luogo la corruzione è spesso
messa in atto da soggetti che ricoprono ruoli rilevanti
e che hanno un elevato rango sociale4. Non ultimo le
pratiche corruttive hanno assunto negli ultimi anni una
valenza transazionale e internazionale riguardando fat-
tispecie che vanno oltre i confini nazionali di uno Stato5.
La corruzione, difatti, ha negli ultimi anni espresso ma-
nifestazioni sempre più complesse e insidiose proprio in
ragione dello sviluppo della globalizzazione dell’econo-
mia e del ruolo egemone assunto dalle imprese transna-
zionali e dalla tecnologia, diventando «un elemento en-

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focus. la piaga della corruzione
Corruzione giuridica e corrosione sociale

demico della vita politica, dell’azione amministrativa e della competizione


economica»6.
È necessario comunque, in questa sede, partire da una definizione sep-
pure parziale e incompleta di corruzione .
Il termine “corruzione” deriva dal verbo latino corrumpere che significa
rovinare, guastare, distruggere, deteriorare. La stessa etimologia del nome
esprime chiaramente quali sono gli effetti distorsivi e nocivi per il tessuto
sociale, giuridico ed economico delle pratiche corruttive. Papa Francesco,
nella recente introduzione al testo del cardinale Peter K.A. Turkson7, descri-
ve la corruzione come la peggiore piaga sociale, che scioglie la validità dei
rapporti, corrode i pilastri sui quali si fonda una società ovvero la coesisten-
za fra persone e la vocazione a svilupparla, «sostituendo il bene comune con
un interesse particolare che contamina ogni prospettiva generale»8.
La parola “corrotto”, continua il papa, richiama il cuore rotto, il cuore
infranto, diviso, «macchiato da qualcosa, rovinato come un corpo che in na-
tura entra in un processo di decomposizione e manda cattivo odore»9. Il
cardinale Turkson si sofferma ancora sugli effetti lesivi del fenomeno sulle
relazioni sociali arrivando ad affermare, richiamando un messaggio di papa
Francesco per la Giornata mondiale della pace del 201410, come la corru-
zione e la criminalità organizzata avversino la fraternità11, ne costituiscano
l’antitesi, l’esatto contrario12. Le condotte corrosive hanno come proprio
scopo il soddisfacimento di un interesse personale, meramente egoistico, e
vedono l’altro come un mezzo per realizzare tale intento. L’effetto è la crea-
zione di relazioni distorte e inegualitarie che vanno a ledere il tessuto sociale
in maniera spesso irreparabile. La fraternità e, di contro, il riconoscimento
dell’altro come avente pari dignità e valore costituiscono, secondo le parole
del cardinale, sul piano sociale il valore capace di garantire «pace e equi-
librio tra giustizia e libertà, tra diritti e doveri»13. In questa prospettiva la
corruzione e la criminalità organizzata rappresentano realmente “la morte
della fraternità”.
È necessario a questo punto definire il concetto di corruzione anche da
un punto di vista prettamente giuridico. A tal fine ci aiuta la dottrina pe-
nalistica italiana che, pur con le riserve sopra menzionate sulla capacità di
descrivere concettualmente il fenomeno, ha provato a tracciare delle defini-

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sergio barbaro

zioni. Partendo proprio dall’etimologia latina del termine cum rumpere, con
riferimento all’azione volta a spezzare, rompere, disgregare la coesione di
qualcosa, la corruzione viene definita come il comportamento volto a in-
durre una persona, con doni e promesse, a compiere un’azione contraria
al dovere14. Secondo altra autorevole dottrina, per corruzione da un punto
di vista economico si deve intendere un atto con cui un potere pubblico o
privato15 è utilizzato per un guadagno personale in modo da contravvenire
alle regole del gioco16. Secondo questo orientamento, per la sua esistenza
sono necessari tre elementi: 1) il possesso di un potere discrezionale da
parte del soggetto corrotto, il quale anteponga i sui interessi personali a
quelli dell’organizzazione a cui appartiene e per cui lavora; 2) la concreta
possibilità di creare un vantaggio economico attraverso l’esercizio di tale
potere discrezionale; 3) la debolezza delle istituzioni incapaci di prevenire
le pratiche corruttive17.
La Commissione europea nella prima Relazione dell’Unione sulla lotta
alla corruzione adotta una definizione più ampia definendo la corruzione
come «qualsiasi abuso di potere ai fini di un profitto privato»18.
Non ci soffermiamo ulteriormente sugli aspetti penalistici del fenome-
no che verranno trattati maggiormente nei prossimi contributi. In questo
lavoro si vuole, in primo luogo, dare conto di alcuni dati statistici che trac-
ciano un quadro tutt’altro che positivo sulla corruzione in Italia rispetto ai
progressi manifestati dagli altri Paesi. Nella parte centrale del lavoro si trat-
terà specificatamente della lotta internazionale alla corruzione attraverso
l’esame di alcune delle principali convenzioni internazionali evidenziandone
pregi e limiti. Successivamente si prenderanno in esame gli sforzi della Ue e
del Consiglio d’Europa contro la corruzione e i principali documenti in mate-
ria da questi emanati. In conclusione si prenderà in considerazione l’ultimo
rapporto del Greco, il Gruppo di Stati contro la corruzione19, del 201720 sulla
lotta alla corruzione in Italia e i passi avanti e i tanti ancora da compiere dal
nostro Paese rispetto alle raccomandazioni internazionali.

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focus. la piaga della corruzione
Corruzione giuridica e corrosione sociale

alcuni dati statistici perlopiù poco incoraggianti

Prima di addentrarci nell’esame degli strumenti internazionali esistenti


in materia di corruzione è opportuno dare uno sguardo ad alcuni dati sta-
tistici sul fenomeno che ritraggono una realtà ancora preoccupante per il
nostro Paese.
Il dossier della Fondazione David Hume elaborato lo scorso anno per
conto di Il Sole 24 Ore colloca l’Italia al terz’ultimo posto tra i Paesi avanzati
più corrotti o percepiti come tali, davanti alle sole Grecia e Turchia21. Secon-
do il dossier il 75% degli italiani ritiene che la diffusione della corruzione nel
nostro Paese sia aumentata negli ultimi tre anni e che i soggetti più esposti
a pratiche corruttive siano i partiti (68% degli intervistati) e i politici (63%)
seguiti dai funzionari che decidono gli appalti pubblici (55%), quelli che si
occupano di permessi edilizi (54%) e le banche e le istituzioni finanziarie
(40%)22. I Paesi più virtuosi secondo il dossier sono le quattro nazioni scan-
dinave – Svezia, Danimarca, Finlandia e Norvegia – con livelli di corruzione
bassissimi o quasi inesistenti, seguite da Olanda, Svizzera e Regno Unito.
Secondo Il Sole 24 Ore il sondaggio in esame fotografa un profondo mal
di burocrazia che affligge l’Italia. Il nostro Paese è difatti caratterizzato da
un indice bassissimo rispetto alla media delle altre nazioni europee nella
classifica della facilità nel fare impresa e nel livello di capitale sociale. Se-
condo il rapporto della Fondazione David Hume, bassi indici di capacità di
fare impresa e di capitale sociale tendono a esercitare un effetto congiunto
nell’aumentare la corruzione percepita23.
Altrettanto preoccupanti sono i dati pubblicati sempre nel 2016 da Tran-
sparency International, organizzazione non governativa fondata nel 1993,
che si occupa a livello globale di lotta alla corruzione collaborando con go-
verni, istituzioni e singoli cittadini24. Tra le diverse iniziative poste in esse-
re da Transparency International si registra la pubblicazione annuale di un
rapporto sull’indice di percezione nel settore pubblico e nella politica in nu-
merosi Paesi di tutto il mondo. L’indice di percezione della corruzione (Cpi)
misura, difatti, la percezione della corruzione nei Paesi ed è elaborato sulla
base dell’opinione di esperti e assegnando una valutazione che va da 0, per
i Paesi ritenuti molto corrotti, a 100, per quelli “puliti”25. Secondo il rapporto

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sergio barbaro

di Transparency International del 201626, che misura l’indice di percezione


della corruzione in 176 Paesi del mondo, l’Italia, pur guadagnando una posi-
zione rispetto all’anno precedente, si colloca al 60° posto. Il voto assegnato
al nostro Paese è di 47 su 100. A livello europeo l’Italia si colloca, tuttavia,
al terz’ultimo posto seguita solo da Grecia e Bulgaria. A guidare la classifica
dei virtuosi, ancora una volta, abbiamo un Paese scandinavo, la Danimar-
ca, seguita dalla Nuova Zelanda, e da altri due Stati scandinavi: Finlandia e
Svezia. La causa di un indice di percezione della corruzione ancora così alto
risiede, secondo Transparency International Italia, nella crisi di fiducia nelle
istituzioni27.
Da ultimo, Transparency International Italia ha pubblicato lo scorso otto-
bre 2017 l’Agenda Anticorruzione28, un rapporto che individua le misure che
sono state attuate a livello normativo in Italia contro la corruzione e ne valu-
ta l’efficacia. Anche tale documento traccia uno scenario di luci e ombre. In
particolare, il rapporto stigmatizza le difficoltà nel dare attuazione effettiva
e concreta “sul campo” alle normative promulgate e nel reprimere e sanzio-
nare i comportamenti illeciti29.
Il rapporto del Gruppo di Stati contro la corruzione (Greco) sull’Italia del-
lo scorso gennaio 201730 certifica, difatti, come, nonostante diverse riforme
che hanno interessato il nostro ordinamento in tema di lotta alla corruzione
e alla criminalità organizzata, permanga nel nostro Paese una forte sfiducia
nelle istituzioni e in particolare nei confronti di parlamentari e partiti politici,
che vengono percepiti come fortemente corrotti31.
Nel prossimo paragrafo daremo conto brevemente delle convenzioni in-
ternazionali finalizzate alla lotta alla corruzione e degli sforzi che in tal senso
sono stati approntati per combattere tale piaga.

gli strumenti internazionali per combattere la corruzione

Gli strumenti di lotta alla corruzione a livello internazionale sono stati


adottati in ambito Onu e Ocse32.
Il 18 dicembre 1997 è stata firmata a Parigi la Convenzione Ocse sulla
lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche

nuova umanità 228 15


focus. la piaga della corruzione
Corruzione giuridica e corrosione sociale

internazionali, entrata in vigore il 15 febbraio 1999. La Convenzione è stata


voluta fortemente dagli Stati Uniti, unico Paese al mondo, prima dell’entrata
in vigore della convenzione in esame, che prevedeva la punibilità dei fatti cor-
ruttivi coinvolgenti pubblici ufficiali stranieri mentre negli altri Stati tale fatti-
specie rimaneva impunita33. Gli States temevano in particolare che la rigorosa
normativa statale in materia di corruzione internazionale finisse per svantag-
giare le imprese statunitensi nella competizione economica globale34.
La Convenzione prevede per gli Stati firmatari l’obbligo di introdurre
all’interno dell’ordinamento nazionale la specifica fattispecie di corruzione
di un pubblico ufficiale straniero in operazioni economiche internazionali.
È evidente la limitata portata applicativa della norma che si rivolge solo al
caso della corruzione di un pubblico ufficiale straniero e, qualora ciò av-
venga, all’interno di operazioni economiche internazionali (international
business transactions). La convenzione in esame, pertanto, non prende in
considerazione né il fenomeno della corruzione domestica, ossia interna, né
quello della corruzione tra privati, e si applica unicamente agli atti corruttivi
perpetuati all’interno di attività economiche aventi portata internazionale35.
Lo scopo della convenzione è economicistico, come sottolineato dalla
dottrina giuridica36. Si vuole cioè creare un level playing field37 uniforme per
gli attori sul mercato in un contesto di crescente globalizzazione e interna-
zionalizzazione delle attività economiche.
Alla Convenzione hanno aderito 40 Paesi, di cui 34 membri dell’ Ocse e
6 Paesi non membri.
L’Ocse ha, altresì, creato un sistema di verifica del rispetto delle nor-
me previste nella Convenzione che è basato sulla presenza di un gruppo
di lavoro sulla corruzione (Working Group of Bribery – Wgb) composto dai
rappresentati degli Stati membri contraenti. Lo scopo del gruppo di lavoro
è di monitorare l’applicazione della convenzione attraverso un meccanismo
che si basa su una prima autovalutazione da parte dello Stato membro e poi
sulla successiva valutazione reciproca da parte degli Stati contraenti. All’at-
tività di monitoraggio possono partecipare anche i rappresentati della so-
cietà civile e i risultati sono pubblicati sul portale dell’Ocse38. La violazione
delle raccomandazioni e delle considerazioni espresse allo Stato membro
dal gruppo di lavoro non comporta l’irrogazione di sanzioni. Il rispetto del-

16 nu 228
sergio barbaro

le raccomandazioni viene normalmente assicurato attraverso la pressione


esercitata dall’opinione pubblica internazionale e interna ai singoli Stati sul
Paese che non si attenga a tali indicazioni39.
L’azione dell’Onu contro la corruzione manifesta una portata diversa da
quella espressa dall’Ocse, come si evidenzia dalla lettura degli strumenti
elaborati dalla medesima organizzazione internazionale. L’esempio più im-
portante di tale strategia globale di lotta alla corruzione è rappresentato dal-
la Convenzione sulla lotta alla corruzione adottata dall’Assemblea generale
dell’Onu a Merida (Yucatan, Messico) il 31 ottobre 2003 ed entrata in vigore
il 14 dicembre 200540 (United Nations Convention against Corruption - Unac).
Sono ben 158, più l’Unione europea, i Paesi che hanno ratificato la Conven-
zione di Merida. Le differenze con la Convenzione Ocse sono notevoli ed
evidenti. Nel preambolo alla Convenzione di Merida si legge testualmente
che la corruzione costituisce una minaccia alla sicurezza e alla stabilità della
società, minando le istituzioni e i valori democratici ed etici e la giustizia, e
compromette lo sviluppo sostenibile e lo Stato di diritto. Ne consegue che
per gli estensori della Convenzione di Merida la corruzione non costituisce
un problema solo economico e di mercato, ma rappresenta una piaga so-
ciale che attenta ai princìpi di democrazia e giustizia che costituiscono la
base di uno Stato di diritto. Ne consegue, altresì, che la portata applicati-
va della Convenzione di Merida è molto più ampia e comprensiva rispetto
alla Convenzione Ocse. Difatti la Convenzione di Merida si occupa non solo
della corruzione internazionale, ovvero di pubblici ufficiali internazionali,
ma anche della corruzione domestica o interna che riguarda la corruzione
di pubblici ufficiali nazionali. Inoltre regolamenta sia la fattispecie classica
della corruzione attiva, ovvero l’ipotesi in cui “l’iniziativa corruttiva” viene
intrapresa dal privato esterno all’amministrazione pubblica, sia la corruzio-
ne passiva, in cui è il funzionario pubblico a sollecitare o promuovere il patto
corruttivo. Inoltre la Convenzione disciplina la fattispecie incriminatrice del
traffico di influenze (art. 17), sia attivo che passivo, costituita dalla promessa,
dall’offerta o dalla dazione e correlativamente dalla richiesta o accettazione
di un vantaggio indebito da parte di un soggetto, l’intermediario, affinché
egli abusi della sua influenza reale o supposta per ottenere un indebito van-
taggio da un’amministrazione o da un’autorità pubblica dello Stato parte.

nuova umanità 228 17


focus. la piaga della corruzione
Corruzione giuridica e corrosione sociale

Uno degli aspetti più interessanti della Convenzione di Merida è l’invito


agli Stati contraenti di prendere in considerazione l’introduzione del reato di
corruzione privata (art. 21) consistente nella pratica corruttiva perpetuata
tra privati nell’ambito di attività economiche, finanziarie o commerciali da
parte di ogni persona che diriga un’entità del settore privato o lavori per tale
entità a qualunque titolo promettendo, offrendo o concedendo, direttamen-
te o indirettamente, un indebito vantaggio ad ogni altra persona che diriga
un’entità nel settore privato o lavori per tale entità, a qualunque titolo, per sé
o per un’altra persona, affinché, in violazione dei propri doveri, essa compia
o si astenga dal compiere un atto.
In definitiva la Convenzione di Merida costituisce un mini-codice41 in
materia di corruzione che ambisce a costituire uno strumento di lotta a li-
vello globale attraverso l’incriminazione di diverse fattispecie.
Nel paragrafo che segue si prenderà in considerazione la lotta a livello
europeo alla corruzione esaminando alcuni degli strumenti più significativi
elaborati in seno alla Ue e al Consiglio d’Europa.

la lotta alla corruzione in europa

All’interno dell’Unione europea lo strumento normativo principale è co-


stituito dalla Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella qua-
le siano coinvolti funzionari delle comunità europee o degli Stati membri
dell’Unione europea, stipulata a Bruxelles il 26 maggio 1997, ed entrata in
vigore il 28 settembre 2005.
Scopo della Convenzione è di dettare norme comuni in materia sancen-
do un obbligo di incriminazione in relazione alle condotte corruttive in cui
sono coinvolti funzionari e pubblici ufficiali dell’Unione e degli Stati membri.
La Convenzione, al contrario della Convenzione Ocse e al pari di quelle Onu
sopra esaminate, colpisce sia la corruzione attiva che passiva. Per corruzio-
ne attiva si intende in primo luogo quando un soggetto «promette o dà di-
rettamente o tramite un intermediario un vantaggio di qualsiasi natura a un
funzionario, per il funzionario stesso o per un terzo, affinché questi compia o
ometta un atto proprio delle sue funzioni o nell’esercizio di queste, in modo

18 nu 228
sergio barbaro

contrario ai suo doveri di ufficio». Per corruzione passiva si intende invece


l’ipotesi in cui è il funzionario a prendere l’iniziativa sollecitando o riceven-
do vantaggio per compiere o omettere un atto proprio delle sue funzioni o
nell’esercizio di queste, in modo contrario ai suo doveri di ufficio.
Di particolare interesse è la previsione della responsabilità penale dei
dirigenti delle imprese in base alla quale ciascuno Stato membro pren-
de le misure necessarie per consentire che gli stessi, o qualsiasi perso-
na che esercita poteri decisionali o di controllo nelle imprese, possano
rispondere penalmente per gli atti di corruzione commessi per conto
dell’impresa (art. 6) 42.
Un ulteriore strumento normativo degno di menzione all’interno dell’or-
dinamento della Ue è la decisione quadro 2003/568/GAI43 sulla corruzione
nel settore privato. La decisione prevede specificatamente il principio gene-
rale in base al quale devono costituire illeciti penali all’interno dell’Unione
europea, e devono essere sanzionati con pene effettive, proporzionate e
dissuasive, i comportamenti di corruzione attiva e passiva tenuti nel set-
tore privato, e in tale ambito debbono essere perseguite anche le perso-
ne giuridiche private (artt. 4 e 5). Ai sensi della decisione quadro, gli Stati
membri devono prevedere la sanzionabilità per corruzione attiva e passiva,
oltre che delle sole persone fisiche, anche delle persone giuridiche private
(società, imprese, enti no profit ecc.), quando i suddetti illeciti sono com-
messi a loro beneficio da qualsiasi persona (art. 5) che agisca individual-
mente o in quanto parte di un organo della persona giuridica e che occupi
una posizione dirigente in seno all’ente. Analoga responsabilità sussiste a
causa della carenza di sorveglianza o di controllo da parte di un dirigente
della persona giuridica che abbia reso possibile la commissione dei reati di
corruzione attiva e passiva o di istigazione e favoreggiamento della corru-
zione. La decisione quadro prevede sanzioni pecuniarie di natura penale o
non penale ed eventuali ulteriori sanzioni, anche di natura interdittiva nei
confronti della persona giuridica (art. 6), come l’esclusione da finanziamenti
e altri aiuti pubblici, l’interdizione, anche temporanea, a esercitare attività
commerciale, l’assoggettamento a sorveglianza e a liquidazione giudiziaria.
L’Italia ha finito di dare attuazione a tale decisione quadro solo recentemen-
te con l’introduzione del decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 38.

nuova umanità 228 19


focus. la piaga della corruzione
Corruzione giuridica e corrosione sociale

Resta a questo punto la necessità di dare conto brevemente degli stru-


menti normativi elaborati in seno al Consiglio d’Europa44 in tema di corru-
zione, rappresentati dalla Convenzione penale sulla corruzione del 27 gen-
naio 199945 e dalla Convenzione civile sulla corruzione del 4 novembre 1999
entrata in vigore il 1° novembre 200346. La prima delle due convenzioni in
esame ha, anch’essa come la Convenzione di Merida, una portata applica-
tiva ampia chiedendo agli Stati firmatari di procedere all’incriminazione di
condotte corruttive sia interne che internazionali perpetuate sia nella forma
attiva che passiva. Inoltre la Convenzione chiede, altresì, di sanzionare la
corruzione nel settore privato47 rinvenendo il disvalore di tale condotta nella
violazione di valori come la fiducia, la lealtà, l’affidamento nei rapporti tra
privati, la cui compromissione genera un danno alle relazioni sociali e alla
società nella sua interezza48.
Una particolare attenzione merita la Convenzione civile sulla corruzione.
Unica nel suo genere all’interno del panorama internazionale, essa obbliga
gli Stati firmatari a dotarsi di rimedi giudiziali capaci di garantire una ripara-
zione alle vittime di pratiche corruttive. Tra questi strumenti spicca l’obbligo
di risarcimento del danno a carico dello Stato il cui pubblico ufficiale abbia
cagionato al privato un pregiudizio nell’esercizio delle proprie funzioni (art.
4). Inoltre gli Stati devono prevedere norme interne che determinino la nul-
lità dei contratti o delle clausole contrattuali frutto di pratiche corruttive e la
possibilità della parte contrattuale la cui posizione sia stata compromessa
dalla pratica corruttiva di agire in giudizio per la declaratoria di nullità oltre
alla possibilità di chiedere il risarcimento dei danni (art. 8). Infine la Con-
venzione impone agli Stati firmatari di tutelare con mezzi adeguati, contro
ritorsioni e discriminazioni, i dipendenti che segnalino pratiche corruttive ai
propri responsabili e alle autorità (art. 9)49.
Entrambe le convenzioni del Consiglio d’Europa prevedono un mecca-
nismo di verifica dello stato di implementazione delle stesse basato sulla
presenza di un gruppo di lavoro (Group of States against Corruption - Gre-
co) composto dai rappresentanti degli Stati membri che periodicamente
sottopongono a valutazione lo stato di adeguamento della normativa dei
singoli Paesi aderenti anche attraverso ispezioni in loco. L’ultimo rapporto
sull’Italia è stato pubblicato il 19 gennaio 2017 e ha come oggetto spe-

20 nu 228
sergio barbaro

cificamente la prevenzione della corruzione in relazione a parlamentari,


giudici e pubblici ministeri50.

il rapporto del greco del gennaio 2017 sull’italia

Diversi sono gli spunti di riflessione che emergono dalla lettura del
recente rapporto del Greco. In primo luogo in relazione ai parlamentari
il Greco conferma come gli italiani percepiscano ancora tale categoria
come fortemente corrotta e corruttibile. Non sorprende pertanto come il
rapporto formuli un consistente numero di raccomandazioni in relazione
all’attività degli stessi. In primis la necessità di rafforzare adeguatamente
le regole di condotta per senatori e deputati adottate nel nostro Paese che,
sebbene formalmente condivisibili, sono ritenute dal report come dotate
di scarsa efficacia concreta. Il codice di condotta dei deputati, approvato
dalla Giunta del regolamento della Camera il 12 aprile 2016, su pressione
della Ue, regolamenta dettagliatamente gli obblighi di trasparenza a carico
dei deputati, prevedendo la necessità che gli stessi debbano rendere noti
gli interessi finanziari e gli incarichi ricoperti prima della nomina. Tuttavia
il report sottolinea come tali norme siano prive di un valido meccanismo di
enforcement, ossia la violazione delle stesse disposizioni non trova alcuna
sanzione. Difatti l’unica conseguenza dell’omissione o della reticenza del
parlamentare nella comunicazione di tali informazioni è la pubblicazione
sul sito del Parlamento del nome del parlamentare. Questo perché i codici
non sono stati incorporati nei regolamenti parlamentari che prevedono
meccanismi sanzionatori di altra consistenza51. Lo stesso dicasi per il di-
vieto per i parlamentari di accettare doni, regalie o altri benefit superiori ai
250 euro, consacrato nel medesimo codice, ma privo di adeguate sanzio-
ni52. Ancora, il report stigmatizza come le norme sul conflitto di interesse
dei parlamentari siano prive di organicità e di difficile comprensione e in-
terpretazione e non vi sia anche in questo caso un sistema sanzionatorio
rapido ed efficace53. Infine il report sottolinea l’importanza di prevedere
delle norme che vietino di generare situazioni di conflitto di interesse an-
che dopo la cessazione dell’incarico parlamentare54.

nuova umanità 228 21


focus. la piaga della corruzione
Corruzione giuridica e corrosione sociale

Uno dei punti più interessanti del rapporto Greco in esame è dato dalla
rilevanza che il testo accorda all’educazione alla legalità. A chiusura delle
raccomandazioni brevemente esaminate sui parlamentari, il testo sottolinea
come la formalizzazione di regole spesso anche complesse non è sufficiente
se non è accompagnata da un percorso di training, ovvero di formazione e
di educazione dei parlamentari (molti dei quali alla prima legislatura) fina-
lizzato a creare negli stessi un’effettiva consapevolezza del ruolo e dei va-
lori sottesi all’incarico ricoperto55. Non basta l’emanazione di regole spesso
draconiane affinché venga ricostruita la fiducia tra parlamentari e cittadini,
ma è necessario, secondo il Greco, che il Parlamento esplori nuove vie, per
ripristinare tale legame fiduciario, che pongano al centro una cultura dell’in-
tegrità e della legalità e che coinvolgano pienamente il pubblico nello svilup-
po di tale cultura56.

“la cultura della fraternità” unico rimedio


alla corruzione

Un fondamentale aspetto su cui ci si vuole soffermare a conclusione


di questo lavoro, e che sarà approfondito specificamente nei successi-
vi contributi del “Focus” con relazione all’Italia (A. Cosseddu) e all’Africa
(R.Takougang), e in “Parole chiave” con relazione alla funzione della magi-
stratura (C. D’Alfonso), è il rapporto tra norme giuridiche e approccio cultu-
rale nella lotta alla corruzione. Il rapporto del Greco sull’Italia evidenzia nella
parte introduttiva come nella lotta a tale fenomeno non basti la formalizza-
zione di regole giuridiche, spesso sovrabbondanti e sovrapposte tra loro, ma
sia necessario un approccio culturale57. L’educazione può giocare un ruolo
fondamentale nella lotta alla corruzione rendendo le pratiche corruttive un
comportamento socialmente inaccettabile attraverso iniziative che ponga-
no al centro i princìpi di integrità e legalità e favoriscano una cultura del
rispetto della legge58.
In Italia, negli ultimi anni, sono state adottate diverse iniziative legislative
normative che hanno portato all’introduzione di validi strumenti di lotta alla
corruzione. Si pensi al pieno recepimento del reato di corruzione tra priva-

22 nu 228
sergio barbaro

ti nel nostro sistema avvenuto con l’introduzione del decreto legislativo 15


maggio 2017, n. 38. Si pensi ancora alla lotta al fenomeno del riciclaggio
di denaro sporco che vede il nostro Paese tra quelli più sensibili a livello
europeo59, all’introduzione del reato di autoriciclaggio60 e infine alle prime
forme di tutela dei soggetti che all’interno dei rapporti di lavoro pubblici e
privati61 segnalano comportamenti illegali ai superiori e alle autorità (c.d.
whistleblowing)62.
Tutto ciò, tuttavia, non può ritenersi sufficiente. È necessario un approc-
cio culturale diverso. Nel patto corruttivo l’altro è ridotto a strumento che
viene utilizzato per raggiungere un proprio interesse e tale relazione è per
sua natura fortemente inegualitaria.
La fraternità è sorta come categoria politica durante la Rivoluzione fran-
cese, allorché nella dichiarazione dei diritti del 1789 viene affermato il fa-
moso trittico “libertà, uguaglianza, fraternità”. La Rivoluzione francese ha
avuto il merito di porre in relazione le tre idee legandole tra loro in un trittico
per cui ognuna di esse ricava il proprio significato attraverso la relazione
con le altre63. La categoria della fraternità è risultata, tuttavia, l’elemento più
debole della triade rivoluzionaria, finendo precocemente per essere dimen-
ticata64. Negli ultimi anni il principio di fraternità è stato riproposto nel di-
battito politico e culturale, dove è stato evidenziato come questo costituisca
il presupposto delle altre categorie del trittico65.
Il concetto di fraternità, secondo tale orientamento, contiene una rela-
zione tra due soggetti diversi, ognuno dei quali è in partenza pari all’altro in
dignità e valore, ma può esprimere una scelta diversa e autonoma rispetto
all’altro66. La fraternità pertanto si configura come paradigma relazionale
che comporta l’apertura all’alterità, al riconoscimento dell’altro come, allo
stesso tempo, diverso ma uguale a sé67. In tal modo la fraternità viene a con-
figurarsi come paradigma inclusivo che porta al superamento della «visione
dell’altro come “antagonista” o “concorrente”, “ostacolo” o “limite” alla pro-
pria libertà individuale»68 o, come nel caso della corruzione dell’altro, come
mero strumento per il raggiungimento dei propri scopi.
Libertà e uguaglianza postulano il diritto alla piena autonomia dell’indi-
viduo nelle proprie scelte e alla non interferenza nella vita privata. La frater-
nità, intesa come riconoscimento dell’altro69, implica la responsabilità civile

nuova umanità 228 23


focus. la piaga della corruzione
Corruzione giuridica e corrosione sociale

e l’impegno per la comunità70. La fraternità è, tuttavia, essenziale alla piena


espressione dei valori di libertà e uguaglianza, poiché senza impegno altrui-
stico e fiducia condivisa esse non possono trovare piena espressione71.
La fraternità è quindi relazione inclusiva, esperienza di prossimità e di
contaminazione con l’altro72, tuttavia è necessario chiedersi in primo luogo
chi sia “l’altro” per il diritto e che rilevanza la fraternità intesa come ricono-
scimento dell’alterità possa assumere all’interno del diritto73. L’altro è cer-
tamente il mio prossimo e la prossimità costituisce il fondamento di ogni
relazione interpersonale74 e quindi di ogni relazione giuridica. La fraternità,
pertanto, presuppone il pieno riconoscimento dell’altro, altro che non è un
mezzo o uno strumento per il perseguimento dei propri interessi egoistici
ma un soggetto che possiede pari dignità e valore. Solo una cultura della fra-
ternità può portare al superamento delle ferite che la corruzione ha scavato
nel nostro tessuto sociale. Di questo aspetto si occuperà il prossimo saggio
del “Focus” alle cui considerazioni si rimanda. Non resta pertanto che augu-
rare ai lettori buon proseguimento di lettera.

1
Sul punto cf. le considerazioni di A. Di Nicola, Dieci anni di lotta alla corruzione
in Italia: cosa non ha funzionato e cosa può ancora funzionare, in M. Barbagli (ed.), Rap-
porto sulla criminalità in Italia, il Mulino, Bologna 2003, p. 109.
2
Cf. ibid.
3
Cf. ibid.
4
Cf. ibid.
5
Cf. V. Mongillo, Introduzione, in Id., La corruzione tra sfera interna e dimensione
internazionale, ESI, Napoli 2012, p. XXV.
6
Ibid.
7
P.K.A. Turkson - V.V. Alberti, Corrosione. Combattere la corruzione nella Chiesa
e nella società, Rizzoli, Milano 2017.
8
Francesco, Prefazione, in P.K.A. Turkson - V.V. Alberti, Corrosione. Combattere
la corruzione nella Chiesa e nella società, cit., p. 6.
9
Ibid.
10
Francesco, Messaggio per la Celebrazione della XLVII giornata della pace 1°
gennaio 2014, Fraternità come fondamento e via della pace, disponibile su https://
w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/peace/documents/papa-france-
sco_20131208_messaggio-xlvii-giornata-mondiale-pace-2014.html.

24 nu 228
sergio barbaro

11
Sulla fraternità come categoria giuridica cf. A. Cosseddu (ed.), I sentieri del
giurista sulle tracce della fraternità. Ordinamenti a confronto, G. Giappichelli Editore,
Torino 2016.
12
Cf. P.K.A. Turkson - V.V. Alberti, Corrosione. Combattere la corruzione nella
Chiesa e nella società, cit., p. 163.
13
Ibid., p. 164.
14
Cf. M. Cozzio, Appalti pubblici e legalità. Prevenzione e contrasto della corruzione
nelle nuove direttive europee in tema di appalti pubblici e concessioni, in «Diritto e Prati-
ca Amministrativa», ottobre 2014, n. 10, p. 40.
15
Di corruzione tra privati si parlerà in seguito.
16
Cf. A.K. Jain, Corruption: A review, in «Journal of Economic Surveys», 15, 2001,
p. 73.
17
Cf. ibid.
18
Commissione Europea, Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamen-
to Europeo. Relazione dell’Unione sulla lotta alla Corruzione. Bruxelles 3.02.14 COM
(2014) 38, disponibile su https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/
files/e-library/documents/policies/organized-crime-and-human-trafficking/cor-
ruption/docs/acr_2014_en.pdf.
19
Il Greco (Group of States against Corruption) è un gruppo di lavoro istituito dal
Consiglio d’Europa per monitorare, attraverso un processo di valutazione reciproca
dei Paesi aderenti, lo stato di implementazione delle convenzioni stipulate in mate-
ria di corruzione con particolare riferimento alla Convenzione penale sulla corruzio-
ne del 1999. Sul punto si tornerà in seguito nel corso di questo lavoro.
20
Greco, Fourth Evaluation Round. Corruption prevention in respect of members of
parliament, judges and prosecutors, Evaluation Report Italy, 19 January 2017, disponi-
bile su https://rm.coe.int/16806dce15.
21
Cf. R. Galullo, Così la corruzione colpisce l’economia, in «Il Sole 24 Ore», 21 ago-
sto 2016.
22
Cf. ibid.
23
Cf. ibid.
24
Cf. il sito di Transparency International Italia: https://www.transparency.it/
visione-missione-valori/.
25
Cf. ibid.
26
Transparency International, Corruption perceptions index 2016, disponibile su
https://www.transparency.org/news/feature/corruption_perceptions_index_2016.
Cf. anche https://www.transparency.it/cpi-2016-l-italia-guadagna-una-posizione-
ma-non-basta.
27
Cf. S. Uccello, Corruzione, l’Italia migliora ma è comunque terz’ultima in Europa, in
«Il Sole 24 Ore», 25 gennaio 2017.

nuova umanità 228 25


focus. la piaga della corruzione
Corruzione giuridica e corrosione sociale

28
Transparency International Italia, Agenda anticorruzione 2017, https://www.
transparency.it/wp-content/uploads/2017/10/Agenda-Anticorruzione-2017.pdf.
29
Cf. ibid., p. 9.
30
Cf. Greco, Fourth Evaluation Round. Corruption prevention in respect of members
of parliament, judges and prosecutors, Evaluation Report Italy, cit.
31
Cf. Greco, Fourth Evaluation Round. Corruption prevention in respect of members
of parliament, judges and prosecutors, Evaluation Report Italy, cit., p. 8.
32
L’Ocse è un’organizzazione istituita con la convenzione sull’Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico, firmata il 14 dicembre 1960, sosti-
tuendo l’Oece, creata nel 1948 per amministrare il cosiddetto Piano Marshall per la
ricostruzione postbellica dell’economia europea. Ha sede a Parigi e ne fanno parte
34 Paesi (Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Danimarca, Estonia, Finlandia,
Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia,
Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo,
Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Slovenia, Spagna, Stati
Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria). Si occupa prettamente di tematiche eco-
nomiche (concorrenza, agricoltura, imprese, servizi, sviluppo locale e commercio);
finanziarie (mercati finanziari, assicurazioni, pensioni, investimenti e imposte, tra-
sparenza e cooperazione fiscale); sociali (istruzione, lavoro, salute e migrazioni);
nonché di governance (riforme aziendali, pubbliche e lotta alla corruzione), sviluppo
sostenibile (ambiente, energia, pesca e sviluppo sostenibile), cooperazione e in-
novazione (biotecnologie, ICT e ulteriori questioni scientifiche). L’Ocse mantiene
stretti contatti con oltre 70 Paesi non membri, economie in via di sviluppo e in tran-
sizione (che possono partecipare come osservatori ai lavori dei Comitati o a deter-
minati programmi dell’Organizzazione) e con le altre organizzazioni internazionali.
33
Cf. V. Mongillo, La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale, cit., p.
527.
34
Cf. ibid.
35
Cf. D. Gallo, La corruzione di pubblici ufficiali stranieri e di funzionari delle organiz-
zazioni internazionali: considerazioni critiche sulla convenzione OCSE del 1997, in A. Del
Vecchio - P. Severino (edd.), Il contrasto alla corruzione nel diritto interno e nel diritto
internazionale, Cedam, Padova 2014, p. 385.
36
Cf. ibid., p. 386.
37
Cf. G. Sacerdoti, The 1997 OECD Convention on Combating Bribery of Foreign
Public Officials in International Business Transactions: An Example of Piece-Meal Regula-
tion of Globalisation, in Italian Yearbook of International Law, Brill, Leiden 1999, pp. 28
e 35.
38
Cf. V. Mongillo, La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale, cit., p.
528.

