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Prossimo numero 236

Vivere fino alla fine 235


Altro che riti di scongiuro! Di fronte all’ultimo passaggio
della vita della persona servono un amore superiore
e una cura competente.
235
nuova umanità trimestrale di cultura
Nel prossimo
numero
impareremo
come.

Immigrazione e multiculturalismo nuova umanità


controcorrente
L’Europa e le sue nuove sfide – G. Iorio

Focus
Immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni e Stati-nazione - R. Catalano
Migrazioni africane - G. Albanese
Rifugiati e profughi in Medioriente - B. Cantamessa
América y migración - G.A. Leal
I rohingya e il Sud-Est asiatico - G. Ritinsky
scripta manent
Interdipendenza planetaria - C. Lubich
parole chiave
I quattro verbi di papa Francesco – R. Catalano

punti cardinali
Il bene come fine della persona in Maritain - S. Pinna
Myriam, donna ebrea - G.M. Porrino
Fondata da Chiara Lubich nel 1978, alla fonte del carisma dell’unità
Nuova Umanità è una rivista multitematica Cultura e culture nella mistica
che, alla luce del carisma dell’unità, di Chiara Lubich - G.M. Zanghí
dialoga con le prospettive culturali Discorso inaugurale della Summer School
del mondo contemporaneo. Sophia - C. Lubich
Storia di Light. 19 - I. Giordani
in biblioteca

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235

nuova umanità trimestrale di cultura


rivista fondata da Chiara Lubich nel 1978

controcorrente
L’Europa e le sue nuove sfide - G. Iorio______________________ » pp. 5-10
A distanza di qualche mese, l'Autore riflette sugli esiti e le conseguenze delle recenti
elezioni europee. Tre sono i risultati che emergono: 1) la partecipazione aumenta;
2) i sovranisti perdono e restano divisi; 3) gli europeisti vincono, non i tradizionalisti
Ppe e Socialisti, ma i nuovi europeisti dei Liberali e Verdi, che intercettano il voto
dei giovani. Nelle conclusioni l’Autore sottolinea che, al di là dei rapporti di forza
elettorali, l’Europa deve guardare oltre se stessa, recuperando il sogno di essere
all’altezza delle sfide dell’umanità, quello che animava i padri (e le madri) fondatori.

Focus
Immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni e Stati-nazione. Le contraddizioni di un mondo
in movimento - R. Catalano_________________________________ » pp. 11-19
A causa dei processi migratori, il mondo è polarizzato fra chi cerca di cambiare
dimora in nome del diritto alla libertà di sceglierla e chi è impegnato a impedirglielo
in nome del diritto alla sovranità sul proprio territorio. Gli Stati-nazione, nati per
assicurare e difendere i diritti umani, sono ora quelli che li negano a chi cerca una
sopravvivenza. La categoria di Stato-nazione mostra tutte le sue crepe. Il fenomeno
non è solo europeo, ma sembra che proprio il vecchio continente sia quello a soffrir-
ne maggiormente, alla ricerca come è della sua identità.

Migrazioni africane - G. Albanese__________________________» pp. 21-26


La mobilità umana africana è un fenomeno che si manifesta prevalentemente all’in-
terno del continente. È comunque sempre più evidente che i tratti caratteristici della
geopolitica africana influenzano la fenomenologia migratoria. In particolare, vi sono
due fattori che pesano sul presente e sul futuro del continente africano: la povertà
endemica che affligge vasti settori delle popolazioni autoctone e il deficit di virtuo-
sismo da parte delle leadership locali. L’Africa continua ad essere la metafora di una
versione, riveduta e corretta, del colonialismo.

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sommario

Rifugiati e profughi in Medioriente - B. Cantamessa _________ » pp. 27-34


Un’indagine giornalistica sulla situazione e sui numeri di profughi e rifugiati in Me-
dioriente. A partire dal dato mondiale ufficiale 2018 (68,5 milioni), una valutazione
complessiva alla luce dei dati conosciuti (Unhcr) e le ipotesi su quelli non quantifi-
cati e sull’impatto reale che il fenomeno provoca nei Paesi in guerra e in quelli confi-
nanti. L’analisi si sofferma soprattutto sulle situazioni nei principali Paesi mediorien-
tali coinvolti dal fenomeno – Turchia, Siria, Iraq, Iran, Libano, Giordania, Cisgiordania
e Gaza, Yemen e Kurdistan –, anche attraverso un’intervista al direttore generale di
Caritas Giordania, Wael V. Suleiman.

América y migración. El reto de construir puentes en lugar de muros


- G.A. Leal ______________________________________________ » pp. 35-44
Per quali ragioni il dibattito politico sembra riscuotere un certo successo quando
si esprime con demagogia e violenza verbale? È evidente che, in corso, c’è un con-
fronto serrato fra culture politiche. La dignità della persona e le virtù sociali non
possono cedere spazio all’impulsivo ricorso alla dialettica che cerca di sopraffare
l’avversario. Il saggio esamina le sfide connesse a tale confronto fra culture ed
etiche sociali.

I rohingya e il Sud-Est asiatico. L'odissea di un'etnia


- G. Ritinsky _____________________________________________ » pp. 45-58
Più di un milione di sfollati di etnia rohingya si trova nei campi profughi di Kutupa-
long e Nayapara, in Cox’s Bazar, al confine tra Bangladesh e Myanmar. Le cause
di questa vera e propria pulizia etnica derivano anche dalla storia della regione e
il testo del professor D.G.E. Hall sulla storia del Sud-Est asiatico ci permette di
coglierne qualche pennellata importante. Tutta la regione è ricca di etnie a cui
viene negata una patria: quella dei rohingya è solo una delle tante storie di popoli
schiacciati ed emarginati di cui non si scrive sui media. I rohingya e le altre etnie
represse, come i kachin, rappresentano non solo un problema del Sud-Est asiati-
co, ma di tutta l’umanità. E la comunità internazionale è chiamata a dare risposte
e soluzioni di pace durature.

scripta manent
Interdipendenza planetaria - C. Lubich ____________________ » pp. 59-61
I carismi hanno una valenza profetica e Chiara Lubich ci offre un esempio signifi-
cativo per i nostri giorni. I passi che proponiamo dimostrano come già nel 2004,
quando i grandi processi migratori attuali erano appena iniziati, la donna trentina

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sommario

avesse intuito la portata storica del fenomeno. Non solo lo ha decodificato fra le
righe della storia, ma, attraverso la spiritualità nata dalla sua esperienza cristiana,
ha offerto una metodologia per vivere il fenomeno come un’opportunità e non come
una minaccia.

parole chiave
I quattro verbi di papa Francesco - R. Catalano_____________ » pp. 63-80

punti cardinali
Il bene come fine della persona in Maritain - S. Pinna_______ » pp. 81-104
A partire dalle intuizioni filosofiche di Jacques Maritain e sulla scia di un tomismo
vivente, Charles Journet (1891-1975) indaga intorno al rapporto tra grazia e libertà,
che solleva complesse questioni teologiche quando l’azione umana produce un pec-
cato. L’innocenza di Dio davanti al mistero del male permette di cogliere la grandez-
za della libertà della persona, la quale non è mai abbandonata, perché nella grazia,
donata a ogni creatura, sono conferiti la giustizia e l’amore salvifico divino.

Miryam, donna ebrea - G.M. Porrino_______________________» pp. 105-117


L’articolo si propone di far scoprire al lettore lo sfondo veterotestamentario di vari
testi del NT che presentano la figura di Maria, la giovinetta ebrea, madre di Gesù di
Nazareth. Gli evangelisti Matteo e Luca, ma anche Giovanni, partendo dalla rivela-
zione centrale della resurrezione di Gesù, hanno usato figure, tematiche e simboli
dell'AT per delineare i tratti del volto di Miryam. La luce del Figlio risorto getta luce
sul volto della madre sua. Si scoprono così varie figure di donne dell'AT, ma anche
forti simboli biblici, che trovano compimento in colei che la Chiesa primitiva ha rico-
nosciuto come vergine, madre credente e discepola del Figlio suo.

alla fonte del carisma dell’unità


Cultura e culture nella mistica di Chiara Lubich
- G.M. Zanghí __________________________________________ » pp. 119-129
Introdotto da Giuseppe Maria Zanghí, si riproduce lo storico discorso che Chiara
Lubich fece all’inaugurazione dell’Istituto Superiore di Cultura Sophia, il 15 agosto
2001. Nell’introduzione si mettono in rilievo gli aspetti del carisma che Dio ha do-
nato a Chiara Lubich e l’influenza che questo ha esercitato per il rinnovamento della
cultura cristiana.

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sommario

Discorso inaugurale della Summer School Sophia.


Per una cultura dell'unità - C. Lubich _______________________» pp. 131-139
L’esperienza mistica vissuta da Chiara nel ’49 introduce l’umanità nell’intimo della
vita di Dio, creando una cultura nuova in cui Gesù è presente come mediatore tra
l’umano e il divino. Il testo di Chiara Lubich tratteggia la grande novità della Realtà
mistica e spirituale in cui è stata introdotta, fornendo gli strumenti per coglierla.
Viene in rilievo che con Chiara, col suo carisma, Dio indirizza l’umanità verso una
cultura della risurrezione.

Storia di Light. 19. L’Opera cresceva ogni giorno…


- I. Giordani _____________________________________________» pp. 141-154
Giordani sviluppa ora due punti fondamentali della storia del Movimento dei Foco-
lari: il percorso che ha portato all’approvazione da parte della Chiesa, travagliato e
sofferto, ma costellato di punti luminosi; e il cammino fatto da quello che allora si
denominava terzo ramo: i focolarini coniugati. Anche qui un cammino fatto di fati-
cose conquiste, contemporaneo al lavoro che il Concilio Vaticano II stava facendo
in quegli anni, volto proprio a valorizzare il ruolo dei laici nella Chiesa. Questi due
punti sono inframmezzati da poetiche pennellate di Giordani sulla figura di Chiara.

in biblioteca
All’ombra del Principe fiorisce la politica?
- S. Passaggio __________________________________________ » pp. 155-158

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controcorrente

L’Europa e le sue nuove sfide

Tra il 23 e il 26 maggio scorso i cittadini europei dei


28 Stati hanno eletto il nuovo Parlamento europeo for-
Gennaro mato da 751 parlamentari. Oltre 400 milioni di persone
sono state chiamate ad esprimere il loro orientamento
Iorio politico e a eleggere i propri rappresentanti. L’impor-
docente di tanza della tornata elettorale è stata sottolineata dalla
sociologia crescita della partecipazione al voto. Era dal 1979 che
e sociologia l’affluenza ai seggi calava costantemente, raggiungen-
dell’innovazione do il valore minimo del 42,6% nel 2014. Questa volta la
all’università
partecipazione è balzata al 51%, passando dall’88,5%
degli studi
di salerno. del Belgio al 22,7% della Slovacchia. In Italia l’affluenza
membro della è stata del 54,5%, qui in diminuzione (il 57% nel 2014).
international Comunque parliamo di oltre 200 milioni di votanti. Già
sociological questo dato ci dice che l’Europa è tornata ad essere
association.
nell’opinione pubblica un attore rilevante, degno di at-
membro
del centro tenzione popolare e non solo per politici e intellettuali.
interdisciplinare Certo, la strada da percorrere è ancora tanta. In una
di studi democrazia matura non si possono accettare tassi di
scuola abbà partecipazione elettorale appena sopra la metà dell’e-
e del gruppo
lettorato. Però l’aumento ci dice che l’Europa è tornata
internazionale
social-one. ad essere “posta in gioco” nella percezione della gente,
cioè qualcosa che conta per la vita dei cittadini.
Il Parlamento europeo ha tre fondamentali funzio-
ni: legiferare per le competenze previste dai trattati,
controllare l’operato della Commissione, redigere e
controllare il bilancio dell’Unione di 145 miliardi di
euro. In questa elezione, per la seconda volta, gli otto
gruppi politici europei indicano anche il nome del fu-
turo presidente della Commissione. Manfred Weber

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controcorrente
L’Europa e le sue nuove sfide

per i popolari europei, Frans Timmermans per i socialisti e democratici,


Margrethe Vestager per i liberal-democratici, Ska Keller e Bas Eickhout
per i verdi.
L’attesa per questa tornata elettorale è stata dibattuta, perché per la
prima volta le forze politiche europeiste correvano il rischio di non forma-
re una maggioranza per governare l’Unione, incalzate dalle forze politiche
euroscettiche e anti-immigrati, diffuse in tutta Europa. Inoltre, il Regno
Unito ha eletto 73 dei 751 seggi, perché il processo di uscita dall’Unione
non si è realizzato secondo i programmi. Poco prima delle elezioni, infatti,
il capo del governo Theresa May ha annunciato le sue dimissioni dalla
carica di primo ministro. La tornata elettorale è arrivata dopo la grande
crisi economica del 2008-2017, la crisi migratoria del 2015, il dibattito
sulle restrizioni della libera circolazione delle persone, sul cambiamento
climatico, sulla transizione energetica. Molti hanno visto in questa torna-
ta un referendum sulla sopravvivenza dell’Europa stessa, perché le divi-
sioni tra i Paesi dell’Est e dell’Ovest si sono approfondite sulla questione
dei confini esterni, e quelle tra il Nord e il Sud sulla questione del debito
sovrano e della crescita economica.

risultati elettorali

Assumendo un punto di vista europeo, c’è subito da notare che i tre


gruppi sovranisti a Strasburgo rimangono sostanzialmente stabili rispetto
alla composizione del 2014. Le formazioni politiche di Europa delle Nazioni
(con la Lega, italiana, e i francesi di Rassemblement National), dei con-
servatori-riformisti (include i conservatori inglesi e i polacchi di Legge e
giustizia e gli spagnoli della destra estrema Vox) e di Libertà e democrazia
diretta (con Cinque stelle e Ukip) aumentano solo di 10 seggi, grazie ai 22
conquistati dalla Lega in Italia, mentre nel resto dell’Unione gli euroscettici
arretrano. La grande paura della loro avanzata, alimentata dalla Brexit, non
è stata confermata dal voto. Tuttavia a Bruxelles non si festeggia, perché
comunque Marine Le Pen vince in Francia, l’Ukip di Nigel Farage è il primo
partito in Inghilterra, Viktor Orbán arriva al 56% in Ungheria (anche se è

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gennaro iorio

nel Ppe) e in Polonia il partito di Jarosłav Kaczyński arriva primo, come la


Lega in Italia. Sul fronte pro-Europa i partiti tradizionali arretrano, ma non
hanno una battuta d’arresto. Il Partito popolare europeo, di centrodestra,
è quello che fa registrare la maggiore contrazione, passando dai 216 seggi
del 2014 a 179, perdendo circa il 5%, ma restando il partito di maggioranza
relativa. La contrazione si è registrata perché la Cdu tedesca perde il 7%
dei voti, così come in Francia i popolari perdono 10 seggi e anche Forza
Italia arretra rispetto alle passate elezioni. Il Ppe guadagna in Romania,
Ungheria, Grecia, Svezia, Austria e Lituania. Quindi, il baricentro del Ppe
pende verso l’Est europeo.
Sul fronte del centrosinistra, i socialisti e democratici passano dai 185
seggi del 2014 ai 153 del 2019, perdendo circa il 4%, il risultato è dovuto al
dimezzamento dei voti del Pd in Italia e dai socialisti in Francia, che non sono
stati compensati dalle vittorie della sinistra in Spagna, Portogallo, Bulgaria,
Malta e Olanda. Dal punto di vista del peso relativo, si può dire che il gruppo
dei Socialisti e democratici ha uno spostamento nei Paesi del Sud Europa.
Il dato nuovo è che la grande coalizione socialisti-popolari non ha una
maggioranza per governare l’Unione, così come è stato dalla nascita del
Parlamento di Strasburgo. Insieme sommano 232 seggi, mentre ne servi-
rebbero 376.
A guadagnare dal declino degli europeisti “tradizionali” sono invece i
“nuovi europeisti”, in particolare liberal-democratici e verdi. L’Alde si affer-
ma ottenendo 105 seggi, rispetto ai 77 della passata legislatura, facendo
un balzo di 28 unità. Il risultato positivo è dovuto soprattutto all’ingresso
della formazione politica En Marche del presidente francese Emmanuel
Macron e degli spagnoli di Ciudadanos. Il partito del presidente Macron,
seppur arrivato secondo in Francia dopo il partito di Marine Le Pen, ha fatto
crescere numericamente la presenza dei liberal-democratici. L’Alde cresce
anche per i seggi ottenuti in Inghilterra e in Danimarca, nella Repubblica
Ceca e in Polonia, ma il suo centro gravitazionale è la Francia e, provvi-
soriamente, la Gran Bretagna. I verdi sono il quarto gruppo a Strasburgo
conquistando 69 seggi, aggiungendone 17 a quelli ottenuti nel 2014, per
la crescita registrata soprattutto nell’Europa del Nord, sostanzialmente in
Germania, ma anche in Lituania, Belgio, Irlanda e Scozia.

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controcorrente
L’Europa e le sue nuove sfide

cosa accade

Subito dopo le elezioni si sono aperte le trattative per comporre il


quadro delle responsabilità del governo dell’Unione. Ora che sono arriva-
te le indicazioni dal popolo, i gruppi politici dovranno comporre il quadro
delle responsabilità individuando le persone che possano interpretare
le indicazioni dei cittadini europei. Il termine è il 31 ottobre, giorno nel
quale scadono i mandati delle presidenze della Commissione, dell’Alto
rappresentante per la politica estera e della Bce. Non sarà facile trovare
un equilibrio politico, geografico e di genere. Gli osservatori non escludo-
no che si andrà a fine anno per comporre un quadro che è diventato più
complesso rispetto al passato.
Infatti, il risultato elettorale imporrà un’inedita coalizione di governo a
tre, se non a quattro, cioè ai tradizionali due gruppi politici maggiori dei
popolari europei e dei socialisti, si aggiungeranno i liberali e molto proba-
bilmente anche i verdi. Un’alleanza che godrebbe di un grande margine di
seggi rispetto ai 376 necessari per la maggioranza.
Se le forze sovraniste non hanno avuto la meglio, è stato grazie a una
mobilitazione della società civile che non ha visto precedenti nell’opinio-
ne pubblica europea, espressa soprattutto nella forma dei tanti manifesti
pro-Europa da più parti lanciati: chiese, intellettuali, personalità politi-
che, associazioni, sindacati. L’affluenza record ha così arginato “l’onda
nera” e ha premiato gli europeisti. Secondo gli istituti demoscopici è stata
in particolare la voce dei giovani a erigere la diga, mobilitati al voto per
impedire che si compromettesse il loro futuro. In Germania, ad esempio,
un giovane su tre ha votato per i verdi. Lo stesso è accaduto in Francia.
L’effetto Greta e il movimento ambientalista dei giovani pare abbiano
avuto i loro effetti.
La nuova geografia elettorale si riverbererà sui rapporti politici. Dopo
le due crisi vissute in Europa, finanziaria del 2008-2017 e migratoria del
2015, il Consiglio europeo e il Parlamento hanno aumentato entrambi il
peso politico a spese della Commissione. Il che vuol dire che il metodo
intergovernativo (rappresentato dal peso del Consiglio) prevarrà su quello
europeo (rappresentato dalla Commissione). Accanto a ciò, ovviamente,

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gennaro iorio

la Germania con il Ppe, la Francia con l’Alde e la Spagna con i Socialisti e


democratici saranno quelle che prenderanno l’iniziativa politica europea.
L’Italia sarà politicamente all’opposizione parlamentare, punto di riferi-
mento della minoranza sovranista, che non è neanche coesa al suo interno.

prospettive e possibilità

L’agenda dell’Europa non è difficile da immaginare. Sicuramente le


politiche ambientali avranno maggiore peso, le scelte fiscali e monetarie
saranno più accomodanti rispetto al tempo dell’austerità, le politiche del-
la concorrenza più attente a impedire l’elusione fiscale dei colossi della
gig economy, la politica estera più sensibile ai conflitti presenti in Africa e
in Medioriente, ma anche a ciò che accade in America Latina e al confine
con la Russia.
Ciò che l’Europa deve ritrovare è il “sogno”, suscitato e spinto dalle
tragedie delle guerre mondiali e dai totalitarismi, che ha sperimentato
nel secolo scorso. Il sogno europeo è espresso dal desiderio di unità
di 28 nazioni che raccolgono circa 500 milioni di abitanti e l’economia
più sviluppata del pianeta. Uno spazio in cui i cittadini godono delle più
alte protezioni sociali, hanno la più lunga aspettativa di vita, una mi-
gliore istruzione, più tempo libero, e il degrado sociale e la criminalità,
presenti, ma meno diffusi che in altri continenti. Tutto ciò è stato possi-
bile perché, insieme alle tragedie, l’Europa è stata un grande laborato-
rio dove pensare il futuro dell’umanità legato allo sviluppo sostenibile,
all’integrazione sociale, alla libertà politica. L’Europa è stata, la radice
di concetti costitutivi la modernità come la responsabilità individuale, il
libero mercato, lo Stato-nazione, la libera ricerca scientifica, la libertà
religiosa e la laicità della politica. Ovviamente l’Unione europea non è
esente da difficoltà e debolezze, né i suoi nobili princìpi sono immuni da
ipocrisie. Ma l’importante è che oggi l’Europa offre all’umanità una nuo-
va visione del futuro, all’altezza delle sfide poste dalla società globale,
una visione alternativa della vecchia utopia americana e del dirigismo
tecnocratico cinese. Il sogno europeo è potente perché pone attenzione

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controcorrente
L’Europa e le sue nuove sfide

ad aspetti come la qualità della vita, la sostenibilità, la pace e la fra-


ternità. Una civiltà sostenibile basata sulla qualità della vita, piuttosto
che sull’illimitata accumulazione individuale di ricchezza, si regge ade-
guando la produzione e il consumo alla capacità della natura di riciclare
e rigenerare le risorse naturali. L’Europa con le sue sfide e il suo carico
di incertezze non promette la “fine della storia”, ma l’inizio di una storia
diversa. Una storia diversa di cui sono portatori i giovani nuovi europei-
sti, che fanno della liberazione dalla prigione del materialismo del Set-
tecento illuminista un suo tratto distintivo. Il nascente sogno europeo
rappresenta le più alte aspirazioni dell’umanità a un futuro migliore.
Una nuova generazione di europei porta su di sé le speranze del mondo
e ciò conferisce ai popoli d’Europa una responsabilità speciale, come
quella dei padri fondatori, quando da diverse parti del globo si guardava
all’Europa come a una speranza: l’immigrazione oggi è anche questo.
L’augurio è che la fiducia non vada delusa. Questa nuova nascente ge-
nerazione di europeisti deve saper coniugare il sogno con le soluzioni
tecniche ed economiche, così come i grandi strateghi dell’Unione, da
Monnet a Schuman, da Adenauer a Delors, a Prodi, hanno saputo fare.

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focus. immigrazione e multiculturalismo

Migrazioni e Stati-nazione
Le contraddizioni
di un mondo in movimento

Roberto
Catalano non un fenomeno nuovo,
condirettore ma un segno dei tempi
del centro
per il dialogo Le migrazioni non sono una novità. Sono sempre
interreligioso esistite nella storia dell’umanità, caratterizzando i
del movimento molteplici e costanti cambiamenti e sviluppi, spesso
dei focolari.
professore presso assolutamente inattesi. Con ogni probabilità, conti-
la pontificia nuano e continueranno a essere parte della vita del
università genere umano. Tuttavia, non si può negare che il fe-
urbaniana (roma), nomeno, in questi nostri giorni, abbia raggiunto pro-
presso l’istituto porzioni probabilmente sconosciute fino ad oggi, tan-
universitario
sophia di loppiano to che i migranti nel mondo – calcolati attorno ai 258
(figline – incisa milioni1 – sono definiti il “sesto continente”2 . Non solo.
in val d’arno, Il loro numero è in crescita costante in ogni parte del
firenze) e presso globo3 . Di fronte a queste cifre assistiamo a un feno-
l’accademia meno pieno di contraddizioni. Si potrebbe dire che il
di scienze umane
e sociali di roma. mondo sia polarizzato fra chi cerca di cambiare dimo-
ra in nome del diritto alla libertà di sceglierla e chi è
impegnato a impedirlo in nome del diritto alla sovrani-
tà sul proprio territorio. Si sta sviluppando sempre più
una sindrome dell’“altro”, del “diverso”, del “migran-
te”, visto come la fonte di tutti i problemi e le crisi at-
tuali. Per questi e molti altri motivi la questione migra-
zione interroga l’uomo del nostro tempo e lo fa come
individuo e comunità, come persona e come nazione,

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni e Stati-nazione. Le contraddizioni di un mondo in movimento

come appartenente a una certa cultura e, eventualmente, seguace di una


religione o, anche, come persona senza un riferimento religioso.

migrazioni, mobilità, incontro-scontro e meticciato

I nuovi processi migratori sono la causa principale di una triplice serie


di sviluppi che stanno avendo luogo in molte parti del mondo. La mobilità,
il più evidente fra i molteplici aspetti delle migrazioni, è la causa diretta
di una pluralità4 che ormai caratterizza quasi tutti gli angoli del pianeta
e che, a sua volta, provoca una varietà di forme di “incontri fra diversi”.
Proprio tali incontri portano, spesso, a scontri e conflitti. La vera causa di
questo tipo di tensioni è da individuare in quello che i sociologi chiamano
oggi “identità reattive”, un meccanismo innescato dall’incontro recipro-
co di differenze e di diversi, all’interno del quale ciascuno, cercando di
recuperare identità apparentemente perdute, reagisce ad alcune carat-
teristiche dell’altro. Queste identità reattive, spesso conducono ad atteg-
giamenti di chiusura, che, a loro volta, provocano conflitti generati dalla
diversa identità.

migrazioni e stati-nazione: la contraddizione


sulla salvaguardia dei diritti

Sebbene già notevolmente articolata da questi fenomeni, la situazio-


ne è ancora più complessa e tantomeno può essere spiegata con quanto
certa narrativa dominante – quella che insiste sulla necessità di “salvare
le identità” e di garantire la sicurezza – fa apparire. I processi migrato-
ri, infatti, almeno in Occidente, stanno mettendo a nudo una profonda
crisi di identità, in particolare dell’Europa. Al centro di questa crisi non
c’è solo l’individuo. È un processo che investe lo Stato moderno, lo Sta-
to-nazione, fulcro del potere politico, dove la sovranità si esercita sulla
nazione e sul dominio del territorio5 . Le migrazioni sono l’elemento che

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sta provocando – o forse semplicemente portando alla luce – la crisi di


questo sistema. I migranti e i processi che li coinvolgono soprattutto ver-
so l’Occidente – Europa e Stati Uniti – ne rappresentano una minaccia
pericolosa. Infatti, da una parte, gli Stati-nazione affermano il diritto di
disporre dei propri confini anche facendo uso della forza6 a scapito di
coloro che vorrebbero varcarli in nome di emergenze. Dall’altra, i mi-
granti smascherano la crisi dello Stato-nazione e lo costringono, suo
malgrado, a ripensarsi. Le migrazioni oggi sono portatrici di una vera
carica sovversiva7. E questo porta sentimenti di paura, rifiuto dell’altro,
sospetto e timore nei confronti del diverso.
Infatti, i processi migratori, nonostante certa retorica politica di ca-
rattere sovranista e populista, hanno ormai messo a nudo la grande con-
traddizione dei nostri giorni. Da un lato, si sono polarizzati gli Stati-na-
zione nati per assicurare e difendere i diritti umani di cui si sono fatti
paladini, soprattutto con la fine del secondo conflitto mondiale del secolo
scorso. La pretesa di questi Stati va oltre i propri confini. Esigono, infat-
ti, di garantire i diritti umani anche in Paesi lontani e in altri continenti.
Al contempo, questi stessi Stati-nazione sono diventati sempre più rigidi
assertori e difensori delle rispettive frontiere per custodire quel territorio
sul quale vive la propria comunità, che si sentono chiamati, per vocazione,
a difendere. Dall’altro lato, i migranti minacciano la sicurezza che le fron-
tiere dovrebbero garantire e, sebbene il diritto a migrare sia iscritto nella
Dichiarazione fondamentale dei diritti umani, in nome della sicurezza dei
propri cittadini e del proprio territorio e della propria cultura, gli Stati-na-
zione chiudono le frontiere, compiendo un atto discriminatorio forte che
separa cittadini da stranieri. L’Europa, in questo contesto, appare stretta
in una morsa fatta di ostilità e un giorno, probabilmente non lontano, si
racconterà che la patria dei diritti umani ha rifiutato l’ospitalità a decine
di migliaia di uomini e donne a cui avrebbe dovuto offrire accoglienza
perché ormai senza-patria, in fuga dalle tragedie che si perpetravano nei
loro Paesi: Siria, Eritrea, Sudan, Afghanistan. Era ed è gente che tenta di
sottrarsi alla fame, alla desolazione, alla morte, e il continente paladino
dei diritti umani e della civiltà ha negato loro l’asilo8 .

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni e Stati-nazione. Le contraddizioni di un mondo in movimento

ospitalità, paura e cinismo

Sembra, quindi, che il mondo, governato da un ordine globale Sta-


to-centrico, giustifichi la pretesa di gestire i propri confini a qualsiasi costo
contro chi vuole attraversarli.

In tale contesto stato-centrico, le condizioni restrittive e limitanti


l’ospitalità [sono] dettate da una implicita ostilità di fondo. Il mi-
grante che compare alla frontiera è percepito innanzi tutto come
uno straniero pericoloso, un nemico nascosto e clandestino, un
selvaggio invasore, un potenziale terrorista – non certo un ospite9.

Lo Stato e la sua sovranità diventano, quindi, il vero ostacolo al solo


pensiero della possibilità delle migrazioni e giustificano la chiusura ai mi-
granti in nome della norma – la sovranità dello Stato, appunto – che de-
termina la presenza migratoria come un fenomeno deviante e irregolare.
In tale contesto, l’ospitalità scompare come categoria sociale possibile e,
tacciata di buonismo, viene, quando non del tutto interdetta, confinata ad
ambiti privati o di carattere religioso10. Il gesto dell’ospitalità, infatti, è or-
mai diventato assurdo agli occhi della maggioranza degli abitanti degli Sta-
ti-nazione europei e questo spiega la crescita esponenziale dei partiti e dei
gruppi nazionalisti e populisti con atteggiamenti sovranisti. Ed è interes-
sante notare come a scontrarsi con l’ospitalità sia, come detto, la mentalità
liberale, quella che ha fatto della morale il suo cavallo di battaglia, che si
esprime nella lotta per i diritti umani. Proprio questa mentalità, paladina
dei diritti all’interno del suo territorio e, in modo pretenzioso e spesso vio-
lento, anche su quello di altri dove ha scatenato guerre in nome proprio di
questi diritti umani, si scontra con l’idea e la prassi dell’essere ospitali.
Il risultato di questi processi è chiaro e devastante per il genere umano:
«L’ospite potenziale è stato stigmatizzato a priori come il nemico. Ha avu-
to la meglio la paura, ha prevalso il cinismo della sicurezza»11. Per questo
l’Europa, e l’Occidente in generale, costituiscono il continente della paura
in quella mappa originale, ma veritiera, che Dominique Moïsi ha definito la
“geopolitica delle emozioni”12. Proprio il sentimento della paura ha spinto
l’Europa ad abdicare a una politica comune dell’accoglienza.