26 nu 228
sergio barbaro

39
Cf. ibid.
40
L’Italia ha ratificato detta Convenzione con la Legge 3 agosto 2009, n. 116.
41
Cf. V. Mongillo, La corruzione tra sfera interna e dimensione internazionale, cit., p.
560.
42
Cf. ibid., p. 479.
43
Decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa
alla lotta contro la corruzione nel settore privato, disponibile su http://eur-lex.euro-
pa.eu/TodayOJ.
44
Il Consiglio d’Europa è la più antica organizzazione intergovernativa europea,
fondata il 5 maggio 1949 al fine di promuovere la democrazia, i diritti umani e l’i-
dentità culturale europea. Attualmente fanno parte del Consiglio d’Europa 47 Stati
membri di cui 28 sono membri della Ue. Per maggiori approfondimenti si veda il sito
http://www.coe.int/it/web/portal/home.
45
Criminal Law Convention on Corruption - E.T.S. No. 173 V.
46
Civil Law Convention on Corruption ­– E.T.S. No. 174 V.
47
Parte II, cap. I, par. 19 della Convenzione.
48
Cf. Explanatory Report on the Criminal Law Convention on Corruption, p. 11, dis-
ponibile su https://rm.coe.int/16800cce44.
49
È il cosiddetto wistleblowing su cui si tornerà in seguito nel paragrafo conclu-
sivo di questo contributo.
50
Cf. Greco, Fourth Evaluation Round. Corruption prevention in respect of members
of parliament, judges and prosecutors, Evaluation Report Italy, cit.
51
Cf. ibid., pp. 14-15.
52
Cf. ibid., pp. 16 -17.
53
Cf. ibid., p. 16.
54
Cf. ibid., p. 19.
55
Cf. ibid., p. 23 dove si legge: «The institutionalisation of a sound integrity
­system in Parliament is a learning process necessitating inculcation, reinforcement
and measurement. Training, raising awareness and disseminating the core values
and standards of the code are inseparable elements for proper implementation».
56
Cf. ibid., pp. 23-24. Alle stesse conclusioni perviene il recentissimo rapporto
di Transparency International Italia, Agenda Anticorruzione 2017, cit., p. 7,
57
Cf. Greco, Fourth Evaluation Round. Corruption prevention in respect of members
of parliament, judges and prosecutors, Evaluation Report Italy, cit., p. 8.
58
Cf. ibid.
59
L’emanazione di stringenti norme contro il riciclaggio di denaro sporco è avve-
nuta da ultimo con il recepimento della IV direttiva antiriciclaggio europea (Diretti-
va UE 2015/849), attraverso il d.lgs. 90/17.

nuova umanità 228 27


focus. la piaga della corruzione
Corruzione giuridica e corrosione sociale

60
Dal 1° gennaio 2015 (introdotto dall’art. 3, comma 3, l. 15 dicembre 2014, n.
186) è in vigore la fattispecie dell’autoriciclaggio prevista dall’art. 648 ter. c.p. che
sanziona la condotta di riciclaggio posta in essere dallo stesso soggetto che ha
commesso o concorso a commettere il reato presupposto dal quale derivano i pro-
venti illeciti.
61
Il whistleblowing è stato previsto nel settore pubblico con l’art. 54 bis del d.lgs.
30.03.2001, 165, introdotto con l. 6.11.12, n. 190. Una proposta di legge per una tu-
tela più comprensiva dei segnalanti nel settore pubblico e privato è in discussione al
senato: DDL S. 2208 («Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati
o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro
pubblico o privato»), che è stato congiunto al DDL S. 2230 («Disposizioni a tutela
degli autori di segnalazioni di condotte illecite nel settore pubblico e privato»).
62
Una parola che letteralmente significa “soffiare nel fischietto” e deriva dall’in-
glese “to blow the whistle”, con chiaro riferimento all’azione dell’arbitro nel segna-
lare un fallo o a quella di un poliziotto che tenta di fermare un’azione illegale.
63
Sul punto cf. A.M. Baggio, Introduzione. La fraternità come categoria politica, in
A.M. Baggio (ed.), Caino e i suoi fratelli, Città Nuova, Roma 2012, pp. 5ss.
64
Cf. E. Gonthier, Liberty, Equality, Fraternity: The Forgotten Leg of the Trilogy, or
Fraternity: The Unspoken Third Pillar of Democracy, in «McGill Law Journal», 45, 2000,
p. 567; S. Rodotà, Gratuità e solidarietà tra impianti codicistici e ordinamenti costituzio-
nali, in A. Galasso - S. Mazzarese (edd.), Il principio di gratuità, Giuffrè, Milano 2008,
p. 100.
65
Cf. A.M. Baggio (ed.), Caino e i suoi fratelli, cit., p. 11. Per un approfondimento
del dibattito sul principio di fraternità cf. senza pretese di completezza: E. Gonthier,
Liberty, Equality, Fraternity: The Forgotten Leg of the Trilogy, or Fraternity: The Unspoken
Third Pillar of Democracy, cit., pp. 567ss.; G. Alpa, Solidarietà, in «Nuova Giurispru-
denza Civile Commentata», 1994, II, p. 365; E. Resta, Il diritto fraterno, Laterza, Bari
2005; A. Marzanati- A. Mattioni (edd.), La fraternità come principio del diritto pubbli-
co, Città Nuova, Roma 2007; A.M. Baggio (ed.), Il principio dimenticato. La fraternità
nella riflessione politologica contemporanea, Città Nuova, Roma 2007; I. Massa Pinto,
Costituzione e fraternità. Una teoria della fraternità conflittuale: “come se” fossimo fratel-
li, Jovene, Napoli 2011; F. Pizzolato, Il principio costituzionale di fraternità. Itinerario di
ricerca a partire dalla Costituzione italiana, Città Nuova, Roma 2012; S. Rodotà, Quella
virtù dimenticata, in «Repubblica», 25 settembre 2012; Id., Solidarietà. Un’utopia ne-
cessaria, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 20ss.
66
Cf. A.M. Baggio (ed.), Caino e i suoi fratelli, cit., p. 11.
67
Cf. A. Cosseddu, L’orizzonte del diritto “luogo” di relazioni, in A.M. Baggio (ed.),
Caino e i suoi fratelli, cit., p. 171.
68
Ibid.

28 nu 228
sergio barbaro

69
Cf. S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, cit., p. 4.
70
Cf. C.D. Gonthier, Liberty, Equality, Fraternity: The Forgotten Leg of the Trilogy, or
Fraternity: The Unspoken Third Pillar of Democracy, cit., p. 570.
71
Cf. ibid. L’Autore così testualmente riferisce: «Fraternity is essential to the
well-being of liberty and equality, because only with shared trust and civic commit-
ment can one advance these goals of liberty and equality».
72
Così la fraternità viene definita da L. Bruni, voce Fraternità, in L. Bruni - S. Za-
magni (edd.), Dizionario di Economia Civile, Città Nuova, Roma 2011, p. 444.
73
Cf. N. Kasirer, Agape, in «Revue international de droit compare», vol. 53, n. 3,
Juillet-september 2001, p. 596.
74
Cf. ibid., p. 577.

nuova umanità 228 29


dallo scaffale di città nuova

Maria
di Chiara Lubich

Meditazioni su Maria, madre dell’unità, nella


spiritualità di Chiara Lubich

a cura di Brendan Leahy e Judith Marie Povilus

Al cuore dell’avventura spirituale vissuta da Chiara Lu­bich vi è


Maria. Ella ci viene presentata, con sfumature sempre nuo­ve,
come esempio per tutti, nella Chiesa cattolica, ma anche nelle
altre Chiese, perché radicato nel Vangelo. Membri di altre reli-
gioni trovano, poi, nella vita di Maria, donna di casa e sede del-
la Sapienza, ampie consonanze con il loro cammino spirituale.
Coll’emergere in tempi più recenti del “profilo mariano” della
Chiesa, l’esperienza della Lubich offre inoltre ricchi spunti di
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dei Focolari lungo il corso della sua vita.

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nu 228
focus. la piaga della corruzione

Quando le norme
da sole non bastano

Adriana
1. nuove “declinazioni” di un fenomeno
Cosseddu antico: i tanti volti della corruzione
docente di diritto
penale presso La generosità, la benevolenza, o «il desiderio di far
l’università cosa grata a un altro o di ricambiare il beneficio», dove
di sassari. potrà esserne l’origine? Derivano – così, già in epoca
responsabile di
“comunione e
pre-cristiana, Marco Tullio Cicerone – dall’«inclinazione
diritto” per il reciproca degli uomini ad amarsi», su cui va posto «il
dialogo con la fondamento del diritto»1.
cultura. membro Rileggere tali affermazioni ancora oggi ci interpella:
del centro si tratta di parole superate, risalenti a un tempo ormai
interdisciplinare
di studi “scuola
lontano, oppure, le stesse sono “sigillo” di un’esperienza
abbà”. senza tempo e dunque sempre “nuova” nel “poter es-
sere” dei rapporti tra gli uomini? Di certo, emergono in
maniera sorprendente i tratti di quell’humanitas che in
Cicerone arriva a farsi cultura e conduce, in forza della
comune natura universale, al sentimento di solidarietà,
al rispetto dell’altrui persona. Di più: «La legge naturale
invita gli uomini non solo a rispettarsi, ma anche ad amarsi
reciprocamente, e non solo fra i membri della stessa famiglia
o della stessa patria, ma fra tutti, in quanto uomini»2.
Ma perché richiamare contenuti così distanti o con-
trapposti rispetto a un tema come la corruzione? Oggi, se
proviamo a risalire alla radice etimologica della parola,
ne troviamo una spiegazione quasi inedita, che pare farsi
al contempo eco di un’evidente contraddizione rispet-

nuova umanità 228 31


focus. la piaga della corruzione
Quando le norme da sole non bastano

to a quanto poc’anzi riportato sulla vita dei rapporti: è «una lacerazione,


una rottura, una decomposizione e disintegrazione». Espressioni forti, con
le quali di recente papa Francesco ha descritto la corruzione sia come stato
interiore sia come fatto sociale, la cui azione

si può capire guardando alle relazioni che ha l’uomo nella sua natu-
ra più profonda […]. Quando l’uomo rispetta le esigenze di queste
relazioni è onesto, assume responsabilità con rettitudine di cuore e
lavora per il bene comune. Quando invece egli subisce una caduta,
cioè si corrompe, queste relazioni si lacerano […]. Allo stesso tem-
po, ancora come conseguenza della caduta, la corruzione rivela una
condotta anti-sociale tanto forte da sciogliere la validità dei rappor-
ti e quindi, poi, i pilastri sui quali si fonda una società: la coesistenza
fra persone e la vocazione a svilupparla. La corruzione spezza tutto
questo sostituendo il bene comune con un interesse particolare che
contamina ogni prospettiva generale3.

Così la corruzione attraversa la storia dell’umanità con la sua logica dello


scambio che genera esclusione, con un “prezzo” dell’agire pubblico e priva-
to che mortifica la persona, con un vantaggio da perseguire nell’indifferenza
verso ogni criterio di giustizia. Denaro e favori ne costituiscono strumenti,
ma non solo. Già nel 70 a.C., anno in cui ha luogo il processo contro Verre,
governatore di Roma nell’isola di Sicilia, attraverso le parole pronunciate da
Cicerone emerge nella sua arringa una realtà di allora come del nostro tem-
po: «Appalto: nessuna pratica del tuo governo in Sicilia – è una delle accuse
rivolte all’imputato – ti fu più congeniale, nessuna denominazione della pub-
blica amministrazione ti fu più cara. Dalle decime ai dazi doganali, dai lavori
pubblici alle feste cittadine: tutto destinasti all’appalto, fonte inesauribile di
guadagno, non già per lo stato ma per te e per la tua casa»4.
La corruzione, con i suoi interessi particolari, si insinua così nel governo
delle città e nella politica, ma non solo: arriva a farsi problema giuridico e
culturale5. Dinanzi al suo diffondersi, oggi a livello nazionale e internaziona-
le, si arriva a parlare di “fenomeno” e “male sociale”, fino ad affermare: «È la
menzogna di cercare il profitto personale o di gruppo sotto le parvenze di un

32 nu 228
adriana cosseddu

servizio alla società. È la distruzione del tessuto sociale sotto le parvenze del
compimento della legge»6, è rubare ai giovani il futuro e la speranza.
Eppure, gli ordinamenti democratici, come l’Italia, non hanno esitato a
stigmatizzare l’illiceità di comportamenti corrotti, sanzionando penalmente
sia il corrotto che il corruttore. Di ciò si dirà più avanti nel ripercorrere al-
cune tappe che aiutino a comprendere quale evoluzione si sia verificata nel
tempo, tanto da non limitare oggi la portata della corruzione all’ambito della
pubblica amministrazione, da tutelare nel suo prestigio e nella correttezza
dell’agire. Il danno si diffonde, assume vari nomi e ricade sui tanti, scono-
sciuti ai più. Sono i volti nascosti a ogni norma giuridica, che tuttavia, nel
dettare le regole, tacitamente li contempla, come emerge dalle suggestive
espressioni: «Ci può essere poesia nel legiferare, visto che bisogna essere
artisti per immaginare la realtà e vedere, nel singolo fatto disciplinato dalla
legge, non l’astratta violazione di una norma, ma i destini di mille individui
concreti che soffrono»7.
Ed è ancora la storia a indicarcene i percorsi attraverso l’Esprit des lois
(1748), l’opera in cui Montesquieu scriveva:

È usanza dei paesi dispotici non accostare nessun superiore, persi-


no il re, senza offrirgli un dono. […] Questi prìncipi arrivano al punto
di corrompere persino le grazie che concedono. È inevitabile che sia
così in un governo dove nessuno è cittadino; dove impera l’idea che
il superiore non debba nulla all’inferiore; dove gli uomini si credono
legati solamente dai castighi che gli uni fanno subire agli altri […].
Nelle repubbliche, i doni sono una cosa odiosa, perché la virtù non
ne ha bisogno. Nelle monarchie l’onore è un motivo assai più forte
dei doni. […] È regola generale che, nelle monarchie e nelle repub-
bliche, le grandi ricompense sono un segno della loro decadenza,
perché provano la decadenza dei loro princìpi; che da un lato l’idea
dell’onore si è indebolita, dall’altro la qualità del cittadino ha per-
duto vigore8.

La storia ci consegna dunque comportamenti e scelte di soggetti pub-


blici e privati che arrivano a segnare profondamente il tessuto sociale. E se
Luigi Ferrajoli ci ricorda che il diritto tutti ci riguarda, con le sue luci e le sue

nuova umanità 228 33


focus. la piaga della corruzione
Quando le norme da sole non bastano

ombre, papa Francesco avverte che dobbiamo lavorare tutti insieme per un
“nuovo umanesimo”, che non si accontenta di denunciare e contrastare un
malaffare economico e politico, ma si impegna in una «ri-creazione contro la
corruzione»9. Occorre però comprenderla e per questo “entrare” nella piaga
che porta con sé degrado fino a conseguenze criminali, alterando la vita
delle istituzioni e le condizioni della convivenza sociale.

2. l’evoluzione da comportamento illecito


a problema sistemico e male sociale

È quasi d’obbligo, a questo punto, fermare lo sguardo sull’oggi nella sua


evidente complessità. L’insieme delle condizioni di vita sembra costituire un
primo terreno fertile per la corruzione, tanto da trovare recente conferma
nella stessa relazione predisposta dalla magistratura contabile in Italia (27
giugno 2017). Il procuratore generale della Corte dei conti, Claudio Galtieri,
in riferimento al rendiconto generale dello Stato, ha evidenziato la scarsa ef-
ficacia del sistema dei controlli nella loro capacità di contrastare quei com-
portamenti illeciti i cui effetti negativi sulle risorse pubbliche sono, spesso,
devastanti. Ma ancor prima emerge dal documento la necessità ineludibile di
affrontare in maniera sistemica quella piaga che è la corruzione: si richiede
una logica di contrasto che tenga nella giusta considerazione la diffusività del
fenomeno e l’insufficienza delle misure finora apprestate dall’ordinamento.
Eppure, proprio in Italia non sono mancate riforme e sollecitazioni in tal
senso. Occorre tuttavia comprendere la portata che ha assunto il “sistema”
corruttivo, bastando a tal fine accennare alla cornice internazionale in cui
anche l’Italia si è inserita. Ricordiamo gli impegni assunti, fra gli altri, con la
cosiddetta Convenzione di Merida sulla corruzione, adottata dall’Assem-
blea generale dell’Onu il 31 ottobre 2003 e ratificata in Italia con legge 3
agosto 2009, n. 116. Alla stessa sono seguite, anche ultimamente, significa-
tive modifiche nell’ordinamento interno fino all’ultima, oggetto della legge
27 maggio 2015, n. 69, che interviene a sua volta sulla riforma precedente
introdotta con la legge n. 190 del 2012. Se l’ultimo provvedimento normativo
del 2015 ha inteso operare sul fronte repressivo attraverso un inasprimento

34 nu 228
adriana cosseddu

sanzionatorio, la legge del 2012 ha introdotto modifiche e nuove incrimina-


zioni nel sistema penale. Prima difatti gli illeciti puniti in Italia riguardavano
essenzialmente la corruzione nelle sue forme propria e impropria, mentre
oggi altri reati si aggiungono a colmare quella che è stata definita la «distan-
za tra nuova corruzione e vecchi schemi normativi»10.
L’ordinamento italiano, come accennato, prevedeva in precedenza le due
ipotesi: corruzione propria, tuttora punibile in quanto, a seguito di accordo
con un soggetto privato, un pubblico ufficiale (o un incaricato di un pubblico
servizio) riceve o accetta la promessa di denaro o altra utilità per omettere o
ritardare il compimento di un atto del proprio ufficio, ovvero per compierne
uno contrario ai doveri d’ufficio (o per averlo compiuto); e la corruzione impro-
pria, caratterizzata da una retribuzione non dovuta, accettata o promessa,
per sollecitare il pubblico funzionario a compiere un atto del proprio ufficio,
ovvero per averlo compiuto. Oggi sono stati introdotti nuovi reati e sono
stati riscritti illeciti già esistenti.
Un cenno merita anzitutto la corruzione per l’esercizio della funzione (art.
318 cod. pen.): è una nuova previsione, in cui la sanzione non appare più vin-
colata al compimento di un atto d’ufficio, ma alla funzione in sé, per la qua-
le viene erogata dal corruttore al pubblico funzionario una corresponsione
indebita di denaro o altra utilità. La condotta viene spiegata come «ipotesi
di “messa a disposizione” della funzione come tale», ovvero c.d. «iscrizione
di soggetti pubblici “a libro paga” da parte di privati», ivi compresa la corre-
sponsione a pubblici ufficiali di cospicui donativi11. La stessa corruzione per
un atto «contrario ai doveri d’ufficio» (art. 319 cod. pen.), che nell’accordo
criminoso diventa oggetto di compravendita, ha subìto nel tempo un’ulterio-
re evoluzione nell’interpretazione della giurisprudenza, fino alla «creazione
della figura della corruzione per asservimento»12. Tale sarebbe il comporta-
mento del pubblico funzionario allorché, attraverso il ricorso sistematico al
compimento di atti in violazione dei propri doveri istituzionali, per denaro (o
altra utilità) realizzi un costante “asservimento” della funzione all’interesse
personale del privato corruttore.
Ancora un’altra novità è stata introdotta all’art. 319 quater del codice
penale italiano con l’Induzione indebita a dare o promettere utilità, previsione
intesa a sanzionare il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio)

nuova umanità 228 35


focus. la piaga della corruzione
Quando le norme da sole non bastano

che con abuso della qualità o dei poteri induca taluno alla dazione o alla
promessa indebita di denaro o altra utilità. È questa un’ipotesi che si affian-
ca alla concussione (art. 317 cod. pen.), caratterizzata piuttosto da una vera
costrizione ai danni del privato, ovvero una pressione psicologica maggiore,
sempre nell’intento di ottenere l’erogazione o la promessa indebita di dena-
ro o altra utilità.
Si direbbe un apparato normativo capace nel suo complesso di interve-
nire anzitutto come “deterrente” nel fenomeno corruttivo; in realtà, la mol-
teplicità dei rapporti interpersonali e le condizioni ambientali affidano alle
indagini giudiziarie e all’organo giudicante il compito di tracciare il confine
tra ipotesi concussive e corruttive, con una grande differenza nella valuta-
zione del comportamento del privato: è vittima o corruttore? Ed è qui che
il terreno normativo lascia posto a un’analisi che introduce «la distinzione
criminologica tra corruzione burocratica […] e corruzione politico-affaristi-
ca»13: la prima, incline anche a forme di sopraffazione da parte dei soggetti
pubblici nei confronti del privato cittadino, possibile vittima di una vera con-
cussione; la seconda, compatibile con una visione economicistica in ragione
dei “rapporti d’affari” tra soggetti pubblici e privati imprenditori.
Un ultimo cenno merita, solo per completezza del quadro normativo, la
nuova ipotesi, sollecitata peraltro a livello internazionale, ovvero il Traffico di
influenze illecite (art. 346 bis cod. pen.), reato introdotto anch’esso nel 2012.
È volto a sanzionare l’intermediario «che realizza l’intesa corruttiva senza
la necessità che pubblico agente e privato nemmeno s’incontrino e si cono-
scano personalmente»; si tratta di una mediazione illecita, a carattere one-
roso, che si focalizza nel «puro “contatto” tra funzione pubblica e interessi
privati»14, contatto realizzato, con conseguente vantaggio, da parte di chi,
soggetto pubblico o privato, vende la propria mediazione.
L’ampliarsi delle previsioni legislative, qui per brevità solo accennate,
sembra sottolineare, e quasi con un senso di impotenza, lo “sfumare” delle
condotte, sempre più evanescenti, ma di certo non meno pericolose, fino
a segnare, nel tentativo di sanzionare ogni comportamento illecito, quello
che in fondo si può definire come perdita del senso della legalità. I compor-
tamenti si intrecciano nel labile confine tra pubblico e privato, in una com-
mistione di interessi, politici, amministrativi e imprenditoriali, generando

36 nu 228
adriana cosseddu

situazioni che dal “conflitto di interessi” arrivano ad alterare le regole della


politica e dell’economia in condizioni di leale concorrenza. Al punto che oggi
sembra allontanarsi nelle condotte incriminate l’offesa prima orientata ai
valori propri della Pubblica amministrazione, quelli che la stessa Costitu-
zione italiana ha individuato nel buon andamento, nella correttezza, nella
trasparenza (artt. 54, 97 e 98). In tempi recenti l’offesa è ben più diffusa e
investe ancor prima, e in forma più grave, la fiducia stessa nello Stato e la
credibilità delle istituzioni.
“Mercantilismo” e “servilismo”, scambi di favori e convenienze prendono
il posto della “logica del servizio” nei confronti del cittadino che, sprovvisto
di qualche capacità d’influenza, si trovi in condizioni di debolezza o fragili-
tà, inerme dinanzi a condotte semplicemente ostruzionistiche o dilatorie da
parte di soggetti pubblici, non più garanti della necessaria imparzialità. Può
di conseguenza accadere che il privato sia posto nel dilemma tra la rigorosa
osservanza della legge e la convenienza a corrispondere l’utilità pretesa dai
pubblici funzionari, sapendo di non poter fare affidamento sulla correttezza
attesa da esponenti delle istituzioni15. Come dire: entrare nella logica di do-
ver chiedere per favore quanto spetta per diritto.
È un’evoluzione che richiede necessariamente di ampliare il nostro oriz-
zonte di osservazione rispetto alla trasformazione che nel tempo ha riguar-
dato la natura del “reciproco vantaggio” tra soggetto pubblico e privato e
con esso la “normalizzazione” della tangente.

3. dimensione pubblica e privata: i molteplici contenuti


di un “patto corruttivo”

Di solito la corruzione si focalizza in un “patto”, fondato sullo scambio tra


atto amministrativo richiesto al pubblico funzionario e una corresponsione
indebita, ovvero la “tangente”, come suo prezzo16. Ma oggi tale manifesta-
zione, che ha trovato definizione come corruzione burocratica, lascia il posto
alla forma affaristica, in cui, attraverso veri e propri “centri di potere”, è il
flusso di denaro, prodotto da una rete di scambi corruttivi sottesi a rappor-
ti interpersonali, a dominare17. Sullo sfondo, «un capitalismo malato», nel

nuova umanità 228 37


focus. la piaga della corruzione
Quando le norme da sole non bastano

quale lo stesso imprenditore non si rapporta al mercato e alle sue rego-


le, piuttosto alla pubblica amministrazione nella «conquista di un rapporto
immediato – corruttivo – con i pubblici amministratori». Paradossalmente,
interessi pubblici e privati trovano una compenetrazione in pratiche cor-
ruttive, in quanto il mondo imprenditoriale, scarsamente dotato di risorse
proprie, contribuisce tuttavia ad assicurare livelli occupazionali, pur minimi.
Una più recente trasformazione vede tuttavia innestarsi nel fenomeno
corruttivo l’aspetto più politico. Se tempo addietro i partiti politici potevano
offrire garanzie di carriera ai pubblici funzionari, anche attraverso flussi di
denaro generati dalla corruzione, oggi è direttamente l’uomo politico, o di
pubblica notorietà, che in forza del suo ruolo nell’economia e nella finanza è
accreditato grazie alla «rete personale dei suoi ramificati affari: è una forma
davvero estrema di privatizzazione del potere pubblico»18. In una rete fluida
di rapporti si comprende lo sfumare del “patto corruttivo”, mentre all’«eco-
nomia della mazzetta», come retribuzione indebita per l’attività svolta dal
funzionario, si sostituisce o si aggiunge «l’economia dei favori e delle in-
fluenze». In questo rarefatto mondo degli affari il vantaggio per il “politico”
potrà essere altresì affidato a un futuro appalto o subappalto per una propria
impresa, o per un’impresa di famiglia; potrà essere indiretto attraverso l’eli-
minazione di un possibile concorrente in un settore dell’attività economica.
Le relazioni si alterano a tal punto che un articolo, pubblicato nella ri-
vista Nature, del 13 gennaio 2011, è titolato dai suoi autori, N. Ambraseys
e R. Bilham, Corruption kills, “la corruzione uccide”: uno studio condotto su
Paesi che hanno subìto eventi sismici e che hanno evidenziato un livello par-
ticolarmente significativo di corruzione, riconducibile all’industria edilizia.
Le forme sono varie: costruzioni realizzate da privati o da soggetti pubblici,
o finanziate con denaro pubblico, in cui la corruzione arriva, attraverso le
mazzette, a sovvertire gli esiti dei collaudi, o le concessioni di autorizzazioni.
La corruzione diventa altresì il risultato di operazioni nascoste per abbattere
i costi di ricostruzione attraverso materiali scadenti, o evitando il rispetto
delle norme anche in materia di sicurezza19.
Tutto si altera, nei mezzi e nei risultati, tanto che si è fatto osservare:
«mentre terrorismo e mafia sono realtà criminali che si pongono fuori dello
Stato e anzi contro di esso, la pubblica amministrazione in cui alligna la cor-

38 nu 228
adriana cosseddu

ruzione sta dentro lo Stato, e addirittura il fenomeno corruttivo s’insinua nei


gangli più alti dell’apparato politico»20. Larghissima ne diventa la diffusione
attraverso la corruzione dei funzionari di carriera o preposti agli appalti: ba-
sta, perché il meccanismo funzioni, che il funzionario quanto meno accetti
il consiglio di non essere troppo fiscale, oppure che, previa tangente, con-
senta l’esecuzione dei patti illeciti. Oppure, la corruzione potrà riguardare i
pubblici funzionari preposti al controllo della contabilità d’impresa21.
Progressivamente il sistema della corruzione “si codifica” attraverso re-
gole che «prescrivono con esattezza come comportarsi, che cosa dire (e
soprattutto non dire), che cosa chiedere (e non chiedere), quanto e come pa-
gare, con quale atteggiamento fare proposte o accettare tangenti»22. Emer-
ge dalle indagini giudiziarie un vero e proprio «galateo delle mazzette». Si
arrivò, alla fine degli anni ’90, a dar vita in Italia a un Comitato di studio pres-
so la Camera dei Deputati sulla prevenzione della corruzione, che valutò gli
ambiti principali in cui la corruzione si fa strada. Contratti di appalto e di
forniture, sovvenzioni e conclusione di contratti previa tangente; strumenti
urbanistici e concessioni edilizie, dazione di denaro a organi di controllo,
finanziamenti alle imprese e assunzioni, fondi neri a società e redditi illeciti
per pubblici funzionari, finanziamento illecito di partiti e associazioni che
agiscono in modo occulto23. Si configurano posizioni di rendita assegnate
a privati. La discrezionalità, che caratterizza l’attività della pubblica ammi-
nistrazione, nel proliferare delle leggi, si trasforma in arbitrio: «gli ammini-
stratori possono scegliere quale norma applicare» e interpretarla ora per
favorire l’una, ora per agevolare l’altra parte, aggirando i vincoli posti dalle
stesse norme, e operando scelte amministrative «influenzabili da negozia-
zioni occulte»24.
La fiducia verso le istituzioni e gli stessi esponenti della politica e del
governo viene meno, mentre diventa interesse degli amministratori «tra-
smettere all’esterno un’immagine delle procedure pubbliche come dominio
di inefficienza e imprevedibilità, poiché questo permette loro di offrire selet-
tivamente servizi di protezione da quelle condizioni indesiderate. In cambio
di tangenti, essi saranno pronti a garantire una maggiore sollecitudine nel
disbrigo delle pratiche, un’interpretazione favorevole e non controversa del-

nuova umanità 228 39


focus. la piaga della corruzione
Quando le norme da sole non bastano

le norme, una semplificazione delle procedure, una risoluzione positiva del


contenzioso con l’amministrazione pubblica»25.
La diffusività di una “corruzione burocratica”, diventata “pulviscolare”26,
ne segna anche la trasformazione nella forma. L’avanzare del fenomeno in
maniera “sistemica” compromette l’efficienza delle stesse imprese con ri-
sposte inadeguate alla domanda pubblica, con lievitazione dei costi per la
stessa amministrazione, anche per effetto delle tangenti corrisposte, ritar-
di e scadente qualità delle prestazioni. Nello scambio occulto si condivide
un capitale di informazioni riservate, conoscenze personali e fiduciarie. Nei
rapporti economici «l’accentramento della proprietà entro gruppi ristretti di
soggetti e gli scarsi controlli interni, sul versante imprenditoriale, hanno cor-
risposto, sul versante istituzionale, a una speculare stabilità al potere delle
medesime élite politiche»27.
La corruzione si fa dunque “sistemica” fino a saldarsi con la criminalità
organizzata, soprattutto di stampo mafioso. Logiche spartitorie coinvolgo-
no una vasta rete di soggetti: «le “famiglie locali”, gli apparati di “vertice”
dell’organizzazione criminale, gli imprenditori collusi, i politici e gli ammini-
stratori pubblici corrotti»28. Con la forza dell’intimidazione, specie nel setto-
re degli appalti delle opere pubbliche, la criminalità opera o nel «favorire la
stipulazione di accordi di cartello tra le imprese protette», con l’eliminazione
di ogni forma di concorrenza nell’assegnazione degli appalti pubblici, op-
pure fissando, «in accordo con i politici nazionali o locali, le regole di spar-
tizione degli appalti nei territori che controllano […] garantendo ai politici il
pagamento di tangenti da parte degli imprenditori (spesso del nord Italia),
che sono costretti a subappaltare i lavori alle imprese locali controllate dalle
organizzazioni criminali».
Il patto corruttivo non sarà più di carattere “duale”, ovvero tra politico e
privato corruttore: altri soggetti intervengono, anche i cosiddetti faccendieri,
con funzione di intermediazione e filtro, rendendo così evanescente e fluida
«la vicenda corruttiva prestandosi a consulenze fittizie per occultare la tan-
gente»29 corrisposta al corrotto.
Al contempo, la corruzione si fa, per le organizzazioni criminali infiltrate,
strumento privilegiato per moltiplicare attività illecite, tra cui traffico di stu-
pefacenti, sfruttamento della prostituzione e riciclaggio, anche attraverso il

40 nu 228
adriana cosseddu

gioco d’azzardo: lo strumento corruttivo viene utilizzato in forma “discreta”,


dato che «costituendo un semplice costo di produzione può agevolmente
essere scaricato sul consumatore finale del prodotto illecito»30.

4. il costo economico e sociale del sistema corruzione

Il quadro fin qui tratteggiato fa comprendere come lo stesso tessuto so-


ciale possa restare compromesso da un fenomeno di tale portata. Si com-
prende come gli effetti conseguenti siano anzitutto quelli di un’alterazione
dei rapporti a tutti i livelli.
Una vicenda giudiziaria, riportata dal magistrato Piercamillo Davigo, può
esserne prova sufficiente. L’accusa per corruzione rivolta a un giovane tro-
vava da parte sua in un interrogatorio la seguente risposta: «Lei non può
capire, perché fa parte di un mondo dove queste scelte sono individuali, es-
sere onesto o disonesto dipende da lei. Quando sono arrivato in quell’ufficio
ho capito che rubavano tutti ed ho anche capito che non avrebbero tollerato
la presenza in mezzo a loro di un uomo onesto, mi avrebbero cacciato via
perché sarei stato un pericolo per tutti gli altri»31.
Una corruzione, seriale e diffusiva, comporta altresì la difficoltà di farla
emergere; penetra silenziosa, secondo un certo “stile” di comportamento,
tanto che si afferma: «non si scopre pressoché mai. È un reato a cifra nera
elevatissima». A tal punto che in una proposta di legge orientata alla preven-
zione della corruzione, ritenuta una vera “emergenza politica”, si è adottata
fra l’altro la scelta di introdurre “misure premiali” attraverso «la previsione
di una causa di non punibilità per chi denuncia spontaneamente il fatto»32.
Quando la corruzione penetra nel sistema, tutti infatti hanno «un conver-
gente interesse al silenzio»: è un reato che non avviene dinanzi a testimoni
e si realizza «in modo tale che nessuno percepisce direttamente di esserne
rimasto vittima»33. Del resto, all’impenetrabilità del “patto corruttivo” corri-
sponde la “garanzia dell’impunità”, effetto del “vincolo di omertà” tra cor-
rotto e corruttore, ed è talmente forte da non lasciar filtrare alcuna traccia.
Si comprende di conseguenza perché nella società si perdano i criteri
di onestà e correttezza nell’agire, posto che, se organi istituzionali e poli-

nuova umanità 228 41


focus. la piaga della corruzione
Quando le norme da sole non bastano

tici sono considerati corrotti, anche «l’uomo della strada non vedrà alcuna
ragione per non perseguire il proprio interesse particolare»34. Conflitti e li-
tigiosità, ma soprattutto scarsa assunzione di responsabilità costituiscono
il segnale di un’alterazione dei rapporti di fiducia, generata nella collettività
dalla corruzione. La stessa non sarà più tanto fonte di disfunzioni o di un
danno d’immagine per la pubblica amministrazione, costituirà in realtà un
vero danno sociale e una profonda ferita nei rapporti a tutti i livelli.
Anche l’economia è alterata da un mercato illegale infiltrato dal crimine
organizzato, che «finisce per gestire il mercato della corruzione». Si gene-
ra quello che è stato definito un sistema criminale, con il risultato di una
«alterazione delle regole del gioco politico, ma anche la produzione di beni
o inutili o scadenti, o il costo eccessivo di tali beni». L’altra ricaduta è sulle
opere pubbliche, che «finiscono per costare dal doppio a sette volte di più
del dovuto»35.
Ma la corruzione è anche dei 28 Paesi membri dell’Unione europea: uno
studio di questi ultimi anni della Banca mondiale riporta il dato di mille mi-
liardi di dollari pagati ogni anno nel mondo in tangenti, mentre le perdite
economiche che ne derivano arrivano a superare anche ampiamente tale
cifra. Di contro, «i poveri pagano una percentuale più alta dei loro redditi
in tangenti». La corruzione, a seconda della società, assume naturalmente
forme diverse con una tolleranza che muta da Paese a Paese, «ma dovun-
que è fuori discussione che incida negativamente sulla vita quotidiana degli
individui»36.
Pratiche illecite nelle aziende e nelle società, attraverso modalità di cor-
ruzione anche tra privati37, sono causa di progetti realizzati in tutto il mon-
do più nell’obiettivo del profitto privato che della loro effettiva utilità; e in
numerosi casi il pagamento di tangenti ne costituisce condizione alla con-
cretizzazione. Un esempio? La diga di Yacyretá, al confine tra Argentina e
Paraguay, che Carlos Menem, ex presidente dell’Argentina, qualche anno
dopo l’inaugurazione (1998) definì «un “monumento alla corruzione”»38. O,
ancora, la centrale nucleare di Bataan nelle Filippine. La società statunitense
Westinghouse Electric Corporation, che si aggiudicò l’appalto, ammise di
aver pagato al presidente filippino, il dittatore Ferdinand Marcos (destituito
a seguito della rivolta popolare del 1986), 17 milioni di dollari in commissio-

42 nu 228
adriana cosseddu

ni. Il reattore nucleare, eretto su un terreno ad alto rischio sismico, dunque


ancora più pericoloso, non entrò mai in funzione ma i successivi governi
continuano a pagarne i costi.
Drammatiche anche le ricadute sull’ambiente, soprattutto in Africa, le-
gate spesso all’utilizzo di risorse idriche. L’organizzazione Transparency In-
ternational nel 2008 così concluse:

«la crisi idrica è una crisi di governabilità provocata in larga parte


dalla corruzione disseminata in tutto il settore e che rende l’acqua
non potabile, inaccessibile e impossibile da permettersi». Gli effetti
della corruzione si possono individuare nella trivellazione dei pozzi
rurali nell’Africa subsahariana, nella costruzione di impianti di de-
purazione nelle zone urbane dell’Asia, nelle centrali idroelettriche
dell’America Latina, […] e nell’abuso e nell’uso improprio delle ri-
sorse idriche di tutto il pianeta39.

Dinanzi a un fenomeno di così vaste proporzioni si potrebbe anche pen-


sare che la stessa democrazia costituisca «il problema che protegge la cor-
ruzione», mentre appare corretto ritenere che «è la corruzione che rappre-
senta un problema per la democrazia»40.
Se, come affermato dallo storico argentino León Pomer, il vasto «mondo
della corruzione è un mondo culturale», è altrettanto vero quanto espresso
da Ramón Soriano: «La chiave del cambiamento è più nelle mani del cittadi-
no che in quelle dei suoi politici»41.

5. il contrasto possibile: dall’intervento repressivo


alla necessità di un rinnovato modello culturale

Forse, giunti a questo punto, possiamo concordare con le parole con cui
Ferrajoli ricorda la “lezione di Bobbio”: il diritto è una costruzione umana, di cui
tutti portiamo la responsabilità, anche come cittadini.
Torniamo per un attimo alle considerazioni iniziali, con le quali abbiamo
introdotto la corruzione nella sua dimensione non solo giuridica, ma socia-
le e, ancor prima, culturale. Sono aspetti che appaiono tra loro inscindibili,

nuova umanità 228 43


focus. la piaga della corruzione
Quando le norme da sole non bastano

tanto che autorevoli giuristi e penalisti42 non solo sottolineano i limiti e l’in-
sufficienza delle norme ad arginare un fenomeno ormai sistemico, ma gli
stessi si appellano a istanze di moralizzazione, a un’ineludibile educazione,
anche nell’ambito delle imprese, così come a un’etica pubblica e degli affari.
Si ripropongono letture del diritto capaci di ridare voce ai doveri, in una reci-
procità con i diritti che in fondo, al di là della formalizzazione giuridica ope-
rata dalle norme, riguarda nella quotidianità l’altro da me, da riconoscere e
rispettare nella sua incommensurabile dignità.
Degli stessi doveri, di recente, si è scritto con efficacia:

una cosa è il dovere come soggezione a un potere; un’altra cosa è il


dovere come risposta a una chiamata in responsabilità nei confronti
della condizione dei propri contemporanei e nei confronti di coloro
che dovranno poter venire dopo di noi. I doveri verso i contempora-
nei sono doveri di giustizia; i doveri verso chi succederà a noi sono
doveri verso l’umanità43.

Ecco, dunque, per riflettere ancora sul piano giuridico, non solo la ne-
cessità di contrastare la corruzione attraverso la repressione penale dei
comportamenti illeciti, ma soprattutto attuando strumenti di prevenzione.
Emergono a tal fine, fra gli altri, misure atte a prevenire il conflitto d’interes-
si; il rafforzamento di un sistema disciplinare efficace e la previsione, anche
all’interno della pubblica amministrazione, di compliance programs, ovvero
modelli di organizzazione e gestione dell’attività, che ne assicurino la tra-
sparenza. Diventa auspicabile un intervento di governance negli statuti dei
partiti politici, così che la forma associazionistica trovi al suo interno regole
capaci di evitare il perseguimento personale di interessi economici e finan-
ziari da parte degli esponenti44.
Dinanzi alle tante degenerazioni, non sono mancate parole forti, scrit-
te di recente da Gustavo Zagrebelsky: «Quante violazioni dei diritti (altrui)
avvengono in nome dei diritti (propri)? Ecco qua la questione: i diritti non
come protezione contro le ingiustizie, ma, al contrario, come legittimazione
delle ingiustizie»45. E nel tracciare i mali della società al tempo della glo-
balizzazione, il giurista non esita, per spiegare l’“ingordigia”, ad affermare:
«Si cerca il denaro per comperare potere; si cerca il potere per accumulare

44 nu 228
adriana cosseddu

denaro; si insegue la fama per ottenere denaro e potere e si cerca denaro e


potere per guadagnarsi una fama».
Se così è, tanto da far parlare della corruzione come “corrosione”, da
dove cominciare? Peter Turkson supera nella sua analisi la dimensione del-
la corruzione in quanto reato, per rileggerla come corruzione dell’umano: è
«un’anti-cultura senza respiro, senza ricerca, auto-compiaciuta, superba,
non autentica, che […] si fa scudo di comportamenti strumentalmente for-
mali per coprire i suoi sepolcri»46.
Dinanzi agli effetti che schiacciano la persona e alimentano l’indifferen-
za resta la considerazione per la quale «i sistemi cambiano a partire dal cuo-
re delle persone»47. Ma la prospettiva, a cui guardare, non si chiude qui; si
apre piuttosto alle relazioni, ai rapporti economici e sociali, laddove il rinno-
vamento contempla, anche nel pensiero della Chiesa, il “primato del diritto”
nella ricerca di risposte.
Vi è però un modello da proporre dinanzi al rischio per tanti di lasciarsi
corrompere?
È vero, forse, che occorre ritrovare e anzitutto «vivere la vocazione di
servire», praticando quell’austerità che si fa testimonianza proprio nel ser-
vizio a ogni altro, alla famiglia, al quartiere, alla comunità, all’umanità48.
Può valer la pena richiamare qui l’art. 98 della Costituzione italiana, che
pone «i pubblici impiegati al servizio esclusivo della Nazione». O ancora,
l’espressione, pur riferita all’Italia, di uno «Stato-comunità», dove trovano
collocazione funzioni e ordinamenti in vista di una tutela e di un’armonica e
coordinata soddisfazione degli interessi dei cittadini49. Se la logica è quella
del servizio, così nella politica come nell’attività d’impresa in considerazione
della persona, anche il diritto è chiamato a ritrovarla nella giustizia, “custode
delle relazioni”.
Nel linguaggio di papa Francesco che non tace i rischi, uno fra gli altri
diventa essenziale: quello dell’onestà. Una parola, a cui sembrano fare eco
altre parole, estremamente significative, pronunciate dal presidente degli
Stati Uniti John F. Kennedy: «Non chiederti che cosa possa fare il tuo Paese
contro la corruzione, ma che cosa puoi fare tu, contro di essa»50. Eppure,
la scelta personale può non esaurire l’impegno richiesto. Laddove la cor-
ruzione è piaga sociale, è «la legge della giungla mascherata da apparente

nuova umanità 228 45


focus. la piaga della corruzione
Quando le norme da sole non bastano

razionalità sociale», ma è anche «l’inganno e lo sfruttamento dei più deboli


e meno informati», fino alla «frode alla democrazia», dinanzi a tutto questo,
ecco un nuovo rischio che si fa proposta: la fraternità51.
È il luogo di ciò che è dovuto all’uomo in forza della sua dignità, è la ca-
pacità di generare rinnovate relazioni giuridiche ed economiche, ma forse, e
ancor prima, occorre ritrovarla come paradigma al cuore del diritto e attuarla
nella vita dei rapporti52.
Nel provare a conoscere più da vicino la corruzione e a capirne i tanti
mali, potremmo riprendere in conclusione, e quasi in continuità con l’ini-
zio del nostro percorso, proprio le parole scritte da papa Francesco ultima-
mente: «Noi, cristiani e non cristiani, siamo fiocchi di neve, ma se ci uniamo
possiamo diventare una valanga; un movimento forte e costruttivo. Ecco il
nuovo umanesimo […], ci vuole cooperazione da parte di tutti secondo le
proprie possibilità, i propri talenti, la propria creatività»53.
Più che un auspicio, un impegno messo fra le nostre mani.

1
Cf. M.T. Cicerone, De legibus, I, XV, 43, in L. Perelli (ed.), Umanesimo di Cicero-
ne. Antologia delle opere filosofiche, Lattes, Torino 1954, p. 107.
2
L. Perelli, Umanesimo di Cicerone, cit., rispettivamente, Introduzione, pp. V-XV
e p. 85 (corsivo nel testo originale).
3
Francesco, Prefazione, in P.K.A. Turkson - V.V. Alberti, Corrosione. Combattere
la corruzione nella Chiesa e nella società, Rizzoli, Milano 2017, pp. 5-6.
4
P. Gazzara, Processo per corruzione da Le Verrine di Cicerone (prefazione di S.
Zavoli), manifestolibri, Roma 2006, p. 59. L’attualità si conferma oggi attraverso le
parole di Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, che
nella Relazione annuale 2014 al Parlamento esemplifica la corruzione, sottovalutata
per troppo tempo, come «un “sistema gelatinoso”», che risiede soprattutto negli
appalti pubblici (2 luglio 2015), in www.anticorruzione.it.
5
Cf. S. Seminara, La riforma dei reati di corruzione e concussione come problema
giuridico e culturale, in «Diritto penale e processo», n. 10/2012, pp. 1238-1239.
6
B. Forte, Corruzione, la menzogna che ruba il futuro ai giovani, in «Il Sole 24 Ore»,
25 giugno 2017.

46 nu 228
adriana cosseddu

7
Sono parole di Claudio Magris riprese da G. Forti, Introduzione, in G. Forti - C.
Mazzucato - A. Visconti, Giustizia e letteratura, I, Vita e Pensiero, Milano 2012, p.
XIV.
8
Montesquieu, Lo spirito delle leggi, (libro V, XVII-XVIII), a cura di S. Cotta, vol.
I, Utet, Torino 1952, pp. 147-149.
9
Francesco, Prefazione, cit., p. 9.
10
F. Palazzo, Le norme penali contro la corruzione tra presupposti criminologici e
finalità etico-sociali, in «Cassazione penale», n. 10/2015, p. 3392.
11
Cf. F. Palazzo, Le norme penali contro la corruzione tra presupposti criminologici
e finalità etico-sociali, cit., p. 3396, e S. Seminara, La riforma dei reati di corruzione e
concussione come problema giuridico e culturale, cit., p. 1236.
12
Rilievo formulato da H.J. Woodcock, La corruzione per asservimento, in L. Gior-
dano - R. Piccirillo (edd.), Corruzione e illegalità nella pubblica amministrazione. Evolu-
zioni criminologiche, problemi applicativi e istanze di riforma, Aracne, Roma 2012, pp.
67-68, e per il fenomeno più diffuso, Id., La corruzione internazionale, in ibid., pp.
37-63.
13
F. Palazzo, Le norme penali contro la corruzione tra presupposti criminologici e
finalità etico-sociali, cit., p. 3395.
14
Ibid., pp. 3397-3398.
15
Cf. i rilievi svolti da S. Seminara, La riforma dei reati di corruzione e concussione
come problema giuridico e culturale, cit., pp. 1244-1245.
16
Cf. V. Manes, Le qualifiche soggettive agli effetti penali. L’impatto dei processi
di privatizzazione e liberalizzazione, in L. Giordano - R. Piccirillo (edd.), Corruzione e
illegalità nella pubblica amministrazione, cit., pp. 9-19.
17
Anche per quanto segue in testo, F. Palazzo, Le norme penali contro la corruzio-
ne tra presupposti criminologici e finalità etico-sociali, cit., pp. 3390-3391; cf. altresì F.
Cingari, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica. Verso un modello di contra-
sto “integrato”, G. Giappichelli Editore, Torino 2012, pp. 31-45.
18
F. Palazzo, Le norme penali contro la corruzione tra presupposti criminologici e
finalità etico-sociali, cit., p. 3391.
19
Cf. A. Fioritto, La corruzione nei lavori pubblici, in F. Palazzo (ed.), Corruzione
pubblica. Repressione penale e prevenzione amministrativa, Firenze University Press,
Firenze 2011, p. 77.
20
F. Palazzo, Conclusioni. Per una disciplina “integrata” ed efficace contro la cor-
ruzione, in F. Palazzo (ed.), Corruzione pubblica, cit., p. 100. F. Cingari, Repressione e
prevenzione della corruzione pubblica, cit., p. 23, non esita a dare evidenza alla «fitta
rete di connivenze tra politica, massoneria e criminalità organizzata».

nuova umanità 228 47


focus. la piaga della corruzione
Quando le norme da sole non bastano

21
Cf. P. Davigo, Gli intatti meccanismi della corruzione sistemica, in G. Forti (ed.),
Il prezzo della tangente. La corruzione come sistema a dieci anni da “mani pulite”, Vita e
Pensiero, Milano 2003, p. 180.
22
A. Vannucci, La corruzione nel sistema politico italiano a dieci anni da “mani puli-
te”, in G. Forti (ed.), Il prezzo della tangente, cit., p. 36, e ibid., nota 48.
23
Cf. Comitato di studio, La lotta alla corruzione, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 9
e 13.
24
Ibid., p. 20.
25
Ibid., p. 28.
26
Cf. F. Cingari, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica, cit., pp. 25-26.
27
Cf. Comitato di studio, La lotta alla corruzione, cit., pp. 30-31.
28
F. Cingari, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica, cit., p. 30.
29
Ibid., p. 31.
30
Ibid., pp. 45-46.
31
F. Cingari, Corruzione e concussione, in L. Giordano - R. Piccirillo (edd.), Corru-
zione e illegalità nella pubblica amministrazione, cit., p. 29 e, per la citazione che segue,
ibid., p. 26.
32
F. Stella, La «filosofia» della proposta anticorruzione, in «Rivista trimestrale di
diritto penale dell’economia», 1994, p. 937; in rifermento alla Proposta Cernobbio,
cf. ibid., pp. 911-918. Da ultimo, nell’obiettivo della prevenzione, sono stati emanati il
d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, e il d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97.
33
P. Davigo, Il sistema della corruzione, Laterza, Bari-Roma 2017, p. 28.
34
Cf. G. Forti, Il diritto penale e il problema della corruzione dieci anni dopo, in G.
Forti (ed.), Il prezzo della tangente, cit., pp. 133-135.
35
Cf. P. Davigo, Il sistema della corruzione, cit., pp. 40-46 e, a p. 48, scrive: «Il
problema è che i politici professionisti si sono presentati più o meno come dei pa-
droni di casa, sostanzialmente facendo intendere “non dovete darci fastidio”. Io
penso invece che i padroni di casa siano i cittadini».
36
I dati sono tratti da Il costo della corruzione pubblica e privata. Le idee chiave di
Myrdal, Buchanan, Becker e North, RBA, Milano 2017, pp. 75-79.
37
Tale ipotesi, introdotta in Italia nell’ambito dell’attività societaria, è stata ora
ulteriormente modificata per effetto del d.lgs. 15 marzo 2017, n. 38 (Attuazione del-
la decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla
lotta contro la corruzione nel settore privato).
38
Cf. Il costo della corruzione pubblica e privata, cit., pp. 62-65.
39
Ibid., pp. 102-103.
40
Ibid., p. 12.
41
Cf. ibid., p. 84, cui segue, pp. 96-101, l’ulteriore problema della giustizia cor-
rotta; per la citazione conclusiva nel testo, ibid., p. 136.

48 nu 228
adriana cosseddu

42
Fra i tanti, M. Pelissero, Le istanze di moralizzazione dell’etica pubblica e del mer-
cato nel “pacchetto” anticorruzione: i limiti dello strumento penale, in «Diritto penale e
processo», n. 3/2008, p. 282.
43
G. Zagrebelsky, Diritti per forza, Einaudi, Torino 2017, p. 94.
44
Cf. in merito F. Cingari, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica, cit.,
pp. 7 e 46-47.
45
G. Zagrebelsky, Diritti per forza, cit., p. 6; per la citazione che segue, ibid., p. 59.
46
P.K.A. Turkson - V.V. Alberti, Corrosione, cit., p. 92. Anche P. Davigo, Il sistema
della corruzione, cit., pp. 87-102, ravvisa un problema culturale.
47
Ibid., p. 113, e per i rilievi sul diritto pp. 176-180.
48
Cf. Francesco, Discorso ai partecipanti al 3° incontro mondiale dei movimenti
popolari, 5 novembre 2016. Particolarmente significativo peraltro l’intervento del
procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo F. Roberti, Mafie e corruzione: po-
tere, giustizia e verità, in «Questione Giustizia» (10 giugno 2016), ove ripetutamente
emerge l’espressione volta a sottolineare l’importanza di «un Potere al servizio del
bene comune».
49
Cf. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, II, Cedam, Padova 1969, pp. 767 e
772.
50
Cf. Il costo della corruzione pubblica e privata, cit., p. 13.
51
Cf. Francesco, Discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale delle Asso-
ciazioni di imprenditori cattolici, 17 novembre 2016, e i riferimenti in P.K.A. Turkson
- V.V. Alberti, Corrosione, cit., p. 164.
52
Ci permettiamo di rinviare per la prospettiva accennata ai contributi raccolti
nel volume: A. Cosseddu (ed.), I sentieri del giurista sulle tracce della fraternità. Ordi-
namenti a confronto, G. Giappichelli Editore, Torino 2016.
53
Francesco, Prefazione, cit., pp. 9-10.

nuova umanità 228 49


dallo scaffale di città nuova

CRISTIANI RAGIONEVOLI
oltre i luoghi comuni della scienza
e dell’esistenza
di Leonardo Becchetti / Alessandro Giuliani

Un economista e un biologo dialogano sulla loro


esperienza di fede.

Partendo dalla ragionevolezza della fede cristiana e dalla con-


siderazione di come la ricerca, scientifica e sociale, abbia la
necessità di allargare i confini della ragione e di non cadere nel
ridicolo (dove chiuda la porta al mistero e alla bellezza della
vita), il dialogo offre al lettore interessanti informazioni sulla
regolazione della sintesi proteica e l’economia di mercato.
L’esperienza di fede scaturita da tali considerazioni reclama
isbn poi un coinvolgimento più personale degli Autori, da cui emer-
978883111 gono le relative (non lievi) differenze culturali e politiche, ma
anche l’irridu­cibilità dell’esperienza di Dio.
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nu 228
focus. la piaga della corruzione

E se la corruzione fosse
la radice di tutti
i problemi dell’Africa?

Raphaël
Takougang
introduzione
avvocato

L’indice di percezione della corruzione (Cpi) di Tran-


sparency International misura la corruzione nel settore
pubblico e politico di 176 Paesi nel mondo. L’indice viene
utilizzato per creare una graduatoria dei Paesi del mon-
do ordinata sulla base dei loro livelli di corruzione per-
cepita, come determinati da valutazioni di esperti e da
sondaggi d’opinione. La valutazione va da 0, per i Paesi
ritenuti “molto corrotti”, a 100, per i Paesi “per nulla cor-
rotti”.
La ventiduesima edizione dell’indice di percezione
della corruzione (Cpi), quella del 2016, vede quattro
Pae­si dell’Africa subsahariana figurare tra quelli con un
tasso di corruzione inferiore alla media globale, mentre
un numero rilevante affolla i bassifondi della graduato-
ria1. L’Africa subsahariana ha raggiunto una media gene-
rale di 31, confermandosi per l’ennesima volta la regione
più corrotta al mondo, dove la maggior parte della popo-
lazione è costretta a pagare una tangente per risolvere
problemi burocratici e amministrativi. Da evidenziare
che nella graduatoria il Nord Africa è posizionato terzul-
timo, con un punteggio complessivo di 382.

nuova umanità 228 51


focus. la piaga della corruzione
E se la corruzione fosse la radice di tutti i problemi dell’Africa?

La graduatoria rivela che ben cinque dei dieci Paesi più corrotti del mon-
do sono nel continente africano. Il primato in assoluto di Paese più affetto
da questa metastasi sociale è detenuto dalla Somalia, con solo dieci punti,
seguito dal Sud Sudan, Corea del Nord, Siria, Yemen e Sudan. Un’altra os-
servazione interessante è che in 159esima posizione, insieme ad Haiti, tro-
viamo ben quattro Paesi africani: Burundi, Repubblica Centrafricana, Ciad e
Repubblica del Congo. Non ci sono però solo casi negativi da segnalare per
quanto riguarda l’Africa. Tra i Paesi africani virtuosi, c’è il Botswana, classi-
ficato al 35° posto, seguito da Capo Verde, Mauritius, Ruanda e Namibia.
«La corruzione, però, continua a negare ai cittadini giustizia e sicurezza»,
scriveva già l’organizzazione nelle sue conclusioni dell’anno precedente, e
«mentre una Somalia devastata dai conflitti finisce di nuovo in fondo alla
classifica, molti Paesi sono piagati dalla mancata applicazione della legge»,
ospitando la polizia e i tribunali «maggiormente interessati da tangenti». «In
molti Paesi, tra i quali Angola, Burundi e Uganda, assistiamo a una mancata
persecuzione degli ufficiali pubblici da una parte e l’intimidazione dei citta-
dini che si ergono contro la corruzione dall’altra»3, così si legge nello studio.
Se la corruzione può essere definita strictu sensu come ogni scambio il-
lecito fra un atto di potere di un membro di un’organizzazione a favore di
un altro soggetto e una prestazione di denaro o altro vantaggio personale4,
conviene dire che noi vorremmo intenderla come ogni atto o pretesa che
tende a chiedere, aspettare oppure esigere una contropartita di ogni tipo
prima di svolgere un’azione dovuta legittimamente all’altra persona. La cor-
ruzione può anche consistere nel fatto di usare il denaro oppure altra “esca”
per richiedere e ottenere da un soggetto ciò di cui non si ha diritto, così che
quest’ultimo agisca contro i propri doveri e obblighi. In realtà ogni definizio-
ne della corruzione incontra inevitabilmente problemi di natura culturale,
metodologica, disciplinare e normativa.
Il fenomeno ha molte implicazioni, soprattutto dal punto di vista sociale
e giuridico, sia per le cause e le conseguenze nella vita di un dato gruppo, sia
per la complessità nello sforzo di poter individuare e punire gli attori coin-
volti e nel lottare contro il fenomeno in generale.

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raphaël takougang

il contesto socio-politico dell’africa

Il fenomeno della corruzione, già presente in tanti Paesi africani, è diven-


tato dilagante dagli inizi degli anni ’90. Il reddito pro capite, oggi stimato a
meno di 745 dollari all’anno in media per la maggioranza dei Paesi africani,
è sceso drasticamente negli ultimi decenni, indebolendo considerevolmente
il potere di acquisto della classe media. I redditi bassi, la globalizzazione e
le sue conseguenze sul mercato internazionale, la svalutazione nel genna-
io 1994 del franco CFA, usato da ben 14 Paesi africani, in maggioranza ex
colonie della Francia, sono tra i fattori che hanno un influsso notevole sul
divampare del fenomeno. Una delle conseguenze di questa svalutazione è
stata la riduzione – in certi Paesi di più del 50% – dei dipendenti pubblici.
Ne è seguita un’inflazione senza precedenti, costringendo quelli che non
volevano ridurre il loro tenore di vita a usare metodi fuori di ogni norma
per soddisfare i propri bisogni. E siccome in tanti Paesi del continente una
persona che lavora ha a suo carico altre cinque o sei persone, questa nuova
situazione ha generato un grande problema sociale con l’aumento della po-
vertà e la perdita di posti di lavoro per l’inflazione economica.
La povertà è dunque una delle cause maggiori della corruzione. Le neces-
sità della vita moderna, i bisogni primari e secondari dell’uomo per essere
soddisfatti vengono quantificati in termini mercantilisti. Quando un padre di
una famiglia di sette figli – come è molto comune incontrare in Africa – non
riesce a pagare la retta scolastica a tutti i suoi figli, è molto predisposto ad
accettare o chiedere dei soldi per qualsiasi servizio che la propria posizione
sociale gli permette di rendere. E se per esempio è preside di una scuola, è
disposto ad ammettere il figlio di chi gli dà facilmente 200 euro, a scapito
del figlio di chi non è pronto a “comprare” il posto, anche se meritevole. Se è
poliziotto, è disposto a prendere soldi da chi non rispetta le regole del codice
stradale e a lasciarlo andare “per la sua strada”, mettendo così a rischio tutti
gli altri utenti della stessa strada.
La corruzione sta diventando in Africa un fatto normale e accettato, che
sta lacerando il continente. Un continente in cui i poveri devono corrompe-
re per sopravvivere; per curarsi negli ospedali, per entrare nelle “migliori”
scuole di formazione professionali, per ottenere posti di lavoro e per uscire

nuova umanità 228 53


focus. la piaga della corruzione
E se la corruzione fosse la radice di tutti i problemi dell’Africa?

di prigione. Nessuno sembra preoccupato di questo sistema di sopravvi-


venza del più forte, in cui si può resistere solo facendone parte. Tutti i set-
tori della vita sono vittime di questa “pandemia sociale”: l’amministrazione,
la polizia, la giustizia, il commercio. Il danno che questa pratica arreca alla
collettività è incommensurabile, non solo quello morale, cioè collegato con
il senso di ingiustizia che essa ingenera tra i cittadini onesti, ma per il clima
stesso di sfiducia che essa causa tra i cittadini, rendendo difficili le relazioni
sociali e di tipo commerciale.
C’è ormai un pensiero condiviso secondo cui la corruzione è dannosa per
la società, perché il vantaggio che porta ai corrotti è ampiamente inferiore al
danno che provoca nella società. Secondo una certa letteratura economica,
gli amministratori pubblici e i politici decidono di essere corrotti o meno
in base alla loro convenienza personale. La loro decisione risulterebbe così
essere dettata dalla comparazione di un beneficio certo con un costo in-
certo. Il beneficio certo è rappresentato dalla tangente di cui si appropria il
corrotto. Il costo incerto è la valutazione soggettiva di quel che avviene nel
caso in cui si venga scoperti e condannati: il numero di anni di carcere e le
sanzioni economiche che possono seguire alla condanna, la perdita del la-
voro e il costo associato alla disapprovazione sociale di cui di solito è vittima
il corrotto5.
Più complesso è il rapporto tra la corruzione e la politica. Se è accetta-
to da tutti che un regime democratico possa offrire maggiori possibilità di
controllo dei politici, e di punire quelli che si rivelano corrotti, è altrettanto
vero che una stampa libera dovrebbe favorire la trasparenza, strumento di
controllo democratico, che rende più difficile la corruzione.
Il paradosso in Africa è che tutti i Paesi che affermano di essere i più
democratici – certuni hanno proprio l’aggettivo democratico nel loro nome
– sono quelli più corrotti. Sotto una cosiddetta democrazia si nascondono i
regimi totalitari più feroci, dove il partito al potere è una specie di circolo mi-
stico il cui credo è quello di fare di tutto per assicurare la permanenza eterna
del suo capo al potere. Ci si entra per questo obiettivo e si usa ogni mezzo
per tale fine. Il sistema elettorale è così corrotto anche perché costituito e
controllato da chi sta al potere. I mezzi e le finanze dello Stato, i media pub-

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raphaël takougang

blici sono usati per la campagna elettorale del partito al potere, gli elettori
sono “convinti” con i soldi a votare lo stesso partito.
Ma ora i popoli, dopo decenni di sottomissione e di paura, stanno spin-
gendo per un cambiamento di fondo. L’oppressione e le sofferenze causate
da questi sistemi hanno portato la gente a prendere posizioni sempre più
coraggiose, anche a rischio della propria vita. L’andamento delle numerose
elezioni tenutesi nel 2016 in tutto il continente africano fornisce una valida
riflessione per definire le tendenze di corruzione nella regione. In Ghana per
esempio, lo scorso dicembre, gli elettori hanno espresso la loro insoddisfa-
zione contro la dilagante corruzione del governo di John Dramani Mahama,
non rieleggendolo alle funzioni di presidente della repubblica. In Gambia,
dove per 23 anni il presidente uscente Yahya Jammeh ha governato con un
pugno di ferro portando il tessuto economico del Paese alla decomposizio-
ne, con metodi altamente corrotti, il popolo ha espresso il proprio disappun-
to in dicembre non rieleggendo il tiranno. Dopo sei settimane di braccio di
ferro con l’Ecowas, la comunità economica degli Stati dell’Africa occiden-
tale, dinanzi alla sua insistenza nel non accettare la sconfitta elettorale, il
21 gennaio 2017 è stato costretto a lasciare il potere al nuovo presidente
Adama Barrow.

l’immigrazione e le sofferenze causate

Ci si potrebbe ora chiedere se esista una relazione tra la corruzione e


l’immigrazione massiva degli africani verso l’Europa in questi ultimi anni.
Come già detto, la corruzione non è mai un fenomeno isolato, è sempre col-
legata ad altri fattori, e per combatterla con possibilità di successo è im-
portante prendere in considerazione il quadro generale all’interno del quale
emerge. In questo senso, il flusso migratorio verso l’Europa che viviamo or-
mai da anni è molto legato al fenomeno della corruzione.
Uno studio pubblicato nel 2013 mostra l’incidenza del fenomeno corrut-
tivo sui flussi migratori:

nuova umanità 228 55


focus. la piaga della corruzione
E se la corruzione fosse la radice di tutti i problemi dell’Africa?

La corruzione favorisce le uscite spingendo i cittadini altamente


qualificati a trasferirsi verso altri Paesi meno corrotti […]. I risultati
mostrano una significativa correlazione negativa tra corruzione e
flussi in entrata […]. Allo stesso tempo c’è una significativa corre-
lazione positiva tra corruzione e flussi in uscita, che vuol dire che le
persone qualificate sono più propense a trasferirsi all’estero se il
loro Paese di origine è altamente corrotto6 .

Nel caso dei Paesi africani, conviene notare che, ben prima dei barconi
che da qualche anno riversano ogni giorno migliaia di persone sulle coste
europee, c’era già da molto tempo una migrazione dell’élite africana. Tutti
gli intellettuali, per fuggire dai regimi dittatoriali e corrotti, sono migrati nei
Paesi con migliori condizioni, specialmente negli Stati Uniti, in Francia, in
Canada, in Gran Bretagna e in Germania. La quasi totalità dei giovani arrivati
in questi Paesi per studiare, una volta laureati, non tornano più nei rispettivi
Paesi, ma rimangono nei Paesi di accoglienza per lavorare, perché vi trovano
trattamenti decisamente migliori di quelli che potrebbero avere nei propri
Paesi. Col tempo, gli uni e gli altri hanno preso la nazionalità dei Paesi ospi-
tanti e lì si sono impegnati in diversi campi.
La corruzione nel frattempo ha continuato a corrodere la società; sem-
pre più giovani, una volta finita l’università, si trovano senza lavoro e senza
futuro. Il tasso di disoccupazione ha continuato a crescere, la povertà ha
continuato a crescere, e sempre più persone hanno perso la speranza in un
futuro migliore. Emigrare per sperare è diventata non solo l’idea, ma la con-
vinzione di tanti, la via di uscita per una dignitosa sopravvivenza. A emigrare
questa volta non sono solo intellettuali, ma la massa di tutti quelli che, non
potendo crearsi una strada in questo contesto altamente corrotto, sognano
un futuro migliore per loro stessi e per le loro famiglie. Lasciano intere fa-
miglie per intraprendere questo cammino pieno di incertezze e pericoli di
ogni tipo.
Questa “fuga” di forze e intelligenze porta un danno serio allo sviluppo
del continente che vede così svanire le migliori forze per lo sviluppo, e non
solo perché molto spesso – specie nel primo caso – si tratta di una mano
d’opera qualificata, ma anche perché si tratta di quelli che potrebbero esse-
re fermento per la lotta contro la corruzione latente e contribuire a un nuovo

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raphaël takougang

modo di governare. Ogni giorno tuttavia abbiamo notizia di quanti tra que-
sti “avventurieri dei barconi” non arrivano neanche a vedere quella che per
loro è la terra promessa, cioè il continente europeo. Se non sono uccisi dai
trafficanti di essere umani in Libia, vengono “ingoiati” dal Mar Mediterraneo
durante la traversata pericolosissima, che non lascia via di scampo specie a
chi non gode di ottime condizioni di salute.

la mano tesa delle multinazionali e delle nazioni forti

Non è certo un segreto per nessuno che l’Africa sia ricca di risorse pre-
giate: oro, diamanti, coltan, petrolio, rame e altro. Da questo punto di vista,
si può dire che Dio ha benedetto l’Africa in modo speciale. I Paesi africani
ricchi di questi minerali si contano a decine. La logica vorrebbe che tali Paesi
ricevessero, nel mercato internazionale, denaro equivalente alle risorse da
loro prodotte, e ciò per il loro sviluppo e per il benessere della propria gente;
ma il paradosso africano anche qui vuole che più risorse produce un Paese,
più instabilità politica e sociale conosce. Come si spiega ciò?
Un Paese come la Nigeria, da qualche anno primo in Africa nel campo
economico, davanti al Sudafrica, è anche il Paese di tutti i contrasti. Per anni
è stato il Paese più corrotto del mondo dove è in atto anche una ribellione
che crea ancora più povertà e miseria per la popolazione. Boko Haram è
un’istituzione che semina solo morte, distruzione e desolazione. Più attivo
nel nord del Paese, è anche l’espressione violenta di una frangia del popolo
– pur di minoranza – che non acconsente al modo in cui vengono sfruttate le
molteplici risorse del Paese.
La Repubblica Democratica del Congo ha una superficie che è otto volte
superiore a quella dell’Italia, con una popolazione di più di 50 milioni di abi-
tanti. L’agricoltura contribuisce al prodotto interno lordo per il 56% (grazie
alle esportazioni di caffè), ma, soprattutto, questo Paese è una vera e pro-
pria “gallina dalle uova d’oro” per le risorse naturali: diamanti, oro, petrolio,
uranio, cobalto, rame, zinco, stagno e il coltan “strategico”, che viene uti-
lizzato per ottimizzare l’uso di energia nei telefoni cellulari, ed è essenziale
per la produzione di materiale spaziale, airbag, aerei, console di fibra ottica.

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focus. la piaga della corruzione
E se la corruzione fosse la radice di tutti i problemi dell’Africa?

Nonostante queste ingenti ricchezze, nella Repubblica Democratica del


Congo l’aspettativa di vita arriva a soli 45 anni, il tasso di mortalità infantile
è molto alto e la povertà della popolazione è drammatica. Ciò è dovuto in
gran parte al fatto che questo Paese è stato devastato da due guerre ne-
gli ultimi dieci anni: la prima è iniziata nel 1996, è stata chiamata “guerra
mondiale africana”, perché ha coinvolto una mezza dozzina di Paesi e ha
provocato da tre a cinque milioni di morti e più di due milioni di rifugiati e
sfollati. La sfida legata a queste guerre, durate quasi dieci anni, riguarda le
sue risorse minerarie, in particolare: lo Zimbabwe ha finanziato il suo inter-
vento militare con contratti di legname e diamanti, mentre nelle province
orientali il coltan ha provocato l’intervento militare in Ruanda. Gli ugandesi
si sono concentrati su oro e diamanti, oltre allo sfruttamento delle ricche fo-
reste pluviali. L’immensa ricchezza naturale della Repubblica Democratica
del Congo sembra essere la sua maledizione fin dal XIX secolo, quando ha
suscitato gli appetiti di Leopoldo II, re del Belgio, che ha fatto sterminare più
di cinque milioni di congolesi.
Tutto questo per dire che, per quanto sia ricca l’Africa, altri sembrano
beneficiare di queste ricchezze. In primo luogo non hanno voce là dove ven-
gono fissati i prezzi di queste materie prime. Poi, nel concedere contratti
di estrazione dei minerali alle multinazionali, c’è un gioco di interessi in cui
“compensi” e “compromessi”, “arrangiamenti” e “ringraziamenti” hanno
come conseguenza lo sfruttamento del Paese produttore, senza un vero
aumento del livello di vita delle popolazioni. È questa la corruzione, molto
sottile, ma ancora più dannosa rispetto a quella realizzata dai singoli, perché
ha ripercussioni immediate sul reddito di Paesi interi, sulle fonti di guadagno
per la sussistenza dei popoli. Questi contratti vengono concessi alle volte ab
aeterno, a beneficio di qualche autorità al potere, e guai a chi pone domande
sull’opportunità di tali concessioni per il bene del cittadino comune.
Davanti a un tale quadro in chiaroscuro, in cui grandi risorse sono ac-
compagnate da drammatici emergenze sociali e sanitarie, è inevitabile chie-
dersi perché tra gli abitanti di un continente ricco la stragrande maggioranza
è così povera. Per lungo tempo, soprattutto nell’opinione pubblica, due let-
ture di questo fenomeno si sono scontrate. Una, che potremmo chiamare
positivista e malthusiana, spiega che la difficoltà di superare la povertà è

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dovuta principalmente alla crescita della popolazione: secondo questa ana-


lisi nessuna crescita economica potrebbe essere sufficiente ad assicurare la
prosperità e lo sviluppo di un continente per il quale, nei prossimi 50 anni,
si prevede un aumento da 830 a 1.300 milioni persone. L’altra lettura, stori-
co-politica, attribuisce principalmente al colonialismo e al neocolonialismo
delle potenze occidentali la responsabilità di aver sfruttato egoisticamente
l’Africa, impedendole di crescere e guadagnare la sua autonomia. Questa
seconda chiave di lettura è stata spesso usata come argomento per opporsi
al meccanicismo inaccettabile di natura malthusiana.
In realtà né la prima né la seconda analisi può essere considerata esau-
stiva, tanto più che, nell’esortazione post-sinodale Ecclesia in Africa del 14
settembre 1995, san Giovanni Paolo II sottolinea che «l’Africa è un immenso
continente con situazioni molto diverse e che occorre per questo evitare
di generalizzare sia nel valutare problemi che nel suggerire soluzioni»7. La
mancanza di sviluppo o il sottosviluppo dell’Africa sono il risultato di una
serie di elementi e cause concomitanti, tra i quali la corruzione non è da
escludere. Dopo essere stata terra di conquista, l’Africa è oggi il terreno del
gioco degli interessi economici e le sue molteplici risorse sono anche fonte
della sua drammatica tribolazione.
Il consumo di acqua, minerali, petrolio e prodotti agricoli si fa anche a
costo di danni ambientali e violazioni dei diritti umani generati da multi-
nazionali che sfruttano queste risorse senza misura. Le aziende, per di più,
non sono mai ritenute legalmente responsabili per le conseguenze delle loro
attività, a causa del loro peso economico e politico e per la complicità dei
governi, i quali, così facendo, non proteggono le loro popolazioni8. Sono cau-
sa di ulteriori fenomeni di deforestazione spostando i senza terra verso aree
forestali ancora da disboscare.
Chi ha provato a remare controcorrente rispetto a tale logica l’ha sem-
pre pagata cara, alle volte con la propria vita. Sembra un sistema così con-
solidato che è quasi impossibile liberarsene. La storia del continente nero
abbonda di storie di nazionalisti che sono stati sacrificati sull’altare degli
interessi economici. Chi rimane al potere è chi fa il gioco delle multinazionali
occidentali, chi protegge i loro interessi. Gli si assicura protezione e suppor-

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focus. la piaga della corruzione
E se la corruzione fosse la radice di tutti i problemi dell’Africa?

to. In questo senso la corruzione in Africa assume altri volti rispetto a quelli
tradizionali. È una corruzione istituzionale eretta a sistema di governo.
Il 17 gennaio 1961 Patrice Emery Lumumba, primo ministro del Congo
appena indipendente, venne assassinato per il suo coraggio, la sua determi-
nazione a non lasciare che decisioni riguardanti il suo Paese fossero prese
per gli interessi economici dei Paesi colonizzatori a scapito delle sue popola-
zioni. Al suo posto subentrò Mobutu Sesse Seko, il quale faceva il gioco delle
potenze economiche occidentali. Il 15 ottobre 1987 il capitano Thomas San-
kara, allora presidente del Burkina Faso e militante convito nella lotta contro
il neocolonialismo, impegnato nel dare al suo Paese una dignitosa situazione
economica pur nella sua povertà, fu assassinato in condizioni ignobili, e tutti
sanno che la sua scomparsa era nell’interesse di quelli che vogliono essere
sempre i maestri in terra africana. Blaise Compaoré, il suo migliore amico,
fu “usato” a tale fine, ha preso il potere e tutto è ritornato come prima, anzi
peggio.
Più vicini a noi sono i casi di Laurent-Désiré Kabila della Repubblica De-
mocratica del Congo e di Laurent Bagbo della Costa d’Avorio. Asceso al
potere il 17 maggio 1997 con forze armate, grazie anche al Ruanda e all’U-
ganda, Kabila si è rivelato un “tiranno nazionalista”, pronto a dare tutto per
il suo Paese, un Paese, come già detto, ricchissimo di miniere. Chi si era
“appropriato” delle risorse di questo Paese indipendente, non contento di
aver suscitato conflitti armati nell’est del Congo, zona particolarmente ricca
di coltan, ha organizzato l’omicidio di questo capo di Stato divenuto ingom-
brante, il 16 gennaio 2001. È stato quindi messo al suo posto il figlio Joseph
Kabila (anche se questa filiazione è stata contestata dai congolesi stessi che
lo considerano ruandese), più malleabile e corruttibile.
Dopo le elezioni del novembre 2010, contestate in tutta la Costa d’Avo-
rio, si è assistito a una vera caccia all’uomo ad Abidjan. Il nuovo presidente
Alassane Dramane Ouattara è stato portato al potere con l’aiuto di forze
armate esterne perché Laurent Gbagbo, presidente uscente, si era chiara-
mente schierato per una politica aperta, deciso a contrattare solo con chi
prendeva in considerazione gli interessi del suo Paese, a scapito di chi nel
trattare con questo Paese, faro della regione dell’Africa dell’ovest, mette

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avanti solo i propri vantaggi. Con l’aiuto prestato al nuovo presidente ci si è


assicurati così la sua “lealtà” e dipendenza.
Possiamo moltiplicare questi esempi, che stanno a dimostrare che la
corruzione in Africa non è solo opera di singoli cittadini, ma è soprattutto
un modo consolidato con il quale le potenze economiche “creano” e sosten-
gono i despoti, purché siano pronti a proteggere i loro interessi, con la com-
plicità silenziosa della comunità internazionale. San Giovanni Paolo II non
ha esitato a denunciare questi metodi poco umanitari quando ha affermato
che «in un mondo controllato dalle nazioni ricche e potenti, l’Africa è pra-
ticamente divenuta un’appendice senza importanza, spesso dimenticata e
trascurata da tutti»9. In questo campo, il diritto all’autodeterminazione dei
popoli, paradigma così caro al diritto internazionale, viene superato da mo-
tivazioni geopolitiche che hanno per fine il mantenere un certo equilibrio tra
nazioni forti, che allo stesso tempo tengono sotto controllo quelle che, per
un motivo o per un altro, hanno una dipendenza verso di loro.

necessità di un nuovo equilibro

Anche se è palese che da un punto di vista economico la corruzione


privilegia l’importanza degli incentivi individuali, ciò non significa che altri
aspetti non siano importanti. Alcuni ricercatori hanno evidenziato che certi
tratti culturali più favorevoli a ordinamenti gerarchici, come è il caso di quasi
tutte le culture africane, predispongono ad atteggiamenti corrotti. Dicono
per esempio che, se prevale una forte lealtà verso le persone appartenenti al
proprio gruppo (etnico), vi è meno interesse per il bene comune, e si riscon-
trerebbe una relazione negativa tra il livello della corruzione e la presenza
di fiducia verso individui che non fanno parte delle relazioni familiari o di
consolidata conoscenza10. Non condividiamo tale visione perché crediamo
che ogni persona, convinta della necessaria apertura per una pacifica con-
vivenza umana, ha in sé valori e ragioni che la portano a non barattare sul
bene comune. La corruzione è un’altra espressione dell’egoismo dell’uomo
e questo si trova a ogni latitudine.

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focus. la piaga della corruzione
E se la corruzione fosse la radice di tutti i problemi dell’Africa?