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roberto catalano

Accogliere è diventato un tabù. La migrazione è stata sempre più


stigmatizzata come una patologia da rimuovere in nome della
realtà della nazione. Si è immaginato di fermare i “flussi migratori”
amplificando i controlli e rafforzando le barriere13.

In effetti, l’apparizione, l’arrivo dell’altro è sempre un fatto che non


lascia tranquilli, è inquietante, rompe la normalità e la quotidianità. Co-
stringe ad uscire da se stessi per accogliere dentro di noi, ma anche nel-
la comunità. Allora, diventa quasi spontaneo chiudere i confini, in nome
della sicurezza. Infatti, non si può ospitare senza essere certi del proprio
“essere” o, ancor meglio, del proprio “ben essere” 14. Qui sta la radice della
retorica delle varie declinazioni della categoria trumpiana dell’America first.

globalizzazione e muri: contraddizione della nostra era

Ed eccoci a un’altra contraddizione del nostro mondo attuale. La glo-


balizzazione sembra aver abbattuto tutte le frontiere, soprattutto quelle
economico-finanziarie e digitali, ma ne ha create e irrigidite altre, quelle di
fronte a coloro che osano lasciare il loro territorio diventato impossibile da
abitare a causa di elementi naturali o di eventi creati dagli uomini. Sembra
anche qui che non tutti abbiano lo stesso diritto a superare le barriere fron-
taliere. Per alcuni diventa una colpa perché minaccia il diritto alla sicurezza
di altri. Per difendersi da questi non solo si chiudono le frontiere, ma si
alzano i muri. Dopo il crollo di quello di Berlino, di cui si è recentemente
celebrato il trentennale, ne stano sorgendo dappertutto: fra Usa e Messico
non solo nell’era Trump, ma già con l’amministrazione Bush Jr., fra Ceuta e
Melilla, per non parlare di quello voluto da Orbán in Ungheria.
Eppure, sembra che non molti si rendano conto che, come fa notare
Wendy Brown, il muro è segno di una sovranità avviata irrimediabilmente
al tramonto e che, dunque, ha bisogno di una sorta di teatralizzazione
per pretendere di salvare identità e destino15. La scelta del muro implica
conseguenze durature solo per chi ha paura dell’altro. Non si deve di-
menticare che «l’idea di una Europa o di un qualsiasi Stato come fortezza

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni e Stati-nazione. Le contraddizioni di un mondo in movimento

non è proponibile» perché le fortezze, prima o poi, vengono espugnate16


e i muri crollano, come ci ha insegnato la storia in tempi neppure troppo
lontani da noi.

oltre l’occidente

Quanto descritto finora caratterizza, in modo particolare, anche se non


esclusivo, il mondo occidentale, specialmente l’Europa. Ma le ondate migra-
torie che arrivano nel vecchio continente non sono che una parte del feno-
meno, che rivela ben altre cifre in altri angoli del pianeta17. Nel Mediorien-
te, per esempio, Turchia, Libano e Giordania. In Asia, i processi migratori
contano milioni di profughi in Pakistan, Bangladesh, Myanmar, Thailandia,
ma anche Filippine e in altri angoli dell’immenso continente. Il tutto per non
parlare di Africa, Mesoamerica e Sud America, dove recenti catastrofi natu-
rali o belliche (Sud Sudan, Repubblica Centrafricana) o, ancora, crolli econo-
mico-finanziari (Venezuela) stanno determinando scenari da esodo biblico.
Questo Focus della nostra rivista vuole proprio proporre di uscire dal
bacino mediterraneo e dalla Mitteleuropa per dare uno sguardo su quanto
avviene negli altri continenti. Proponiamo, quindi, alcune letture su Me-
dioriente, Mesoamerica, Africa e Asia, senza pretendere di esaurire il fe-
nomeno migrazioni. L’intenzione è quella di smitizzare una certa narrativa
esclusivamente eurocentrica riguardo al fenomeno in questione. È il mondo
che sta cambiando proprio a causa di interi popoli che si stanno spostando.
I fenomeni a cui si accenna sono altrettanto complessi e chi li tratta, spesso
profondo conoscitore della realtà in cui vive o ha vissuto per anni18, cerca
di presentarli nella rispettiva fattualità, inserendoli non solo nel contesto
migratorio globale, ma anche in quello più specificatamente locale. Come
si noterà, manca in queste presentazioni una lettura critica di carattere so-
cio-culturale a cui siamo abituati nel nostro continente. Questo elemento
non è casuale. Può essere motivo di riflessione aggiunta. In nessun caso,
infatti, il bacino di accoglienza dei processi migratori sta attraversando la
profonda crisi di identità che l’Occidente vive e che è messa a nudo dagli
attuali sviluppi storici.

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roberto catalano

Infatti, il nostro continente si sta sempre più interrogando su cosa si-


gnifichi essere europei. «Europei dobbiamo esserlo davvero»19, afferma il
filosofo Adriano Fabris. Ma per esserlo è necessario aver chiaro anzitutto
chi siamo: comprendendo le nostre relazioni con gli altri cittadini europei
e le radici comuni che ci legano reciprocamente e allo stesso tempo con i
nuovi che sono arrivati su questo territorio, con i quali sempre più dobbia-
mo interagire20.

L’ottica da privilegiare è quella che porta […] al superamento dell’i-


dea di un “noi” e di un “loro” chiusi in sé e reciprocamente contrap-
posti, allo scopo di mettere in opera le condizioni perché sorga un
sempre più grande – e universale – “noi” che tutti ci accomuni. 21

In questa complessità in cui vive la nostra Europa e il mondo, intendia-


mo anche offrire, in questo Focus, una proposta cristiana di approccio a
queste problematiche, cercando di scandagliare nell’insegnamento magi-
steriale e vitale di papa Francesco, il cui papato ha intercettato questa fase
migratoria senza precedenti.

1
Cf. Building Trust: the Challenge of Peace and Stability in the Mediterranean,
Report, Ispi, 2018, p. 104 (www.ispionline.it/it/pubblicazione/building-trust-chal-
lenge-peace-and-stability-mediterranean-21624).
2
Cf. T. Dell’Olio, Il sesto continente, in «Mosaico di pace», 17 gennaio 2014,
www.mosaicodipace.it/a/39591.html.
3
Sono passati da 173 milioni nel 2000 a 244 milioni nel 2015 (cf. UN, Depart-
ment of Economic and Social Affairs, International Migration report 2015, New York
2016).
4
È bene distinguere multiculturalità da pluralità, soprattutto in riferi-
mento al contesto che qui si tratta. Il pluralismo è riferito alle cosiddette mi-
noranze tradizionali o nazionali che erano presenti sul territorio al momento
della formazione degli Stati-nazione. Tale pluralismo linguistico e culturale, ca-
ratteristico di alcuni Paesi europei, tutelato dalle rispettive Costituzioni, «nasce
da una storia comune» e, dunque, «si è dimostrato integrabile in visioni d’in-
sieme della vita collettiva» (G. Zagrebelsky, La virtù del dubbio, in C. Galbersani-
ni, The Volk is back? Spunti di riflessione per un’Europa multiculturale ed inclusiva,

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni e Stati-nazione. Le contraddizioni di un mondo in movimento

in «Sophia», X [2/2018], pp. 211-221, 214). Parlare di multiculturalismo significa, in-


vece, soprattutto in contesto occidentale ed europeo, riferirsi alla presenza di nuove
minoranze che, per via dei fenomeni migratori degli ultimi decenni, hanno modifica-
to progressivamente la composizione etnica, linguistica, culturale e religiosa della
società (cf. C. Galbersanini, The Volk is back? Spunti di riflessione per un’Europa mul-
ticulturale ed inclusiva, pp. 214-215, cit.; P. Bilancia, Società multiculturale. I diritti delle
donne nella vita famigliare, in Studi in onore di Aldo Loiodice, Cacucci Editore, Bari 2012,
p. 1; L. Mancini, Società Multiculturale e diritto italiano. Alcune riflessioni, in «Quaderni
di diritto politico ed ecclesiale», 1/2000, p. 1).
5
Gli Stati-nazione nascono con il primo conflitto mondiale del secolo scorso,
in corrispondenza del crollo dei tre grandi imperi che per periodi più o meno lunghi
erano serviti da coagulante decisivo fra diverse nazioni. Con il crollo nel giro di pochi
anni – si potrebbe dire quasi in contemporanea – dell’Impero ottomano, di quello
russo e di quello austro-ungarico, cambia radicalmente il volto dell’Europa. I vari
trattati di pace diedero vita appunto a Stati-nazione, la maggior parte dei quali non
avevano una popolazione omogenea, e avviarono un processo di grandi migrazioni
interne. Si spostarono circa un milione e mezzo di russi bianchi, un milione di greci,
mezzo milione di bulgari, settecento mila armeni, per non parlare delle migliaia di
tedeschi, ungheresi, rumeni e altri. Ma molti restarono dove si trovavano, dando vita
alle cosiddette “minoranze nazionali”, che sono rimaste una vera spina nel fianco
dell’Europa per un secolo.
Da questi sconvolgimenti nel cuore del vecchio continente, emerge un proble-
ma chiave: non era possibile avere dei diritti per chi non fosse cittadino di una nazio-
ne. I diritti garantiti dalla cittadinanza in uno Stato-nazione erano, dunque, negati a
chi ne avrebbe avuto maggiormente bisogno perché indifeso e non protetto (cf. D.
Di Cesare, Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione, Bollati Boringhieri, Tori-
no 2017, pp. 46-47). Nasceva, nel cuore dell’Europa dei diritti, una contraddizione
congenita allo Stato-nazione che avrebbe portato a quella che la Arendt definirà
la grande questione politica della modernità: l’apolidia (Cf. H. Arendt, Le origini del
totalitarismo, trad. it. di A. Guadagnin, Edizione di Comunità, Torino 1999, p. 372).
6
Cf. D. Di Cesare, Stranieri residenti, cit., pp. 20-21.
7
Cf. ibid., p. 21.
8
Cf. ibid., p. 108.
9
Ibid., p. 23.
10
Cf. ibid., pp. 23-25.
11
Ibid., p. 108.
12
Cf. D. Moïsi, Geopolitica delle emozioni. Le culture della paura, dell’umiliazione e del-
la speranza stanno cambiando il mondo, trad. it. di S. Caraffini, Garzanti, Milano 2009.
13
D. Di Cesare, Stranieri residenti, cit., p. 113.

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roberto catalano

14
Cf. ibid., p. 223.
15
Cf. W. Brown, Stati murati, sovranità in declino, trad. it. di S. Liberatore, a cura di
F. Giardini, Laterza, Roma-Bari 2013.
16
Cf. A. Fabris, Modelli identitari nell’Europa multiculturale, in «Sophia», X (2/2018),
pp. 185-196.
17
Nel 2018 si è registrato un crollo del 95% degli arrivi in Europa rispetto al
2015 (cf. Building Trust: the Challenge of Peace and Stability in the Mediterranean, cit.,
p. 112). A smentire una politica che costantemente reclama la salvaguardia degli
interessi dei propri cittadini a fronte di una paventata invasione di migranti, è bene
chiarire che le statistiche rivelano che la stragrande maggioranza dei migranti for-
zati resta nelle stesse aree geografiche o in Paesi vicini. La Turchia, per esempio, ne
ha circa 3,5 milioni sul suo territorio, il Pakistan un milione e mezzo come l’Uganda
e come il Libano che, però, conta una popolazione totale di 4,2 milioni di abitanti
(cf. M. Zanzucchi, Un problema di giustizia non di sicurezza, in «Città Nuova», LXII
[9/2018], p. 10).
18
Bruno Cantamessa da vari anni vive fra Libano e Giordania. George Ritinsky
dalla fine degli anni Ottanta ha vissuto in diversi Paesi del Sud-Est asiatico. Giulio
Albanese ha vissuto in Africa ed è uno dei massimi esperti sui problemi del conti-
nente. Gabriel Jalisco è uno studioso messicano.
19
A. Fabris, Modelli identitari nell’Europa multiculturale, cit., p. 186.
20
Cf. ibid.
21
Ibid.

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dallo scaffale di città nuova

Dialogica
per un pensare teologico
tra sintassi trinitaria e questione
del pratico
di Leopoldo Sandonà

Come liberare il dialogo da una comprensione tanto ireni-


stica quanto indeterminata? Come dar corpo a un termine
tanto invocato quanto equivocato? Il testo percorre il sen-
tiero panoramico del pensare dialogico, specialmente no-
vecentesco, per approfondire la matrice paradossalmente
generativa in ambito trinitario e giungere così, non sinteti-
camente ma prospetticamente, alle sfide attuali in campo
tanto pastorale-ecclesiale quanto etico-civile. Il metodo che
isbn ne deriva non si dà come prontuario, ma come proposta per
9788831133975 generare luoghi, relazioni e soggetti dialogici.
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focus. immigrazione e multiculturalismo

Migrazioni africane

Il tema migratorio africano è molto complesso e


merita un’attenta disamina. Secondo i rilevamenti sulle
migrazioni delle Nazioni Unite1, nel 2017, il continente
Giulio africano ha ospitato 24,7 milioni di migranti, contro i
Albanese 14,8 milioni registrati nel 2000 a livello globale. Sem-
pre stando alla stessa fonte, nel 2015 la maggior parte
direttore
della rivista
dei migranti nati in Africa, che vivevano al di fuori del
popoli e missione continente, risiedevano in Europa (9 milioni), in Asia (4
della cei. milioni) e in Nord America (2 milioni).
inoltre è Solitamente si ritiene che i flussi riguardino l’Europa
editorialista e l’America del Nord, ma secondo lo studio Africa in mo-
dell’osservatore
romano
vimento: dinamica e motori della migrazione a sud del Saha-
e di avvenire. ra, pubblicato nel novembre 2017 dall’Agenzia dell’Onu
per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e dal Centro di
cooperazione internazionale nella ricerca agronomica
per lo sviluppo (Cirad)2, il 75% di coloro che nell’Afri-
ca subsahariana hanno deciso di migrare sono rimasti
all’interno del continente. I dati raccolti in questi anni
hanno anche evidenziato lo stretto rapporto esistente
tra le risorse accumulate dalle famiglie e la loro effet-
tiva disponibilità a migrare. I più poveri, quelli cioè che
sopravvivono in condizioni di forte esclusione sociale
(ad esempio, nelle grandi baraccopoli delle megalopoli
africane o in regioni rurali depresse), non si spostano
affatto, semplicemente perché non dispongono delle
risorse economiche per farlo. I migranti, invece, che
hanno disponibilità limitate, preferiscono spostarsi nei
Paesi limitrofi. In termini di numero di immigrati, il Suda-
frica è il Paese di destinazione più significativo in Africa,

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni africane

con circa 3,1 milioni di migranti internazionali che risiedono nel Paese (cir-
ca il 6% della sua popolazione totale). Solo una parte dei migranti africani
si allontana di molto dal proprio Paese d’origine. Ecco, allora, che l’Euro-
pa diventa la prima destinazione di coloro che arrivano dal Nord Africa,
cioè da Paesi come Tunisia, Marocco ed Egitto. Mentre il 93,6% di migranti
africani che provengono dall’Africa occidentale – Mali, Senegal, Gambia,
Nigeria – non lascia affatto il continente, ma si trasferisce in un altro Paese
dell’Africa occidentale.
Per quanto concerne invece l’Africa centrale, il 40% dei migranti che
proviene da questo settore geografico raggiunge l’Africa orientale (Kenya,
Tanzania, Etiopia). La porosità delle frontiere, certamente, alimenta la
mobilità. Riguardo, in particolare, al numero dei rifugiati all’interno del
continente, secondo l’ultimo rapporto annuale Global Trends, pubblicato
dall’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati3, nel 2017 si è regi-
strato un particolare incremento nell’Africa subsahariana, dove sono au-
mentati di 1,1 milioni (+22%), raggiungendo la ragguardevole cifra di 6,3
milioni di unità. Inoltre, cinque delle dieci nazioni che, secondo l’Unhcr,
hanno prodotto il maggior numero di persone costrette alla fuga sono pro-
prio in Africa: Burundi, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Sudan e Re-
pubblica Democratica del Congo (Rdc). In quest’ultimo Paese, nel corso
del 2017, la guerra si è estesa, particolarmente sul versante orientale, co-
stringendo milioni di civili, residenti soprattutto nelle province del Nord e
del Sud Kivu, dell’Alto Katanga e della regione del Kasai, ad abbandonare le
proprie abitazioni. Un esodo che nell’ex Zaire ha prodotto il raddoppio del
numero degli sfollati interni da 2,2 milioni a 4,4 milioni, concentrati in par-
ticolare nel Kivu settentrionale, da dove sono fuggite 1,1 milioni di persone.
Sempre secondo la stessa fonte, la maggior parte delle persone in fuga da
conflitti armati e violazioni dei diritti umani proviene dall’Africa centrale e
orientale, in particolare da Repubblica Centrafricana, Rdc, Burundi, Eritrea,
Sudan, Nigeria, Mali e Somalia.