La lotta contro la corruzione in Africa non porta tanto frutto da anni, per-
ché gli stessi dirigenti politici, i loro familiari e anche coloro ai quali è stato
affidato il compito di eradicarla si trovano molto spesso coinvolti. Finché
l’esempio non viene da chi governa, poco ci si può aspettare dagli sforzi di
sradicarla. Questo, almeno, è il pensiero di tanti autori africani per i quali
la lotta contro la corruzione deve essere una priorità dei capi di Stato. Non
devono esitare a punire, e questo avrà ripercussioni a cascata fin nella base
della società. Così facendo dovranno aspettarsi anche l’impopolarità, di
avere nemici “intimi”, ma è solo a tale prezzo che aiuteranno davvero il loro
popolo. Quando si vuole restituire al popolo ciò che gli appartiene, bisogna
avere il coraggio di sanzionare quelli che agiscono solo per i propri interessi
a scapito della maggioranza11.
Nell’Africa di oggi, le molte delusioni e le aspettative disattese in più di
mezzo secolo di indipendenza hanno reso le persone più disilluse; le suc-
cessioni nei governi con poteri dittatoriali o militari, che hanno fallito nel
loro compito di assicurare alle popolazioni una vita dignitosa con le tante
ricchezze dei Paesi, hanno reso l’Africa il continente più miserabile del pia-
neta, facendo così credere ad alcuni che si tratti di un continente dannato.
La realtà è che le nazioni africane hanno un serio problema di leadership,
soffrono la carenza di persone con una visione del proprio Paese per la quale
siano disposti a non scendere a compromessi. Qualcuno ci ha provato ed è
stato troncato, ma il sacrificio di questi pionieri non sembra aver portato
tanto frutto, perché ci si sarebbe aspettati che morto uno, ne nascessero
cento con la stessa grinta.
C’è urgenza di inventare un nuovo modo di governare, di far emergere
una nuova generazione di leader, capaci di rifondare lo Stato postcoloniale
in crisi, capaci di difendere meglio gli interessi dei propri popoli12. Il vento di
democrazia soffiato anche in Africa all’inizio degli anni ’90 non ha portato la
trasformazione radicale che si sperava della classe politica, ad eccezione di
alcuni casi come il Benin, il Botswana, Capo Verde e il Ghana.
Purtroppo le profonde divisioni ideologiche tra le élite intellettuali afri-
cane sono anche all’origine del fallimento del discorso sullo sviluppo e della
mancanza di soluzioni alternative ai modelli presi dall’estero. Le élite afri-
cane, divise tra pensieri di tipo liberale, marxista-leninista e religioso, non

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hanno potuto affrontare con realismo questioni contingenti, come la cor-


ruzione, che un po’ alla volta hanno finito per essere causa del fallimento di
tutto un sistema riprodotto unicamente su modelli concepiti per altri conte-
sti socio-culturali.
Nessuno meglio degli africani stessi potrà affrontare la sfida con succes-
so. In questo senso si può essere ottimisti, perché sta nascendo una nuova
generazione di leader politici in Africa che ha capito che il proprio impegno
e la responsabilità politica saranno vagliati in ragione dell’importanza che
attribuiranno al rapporto potere-libertà; dovrà principalmente essere il cit-
tadino a controllare l’azione di chi lo governa. La possibilità di controllare i
vari poteri per assicurarne l’equilibrio e per la difesa dei diritti fondamentali
dei popoli africani alla vita, all’educazione, alla salute, al bene spirituale e
materiale nella dignità costituirà un punto cruciale per l’Africa di domani. Se
le risorse del Paese sono gestite bene, se la gente è ben pagata, se la giusti-
zia funziona come dovrebbe, non ci sarà più motivo di usare metodi illeciti
per ottenere ciò che non è proprio.
Perciò dopo secoli, di schiavitù prima e di colonizzazione poi, che hanno
segnato la storia del continente e malgrado le grandi pandemie – come la
malaria, l’Aids, la tubercolosi ecc. – e altre piaghe come la corruzione che
causano innumerevoli sofferenze,

il continente africano potrà trovare vie di speranza instaurando un


dialogo tra i membri delle componenti religiose, sociali, politiche,
economiche, culturali e scientifiche. Avrà allora bisogno di ritrovare
e promuovere una concezione della persona e del suo rapporto con
la realtà basata su un rinnovamento spirituale profondo13 .

E chi vuole aiutare l’Africa oggi, invece di continuare a versare somme


importanti di denaro, di concedere prestiti, i cui interessi aumentano sem-
pre di più il debito di questi Paesi, mentre quel denaro è finito nelle tasche
di alcuni, dovrebbe sostenere processi di democrazia che hanno per fine
quello di garantire un vero sistema autonomo di rappresentanza dei popoli,
capace di gestire con efficacia e secondo i dovuti controlli i beni di ogni Stato
per il bene comune. Si tratta di creare le condizioni capaci di liberare l’attivi-
tà e la creatività delle nuove generazioni per limitare lo scarto, l’alienazione

nuova umanità 228 63


focus. la piaga della corruzione
E se la corruzione fosse la radice di tutti i problemi dell’Africa?

e l’esclusione dei popoli africani in un mondo che avanza altrimenti contro


di loro14. Questa nuova visione di un’Africa aperta al pluralismo delle idee,
alle iniziative innovatrici, all’intelligenza e alla fede costituirà la via di uscita
da questa cancrena che è la corruzione, per la capacità di condurre l’uo-
mo africano ad affrontare con determinazione le sfide del suo inserimento
nell’ordine mondiale di oggi.
È un compito che riguarda tutti e in modo particolare chi si dice seguace
di Cristo. Non è superfluo ricordare, per concludere, l’invito di Benedetto
XVI rivolto ai cristiani africani in occasione della pubblicazione dell’esor-
tazione apostolica postsinodale Africae munus, a Ouidah in Benin nel no-
vembre 2011, un invito a testimoniare Cristo nel mondo nel loro impegno
quotidiano, cioè anche nel darsi da fare per migliorare le condizioni di vita
della propria gente15.

1
Cf. Transparency International, CPI 2016 Ranking.
2
Cf. ibid.
3
Ibid.
4
Cf. AA.VV., La corruzione fra teoria economica, normativa internazionale, modelli
d’organizzazione d’impresa, in «I quaderni europei», n. 18, 2010.
5
Cf. Autorità Nazionale Anticorruzione, NOi contro la CORRUZIONE, 2014.
6
R. Cantone - F. Caringella, La corruzione spuzza, Mondadori, Milano 2017.
7
Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Africa, 40.
8
Cf. A. Garric, Ces multinationales européennes qui pillent les ressources des pays
du Sud, in «Le Monde», 20 ottobre 2010.
9
Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Africa, 40.
10
Cf. Autorità Nazionale Anticorruzione, NOi contro la CORRUZIONE, cit.
11
Cf. T. Enone Eboh, Il faut un sacrifice pour lutter contre la corruption en Afrique, in
Journées Annuelles sur la Gouvernance en Afrique, 2012–2016.
12
Cf. J. O. Igue, A new generation of leaders in Africa: What issue do they face?, in
«International Development Policy», gennaio 2010.
13
Benedetto XVI, Esortazione apostolica postsinodale Africae munus, 11.
14
Cf. J.A. Mbembe, Les jeunes et l’ordre politique en Afrique noire, L’Harmattan,
Paris 1985.
15
Cf. Benedetto XVI, Esortazione apostolica postsinodale Africae munus, 130
e 131: «Testimoniare Cristo nel mondo mostrando, con l’esempio, che il lavoro può

64 nu 228
raphaël takougang

essere un luogo di realizzazione personale molto positivo, e che non è prima di tutto
un mezzo di profitto [...]. Agendo così, voi sarete “il sale della terra” e “la luce del
mondo”, come ci chiede il Signore [...]. Vorrei anche incoraggiarvi ad avere una pre-
senza attiva e coraggiosa nel mondo della politica, della cultura, delle arti, dei media
e delle diverse associazioni. Che questa presenza sia senza complessi o vergogna,
fiera e consapevole del prezioso contributo che può apportare al bene comune!».

nuova umanità 228 65


dallo scaffale di città nuova

La legalità del noi


di Gianni Bianco / Giuseppe Gatti

Contro la logica della morte che costituisce l’essenza della


criminalità organizzata. Per una cultura della vita, della le-
galità, della libertà. Storie di uomini e donne che ce l’hanno
fatta. Che hanno alzato la testa. Insieme. Perché insieme si
può. Storie come quelle di Ercolano, prima città del Sud in cui
il pizzo è stato dichiarato fuorilegge; grazie al lavoro congiun-
to di cittadini, istituzioni, magistrati, forze dell’ordine. Storie
come quella della Calcestruzzi Ericina di Trapani sulla quale la
mafia aveva messo gli occhi, riscattata dalla cooperativa di ex
dipendenti dell’azienda. Con coraggio e ostinazione. Segno di
una (lenta) rivoluzione per riaffermare da cittadini la cultura
della legalità.
isbn
9788831128438
pagine
184
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DI PROSSIMA USCITA
 
Gianni Bianco-Giuseppe Gatti
ALLE MAFIE DICIAMO NOI
postfazione di don Luigi Ciotti
Le mafie si sconfiggono solo insieme. Storie di legalità al
plurale

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nu 228
scripta manent

Il processo a Verre

Corre l’anno 70 a.C. quando si svolge la causa contro


Verre, di recente titolata: Processo per corruzione1. Il sena-
tore Marco Tullio Cicerone, noto nella sua brillante carriera
Marco forense, sostiene nel processo l’accusa per incarico delle 64
Tullio città della provincia di Sicilia, che si costituiscono “parte ci-
vile”. Domandano difesa e invocano giustizia contro i soprusi
Cicerone e le vessazioni subite ad opera di Gaio Verre, governatore di
Roma nell’isola di Sicilia, nei tre anni precedenti.
Si direbbe una vicenda d’altri tempi, eppure, non manca-
no notazioni a commento della stessa ricostruzione giudizia-
ria, che danno l’impressione di riuscire a fermare l’orologio
del tempo, per riportarne le lancette all’oggi.
L’iter processuale prende l’avvio con il tentativo, messo
in atto per favorire Verre, di prender quanto meno tempo
per poter contare su altri giudici, da nominare di lì a bre-
ve per l’anno a venire, sui quali riuscire a esercitare una
qualche influenza. Così non sarà, e dinanzi alla nomina di
Cicerone come avvocato dell’accusa, lo stesso imputato
cerca di intralciarne il lavoro di preparazione con la rac-
colta di prove e testimonianze, fino a giocare la “carta”,
onde evitare il processo, di un tentativo di corruzione at-
traverso l’offerta di un’ingente somma di denaro. «I tem-
pi – si commenta – erano adusi a soluzioni del genere dal
momento che il denaro era – allora – il valore primario al
quale ogni altro finiva con l’adeguarsi. E lo scambio di favo-
ri e l’esercizio di ricatti erano pratica quotidiana». Al rifiuto
opposto da Cicerone di quanto avrebbe in realtà costituito
il “prezzo” della corruzione, Verre mise in atto un ulterio-
re tentativo: screditarne la reputazione. Del resto, «anche

nuova umanità 228 67


scripta manent
Il processo a Verre

la diffamazione – a quei tempi – era una pratica piuttosto diffusa in politica,


nell’attività giudiziaria e dovunque si volesse togliersi di torno un avversario o
anche semplicemente qualcuno che desse fastidio e si frapponesse in qualche
modo al raggiungimento di un tornaconto».
Di più, si fa ancora notare: «I tempi erano quelli che erano e Roma non
riteneva fosse affar suo indagare sulla liceità dei mezzi che i suoi funzionari
mettevano in atto per riempire l’erario e i granai di frumento. In una società
normalmente dedita alla corruzione era in certa misura tollerato che il do-
ganiere chiudesse un occhio, l’appaltatore delle imposte facesse la cresta, il
governatore si adornasse la casa con regali ricevuti in cambio di favori anche
illeciti».
La legislazione, d’altro canto, non seguiva maggior rigore nell’operato di un
governatore come Gaio Verre: «un decreto per impedire che un appalto venisse
aggiudicato a colui al quale spettava, un editto per fissare tempi di notificazione
di un bando di concorso così brevi da impedire agli interessati di venirne perfino a
conoscenza, un decreto per fissare un termine tanto ravvicinato per la consegna
di un lavoro da escludere la grande maggioranza degli aspiranti dalla possibilità
di aggiudicarselo».
Dinanzi a uno stile di vita corrotto, l’avvocato del foro romano, Cicerone, do-
vrà in un’arringa preliminare far valere anzitutto la sua nomina come “legale” da
parte dei Siciliani, per poi “misurarsi” – già nell’«actio prima» – con l’imputato
eccellente Verre e le molteplici offese da lui realizzate a danno della provincia di
cui era governatore.
Lasciamo ora, quasi idealmente, la parola all’oratore Marco Tullio Cicerone,
avvocato dell’accusa.

Forse qualcuno di voi, giudici, o del pubblico qui presente si stupisce che
io, per tanti anni impegnato in cause civili e in processi penali a difendere
molti senza danneggiare nessuno, ora a un tratto, mutato proposito, mi ab-
bassi ad accusare.
[...]
Dopo che fui questore in Sicilia, giudici, partii da quella provincia lascian-
do a tutti i Siciliani un gradito e durevole ricordo della mia questura e della
mia persona.

68 nu 228
marco tullio cicerone

[...]
Ora, vittime di devastazioni e vessazioni, essi mi inviarono tutti quanti
deputazioni ufficiali per sollecitarmi ad assumere la causa in difesa dei loro
interessi.
[...]
Era venuto il momento, dicevano, non già di difendere i loro interessi, ma
la vita e la salvezza dell’intera provincia: ormai nelle loro città non avevano
neppure gli dèi in cui cercare rifugio, perché Gaio Verre aveva portato via le
loro sacre effigie dai santuari venerati.
[...]
Giudici, il senso del dovere, la lealtà, la compassione, l’esempio di mol-
ti uomini dabbene, l’antica consuetudine e la tradizione istituita dai nostri
antenati mi indussero a sentirmi obbligato ad assumere l’onere di questa
fatica, di questo dovere, nell’interesse non mio ma dei miei clienti.
In questo affare, giudici, c’è tuttavia una cosa che mi consola: questa
che sembra un’accusa si deve considerare non tanto un’accusa ma piuttosto
una difesa. Difendo infatti molti uomini, molte città, la Sicilia intera. Perciò,
dato che devo accusare una sola persona, mi sembra quasi di restare fedele
alla norma di condotta che mi sono prefissa e non discostarmi affatto dal
difendere e aiutare la gente.
[...]
In questi abusi sfrenati di uomini scellerati, nella lamentela quotidiana
del popolo romano, nell’ignominia del sistema giudiziario, nel discredito
dell’intera classe senatoria, ritengo che questo sia l’unico rimedio a così tan-
ti mali: uomini capaci e onesti abbraccino la causa dello Stato e delle leggi.
Per conto mio dichiaro che nell’interesse di tutti mi sono accostato alla parte
più sofferente dello Stato bisognoso di cure2.
[...]
Ora ecco che cosa ha in mente quest’uomo pieno di audacia e del
tutto insensato. Capisce che io mi presento al processo così preparato
e fornito di prove che riuscirò a fissare non solo nelle vostre orecchie
ma negli occhi di tutti i suoi furti e le sue scelleratezze. Vede che sono
testimoni della sua audacia molti senatori, molti cavalieri romani, inoltre
gran numero di cittadini e alleati a cui ha fatto rilevanti ingiustizie; vede

nuova umanità 228 69


scripta manent
Il processo a Verre

anche che sono convenute tante delegazioni così importanti inviate da


città molto amiche e munite di pubbliche credenziali. Nonostante que-
sta situazione, fino a tal punto ha cattiva stima delle persone perbene,
fino a tal punto ritiene screditata e corrotta l’amministrazione giudiziaria
gestita dai senatori, che va ripetendo apertamente: non senza motivo è
stato avido di denaro, perché sta sperimentando che nel denaro c’è un
sostegno così importante; egli, e questo è stato il punto più difficile, ha
comprato perfino la data del suo processo, per poter poi comprare più
facilmente tutto il resto.
[...]
Sotto il suo governo i Siciliani non mantennero né le proprie leggi né
i nostri decreti senatoriali né i diritti umani: in Sicilia ciascuno possiede
soltanto quanto o sfuggì alla sconsideratezza o sopravanzò alla sazie-
tà di quest’uomo avido e dissoluto oltre ogni dire. Per tre anni nessuna
sentenza fu pronunciata se non secondo il cenno di costui, nessuna pro-
prietà fu per alcuno tanto sicura per provenienza paterna o avita che non
gli fosse tolta per ordine di costui. Somme incalcolabili di denaro furono
estorte dai beni dei coltivatori con innovazioni scellerate del sistema fi-
scale.
[...]
Appena ritornò dalla provincia, fu messa in appalto la corruzione di
questo processo con grande disponibilità di denaro. Stette alle condizioni
dell’accordo fino al momento in cui furono selezionati i giudici; dopo che fu
fatta la selezione dei giudici, poiché nel sorteggio la fortuna del popolo ro-
mano aveva infranto la speranza di costui e nella selezione dei giudici la mia
diligenza aveva vinto la sfrontatezza di costoro, l’accordo fu sciolto del tutto.
[...]
Avverto, preannuncio, dichiaro in precedenza: coloro che hanno l’abitu-
dine di depositare denaro, accettarne, darne garanzia, prometterlo, essere
depositari o negoziatori di contratti per la corruzione di un processo e coloro
che a questo riguardo hanno pubblicamente manifestato la loro potenza o
la loro impudenza si astengano in questo processo sia nell’azione sia nelle
intenzioni da tale crimine nefando.
[...]

70 nu 228
marco tullio cicerone

E ora con quali parole dovrei deplorare quell’obbrobrio, quell’infamia,


quel disastro che coinvolse tutta quanta la classe senatoriale? È accaduto in
questa città, quando il potere giudiziario era affidato alla classe dei senatori:
furono contraddistinti con segni di colore diverso i voti di giudici vincolati da
giuramento! Tutti questi fatti saranno esposti da me con diligenza e severi-
tà: ve lo prometto.
Quale credete che sarà il mio stato d’animo se capirò che qualche tra-
sgressione o colpa è stata commessa con qualche sistema analogo pro-
prio in questo processo? Tanto più che posso provare con molti testimoni
che Gaio Verre in Sicilia fece spesso le seguenti dichiarazioni alla presenza
di molte persone: aveva un uomo potente e confidando in lui saccheggiava
la provincia; non cercava denaro soltanto per sé, ma per quel triennio di
governo della Sicilia aveva un programma tale per cui, diceva, gli andava
benissimo se riusciva a trasferire nel proprio patrimonio il profitto del pri-
mo anno, a consegnare ai suoi avvocati difensori quello del secondo e a
riservare per i giudici tutto il terzo anno, che era stato il più abbondante e
redditizio.
[...]
Ora la gente sta all’erta: sorvegliano in qual modo si comporta ciascuno
di noi nel rispettare gli obblighi e nell’osservare le leggi, considerano che fi-
nora, dopo l’approvazione della legge sui tribuni, è stato condannato un solo
senatore, e per lo più molto povero; anche se non biasimano tale condanna,
non hanno tuttavia gran che da lodare, poiché non c’è merito a essere onesti
dove non c’è nessuno che possa o tenti di corrompere. Questo è il processo
in cui voi giudicherete l’imputato, il popolo romano giudicherà voi3.

1
P. Gazzara, Processo per corruzione da Le Verrine di Cicerone, prefazione di S.
Zavoli, manifestolibri, Roma 2006, una rielaborazione e “attualizzazione” del pro-
cesso contro Gaio Verre, governatore di Roma, da cui si traggono alcune citazioni:
rispettivamente, pp. 17ss.; 30ss.; 31-32; 157 e 88-89.
2
Brani tratti da M.T. Cicerone, Il processo di Verre, introduzione e premesse al
testo di N. Marinone, traduzione e note di L. Fiocchi - N. Marinone, vol. I, Rizzoli, Mi-
lano 1992, pp. 73; 75; 79 (In Quintum Caecilium divinatio). L’opera di Cicerone, nella

nuova umanità 228 71


scripta manent
Il processo a Verre

sua denominazione originaria, reca In Quintum Caecilium divinatio; In Gaium Verrem


actio prima; In Gaium Verrem actio secunda, Libri I-II.
3
Brani tratti da M.T. Cicerone, Il processo di Verre, cit., pp. 139; 141; 145; 147; 149;
167; 171; 177 (In Gaium Verrem actio prima).

72 nu 228
parole chiave

Legalità

Il principio di legalità si afferma dopo la Rivoluzio-


ne francese del 1789. Sorge come risposta al potere e
all’oppressione dell’Ancien Régime dove il magistrato,
Chiara funzionario del re, diceva la legge, e la legge promanava
D’Alfonso dal re.
Proprio in risposta agli arbìtri del potere giurisdizio-
cultrice della nale, viene attribuito al legislatore, rappresentante del
materia in diritto popolo, il potere di tradurre i princìpi naturali in disposi-
processuale zioni legislative riconoscendo certezza allo strumento-
civile. avvocato.
legge.
magistrato
ordinario con La legalità diviene oggetto e fine dell’operare, de-
funzioni di giudice terminando schemi di azione (legalità indirizzo) e fis-
delegato presso sando l’obiettivo dell’azione stessa dell’operatore (le-
il tribunale galità garanzia).
di fermo.

legalità indirizzo

La garanzia dell’iter legislativo è assicurata dalla Car-


ta costituzionale, all’articolo 25.
Infatti i padri costituenti hanno voluto affidare ad un
potere rappresentativo la determinazione di tutti quei
comportamenti penalmente rilevanti in quanto fuori
dello schema legale e la determinazione delle rispettive
sanzioni. Il medesimo principio è mutuato all’interno del
codice penale all’articolo 11.
Ma il principio in parola verrebbe di fatto vanificato
se non fossero posti all’interprete dei limiti al potere di
applicazione delle norme e criteri di interpretazione del-
le stesse2.

nuova umanità 228 73


parole chiave
Legalità

Di qui il principio di tassatività che vige nel sistema penale secondo il


quale, quando non risulti con precisione che un comportamento sia colpito
da una determinata norma incriminatrice, va esclusa l’incriminabilità della
condotta.
Il principio di legalità regola anche i rapporti tra privati negli atti che
esprimono l’autonomia negoziale, veicolando nel contratto i propri interessi.
Il nostro ordinamento riconosce valore all’autonomia negoziale se
espressa nel rispetto della legge e per la regolamentazione di interessi meri-
tevoli di tutela3. Talvolta tali interessi vengono espressi dalle parti all’interno
del negozio, talaltra, e più spesso, ciò non accade e nell’ipotesi di patologia
del rapporto negoziale sarà il giudice a dover verificare, proprio per il tramite
degli strumenti interpretativi fissati dal legislatore, il fine che le parti si erano
fissate al momento della conclusione del contratto attribuendo al negozio
una causa lecita (artt. 1325 e 1343 cc.) e un oggetto lecito possibile, deter-
minato e determinabile (art. 1346 c.c.).
La sanzione che il legislatore riconosce in ipotesi di conclusione di con-
tratto contrario a norme imperative è la nullità4.
Nell’interpretazione del negozio concluso tra le parti il giudice, ma ancor
prima l’interprete (per esempio contratti che hanno effetti nei confronti di
terzi non parti originarie), deve cercare di ricostruire la volontà delle parti,
anche valutando il contegno assunto dai contraenti prima e dopo la conclu-
sione del contratto (art. 1362 c.c. e seguenti).
La legalità segna il limite esterno dell’autonomia negoziale. Al legislatore
come al giudice non è consentito di inserirsi nell’autonomia negoziale se non
all’unico scopo di ristabilire l’ordine legale del sinallagma5.
Il principio di legalità regola anche l’attività amministrativa (art. 1 legge
241/1990) così come l’organizzazione degli uffici (art. 97 Cost.) conseguen-
done il riconoscimento della tutela gerarchica e giurisdizionale in ipotesi di
violazione6.

legalità garanzia

Ma la legalità fissa anche un limite interno all’operato dei privati e dei


soggetti pubblici.

74 nu 228
chiara d’alfonso

Infatti anche un negozio concluso nel rispetto delle norme imperative


può, nel suo concreto atteggiarsi, risultare non conforme all’ordinamento
giuridico7. È il fine perseguito o le modalità di utilizzo degli strumenti messi
a disposizione dall’ordinamento che rendono il comportamento suscettibile
di sanzione da parte dell’ordinamento.
Anche il sinallagma per eccellenza, il contratto/patto, piuttosto che per-
seguire fini leciti e meritevoli di tutela può essere strumento per il persegui-
mento di scopi illeciti8.
Così l’equilibrio dall’asse del conforme si sposta su quello dell’illecito
con l’effetto che nel contesto sociale risulta quello lo schema tipico/lega-
le/giusto.
Proprio al fine di arginare tali fenomeni il nostro legislatore ha introdotto
specifiche fattispecie penali9.
Da ultimo, ne è esempio l’articolo 2635 c.c. modificato con d.lgs 38/2017
che a seguito della decisione-quadro 2003/568/Gai ha riscritto il reato di
corruzione tra privati10.
In questa fattispecie viene incriminata l’esecuzione di atti contrari al do-
vere del proprio ufficio (corruzione propria) da parte di soggetti11 che nella
struttura organizzativa della società di capitali o dell’ente esercitano fun-
zioni direttive, anche diverse da quelle esercitate dai soggetti tradizionali. Il
contegno incriminato è la dazione di denaro o altra utilità per conseguire un
atto/omissione contrari ai doveri di ufficio12.
Nelle aule di giustizia spesso assistiamo a dichiarazioni di fallimento
“studiate a tavolino”: società prive di documentazione contabile nel triennio
anteriore all’istanza del creditore, bilanci sociali in perdita senza convoca-
zione di assemblea per lo scioglimento e la messa in liquidazione13, rimborsi
effettuati in favore dei soci in un periodo in cui la società già si trovava in
stato di decozione14.
Talvolta il ruolo del giudice risulta inadeguato e già tardivo il suo inter-
vento. Non rimane che spendere ogni risorsa nella fase successiva alla di-
chiarazione di fallimento, avviando azioni giudiziarie per il riconoscimento
delle responsabilità sociali oppure per il recupero delle somme illegittima-
mente versate, al fine di distribuire l’attivo così realizzato in favore dei cre-
ditori legittimi.

nuova umanità 228 75


parole chiave
Legalità

Quando invece l’imprenditore fa ricorso decide di regolare in modo al-


ternativo la crisi d’impresa (concordati preventivi, accordi da sovraindebita-
mento15), consente al Tribunale di svolgere un ruolo di prevenzione indiriz-
zando la crisi, verificando l’effettiva possibilità di prosecuzione dell’attività,
sorvegliando la continuità, distribuendo secondo il principio di graduazione
dei crediti l’attivo realizzato affinché non prevalga l’interesse personale a
discapito della collettività sociale e l’imprenditore possa ottenere le risorse
necessarie per proseguire la sua attività nella legalità.

1
Gli articoli 1 c.p. e 11 preleggi regolano anche il divieto di applicazione retro-
attiva della norma penale, tutelando la conoscenza della norma penale da parte del
cittadino che potrà essere punito solo in forza di una norma penale entrata in vigore
prima del fatto commesso.
2
Artt. 12 e 14 preleggi che fissano il principio di interpretazione letterale e ana-
logica con esclusione dell’analogia per le leggi penali ed eccezionali.
3
Parametro per i contratti misti e atipici che, non essendo espressamente di-
sciplinati dal codice civile, vengono sottoposti al vaglio di legittimità e meritevolez-
za di cui all’articolo 1322 c.c.
4
Sanzione che trova temperamento nel principio di conservazione: artt. 1367
c.c e 1424 c.c.
5
Cf., per esempio, l’articolo 1339 c.c. che disciplina l’introduzione automatica
di clausole legali. Talvolta al termine legalità il nostro legislatore sostituisce quello
di buona fede o equità, parametro cui affida l’interpretazione del contratto e i suoi
effetti (artt. 1450 c.c. e 1384 c.c.).
6
Legge 5992/1889 istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato art. 3 e
legge 1034/1971 istitutiva dei Tar.
7
Cf. in Enciclopedia Treccani la voce “elusione fiscale”: «Comportamento del
contribuente che, pur rispettoso della lettera della normativa tributaria, tende a evi-
tare il pagamento dell’imposta con costruzioni negoziali il cui solo scopo è quello di
sottrarsi all’obbligo fiscale. In molti casi, tuttavia, l’e. non ha niente di condannabile
e si distingue quindi dall’evasione che consiste invece in un illecito occultamento
della materia imponibile. Per contrastare l’e. il legislatore ha agito sia sul piano della
definizione delle fattispecie impositive sia su quello dell’accertamento fiscale. Più in
particolare, nell’ordinamento italiano, la lunga assenza di simili disposizioni è sta-

76 nu 228
chiara d’alfonso

ta colmata dall’art. 10 della l. 408/1990 e quindi dall’attuale art. 37 bis del d.p.r.
600/1973 (introdotto dal d. legisl. 8 358/1997)».
8
Per esempio l’articolo 318 c.p. “corruzione impropria” così recita: «Il pubblico
ufficiale che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve per sé o per un terzo, in de-
naro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa».
9
Per esempio l’articolo 317 c.p. “concussione per induzione” così recita: «In
questo caso entrambe le parti fanno riferimento ad una sorta di convenzione tacita-
mente riconosciuta, richiamandosi le parti a condotte già “codificate” nel qual caso
al giudice è richiesto di accertare il concreto atteggiarsi della volontà del pubblico
ufficiale e del privato cittadino, nonché il rapporto instaurato tra i due soggetti» (cf.
ex multis Cassazione penale, sezione VI, 19 gennaio 1998 n. 5116; Cassazione pena-
le, sezione VI, 13 aprile 2000 n. 11918).
10
Cf. M. Bellacosa, La corruzione privata societaria, in A. Del Vecchio - P. Severino
(edd.), Il contrasto alla corruzione nel diritto interno e nel diritto internazionale, Cedam,
Padova 2014, pp. 11ss.; L. Foffani, Infedeltà patrimoniale e conflitto d’interessi nella
gestione d’impresa. Profili penalistici, Giuffrè, Milano 1997; G. Forti, La corruzione tra
privati nell’orbita di disciplina della corruzione pubblica: un contributo di tematizzazione,
in «Rivista Italiana diritto processuale penale», IV 2003, pp. 1115ss.
11
Il legislatore ha introdotto un reato proprio, che possono commettere ammini-
stratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili
societari, sindaci e liquidatori di società o di enti privati; in tale ultima dizione il le-
gislatore sembra aver voluto ampliare effettivamente il raggio di operatività dell’ar-
ticolo 2635 c.c., riferendolo anche a tutti quei soggetti non necessariamente dotati
di personalità giuridica, anche non svolgenti attività di tipo economico. Potrebbero
quindi rientrare tra i soggetti attivi gli amministratori di onlus, delle organizzazioni
no profit e finanche, ad esempio, gli amministratori dei condomini, gli organi di ver-
tice di una fondazione oppure di un partito politico.
12
Nell’ultima formulazione la fattispecie si caratterizza come reato di pericolo
non essendo più necessario che venga fornita la prova del nocumento generato in
capo alla società.
13
In violazione dell’articolo 2484 c.c.
14
In violazione del principio di postergazione di cui all’articolo 2467 c.c.
15
Artt. 160ss. RD 16 marzo 1942 n. 267 e l. 3/2012. Con la legge 19 ottobre 2017
n. 155 è stata conferita delega al Governo per il riordino della legge fallimentare e
della disciplina della crisi d’impresa; si prevede l’emanazione di un decreto delegato
che disciplini sia la crisi che l’insolvenza privilegiando le proposte volte ad assicura-
re per le imprese la continuità aziendale, ricorrendo alla liquidazione giudiziale solo
in ipotesi di mancanza di idonea soluzione alternativa.

nuova umanità 228 77


dallo scaffale di città nuova

Per questa selva oscura


la teologia poetica di Dante
di Giulio d’Onofrio

Una nuova chiave interpretativa della Commedia


che individua nella sapienza monastica
altomedioevale una fonte filosofico-teologica
rilevante.

Un’indagine originale e appassionante rivela, in una pagina


scritta nel secolo XI dall’esegeta biblico Bruno di Segni, la
fonte che suggerisce a Dante l’immagine della «selva oscu-
ra» che apre la Com­media. Tale scoperta si trasforma in una
nuova chiave interpretativa per comprendere il complesso si-
gnificato di un canovaccio di allegorie e spunti dottrinali che
isbn si intrecciano e maturano lungo l’intera produzione del poe­ta.
9788831115537 Si scopre così che le fonti filosofico-teologiche di Dante non
sono solo i classici antichi o i maestri della Scolastica, ma che
pagine il suo pensiero si è alimentato anche alla ricca tradizione di sa-
512 pienza monastica dell’Al­to Medioevo, dominata dal principio
prezzo unificante della caritas e da un gene­ralizzato esemplarismo di
euro 46,00 matrice agostiniano-platonizzante. Grazie a tale poliedrica e
nascosta sorgente culturale si accende nel poeta la coscien-
za dell’alta missione teoretica ed etica che gli è stata affidata:
insegnare con efficacia agli uomini come seguire la «via dirit-
ta» che li riconduce agli archetipi ideali, al perfezionamento
virtuoso della propria natura (ovvero all’attuazione della loro
entelechia) e al conseguimento della felicità.

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nu 228
punti cardinali

Duhem e le origini
cristiane della scienza

introduzione
Alessandro
Nella cultura contemporanea è presente un diffu-
Giostra so pregiudizio concernente una presunta opposizione
stanley jaki tra scienza e teologia cristiana. Tra i fattori che hanno
society. contribuito ad alimentare questo preconcetto vi è, per
insegnante esempio, il richiamo alla cautela nelle applicazioni tec-
di filosofia e nologiche, continuamente espresso dal mondo catto-
storia presso il
liceo scientifico
lico. A ciò si aggiungano alcuni episodi storici, spesso
“a. orsini” di male interpretati, come la condanna di Galileo Galilei
ascoli piceno. (1564-1642). Altri eventi hanno incentivato tale errata
interpretazione, come le critiche mosse al darwinismo
dai teologi creazionisti e alcune forzate, e non scientifi-
che, interpretazioni della teoria di Darwin (1809-1882)
che ignorano il carattere storico, e pertanto non con-
trario all’idea di evoluzione, del rapporto tra Creatore e
crea­tura nella teologia cristiana1. La realtà storica, inve-
ce, presenta un quadro del tutto diverso della situazione.
Nonostante vi sia una diversità nel metodo e nei conte-
nuti di queste due discipline, un’attenta lettura dei testi
dei protagonisti della Rivoluzione scientifica rivela il ruo-
lo essenziale del principio cristiano di creazione dal nulla
per l’emergere delle scienze esatte. L’idea di un universo
modellato secondo archetipi matematici di origine divi-
na e l’idea di un uomo, fatto ad immagine e somiglianza
di Dio, che con la sua ricerca si rende partecipe del pro-
getto del Creatore sono state al centro della concezione

nuova umanità 228 79


punti cardinali
Duhem e le origini cristiane della scienza

di quegli autori che hanno avviato la scienza moderna, intesa come discipli-
na volta alla quantificazione della realtà. La nascita della storia della scienza
come disciplina specifica, inoltre, avvenuta a partire dagli inizi del secolo
passato, ha dimostrato che il pensiero scientifico non ha avuto origine dal
nulla. L’affermazione delle scienze esatte è consistita nel graduale distacco
dalla visione finalistica e qualitativa della realtà naturale, tipica dell’imposta-
zione aristotelica, e nel progressivo raggiungimento della concezione quan-
titativa dell’universo. Tale percorso è iniziato nella tarda scolastica, quando
la filosofia della natura ha intrapreso quel cammino verso la quantificazione
dei fenomeni che è culminato, dopo circa tre secoli e mezzo, nell’opera di
Isaac Newton (1642-1727).
In tale ambito della ricerca si colloca l’opera di Pierre Duhem (1861-
1916). Famoso scienziato nel campo fisico-chimico, Duhem è passato alla
storia per la sua visione epistemologica e per essere riuscito a stabilire il
collegamento tra la filosofia naturale della scolastica cristiana e la scien-
za moderna. In occasione del primo centenario della sua morte si è voluto
ricordare questo personaggio, come una pietra miliare dell’epistemologia
contemporanea.

un conflitto insanabile?

L’opinione sostenente l’inconciliabilità tra scienza e dottrina cristiana ha


origine nel pensiero illuminista, secondo cui la ragione scientifica sarebbe
in grado di liberare la mente dal dogmatismo religioso e di concepire, even-
tualmente, la presenza di Dio solo come un “orologiaio” del mondo. Alcuni
autori di questa corrente sono approdati a un meccanicismo radicale, pro-
prio per negare l’esistenza stessa di Dio. In tale ottica, la Rivoluzione scien-
tifica rappresenterebbe uno stadio essenziale del cammino di liberazione
dell’umanità dal presunto oscurantismo teologico. Il dominio della dimen-
sione teologica e la conseguente mancanza di una visione empirica avreb-
bero impedito nel Medioevo la nascita della scienza2.
Questa linea di pensiero si è poi rafforzata nel XIX secolo, a causa so-
prattutto della crescente specializzazione della ricerca scientifica che ha

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alessandro giostra

alimentato la convinzione di una sua indipendenza da ogni altra forma di


sapere3. Il Positivismo ha giocato un ruolo essenziale in tale processo. Al
suo interno, nella varietà delle posizioni espresse, possono essere rinvenute
alcune visioni comuni, come lo sviluppo lineare della scienza e la dipenden-
za del progresso dall’adozione del metodo scientifico. La legge dei tre stadi
di Comte (1798-1857) che definisce la storia dell’umanità come il passaggio
da uno stadio teologico a uno scientifico, attraverso quello metafisico, è una
di quelle concezioni che hanno acuito l’idea di un distacco totale tra scienza
e teologia. Secondo questa teoria, i protagonisti della Rivoluzione scientifica
sarebbero stati gli iniziatori di quel percorso che avrebbe poi condotto alla
fase positiva, nella quale il trionfo della scienza avrebbe avviato il genere
umano verso la sua piena realizzazione. Il culmine della scienza, pertanto,
comporterebbe la piena separazione da ogni prospettiva teologica. L’unico
merito che Comte riconosce alla cultura medievale è quello di aver dato vita
a un clima di vivace fermento culturale, che avrebbe creato il contesto adat-
to per lo sviluppo successivo della Rivoluzione scientifica stessa4.
La prospettiva empirico-strumentale è stata tipica anche dell’imposta-
zione marxista che ha rapportato lo sviluppo scientifico ai modelli della pro-
duzione nelle varie epoche. Marx (1818-1883) ha precisato che la cultura
medievale, la cui tipologia di produzione è simboleggiata dal mulino, è quel-
la dei filosofi scolastici che hanno legittimato la posizione dei signori feudali
e delle gerarchie ecclesiastiche:

I rapporti sociali sono intimamente connessi alle forze produttive.


Impadronendosi di nuove forze produttive, gli uomini cambiano il
loro modo di produzione e, cambiando il modo di produzione, la
maniera di guadagnarsi la vita, cambiano tutti i loro rapporti sociali.
Il mulino a braccia vi darà la società col signore feudale, e il mulino
a vapore la società col capitalista industriale5.

La stessa impostazione si ritrova in Engels (1820-1895), secondo cui


un’esigenza tecnologica della società aiuta la scienza più di quanto riesca a
fare il mondo accademico:

nuova umanità 228 81


punti cardinali
Duhem e le origini cristiane della scienza

Se è vero, come Lei dice, che la tecnica dipende in massima parte


dallo stato della scienza, a maggior ragione questa dipende dal-
lo stato e dalle esigenze della tecnica. Quando la società ha un’esi-
genza di natura tecnica, ciò favorisce lo sviluppo della scienza più
di dieci università6.

filosofia naturale e scienza del movimento

La tesi della frattura tra scienza e teologia entra in crisi con le ricerche
del XX secolo, durante il quale si pone attenzione al dogma cristiano della
creazione dal nulla come un fondamento essenziale per l’avvio dell’impre-
sa scientifica. Per il filosofo inglese A.N. Whitehead (1861-1947), la scienza
moderna è fondata sul principio, di origine medievale, di un universo ordina-
to, in quanto opera di una volontà divina razionale7. Durante il Medioevo è
maturato quel contesto, adatto all’inizio di una svolta scientifica, caratteriz-
zato dalla traduzione in latino dei testi greci ed arabi. A ciò si aggiungano lo
sviluppo delle università e la conseguente fioritura di molti grandi pensatori.
In seguito alla riscoperta e alla traduzione delle opere di Aristotele, di To-
lomeo e degli altri classici della scienza greca, infatti, nel periodo medie-
vale i corsi accademici di filosofia naturale sono stati incrementati. In tale
contesto, mentre la generale concezione aristotelica dell’universo è rimasta
quella dominante, la ricerca naturale ha iniziato a proporre alcune modifiche
essenziali.
Nel periodo medievale, dunque, le prime novità relative al moto dei corpi
sono state escogitate a partire da argomenti teologici. Nella distinctio 17 del
libro I delle Sentenze8, Pietro Lombardo (ca. 1100-1160) affronta un aspetto
propriamente teologico, chiedendosi se lo Spirito Santo possa accrescere
la propria presenza in una persona. Secondo la teologia cristiana, non può
certo dirsi che lo Spirito divino sia soggetto a una variazione di quantità, ma
l’uomo può possederne più o meno in base all’intensità della sua partecipa-
zione ad esso. L’argomentazione delle Sentenze è stata poi ripresa da Duns
Scoto (1266-1308), secondo cui ogni qualità in una persona può aumentare
o diminuire, introducendo così il concetto di intensione e remissione del-

82 nu 228
alessandro giostra

le qualità (forme)9. Da questa posizione scotista si è sviluppata l’attenzio-


ne nei confronti degli aspetti matematici del cambiamento qualitativo che
porterà, nei primi decenni del XIV secolo, i famosi calculatores del Merton
College di Oxford ad applicare il concetto di intensione e remissione delle
forme alla teoria del moto locale che, nel pensiero di Aristotele, è presentata
in maniera qualitativa.