È evidente che i tratti caratteristici della geopolitica africana con-


temporanea acuiscono la fenomenologia migratoria. La crisi libica ne
è la conferma eclatante, innescando peraltro il perverso meccanismo

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giulio albanese

della tratta di esseri umani. Bisogna comunque constatare che, in alcuni


Paesi dell’Africa subsahariana, è stata registrata, rispetto al passato, una
crescita significativa del Prodotto interno lordo (Pil), accompagnata da
un aumento dell’occupazione; dall’altra parte vi sono, comunque, due fat-
tori che pesano sul presente e sul futuro del continente: la povertà che
affligge vasti settori delle popolazioni autoctone e il deficit di virtuosismo
da parte delle leadership locali. In effetti, fenomeni come il cosiddetto
land grabbing (accaparramento dei terreni da parte di imprese straniere)
– con modalità diverse, a seconda dei Paesi –, unitamente allo sfrutta-
mento della manodopera, sono usanze ben radicate. Inoltre, dal punto
di vista dell’etica politica, i processi elettorali coinvolgono solitamente
gruppi di potere e l’esito rispecchia dinamiche regionali o etniche invece
che essere espressione di un’alternanza programmatica. Col risultato che
le mutazioni avvengono frequentemente a seguito di guerre civili e colpi
di Stato (Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio, Mali, Madagascar,
Rdc…). Qualora invece si dovesse riscontrare una discreta stabilità – a
volte con evidenti progressi economici come nel caso di Angola, Uganda,
Rwanda…; in altri casi con la stagnazione sociale e l’implosione economi-
ca: Eritrea docet –, l’azione di governo è sempre saldamente in mano a re-
gimi che resistono all’usura del tempo per l’appoggio incondizionato del-
le forze armate. Ecco che allora sarà sempre l’uso della forza (più o meno
camuffato dalla propaganda) l’elemento discriminante per affrontare i
problemi nazionali che via via si presentano. Sta di fatto che, ammesso
pure si riescano ad ottenere processi di pacificazione dopo conflitti ven-
tennali, come nel caso del Sud Sudan (che ha ottenuto l’indipendenza nel
2011), gli antagonismi personali sono tali per cui, prima o poi, si torna a
combattere (proprio come nel caso sud sudanese).
Come ritengono molti analisti, l’Africa continua ad essere la metafora
di una versione, riveduta e corretta, del colonialismo. Una concezione per
cui la storia delle sue nazioni sembra essere il riflesso di quella altrui. Negli
anni Sessanta, Settanta e Ottanta gli effetti della Guerra fredda tra i due
blocchi avevano interessato prepotentemente l’Africa; nel ventennio suc-
cessivo si evidenziò, a livello territoriale, una parcellizzazione degli interes-
si più variegati – soprattutto cinesi e americani –, mentre oggi assistiamo

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni africane

al monopolio di nuove aggregazioni, come nel caso dei Paesi emergenti


(Brics) o alla riedizione di modelli coloniali, come quello della Françafrique.
Sebbene quest’ultima sia stata sconfessata a parole, come dottrina politi-
ca, dall’ex presidente francese François Hollande, continua a resistere nel
tempo anche sotto la presidenza di Emmanuel Macron, con una sorta di
maquillage, nello scacchiere saheliano, dalla tormentata regione maliana
dell’Azawad al contesto nigerino e a quello centrafricano, dove il business
delle cosiddette commodities (uranio e petrolio) rappresenta un qualcosa
d’irrinunciabile per l’Eliseo. Se a tutto ciò aggiungiamo i pesanti condizio-
namenti derivanti dalla sponda mediterranea (in particolare, la crisi libica)
con la costante penetrazione di cellule jihadiste (dalla Nigeria settentrio-
nale alla Somalia, passando per il Centrafrica), il tanto conclamato Big Deal
africano (profetizzato all’inizio nel nuovo millennio) andrebbe quantome-
no ridimensionato. Cosa dire, ad esempio, del progetto di colonizzazione
dell’Africa, sponsorizzato da certe confraternite musulmane di matrice
salafita, ma anche dalla nuova generazione di imprenditori arabi che consi-
derano strategiche le riserve petrolifere del continente?
Com’è noto, i governi europei, in linea di principio, sono disposti ad ac-
cettare i “rifugiati” e non i “migranti economici”. Si tratta di una distinzione
fuorviante. Ammesso pure che vi siano solo due categorie, come afferma-
va, ai tempi della guerra fredda, nel 1973, Egon Kunz, che elaborò la sud-
detta distinzione, meglio nota come push/pull theory – coloro che partono
per necessità (i pushed) e chi lo fa invece per scelta (i pulled) –, il paradosso
è evidente. Se il migrante fugge dalla guerra o è perseguitato da un regime
totalitario, può essere accolto (qualificandosi appunto come rifugiato); se,
invece, scappa da inedia e pandemie, in quanto nel suo Paese non esistono
le condizioni di sussistenza, non può partire e deve accettare inesorabil-
mente il suo infausto destino. E dire che molti popoli del Sud del mondo
sono penalizzati proprio dalla globalizzazione dei mercati che non è stata
certo inventata dai migranti.
Al di là, comunque, delle ragioni politiche ed economiche che determi-
nano situazioni di grave instabilità a livello continentale e dunque generano
mobilità umana in Africa, il dato demografico merita una seria e attenta
valutazione. Nel 1960, l’Africa contava circa 284 milioni di abitanti, mentre

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giulio albanese

oggi sono oltre un miliardo (circa 1,216 miliardi di abitanti). Se l’Italia fosse
cresciuta allo stesso ritmo, oggi gli italiani sarebbero 185 milioni.
Secondo i dati Eurostat, la popolazione europea è destinata a restare
pressoché invariata da qui al 2050, mentre quella africana continuerà a
crescere. A metà del secolo la popolazione mondiale vivrà per il 25% in
Africa (era il 13% nel 1995 e il 16% nel 2015) e solo per il 5% in Europa. Le
stime degli esperti indicano anche che si registrerà un graduale e costante
aumento della popolazione in età lavorativa. Nel frattempo, si ridurran-
no le fasce passive, sia quella troppo giovane, sia quella troppo anziana,
per essere considerate produttive. Un destino opposto a quello dei Paesi
occidentali, che saranno abitati da una popolazione sempre più anziana.
Lo si evince dal cosiddetto dependence index, un indicatore che misura la
percentuale delle persone di età inferiore ai 15 anni e superiore ai 64, ri-
spetto alla fascia lavorativa. Se, ad esempio, l’indicatore misura il 70%, si-
gnifica che ci sono 70 bambini/anziani ogni 100 persone in età lavorativa.

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni africane

Più alto è questo indicatore, maggiore è il numero di coloro che vivono in


una condizione di dipendenza. Ebbene, nel 2010, il continente con il de-
pendence index più alto era proprio l’Africa, con 80 persone in età non at-
tiva (in gran parte minori) su 100 in età lavorativa. Di converso, l’Europa
in quell’anno vantava un indice del 47%. L’Onu, però, prevede un ribalta-
mento in poco meno di un secolo. L’Africa diventerà così il continente per
eccellenza della produttività, con un indice del 56% contro l’82% del Sud
America e l’80% del vecchio continente. Da rilevare che già nel 2010, gli
africani erano un miliardo, mentre gli europei risultavano essere 740 mi-
lioni. Ma c’è un altro dato sul quale sarebbe opportuno riflettere: il 31%
delle 727 mila persone che hanno ottenuto la cittadinanza in uno dei Paesi
dell’Unione europea nel 2015 è nato in Africa. Ed è proprio la diaspora che
sarà sempre più chiamata a giocare un ruolo di ponte tra i due continenti.

1
Cf. http://www.un.org/en/development/desa/population/migration/pu-
blications/migrationreport/docs/MigrationReport2017_Highlights.pdf; cf. anche:
https://publications.iom.int/system/files/pdf/wmr_2018_en.pdf.
2
Cf. http://www.fao.org/3/i7951en/I7951EN.pdf.
3
Cf. https://www.unhcr.org/5b27be547.

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focus. immigrazione e multiculturalismo

Rifugiati e profughi
in Medioriente

La presenza di rifugiati e profughi in Medioriente è un


Bruno tema vasto e complesso. Che sia una conseguenza dei
Cantamessa conflitti in corso nella regione è un fatto evidente. Si trat-
ta peraltro di un fenomeno con ripercussioni globali, con
editor e scrittore. numerose valenze e implicazioni. Per cercare di com-
corrispondente
dal medioriente
prendere la condizione dei profughi nella regione me-
per città nuova. diorientale, è a mio avviso necessario partire da alcuni
dopo quasi tre aspetti, mettendone fra parentesi altri, per il momento.
anni in libano Dalla mia prospettiva di osservatore straniero che
e diversi viaggi vive in Medioriente, mi sembra opportuno descrivere la
nella regione,
vive attualmente
tragedia di milioni di profughi causata dalle guerre (attuali
ad amman, e passate) con un taglio giornalistico e dal punto di vista di
in giordania. chi è spinto o costretto a fuggire, e non dalla “paura dell’in-
vasione” che sembra prevalere in Europa. La prospettiva
che ruota attorno al concetto di “fermare gli sbarchi di
clandestini e migranti economici”, che sembra andare per la
maggiore in Italia, è decisamente fuorviante in relazione
a profughi e rifugiati mediorientali, oltre che inadeguata
anche da un punto di vista quantitativo: solo Turchia, Liba-
no e Giordania, per esempio, ospitano nei propri territori
almeno cinque milioni e mezzo di rifugiati, a fronte di 700
mila richieste di asilo presentate complessivamente nei
28 Paesi dell’Unione europea lo scorso anno.
Come accennavo all’inizio, per comprendere il senso
e la portata del fenomeno, mi sembra importante con-
centrare il discorso sui rifugiati che restano all’interno
del Medioriente, quindi in una decina di Paesi, quelli dai

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Rifugiati e profughi in Medioriente

quali si fugge e quelli in cui ci si rifugia, anche se talvolta il confine tra Paesi
di fuga e di rifugio non è troppo netto. I Paesi coinvolti sono comunque i
seguenti: Turchia, Siria, Iraq, Iran, Libano, Giordania, Cisgiordania e Gaza,
Yemen; oltre al Paese che non esiste: il Kurdistan.
Tutto ciò non affronta il pur importante problema dei richiedenti asilo
che hanno già lasciato la regione mediorientale, né più in generale dei mi-
granti che dal Medioriente cercano di raggiungere Europa, Usa, Canada,
Australia o altri Paesi, o le connessioni con le contigue migrazioni delle aree
nordafricana, africana e asiatica, che rappresentano fenomeni autonomi di
vasta portata, ma spesso con notevoli punti di contatto con le migrazioni
da e per il Medioriente.
È infine importante precisare che il fenomeno dei rifugiati presenti in
Medioriente non riguarda solo i siriani in fuga dalla guerra. Ci sono anche
milioni di palestinesi, iracheni e afghani che da decenni si spostano
nell’area mediorientale e che rappresentano le conseguenze mai veramen-
te affrontate dei conflitti degli ultimi settant‘anni.
A livello mondiale, per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno mi-
gratorio, dei 68,5 milioni di profughi rilevati dalle Nazioni Unite (Nu) alla
fine dello scorso anno, sarebbero soltanto quattro milioni le persone che
cercano rifugio (legale) in Paesi stabili lontano dal proprio, mentre il nu-
mero degli sfollati all’interno del proprio Paese rappresenterebbe la cifra
ben più consistente di circa 40 milioni di persone. I restanti 25 milioni circa
sarebbero costituiti dalle persone rifugiate in Paesi vicini o confinanti con
il proprio: la maggioranza di questa gente (sfollati e rifugiati in Paesi con-
finanti) spera di poter tornare a casa propria, prima o poi, qualcuno anzi lo
ha già fatto scommettendo sulla pacificazione di alcuni territori.
L’altro numero del quale è doveroso accennare, pur senza qui entra-
re nel merito, è quello dei migranti non obbligati, che a livello mondiale si
aggirano intorno ai 250 milioni di persone: la classifica dei cinque Paesi
che ospitano più migranti vede in testa gli Usa seguiti da Arabia Saudita,
Germania, Russia e Regno Unito. L’Italia è undicesima in questa classifica.

Per quanto riguarda i siriani, che sono la maggioranza dei profughi e


dei rifugiati, al convegno svoltosi a Torino a metà novembre 2018, La fine

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bruno cantamessa

del Medio Oriente e il destino delle minoranze, si è parlato per la Siria di oltre
sette milioni di sfollati interni (Agensir del 12 novembre 2018). I morti in
questi quasi otto anni di guerra avrebbero ampiamente superato il mezzo
milione e i feriti che hanno subito mutilazioni sarebbero 1,5 milioni.
Altri sei milioni di siriani si sarebbero rifugiati in Turchia (3,5 milioni),
Giordania (1,4 milioni) e Libano (un milione), oltre che in Iraq, Egitto, ecc.
Si tratta in ogni caso di valutazioni in base ai dati disponibili, che non ten-
gono conto dei clandestini, di coloro che non si dichiarano alle Nu perché
non hanno documenti oppure sono disertori o con altre gravi difficoltà che
li inducono a tenere un profilo molto basso. Anche molti bambini nati nei
campi profughi o comunque fuori dalla Siria sono invisibili, non sono regi-
strati neppure all’anagrafe. La maggior parte dei rifugiati sopravvive con
gli aiuti internazionali e sono pochi quelli che hanno la fortuna di trovare
un qualche lavoro saltuario e sottopagato. I campi ufficiali ospitano meno
della metà dei profughi, gli altri si arrangiano come possono sia nei campi
informali, sia affittando tutto ciò che in qualche modo rappresenta un tet-
to sulla testa. Carenze igieniche, sanitarie, alimentari e scolastiche sono
la norma, nonostante gli sforzi anche notevoli delle Nu, di governi, ong e
associazioni locali di assistenza. I bambini siriani che non sanno leggere
né scrivere sono sempre di più. È importante ricordare che in Siria si erano
rifugiati anche un milione di iracheni e mezzo milione di palestinesi.
In Libano ci sono ufficialmente circa 1,1 milioni di siriani, ma anche 300-
400 mila iracheni dislocati qua e là nel Paese, e circa 500 mila palestinesi
per lo più riuniti nei cosiddetti campi profughi, che sono in realtà dei veri
e propri villaggi, anche se in condizioni di provvisorietà e senza diritto di
cittadinanza da settant‘anni anni, quando arrivarono i primi palestinesi in
fuga dopo la conquista israeliana del 1948. La situazione libanese dei pro-
fughi (complessivamente intorno al 20% della popolazione) contribuisce
non poco a mantenere nel Paese dei cedri un clima precario e critico.
In Giordania la situazione non è molto diversa, per certi versi anche un
po’ più complicata. Ai pochi giordani autoctoni (di origine beduina) si sono
aggiunti nel tempo (soprattutto dal 1948 e dal 1967) 1,2 milioni di palesti-
nesi, poi naturalizzati, e altri 1,7 milioni di palestinesi ai quali è stato con-
cesso un passaporto temporaneo. I rifugiati siriani ufficiali sono 740 mila,