Come si supponeva che una successione di forme di diversa in-


tensità spiegasse l’aumento continuo o la continua diminuzione
dell’intensità di una qualità, così il succedersi delle nuove posizioni
assunte da un corpo in movimento fu vista come una successione
di forme che rappresentavano nuovi gradi di intensità di quel mo-
vimento […]. Nei successivi trecento anni, dal XIV al XVI secolo,
l’analogia tra qualità variabili e velocità diventò una caratteristica
permanente dei trattati sull’intensione e remissione delle forme e
delle qualità10.

I successivi risultati ottenuti nel XIV secolo hanno avuto un impatto no-
tevole per la nascita del pensiero scientifico. Tra queste acquisizioni vi sono
i concetti di velocità uniforme e movimento uniformemente accelerato, «de-
finizioni che più tardi Galileo impiegò senza apportarvi alcun miglioramen-
to»11. I filosofi naturali del tempo, pur usando lunghi ragionamenti al posto
delle formule matematiche moderne, sono riusciti a escogitare teorie della
massima rilevanza. Thomas Bradwardine (ca. 1290-1349) e Alberto di Sas-
sonia (ca. 1316-1390), per esempio, hanno conseguito importanti risultati in
merito alla velocità dei corpi in caduta libera. Secondo questi pensatori, due
corpi dello stesso materiale, ma di diverso peso, cadono nel vuoto con la
stessa velocità e questa teoria si oppone a quella aristotelica che sostiene la
diretta proporzionalità tra il peso di un corpo e la sua velocità di caduta, poi-
ché, secondo lo stagirita, la finalità in esso insita coinciderebbe proprio con
il peso12. Anche se non si sa con certezza se Galilei abbia conosciuto queste
teorie13, questi studi medievali attestano che alcune conquiste fondamentali
della fisica moderna sono partite dalle riflessioni di alcuni studiosi che han-
no operato alla fine della Scolastica.

nuova umanità 228 83


punti cardinali
Duhem e le origini cristiane della scienza

la svolta decisiva

Nel campo della storia della scienza, l’attività di Duhem si è concretizza-


ta con diverse opere, tra le quali spicca Le système du monde14 . Si tratta di un
lavoro straordinario, basato su un accurato studio delle fonti. Le sopracitate
e altre innovazioni dell’era medievale, infatti, sono contenute in dettaglio
proprio in questa magistrale ricerca. Duhem non nega gli elementi di novità
presenti nelle opere di Galilei e degli altri scienziati moderni, ma dimostra
che i princìpi e le scoperte che hanno caratterizzato la Rivoluzione scientifi-
ca hanno avuto degli antecedenti nel periodo della tarda Scolastica:

Il pisano è arrivato al momento opportuno […] antiche idee han-


no atteso un genio matematico che mettesse in piena luce le verità
presenti in esse e lanciasse la scienza della meccanica dei tempi
moderni. Galileo è stato quel matematico15.

Ciò che Duhem individua è una linea evolutiva nel percorso storico della
scienza. Il passo che segue esplicita la posizione duhemiana ed è possibile
rinvenire in queste parole una notevole affinità con i concetti di adattamento
del paradigma, cumulo delle anomalie e incompatibilità del nuovo paradig-
ma con quello precedente, tipici del pensiero di Thomas Kuhn (1922-1996)16.

Per quanto riguarda la demolizione della fisica aristotelica non si


è trattato di un processo improvviso; la costruzione della fisica
moderna non è avvenuta su un terreno nel quale nulla è rimasto in
piedi. Il passaggio da una visione all’altra è avvenuto grazie a una
lunga sequenza di trasformazioni parziali […] senza cambiare nul-
la dell’insieme. Ma quando tutte queste modificazioni nei dettagli
sono state apportate, la mente umana ha colto […] che nulla è ri-
masto dell’edificio precedente e che al suo posto un altro edificio
è stato eretto17.

Fin dai primi secoli del cristianesimo, inoltre, i pensatori cristiani hanno
respinto alcuni presupposti del pensiero di origine greca, creando così le
condizioni per la nascita della scienza:

84 nu 228
alessandro giostra

In nome della dottrina cristiana, i Padri della Chiesa hanno attacca-


to i filosofi pagani su princìpi che oggi crediamo appartengano più
alla metafisica che alla fisica […] come la teoria dell’eternità della
materia prima, il dominio degli astri sulle cose sublunari, la vita cicli-
ca dell’universo legata al ritmo del Grande Anno. Distruggendo con
questi attacchi le cosmologie di Peripatetici, Stoici e Neoplatonici, i
Padri della Chiesa hanno spianato il terreno alla scienza moderna18.

Oltre agli aspetti sopra esposti, secondo Duhem l’istanza più eviden-
te della continuità tra Medioevo ed epoca moderna consiste nella teoria
dell’impetus di Buridano (XIV sec.), cioè la prima formulazione del principio
di inerzia. Tra le diverse formulazioni dell’impetus, la più significativa è quella
del commento al De coelo di Aristotele:

Uno perciò potrebbe immaginarsi che non è necessario ammette-


re le intelligenze motrici dei corpi celesti, anche perché nella Sacra
Scrittura non è detto che vadano ammesse. Infatti si potrebbe dire
che quando Dio creò le sfere celesti, egli iniziò a muovere a pia-
cimento ciascuna di esse; pertanto esse sono mosse ancora dallo
slancio che Dio diede loro, dato che quello slancio non si distrugge,
né diminuisce, poiché le sfere non hanno resistenza19.

La teoria dell’impetus (slancio) ancora riflette qualcosa della filosofia tra-


dizionale; per esempio, il principio di un moto eterno come conseguenza
dell’assenza di attrito nella zona celeste, legato al presupposto aristotelico
della sua perfezione. Anche il riferimento all’inclinazione dei corpi in moto,
dipendente dalla loro finalità, evidenzia un legame con i princìpi del pensie-
ro aristotelico. La teoria dell’impetus, inoltre, afferma la natura inerziale del
moto circolare; Buridano non ha avuto a disposizione cognizioni adeguate
per evitare questo tipo di errore. Ma l’impetus contiene anche importanti
spunti di innovazione. La natura, dopo aver ricevuto la sua esistenza da Dio,
non ha bisogno di ulteriore supporto divino, a parte quel legame fondan-
te tra Dio e le creature, con cui la persona divina mantiene in esistenza le
creature. Viene così ammessa la presenza di una natura governata da leggi
autonome, stabilite da Dio al momento della creazione, in opposizione alla

nuova umanità 228 85


punti cardinali
Duhem e le origini cristiane della scienza

visione di un universo animato da forze divine. Buridano esclude anche che


il moto dei cieli sia dovuto alle intelligenze celesti, una soluzione spesso ac-
cettata per conciliare il cosmo aristotelico con la dottrina cristiana. La teoria
dell’impetus, pertanto, rivela il suo chiaro fondamento teologico poiché im-
plica il dogma della creazione dal nulla, contro le visioni incentrate sulla divi-
nità e sull’eternità dei cieli. Si tratta di quei capisaldi della cosmologia aristo-
telico-averroista che, insieme ad altri princìpi dell’aristotelismo, sono stati
condannati a Parigi nel 1277. Queste sono le motivazioni che hanno indotto
Duhem a vedere quella condanna come un evento essenziale per la svolta
scientifica, tanto che uno degli scopi principali del suo lavoro «è quello di
giustificare tale asserzione»20. In quell’occasione il vescovo di Parigi, Etienne
Tempier (+ 1279), ha condannato 219 proposizioni provenienti dalla filosofia
aristotelico-averroista e contrastanti con i princìpi del cristianesimo.
Questo avvenimento storico, pertanto, per Duhem ha provocato un
cambiamento di indirizzo nella concezione della filosofia della natura. An-
che se in questa sede è stata riportata soltanto la formulazione più nota del-
la teoria dell’impetus, nel pensiero di Buridano l’impetus stesso è il principio
alla base di ogni tipo di movimento nell’universo, sia nei cieli che nella zona
elementare. In altre parole, anche i corpi in caduta libera e quelli che Aristo-
tele aveva definito come moti violenti, vengono spiegati dal filosofo francese
con il concetto di impetus. Inizia, in questo modo, il cammino verso la defini-
tiva unificazione dei fenomeni terrestri e celesti, che culminerà con l’opera
di Newton, con la quale la divisione tra terra e cielo, tipica dell’impostazione
aristotelica, è stata del tutto abbandonata. Duhem ha evidenziato come i
modelli della meccanica medievale, passando poi attraverso il lavoro di stu-
diosi successivi, siano confluiti negli studi condotti da Galilei. Ecco come, in
una lettera al filosofo Bulliot (1817-1902), Duhem illustra apertamente la sua
idea relativa all’origine cristiana della scienza:

Dalla sua nascita la scienza ellenica è tutta impregnata di teologia,


ma di una teologia pagana che insegna che i cieli e gli astri sono
degli dei, che non possono avere altri movimenti all’infuori del moto
circolare e uniforme che è il movimento perfetto [...]. Ora, questi
ostacoli, chi li ha spezzati? Il Cristianesimo. Chi ha, in primo luogo,
profittato della libertà così conquistata per lanciarsi alla scoperta

86 nu 228
alessandro giostra

di una scienza nuova? La Scolastica. Chi dunque, nel mezzo del XIV
secolo, ha osato dichiarare che i cieli non erano per nulla mossi da
intelligenze divine o angeliche, ma da un impulso indistruttibile ri-
cevuto da Dio al momento della creazione, nello stesso modo in cui
si muove una palla lanciata dal giocatore? Un maestro delle arti di
Parigi: Giovanni Buridano. […] Se dunque questa scienza, di cui noi
siamo così legittimamente fieri, ha potuto vedere la luce, è perché
la Chiesa Cattolica ne è stata la levatrice21.

In un altro brano significativo, Duhem identifica l’opera di Buridano come


il primo passo verso il traguardo della fisica newtoniana:

Buridano ha l’incredibile audacia di dire: i movimenti dei cieli sono


soggetti alle stesse leggi dei corpi sulla terra [...] c’è una sola mec-
canica con la quale sono regolate tutte le cose create; […] forse non
c’è mai stata nell’intero dominio della scienza fisica una rivoluzione
così profonda e fruttuosa. Un giorno Newton scriverà nell’ultima
pagina dei suoi Principia: «con la forza di gravità ho dato una de-
scrizione di tutti i fenomeni che i cieli offrono e che i nostri mari
presentano». In quel giorno Newton annuncerà il pieno sbocciare
di un fiore del quale Buridano ha gettato il seme. Il giorno nel quale
quel seme è stato seminato è, per così dire, il giorno in cui è nata la
scienza moderna22.

conclusioni

L’opera di Duhem è essenziale per comprendere le origini della scienza.


Il suo pensiero ha annullato le concezioni relative al cristianesimo come un
ostacolo allo sviluppo dell’impresa scientifica. Idee come la continuità tra
filosofia naturale del Medioevo e scienza moderna, o la centralità delle isti-
tuzioni e delle concezioni cristiane per lo sviluppo della cultura scientifica
hanno rigettato le tesi positiviste, marxiste o dello scientismo contempora-
neo. Tutti questi orientamenti filosofici, anche se ognuno in modo peculiare,
hanno affermato un netto distacco tra la razionalità scientifica e la cultura
religiosa, nonché il ruolo negativo della teologia cristiana per il sorgere della

nuova umanità 228 87


punti cardinali
Duhem e le origini cristiane della scienza

scienza. In verità, si è visto come elementi dottrinali del cristianesimo, come


la differenza tra Creatore e creatura, abbiano avuto un impatto decisivo per
l’avvento delle scienze esatte.
Qualche idea di Duhem ha suscitato delle perplessità da parte di alcuni
autori successivi. Dei ricercatori, per esempio, hanno riconosciuto il contri-
buto della cultura cristiana per il progresso della scienza, senza aver asse-
gnato la stessa importanza alla condanna del 1277. In ogni caso, Duhem ha
stabilito che il passaggio fondamentale verso la scienza esatta è avvenuto
nel contesto cristiano.
Lo scienziato francese ha lasciato, tuttavia, una questione insoluta: per-
ché la scienza moderna è nata all’interno del contesto cristiano e non in
quello islamico o ebraico? Queste due religioni, infatti, in quanto fondate sul
monoteismo, affermano la dottrina della creazione dal nulla e rigettano ogni
forma di panteismo o vitalismo naturale. La cultura islamica, da parte sua,
ha preceduto quella cristiana nello sviluppo della filosofia naturale, poiché
ha avuto a disposizione i testi greci prima del mondo cristiano. La rispo-
sta a questo interrogativo è stata fornita dal sacerdote e filosofo ungherese
Stanley L. Jaki (1924-2009) che ha individuato nella specificità della cristo-
logia la ragione della nascita della scienza nel pensiero occidentale23.
In definitiva, Duhem ha intravisto nello sviluppo progressivo della scien-
za le tracce di una Provvidenza superiore, che denotano l’impresa scientifi-
ca come dono di Dio all’umanità:

Attraverso i fatti complessi che compongono questo sviluppo, co-


gliamo l’azione continua di una Sapienza, che presagisce la forma
ideale verso cui la scienza deve tendere, e di un Potere che fa con-
vergere verso quell’obiettivo gli sforzi dei ricercatori. In altre parole,
vediamo in tale sviluppo l’opera di una Provvidenza24.

1
Il fatto che la Chiesa non abbia preso una posizione nei confronti della teoria
di Darwin è stato dimostrato nel volume di M. Artigas - T.F. Glick - R.A. Martinez,
Negotiating Darwin. The Vatican confronts evolution 1877-1902, John Hopkins Univer-
sity Press, Baltimore 2006.

88 nu 228
alessandro giostra

2
Cf. E. Cassirer, La filosofia dell’Illuminismo, La Nuova Italia, Firenze 1973, pp.
63-136.
3
Una valida sintesi delle varie posizioni espresse su questo argomento può es-
sere reperita in: W.E. Burns, Warfare of science and theology, in W. Applebaum (ed.),
Encyclopedia of the scientific revolution, Garland Publishing, New York 2000, pp. 679-
682.
4
Cf. A. Negri, Introduzione a Comte, Laterza, Bari 1983, pp. 44-100.
5
K. Marx, Miseria della filosofia (1847), reperibile su http://www.ousia.it/con-
tent/Sezioni/Testi/MarxMiseriaFilosofia.pdf, p. 27.
6
F. Engels, Lettera a Walther Borgius, 25 gennaio 1894, reperibile su http://xoo­
mer.virgilio.it/primomaggiointernazionalista/testi/engels/formazione0012en-
gels1.htm.
7
Cf. A.N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Bompiani, Milano 1945.
8
P. Lombardus, Libri Quattuor Sententiarum, liber I, d. 17, p. 2, c. 5.
9
Per questo particolare del pensiero di Duns Scoto, trattato all’interno degli
aspetti generali della sua filosofia, cf. P. King, Scotus on Metaphysics, in The Cam-
bridge companion to Duns Scotus, Cambridge University Press, Cambridge 2003, pp.
15-68.
10
E. Grant, Le origini medievali della scienza moderna, Einaudi, Torino 2001, pp.
151-152.
11
Ibid., p. 152.
12
Cf. Aristotele, De coelo, III, 2, 301b.
13
«È possibile che Galileo venisse a conoscenza di questa celebre prova attra-
verso le edizioni a stampa della fine del XV e dell’inizio del XVI secolo». E. Grant, Le
origini medievali della scienza moderna, cit., p. 156.
14
P. Duhem, Le système du monde: histoire des doctrines cosmologiques de Platon à
Copernic, 10 voll., Hermann, Paris 1913-1959. Per brevità i passi citati da quest’opera
sono stati riportati direttamente nella traduzione italiana.
15
Questa affermazione, tratta dagli Études sur Léonard de Vinci, è ripresa da S.L.
Jaki, Uneasy genius: the life and work of Pierre Duhem, Martinus Nijhoff Publishers,
The Hague 1984, p. 395.
16
Cf. T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 1999.
17
P. Duhem, Le système du monde, cit., VII, p. 3.
18
Ibid., II, p. 408.
19
G. Buridano, Il cielo e il mondo. Commento al Trattato «Del Cielo» di Aristotele (a
cura di A. Ghisalberti), Rusconi, Milano 1983, p. 327.
20
P. Duhem, Le système du monde, cit., VI, p. 66.
21
Francisco Javier López Ruiz, Pierre Duhem, in Dizionario interdisciplinare di
scienza e fede, http://disf.org/pierre-duhem.

nuova umanità 228 89


punti cardinali
Duhem e le origini cristiane della scienza

22
P. Duhem, Le systéme du monde, cit., VIII, p. 340.
23
Cf. A. Giostra, Fede, filosofia e scienza in Stanley Jaki, in «Prospettiva Persona»,
n. 92, Rubbettino, Soveria Mannelli 2015, pp. 13-16; A. Giostra, Jaki e la nascita della
scienza. Il ruolo centrale del cristianesimo, in «Emmeciquadro», n. 26, Euresis, Milano
2006, pp. 55-62.
24
Questo passo, tratto dall’opera di Duhem Les origins de la statique (Hermann,
Paris 1903), è stato ripreso da S.L. Jaki, Uneasy genius: the life and work of Pierre
Duhem, cit., p. 390.

90 nu 228
punti cardinali

Camminare insieme
verso l’unità
Nel 500° della Riforma,
alcuni stimoli per avanzare
sulla via dell’ecumenismo 1
Hubertus
Blaumeiser
esperto cattolico
di martin
lutero. membro dal conflitto alla comunione.
del centro cinque imperativi ecumenici
interdisciplinare
di studi “scuola
Non mancano le difficoltà nel mondo dell’ecume-
abbà”. direttore
della rivista di nismo. L’ottimismo con cui ci si era incamminati all’i-
vita ecclesiale nizio del XX secolo, e poi soprattutto dopo il Concilio
gen’s. Vaticano II, ai nostri giorni è abbastanza sfumato. Tanto
più notevole è allora il fatto che la Federazione luterana
mondiale e la Chiesa cattolica romana si siano accorda-
te per commemorare insieme i 500 anni dall’inizio della
Riforma. Il documento della Commissione luterana-cat-
tolica per l’unità che ha posto le basi per ciò porta un
titolo pieno di auspici: Dal conflitto alla comunione.
Per dare l’avvio a questo comune ricordo, papa Fran-
cesco il 31 ottobre 2016 si è recato a Lund, là dove 70
anni prima era stata fondata la Federazione luterana
mondiale. Ho avuto il dono di poter assistere di perso-
na a questo momento storico. Nel corso della preghiera
comune di quel giorno le due comunità mondiali hanno
assunto cinque impegni che erano stati enunciati sotto

nuova umanità 228 91


punti cardinali
Camminare insieme verso l’unità

forma di “imperativi ecumenici” a conclusione del documento Dal conflitto


alla comunione. Li riproduco qui in sintesi:
- partire sempre dalla prospettiva dell’unità e non dalla prospettiva della
divisione;
- lasciarsi trasformare dall’incontro con l’altro e dalla reciproca testimo-
nianza di fede;
- tendere con passi concreti all’unità visibile;
- riscoprire la forza del vangelo per il nostro tempo;
- testimoniare insieme la grazia di Dio2.
Ma come continuerà ora il viaggio ecumenico, e non soltanto tra luterani
e cattolici? Quali appuntamenti sono in agenda e quali i passi da fare? E,
soprattutto, quando potremo finalmente accostarci insieme alla mensa del
Signore? Così molti chiedono.
Chiara Lubich rispondeva a tali domande con un’affermazione inequivo-
cabile: «Lo spartito è scritto in cielo». Vale a dire: il calendario e la tabella di
marcia (road map) non sono per noi a portata di mano! Abbiamo invece tra
le mani – e ciò sin d’ora tutti insieme! – il Vangelo con quell’annuncio decisi-
vo da cui inizia il ministero pubblico di Gesù: «Il tempo è compiuto e il regno
di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1, 15).
Non si tratta quindi di mettere in campo piani nostri. Gesù chiama i suoi
seguaci sempre di nuovo a lasciarsi alle spalle tutto ciò che è loro familiare
e a non speculare sul futuro. Siamo quindi chiamati a un cambiamento di
paradigma, a un’inversione di rotta.
Vorrei illustrare questo cambiamento delineando tre prospettive che, in
questa sede, non possono essere altro che brevi stimoli per la nostra rifles-
sione e più ancora per la nostra vita. Mi ispiro per questo in particolare al
carisma e alla spiritualità di Chiara Lubich.

l’unità nella diversità: dono di dio

Una prima prospettiva. L’unità nella diversità non è qualcosa che possiamo
produrre noi, ma è dono di Dio; non è opera umana, ma grazia.

92 nu 228
hubertus blaumeiser

Non si tratta infatti di dirci semplicemente: «Abbandoniamo i vecchi


contrasti e andiamo tranquillamente ciascuno per la propria strada!». La so-
luzione non sta né in una generica federazione né in una Chiesa uniforme
che si configura ovunque allo stesso modo, parla ovunque la stessa lingua
e conosce una sola teologia. La meta si chiama piuttosto: pluralità in unità e
unità in pluralità, ad immagine della Santissima Trinità, secondo la preghiera
di Gesù: «Che siano una sola cosa come noi» (Gv 17, 22). Proprio in que-
sto consiste il mistero del Corpo mistico: membra diverse che formano un
tutt’uno e insieme rappresentano Cristo, apprezzandosi a vicenda, essendo
radicalmente solidali gli uni con gli altri, anzi, in piena comunione tra loro:
«Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è
onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12, 26).
Una tale unità, che reca in sé l’impronta della Santissima Trinità – unità
reale nella reale diversità, in cui ogni membro contiene in sé anche il tutto –,
è possibile, secondo la testimonianza della Scrittura, solo in Cristo e a parti-
re da Cristo. È questa una convinzione saldamente recepita nella spiritualità
di Chiara Lubich. L’unità non è un progetto che noi esseri umani possiamo
mettere in atto, ma è un’opera dello Spirito. Solo quel battesimo di fuoco,
che Cristo ha vissuto nella crocifissione e nella risurrezione (cf. Lc 12, 49-50)
e che con la Pentecoste si è riversato sulla comunità riunita, ha compiuto
questo miracolo: i discepoli, prima dispersi e in competizione tra loro, sono
diventati un cuore solo e un’anima sola (cf. At 4, 32) e al contempo hanno
annunciato le opere di Dio in tante lingue diverse (cf. At 2, 6-12).
Occorre quindi nulla di meno di una nuova pentecoste: una rigenerazio-
ne della Chiesa una e allo stesso tempo “cattolica”, universale e pluriforme.
È proprio qui che ci raggiunge la promessa di Gesù: «Il tempo è compiuto e
il regno di Dio è vicino». Dal momento in cui Cristo ha offerto la sua vita in
croce ed è risorto il terzo giorno, il fuoco dell’amore divino è già effuso su
tutta l’umanità ed è all’opera nel mondo intero. Più ancora: in Cristo, che in-
nalzato in croce ha allargato le braccia su tutti senza confine, siamo già tutti
riuniti, collegati con lui e tra noi. La domanda è in quale misura questo fatto
ci “trafigge il cuore” e ci trasforma, come avvenne la mattina della Penteco-
ste a Gerusalemme (cf. At 2, 37).

nuova umanità 228 93


punti cardinali
Camminare insieme verso l’unità

In uno dei suoi ultimi discorsi, Chiara Lubich si è espressa a questo pro-
posito così: «Gesù crocifisso-risorto è certamente il luogo di una riconcilia-
zione che si estende ai confini del mondo. [...] La comunità, dunque, trova la
sua identità vera in una realtà che la precede: la presenza del Risorto. È Lui
che raduna e riunisce a sé e tra loro i credenti»3.
Questo è a mio avviso un primo cambiamento di prospettiva, così come
emerge dal messaggio del Nuovo Testamento: in Cristo, a partire da Cristo,
siamo già uno! Questa è la buona notizia che ci chiama allo stesso tempo alla
conversione.
E qui mostra la sua profonda verità il primo dei cinque imperativi ecume-
nici di Lund: partire dalla prospettiva dell’unità significa dar più rilievo a ciò
che Dio sta facendo e a ciò che davanti a Dio è già realtà, che non ai limiti e alle
divisioni provocati da noi esseri umani.

chiamati all’esodo: vivere nell’altro

Una seconda prospettiva. La nostra fede nel Dio uno e trino e nel Cristo cro-
cifisso ci chiama all’esodo, a metterci in uscita: siamo chiamati a vivere nell’altro,
a pensare e a vivere partendo dall’altro!
Alla fine del suo trattato Sulla libertà del cristiano, Martin Lutero dà un’im-
portante definizione dell’esistenza cristiana: «Un cristiano non vive in se
stesso, ma in Cristo e nel suo prossimo: in Cristo per la fede; nel prossimo
per l’amore»4. Poche pagine prima Lutero spiega: «Come il Padre celeste ci
ha soccorso in Cristo gratuitamente, così anche noi dobbiamo soccorrere
il nostro prossimo gratuitamente […] e diventare così in certo qual modo
Cristo uno per l’altro, affinché siamo reciprocamente dei Cristi, e lo stesso
Cristo sia in tutti: questo significa essere veramente cristiani»5.
Vivere in Cristo attraverso la fede e vivere negli altri attraverso l’amore, per
essere Cristo l’uno per l’altro! In queste parole non c’è nulla che possa dividere
le Chiese, anzi, esse ci chiamano a una conversione. Chi di noi, infatti, come
singolo e come Chiesa, può affermare di vivere in modo così estatico in Dio
e negli altri? Noi tutti ricadiamo sempre nella incurvatio in se, nel ripiega-

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hubertus blaumeiser

mento su noi stessi, come l’ha chiamato Martin Lutero, ovvero nella autore-
ferenzialità che secondo papa Francesco è una malattia mortale.
Né come individui, però, né come Chiesa possiamo concederci di vivere
in un’autosufficienza e in un’autoreferenzialità tali se non vogliamo offusca-
re l’immagine autentica di Dio che si è rivelata a noi in Cristo: il Padre vive
fuori di sé, nel Figlio; e il Figlio vive anch’egli, nello Spirito di Amore, al di fuo-
ri di se stesso nel Padre e allo stesso tempo offre se stesso per noi peccatori
– non per i giusti! – fino allo spogliamento di sé nella morte in croce (cf. Fil
2). Nel nome di questo Dio siamo chiamati a uscire sempre nuovamente da
noi stessi, come persone e come Chiese, per pensare e vivere mettendo al
centro gli altri, immedesimandoci in loro e condividendo con loro ogni cosa:
per essere Cristo per loro.
Quando Chiara Lubich parla di questo nella sua spiritualità, usa l’espres-
sione: farsi uno con l’altro; o più brevemente ancora: vivere l’altro; e rinvia fre-
quentemente alla “regola d’oro”: «Tutto quanto volete che gli uomini faccia-
no a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7, 12). Secondo lei stanno qui il fulcro
e il cardine per qualsiasi tipo di dialogo. Solo se sappiamo così uscire da noi
stessi, potremo indicare all’umanità l’unica via che può salvarla da una terza
guerra mondiale. Solo se, animati da vera solidarietà, sappiamo farci carico
dei difetti reali o presunti degli altri, potremo promuovere un ordine eco-
nomico ispirato alla condivisione e un sistema finanziario orientato al bene
altrui. Solo se sapremo oltrepassare il nostro piccolo mondo, per essere con
l’altro e dall’altro, saremo in grado di intervenire in modo efficace in difesa
della giustizia e della salvaguardia del creato.
A proposito di questo esodo da noi stessi, desidero riportare un’espe-
rienza che mi ha segnato. Nell’agosto 2001 ero a Costantinopoli (Istanbul)
con 50 candidati al sacerdozio che vivono la spiritualità dei Focolari. Vole-
vamo conoscere da vicino la vita delle Chiese dell’Oriente. Abbiamo avuto
tra l’altro un incontro con un teologo del Patriarcato ecumenico. Egli ci ha
illustrato la teologia ortodossa della koinonía, cioè della comunione. È stato
un discorso affascinante, seguito da un dialogo, in cui il teologo ha però più
volte precisato quanto la teologia e la Chiesa ortodosse fossero diverse e
migliori rispetto al cattolicesimo, la qual cosa non mi faceva sentire a mio
agio. Ma cosa potevo fare? A quel punto ha preso la parola un sacerdote

nuova umanità 228 95


punti cardinali
Camminare insieme verso l’unità

ungherese del nostro gruppo e ha detto: «Sono molto felice di aver final-
mente l’occasione di ringraziare voi ortodossi per gli impulsi importanti che
abbiamo avuto da voi e che hanno tanto contribuito agli insegnamenti del
Concilio Vaticano II». Dopo questo intervento il teologo ha cambiato tono.
Quando gli abbiamo chiesto come vivevano quella realtà della comunione
nel loro monastero ortodosso, ha risposto in modo sorprendente: «Sì, ab-
biamo questa bella teologia della comunione, ma forse voi la mettete più
concretamente in pratica». Alla fine di questo incontro c’era una grande
­gioia in noi e anche in quel teologo: facendoci piccoli l’uno di fronte all’altro,
siamo diventati fratelli e ne è nata la comunione.
Come conclusione di questo secondo spunto di riflessione torniamo
nuovamente agli impegni ecumenici presi a Lund. «Lasciarsi cambiare
dall’incontro con l’altro e dalla reciproca testimonianza di fede», dice il se-
condo imperativo ed è ciò che accade quando noi, sia come individui che
come Chiese, pensiamo e viviamo immedesimandoci con l’altro. Solo così
può avvenire una trasformazione e può crescere l’unità.

l’unità nella verità: nasce “dal basso”

Una terza prospettiva. L’unità nella verità si può creare solo dal basso; essa
avanza soprattutto se noi, assieme a Gesù crocifisso e risorto, abbiamo il coraggio
di entrare nella piaga della divisione.
Uno dei grandi problemi dell’unità nella diversità è la questione della
verità. Come riuscire a progredire su questo punto? Le nostre differenze
dottrinali non possono essere tutte ricondotte a quello che gli esperti dell’e-
cumenismo chiamano “consenso differenziato”. Accanto a molte differenze
legittime, che esistono anche all’interno delle varie comunità di fede e che
rappresentano un arricchimento, ci sono anche concezioni su cui non c’è
accordo e che sono addirittura diametralmente opposte tra loro.
Non possiamo tacere questo. Ma non dobbiamo neppure sbatterci in
faccia queste differenze oppure chiuderci in modo autocompiaciuto ciascu-
no nella propria convinzione di fede, lasciando che l’altro vada per la propria
strada, guardandolo magari con un senso di superiorità.

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hubertus blaumeiser

Come riuscire a progredire quando ci scontriamo con la questione della


verità?
Quando il Movimento dei Focolari e la Bruderschaft vom Gemeinsamen
Leben nel 1968 hanno fondato a Ottmaring (Augsburg) il Centro di vita
ecumenica, Chiara Lubich ha dato a questa piccola cittadella un nome e un
modello a cui guardare. Il nome è: “Nuova Legge”; cioè il comandamento di
Gesù: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 13, 34). Il modello
è la lavanda dei piedi: Gesù, il Signore e maestro, che lava i piedi ai discepoli.
Vale a dire: in ultima analisi l’unità nella verità non può essere imposta
“dall’alto”. E non può neppure venir sollecitata con una sorta di ultimatum. In
questo senso, il Concilio Vaticano II ha volutamente rinunciato a condanne
dottrinali. L’unico modo per spianare la via all’unità nella verità è quello di
inchinarci davanti agli altri nell’atteggiamento di lavar loro i piedi, anziché
far loro una lavata di testa. Ciò può significare a volte – come fa intendere in
modo eloquente un dipinto di Sieger Köder, La lavanda dei piedi – perdere la
propria faccia per ritrovarla magari ai piedi dell’altro. Occorrono cioè molta
pazienza e umiltà e, prima di tutto, una grande benevolenza verso gli altri.
Solo così possiamo trasmettere in modo credibile la verità di Cristo, che per
noi è arrivato a svuotarsi di tutto, e non rischiamo di contraddire questa
verità con il nostro comportamento.
L’ecumenismo è, in definitiva, un cammino con Gesù: dalla morte alla
risurrezione. Cristo ha generato la Chiesa quando in croce ha preso su di sé
i peccati di tutti fino a sperimentare l’abbandono del Padre, e da quell’abisso
ha sprigionato lo Spirito. Con questa convinzione, Chiara Lubich ha indicato
il Cristo abbandonato da Dio come chiave decisiva per l’ecumenismo, e ciò
perché ne ha fatto l’esperienza, come ha spiegato nel 1982 a 7.000 sacer-
doti e religiosi nell’aula delle udienze in Vaticano:

Chi spinge tutti i membri cristiani del Movimento [appartenenti a


diverse Chiese] al dialogo fra loro, a costruire giorno per giorno tut-
ta quella comunione che già è possibile, a stabilire fra tutti la pre-
senza di Gesù, che il comune battesimo ci garantisce? […]

nuova umanità 228 97


punti cardinali
Camminare insieme verso l’unità

È Gesù crocifisso che, nel suo grido d’abbandono, ha voluto assume-


re tutte le divisioni del mondo, tutte le eredità del nostro peccato.
È per lui che ci cerchiamo, che ci amiamo, che speriamo, che non
desistiamo se l’impresa [dell’unità visibile] sembra ardua6.

In fondo l’unità nasce là, dove assieme a Gesù ci addentriamo nella piaga
della divisione, vale a dire: dove non ci lasciamo scoraggiare dalle delusioni e
neanche da possibili ferite. L’unità può crescere soltanto se non ci facciamo
da parte quando i rapporti diventano difficili, ma perseveriamo, insieme al
Crocifisso, e ci accogliamo l’un l’altro anche quando ciò può far male. Allora
può avvenire una trasformazione.
Anche qui un’esperienza. Alcuni anni fa dovevo scrivere un articolo teo-
logico insieme a un collega protestante. Ci siamo accordati che io avrei steso
una prima bozza. Il mio collega ha poi continuato a lavorare a questo testo.
Quando me l’ha ridato, avevo l’impressione di non ritrovare un gran che dei
tre punti che avevo io. E mi sembrava che quel testo mancasse dell’equilibrio
necessario. Che fare? Scrivere l’articolo da solo? O semplicemente prender-
lo così come stava venendo? Sentivo che per amore della verità, ma anche
per amore del mio collega, dovevo essere sincero. Ho quindi condiviso con
lui la mia impressione e la mia sospensione. Ne è nata una situazione non
facile per entrambi. Lì per lì non siamo riusciti a trovare insieme una solu-
zione. Dentro di me rimaneva un grande punto di domanda, il buio. Ma in
quel buio – avevo imparato da Chiara Lubich – c’era la presenza del Cristo
abbandonato dal Padre. Dopo una lotta interiore che è durata un po’, ho
potuto dire di sì a questo incontro con il Crocifisso e mettere tutto nelle sue
mani. Quando poi ci siamo ritrovati, il mio collega, che probabilmente aveva
percorso un simile cammino interiore, ha detto: «Ricominciamo ancora una
volta da capo!». Ricominciare da capo significava mettere da parte tutti i
miei pensieri e ascoltare con attenzione l’altro e, prima ancora, ascoltare
insieme Gesù, lo Spirito Santo. Indubbiamente anche il mio collega ha as-
sunto lo stesso atteggiamento e così siamo riusciti a metter giù in breve
tempo nove punti da sviluppare in quell’articolo. Ancor oggi rimango colpito
da ciò che quella volta abbiamo messo per iscritto e mi dico: tu sei coautore
di questo testo?

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hubertus blaumeiser

veniamo alla conclusione

Partendo dagli eventi di Lund, abbiamo percorso con Chiara Lubich un


cammino in tre tappe:
- l’unità nella diversità come dono del Signore risorto;
- vivere nell’esodo come caratteristica forma della sequela: uscire da se
stessi e farsi uno reciprocamente;
- la lavanda dei piedi e la partecipazione all’amore di Gesù fino all’ab-
bandono del Padre come via per poter sperare di giungere all’unità anche
nella verità.
Quando queste tre prospettive si erano ormai stagliate in me, è arrivata
la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno 2017. A con-
clusione di essa, il 25 gennaio scorso, papa Francesco, durante la celebra-
zione dei Vespri a San Paolo fuori le mura, ha tenuto un’importante omelia
in cui si possono ritrovare in qualche modo prospettive analoghe.

Come Gesù insegna – ha detto –, è solo quando perdiamo la vita per


amore suo che la guadagniamo davvero (cf. Lc 9, 24). È la rivoluzio-
ne che Paolo ha vissuto, ma è la rivoluzione cristiana di sempre: non
vivere più per noi stessi, per i nostri interessi e ritorni di immagine,
ma ad immagine di Cristo, per Lui e secondo Lui, col suo amore e
nel suo amore.
Per la Chiesa, per ogni confessione cristiana è un invito a non ba-
sarsi sui programmi, sui calcoli e sui vantaggi, a non affidarsi alle
opportunità e alle mode del momento, ma a cercare la via guardan-
do sempre alla croce del Signore: sta lì il nostro programma di vita.
[...] Un’autentica riconciliazione tra i cristiani potrà realizzarsi
quando sapremo riconoscere i doni gli uni degli altri e saremo ca-
paci, con umiltà e docilità, di imparare gli uni dagli altri – imparare
gli uni dagli altri –, senza attendere che siano gli altri a imparare
prima da noi.
Se viviamo questo morire a noi stessi per Gesù, il nostro vecchio sti-
le di vita viene relegato al passato e, come è accaduto a san Paolo,
entriamo in una nuova forma di esistenza e di comunione7.

nuova umanità 228 99


punti cardinali
Camminare insieme verso l’unità

Chiara Lubich chiama questa nuova forma di esistenza e di comunione


“Gesù in mezzo a noi” e vede in questa presenza del Risorto tra i suoi un ele-
mento decisivo per l’ecumenismo. Quando viviamo con radicalità la Parola
di Dio e ci accogliamo gli uni gli altri come Cristo ha accolto noi, si viene a
creare uno spazio in cui Gesù stesso vive in mezzo a noi; uno spazio che ci
avvolge e nel quale non ci incontriamo più come estranei, ma come fratelli
e sorelle. In questo spazio Cristo stesso produce l’unità come vestito nuovo
della cristianità; un vestito non rattoppato ma tessuto di un solo pezzo, com-
posto con maestria di colori diversi i quali si completano a vicenda e fanno
rifulgere in seno all’umanità la vita del Dio uno e trino.