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Rifugiati e profughi in Medioriente

ma si calcola che i non ufficiali siano quasi altrettanti. I profughi iracheni


in Giordania sono circa 300 mila, e 11-12 mila provengono da altri teatri di
guerra, in particolare da Yemen, Sudan e Somalia.
Il numero maggiore di profughi si trova in Turchia (solo i siriani sono
oltre tre milioni), in piccola parte alloggiati nei campi presso il confine e
la maggior parte sparsi in diverse città. Il governo turco ha ricevuto negli
ultimi anni cospicui contributi europei (circa un miliardo di euro l’anno) per
sostenere i profughi, e soprattutto per non lasciarli partire verso i Balcani
e l’Europa. Il presidente Erdogan non nasconde l’intenzione di aggiungere
in Siria spazi sotto controllo turco, a spese dei curdi, anche per ricollocarvi
molti rifugiati siriani.
Per quanto riguarda gli altri Paesi mediorientali, una situazione partico-
larmente difficile è quella del’Iraq, dove agli sfollati delle numerose guerre
precedenti si sono aggiunti quelli in fuga dallo Stato islamico, a partire dal
2014. Cristiani e yazidi sono stati fra le minoranze più perseguitate dalle
milizie jihadiste, ma anche molti musulmani, sia sunniti che sciiti, hanno
subìto discriminazioni e violenze. I profughi iracheni (forse 1,8 milioni)
sono ancora oggi sparsi soprattutto in Siria, Giordania e Libano. Chi fra loro
ha potuto, ha scelto di emigrare in Canada o in Australia e in alcuni Paesi
europei (il primo è la Germania).
In Cisgiordania (territori palestinesi sotto controllo israeliano) e nella
striscia di Gaza sono numerosi i rifugiati palestinesi, sfollati in seguito alle
guerre e alle politiche dei governi israeliani. Si calcola che siano circa 900
mila in Cisgiordania e 1,2 milioni a Gaza.
L’Iran è uno dei Paesi al mondo con un alto numero di profughi e rifu-
giati: sono infatti circa un milione solo gli afghani che hanno lasciato il loro
Paese (in guerra dagli anni Ottanta) per rifugiarsi nella vicina repubblica
islamica degli ayatollah.
Lo Yemen, martoriato dalla guerra, esporta pochi rifugiati, perché gli ye-
meniti sono troppo poveri per emigrare. In compenso lo scorso anno cento-
mila fra somali, etiopi ed eritrei sono entrati clandestinamente nello Yemen
con la speranza di attraversarlo per raggiungere l’Arabia Saudita e gli Emirati.
Infine il Kurdistan, lo Stato che non c’è, pur essendo i curdi un popolo
antichissimo che conta oggi oltre venti milioni di persone che vivono nelle

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bruno cantamessa

tre regioni in cui è divisa la loro patria: il Kurdistan turco, quello iracheno e
quello siriano (ma ci sono enclaves anche in Iran). Nel Kurdistan iracheno,
al tempo dell’avanzata dello Stato islamico (2014-2015), hanno trovato ri-
fugio almeno 750 mila iracheni e siriani (soprattutto yazidi e cristiani, ma
non solo), che hanno potuto così scampare alle persecuzioni del Daesh.

i rifugiati in giordania

Intervista a Wael V. Suleiman, giordano, 45 anni, di madrelingua araba,


è laureato in Business Administration alla Ahliyya Amman University. Da
quasi dieci anni è direttore generale di Caritas Giordania

Dott. Suleiman, qual è la situazione attuale dei rifugiati in Giordania? Quanti


sono e da dove vengono?
La Giordania è un piccolo Paese al centro del Medioriente: i cittadini
con passaporto giordano sono circa 6,6 milioni, ma va tenuto conto che
già tra fine ’800 e inizi ’900 avevano trovato rifugio qui profughi circas-
si, armeni e curdi. Quando il Paese è diventato indipendente, circa set-
tant‘anni fa, la Giordania è stata quasi subito una terra di rifugio per molti
palestinesi, arrivati soprattutto nel 1948 e nel 1967, che in buona parte
sono stati naturalizzati. Ma oltre alla comunità giordano-palestinese, ci
sono anche 1,7 milioni di palestinesi con passaporto temporaneo. Più tar-
di, con le guerre in Iraq e quella attuale in Siria, molte persone di quei
Paesi si sono rifugiate in Giordania: oggi ci sono 740 mila siriani registrati
dalle Nu; ma si calcola che ci siano altri 700 mila siriani non registrati
che vivono sparsi per il Paese o nei campi profughi informali accanto al
confine con la Siria. Gli iracheni sono quasi 300 mila fra registrati e non.
Ci sono inoltre 11-12 mila profughi provenienti da Yemen, Sudan e Somalia
sfuggiti ai conflitti che insanguinano quei Paesi, oltre ai migranti prove-
nienti dall’Egitto e da altri 46 Paesi. In sintesi, i profughi a vario titolo
rappresentano oltre il 35% delle persone che vivono oggi in Giordania
(10,5 milioni). Per fare un paragone, è come se in Italia ci fossero, in pro-
porzione, circa venti milioni di profughi.

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Rifugiati e profughi in Medioriente

Nonostante queste cifre impressionanti, la Giordania è l’unico Paese dell’a-


rea mediorientale che è finora riuscito a mantenere una certa stabilità e ad ac-
cogliere la sfida interculturale che questa situazione inevitabilmente comporta.
Senza dimenticare la pace con Israele, da un lato, e il dialogo interreligioso nel
Paese, dall’altro. Come è accaduto?
A proposito di sfide, prima di tutto dobbiamo parlare della sfida del
Paese, perché con le poche risorse disponibili accogliere tutti quanti e
aiutare milioni di profughi è arduo: è una sfida quotidiana molto difficile.
Non è solo una questione economica, naturalmente: gli aiuti internaziona-
li ci sono, ma sono sempre insufficienti. È anche una questione di risorse
che mancano: la Giordania è priva di petrolio e di altre fonti energetiche,
ed è un Paese in gran parte desertico con una cronica mancanza d’acqua,
ma non è questo che conta davvero. Per i giordani la sfida è prima di tutto
quella di aprire il cuore e cercare di servire tutti, ma nello stesso tempo
chiediamo il rispetto per l’identità giordana, per la nostra volontà di vivere
in pace. Nella storia recente della Giordania, non sono mancati drammatici
conflitti armati, con molte vittime: penso al difficile periodo, nel 1970, del
cosiddetto “Settembre nero”, per esempio. Il Paese ne è uscito molto pro-
vato, ma anche rafforzato nella sua identità e nelle sue scelte di pace. Per
questo è stata molto importante l’azione politica e diplomatica di re Hus-
sein, il padre dell’attuale re Abdallah II, che ha saputo catturare con la sua
grande capacità di dialogo e la sua fermezza il consenso dei giordani e di
quei profughi palestinesi che si sono integrati nel Paese e vogliono la pace.
Per quanto riguarda il clima di dialogo e di pace, pur con difficoltà e ten-
sioni sociali, anche le istituzioni dello Stato e la monarchia stessa sono di
grande aiuto per mantenere un clima aperto e per cercare di volta in volta
le soluzioni ai problemi che emergono.
Per i profughi, soprattutto siriani, la grande sfida è continuare a sperare in un
ritorno a casa. La guerra si prolunga ormai da più di sette anni e i profughi hanno
perso tutto, ma hanno perso soprattutto il senso della vita, la prospettiva di un
futuro. In Siria va adesso un po’ meglio, ma c’è bisogno di creare le condizioni di
pace indispensabili per aiutare i profughi a tornare. La maggior parte di loro lo
desidera. Ma vogliono tornare per migliorare le loro situazioni e soprattutto con
la prospettiva di dare ai figli una possibilità vera, di vita e di lavoro. Per adesso

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bruno cantamessa

queste condizioni sono solamente delle speranze, anzi, se la guerra non finirà
presto, si corre il rischio di perderle. Però, segnali positivi in questo senso sono
il rientro in Siria, negli ultimi mesi, di diverse centinaia di profughi dal Libano e la
riapertura del valico di Jaber-Naseeb fra Giordania e Siria.

Cristiani in Medioriente: qual è oggi la presenza e il contributo che danno in


queste terre dove il cristianesimo è nato?
I cristiani hanno una lunghissima storia in Medioriente, legata naturalmen-
te alla nascita e agli insegnamenti di Gesù. In venti secoli questa presenza dei
cristiani ha contribuito in modo determinante a sviluppare le numerose cul-
ture mediorientali, sia di lingua araba che di altre lingue. Com’è noto, con l’e-
spansione dell’islam dal VII secolo, il cristianesimo è diventato una religione
di minoranza in tutto il Medioriente, ma non è mai venuto meno l’apporto dei
cristiani all’identità mediorientale, di cui è parte integrante ben al di là delle vi-
cende storiche, comunque siano state di volta in volta interpretate. Negli ultimi
cinquant‘anni il numero dei cristiani si è andato sempre più riducendo per nu-
merose cause. Una riduzione drastica comunque la si interpreti. In mancanza
di dati statistici attendibili, il calo sarebbe secondo alcuni del 50%, secondo
altri addirittura del 95%. La presenza più consistente rimane quella dei copti
egiziani: rispetto alla popolazione egiziana i cristiani sarebbero tra il 4 e il 5%
secondo alcune letture, secondo altre sarebbero invece intorno al 10% o più.
Nel resto del Medioriente i cristiani sarebbero intorno all‘1-2% rispetto alla
popolazione del Paese considerato, con l’eccezione del piccolo Libano dove
sarebbero intorno al 30%. Negli ultimi decenni la diaspora dei cristiani si è
molto accelerata per numerose cause. Fra queste vi sono certamente perse-
cuzioni ed emarginazioni (anche tramite piani politici volti a cacciarli), ma nella
maggioranza delle situazioni l’allontanamento è stato favorito dalla ricerca di
migliori opportunità di vita e di lavoro all’estero.
Certamente i conflitti e le guerre che insanguinano la regione da sempre,
e in particolar modo dopo lo smembramento dell’Impero ottomano all’in-
domani della Prima guerra mondiale, non hanno certo favorito il dialogo fra
musulmani e cristiani. Tanto più che, a motivo del petrolio, l’ingerenza degli
interessi economici occidentali ha pesantemente invischiato le possibilità di
un dialogo fra le tre religioni monoteistiche, già di per sé non facile.

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focus. immigrazione e multiculturalismo
Rifugiati e profughi in Medioriente

Comunque, sebbene i cristiani siano pochi, sono ben presenti nella vita
sociale, culturale, politica ed economica del Medioriente, e danno un con-
tributo importante per lo sviluppo della regione.

Da dove provengono gli aiuti che la Caritas utilizza per sostenere i profughi
e i poveri? Qual è il vostro impegno per il dialogo tra le culture? Cosa possiamo
fare in più, come italiani, per aiutarvi?
Caritas Giordania ha da poco festeggiato cinquant‘anni: è stata fonda-
ta infatti nel 1967 per dare una risposta all’arrivo dei profughi palestinesi
dopo la Guerra dei sei giorni. Oggi, abbiamo 22 centri, 450 dipendenti e
tremila volontari. Aiutiamo circa 200-250 mila persone ogni anno, senza
distinzione di cultura, nazionalità e religione. E senza tenere conto se le
persone che ci chiedono aiuto siano profughi legali o clandestini.
Negli ultimi anni, i contributi internazionali che la Giordania ha ricevuto
per far fronte all’afflusso di profughi sono piuttosto diminuiti, invece di au-
mentare come è aumentato il numero dei profughi, e questa è una grande
sfida per la Giordania. Per quanto riguarda la Caritas, noi riceviamo ancora
la stessa somma di cinque anni fa, grazie soprattutto ai nostri partner delle
diverse Caritas del mondo, ma non sappiamo per i prossimi anni come si
evolverà la situazione.
Per quanto riguarda il dialogo della vita, soprattutto quello con molti
musulmani, è per noi un’esperienza quotidiana e molto positiva. Ci sono
poi anche moltissimi contatti e iniziative culturali sia a livello ecumenico
che interreligioso.
Molti italiani vengono in Giordania come cooperanti o volontari nelle
ong. Anche alla Caritas riceviamo continuamente giovani che vengono a fare
uno stage: e questo è per noi un bellissimo sostegno. Un aspetto che forse
si potrebbe incrementare è far conoscere di più in Italia il turismo religioso
in Giordania. Ci sono molti luoghi legati all’Antico e al Nuovo Testamento:
primo fra tutti certamente è il sito del battesimo di Gesù, sulla riva orienta-
le del Giordano. Un incremento del turismo religioso in Giordania sarebbe,
secondo me, anche un modo per sostenere i cristiani giordani, creando una
sensibilità e delle opportunità. E aiutare così anche a ridurre la diaspora.

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focus. immigrazione e multiculturalismo

América y migración
El reto de construir puentes
en lugar de muros 

Gabriel La soledad la sufren los que construyen


Alberto muros en lugar de puentes.
Leal Joseph Newton

docente He leído en redes sociales estos últimos días una se-


di filosofia
della storia, rie de descalificativos por parte de algunos mexicanos
filosofia hacia los hermanos centroamericanos que atraviesan
contemporanea el país en la llamada “caravana migrante” hacia los Es-
e analisi tados Unidos, cosa que me parece inconcebible e injus-
socioeconomica tificable.
dell'università
di mexico city. El tema de la migración ha estado en la agenda po-
redattore della lítica, social y económica en todo el mundo. Hoy hay
rivista digitale en todo el planeta 244 millones de migrantes. India es
humanum. el país con la mayor cantidad de emigrantes y Estados
Unidos es el que recibe más inmigrantes.
Según los datos del último International Migration
Report de Naciones Unidas (del año 2015) en el mundo
hay 244 millones de migrantes (un el 41 % más inmi-
grantes que en 2000). En su mayoría son de India (16
millones), México (12 millones), Rusia (11 millones) y
China (10 millones). Este reporte afirma que casi tres
personas por cada 100 habitantes nacieron en un país
distinto al de sus padres.
Llama la atención en este reporte que Siria, tras el
inicio de la guerra civil en 2011, está en el noveno lugar
de este ranking con 5 millones de personas emigradas.

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focus. immigrazione e multiculturalismo
América y migración. El reto de construir puentes en lugar de muros

Este país cuenta con 22 millones de habitantes, es decir que casi el 25 por
ciento de su población reside en el exterior.
Y por otra parte, los países a donde más han emigración hay está en
primer lugar Estados Unidos encabeza con 46,6 millones de personas,
seguido de Alemania con 12 millones y Rusia con 11,6 millones. Y en los
continentes, es Europa es el que tiene el mayor número de inmigrantes
residentes (76 millones contra los 56 millones del año 2000).

el muro

Habrá ocasión para reflexionar el problema que sucede en Europa y


otra partes del mundo, pero hoy nos detendremos en lo que sucede en
América, en especial lo que ha sucedido con la caravana migrante a su paso
por México y el contexto a su llegada a la frontera sur de Estados Unidos.
El hoy presidente de los Estados Unidos, Donald Trump, afirmaba du-
rante su campaña política que haría que México pagaran la construcción
de un enorme muro a lo largo de la frontera que comparten ambos países.
Este fin de año el presidente exige que se asignen 5,000 millones de
dólares (de un total de 25,000 millones de dólares que costaría) para
construir un muro a lo largo de la frontera entre México y Estados Unidos.
El presidente ha repetido que comenzó la construcción del muro con
cantidades menores de recursos con que el Congreso aprobó para seguri-
dad fronteriza, cual ha traído desencuentros con los demócratas, quienes
afirman que no han cedido ante Trump ya que (según declaraciones al dia-
rio USA Today) sólo financiarán mejoras a la seguridad fronteriza.
Según el diario USA Today, ya existe algún tipo de barrera a lo largo de
1.096 kilómetros (685 millas) de los 3.126 kilómetros (1.954 millas) que
tiene la frontera. Sin embargo, 1.046 kilómetros (654 millas) se constru-
yeron durante el gobierno de George W. Bush, al amparo de la Ley del
Cerco Seguro.
Los republicanos señalan que una mayoría de demócratas en el Sena-
do aprobaron dicha ley, incluidos los entonces senadores Hillary Clinton y
Barack Obama.