1
Il presente articolo riproduce l’intervento dell’Autore alla Giornata ecumenica
Gaandeweg één svoltasi il 18 marzo 2017 a Mariënkroon, Nieuwkuijk, in Olanda, in
occasione dei 500 anni della Riforma e del settimo anniversario della morte di Chia-
ra Lubich. Promotori dell’iniziativa erano l’Associazione cattolica per l’ecumenismo
“Athanasios en Willibrord” e il Movimento dei Focolari. Vi hanno partecipato 380
persone tra cui i leader delle principali denominazioni cristiane presenti nel Paese.
2
Cf. Commissione luterana-cattolica per l’unità, Dal conflitto alla comunione.
Commemorazione comune luterana-cattolica della Riforma nel 2017, in «Il Regno - do-
cumenti», Supplemento al n. 11, 1 giugno 2013, nn. 239-243; disponibile anche su
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/lutheran-fed-
docs/rc_pc_chrstuni_doc_2013_dal-conflitto-alla-comunione_it.html.
3
C. Lubich, Gesù in mezzo a noi, in «gen’s», 35 (2005/2), pp. 37-38.
4
M. Lutero, Trattato sulla libertà cristiana, 30; WA 7, 38, 6-8 (versione tedesca).
5
Ibid., 27; WA 7, 66, 25-28 (versione latina).
6
C. Lubich, Il sacerdote oggi, il religioso oggi, in P. Coda - B. Leahy (edd.), Preti in
un mondo che cambia, Città Nuova, Roma 2010, pp. 24-25.
7
Francesco, Omelia alla celebrazione dei Vespri nella solennità della conversione di
san Paolo apostolo, Basilica di San Paolo fuori le Mura, Roma, 25 gennaio 2017.

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alla fonte del carisma dell’unità

Storia di Light. 12
La Chiesa madre

la notte oscura

Il 19 aprile 1951, su L’Osservatore Romano, in terza pa-


Igino gina, uscì un articolo, firmato g.m., intitolato: Esperienze
Giordani di vita cristiana. I Focolari dell’unità. Un bell’articolo.
L’autore fu punito e l’articolo sconfessato.
(1894-1980) Era il segno dell’imminente tempesta.
confondatore
del movimento
Era insorto, come doveroso, l’accusator fratrum, il
dei focolari. nemico di Dio, il quale iniziava la lotta contro l’Opera
scrittore, di Dio, usando i metodi demoniaci della calunnia e del
giornalista e fariseismo. Da Trento la lotta era insorta da passioni di
parlamentare gelosia e predominio.
della repubblica
italiana.
Io, che avevo scritto vite su santi, non me ne sorpre-
si. Tutt’altro. Ma le giovanette e i giovani ne patirono a
sangue. Chiara entrò nella notte oscura, fatta più atroce
dalla carità che le impediva di difendersi per tema di of-
fendere il calunniatore.
In questo clima di denunzie al Sant’Offizio, di conse-
guenti richiami di vescovi, mi capitò di recarmi a Trento
e di far visita a S.E. monsignor Carlo De Ferrari1, anima
generosa, spirito arguto, che univa le facezie sapienti dei
romani alla ponderatezza dei trentini. Mi trattò con una
severità inattesa, coinvolgendomi nelle accuse da cui
erano colpiti i Focolari, come complice e come respon-
sabile. Sconvolto tornai in focolare e dissi a Chiara: «Poi-
ché il vescovo mi tratta con tanta ostilità, non metterò
più il piede a Trento».

nuova umanità 228 101


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 12

Ancora vedo quella creatura. D’un baleno prese per mano due pope, e
corse, come volasse, giù per la scesa di via Cervara avviandosi all’episcopio.
Tornò dopo circa un’ora dicendomi che il vescovo mi scongiurava di non
mettere in atto la mia minaccia, perché mi stimava ecc. ecc.
Difatti le sue idee si erano capovolte.
Chiara, per carità verso di me, finalmente s’era decisa a dire come stava-
no le cose: e cioè di denunciare i motivi di quella calunnia, spiegando ragioni
e modi. Fu una rivelazione per il vescovo; il quale, essendo in buona fede,
da quel momento si fece il protettore nostro e personalmente verso di me
fu d’una cordialità unica, davvero fraterna, sino alla morte. Mi voleva suo
ospite quando andavo a Trento.
Egli ci protesse con dichiarazioni esplicite, mentre ci consigliò di pazien-
tare circa l’inchiesta che, lenta, si muoveva dal S.O. 2. Diceva scherzando
che, in quelle cose, conviene «non dire mai di no, e far quel che si può».
E ci diede intanto come consigliere e assistente il padre Tomasi, già su-
periore generale degli Stimmatini, da cui anche lui proveniva. E fu un assi-
stente santo.
Osservatori vennero sopra tutto nelle Mariapoli: padre Corrà; poi padre
Orlini; severi conventuali, che appena conobbero la realtà dell’Opera, ne di-
vennero amici sorridenti.
Arrivarono allora i primi divieti a sacerdoti secolari e a religiosi di fre-
quentare i Focolari: difatti s’addensarono su di questi le calunnie, che il Si-
gnore permetteva per la loro purificazione. A uno di questi divieti riguardan-
ti i sacerdoti si riferisce questa lettera.

La Purità di Maria Vergine (2 febbraio)


Roma 1952

Carissimi fratelli in Gesù,

ho letto le disposizioni di Mons…, Vescovo di…


È la croce.
Sia benedetta!
Il Movimento è fatto di crocefissi con Lui Crocefisso.
Ma volevamo così ed Egli ci ha preso in parola. È così che preparia-
mo l’Ut omnes, l’era di Gesù.

102 nu 228
igino giordani

Ora voi siete degni dell’Ideale e collaborate alla risurrezione se sa-


pete morire come Egli vuole.
Secondo me non bisognerà né discutere né tentennare.
Siamo uno solo nella Divina Volontà e quella è espressa dal Vescovo.
Se è necessario sappiamoci anche dividere ora – pur tenendo Gesù
in mezzo, anzi per tenere Gesù in mezzo –, perché domani possiamo
anche esternamente esser tutti una famiglia sola.
Ho il cuore commosso nel dirvi queste cose, perché anche io, come
tutti, sentiamo la croce che Gesù ha posto sulle vostre spalle.
Ma in questa serie di abbandoni e di dolori si cementa quell’Unità
che nessuno mai saprà spaccare perché è l’Unità generata dal Suo
Grido.
Vi scriverò più particolarmente come dovete fare per stendervi
bene su questa croce, onde fruttifichi al più presto la Gloria di Dio.
Intanto state uniti fra tutti voi, nessuno ve lo può proibire e, se vi è
grato sempre fare la volontà di Dio fra noi, io direi di mettere tra voi
uno che faccia da perno in questo periodo doloroso e di transito.
Noi si pensò a…
Accettatelo in nome di Dio e sia il fratello primo fra i tre uguali.
Noi viviamo per voi, attendendovi fra di noi, tutti uniti a Dio nel Qua-
le vi troviamo sempre.
Benedite tutto e tutti: specie la mano di chi in nome del Padre Ce-
leste vi ha potato.
Vi siamo unitissimi.
Vi consiglio di strappare questi fogli dopo averli comunicati a Vale3.
A tutti il nostro Gesù.
Da tutti chiediamo la benedizione.

F.to Chiara4

All’aprirsi dell’anno scolastico del 1953 Chiaretto5 entrò al Seminario


Capranica di Roma. Poiché si desiderava averlo come primo sacerdote del
Movimento, per riuscire nell’intento, si pregò e si chiese il consiglio di varie
personalità. Tra queste, monsignor G.B. Montini, sostituto della Segreteria
di Stato, il quale conosceva bene la famiglia Folonari ed era rimasto colpito
favorevolmente – e me lo disse – dal fatto che una ragazza colta e intelligen-
te, ricca, come Giulia Folonari (Eli) fosse stata presa in quel modo dall’ideale

nuova umanità 228 103


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 12

dei Focolari, sino a rompere totalmente col mondo. Del pari era rimasto im-
pressionato dalla fioritura di vocazioni sacerdotali che si stava verificando
tra i focolarini. Segno questo – mi disse – che l’Opera viene da Dio.
In quel torno di tempo, padre Tomasi, che era il padre spirituale di Chia-
ra e di non pochi focolarini e focolarine, acconsentì a che facessero i voti
perpetui di verginità. All’Immacolata, nella chiesa di Sant’Agata dei Goti, la
cosa si fece a Roma.
C’erano anche i popi del terzo ramo6, i quali fecero un voto di castità
speciale che già, a Santa Maria Goretti, aveva fatto Foco. Nella folla c’era
anche Camilla Folonari alla quale fu concesso, in via straordinaria (aveva
appena 18 anni), di fare il voto perpetuo di verginità: fatto straordinario che
le procacciò da Chiara il nome di Virgo.
Quel giorno fu considerato il Natale del terzo ramo: l’Immacolata era la
Vergine, Sposa e Madre.
Il Natale seguente Chiara fu a Trento per assistere agli ordini minori di
Chiaretto. Padre Tomasi passò il Natale in focolare a Roma.
Il 1° gennaio successivo (1954) egli fu colpito da malore mentre celebra-
va la santa messa all’altare. Chiara informata voleva correre: ma il vescovo
la invitò a restare, pur sapendo che il padre generale degli Stimmatini aveva
autorizzato l’ammissione di Chiara nella clausura. A Trento Chiara doveva
restare per assistere all’ordinazione di Chiaretto, il quale doveva sostituire
il padre Tomasi.
Nel mezzo della notte oscura e connessa con la crisi del Movimento, si
produsse una malattia grave di Chiara. Essa si palesava col singhiozzo. In
quel tempo anche Pio XII soffriva gravemente col singhiozzo. A letto, in via
Tigrè le pervenne una lettera della sorella del pontefice di voler pregare per
il papa che pareva morisse. La marchesa Pacelli aveva dato in affitto la villa
di Grottaferrata ai focolarini e seguiva con grande simpatia il Movimento.
I popi temettero che Chiara offrisse la sua vita per la vita del papa. Ma
invece Chiara ebbe un lume che, in quei giorni, ci apparve mirabile: vide – lo
scrisse alla marchesa Pacelli – che il papa non sarebbe morto, anzi sarebbe
guarito.

104 nu 228
igino giordani

E per questo Chiara ordinò a tutti i popi di pregare. La mattina seguente


alla lettera qualche giornale annunziò la morte del papa. E invece – come
Chiara aveva chiesto a Dio e aveva predetto alla sorella – il papa guarì.
A Pasqua maturò il tempo per l’ordinazione sacerdotale di don Foresi.
Sulla parola di Chiara l’arcivescovo di Trento, monsignor Carlo de Ferrari,
lo ordinò nella cattedrale, pur non essendo un suo diocesano. Lo incardinò
nella propria diocesi, ma lo lasciò a disposizione dei Focolari. I quali per l’or-
dinazione si raccolsero nella città conciliare conferendo alla cerimonia una
solennità e insieme una letizia di primavera.
Il giorno seguente don Foresi celebrò nella cattedrale la prima messa: e
ci furono canti e pianti di gioia senza fine. Alla stessa santa messa la Chia-
rettina – la nipotina di Chiara – fece la prima comunione. Nella festa si in-
trodusse un padre cecoslovacco fuggito dalla sua Repubblica rossa, da un
campo di concentramento. Fu ammesso alla comunità – fatta di focolarini
interni anche sposati, e Chiara parlò con lui, che già aveva avuto nozioni del
Movimento. Ella rimase colpita dalla profondità di quell’anima: padre Paolo
Hnilica. E subito ci vide un “disegno”.
Nell’aprile si aperse un varco nell’Austria, dove si recò, a Innsbruck, Dori,
per sostenere anime già orientate all’Ideale e per studiare il modo di convo-
gliarle alla Mariapoli (che quell’anno per amore di G.A.7 si chiamerà Giapoli).
Durante la Giapoli capitò a Vigo di Fassa padre Orlini conventuale, ex ge-
nerale del suo ordine, divenuto noto sotto il fascismo per i suoi rapporti con
le alte autorità politiche. Egli prese alloggio dal parroco e non si presentò;
ma si venne a sapere che era stato inviato quale visitatore, dal S.O.
Capitarono anche padri gesuiti che erano in vacanza nei pressi: con essi
padre Hnilica del quale si conobbe la storia drammatica.
Una storia da lui messa per iscritto e stampata in più lingue (in inglese
con la prefazione del cardinale di Londra), dove narrava la passione dei preti
o religiosi cecoslovacchi soprattutto nei campi di concentramento. In quella
desolazione essi avevano capito le deficienze dell’apostolato tradizionale:
sopra tutto la deficienza di carità; quella carità connettiva, soprannaturaliz-
zante, che egli vedeva scrivere nei Focolari. Donde la sua gioiosa sorpresa e
brama di partecipare alla loro vita, convinto che stesse qui il fermento di una
cristianità rinnovata.

nuova umanità 228 105


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 12

Da allora in poi egli si fece l’araldo di un programma: diffondere l’ideale


dei Focolarini come antidoto del materialismo.
Nell’agosto fu lui a leggere in chiesa, il giorno del Cuore Immacolato di
Maria, la consacrazione di tutta la Giapoli (città di G.A.). Una sessantina
tra pope e popi si congiurarono (unirono con giuramento) per vivere in tal
maniera da essere la realtà viva della profezia di Fatima. Recatisi sul monte,
a oltre 2.000 m, cantarono:«Era sera di un giorno di festa, ricordava il Cuor
di Maria, Ella chiese all’anima mia: “Vuoi tu giurarlo?”. Sì te lo giuro con tutto
il mio cuor…».
E alla fine della Giapoli – in settembre – Chiara, don Foresi, la nipote di
Pio XII, Elena Rossignani, la Eli e Foco si recarono a Fatima e si incontrarono
a Coimbra con suor Lucia.
Frattanto nella Giapoli, padre Orlini continuava la sua indagine visitando
i singoli focolari; egli trovò tra l’altro che pope e popi vivevano più poveri dei
francescani. Al termine della sua visitazione, egli che via via dalla diffidenza
era passato alla benevolenza aveva capito – e lo disse – che l’Opera non
poteva sussistere senza Chiara. E in questo senso scrisse al Santo Padre,
come al solo che avrebbe potuto far qualche cosa per sbloccare la nostra
posizione di incertezza. Questa intralciava la nostra opera e dava una tri-
stezza alle nostre anime: Chiara pareva agonizzante. Ma non c’era caso che
si lamentasse.
Sempre in quell’estate, a Fassa, Chiara aveva incaricato Foco di studiare
la condizione dei coniugati; e Foco fece proposte nello spirito dell’Opera di
Chiara, che a lei parvero assai belle: e ci vide nascere il terzo ramo, come un
settore dell’unica famiglia. Il piano si definì al ritorno a Roma, dove Foco, per
incarico di Chiara, scrisse questa lettera nel Natale 1954.

Natale 1954

Ai focolarini e focolarine del terzo ramo;

usciti dall’anno mariano, presso la culla dell’unigenito di Dio e di


Maria – il figlio della verginità – più sbalorditiva, più ampia e profon-
da ci si fa la gioia che è un vero miracolo, d’essere parte dell’Ordine8
di Maria, d’essere Maria misticamente viva. Non dobbiamo finire di

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igino giordani

ringraziarla del privilegio immenso che ha fatto a noi, fra miliardi di


creature.
La nostra è l’era di Maria, e cioè della verginale maternità che gene-
ra Cristo al mondo; e non per nulla tra i Papi, il Sommo Pontefice Pio
XII è il più luminoso araldo di Maria (la Mystici Corporis è la nostra
enciclica) e dell’Assunzione e Regalità di Maria (la Fulgente Corona
per noi si completa con la Sacra Virginitas).
L’essere noi coniugati uniti in una famiglia spirituale con vergini e
con sacerdoti ci imparenta più intimamente a Gesù e Maria, nostro
Ideale, mentre ci fa partecipi della verginità del sacerdozio. Con
questa partecipazione, noi faremo, ancor meglio in avvenire, del-
le nostre famiglie altrettanti vivai di sacerdoti e vergini, perché poi
vergini e sacerdoti siano maestri e guide delle nostre famiglie.
E perché – come dice l’anima che ha dettato Novissima Verba – è la
carità che verginizza le anime, tanto è vero che ha fatto di Maria
Maddalena un modello delle vergini, anche a noi è donato il privile-
gio di verginizzare con la carità le nostre anime. E questo ci fonde
ancor più profondamente e intimamente con i fratelli e le sorelle
dell’Ordine, ci unifica in unica famiglia soprannaturale, dove quel
che conta è la carità. E la carità può essere, deve essere di tutti.
In questi ultimi tempi Chiara non fa che parlare del terzo ramo: lo
vuole vivo, lo vuole dinamico; ne fa la corona dell’Ordine, che, se-
condo lei, deve spingere la sua opera sopra tutto nella direzione
del terzo ramo per sfondare nell’umanità (il vocabolo terzo ramo è
provvisorio e suona impreciso, perché sembra stabilire una inferio-
rità dei coniugati nell’Ordine, mentre in esso la gerarchia che conta
è quella dell’amore cristiano, del servizio di Dio e dei fratelli, pur
essendo noi coniugati i più convinti assertori della sovranità del sa-
cerdozio e della verginità.
Ma – dice Chiara – tante vergini e tanti sacerdoti sono all’inferno. E
– aggiungiamo noi con santa Caterina – tanti coniugati pure ci sono,
che han vissuto male il matrimonio. Ma tra noi è la santità: e voi
sapete che Chiara, se assegna al primo ramo come caratteristica
la verginità e al secondo il sacerdozio, al terzo assegna la santità).
Nostro Ideale specifico è Gesù Abbandonato.
Grandi cose Chiara domanda a noi e per formarci ci ha dato due
potenti ausiliari: Natalia e Giulio come vicari di lei. E voi capite che

nuova umanità 228 107


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 12

cosa quei due nomi significano; ci riportano alle origini più pure
dell’Ideale; mentre attuano anche sotto questo rispetto, la coope-
razione – anzi la fusione – di tutti i rami: sì che noi penetriamo anche
nel terzo ramo. Siamo organicamente solidali: e speriamo anche
internamente, a Corpo mistico. L’un ramo si santifica santificando
l’altro: tutto l’Ordine si santifica santificando l’umanità.
Così ci accingiamo a fare del 1955 – specie se, come par certo, la Chie-
sa Madre che ci ha messi al mondo ci metterà pure al lavoro –, l’anno
di conquista di quante più anime sia possibile, allo stesso nostro amo-
re che sta nel binomio Gesù e Maria e si traduce minuto per minuto in
servizio della Chiesa.
La notte di Natale preghiamo tutti perché Dio restituisca piena sa-
lute a Chiara, di cui l’Ordine ha più bisogno ora che il suo impegno
si fa più grave. E preghiamo per la Chiesa santa, per il papa, per i
vescovi, il clero e le vergini, e per tutti i prossimi nei quali, attimo
per attimo, vogliamo servire Gesù.
Chiara vi saluta in Lui caramente

Foco

i sette colori

Ancora nel 1954 verso l’autunno, un giorno, Chiara a Milano9 aveva spie-
gato le rifrazioni dell’unica luce. Quelle che si chiamarono “colori” (imma-
gine e numero venivano dall’iride). Contemporaneamente ella aveva visto
quali persone fossero state elette alle mansioni rappresentate dai colori; e
cioè:
1) rosso (l’economia: la Giosi). L’economia era messa in testa perché in-
segna il Signore: «Va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri; poi vieni e segui-
mi», atto di distacco preliminare.
2) Arancio (l’apostolato: Graziella): «Fuoco son venuto a portare sulla
terra…»: se non si conquistano anime è come se il fuoco si spegnesse: si
morirebbe di freddo.
3) Giallo (l’amore a Gesù Abbandonato: Natalia): non si può vender tutto
ed essere fuoco se non si è Gesù Abbandonato.

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igino giordani

4) Verde (la salute: Aletta): non tanto la salute fisica, quanto la salute del
Corpo mistico: essa sta nella presenza di Gesù fra noi.
5) Azzurro (la casa: Marilen): la casa come “ecclesia”.
6) Indaco (la sapienza: Bruna).
7) Violetto (l’aggiornamento: Eli): l’aggiornamento pone tutto in comune
e crea l’unità.
Dai colori vennero fuori gli schemetti, e cioè i quadri per analizzare in
ciascuno queste operazioni, quotidianamente.

la lega

Impressionante era il fatto che quanto più cresceva la pressione degli av-
versari tanto più l’Opera si sviluppava. Senza nessuna pubblicità spontane-
amente accorrevano folle sempre più vaste di focolarini e di simpatizzanti.
Tra essi sacerdoti e non solo italiani; e religiosi e religiose ai quali appariva
evidente che quello spirito giovasse a qualunque regola, dentro qualsiasi
clausura: il benedettino si sentiva più benedettino, la clarissa più clarissa,
il francescano capiva meglio san Francesco e il domenicano si confermava
nella sua vocazione. Circolavano così in un unico circuito di carità i valori
degli ordini più vari e del sacerdozio e del laicato…
Nel 1955 avvenne quello che noi chiamiamo “lo scatto dell’Opera”. At-
torno al nucleo dei consacrati, stava nascendo una comunità di sacerdoti
e religiosi, fusi dall’Ideale comune, che si raggruppavano attorno al padre
Paolo Hnilica (chiamato padre Maria da Chiara): stava nascendo la Lega.
Del pari, sin dalle origini, attorno ai Focolari, si erano venuti disponendo
uomini e donne, avidi di partecipare alla vita di unità; disponendo in cerchi
sempre più larghi, cui si diede il nome di Movimento.
Ordine, Lega, Movimento, erano non tre settori, ma diverse articolazioni
di una medesima vita.
Uscendo un giorno dalla chiesa di San Giuseppe, alla Nomentana
(Roma), Chiara, che vedeva i coniugati sotto il profilo di san Giuseppe e le
vergini sotto quello di Maria e i giovani sotto quello di Gesù, vide in Foco
colui che doveva occuparsi dei protestanti. Si era lontani dall’ecumenismo

nuova umanità 228 109


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 12

di Giovanni XXIII. In quell’anno Chiara andò con pope e popi a trovare


padre Novo (Andrea Balbo) in Palestina: e fu talmente presa dalla bellezza
dei Luoghi Santi che non si risolveva più a tornare. Tornò solo meditando
che Gesù è in tutti i tabernacoli e quindi lo avrebbe trovato in ogni luogo.
Nella sua crudezza le si parò il dissidio tra le varie comunità cristiane che
si contendevano la pietra del Sepolcro, e bramò di lavorare per l’unità di
esse.
In Terra Santa lasciò Eli e Cengia10 perché accendessero il fuoco. I due
rimasero circa un anno, fino a quando si profilò una minaccia di guerra. Lo
stesso anno (1955) verso l’autunno si cominciarono a coltivare sistematica-
mente i primi amici di Francia tra cui padre Veuthey a Bordeaux, il quale già
a Roma aveva conosciuto e apprezzato Chiara.
Il 30 aprile, festa di santa Caterina che di ogni donna ravviva quel prodi-
gio di vergine-sposa di sangue lanciata ad amare Dio e a servirlo nell’uma-
nità, si incontrò, nel pomeriggio, presso La Civiltà Cattolica, con padre Lom-
bardi, araldo del Mondo Migliore. Egli aveva chiesto di incontrarsi con lei,
essendo stato colpito dalle parole e sopra tutto da atteggiamenti di religiosi
e preti secolari (circa 40) venuti a Mondragone per un corso settimanale
sul Mondo Migliore, come rappresentanti della Lega, suscitata da Chiara.
La loro unità, la loro carità, la loro sicurezza l’avevano colpito. Stette in collo-
quio tre ore, dalle 16 alle 19. Da prima parlò piuttosto lui; poi parlò piuttosto
lei. Anche lui come tutti gli spiriti liberi, confessò di aver provato la più gran-
de commozione – un colpo – della sua vita, e la notte anche lui non dormì:
rimeditò su quanto aveva ascoltato e prese appunti e cominciò a modificare
nel suo spirito tutta la struttura del suo animo.
Il 7 maggio 1956 fui invitato ad incontrarmi con padre Lombardi, alla
sede del Mondo Migliore, nel palazzo Altieri. Trovai padre Rotondi, suo col-
laboratore, il quale mi confessò che padre Lombardi era rimasto “sbalestra-
to” dall’incontro avuto con Chiara e coi religiosi di Mondragone, pochi giorni
innanzi e che stava rimuginando e cambiando idee e cose in conseguenza
di quell’incontro.
Padre Lombardi poi mi disse anche lui di essere stato edificato e com-
mosso dal contegno di quei religiosi e mi chiese una quantità di notizie sui
Focolari, sulla Lega e sui laici del Movimento, mostrando un interesse e una

110 nu 228
igino giordani

sorpresa assidui, e ritenendosi alla fine «illuminato a sufficienza per potere


chiedere alla Santa Sede di valersi di questi elementi».

chiara e l’ordine di maria

Nel 1956 i sacerdoti, con in testa padre Maria, riuscirono a portare


Gesù Eucaristia nei Focolari, dove viveva più spesso Chiara. Ella si trasfi-
gurò. Non pareva più vivere in terra: viveva nella casa dello Sposo: in cielo.
Viveva per lo Sposo, quasi sfaccendasse, rigovernasse la casa, lavorasse
per Lui. E non tollerava che la casa restasse mai sola, perché ci fosse sem-
pre qualcuno a far compagnia al Divino Ospite. Viveva nel respiro di Lui: si
metteva per ore a pregare, a meditare, a scrivere dinanzi a lui, sì che la sua
unione con Gesù si era fatta più calda e intima, quasi visibile e ininterrotta:
mai che Gesù le uscisse di mente: era giunta ormai a tale immedesima-
zione che qualunque cosa dicesse o facesse, era detta e fatta nello spirito
dell’evangelo, con purezza d’angelo, con amore di apostolo, con umiltà di
figlia della Chiesa.
Nelle pause cantava con la sua voce limpida e tenue, cantava inni di
amore a Lui e a Maria per Lui. Se era stato mai possibile nutrire per lei pen-
sieri men che casti, ora si stava dinanzi lei – e sì che pareva sempre una
giovinetta in fiore – con una trepidazione, a cui soggiacevano anche eccle-
siastici, anche vescovi, anche statisti: ché ella era un tutt’uno col suo Gesù.
Vedendola, ascoltandola, vivendo un’ora con lei, si vedeva e sentiva e si vi-
veva con Gesù. Si era realizzata la comunione e si era fatta l’unità fra lei e
Gesù: e ne era venuto fuori Lui: Lui solo. Pareva anche lei un ciborio vivo,
dentro cui, contornato di preghiera e di amore, viveva Dio solo.

Solo per “interni”.


- Da leggere personalmente dopo essersi raccolti davanti a Gesù.
- Da consegnare poi al capoFocolare perché la custodisca per una
decina di giorni e poi la bruci.
- Rimanga segretissimo il fatto dell’esistenza della cappellina di
Grottaferrata.

nuova umanità 228 111


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 12

Roma, 17 novembre 1956

Carissimi focolarini,
vorrei parlare a voi dell’Ordine di Maria.
Più vado avanti e più mi appare bello, di divina-mariana bellezza,
l’Ordine di Maria.
Vi scrivo dalla mia stanza di Grottaferrata. Ho la porta aperta e di
fronte in quella stanzetta verde sta Gesù Eucarestia, oggi venuto
per abitare sempre con noi.
Non vi nascondo che per me la vita è mutata. Ora mi pare sempre
giorno anche se la sera cala presto in novembre e tutto mi sembra
così pieno.
Ero lì poco fa in meditazione ma non seppi resistere a lungo senza
profonda commozione. Rivedevo con Lui la nostra vita, di noi fo-
colarini e m’apparve così bella e così divina che mi sentii spinta a
scrivervi.
Vedete, noi dell’Ordine di Maria, abbiamo una grande croce, che il
resto dell’Opera11 non ha. Quando siamo entrati in focolare abbia-
mo detto di scegliere Gesù Abbandonato ed Egli subito si presentò.
Sappiamo d’essere amati da Dio, forse prediletti su tanti, sappiamo
d’essere nel cuore della Chiesa, ma su noi, sul nostro Ordine grava
un’ombra… e voi lo sapete: è il S.O.
Gesù non poteva permettere dolore più adatto per noi che siamo
anime spose di G.A.!
Potevamo togliercelo dalle spalle: bastava aderire subito al Mondo
Migliore e saremmo entrati di botto in un movimento approvato che
è messo come fiaccola sul moggio e che il Santo Padre stesso ha
visitato.
Ma a quale prezzo…
Si sarebbe estinta questa luce, sarebbe scomparso l’Ideale, sarem-
mo diventati una cosa bella, ma come le altre.
No, no, noi lo sappiamo: la Luce si paga; la vita, che attraverso di noi
arriva a tante anime, si produce con la morte. Solo passando per il
gelo si arriva all’incendio.
A quanto consta a noi questa Luce dell’Ideale non l’ha nessuno. È
un dono che noi non possiamo misurare! È l’effetto della presenza
di Gesù fra noi che qui si è posto… perché ha trovato povere donne
e poveri pescatori…

112 nu 228
igino giordani

Questa luce salverà il mondo. Lo dicono tanti. E va pagata.


Stringiamoci al nostro Gesù Abbandonato e non cediamolo per
nulla. Ogni qualvolta si mostra (specie sotto questa forma di so-
spensione da parte di chi ci rappresenta la Santa Madre Chiesa)
facciamogli festa!
Dichiariamoci pronti a seguirlo così come Lui vorrà per tutta la
vita ed a continuarlo ad amare dopo morte in quanti riusciamo a
trasmettere l’Ideale nostro, l’Ideale genuino che è solo Quello che
sgorga da quella Piaga.
Raccogliamoci come Maria in dolce meditazione di Lui, profuman-
do la nostra vita di quella serietà e di quel silenzio di chi sa essere
costantemente presso un Moribondo divino che abbiamo scelto
come Tutto nella nostra vita: è Lui il nostro Segreto, il segreto della
salvezza di molti uomini.
Ad altri, specie attraverso l’Opera che dobbiamo servire con pieno
slancio e zelo ardentissimo, diamo la gioia purissima che nasce da
questo dolore – costantemente voluto – la luce che splende da que-
sta tenebra, la rosa fiorita da questa spina.
Questa è la nostra vocazione.
E solo in questa vocazione vi sono sorella e madre.
La Madonna ci benedica

Chiara12

Attendiamo tutto l’Ordine al più presto. Il 1° e 2° ramo a Natale; il


3° all’Epifania.

Nel Natale del 1956, nella dimora di Poggio Tulliano (Grottaferrata)


Chiara ci ha parlato dei disegni che – ha detto – presentava come aspetti di
Gesù: espressioni diverse di una realtà unica. I disegni non so che cosa sia-
no: so che son legati alla persona: qualche cosa di insostituibile. Luci che de-
vono passare attraverso certe persone, che hanno certa salute, certe doti…
Così Chiaretto è sempre padre: e il suo cuore ha da essere come la capanna
di Betlemme che raccoglie tutta l’umanità.
L’Ordine di Maria è una società che si fa perfetta quando c’è Gesù vivo
in mezzo che opera. Esso è espressione dell’umanità, perché ci sono vergini,
celibi, sacerdoti, sposati. I quali vivono tra loro a mo’ della Santissima Tri-

nuova umanità 228 113


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 12

nità, partendo dalla conoscenza di Dio e di sé: in quella sapienza, in questa


repressione dei difetti (castighi, richiami). Chi non ama Cristo sia scomuni-
cato, cioè messo fuori dalla comunità.
La norma è secondo il regno dei cieli; fare la volontà di Dio in terra come
si fa in cielo. L’Ordine è perfetto se è fatta questa volontà in terra. Così
dall’Opera di Maria si può ricevere la legge per ogni società che dovrebbe
nascere. Una figlia, inviata dal Padre, in terra a curare le sue cose.
L’ordine del mondo ha da essere lo specchio della vita di lassù.
Gesù eucaristico è l’opera d’arte viva e vera – il cielo in terra – creato dal
sacerdote, il più grande artista sulla terra, che con alcune parole ama Dio
sulla terra.
Norma per giudicare l’arte viene dall’armonia che noi realizziamo nella
vita tra spirito e corpo. Venendo la direzione dell’Opera di Maria dalle pope
e i popi, la popa diventa Maria, il popo la luce dell’Opera.
Chiara dirige la musica dell’Ordine di Maria guardando lo spartito che è
lassù. Di lassù Gesù le insegna.

città nuova

Nell’estate (1956) dunque si tornò a Tonadico e a Fiera; all’incontro si era


dato per la prima volta il nome di Mariapoli. Il nome lo forgiai io sull’aspira-
zione di Chiara. Organo di comunicazione ciclostilato e redatto da Bruna e
Vita13 – i due esponenti del violetto – fu Città Nuova per i mariapoliti. Il primo
numero illustrato a mano, fatto di tre pagine, uscì il 14 luglio 1956 in ben 70
copie. Nel terzo numero (20 luglio) si dava notizia della visita di monsignor
Yu Pin, vescovo di Nanchino, alla Mariapoli. Nel n. 4 (24 luglio) l’articolo di
fondo era intitolato La sorella del Papa e parlava di donna Elisabetta Pacelli,
venuta con la figliola Elena a stare coi focolarini.
Il giornale uscì in settembre ciclostilato a macchina, in 4.000 copie. Nel
marzo 1957 si stampò col nome di La Rete: nome che presto si eliminò per-
ché rivendicato da una casa editrice di Milano e si sostituì il 20 settembre
1957 col titolo Città Nuova.

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igino giordani

Tra gli ospiti di quell’estate ricordiamo anche l’onorevole Silipo, ex comu-


nista e l’onorevole Tommaso Sorgi, poi focolarino.
Sul primo numero de La Rete uscirono due articoli fondamentali della no-
stra fondatrice: uno divenuto proverbiale che comincia: «È un ideale vano?».
E l’altro sull’arte.
Pure su La Rete dell’aprile 1957 apparve un altro articolo che doveva es-
sere capitale per tutta la comunità: «Cristo dispiegato nei secoli», nel quale
Chiara condensava i suoi concetti di cattolicità distribuita nei vari ordini.
Nel numero seguente ella iniziò Le meditazioni, le quali, pubblicate ano-
nime, divennero subito l’attrazione maggiore del foglio. Raccolte poi in vo-
lume, furono tradotte in più lingue. 60 mila copie in tedesco (non se ne po-
terono pubblicare di più a Lipsia per mancanza di carta) circolarono “oltre
cortina” nel Natale.
La domenica 18 agosto 1957, padre Lombardi, in una visita a Chiara, ebbe
a sostenere l’idea che occorresse riformare la Chiesa: una riforma che inte-
ressava papa, cardinali, vescovi… Chiara non accettò: disse che Gesù non
vede dal cielo il Vaticano, vede i santi; così come all’epoca di sant’Ignazio
vedeva non il S.O. a cui egli era soggetto, ma la Compagnia di Gesù. Non c’è
altro atteggiamento verso la gerarchia che obbedire: chi obbedisce canta
vittoria. E la vittoria non è l’avere riconoscimenti e soddisfazioni: ma conver-
tire anime a Cristo.
E ha spiegato: «Se lei critica papa e vescovi non è nostro capo. Noi vedia-
mo in essi Gesù. Nell’obbedienza abbiamo la nostra vittoria. La quale non è
costituita di riconoscimenti ma dalla coscienza morale d’aver fatto durante
il giorno bene all’anima. Quindi lei obbedisca al Santo Padre. Noi ci siamo
sempre trovati bene a fare così». La soluzione piacque a tutti: ché padre
Lombardi pensava di assumere al Mondo Migliore sacerdoti dell’Ideale: così
l’Ideale sarebbe passato al Mondo Migliore che ne era assalito; anziché es-
sere assorbito dal Mondo Migliore. E avveniva la fusione desiderata da noi
e avversata da tutti: ma nello spirito, non giuridicamente. L’unione giuridi-
ca sarebbe avvenuta quando padre Lombardi fosse divenuto tutto nostro
e dalle sue dichiarazioni alla sala della POA14 si vedeva che lo era divenuto,
avendo presentato il nostro movimento come l’equivalente moderno del
monachesimo, francescanesimo e Compagnia di Gesù15.

nuova umanità 228 115


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 12

i volontari

Nel gennaio del 195716 sorse l’idea dei volontari; «anime prestatesi a servi-
re Gesù da discepoli decisi nel mondo: gente pronta a tutto perché Dio, Gesù,
Maria, il Vangelo, la Chiesa trionfino; un esercito di volontari perché l’amore è
libero; un esercito perché occorre fare una guerra ed edificare una città nuo-
va…», come suona un articolo di Chiara su Città Nuova del gennaio 1957.
Nello stesso numero Chiara annunziava la nascita della prima popa, Dina
Posenato, al Paradiso: con che l’esercito cominciava a rientrare in Patria.
Come si vede l’animatrice non si stancava. La sua fantasia era aggancia-
ta al suo cuore: quindi non si esauriva. E l’intelligenza, illuminata dalla grazia,
convogliava sentimenti e iniziativa verso sbocchi positivi. E questo mentre si
addensavano sempre di più le minacce in proporzione alle audacie.
Quell’anno 1957 difatti si era aperto sotto la minaccia che il Movimento
fosse per essere condannato. Oppure che Chiara sarebbe stata allontanata.
E Chiara vedeva con sbigottimento che 300 figli non parevano capaci di
salvare una mamma mentre una mamma è capace di salvare 300 figli. I suoi
sentimenti erano partecipati da tutta la famiglia la quale sempre più capiva
che senza Chiara sarebbe morta; poiché per il tramite di Chiara attimo per
attimo, le veniva la vita, la sua originalità, la ragione d’essere.
Il dramma appare nella sua nudità in questa lettera di Chiara del 4 aprile
1957:
Grottaferrata, 4.4.1957

Carissimi,

rispondo con una sola lettera alle molte che in questi giorni mi ar-
rivano da voi.
Esse mi dicono quanto voi partecipate alla vita (vita di morte alle
volte) dell’Opera nostra. E vi assicuro che, dopo Gesù Eucarestia,
ogni vostra lettera è l’unico raggio di sole in questa cupa notte che
avvolge, non solo l’anima mia, ma tutta l’Opera.
Gesù vi ricompensi!
Eppure credetemi in questo “orrido” che si profila così frequente-
mente e che culmina in certi dolori di cui voi siete a conoscenza, c’è

116 nu 228
igino giordani

qualche cosa di maestoso, di inesprimibilmente bello: ed è la netta


sensazione che questa è Opera di Dio.
È Opera di Dio perché non è opera nostra, di nessuno di noi.
È Opera di Dio perché, fatta, anche lo strumento di cui Dio si servì,
può essere rimosso.
È Opera di Dio perché chi conosce il vostro cuore, il cuore dei più fra
voi, sa che nessuno ostacolo la potrà frenare. Qualunque cosa suc-
ceda, voi non saprete vedere altro che il volto adorato dello Sposo
delle anime vostre, che solo avete seguito seguendo questa strada
e, abbracciato in forma nuova, in modo nuovo, ma abbracciato, Egli
vi vedrà più puri, più forti, più ardenti, più coscienti, più amanti, più
belli, più soli, più uniti: figli fra i più cari, plasmati dal Suo amore,
illuminati dalla Sua luce, irradianti la Sua luce nel mondo.
Oh! Non temete, piccolo gregge, perché piacque a Dio dare a voi il
regno e il regno suo è là dove le anime si uniscono, passando per la
piaga dell’abbandono.
Vi dico la verità: io non so quello che sarà per quanto riguarda le
cose contingenti di questa terra.
So però molto chiaramente quello che sarà di voi. Ho chiesto a Gesù
un giorno, col cuore di madre di salvarvi e da allora ho sentito una
specie di certezza. Sono certa che Dio vi salverà: e con voi salverà
l’Opera sua. È interesse Suo e voi, molti di voi, vi farete santi.
Questa è la fine di chi ama Gesù Abbandonato senza misura.
Io farò la Sua volontà vicina o lontana da voi, mettendo la mano al
nuovo aratro che Dio mi consegnerà senza guardarmi indietro.
La Madonna che tanto mi ha amato, mi aiuterà a non perder tempo
in ricordi o in ritorni al passato.
Nonostante le mie miserie, sono felice di avere speso 13 anni a cu-
rare così direttamente un’opera che è Sua.
Lei che vi prenderà sotto il Suo manto tutti come figli predilettissi-
mi, prenderà pure me e, dove la volontà di Dio vorrà ci ritroveremo
nel Suo Immacolato Cuore.
Così è la vita… Ma ancora un poco e poi… la Vita!
Voi tutti, come degni figli di Maria, accettate ogni cosa che potrà
succedere dalle Sue mani, ripetendo in piedi il Suo atteggiamento,
il Suo Stabat Mater.

nuova umanità 228 117


alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 12

Ricordate che nulla manca a chi abbraccia Gesù Abbandonato e tie-


ne Gesù in mezzo.
Egli in mezzo salverà ogni cosa, ogni linea della Sua Opera, ogni pa-
rola detta per costruirla.
Questa è la disposizione vostra.
Per il resto, se Gesù vi spinge a chiedere che ci sia risparmiato il
calice, fatelo e fatelo uniti.
Voi sapete la benedizione di una preghiera fatta in unità.
Che sarà poi di una preghiera fatta da creature che Dio ha suscitate
per buttar nel mondo l’Ideale divino dell’unità?
Il mio atteggiamento spirituale è così: in mano di Dio, in mano di
Maria. Facciano ciò che vogliono. Se il mio rimanere servisse alla
vostra santità, mi tengano, se invece il mio andare servisse alla vo-
stra santità mi tolgano. Vi ritroverò tutti, tutti i giorni, nel cuore di
Gesù Eucarestia l’unico grande amore della mia vita e della vostra
anima.
Maria ci benedica

F.to Chiara17

Maternità consapevole, potente: ed era espressa da una creatura che si


presentava come una giovinetta, una adolescente, non solo nel fisico, ma
nella spigliatezza e freschezza dello spirito, rimasto malgrado le prove, gio-
vanile. Davvero: è il peccato che invecchia; non la età, non i dolori: come
Maria.

Fu arcivescovo di Trento dal 1941 al 1962. Cf. L. Abignente, “Qui c’è il dito di
1

Dio”. Carlo De Ferrari e Chiara Lubich: il discernimento di un carisma, Città Nuova, Roma
2017.
2
S.O. sta per Santo Offizio, qui e nelle seguenti pagine.
3
Valeria Ronchetti, focolarina, una delle prime compagne di Chiara.
4
Scritto inedito. Qui si riporta la versione dello scritto così come Giordani lo
trascrisse in queste pagine.
5
Don Pasquale Foresi. Cf. I. Giordani, Storia di Light. 7, in «Nuova Umanità», 223
(2017/3), p. 133.

118 nu 228
igino giordani

6
Cf. I. Giordani, Storia di Light. 6, in «Nuova Umanità», 222 (2017/2), p. 158.
7
Gesù Abbandonato.
8
In questi anni con Ordine di Maria si indicava il primo, secondo e terzo ramo,
cioè focolarine, focolarini e focolarini sposati. Cf. I. Giordani Storia di Light. 7, in
«Nuova Umanità», 223 (2017/3), p. 133.
9
Lapsus: sta per Roma. «L’amore è luce, è come un raggio di luce, che, quando
attraversa una goccia d’acqua, si spiega in arcobaleno, dove si possono ammirare i
suoi sette colori. Tutti colori di luce, che a loro volta si spiegano in infinite gradazio-
ni» (cf. C. Lubich, Una via nuova, Città Nuova, Roma 2002, pp. 65-67).
10
Giulia Folonari (Eli) e Giudo Mirti (Cengia) erano tra i primi focolarini. A volte
Chiara dava ai focolarini un “nome di battaglia”, un soprannome che esprimeva una
caratteristica della loro personalità spirituale e indicava il loro dover essere.
11
L’Opera, oltre all’Ordine, era composta dal Movimento, cioè tutte le persone
che avevano aderito in qualche modo all’Ideale, e dalla Lega, cioè i sacerdoti, e i
religiosi con padre Maria.
12
Scritto inedito. Qui si riporta la versione dello scritto così come Giordani lo
trascrisse in queste pagine.
13
Sono due tra i primi focolarini: Bruna Tomasi e Vitaliano Bulletti.
14
POA è la sigla che indica la Pontificia Opera di Assistenza.
15
Come si vedrà nello svolgimento del racconto, la fusione tra i Focolari e il
Mondo Migliore non avverrà, ma qui Giordani racconta le alterne e complesse vi-
cende che hanno caratterizzato questo periodo.
16
Nel 1956, quando sotto l’incalzare dei tragici fatti d’Ungheria, papa Pio XII
pronuncia l’accorato appello: «Dio, Dio, Dio…», per far risuonare «il nome di Dio
nelle piazze, nelle case, nelle officine…», Chiara accoglie quel grido e sembra fargli
eco affermando: «Occorrono autentici discepoli di Gesù nel mondo. Discepoli che,
volontariamente, lo seguono. Un esercito di volontari, perché l’amore è libero […].
Una società che testimoni un solo nome: Dio».
17
Scritto inedito. Qui si riporta la versione dello scritto così come Giordani lo
trascrisse in queste pagine.

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alla fonte del carisma dell’unità
Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

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alla fonte del carisma dell’unità

Spunti per uno studio


linguistico del testo di
Chiara Lubich Ho un solo sposo

Maria introduzione
Caterina
Atzori Il presente studio avrà come oggetto lo scritto di
Chiara Lubich: Ho un solo sposo sulla terra.
docente di Si tratta, molto probabilmente, del testo più univer-
italiano e latino salmente conosciuto della fondatrice del Movimento dei
presso il liceo Focolari. Di esso, nell’Archivio Chiara Lubich, si custo-
scientifico statale disce l’autografo, di cui si può leggere una riproduzione
“b. touschek” di
grottaferrata autentica – corredata, inoltre, di dipinti e disegni a cura
(rm). membro del di G. Davì – nell’elegante brochure C. Lubich, Ho un solo
centro chiara sposo sulla terra, Città Nuova, Roma 2000.
lubich per il Un estratto dello scritto è stato pubblicato per la pri-
settore “studi ma volta il 20 settembre 1957, sulla rivista Città Nuova1
linguistico-
letterari”. già e, due anni più tardi, in quello che è stato il primo libro a
membro della firma di Chiara Lubich: Meditazioni2.
scuola abbà, Ho un solo sposo è stato ancora riproposto – con di-
per linguistica, verse varianti d’autore – in tutte le successive edizio-
filologia e ni del libro Meditazioni e in altri titoli di Chiara Lubich,
letteratura.
compreso Il grido (Città Nuova, Roma 2000). Proprio in
quest’ultima opera, che Chiara ha voluto fosse «come
un canto d’amore a Gesù Abbandonato», il nostro scrit-
to appare finalmente pubblicato in modo integrale, fede-
le all’autografo che porta la data del 1949.
Le prime ricerche compiute dal Centro Chiara Lu-
bich, anche in vista di una prossima edizione critica del

nuova umanità 228 121


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Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

libro Meditazioni, hanno consentito di selezionare – per quanto riguarda la


storia della redazione del nostro specifico scritto – alcune sue fasi per niente
insignificanti dal momento che attestano il comparire in esso, lungo il tem-
po, di varianti non semplicemente formali3.
Perciò, partendo dall’autografo, sarà opportuno seguirne le successive
rivisitazioni per capire le ragioni delle varianti messe in atto di volta in volta
dalla stessa Autrice o dall’Editore, con suo consenso.

vicenda compositiva del testo:


dall’autografo (1949) all’edizione del 2000

Elenchiamo qui i documenti4 cui faremo riferimento, ai quali, per como-


dità esclusivamente pratica, abbiamo attribuito una lettera dell’alfabeto, in-
dicando tra parentesi l’anno di edizione:

-  Manoscritto autografo Testo A (1949)


- Meditazione, in «Città Nuova» 7 (1957), p. 2 Testo B (1957)
-  C. Lubich, Meditazioni, Città Nuova, Roma 1959, p. 33 Testo C (1959)
-  C. Lubich, Meditazioni, cit., 1959 , pp. 25-26 [modifiche su 1 ed.] Testo D (19656)
6 a

-  C. Lubich, Meditazioni, cit., 199120, p. 28 Testo E (199120)


-  C. Lubich, Il grido, Città Nuova, Roma 2000, pp. 56-57 Testo F (2000)

• Il Testo A (1949): si riferisce al manoscritto autografo, che viene riportato


in versione fotografica (cf. p. 120).
L’originale del testo ci viene consegnato su due pagine autografe (fron-
te/retro di un solo foglio) scritte su carta da lettere intestata “Camera dei
deputati”.
Il foglio, dalle dimensioni di cm 13,5 x 21, si presenta leggermente sgual-
cito e con segni di piegatura in quattro, come se – prima di giungere in archi-
vio – fosse stato conservato per qualche tempo in un portafoglio o in tasca.

122 nu 228
maria caterina atzori

Lo scritto non ha titolo, ma solo una data: 20-9-49; è un testo pulito, che
evidenzia una scrittura lineare, senza alcuna chiosa o correzione, con cinque
parole sottolineate.
Al momento non siamo in grado di dire se sia esistita una sua precedente
brutta copia.
Appare, sull’angolo in alto a destra del foglio, un numero segnato con
matita rossa: 58. Sembra apposto successivamente, probabilmente da
Chiara stessa: forse pensando a una possibile numerazione di scritti vari?

Guardiamo ora alla prima pubblicazione dello scritto e alle successive


edizioni. Rispetto all’autografo è possibile evidenziare le seguenti varianti:

• Il Testo B (1957) è un estratto dell’autografo, ma ha un suo interesse


perché corrisponde a una sua prima pubblicazione (prevede quindi un certo
pubblico di lettori), avvenuta sulla rivista quindicinale Città Nuova. Questo
testo evidenzia tutta la frase iniziale in maiuscolo: HO UN SOLO SPOSO.
A livello lessicale presenta le seguenti varianti rispetto all’originale:

Gesù Crocifisso e Abbandonato vs Gesù Abbandonato


Lui è il Dolore vs Lui è il Peccato, l’Inferno

In particolare segnaliamo l’espunzione delle seguenti frasi:

cpv 6 Perché anch’io ho il mio Paradiso, ma è quello nel cuore dello Sposo mio.
Non ne conosco altri
cpv 9 Ma occorre esser come Lui: esser Lui nel momento presente della vita.

Dal punto di vista strettamente linguistico il testo conserva fedelmen-


te due parole con plurali di sapore arcaico, aggiornate poi nelle edizioni
successive:

angoscie vs angosce
strazii vs strazi

nuova umanità 228 123


alla fonte del carisma dell’unità
Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

• Il Testo C (1959) è importante perché lo scritto viene accolto nel primo


libro di Meditazioni pubblicato dall’Editrice Città Nuova. Riceve come titolo:
Ho un solo sposo sulla terra, ma continua a presentare i tagli e le varianti d’au-
tore già evidenziati per il Testo B.

• Il Testo D (19656) coglie in profondità la potenza poetica del componi-


mento chiariano tanto che il redattore ha sentito il bisogno di visualizzarla
anche graficamente disponendo il testo in 26 versi liberi.
Acquistano così particolare pregnanza alcune parole chiave che, poste in
posizione iniziale anaforica, caricano il testo di forza drammatica:

riga 11 - Mio il dolore


riga 12 - Mio il dolore
riga 13 - Mio tutto ciò che non è pace

riga 15 - Così per gli anni che mi rimangono


riga 20 - Così prosciugherò

Si è sentita inoltre la necessità di inserire, come titolo, la frase paolina


«Non conosco che Cristo e Cristo crocifisso» ( 1 Cor 5, 21).
Anche il Testo D propone le varianti già segnalate per le precedenti edi-
zioni, con espunzione di frasi centrali e finali. In modo particolare segna-
liamo la soppressione del sintagma “di malinconie”, presente invece nelle
altre edizioni. Notiamo, infine, una maggiore frequenza d’uso della lettera
minuscola rispetto alla corrispondente maiuscola in espressioni chiave:

Gesù crocifisso e abbandonato vs Gesù Abbandonato


paradiso vs Paradiso
dolore universale vs Dolore universale
fuoco vs Fuoco

• Il Testo E (199120) riporta la data del manoscritto: 20-9-49. Recupera


inoltre formalmente alcune parole dell’autografo: si tratta di espressioni ar-

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maria caterina atzori

caiche ma di uso poetico, che donano musicalità al testo. Contemplate dalla


lingua italiana del primo Novecento, erano poi cadute in disuso:

colla vs con la
coll’ vs con l’
pel vs per il
collo vs con lo

Il Testo E ripropone come titolo «Non conosco che Cristo e Cristo cro-
cifisso», ma nell’incipit recupera la dicitura “Gesù Abbandonato”. Presenta,
però, ancora una sostituzione nella definizione di “Lui”:

Lui è il Peccato vs Lui è il Peccato, l’Inferno

• Il Testo F (2000), pubblicato nell’anno 2000, riporta fedelmente l’origi-


nale, limitandosi a trasferire in corsivo quanto nell’autografo è sottolineato.
Essendo inserito nel contesto del libro Il grido, tutto dedicato a Gesù Abban-
donato, viene tralasciata la data iniziale.
In questo studio avremo come punto di riferimento il manoscritto au-
tografo, ma ci sarà utile trovare di volta in volta dei punti di contatto con le
diverse edizioni sopracitate.

contestualizzazione storica

Il testo Ho un solo sposo sulla terra fa parte di una raccolta più ampia di
scritti risalenti al 1949-1951 e raccolti sotto il nome di “Paradiso ‘49”5: essi
documentano un momento particolarmente luminoso della vita di Chiara Lu-
bich, iniziato durante l’estate del 1949, quando – lasciata la città di Roma6 – era
rientrata (per un breve periodo di vacanza) nella sua terra natale, il Trentino,
insieme ad alcune delle sue prime compagne e ad alcuni focolarini: durante
tale periodo la troviamo talvolta a Trento, altre volte sulle montagne circo-
stanti, lungo la valle di Primiero. È un’estate ricca di luce intensa, in cui Chia-

nuova umanità 228 125


alla fonte del carisma dell’unità
Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

ra coglie per una grazia particolare «molte verità della fede» e soprattutto
capisce «chi è per gli uomini e per il creato Gesù abbandonato, che tutto
aveva ricapitolato in sé». Ripercorrendo quella “esperienza” a distanza di
tempo lei stessa non esita a dire che «è stata così forte» da pensare che la
vita sarebbe stata sempre «luce e Cielo»7.
Il 20 settembre 1949 deve ritornare in città, probabilmente a Roma, dove
in realtà la ritroveremo all’inizio di ottobre dello stesso anno. È per lei un
«brusco risveglio»8.
Come può infatti «allontanarsi da quel Cielo» in cui erano vissuti? Af-
ferma di sentire l’incapacità di «adattarsi alla terra dopo essersi abituata al
Cielo». Dio non può volerlo9.
Ma Foco [Igino Giordani] la sollecita: deve tornare sulla terra, fra gli uo-
mini, proprio per amore di quel Gesù Abbandonato, che lei stessa gli ha
insegnato ad amare10.
È allora che, «nello schianto e nel pianto», Chiara scrive: «Ho un solo
sposo sulla terra: Gesù Abbandonato».

genere letterario e destinatari del testo

Lo scritto si presenta come una pubblica dichiarazione d’amore a Gesù


Abbandonato, ma, allo stesso tempo, è anche un manifesto programmatico
che dovrà scandire ogni attimo di vita dell’io-narrante e… indubbiamente
di chiunque ne avrebbe seguito l’esempio. Infatti Chiara, pur affermando
«andrò cercandoLo», conclude: «occorre esser come Lui», dove – passando
dall’uso della prima persona singolare all’impersonale “occorre” – sembra
voler coinvolgere nella sua esperienza anche altri.
Considerando la particolare intensità lirica che permea l’intero compo-
nimento, oseremmo definirlo un “inno sacro”. Questa definizione ci sembra
particolarmente opportuna se si tiene conto che il termine “inno” ha ori-
gine nel greco hýmnos. La parola, pur essendo di etimologia discussa, ha
una stretta relazione con Hymēn, “Imene, Dio del matrimonio”, in onore del
quale si cantava.

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maria caterina atzori

La dimensione sponsale nel componimento chiariano oggetto di studio


è più che mai presente, anche se (e proprio perché) ci muoviamo in un con-
testo fortemente mistico.

uno sguardo d’insieme

L’autografo è articolato in nove paragrafi: dal punto di vista sintattico si


tratta di periodi brevi, di natura prevalentemente paratattica, composti da
sintagmi spesso collegati fra loro asindeticamente. Dominano le proposizio-
ni principali, che veicolano una serie di affermazioni iperboliche. Si nota una
notevole ricchezza di sostantivi, molto spesso sinonimi, con abbondanza di
pronomi e di aggettivi possessivi, talvolta sottolineati.
A livello di contenuto tutto il componimento sviluppa un tema unitario:
lo sposalizio mistico dell’io-narrante con lo Sposo, riconosciuto in Gesù Ab-
bandonato.
Sulla base di specifici nuclei semantici individuati, proponiamo di distri-
buire il testo in sei sequenze:

cpv 1: dichiarazione d’amore con esplicitazione di chi è lo sposo


cpvv 2-3: parallelismo con identificazione “suo-mio”
cpv 4: programma di vita: «andrò cercandoLo»
cpvv 5-6: “che cosa è mio”
cpvv 7-8: programma di vita: “prosciugherò”, “passerò”
cpv 9: sparizione dell’io; «occorre […] esser Lui»

Tutto il testo risulta costruito su un continuo rincorrersi e identificarsi dei


due protagonisti:
 (io)11 - lo sposo mio; (io) - Gesù Abbandonato; (io) - Lui;
 ciò che è suo - è mio.
A livello linguistico già questo manifesta l’intimità profonda che lega
l’io narrante allo Sposo. Tale realtà è sottolineata anche dalla delicatezza
di alcune parole, appena accennate, riferite a Lui: «il mio Gesù»; «ho il mio

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Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

Paradiso nel cuore dello Sposo mio»; «per la comunione collo Sposo mio»:
tenerezze di un’anima profondamente innamorata.

spunti di analisi testuale

cpv 1:  dichiarazione d’amore con esplicitazione di chi è lo sposo

cpv 1 Ho un solo sposo sulla terra: Gesù Abbandonato; non ho altro Dio
fuori di Lui. In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra
con l’Umanità.

La struttura letteraria della prima affermazione richiama, forse inconsa-


pevolmente, un contatto biblico con l’imperativo divino: «Io sono il Signore,
tuo Dio […]. Non avrai altri dèi di fronte a me» (Es 20, 2)
Sembra che Chiara voglia innanzitutto rispondere a questa manifesta-
zione esclusiva di Dio, evidenziando però qui un aspetto assolutamente
nuovo di Lui: Lui è l’Abbandonato. Gesù Abbandonato è il “solo sposo”, l’u-
nico Dio: «non ho altro Dio».

Ho un solo sposo sulla terra: Gesù


Io sono il Signore, tuo Dio […].
Abbandonato;
Non avrai altri dèi di fronte a me.
non ho altro Dio fuori di Lui.

L’attributo “Abbandonato”, scritto con la maiuscola, diventa come un


nome proprio, il nome di una persona12. La novità e l’arditezza dell’accosta-
mento di tale attributo a “Gesù” sono documentate anche dal fatto che suc-
cessive redazioni del testo tenteranno di modificare la definizione originaria
sostituendola con l’espressione più tradizionale “Gesù crocifisso e abbando-
nato” (Testo B - Testo C - Testo D) oppure sentiranno la necessità di motivarla
dando alla composizione, come titolo – l’abbiamo evidenziato –, la frase paoli-
na «Non conosco che Cristo e Cristo crocifisso» (1 Cor 5, 21).

128 nu 228
maria caterina atzori

Il Testo E e il Testo F restituiscono invece al nome “Gesù” l’attributo ori-


ginario: Lui è “Gesù Abbandonato”.
La variante non è senza significato: avere come solo Sposo “Gesù Ab-
bandonato” significa che l’io-narrante predilige di Lui non tanto il momento
della crocifissione, come esperienza fisica di morte, quanto piuttosto il mo-
mento trinitario del grido «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
(Mt 27, 46), momento in cui il Figlio di Dio sperimenta di essere abbando-
nato dal Padre: «grido di infinito dolore – affermerà altrove Chiara – nell’u-
manità del Cristo»13.
Segue un’affermazione che sembra paradossale. Si dice che “in Lui”, cioè
“dentro Lui” , “in” Gesù Abbandonato, «è tutto il Paradiso colla Trinità e tutta
la terra coll’Umanità».
Cerchiamo di individuarne la logica interna, partendo dal lessico utiliz-
zato e dal collegamento effettuato tra campi semantici apparentemente
opposti.

tutto il Paradiso colla [con la] Trinità


tutta la terra coll’ [con l’] Umanità

Si nota un parallelismo simmetrico che collega e unisce in un abbraccio


cosmico due dimensioni: la realtà divina nella sua totalità e la realtà uma-
na nella sua totalità: Gesù Abbandonato appare qui lo “stato in luogo” (“in
Lui”), la sintesi, il punto di incontro di Cielo e terra, di Trinità e Umanità
(“con”; “con”).
Questa affermazione è per Chiara un dato certo, a tal punto che non sen-
te neppure l’esigenza di spiegare in modo più ampio quanto scrive. Sembra
piuttosto riferire semplicemente un’esperienza che vive in prima persona,
una trasparente realtà che sperimenta come tale e che si impone da sé.
Noi possiamo solo ipotizzare che in “Gesù Abbandonato” l’umano e il
divino si incontrino perché “Gesù - Dio” (che è “Trinità” e quindi “Paradiso”)
raggiunge l’uomo, gli uomini, tutta la condizione umana, proprio attraverso
la sua esperienza di “abbandono”.
Nel cercare una conferma a quanto ipotizzato ci siamo imbattuti in un
altro scritto di Chiara Lubich che può illuminare:

nuova umanità 228 129


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Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

il Padre mandò il Figlio sulla terra – scrive – a confonderSi con le


cose create, a riassumerle ed a divinizzarle. Gesù, il Mediatore, fu la
causa dello sposalizio dell’Increato con il creato, dell’unità fra crea­
to ed Increato14.

Nel testo Chiara utilizza la parola “sposalizio” e, attraverso il paralleli-


smo, offre come sinonimo di essa un’altra parola: “unità”. Dunque, «Ho un
solo sposo sulla terra» significa: sono una sola cosa con Gesù Abbandonato.
È opportuno notare anche come il primo cpv, tutto dominato dalla figura
di Gesù Abbandonato, con la ripetizione del pronome “Lui”, faccia inclusio-
ne con l’ultimo cpv, dove il pronome “Lui” si ripete ancora per due volte,
quasi a voler contenere tutto il corpo del testo, nel cui centro ritorna ancora
l’espressione:

cpv 1 Non ho altro Dio fuori di Lui. In Lui è tutto


cpv 6 di […] tutto ciò che è Lui e Lui è
cpv 8 occorre esser come Lui: esser Lui

All’intima relazione “io” - “Lui” corrisponde, a livello verbale, un’altra


strettissima relazione che si concentra su due soli verbi, essenziali: “io ho”
- “Lui è”.
È a questa sfera che si collegherà subito strettamente il rapporto
“mio - suo”, che percorre tutto il testo:

io ho uno Sposo - Lui è ⇒ ciò che è suo è mio.

Il parallelismo risulta insistente anche tra i verbi “avere” ed “essere” e


dona al testo una forza centripeta:

In Lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’Umanità,

che troverà poi il suo culmine proprio nella parte centrale del testo:

anch’io ho il mio Paradiso ma è quello nel cuore dello Sposo mio.

130 nu 228
maria caterina atzori

cpvv 2-3:  parallelismo con identificazione “suo - mio”

Facciamo un passo avanti. Ai cpvv 2-3 si legge:

cpv 2 Perciò il suo è mio e null’altro.


cpv 3 E suo è il Dolore universale e quindi mio.

Abbiamo due semplici proposizioni paratattiche, che ruotano ciascuna


intorno all’affermazione “è” e alla presenza simmetrica dei possessivi “suo”
- “mio”.
L’iterazione del concetto “null’altro” crea un rapporto di continuità con
il cpv 1 («non ho altro Dio»). Attraverso queste negazioni perentorie, che
ritroveremo ancora al cpv 6 («Non ne conosco altri»), l’io-narrante sembra,
a prima vista, vivere uno sradicamento dalla realtà semplicemente umana,
terrena: una estraneazione da tutto ciò che non è Lui, un essere in esilio, uno
sperimentare in prima persona quella realtà che diventerà esplicita nella se-
conda parte dell’inno.
Tuttavia, prende ora avvio lo sviluppo di un concetto nuovo, che è la lo-
gica conseguenza (“perciò”) dell’avere uno sposo, o meglio “un solo” sposo:

ciò che è suo è mio.

La sottolineatura del possessivo “suo”, aggettivo ribadito nel verso im-


mediatamente successivo, evidenzia ancora la particolare importanza che
ha “Lui” nel cuore della sposa. Il possessivo “mio” compare qui per la prima
volta, ma ritornerà con insistenza per nove volte, mentre per altre tre volte
sarà usata la forma atona (“mi”) e per una volta si riscontrerà l’uso del fem-
minile “mia”.
Il cpv 3 esplicita che cosa è “suo” «e quindi [ancora logica conseguenza]
mio»: suo è il “Dolore universale”. È “suo”, cioè appartiene a Lui.
Quindi Gesù Abbandonato si connota qui di un aspetto più specifico: è
il “Dolore universale”. Nell’uso della lettera maiuscola leggiamo ancora una
personificazione, un voler individuare nell’universale “dolore” il volto della
persona che si ama come sposo: Gesù Abbandonato.

nuova umanità 228 131


alla fonte del carisma dell’unità
Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

L’aggettivo “universale” sottolinea ancora la dimensione cosmica pre-


cedentemente individuata: «in Lui è tutto il Paradiso colla Trinità e tutta la
terra coll’Umanità». E, nello stesso tempo, sottolinea come quel Dolore è la
sintesi di tutti i dolori molteplici, particolari, che verranno citati più avanti.

cpv 4:  programma di vita: “andrò cercandoLo”

La terza sequenza si apre con un programma di vita:

cpv 4 Andrò pel mondo cercandoLo in ogni attimo della mia vita.

Appare subito evidente uno slittamento nella scelta dei verbi e dei tempi
verbali. Dall’uso esclusivo del binomio “io ho - Lui è” si passa ora all’uso di
un verbo d’azione al tempo futuro: “andrò”, sostenuto dal gerundio “cercan-
doLo”. Viene anche indicato uno spazio: “pel mondo”; e un tempo: «in ogni
attimo della mia vita».
Che cosa “cerca” l’io-narrante? Il pronome atono “Lo” si riferisce mor-
fologicamente al “Dolore universale”, ma, proprio in virtù della personifica-
zione precedentemente rilevata, dal punto di vista semantico il Dolore uni-
versale è ancora il nome proprio di Gesù Abbandonato. Con il verbo “andrò”
il testo acquista ora una forza centrifuga, che porta l’io-narrante ad uscire
fuori di sé, fuori di Lui dentro di sé, per cercare ancora Lui, “Dolore univer-
sale”, “pel mondo”.
Diventa allora interessante osservare come, nonostante il rapporto d’a-
more così geloso, così esclusivo tra l’io-narrante e lo Sposo, questo rapporto
trova ora la sua massima espressione, la sua sublimazione, non in una cella,
ma proprio passando attraverso “il mondo”.
Il testo risulta così frutto di un equilibrio tra un “essere dentro” (il cuore
dello sposo) e un “cercare” ancora Lui “fuori” (nel mondo).
Ciò è documentato anche dalla successiva presenza di altri verbi di mo-
vimento al tempo futuro, che avranno sempre come soggetto l’io-narrante e
che continueranno a liberare nel testo la forza centrifuga sopracitata:

132 nu 228
maria caterina atzori

• “prosciugherò” (cpv 7); “passerò” (cpv 8).

Il programma di vita dell’io-narrante deve essere, infatti, esplicitato nello


spazio (“pel mondo”) e nel tempo («in ogni attimo della mia vita»). Tale di-
latazione conferma la dimensione cosmica che abbraccia il componimento:

tutto il Paradiso colla Trinità e tutta la terra coll’Umanità.

D’altronde è significativo che lo scritto non contenga alcuna citazione


concreta di luoghi o di ambienti. Potrebbe essere ambientato ovunque, in
ogni angolo della terra. Perché questa dimensione cosmica, universale, tro-
va – in realtà – la sua “collocazione”, il suo “spazio”, il suo ambiente vitale e
ideale in Lui: ancora una volta nel cuore dello sposo.
Passiamo ora alla quarta sequenza.

cpvv 5-6: “che cosa è mio”

cpv 5 Ciò che mi fa male è mio.


cpv 6 Mio il dolore che mi sfiora nel presente. Mio il dolore delle anime
accanto (è quello il mio Gesù). Mio tutto ciò che non è pace, gaudio,
bello, amabile, sereno…, in una parola ciò che non è Paradiso. Poiché
anch’io ho il mio Paradiso, ma è quello nel cuore dello Sposo mio. Non
ne conosco altri. Così per gli anni che mi rimangono: assetata di dolori,
di angosce, di disperazioni, di malinconie, di distacchi, di esilio, di
abbandoni, di strazi, di… tutto ciò che è Lui e Lui è il Peccato, l’Inferno.

La quarta sequenza ruota tutta intorno all’aggettivo mio, al verbo è e al


pronome Lui, orientando l’attenzione del lettore sulla iterazione dell’espres-
sione “è mio”, che avevamo già incontrato ai cpv 2-3. Però, diversamente dal
cpv 3, qui la parola “dolore” viene scritta sempre con la lettera minuscola.
Ora il termine non è più direttamente riferito a Gesù Abbandonato, ma a
una creatura: perciò il dolore si esprime concretamente non come un asso-

nuova umanità 228 133


alla fonte del carisma dell’unità
Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

luto, ma nelle molteplici sfumature dei dolori quotidiani che caratterizzano


la condizione umana.
L’io-narrante afferma ora che incontrerà il suo Gesù proprio nel dolore
di chi le sta vicino. L’anonimo mondo si è ora animato di anime accanto. E
lo sposalizio con Gesù Abbandonato – che dovrebbe essere per la sposa il
momento più intimo di unità con Lui – si consuma per l’io-narrante proprio
facendo “suo” (=mio) il “dolore delle anime accanto”.
Emerge fin da questo scritto come il sistema di pensiero di Chiara Lubich
si connoti di una profonda dimensione comunitaria: l’unione con Dio («Gesù
Abbandonato è Dio») passa attraverso chi ci sta accanto. Si legge tra altri
suoi scritti:

Dio - io - il fratello: è tutt’un mondo, tutt’un regno e l’io, ogni io, è


mediatore fra Dio e fratello ed è sacramento, per il fratello, di Dio15.

Chiara Lubich, identificata nell’io-narrante, sembra dunque offrirsi qui


come “sacramento” di Dio, sacramento dell’amore di Gesù Abbandonato
per il mondo.
Scriverà:

Io voglio esser [prendere su di me] la miseria del mondo: la voglio,


la faccio mia, onde redimerla in Misericordia.
E ancora prima:
Ad ogni sbaglio fatto dal fratello chiedo io perdono al Padre come
fosse mio ed è mio perché il mio amore se ne impossessa. Così sono
Gesù. E sono Gesù Abbandonato sempre di fronte al Padre come
Peccato e nel più grande atto d’amore verso i fratelli e quindi verso
il Padre.
Dunque ogni peccato è mio.
Così sono Gesù, Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Difat-
ti il mio amore li paga, bruciandoli16.

Nell’esprimere come accogliere il dolore delle anime accanto, Chiara Lu-


bich sente, però, l’esigenza di spiegare ancora che cosa intende per “dolore”:

134 nu 228
maria caterina atzori

- il dolore è ciò che non è pace,


- il dolore è ciò che non è gaudio,
- il dolore è ciò che non è bello,
- il dolore è ciò che non è amabile,
- il dolore è ciò che non è sereno17.

La successione dei termini è rapida, interrotta a un certo punto da tre


puntini di sospensione, che sembrano quasi evidenziare le molteplici, infi-
nite sfumature del dolore del mondo. La conclusione è: il dolore (⇒ Dolore
universale ⇒ Gesù Abbandonato) è «ciò che non è Paradiso».
Attraverso un climax discendente si è arrivati dunque ad affermare che
Gesù Abbandonato è, nello stesso tempo, tutto il Paradiso e il non-Paradiso.
Come venir fuori da tale contraddizione? A livello linguistico dobbiamo
rinunciare a dare spiegazioni. Sembra più opportuno accettare il paradosso
– tipico del linguaggio mistico – rispettando il mistero che avvolge il testo
e l’esperienza umana e soprannaturale dell’io-narrante. Tuttavia, possiamo
rifarci a un altro scritto di Chiara Lubich che ci sembra particolarmente si-
gnificativo in merito. Si legge:

quando Dio (Gesù Abbandonato) soffrì, tolse da Sé l’Amore e lo


donò agli uomini facendoli figli di Dio. […] Gesù si fece Nulla; donò
tutto e questo tutto non andò perduto ché andò nell’anima degli
uomini. Così veramente Gesù è Mediatore: un Nulla che congiunge
Cielo e terra perché quest’unità l’aveva già operata in Sé.
Ma Gesù, essendoSi annullato per amore del Padre e nostro ed es-
sendoSi annullato fino a farSi peccato, nulla assoluto, inferno, Si ri-
trovò Santo, Tutto, Dio, Paradiso e con Lui fece santi, Tutto, Dio,
Paradiso i fratelli suoi per i quali soffrì e morì18.

Ci sembra di poter trovare in queste parole anche la spiegazione dell’af-


fermazione: «Poiché anch’io ho il mio Paradiso ma è quello nel cuore dello
Sposo mio» (cpv 6).
È a partire da questo stare nel cuore dello Sposo che l’io narrante può
sentirsi «assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di malinconie, di di-

nuova umanità 228 135


alla fonte del carisma dell’unità
Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

stacchi, di esili, di abbandoni, di strazi…»: molteplicità di sfumature di una


sola realtà: «tutto ciò che è Lui».
E a questo punto l’io-narrante può riconoscere di Lui una dimensione
ancora più profonda.
In sintesi, con un procedimento che porta all’estremo il climax già rileva-
to, viene ora confidato che Lui, Gesù Abbandonato, è addirittura “il Pecca-
to”, “l’Inferno”. Lui è “l’Inferno”, cioè esprime nel suo grido d’abbandono ogni
situazione che non è “comunione con Dio”, che non è “Paradiso” 19.
Chiara annoterà in altre pagine:

Perché avessimo la Luce Ti facesti cieco.


Perché avessimo l’unione provasti la separazione dal Padre.
Perché possedessimo la sapienza Ti facesti “ignoranza”.
Perché ci rivestissimo dell’innocenza, divenisti “peccato”. […]
Perché fosse nostro il Cielo sentisti l’Inferno20.

Lui è “il Peccato”, “l’Inferno” perché ha assunto in sé, “in Lui” «tutta la
terra con l’Umanità».
Alla luce di quanto letto, non fa più meraviglia l’affermazione apparen-
temente paradossale («Lui è il Peccato, l’Inferno»), anche se, probabilmente
per la sua arditezza, essa era stata omessa o sostituita nelle prime edizioni
del testo.
Lo scritto Ho un solo sposo, comunque, non trova in questa affermazione
la sua chiusa definitiva. Infatti, già la presenza del verbo assetata innesca un
dinamismo che porta al superamento dell’Inferno.

cpv 7-8: programma di vita: “prosciugherò”, “passerò”

cpv 7 Così prosciugherò l’acqua della tribolazione in molti cuori vicini e per
la comunione collo Sposo mio onnipotente – lontani.
cpv 8 Passerò come Fuoco che consuma ciò che ha da cadere e lascia in
piedi solo la Verità.

136 nu 228
maria caterina atzori

La nuova sequenza ha al suo centro due verbi di movimento: prosciu-


gherò e passerò; il soggetto è l’io narrante “in comunione con lo Sposo”. La
molteplicità degli aspetti negativi precedentemente evidenziati viene qui
sintetizzata da un’unica immagine: «l’acqua della tribolazione», dove il ter-
mine acqua si pone in stretta continuità tra l’assetata del cpv precedente e il
prosciugherò attuale.
Anche il termine anime lascia ora spazio a una nuova espressione scal-
data dall’amore: cuori vicini e lontani. Lo Sposo viene ora definito onnipotente
e ­– si intuisce – Fuoco.
Come è avvenuto il passaggio dal precedente «Lui è l’Inferno» a questa
nuova, diremmo opposta, definizione di Lui?
Anche questa volta sembra non facilmente risolvibile il paradosso dato
da affermazioni che dovrebbero reciprocamente escludersi:

In Lui è tutto il Paradiso colla Lui è il Peccato, Lui è lo Sposo


vs vs
Trinità l’Inferno onnipotente

Tuttavia l’aggettivo onnipotente, attribuito allo Sposo, apre la strada: in-


fatti, esso esprime una qualità esclusiva di Dio. Dunque, si riconferma che
Gesù Abbandonato è Dio.
Esplicitano maggiormente il concetto altri testi di Chiara in cui Gesù Ab-
bandonato è definito nello stesso tempo: Dio Essere, Puro Amore, Puro Spirito,
Non-Essere vestito d’Amore21 .
Perché:

Egli, fatto peccato, fu fatto Nulla. In Lui il Nulla è tanto unito al Tutto
(Dio) che ciò che è dell’uno è dell’altro e cioè il Nulla divenne Tutto:
Gesù Abbandonato è Dio. Gesù-peccato è Dio; Gesù-Nulla è Dio.
Gesù-Inferno è Dio. Dunque il Padre, e chi sta in seno a Lui, dovun-
que vede nulla vede Gesù Abbandonato, vede cioè Se stesso: Dio, e
quindi dovunque vede Dio: Paradiso.
Gesù Abbandonato ha distrutto il peccato e la morte e vi mise: l’A-
more e la Vita.
Gesù Abbandonato aveva infatti riassunto in Sé tutta la vanità e la
riempì di Sé22.

nuova umanità 228 137


alla fonte del carisma dell’unità
Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

Vorremmo soffermarci un po’ sull’affermazione: «Dunque il Padre, e chi


sta in seno a Lui, dovunque vede nulla vede Gesù Abbandonato, vede cioè
Se stesso: Dio, e quindi dovunque vede: Paradiso».
Dall’analisi del testo fin qui effettuata risulta che l’io-narrante ha un solo
Sposo e vede Lui - Gesù Abbandonato ovunque. Dobbiamo dunque dedurne
che il suo spazio vitale, quello che nel testo non viene definito, è “in seno al
Padre”?
Per rispondere a questa domanda, diamo prima uno sguardo complessi-
vo all’ultima sequenza.

cpv 9:  sparizione dell’io; «occorre […] esser Lui»

cpv 9 Ma occorre esser come Lui: esser Lui nel momento presente della vita.