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gabriel alberto leal

En 2017 el Congreso aprobó 292 millones de dólares al Departamento


de Seguridad Nacional de Estados Unidos (Dhs por sus siglas en inglés)
para erigir una serie de bolardos de acero para reemplazar la barrera en el
sur de California, Nuevo México y el oeste de Texas.
La construcción del muro ha generado también varias protestas de
grupos ecologistas, quienes han presentado demandas para impugnar dis-
pensas del gobierno a leyes medioambientales para construir con más ra-
pidez. La construcción planeada atravesaría en varios lugares de la fronte-
ra algunas zonas protegidas o hábitats de especies en peligro de extinción.
Ha quedado en el aire la idea que más allá de que Trump cumpla su
promesa con sus electores y según él buscar controlar la migración, es que
trata de hacer negocios con la construcción del muro.
Un muro con mi país (México) ha sido tomado como una afrenta y un in-
sulto a un pueblo que con los norteamericanos han tenido muchos gestos de
amistad a lo largo de la historia, y que conviven debido a la enorme frontera.
El humanista Rob Riemen afirma: «Toda forma de nacionalismo va con-
tra la unidad de la humanidad, porque quiere creer que su propia identidad
colectiva está por encima de la de los otros». Digno de análisis es revisar las
razones por las cuáles esta lógica proteccionista en la economía y una menta-
lidad nacionalista, hizo triunfar a Trump y a otros políticos con ideas similares.
En los últimos años he estado tanto con amigos como con familiares en
Estados Unidos que me han compartido sus difíciles experiencias en busca
de hacerse la vida en un ambiente y cultura bastante hostil. Y a pesar de
las dificultades, hoy trabajan, tienen derechos y pueden ofrecer un mejor
futuro a sus hijos. 
Cuando fue la elección en Estados Unidos de 2016 y ante el duro y cruel
ataque a la inmigración por parte del entonces candidato republicano (hoy
presidente), yo tenía la certeza que la población latina no votaría por él,
pero cuál sería mi sorpresa al ver que el 29% de ellos le dio su voto y le
ayudaría a ganar estados claves, como Florida. 
¿Qué pasa en el mundo que se vota a políticos con discursos duros,
excluyentes y que buscan la confrontación antes que la unidad? El muro es
señal de encierro, pueblos que prefieren defender las propias seguridades
antes que salir al encuentro del otro.

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focus. immigrazione e multiculturalismo
América y migración. El reto de construir puentes en lugar de muros

En un mundo abierto, interdependiente y globalizado, es lógico que se


dé un flujo de personas, de bienes y servicios entre los países. La migración
es producto de pueblos que sufren dictaduras, pueblos pobres, con sala-
rios bajos y desempleo. Gente que busca un mejor destino y mayor segu-
ridad para su ellos y sus familias, dejará su tierra y buscará tener una vida
más digna. El problema es cuando en el camino se topan con situaciones
inhumanas y correrán muchísimos peligros.

honduras

La caravana que ha dado pie a muchas notas e información, es resultado


precisamente de un ambiente de violencia, pobreza y falta de oportunidades
en algunos países de Centroamérica. Esto es clave para entender la situa-
ción. De Honduras, Guatemala y El Salvador proviene el 8% de las solici-
tudes de asilo en el mundo, a pesar de que representan sólo el 0,4% de la
población global. Miles de hondureños emprendieron un recorrido por más
de 2.000 kilómetros, con la incertidumbre de las situaciones y del resultado.
El portavoz adjunto de la Onu, Farhan Aziz Haqaf, afirmó que fueron
7.233 el número de integrantes de la caravana y el Norwegian Refugee
Council dio la cifra de 14.000, por los que se fueron sumando.
Honduras es un país con graves conflictos políticos, sociales y econó-
micos. Mencionaremos sólo algunos. El dato de los hondureños viviendo
en Estados Unidos se estima que hay al menos un millón de personas, lo
cual representa más del 10% de la población actual del país. Pero qui-
zás nunca se había visto un éxodo tal como se vio en 2018. El presiden-
te Trump afirmó: «A esta caravana ilegal no se le permitirá la entrada,
si tiran rocas a nuestros soldados, como hicieron con los mexicanos, yo
le digo a nuestros militares que consideren esas piedras como si fueran
armas de fuego, como si fueran rifles».
Los medios informaron que Trump ordenó el envío de 5.239 efectivos
a la frontera. Muchos de los que participaron en esta caravana, lo hicieron
de esta manera porque no tienen nada para financiar el viaje ni para defen-
derse de los peligros que deben enfrentar. Ir en grupo es su único recurso.

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gabriel alberto leal

El primer obstáculo, duele decirlo, fue el paso por México. La mayoría


cruzó por el río y muy pocos lograron permisos migratorios. Otros llegaron
sólo hasta Guatemala.
Venezuela es el país más pobre de América Latina, seguido por Hon-
duras. Según dato de la Cepal, el 60,9% de la población vive en situación
de pobreza. El 38,4% de los hondureños tienen problema para alimentar-
se. Guatemala, su vecino tiene el 59,3% de su población en situaciones
similares.
Y no es este el único indicador que alarma sobre este país. También es
de gravedad los niveles de violencia. Es importante recalcar que Hondu-
ras es ruta del narcotráfico entre los productores de América del Sur y los
consumidores del norte. En 2011 Honduras fue el país con la mayor tasa de
asesinatos en el mundo: 86,5 cada 100.000 habitantes. En 2017 se redujo
a 3.866 homicidios, que representan una tasa de 43,6 cada 100.000, se-
gún datos del Monitor de Homicidios del Instituto Igarapé.

el paso de la caravana por méxico

Como nunca, se generaron conflictos sociales y políticos por el paso de


esta caravana. Como ya lo dijimos, el cruce fronterizo entre Guatemala y
México fue difícil para mucho de los integrantes, su paso por el país no es-
tuvo exento de dificultades y fue polémica su estadía en Tijuana, la ciudad
fronteriza con California, donde permanecieron varios días.
El alcalde de dicha ciudad, Juan Manuel Gastélum, complicó la situa-
ción política al declarar: «No me atrevo a calificarlos como migrantes. Son
una bola de vagos y mariguanos». Y ha reclamado que el Gobierno mexica-
no «no ha hecho su trabajo».
En medios de comunicación y redes sociales, como nunca se han visto
expresiones de odio y rechazo hacia los hondureños, al punto de rayar en
racismo y xenofobia. En entrevista para la televisora mexicana Televisa,
Eunice Rendón, la coordinadora de la A.C. Agenda Migrante, afirmó que si
bien es cierto que hubo una falta de atención del gobierno federal mexi-
cano, esta crisis demostró una falta de coordinación entre asociaciones

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focus. immigrazione e multiculturalismo
América y migración. El reto de construir puentes en lugar de muros

civiles de atención a migrantes, organizaciones de la frontera y los diver-


sos niveles de gobierno.
Eunice afirmó que en el transcurso de esta caravana, llegaron a unirse
hasta 12 mil personas en todo el país. Y entre lo más grave es que el 25%
de la caravana son menores de edad.
En los días álgidos de su permanencia en Tijuana, se dio el cierre de
algunas de las garitas en la frontera y el sector privado afirma que llegaron
a perderse hasta 130 millones de pesos mexicanos.
Algunos migrantes aspirar a llegar a Estados Unidos para buscar la fi-
gura del asilo, pero bien saben que estarán detenidos por tiempo indefini-
do, algunos por alrededor de 12 meses en un centro.
Las caravanas son un cambio estructural en cómo están migrando los
centro americanos y eso hace que se replanteen las políticas públicas de
México en el tema. Es clave en la relación entre los países de América del
norte. ¿Estados Unidos qué papel jugará? ¿Seguirá a futuro con posturas
proteccionistas y nacionalistas? ¿Y Canada? ¿Estará dispuesta a acoger un
mayor número de migrantes?
Esta situación plantea un mayor número de interrogantes que de
respuestas.

el ideal en la frontera

En esa conflictiva frontera hay una incipiente comunidad de voluntarios


del Movimiento de los Focolares, quienes al ver el sufrimiento y dolor de
los hermanos migrantes, se han sentido interpelados por esta dura reali-
dad y han querido responder desde la organización y el trato humano.
Platiqué de esto con Sandra García de Mexicali, quien nos comparte un
poco de esta experiencia.

- Sandra, ¿cómo vive esta ciudad el fenómeno de la migración?


- En esta región del Noroeste de México es muy común el rostro de la
migración de personas, de hecho, estas jóvenes ciudades fronterizas han
crecido y se han desarrollado debido a la gran cantidad de personas que

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gabriel alberto leal

las usan o, trataron de usarlas como puente para llegar a los Estados Uni-
dos con el sueño de encontrar una mejor calidad de vida pero, al vivir el
fracaso en el intento de internarse ilegalmente o cuando son deportados,
muchas personas se quedan en estas ciudades y comienzan a buscar una
oportunidad de trabajo y de vida con la esperanza de hacer un intento más
por regresar a los Estados Unidos.
- ¿Y esta caravana ha sido diferente a la manera en que llegan aquí los cen-
troamericanos que quieren cruzar la frontera?
- Lo que hemos visto en las últimas semanas con la llegada de miles de
personas que vienen de Centroamérica en caravanas nos ha sorprendido
y ha generado una fuerte confusión entre las personas que habitamos
en Mexicali y Tijuana. Si bien es cierto que el fenómeno de la migración
de personas es una imagen habitual en nuestras vidas, la forma de cómo
se ha presentado en esta ocasión nos ha sorprendido porque muchos de
nosotros aún no logramos entender la repentina problemática que hizo a
todas estas personas tomar la decisión de salir en caravanas a un mismo
tiempo. Su transitar por el sur y centro de México fue muy exitoso hasta
que llegaron a este destino en donde se termina el camino, sólo queda
conseguir su sueño.
- La gente local, ¿cómo ha reaccionado?
- Para todos los que vivimos aquí ha sido un fenómeno que ha inquie-
tado y confundido a los habitantes locales ya que se han generado senti-
mientos de rechazo y hasta xenofobia a todas estas personas a causa de la
poca información y la incertidumbre sobre los motivos que los han llevado
a dejar sus países de esta manera. Mexicali ha sido lugar de paso, en donde
se les ve acampando en las calles y en lugares públicos, de hecho, su estan-
cia en albergues es corta ya que su destino final es Tijuana.
- La comunidad del Movimiento de los Focolares, ¿de qué manera responde
a esta realidad?
- Como comunidad nos hemos acercado a la casa del migrante que está
a cargo de nuestra Diócesis y nos encontramos con la sorpresa de que por
ahí no ha llegado ninguna persona de estas caravanas.
Algunos de los nuestros intentaron acercarse a un campamento dentro
de la ciudad pero la policía no les permitió acercarse, nos dijeron que sólo

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focus. immigrazione e multiculturalismo
América y migración. El reto de construir puentes en lugar de muros

asociaciones autorizadas por el departamento de seguridad local era quie-


nes podían acercarse a apoyar con algún servicio.
Ha sido en la caminata sobre la carretera donde hemos podido acer-
carnos, hemos platicado con algunos y nos han explicado los motivos que
los hicieron dejar su país. Al ofrecerles ayuda nos han pedido apoyo para
llegar a Tijuana, de hecho una familia se ofreció a llevar en su carro a dos
mujeres que llevaban niños pequeños con la intención de evitar que su-
bieran la montaña a pie y al regresar para encontrar a otras personas y
ayudarlas a subir se encontraron con la negativa por parte de la policía que
los resguarda.
- Los chicos gen del Movimiento, ¿se han sentido interpelados por esta rea-
lidad?
- ¡Claro! Hoy, tres de nuestros gen, Noé de Mexicali, Joseph de San
Diego California y Mateo de Tijuana, se pusieron de acuerdo para ir a la
zona de campamento de Tijuana donde se encuentra un gran número de
personas para conocer sus necesidades y poder organizar un grupo de
apoyo, pero al llegar se encontraron que el acceso al campamento está
restringido y vigilado después de los acontecimientos del sábado anterior.
Mañana domingo intentarán acercarse de nuevo o hasta buscarán recorrer
las calles para poder tener contacto con alguna persona del campamento.
Mientras estos chicos buscan llegar a los migrantes, nosotros como co-
munidad hemos realizado momentos de Oración en común, incluso con los
nuestros que viven en Tijuana, ofrecemos la misa rogando al Padre por la
seguridad y bienestar de todas estas personas ya que en estos últimos días
las condiciones del clima han sido muy complicadas a causa de la lluvia y el
frío que se han presentado.
- ¿De qué otras maneras han buscado que el Ideal ilumine esta realidad?
- Quienes trabajamos en un centro educativo que forma parte de la
comunidad del Movimiento, nos hemos propuesto aclarar con nuestros
estudiantes el verdadero sentido de solidaridad, fraternidad y amor que
merecen todas las personas que vienen en estas caravanas ya que las noti-
cias e imágenes que se han divulgado en algunos medios de comunicación
y en redes sociales han despertado un rotundo rechazo y desprecio por
parte de muchas personas y los jóvenes no han quedado fuera de toda esta

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gabriel alberto leal

contusión. Un ejemplo claro y triste lo vivimos cuando un alumno humillo


a otro compañero llamándolo “Hondureño” cuando le pedía que le com-
partiera comida. Rescatar a nuestros jóvenes de este ciclo de confusión
es prioridad para nosotros ya que estos actos se ven con mucho más fre-
cuencia.
- ¿Qué peligros o riesgos hacia la cultura de la unidad ves en todo esto?
- El desconcierto y hasta cierto temor es notable ya que es muy fácil
identificar acciones inusuales que ahora se dejan ver, como el cierre de las
puertas de ingreso a Estados Unidos, la colocación de alambre en la parte
alta del muro que lastima a quien intente cruzar por ahí, también es de lla-
mar la atención el despliegue de militares norteamericanos que custodian
los límites entre los dos países, al igual que los helicópteros y vehículos
especiales que nunca habíamos visto antes. En verdad, parece que está a
punto de estallar una guerra.
- Se necesita una mirada de misericordia que cambie esta situación.
- Nosotros seguimos pidiendo al Padre y confiamos en que este es un
momento más en el que el rostro visible de Jesús Abandonado nos habla
para sentirlo, abrazarlo y amarlo son un sí incondicional.

algunas reflexiones al tema

En un estupendo artículo sobre la pensadora Hannah Arendt y la migra-


ción, publicado en el diario español El País, Martina Cociña Cholaky señala-
ba: «Arendt a lo largo de su vida insistió, una y otra vez, en la necesidad de
estar alerta frente a ideologías que desprecian al Otro, frente a regímenes
que justifican separaciones en virtud de una supuesta incompatibilidad,
frente a la naturalización de la exclusión y frente al peligro de utilizar el
temor como pretexto para justificar restricciones a los derechos funda-
mentales».
¿Cómo es posible que México, siendo uno de los países con mayor
población migrante sea a la vez un país que discrimina a quien cruza su
territorio? Esta crisis migratoria nos ha puesto a los mexicanos frente al

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focus. immigrazione e multiculturalismo
América y migración. El reto de construir puentes en lugar de muros

espejo. Tenemos al temor y odio contra el otro como un veneno que puede
recorrer nuestras venas y dañarnos profundamente.
Para quienes queremos optar por la persona humana y su dignidad en
todo momento, en especial por la de aquellos que más sufren y a quienes
hay que dar la mano en los momentos de persecución y odio, es necesario
que no caigamos en la trampa de quienes buscan difundir una mentalidad
de prejuicios, rechazo y exclusión.
En este mundo individualista y capitalista, es importante que no perda-
mos de vista que el primero que se deshumaniza es quien no ayuda a quien
lo necesita, por ello me parece que en estos días es importante tener en
cuenta algunos elementos de elemental sentido común.
Bien decía Marilú Martínez en sus redes sociales que es importante no
convertirnos en los despreciados que desprecian y por ellos refería tres
puntos que me parece importante compartir:

1. Basta de decir que los hondureños no se merecen la ayuda de


nuestro país. 
2. No tiene sentido decir que primero hay que ayudar a los “nues-
tros”, una cosa no excluye a la otra. 
3. No hay que fomentar mensajes e imágenes que induzcan hacia
un discurso de odio.

En México nos quejamos no sólo del trato de los norteamericanos hacia


nuestros paisanos, también de los niveles de inseguridad, violencia y po-
breza en nuestro país, sin darnos cuenta que esos problemas inician con
perder de vista que el otro tiene una dignidad altísima y que se juega mi
destino junto con el suyo. Es necesario parar esa espiral de odio que luego
puede generar violencia. 

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focus. immigrazione e multiculturalismo

George I rohingya
Ritinsky e il Sud-Est asiatico
di origini italiane, L’odissea di un’etnia
ha studiato
filosofia
e teologia presso
la pontificia
università
lateranense
e da trent’anni la regione del sud-est asiatico (asean)
lavora nel
sud-est asiatico: Per capire e affrontare la questione dei profughi
da 10 anni rohingya, è necessario iniziare da uno sguardo gene-
collabora rale sulla regione nella quale vivono: il Sud-Est asia-
con città nuova
per la regione tico. Dall’8 agosto 1987 i Paesi che compongono la
dell’asean. regione hanno costituito l’Asean1 (Associazione delle
è stato lettore nazioni del Sud-Est asiatico), composta da dieci na-
di etica del zioni: Indonesia, Thailandia, Singapore, Malaysia, Fi-
business presso lippine, Vietnam, Myanmar (già Birmania), Cambogia,
la saint john
university Brunei e Laos. Lo scopo di quest’associazione, come
di bangkok. descritto nella presentazione ufficiale, è «la coopera-
zione, l’integrazione da un punto di vista economico,
sociale, militare e di sicurezza nazionale degli Stati
membri»2 . Una delle caratteristiche comuni a queste
dieci nazioni è la presenza di una costellazione di po-
poli etnici con una propria lingua, una propria cultura
e una lunga tradizione. Spesso, se non sempre, a molti
di questi gruppi, nel corso dei secoli, è stata negata la
possibilità di autodeterminazione: la possibilità, cioè,
di avere un proprio territorio riconosciuto a livello in-
ternazionale. Sono, infatti, diverse centinaia le etnie
che popolano l’Asean. Dove si trovano la maggior par-
te dei popoli etnici della regione?

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focus. immigrazione e multiculturalismo
I rohingya e il Sud-Est asiatico. L’odissea di un’etnia

minoranze etniche nell’asean

Il più popolato fra i Paesi dell’Asean è l’Indonesia3, con una popola-


zione stimata intorno ai 261 milioni di abitanti4. L’indonesia ospita circa
300 etnie e il Paese è un universo di lingue, culture e religioni anche se
la maggioranza della popolazione professa l’islam5. La Thailandia6 con
quasi 67 milioni di cittadini7 annovera 37 gruppi etnici riconosciuti8 . Tut-
tavia, a causa della porosità dei confini, che la separano dal Myanmar,
ma anche dal Laos, dalla Cambogia e dalle coste che si affacciano sia sul
Golfo del Bengala, sia sul Golfo della Thailandia, è impossibile stabilire
con esattezza il numero delle etnie che risiedono sul suolo thai. La Malay-
sia9, secondo un recente studio10, a fronte del 51% di popolazione malay
con minoranze notevoli (cinesi per il 24%, indiani tamil 7,2%) annovera
sei gruppi etnici locali11. Il Laos12, con una popolazione di circa sette mi-
lioni di persone, è casa di quattro grossi gruppi etnico-linguistici, anche
se il numero totale dei gruppi etnici si aggira intorno alla cinquantina. La
sua morfologia montagnosa contribuisce all’isolamento di questi gruppi
e rende difficile l’integrazione socioculturale con i lao, la maggioritaria
tra le etnie presenti.
Al di fuori dei Paesi che costituiscono l’Asean, dobbiamo fare accenno
anche a Cina e a Bangladesh. La Cina, infatti, rappresenta il più importante
partner commerciale per il Myanmar e per tutta l’area di nostro interesse,
oltre ad offrire vantaggiose agevolazioni di credito soprattutto ai Paesi più
poveri della regione13. Per ultimo, il Bangladesh14. Il Paese è anch’esso fuori
dell’Asean e fa parte della vasta area geografica e culturale del subconti-
nente indiano. Tuttavia, riveste grande importanza per la questione rohin-
gya. Confina, infatti, col Myanmar ad est, e a partire da febbraio 1978 ha
accolto la maggior parte dei rifugiati rohingya.
Nei Paesi di cui si è accennato risiedono circa 600 etnie. La cultura
della regione, in genere, è propensa ad accettare la diversità culturale,
linguistica e di religione15, e assicura una convivenza pacifica, che è con-
siderata, in molti dei Paesi che compongono la regione, un valore sociale
da preservare nel presente e rafforzare nel futuro, per sostenere la base
di uno sviluppo sostenibile.

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george ritinsky

il myanmar: teatro principale delle pulizie etniche16

Il Myanmar17 ha riconosciuto ufficialmente 135 etnie tra le molteplici


che vivono nel Paese. Il governo centrale di Naypyidaw, prima delle elezioni
del 201518, ha cercato di stabilire accordi di pace con le più problemati-
che di queste, come i cristiani kachin19. In effetti, da tempo sono in corso
molteplici pulizie etniche20 contro vari gruppi21. Tuttavia, anche a causa di
questioni di politica internazionale, l’attenzione dei media si è incentrata
quasi esclusivamente sulla questione dei rohingya, che costituisce un caso
di grave discriminazione fino a dover parlare di tentativo di vera “pulizia
etnica”. Nonostante molti sforzi e tentativi, l’etnia rohingya non ha mai avu-
to un riconoscimento ufficiale nel corso degli anni22. Nel 2015, dopo una
lunga guerra durata settant‘anni, il Myanmar, è arrivato a una pace stabile
e concordata, con la schiacciante vittoria del partito Nld (Lega nazionale
democratica), con a capo la premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi23.
Si deve, tuttavia, ricordare che ancora oggi il 25% dei seggi nel Parlamento
nazionale del Paese è riservato a deputati nominati direttamente dalle for-
ze armate, che continuano, di fatto, a controllare la vita del Paese soprat-
tutto per quanto riguarda il rapporto con le 135 etnie. Tuttavia, le elezioni
del 2015 sono state il risultato di un lungo processo iniziato nei primi anni
del nuovo millennio, quando le potenze occidentali decisero che era tempo
che il Myanmar fosse richiamato sulla scena internazionale. Un cammino
di mediazione, al quale gli Stati Uniti hanno partecipato da protagonisti, so-
prattutto per il fatto che il Myanmar ha una posizione strategica importan-
te. Confina, infatti, per 2.185 km con la Cina. Il viaggio del presidente Usa,
Barack Obama, in Myanmar, nel novembre 2012, ha rappresentato il passo
ufficiale più rilevante nell’ambito di tale politica di “apertura interessata”
degli Usa verso il Myanmar. D’altro canto, la visita di Aung San Suu Kyi a
Washington nel settembre 201624 sancì l’entrata definitiva del Myanmar
sulla scena mondiale.
In tale contesto è necessario leggere la questione dei rohingya25, un po-
polo che da decenni26 soffre persecuzioni in Myanmar27 e a cui manca un
riconoscimento ufficiale all’interno del Paese. Si tratta di un problema mai ri-
solto che è stato lasciato in mano alla politica interna del Myanmar e che ha,

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focus. immigrazione e multiculturalismo
I rohingya e il Sud-Est asiatico. L’odissea di un’etnia

comunque, radici storiche antichissime, che possono spiegare le ragioni del


conflitto odierno e del conseguente flusso migratorio di questa popolazione.

Chi sono i rohingya e da dove provengono

La tradizione storica birmana attesta che lo Stato dell’Arakan era abita-


to dai rakhine dal 3000 a.C. D.G.E. Hall28 afferma che «i birmani [o phama,
n.d.r.] si sono stabiliti nello Stato dell’Arakan probabilmente molto più tardi,
intorno al X secolo d.C. e le prime dinastie si pensa che fossero di origine
indiana e che comandassero una popolazione simile a quella del Bengala»29.
Dunque, lo Stato dell’Arakan venne influenzato dal subcontinente indiano e
particolarmente dall’antico Regno del Delta del Gange. Arakan fu una delle
prime regioni nel Sud-Est asiatico ad adottare la religione del dharma, cioè il
buddhismo, e divenne il primo Stato indianizzato del Sud-Est asiatico. I mis-
sionari buddhisti dall’impero maurya viaggiarono fino a raggiungere lo Stato
dell’Arakan e, successivamente, anche altri parti della regione.
Dalle iscrizioni in lingua sanscrita gli storici sono giunti alla conclusione
che il primo Stato arakanese si sviluppò tra il IV e il VI secolo. Le città erano
centro di un vasto commercio tra India, Cina e Persia. In quel periodo tutta
la regione abbracciò il buddhismo30. Successivamente, a partire dall’VIII se-
colo, iniziò l’arrivo dei mercanti arabi musulmani, che conducevano anche
un’intensa attività missionaria, e una larga fetta della popolazione locale si
convertì all’islam. I musulmani usarono le rotte commerciali della regione
per viaggiare dall’India alla Cina. La parte meridionale della Via della seta,
infatti, collegava l’India, la Birmania e la Cina sin dal Neolitico. Molti mer-
canti arabi sposarono donne locali e si stabilirono nello Stato dell’Arakan.
Come risultato, la popolazione musulmana dello Stato dell’Arakan crebbe
notevolmente31. Verso il IX secolo, il popolo rakhine, una delle tribù dello
Stato birmano del Pyu, iniziò la sua migrazione verso lo Stato dell’Arakan.
Tra il XII e il XV secolo, sorsero e si svilupparono le città di Pyinsa, Parein,
Hkrit, Sambawak II, Myohaung, Toungoo e Launggret. Infine, nel 1406, i
birmani invasero lo Stato di Arakan. A seguito di questo sviluppo, i mu-
sulmani dell’Arakan scapparono verso il sultanato del Bengala, che, dopo

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george ritinsky

la conquista musulmana del subcontinente indiano, era diventato uno dei


maggiori Stati islamici della regione asiatica.

L’impero britannico32

L’impero birmano33 cedette lo Stato dell’Arakan alla British East Indian


Company nel 1826 col trattato di Yandabo. Arakan divenne una delle zone
sotto il controllo della grande Compagnia delle Indie. Nel 1937 lo Stato
dell’Arakan divenne parte della provincia della Birmania, all’interno del
grande impero coloniale britannico, e fu distinta dall’India assumendo il
titolo di colonia imperiale. Durante la Seconda guerra mondiale, lo Stato
dell’Arakan subì l’occupazione giapponese. In questo periodo, cominciaro-
no le prime vere lotte settarie, già avviatesi nel periodo coloniale britanni-
co. Le tensioni tra gli indiani arakanesi e i birmani arakanesi spesso sfocia-
vano in scontri. Quanto succede oggi tra i musulmani rohingya e i buddhisti
dello Stato del Rakhine è una conseguenza proprio di quelle prime avvi-
saglie. Entrambi i gruppi erano rappresentati nel Consiglio legislativo bir-
mano. Purtroppo, i musulmani arakanesi si appellarono a Muhammad Ali
Jinnah, il padre fondatore del Pakistan, per far incorporare la città di Mayu
River Valley all’interno del territorio che sarebbe diventato il Pakistan. Tale
mossa scatenò forti lotte nell’intera regione e portò al massacro del 1942.

L’indipendenza birmana34 e le discriminazioni anti-rohingya

Lo Stato dell’Arakan diventò parte dell’Unione della Birmania, dopo l’in-


dipendenza dal Regno Unito, ottenuta il 4 gennaio 1948. Il Paese rimase una
democrazia parlamentare fino al 1962, quando si realizzò il colpo di Stato mi-
litare ad opera del generale Ne Win35. La giunta militare approvò la legge per
il riconoscimento della cittadinanza che non considerava i cittadini arakanesi
di origine indiana come uno dei gruppi etnici nazionali. Questo fatto è stato
decisivo per comprendere quanto succede oggi. Nel 1989 il governo birmano
cambiò il nome da Birmania a Myanmar e nel 1990 l’organo di controllo e di

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focus. immigrazione e multiculturalismo
I rohingya e il Sud-Est asiatico. L’odissea di un’etnia

azione del governo, lo State Peace and Development Council, mutò il nome
della regione di nostro interesse da Stato dell’Arakan a Stato di Rakhine.
Questa decisione significò il riconoscimento del gruppo etnico dei rakhine,
prevalentemente buddhisti, e, allo stesso tempo, sancì l’esclusione dell’altro
gruppo etnico, quello dei rohingya, in maggioranza musulmani. Tutto questo
aggravò ulteriormente una situazione già da lungo tempo caratterizzata da
una chiara discriminazione nei confronti della sezione musulmana del grup-
po etnico di cui ci stiamo occupando. Anche se il nome dello Stato, Rakhine,
non era accettato da entrambi i gruppi (quello buddhista arakanese e quello
musulmano rohingyanese), rimase il fatto della profonda frattura sociale tra
le etnie che ha portato a sanguinose lotte etniche36.
Nei decenni successivi, i rohingya hanno subìto persecuzioni politiche
e sociali37 e le loro organizzazioni sono state sistematicamente sciolte dal
governo militare del generale Ne Win. La fondazione del Bangladesh, av-
venuta il 16 dicembre 1971, fu vista dal governo birmano come un perico-
lo imminente di invasione da parte degli stranieri bengalesi, e i rohingya
vennero subito considerati come pericolosi alleati di questi movimenti. Se-
condo una teoria del governo abilmente pubblicizzata nella popolazione, i
rohingya si sarebbero infiltrarti nella Birmania per ottenere l’indipendenza
della loro regione dal governo centrale birmano a favore della formazione
di uno Stato islamico appoggiato dal Bangladesh. Le tensioni che seguirono
sfociarono nell’operazione militare Operation Dragon King38, lanciata il 6
febbraio 197839. La versione ufficiale dell’operazione era quella di realizza-
re un censimento accurato, per registrare i cittadini nello Stato del Rakhine
e per espellere gli infiltrati stranieri. In realtà, le cose furono ben diverse.
Ufficiali militari e agenti dell’Ufficio per l’immigrazione condussero l’ope-
razione di comune accordo, passando al setaccio la popolazione rohingya.
Durante queste operazioni avvennero episodi di violenza di ogni genere:
intimidazioni, uccisioni e stupri. I rohingya si trovarono a dover fuggire
verso il Bangladesh. L’operazione concertata dalle agenzie governative e
dall’esercito del Myanmar provocò, nel corso di tre mesi, l’esodo in massa,
calcolato tra le 200 mila e le 250 mila persone, per la maggioranza mu-
sulmani rohingya. Queste migliaia di persone furono costrette a lasciare
la propria regione del Rakhine per fuggire a ridosso del confine, in Ban-

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gladesh. L’esodo fu interpretato dalle autorità birmane come la conferma


che, in effetti, si trattava di infiltrati stranieri, migranti illegali, sul territorio
nazionale birmano, con lo scopo di dividere il Paese. Questa fu la versio-
ne ufficiale diffusa dagli organi governativi al fine di influenzare l’opinione
pubblica nazionale e suscitare un atteggiamento di sospetto nei confronti
di questa comunità. Si trattava di una convinzione derivante dai fatti storici
dei secoli passati, a cui abbiamo accennato nei paragrafi precedenti.
A questo si univano anche le crescenti pressioni fondamentaliste di al-
cune frange buddhiste, che fomentavano un atteggiamento discriminato-
rio verso i rohingya per scopi politici, sociali, economici e religiosi. La Croce
Rossa internazionale e il governo del Bangladesh intervennero per realiz-
zare un’emergenza umanitaria eccezionale, anche con l’aiuto delle Nazioni
Unite e dell’Agenzia specifica, la Unhcr. Il 31 luglio 1978, il governo birmano
e quello del Bangladesh raggiunsero un accordo per il ritorno dei rifugiati,
e circa 180 mila persone poterono far ritorno nello Stato del Rakhine. Tut-
tavia, in seguito alle elezioni del 1990, continuarono negli anni successivi
(1991 e 1992) le lotte tribali a cui si aggiunse anche la rivolta studentesca
soprannominata “8888”. Altra recrudescenza della situazione avvenne a
partire dal 2012 con episodi più o meno gravi nel 2015 e nel 2016. Si stava
preparando, in pratica, il terreno per una vera e propria pulizia etnica che
sarebbe avvenuta nel 2017.