È significativo notare che la dialettica tra “avere” ed “essere” è qui spari-


ta (io ho - Lui è). È sparito l’uso della prima persona singolare.
Nella seconda parte della frase sparisce anche l’esortativo impersona-
le occorre. Sparisce il come. Non esiste inoltre la “e” finale del verbo essere
[apocope]. Domina solo l’espressione esser Lui: due parole, ma divenute una
sola, grazie all’uso dell’apocope. Lo sposalizio mistico sembra essersi con-
sumato anche a livello linguistico.
Completiamo questa impressione evidenziando il climax, attraverso cui
l’io-narrante lascerà il posto a “Lui”:

138 nu 228
maria caterina atzori

esser Lui

occorre esser
come Lui

passerò come
Fuoco

prosciugherò
l’acqua della
tribolazione

Il mio Paradiso è
quello nel cuore
dello Sposo mio

Ci sembra di poter individuare il passaggio chiave proprio in quel «pas-


serò come Fuoco che consuma ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la
Verità» (cpv 8).
Su questo punto, per una maggiore comprensione di cosa significhi il
programma dell’io-narrante, è necessario confrontare il testo Ho un solo
sposo con l’altro, Risurrezione di Roma, stilato da Chiara Lubich pochi giorni
dopo e con il quale presenta strettissimi punti di contatto. Anche lì ritorna
la metafora del Fuoco23, in una dimensione che esprime profondamente la
dinamica dell’amore trinitario. Vi si legge tra l’altro:

Guardo il mondo che è dentro di me e m’attacco a ciò che ha essere


e valore. Mi faccio un tutt’uno con la Trinità che riposa nell’anima
mia, illuminandola d’eterna Luce e riempiendola di tutto il Cielo po-
polato di santi e d’angeli, che, non asserviti a spazio ed a tempo,
possono trovarsi raccolti tutti con i Tre in unità d’amore nel mio pic-
colo essere.

nuova umanità 228 139


alla fonte del carisma dell’unità
Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

E prendo contatto col Fuoco che, invadendo tutta l’umanità mia do-
natami da Dio, mi fa altro Cristo, altro uomo-Dio per partecipazio-
ne, cosicché il mio umano si confonde col divino ed i miei occhi non
sono più spenti, ma, attraverso la pupilla che è vuoto sull’anima,
per il quale passa tutta la Luce che è di dentro (se lascio viver Dio in
me), guardo al mondo e alle cose; però non più io guardo, è Cristo
che guarda in me24.

Cosa ci dicono, dunque, questi documenti?

Sicuramente, anche qui, attraverso la metafora del “Fuoco”, Chiara co-


munica l’esperienza del divino, di Gesù Abbandonato - Dio, e – in Lui e per
Lui – dell’Amore trinitario che l’avvolge e “la vive”. Sicuramente, dunque, lo
spazio da cui scrive il componimento analizzato è quello “in seno al Padre”
se è vero che «il Padre, e chi sta in seno a Lui, dovunque vede nulla vede
Gesù Abbandonato, vede cioè Se stesso: Dio, e quindi dovunque vede Dio:
Paradiso»25.
C’è un ulteriore appunto in cui confida ancora:

Un’anima fatta Gesù, che entra nel Padre e sposa (come Chiesa)
il Figlio, porta in sé tutta la creazione e questa è la sua dote! Sen-
za questa dote Gesù non la sposa. Allora Gesù dona a lei tutto il
Paradiso. E questa è la dote di Lui! E soggiunge: Credemmo e chie-
demmo e ci diede tutto da portar a Lui ed Egli ci darà il Cielo: noi il
creato, Egli l’Increato26.

Il testo ci trasmette l’anelito che ha accompagnato tutta l’esistenza di


Chiara Lubich, la dimensione di quel “Paradiso” in cui ha sognato di entrare
con «molti cuori vicini e [...] lontani».
In comunione con: “un solo Sposo”, Gesù Abbandonato.

1
C. Lubich, Meditazione, in «Città Nuova», 7 (1957), p. 2.
2
Id., Meditazioni, Città Nuova, Roma 1959, p. 33. Il libro conta ora 27 edizioni ed
è tradotto in oltre 20 lingue.

140 nu 228
maria caterina atzori

3
Ciò rientra, d’altro canto, nello stile della Lubich, che spesso ha rivisitato i suoi
testi in funzione di necessità comunicative legate anche al pubblico cui di volta in
volta si rivolgeva. Cf. in merito D. Micalella, L’opera letteraria di Chiara Lubich. Questio-
ni di metodo nello studio dei suoi testi, in AA.VV., Come frecciate di Luce, Città Nuova,
Roma 2013, pp. 53-68.
4
I testi presi in considerazione non esauriscono le varianti in circolazione nelle
varie parti del mondo, ma ne rappresentano i passaggi più significativi.
5
Cf. in merito A. Sgariglia, Prefazione, in AA.VV., Come frecciate di Luce, cit., pp.
5-9.
6
Cf. C. Lubich, Lettere dei primi tempi, Città Nuova, Roma 2008, pp. 219-222.
7
Id., Il grido, Città Nuova, Roma 2000, pp. 55-56.
8
Ibid., p. 56.
9
Cf. C. Lubich, Paradiso ‘49 [1961], in AA.VV., Come frecciate di Luce, cit., pp. 22-
23.
10
Cf. C. Lubich - I. Giordani, “Erano i tempi di guerra...”, Città Nuova, Roma 2007,
pp. 154-156.
11
Abbiamo volutamente messo tra parentesi il pronome personale “io”, perché,
in realtà, è usato esplicitamente solo una volta («anch’io ho il mio Paradiso»); le altre
volte è sottinteso dietro le forme verbali di prima persona (“ho”; “andrò”; “prosciu-
gherò”; “passerò”).
12
È interessante in merito una lettera del 12 ottobre 1958, in cui Chiara, rivol-
gendosi alle e ai focolarini, confiderà: «Il Dio che ha scelto te, che ha scelto voi, si
chiama “Abbandonato”. E questo nome mi si scolpì nel cuore in modo nuovo, più
alto, più solenne. Mi parve divenuto il mio cognome». Cf. C. Lubich, Il grido, cit., pp.
82-83.
13
Ibid., p. 20.
14
C. Lubich, Scritto inedito, 29 luglio 1949; cf. anche «Nuova Umanità», 117-118
(1998/3-4), p. 393.
15
Id., Scritto inedito, 6 settembre 1949; cf. anche «Nuova Umanità», 120
(1998/6), p. 687.
16
Id., Scritto inedito, 27 agosto 1949; cf. anche «Nuova Umanità», 120 (1998/6),
p. 675.
17
Ci sembra significativa tuttavia la presenza – anche se affermata come as-
senza – dei termini di area semantica positiva: la pace, il gaudio, il bello, l’amabile,
il sereno sono attributi del Paradiso. E nel momento in cui vengono pronunciati, si
genera nell’animo di chi legge come una nostalgia di cielo.
18
C. Lubich, Scritto inedito, 24 luglio 1949; cf. anche «Nuova Umanità», 117-118
(1998/3-4), p. 405.

nuova umanità 228 141


alla fonte del carisma dell’unità
Spunti per uno studio linguistico del testo di Chiara Lubich Ho un solo sposo

Cerchiamo di affrontare il paradosso, definendo cosa è l’Inferno per la Chie-


19

sa cattolica. Il Catechismo, documento ufficiale della Santa Sede, designa l’Inferno


come la «definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati» (n. 1033)
e precisa ancora: «La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna
da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato
crea­to e alle quali aspira» (n. 1035). In quest’ottica, è dunque comprensibile che
Gesù Abbandonato sia “l’Inferno”, nel senso che vive l’esperienza dell’Inferno, di
questa “separazione” da Dio, proprio nel momento in cui grida l’abbandono.
20
C. Lubich, Scritto inedito, estate 1950; cf. anche Id., Gesù abbandonato (a cura
di H. Blaumeiser), Città Nuova, Roma 2016, p. 39.
21
C. Lubich, Scritto inedito, 26 settembre 1949; cf. anche «Nuova Umanità»,
103 (1996/1), p. 36.
22
Id., Scritto inedito, 24 luglio 1949; cf. anche «Nuova Umanità», 117-118
(1998/3-4), p. 398.
23
Sul tema ci permettiamo di segnalare il nostro articolo Risurrezione di Roma.
La metafora del “Fuoco”: alcuni spunti di analisi testuale, in «Nuova Umanità», 143
(2002/5), pp. 591-612.
24
C. Lubich, Scritto inedito, ottobre 1949; cf. anche «Nuova Umanità», 102
(1995/6), p. 6.
25
Id., Scritto inedito, 24 luglio 1949; cf. anche «Nuova Umanità», 117-118
(1998/3-4), p. 398.
26
Id., Scritto inedito, 29 luglio 1949; cf. anche «Nuova Umanità», 128 (2000/2),
p. 178.

142 nu 228
in biblioteca

Corrosione. Combattere la corruzione


nella Chiesa e nella società
P.K.A. Turkson - V.V. Alberti, Corrosione. Combattere la corruzione
nella Chiesa e nella società, Rizzoli, Milano 2017

«Ecco il nuovo umanesimo, questo rinascimento, questa ri-creazione


contro la corruzione che possiamo realizzare con audacia profetica. Dob-
biamo lavorare tutti insieme, cristiani, non cristiani, persone di tutte le fedi
e non credenti, per combattere questa forma di bestemmia, questo cancro
che logora le nostre vite»1. È il programma annunciato da papa Francesco
nella sua prefazione al libro intervista al cardinal Turkson, curato da Vittorio
V. Alberti, edito dalla Rizzoli, col titolo graffiante ed esplicativo: Corrosione.
Combattere la corruzione nella Chiesa e nella società.
Non poteva essere scelto un titolo più efficace, che rimanda a un’azio-
ne fisico-chimica il cui effetto è quello di sottrarre lentamente materia, fino
alla totale decomposizione di una struttura. In fondo è quanto accade anche
in un corpo vivente all’atto della sua morte. L’analogia tra corpo vivente e
corpo sociale è immediata, infatti la corruzione non è solo un grave reato
contro il bene comune, ma ha anche una sua dimensione ontologica, perché
pian piano sottrae spazio vitale alla propria coscienza, in una lenta asfissia
della capacità dell’uomo di amare, trasformando i rapporti coi suoi simili in
strumenti del proprio utile. Traslando la riflessione dal piano personale a
quello sociale, la corruzione peggiora il nostro tenore di vita, deteriorando
la qualità di un territorio, della sanità pubblica, della scuola e della cultura,
incentivando al contempo la fuga di cervelli all’estero, per non parlare poi
delle evidenti e drammatiche conseguenze sul piano politico. Ciò ha spinto
autorevoli personalità, tra cui il nostro capo dello Stato, a considerare la cor-
ruzione politica come «un furto di democrazia»2. Probabilmente uno degli
effetti più aberranti della corruzione è proprio quello di rubare risorse ed
energie ai nostri figli privandoli di un orizzonte nella loro legittima aspirazio-

nuova umanità 228 143


in biblioteca

ne lavorativa, culturale e sociale; molto efficace l’espressione di R. Cantone


e F. Caringella: «La corruzione è un furto di futuro, al quale dobbiamo reagire
ogni giorno, con tutte le nostre forze»3.
Il pregio dell’analisi offerta dal cardinal Turkson è forse proprio quello
di partire dalle radici ontologiche di questo male, per valutarne tutte le im-
plicazioni relazionali, sociali e culturali, con un’interessante prospettiva di
riscatto fondata sull’impegno quotidiano di ciascun uomo di buona volontà
e sulla possibilità di diffondere una cultura alternativa di vita, di giustizia e di
pace. La riflessione del presidente del Dicastero per il servizio dello sviluppo
umano integrale parte da un’opportuna precisazione riguardante proprio la
Chiesa come istituzione, rispetto alla quale ritiene necessario che si debba
parlare non di «corruzione della Chiesa» ma di «corruzione nella Chiesa»,
con evidente differenza tra i due sensi. Richiamando il pensiero di papa
Francesco, la corruzione nella Chiesa parte da un atteggiamento di «mon-
danità spirituale»4 che inibisce la possibilità di migliorarsi, di trascendere,
rinchiudendosi in se stessi. Di conseguenza nel proprio intimo accade quello
che capita a una casa dove ogni contatto esterno è reciso e «pian piano l’aria
all’interno si vizierà, si corromperà fino a diventare irrespirabile»5.
A questa espressione fanno ancora eco le dure parole del sommo pon-
tefice pronunciate a Santa Marta: «Peccatori sì, corrotti no»6; e anche quelle
rivolte due anni fa alla popolazione di Scampia (Napoli), con la ormai ce-
lebre espressione: «La corruzione spuzza, la società corrotta spuzza e un
cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, spuzza»7.
Il cardinal Turkson riesce a individuare una sorta di eziologia della corru-
zione, partendo dalle sue radici antropologiche, riconducendo la corruzione
del corpo sociale alla corruzione del cuore dei singoli uomini, con la prima
conseguenza di mercificare la propria persona, tanto da divenire la persona
stessa merce, che si può comprare o vendere. L’abitudine al male finisce
per occultare la propria coscienza, allontanando da sé ogni possibilità di
autocritica o di un ripensamento, in questo si riscontra l’eterno volto della
“banalità del male”. D’altro canto l’unica via d’uscita praticabile è la richiesta
di perdono attraverso un cammino di riconversione della propria mente e
del proprio cuore. Diversamente la propria mercificazione presto condurrà
al senso di onnipotenza, ad atteggiamenti arroganti e utilitaristici, dove la

144 nu 228
Corrosione. Combattere la corruzione nella Chiesa e nella società

libertà della persona umana è asservita al misero tornaconto. Questi atteg-


giamenti perversi portano all’assuefazione e all’abitudine, dove trova posto
solo la costruzione di una visione evidentemente utilitaristica e mercificante
della persona e di ciò che la circonda, per questa ragione pensiero corrotto
e cuore corrotto presto finiscono per sovrapporsi.
Sul piano sociale giungono segnali di segno opposto. Da un lato numerosi
sondaggi evidenziano un crescente interesse dell’opinione pubblica per il fe-
nomeno della corruzione, confermato dai risultati di un’indagine riportata in
gennaio scorso dall’agenzia di stampa Adnkronos che vede in crescita l’indi-
ce di percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica italia-
na. Dall’altro lato l’indagine di Transparency International8 del 2016 colloca
l’Italia ancora al penultimo posto in Europa, a sostegno dei molti che perce-
piscono il nostro Paese in declino economico e morale, e dei tanti giovani
che non riescono a intravedere concrete possibilità di cambiamento9. Eppu-
re sappiamo che è un Paese meraviglioso per ricchezze naturali, artistiche e
culturali, con radici millenarie e per questo dovrebbe avere tutte le carte in
regola per offrire una qualità della vita dignitosa, piuttosto abbisognerebbe
di un sussulto d’orgoglio per riuscire a mettere insieme le tante forze sane
e operose, che non mancano, ma che, di fatto, restano senza voce o prive
d’ascolto. Purtroppo una società avvelenata dalla corruzione fa sì che il de-
naro da mezzo necessario alle attività umane diventi invece idolo, perdendo
il senso delle sue finalità al servizio della persona, per elevarne le condizioni
di vita e accrescere la fraternità. Il denaro, divenuto idolo, crea solo schiavi-
tù. Nel circolo vizioso della corruzione, che lega indissolubilmente vittime e
carnefici, c’è qualcosa che finisce per accomunare entrambi: la schiavitù. È
schiavo chi purtroppo soccombe alla supremazia del corrotto, ma è schiavo
anche quest’ultimo, perché prigioniero della sua stessa idolatria10.
C’è un modo per non cadere in questa schiavitù? Il Vangelo è molto chia-
ro: «Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e ame-
rà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro»11. Da qui l’invito
ad avere coraggio, a costo di restare soli contro l’onda comune del “tanto
fanno tutti così”, anche perché la corruzione crea dipendenza, come una
sorta di droga dalla quale è difficile liberarsi senza un atto di volontà. Pur-
troppo la perdita della consapevolezza di poter cambiare se stessi e quanti

nuova umanità 228 145


in biblioteca

ci stanno attorno conduce inevitabilmente a un atteggiamento di sfiducia


nel futuro e a rafforzare un senso di rassegnazione nichilista. In questo con-
testo anche la politica, nella sua crisi di rappresentanza democratica, finisce
per rinunciare al suo ruolo di guida, ripiegandosi invece sulla gestione del
contingente. D’altro canto gli effetti nefasti della corruzione sono partico-
larmente drammatici sulle persone più povere che, come spesso accade,
finiscono per pagare lo scotto più pesante. Nei Paesi più poveri il dilagare
della criminalità e della corruzione è alla base di regimi politici che tengo-
no la popolazione nell’ignoranza e nell’indigenza, dove il fondamentalismo
viene spacciato per religione, al fine di tenere la popolazione in uno stato di
oppressione. A fronte di una corruzione che tenta di omologare tutti, mas-
sificando e calpestando la dignità di ciascuna persona, non bisogna sco-
raggiarsi ritenendolo un cancro inestirpabile. Alcuni Paesi in quest’ultimo
decennio sono riusciti a contrastare significativamente il fenomeno, grazie
alla messa in campo di strategie efficaci nell’amministrazione della giustizia,
costituendo ad esempio agenzie anticorruzione incisive e attivando la velo-
cizzazione dei processi penali e dei meccanismi di risarcimento12.
Il capitolo conclusivo del libro-intervista al cardinal Turkson si apre con
un’originalissima riflessione sul rapporto tra giustizia e bellezza. La doman-
da di Alberti al cardinale offre una riflessione sulla connessione esistente tra
giustizia, quale contrasto alla corruzione, ed estetica, secondo quel filo d’oro
che unisce classicità e Umanesimo-Rinascimento in una visione inscindibile
tra etica ed estetica, col suo grandioso potere educativo contro la corruzio-
ne13. Questa lettura estetica offre un assist formidabile al suo interlocutore.
Il Giudizio universale di Michelangelo diventa così icona del continuo sforzo
dell’uomo di ascendere, del tenace sforzo di andare oltre, e al tempo stesso
rappresenta anche quel grido immortale contro il male e contro l’ingiustizia.
La riflessione sul capolavoro della Cappella Sistina si conclude con queste
parole: «Uscendo da sé si può andare verso l’altro per migliorare il mon-
do e le nostre vite. La via della bellezza, la via pulchritudinis, è ricerca della
giustizia nella misericordia. È tutta qui la difficoltà, che però è una grande
sfida contro la globalizzazione dell’indifferenza e la cultura dello scarto»14.
Il dialogo si conclude con una formula molto incisiva per contrastare la cor-
ruzione: «Sia […] il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Mali-

146 nu 228
Corrosione. Combattere la corruzione nella Chiesa e nella società

gno»15. Un richiamo netto a pensare, parlare e agire in modo radicale e senza


ambiguità. Sì, sì; no, no è anche il titolo di una nota raccolta di meditazioni di
Chiara Lubich degli anni Settanta16, nella quale l’Autrice ripropone l’attualità
e l’essenzialità del vangelo vissuto nella sua radicalità, con coerenza e senza
mezzi termini: un messaggio di fraternità che resta oggi ancora più attuale
di allora.

Agostino Mazzella

1
P.K.A. Turkson - V.V. Alberti, Corrosione. Combattere la corruzione nella Chiesa
e nella società, Rizzoli, Milano 2017, p. 10.
2
S. Mattarella, Discorso alla giornata mondiale contro la corruzione, in «Avveni-
re», 9 dicembre 2015.
3
R. Cantone - F. Caringella, La corruzione spuzza, Mondadori, Milano 2017, p.
22.
4
Francesco, Meditazione mattutina a Santa Marta, 17 novembre 2015.
5
P.K.A. Turkson - V.V. Alberti, Corrosione. Combattere la corruzione nella Chiesa
e nella società, cit., p. 36.
6
Francesco, Meditazione mattutina a Santa Marta, 11 novembre 2013.
7
Id., Incontro con la popolazione di Scampia e con diverse categorie sociali, Napoli,
21 marzo 2015.
8
Corruption Perceptions Index 2016, reperibile su www.transparency.org.
9
Cf. R. Cantone - F. Caringella, La corruzione spuzza, cit., p. 100.
10
Cf. P.K.A. Turkson - V.V. Alberti, Corrosione. Combattere la corruzione nella
Chiesa e nella società, cit., pp. 142ss.
11
Lc 16, 13.
12
Cf. R. Cantone - F. Caringella, La corruzione spuzza, cit., p. 248.
13
Cf. P.K.A. Turkson - V.V. Alberti, Corrosione. Combattere la corruzione nella
Chiesa e nella società, cit., p. 192.
14
Ibid., pp. 196s.
15
Mt 5, 37.
16
C. Lubich, Sì, sì. No, no, Città Nuova, Roma 1973, qui p. 7.

nuova umanità 228 147


in biblioteca

Introduzione al pensiero politico di Ketteler


A. Lo Presti, Introduzione al pensiero politico di Ketteler, Armando, Roma 2017

L’interesse per gli avvenimenti politici, la storia militare, i fenomeni


sociali e culturali dell’Ottocento si è riacceso in questi anni e promette di
crescere ulteriormente nel prossimo futuro. Più si indaga sulle vicende che
hanno caratterizzato il Novecento e che hanno plasmato l’uomo contem-
poraneo, più si scopre come queste abbiano le loro radici nel secolo prece-
dente. L’Ottocento è il secolo dell’economia industriale e capitalista, della
dottrina marxista, dei movimenti socialisti e sindacali, delle nuove società
metropolitane, delle politiche nazionaliste e delle campagne coloniali, oltre
che della tradizione romantica e delle grandi contrapposizioni concettuali,
dall’Idealismo al Positivismo scientista. Per l’insieme di queste cose, l’Otto-
cento è anche il secolo della “questione sociale”, cioè delle problematiche e
delle condizioni di vita delle masse popolari. Un’epoca complessa e tormen-
tata, dunque, della quale la Chiesa cattolica non poteva essere spettatore
neutrale, nel momento in cui questioni salienti come l’affermazione dei po-
tentati economici, la povertà delle classi proletarie, le politiche egemoniche
dei governi emergevano con forza interpellando le coscienze. La risposta
della Chiesa cattolica, tuttavia, sarà più sollecita in quei contesti nei quali le
problematiche sociali emergono con maggiore evidenza, e sarà più incisiva
laddove potrà contare su personalità particolarmente forti e illuminate. È il
caso della travagliata vicenda tedesca, e della carismatica figura di Wilhelm
Emmanuel von Ketteler, il prelato di nobile famiglia che fu vescovo di Ma-
gonza nonché deputato al parlamento; un protagonista della vita politica
del Paese nella seconda metà del secolo che si impone come una delle fi-
gure di riferimento per la dottrina sociale della Chiesa, un pastore di anime
con lo spessore dell’intellettuale e la passione per la politica. Alla figura di
Ketteler, alla sua attività incessante in campo sociale e alla sua influenza su
quella che sarà l’enciclica simbolo della dottrina sociale della Chiesa, la Re-
rum novarum di Leone XIII, è dedicato il recente saggio di Alberto Lo Presti,

148 nu 228
Introduzione al pensiero politico di Ketteler

dal titolo Introduzione al pensiero politico di Ketteler, pubblicato da Armando


Editore. Da fine conoscitore della dottrina sociale, ma anche del pensiero
politico contemporaneo, Lo Presti mette a fuoco la figura di Ketteler come
emblematica dell’impegno cattolico nell’ambito sociale, ma poco si soffer-
ma sull’ispirazione religiosa del vescovo tedesco, per dedicarsi invece ad
analizzarne le iniziative e le teorizzazioni nell’agone politico del suo tempo.
Articolato in quattro capitoli – rispettivamente dedicati al contesto politico
nel quale il vescovo di Magonza si trova ad agire, alla critica che questi svi-
luppa verso le dottrine socialiste e liberiste, alla realtà sociale del Paese e al
dibattito sull’etica dello Stato –, il libro di Lo Presti tocca solo incidentalmen-
te temi pastorali o teologici e si presenta a tutti gli effetti come un saggio di
politica.

Ketteler avrebbe potuto rifugiarsi nella sagrestia del proprio palaz-


zo vescovile – scrive l’autore – e da lì tirar fuori le migliori perle della
tradizione cattolica, senza lasciarsi troppo coinvolgere dalle crona-
che convulse di quel tempo. Ci fu anche chi reagì così, alla moder-
nità; ma non Ketteler. Il suo pensiero si confrontò con le concezioni
politiche del tempo e le sue analisi furono lucide e scientificamente
fondate.

La Germania, in effetti, è il Paese nel quale si manifestano in modo ampli-


ficato molti dei fenomeni salienti che caratterizzano il secolo – quelli legati
allo sviluppo dell’economia industriale, alle nuove realtà sociali e ai conflitti
di classe – e nel quale la Chiesa cattolica vede minacciata dalle politiche go-
vernative e dagli interessi delle lobby la propria area d’influenza e la propria
iniziativa in campo politico e sociale. Il Paese di Ketteler è quello che, dopo
la fine del Sacro Romano Impero (1803) e la cessione dei principati ecclesia-
stici in parte alla Francia in parte ai nobili tedeschi protestanti, deve fronteg-
giare uno sconvolgimento geopolitico e un indebolimento senza precedenti
dei presìdi cattolici, se è vero che dopo il Congresso di Vienna la Baviera era
rimasta l’unico principato tedesco sotto l’influenza della Chiesa di Roma. Un
assetto politico-territoriale tormentato, quello tedesco, nel quale si diffon-
deranno, agli inizi degli anni Cinquanta, le dottrine di Johannes Ronge per
uno scisma dei cattolici tedeschi e per la fondazione di una Chiesa nazio-

nuova umanità 228 149


in biblioteca

nale, dottrine che proprio Ketteler sarà chiamato a contrastare attraverso


lettere apostoliche e discorsi pubblici. Il tema dell’identità cattolica e del tra-
vagliato rapporto tra la dottrina cristiana e gli interessi nazionali emergerà
drammaticamente da lì a pochi anni con lo scoppio della guerra fra Austria e
Prussia (1866), contro la quale lo stesso Ketteler si batterà con ogni mezzo,
evidenziando l’assurdità di un conflitto che mette due popoli germanici l’uno
contro l’altro, e che martoria la Chiesa romana al proprio interno, conside-
rata la vocazione cattolica dell’Austria e la cospicua componente cattolica
presente anche nella Germania prussiana. Sarà proprio la vicenda bellica
a spingere il vescovo di Magonza verso una riflessione complessiva sulla
politica tedesca nel corso del XIX secolo, contenuta nel suo importante sag-
gio La Germania dopo la guerra del 1866, pubblicato appena finito il conflitto
militare e utile a rilanciare l’attivismo cattolico come elemento di sostegno
e di rigenerazione per le comunità del Paese. La disparità sociale torna ad
essere – sotto la spinta di Ketteler – al centro dell’attenzione della Chiesa
tedesca; e nella conferenza di Fulda nel 1868, alla quale partecipano tutti i
vescovi tedeschi, i temi centrali sono proprio lo sfruttamento del lavoro e la
condizione della classe operaia, temi cardine della “questione sociale” che,
a partire dal 1869, verrà inserita stabilmente come materia di studio negli
ordinamenti didattici dei seminari cattolici. Del resto, il conflitto di classe
era da anni il tema forte della riflessione politica di Ketteler, che già nel 1864
aveva pubblicato la sua opera di maggior peso sotto il profilo politologico,
il saggio La questione operaia e il cristianesimo, nel quale vengono analizzate
criticamente le dottrine liberiste così come quelle marxiste, e nel quale il
pensiero del prelato emerge nella sua originalità. L’approccio cattolico alla
questione sociale non sarà “terzo e neutrale” e nemmeno equidistante, se
è vero che il vescovo di Magonza vedrà nelle lobby e nei potentati liberali
la prima causa dell’ingiustizia e della conflittualità sociale. Scrive Lo Presti:

Il Partito Liberale, sottolineò fin dalle prime pagine de La questione


operaia e il cristianesimo, aveva occupato gli spazi della rappresen-
tanza politica, dell’informazione giornalistica e dell’insegnamento
accademico, creando un sistema di controllo dell’opinione pubblica
che era al servizio degli interessi del capitale e ingannava le masse
operaie.

150 nu 228
Introduzione al pensiero politico di Ketteler

La classe imprenditoriale tedesca lavorava ormai per un unico obiettivo,


quello di affermare il dominio del capitale e l’organizzazione della società
sulla base degli interessi elitari, della logica del profitto, della gerarchia di
valori della classe dominante. Se la critica del capitalismo pone Ketteler in
sostanziale sintonia con le analisi di Marx ed Engels, non per questo la solu-
zione socialista verrà da lui legittimata. Egli vede nella spinta rivoluzionaria
e nel modello socialista, più che un’alternativa logica e reale, una reazione
fisiologica, una risposta speculare all’aggressività con la quale il sistema
liberista impone il proprio modello. Questa intuizione verrà approfondita
e articolata fino all’inizio degli anni Settanta, in un contesto che vede una
polarizzazione sempre più estrema delle posizioni liberali e socialiste e che
vede crescere, insieme con il dominio economico capitalista, la conflittualità
sociale.

Polemizzare con il liberalismo trionfante non era facile – scrive Lo


Presti – eppure Ketteler non solo riprese i temi anti-liberali già so-
stenuti nel volume del 1864, ma andò oltre, mostrando l’inconsi-
stenza filosofica e politica del pensiero liberale tedesco e i danni
che stava producendo nella società. Fra questi danni, uno era il
socialismo, che definì “figlio bizzarro” del liberalismo, rinviando al
mittente la critica che il cristianesimo, con la sua concezione della
proprietà privata di impronta tomista, fornisse una base etica alla
teoria socialista.

La sollecitudine di Ketteler nei confronti delle istanze operaie si svilup-


pa su due piani paralleli: da una parte, si volge a considerare gli strumenti
per il miglioramento delle condizioni di lavoro ivi compreso lo sciopero, che
riconosce come strumento necessario per il miglioramento dei salari e quin-
di per il riconoscimento del lavoro come espressione della persona umana,
e come valore da difendere anche al cospetto delle logiche industriali che
tendono a sostituire la manodopera con sistemi sempre più meccanizzati;
dall’altra parte, il pensiero di Ketteler si applica a forme di organizzazione
del lavoro alternative rispetto agli assetti del sistema industriale che vede
una sempre più rigida contrapposizione tra capitale e forza lavoro. Il saggio
di Lo Presti rivela, a questo proposito, un episodio particolarmente interes-

nuova umanità 228 151


in biblioteca

sante, relativo al progetto per la costituzione di “associazioni produttive”


che, dotate di un credito finanziario minimo per l’avvio dell’attività, avrebbe-
ro potuto gestire piccole fabbriche in forma cooperativa sottraendosi così al
giogo del padronato. Il progetto verrà sottoposto da Ketteler alla valutazio-
ne del leader socialista Lassalle, quasi a prospettare una formula alternativa
di organizzazione della produzione sulla quale potessero convergere l’ap-
proccio conflittuale di matrice socialista e lo sforzo di emancipazione di ispi-
razione cattolica. La proposta, presentata da Ketteler in forma anonima per
motivi di discrezione e d’opportunità, non avrà riscontro da parte di Lassalle,
evidentemente ignaro della personalità che aveva formulato la proposta e
quindi delle potenti implicazioni politiche che questa avrebbe potuto avere.
Il tema della libera iniziativa e del ruolo che le forme associative mosse da
“fini onesti” debbono poter avere nella società moderna restano un tema
centrale nel pensiero del vescovo di Magonza, che peraltro opera, negli ul-
timi anni della sua vita e dopo la sua elezione a parlamentare, in una Ger-
mania dominata da una politica di Bismarck contraddittoria: concessiva nei
confronti della classe industriale, e nello stesso tempo statalista e repressi-
va su temi salienti come quelli dell’educazione scolastica e della libertà reli-
giosa. Nel clima aspro del Kulturkampf, promosso dal cancelliere tedesco, la
battaglia parlamentare di Ketteler si svolgerà nell’ambito del Zentrumspartei
(il partito d’ispirazione cattolica), soprattutto per un’equa riforma del lavoro
e dell’assistenza sociale, e avrà in von Galen il suo continuatore dopo la ri-
nuncia al seggio da parte di Ketteler e dopo la sua morte nel luglio del 1877.
Quindici anni dopo la scomparsa di Ketteler vedrà la luce la Rerum novarum,
enciclica cardine dell’impegno cattolico sui temi politici e sociali. Il saggio di
Lo Presti – puntuale ed esaustivo anche in questa analisi – rileva come in nes-
suna parte del documento pontificio sia espressamente citato il pensatore
tedesco, e come il documento stesso riveli una particolare preoccupazione
per i disordini sociali, che Ketteler aveva considerato invece inevitabili nella
società contemporanea (come noto l’enciclica non legittima il diritto di scio-
pero laddove il realismo pragmatico di Ketteler lo aveva invece interpretato
come una conseguenza fisiologica del disagio delle masse lavoratrici). Tut-
tavia – sottolinea Lo Presti – i temi trattati nella seconda parte dell’enciclica,
soprattutto quelli relativi al rapporto tra i diritti delle libere associazioni e

152 nu 228
Introduzione al pensiero politico di Ketteler

i princìpi generali a tutela del bene comune, sono certamente mutuati dal
pensiero di Ketteler; quel vescovo che era stato raffinato pensatore, ma an-
che energico militante, e che proprio Leone XIII – in un altro contesto – aveva
definito suo “illustre predecessore”.

Girolamo Rossi

nuova umanità 228 153


dallo scaffale di città nuova

Disarmo
di Maurizio Simoncelli / Gianadrea Gaiani
Vincenzo Camporini / Carlo Cefaloni

Un’analisi lucida e documentata sulla corsa agli


armamenti.

A cento anni dalla frattura epocale della Grande Guerra (1914-


1918), primo eccidio industriale di massa, l’umanità assiste ad
una crescita costante delle spese in armamenti. L’instabilità
mondiale, dalla scarsità delle risorse al fenomeno delle migra-
zioni, sposta le frontiere oltre i confini tradizionali degli stati
alimentando la “terza guerra mondiale a pezzi” evocata da
papa Francesco. Chi ricerca ancora la pace secondo giustizia
non può ignorare il decisivo ruolo esercitato dalle industrie
delle armi. Dal monito del presidente statunitense Eisenhower
isbn nel 1961 all’export italiano dei nostri giorni.
9788831109567
pagine
96
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euro 12,00

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nu 228
english summary

controcorrente latory instruments aimed at fighting


corruption, with their good qualities
In the Name (but many shortcomings), are unable
of the Sovereign People by themselves to completely eradicate
A. Lo Presti  corrupt practices. A different cultural
approach is necessary, which must
p. 5
overcome an egotistical logic that sees
A wave of populisms appears to be the other as a mere instrument for the
growing on the international political pursuit of one's own interests.
scene, favoured by the development
of the connection between the worlds
of politics and mass media. We look
to social networks in order to meas- When Laws Are not Enough
ure consensus. There social networks, A. Cosseddu
however, are influenced by particular
­ p. 31
interest groups. We need to continue
to work in order to reinforce democracy In front of a social evil like corruption,
through the growth of a civil society which is so ancient yet so present in
autonomous in the political sphere, ca- the story of humanity, and now very
pable of controlling drifts towards pop- evident in the thought of pope Fran-
ulism. This is a challenge that Christian cis, this essay seeks a possible answer
ethics has been engaged in, and which and a new hope. Without denying the
can represent an antidote to the dema- need for laws and action to combat the
goguery of political leaders. phenome­non, it points to the need for
a renewed cultural model, capable of
expressing a "culture of service" and
"fraternity", to give voice to justice and
Focus humanity. The answer then becomes a
the scourge of corruption response on the part of everyone to the
Juridical Corruption and situation.
Social Erosion
Could Corruption Be the Root of
S. Barbaro
Africa’s Problems?
p. 11
What is corruption? What is hidden
R. Takougang
within this phenomenon? How to fight p. 51
this scourge? This article looks at the More than wars, famine, and even more
problem of corruption by analyzing than the great pandemics, the root of
some statistical data that reveal a still all the problems of Africa is corrup-
worrying reality for our country. The tion. Feeding one’s children, providing
many international and national regu- them with an education and paying

nuova umanità 227 155


english summary

medical expenses are a daily challenge. appropriate sanction, though often the
And poverty becomes misery when, behavior of the parties, which in theory
in granting mining contracts, many of is lawful, can generate illegalities that
which awarded to European and Ameri- must be prevented and sanctioned. The
can multinationals, there is a game of withdrawal of guardianship often pro-
interests that ends with the exploitation vides an opportunity to a change of way
of the producer country. But it will be of behaving, guaranteeing the rights
the Africans themselves who overturn of third parties without frustrating the
the situation when they choose as their achievement of goals.
leaders those who are capable of "dying
for their own people". punti cardinali
scripta manent Duhem and the Christian Origins
of Science
The Trial of Verre
A. Giostra
M.T. Cicerone p. 79
p. 67
The conception of a clear cut distinction
Gazzarra’s book, Processo per corruzione, between science and religion has been
is set in 70 BC, and deals with the trial overcome by the work of some Twenti-
of Verre. Senator Marcus Tullius Cicero eth Century thinkers. Although they laid
brings the case on behalf of the 64 cities stress on the methodological differenc-
of the province of Sicily, which constitute es between those two disciplines, the
the "civil party". They seek justice against idea of their mutual incompatibility has
the abuses and harassment suffered un- been rejected. The French philosopher
der Gaius Verre, Roman governor of Sici- Pierre Duhem explored the medieval or-
ly during the previous three years. An old igin of science and challenged the preju-
story, but very up to date in its contents. dice that science emerged in opposition
to the basic tenets of ­Christian faith.
parole chiave The importance of Duhem’s investiga-
tions lies in having determined a marked
Legality turning point within the dominant posi-
C. D’Alfonso tivistic culture of his time. Duhem joins
the group of those French thinkers
p. 73 who clearly showed the inadequacy of
Legality is both the object and purpose mechanistic scientism.
of an action, determining the way of
acting (legality as intention) and the
outcome desired (legality as guaran-
tee). A typical legal scheme is fixed by
a law that penalizes its violation with an

156 nu 227
english summary

Journeying Together Towards of the movement grows and spreads.


Unity Some important figures who figure in
these pages: father Maria, father Lom-
H. Blaumeiser bardi. The whole story is guided by the
p. 91 golden thread of divine Providence.
What is the best approach for rapid pro-
gress towards Christian unity? And how Some Aspects of a Linguistic
can Chiara Lubich's charism contribute
to this field? These are the questions
Study of Chiara Lubich’s Ho un
that the Author addressed in his talk solo sposo
to the Ecumenical Day Gaandeweg één M.C. Atzori
held on March 18, 2017 in Mariënkroon,
p. 121
Nieuwkuijk, in Holland, in the presence
of 380 people, including the leaders Among the precious handwritten texts
of the main Christian denominations by Chiara Lubich, there is one of partic-
present in the Netherlands. The event ular importance in her personal story.
marked 500 years of the Reformation, The text is Ho un solo sposo: Gesù Ab-
and the seventh anniversary of the bandonato. Drafted on September 20,
death of Chiara Lubich. The article of- 1949, the wording underwent several
fers a both a stimulus for reflection and important revisions, marking significant
ideas for ecumenical practice. milestones in the story of Chiara and of
the Focolare Movement. This study of
a linguistic-literary nature focuses on
alla fonte del carisma dell’unità the variations that accompanied and
characterized the successive versions
Story of Light. 12. of the text, from the handwritten text
The Church as Mother (1949) up to its inclusion in the book Il
I. Giordani grido (2000).
p. 101
in biblioteca
The Holy Office begins its study of the
nascent Focolare Movement. A period p. 143
great suffering begins: Chiara accepts
every trial with adamantine faith in the murales
love of God and of the Church, which G. Berti
she recognizes as mother and to which
she demonstrates an absolute and to- p. 160
tal obedience, at whatever cost. At the
same time she wisely guides those who
follow her to live everything with this
same attitude. In t he meantime, the life

nuova umanità 227 157


dallo scaffale di città nuova

Formazione e sviluppo
dell’individualità
vol. 16
Opere complete di Edith Stein
di Edith Stein

A cento anni dalla frattura epocale della Grande Guerra (1914-


1918), primo eccidio industriale di massa, l’umanità assiste ad
una crescita costante delle spese in armamenti. L’instabilità
mondiale, dalla scarsità delle risorse al fenomeno delle migra-
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non può ignorare il decisivo ruolo esercitato dalle industrie
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dallo scaffale di città nuova

nuova umanità 228 159


murales
di Giovanni Berti

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