I fatti del 25 agosto 2017 40

Le prime notizie che furono diffuse dalle agenzie di stampa il 25 ago-


sto 2017 41 parlavano di attacchi coordinati contro le forze di sicurezza e di
polizia del Myanmar effettuati, secondo quando affermavano le agenzie,
dal gruppo musulmano chiamato Arakan Rohingya Salvation Army. Questi
scontri, secondo fonti ufficiali, avevano causato la morte di 12 ufficiali e
di 59 insorti. Fin qui si pensava a una delle tante battaglie che avevano
insanguinato lo Stato del Rakhine dai tempi delle sua fondazione fino ai
giorni nostri, come abbiamo visto in precedenza. Le cose stavano diversa-
mente. Le forze regolari dell’esercito, insieme alle milizie di volontari, lan-

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focus. immigrazione e multiculturalismo
I rohingya e il Sud-Est asiatico. L’odissea di un’etnia

ciarono una serie di operazioni militari ben coordinate contro i dimostranti.


Alle operazioni avevano partecipato anche unità paramilitari. Si trattava di
operazioni militari che da subito hanno dato l’impressione di essere ben
organizzate. Come è stato descritto dal Rapporto in merito delle Nazioni
Unite42, era l’inizio di una vera pulizia etnica con lo scopo di estirpare il
problema dei rohingya dallo Stato del Rakhine43. Alcune operazioni furo-
no portate a termine dai militari del Tatmadaw, mentre le più nascoste
e “delicate” con l’ausilio delle milizie di volontari o, come alcuni hanno
descritto, da militari in abiti civili. Dai video, dalle testimonianze di chi è
arrivato poi nel campo profughi di Kutupalong, nel distretto di Ukhia, in
Bangladesh, i rastrellamenti non miravano solo all’arresto di uomini in
età adulta. Anche donne, bambini, anziani sono stati oggetto di uccisioni,
spesso arsi vivi, trucidati o violentati. Le stime parlano di almeno diecimi-
la persone uccise, mentre l’agenzia Euronews, in un articolo del settembre
di quest’anno (a un anno di distanza dagli scontri), arriva a una stima di
24 mila rohingya uccisi. Dall’agosto del 2017 fino ad oggi hanno trovato
rifugio a Kutupalong circa 720 mila rohingya, che, aggiunti a quanti erano
fuggiti in precedenza, arrivano alla cifra di un milione e centomila perso-
ne fuggite dallo Stato del Rakhine.
Nel corso di un anno e mezzo, fra la data dell’eccidio e gli ultimi mesi del
2018, nel campo profughi sono state raccolte centinaia di testimonianze
di coloro che hanno sofferto in prima persona la pulizia etnica44. Nei mesi
successivi, poi, le stesse forze militari e paramilitari hanno provveduto a
sigillare con pavimentazione in cemento le fosse comuni contenenti i resti
delle persone uccise. Le foto satellitari mostrano intere aree, che prima
dell’agosto erano abitate dai rohingya, completamente trasformate a cau-
sa dell’impiego delle ruspe da parte dei militari. Sopra quelle aree dove,
secondo le testimonianze, sono situate alcune fosse comuni, ora sorgono
edifici per future fabbriche oppure strade asfaltate. Un ruolo importante
in questa operazione è stato quello dei gruppi estremisti buddhisti, che
hanno per decenni fomentato l’espulsione dei profughi “bengalesi”, giusti-
ficandola con ragioni religiose inconcepibili45. Fra questi, particolarmente
attivo, il monaco buddhista Ashin Wirathu46, da tempo soprannominato
dal quotidiano Los Angeles Times47 il “Bin Laden buddhista”. Ashin Wirathu

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è ritenuto uno dei maggiori fomentatori dell’odio religioso. Naturalmente,


nulla avrebbe potuto essere realizzato senza l’appoggio dei militari e del
Tatmadaw. Ancora oggi, molti gruppi di buddhisti (e non solo) si oppongo-
no al ritorno dei rohingya nello Stato del Rakhine48.

alcune note come conclusione

Sicuramente, nel caso dei rohingya, non è possibile parlare di una mi-
grazione verso il Bangladesh per ragioni economiche, come invece avviene
per altri gruppi sempre dal Myanmar, ma verso la Thailandia49. I rohingya
rappresentano, invece, un esempio recente50 di pulizia etnica, preparata
già dai primi di agosto del 2017, come affermava la BBC51. Queste testi-
monianze avvallano la convinzione, da parte di molti analisti politici della
regione, che le operazioni contro i rohingya siano state ben pianificate per
arrivare a uno scopo preciso, cioè l’allontanamento dal suolo del Myanmar
dei rifugiati illegali bengalesi. Come abbiamo visto, una questione che ha
radici storiche profonde.
Questa minoranza etnica, i rohingya, forse una tra le più perseguitate
al mondo, come abbiamo potuto constatare, fa parte delle migliaia dei
popoli senza una patria, che si trovano ancora oggi sul nostro pianeta.
Eppure la cultura del Sud-Est asiatico è una cultura multi-religiosa e tolle-
rante. Tuttavia, gli interessi politici nazionali e internazionali distruggono
spesso valori ed eredità culturali antiche come il mondo. I rohingya non
sono i soli a subire questo processo discriminatorio violento. Sono tre i
conflitti di questo tipo ancora in atto in Myanmar52 . La persecuzione nello
Stato di Shan53 e quella dei kachin cristiani54 da parte del Tatmadaw55
rappresentano altri due gravi esempi di questa politica. Inspiegabilmente
per i media internazionali, esiste principalmente la questione rohingya:
una guerra, a detta di alcuni, forse strumentalizzata per togliere l’atten-
zione dal disastro umanitario in Yemen56 perpetuato da truppe musulma-
ne contro popolazioni musulmane?
Le grandi questioni che, al momento, rimangono sul tavolo dei rap-
presentanti delle Nazioni Unite sono tante. Da una parte, il rimpatrio

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focus. immigrazione e multiculturalismo
I rohingya e il Sud-Est asiatico. L’odissea di un’etnia

del milione e centomila profughi e rifugiati ammassati nei campi profu-


ghi del Bangladesh, Paese poverissimo che si è dimostrato ospitale nei
confronti di questa massa umana. Dall’altra, la comunità internaziona-
le fa pressione57 minacciando anche dal punto di vista economico58 il
Myanmar, affinché, all’interno del Paese, si attenui il clima di ostilità nei
confronti dei rohingya e si arrivi a una soluzione pacifica del conflitto
anche con i kachin e con gli shan. Non manca anche una pressione per
poter portare di fronte alla giustizia internazionale i responsabili dei cri-
mini perpetrati nei confronti di queste etnie, chiaramente catalogabi-
li come “crimini contro l’umanità”, come ha affermato il generale Min
Aung Hlaing, durante la visita del santo padre nel novembre 201759.
Non ultima la questione delle sanzioni che la comunità internazionale
vorrebbe imporre di nuovo alla classe dirigente del Myanmar, che re-
sta, comunque, completamente indifferente alle pressioni esterne nei
suoi confronti60. Molti analisti del Myanmar affermano che una parte
dei militari vorrebbe tornare indietro nel tempo, per riacquistare il pote-
re assoluto di cui poteva godere al tempo della giunta. I militari, infatti,
possiedono ingenti somme di denaro e continuano a vantare e godere di
privilegi61 sulle risorse naturali del Paese, e, dunque, non sono assoluta-
mente interessati né alla democrazia né a quanto questa esige per una
vera apertura verso il mondo attuale 62 .
Altra questione scottante oggi è quella che riguarda la premio Nobel
per la pace, Aung San Suu Kyi63. Molti si interrogano e la interrogano su
cosa abbia fatto, fino ad oggi, o stia facendo attualmente per favorire una
vera riconciliazione nazionale e un’efficace protezione delle minoranze et-
niche. Le parole del cardinal Bo64, tra le altre (ma non solo), invitano alla
calma e alla pazienza. Infatti, la Aung San Suu Kyi rappresenta la sola solu-
zione possibile nel presente e nell’immediato futuro per una pace durevole
del Myanmar e per scongiurare il pericolo di un ritorno alla guerra civile.
Non sembra possibile, al momento, un controllo civile sul Tatmadaw, che
agisce, secondo molti analisti, in completa autonomia dal Parlamento. Il
Myanmar conserva, a tutt’oggi, una situazione complessa e assai proble-
matica con un’attesa da parte dell’opinione pubblica locale di soluzioni im-
mediate per tutti i problemi interni65.

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È necessario analizzare questo quadro, senza dubbio drammatico, che


il Myanmar attuale presenta di fronte al mondo, prendendo le dovute di-
stanze e con parametri che permettano di ascoltare l’insieme delle parti
con le rispettive sensibilità e prospettive. Nel quadro generale, non si può
ignorare, per esempio, che l’Arakan Rohingya Salvation Army66 ancora oggi
opera al confine fra Myanmar e Bangladesh contro il Tatmadaw e le forze di
polizia. Un altro gruppo importante sta prendendo le armi e facendo sen-
tire la propria voce67 nello Stato del Rakhine: si tratta dell’Arakan Army, un
gruppo armato buddhista, che gode di grande autonomia. L’uccisione di
tredici poliziotti da parte di questo gruppo mette nuovamente in pericolo
il ritorno dei rohingya nelle proprie terre. In sintesi, rohingya, kachin, shan:
tre guerre che ancora oggi bagnano di sangue il Myanmar. Tre popoli, tra le
centinaia della regione, in cerca di pace e di prosperità.

1
http://www.asean.org.
2
Ibid.
3
https://www.baliprocess.net/membership/indonesia/.
4
Tuttavia, a causa delle distanze e del numero delle isole (18.306), non è facile
stabilire con esattezza la popolazione del Paese. Di queste 18.306 isole, secondo la
stima del 2002 del Lapan (cf. http://sinas-indonesia.org/institution/national-insti-
tute-of-aeronautics-and-space-lapan/), ovvero l’Istituto nazionale di aeronautica e
dello spazio indonesiano, soltanto 8.844 hanno un nome; 922 sono abitate in modo
permanente. Essendo una zona fortemente sismica, il sorgere e scomparire di nuo-
ve isole è cosa abbastanza comune.
5
L’Indonesia, come noto, è il Paese al mondo con la più numerosa popolazione
musulmana. I fedeli dell’islam superano, infatti, i 200 milioni.
6
http://www.thaigov.go.th/.
7
ht tp: //w w w.mfa .go.th /main /en /news3/6 885/86767-Announce-
ment-of-the-National-Agenda-%E2%80%9CHuman-Rights.html.
8
https://www.onlychaam.com/ethnic-groups-in-thailand/.
9
https://www.malaysia.gov.my/portal/index.
10
Cf. S. Nagaraj - T. Nai-Peng - N. Chiu-Wan - L. Kiong-Hock - J. Pala, «Counting
Ethnicity in Malaysia: The Complexity of Measuring Diversity», in P. Simon - V. Piché -
A.A. Gagnon (edd.), Social Statistics and Ethnic Diversity. Cross-National Perspectives

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focus. immigrazione e multiculturalismo
I rohingya e il Sud-Est asiatico. L’odissea di un’etnia

in Classifications and Identity Politics, IMISCOE Research Series, Springer Nature


2018, Switzerland, pp. 143-173.
11
Cf. Department of Statistics, Malaysia, Tables 2.10 and 2.11.
12
http://www.laogov.gov.la/pages/Home.aspx.
13
https://www.scmp.com/comment/insight-opinion.
14
http://www.britannica.com.
15
https://asiasociety.org/education/religions-south-asia.
16
https://www.reuters.com/investigates/special-report/myanmar-rohin-
gya-return/.
17
http://www.president-office.gov.mm/en/.
18
http://www.president-office.gov.mm/en/?q=issues/peace/id-6432.
19
https://www.theguardian.com/world/2018/may/14/slow-genocide-myan-
mars-invisible-war-on-the-kachin-christian-minority.
20
https://www.youtube.com/watch?v=ToXHFOwassY.
21
https://www.youtube.com/watch?v=7ToR4FuH6CE.
22
https://www.aljazeera.com/Search/?q=rohingya.
23
https://www.cnbc.com/2018/11/21/myanmar-suu-kyis-government-lo-
ses-popularity-amid-ethnic-conflicts.html.
24
https://www.nytimes.com/2016/09/15/world/asia/myanmar-obama.
html.
25
https://frontiermyanmar.net/en/new-un-panel-to-prepare-indictments-
over-myanmar-atrocities.
26
https://www.youtube.com/watch?v=KRzoY-dLc_4.
27
https://www.sonne-international.org/en/rohingya/.
28
Daniel George Edward Hall, professore emerito di Storia del Sud-Est asiatico
presso l’università di Londra, è il più autorevole storico della regione e ha scritto mol-
to sulla storia della Birmania (cf. D.G.E. Hall, A History of South-East Asia, Macmillan
Press Ltd, London 1981). Le traduzioni presenti nel testo sono a cura dell'Autore.
29
Cf. ibid., pp. 3-11, 12-46.
30
Cf. ibid., pp. 151-181.
31
Cf. ibid., pp. 221-235.
32
Cf. ibid., pp. 236-243.
33
Cf. ibid., pp. 252-260, 380-397, 411-425.
34
https://www.britannica.com/topic/Burma-Independence-Army.
35
http://www.euro-burma.eu/burma-background/burma-history/.
36
Cf. G.E. Harvey, History of Burma: From the Earliest Times to 10 March 1824. The
Beginning of the English Conquest, Frank Cass and Co. Ltd, London 1967, p. 282.
37
http://theconversation.com/the-history-of-the-persecution-of-myanmars-
rohingya-84040.

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george ritinsky

38
https://www.hrw.org/reports/2000/burma/burm005-01.htm.
39
https://www.youtube.com/watch?v=04axDDRVy_o.
40
https://www.youtube.com/watch?v=irQhr9DOfbg.
41
https://www.reuters.com/article/us-myanmar-rohingya/at-least-71-kil-
led-in-myanmar-as-rohingya-insurgents-stage-major-attack-idUSKCN1B507K.
42
https://www.youtube.com/watch?v=04axDDRVy_o.
43
https://www.youtube.com/watch?v=pebrk29ZJW8.
44
https://frontiermyanmar.net/en/new-un-panel-to-prepare-indictments-
over-myanmar-atrocities. Il materiale è stato raccolto in un volume cartaceo di 444
pagine all’interno delle quali è possibile avere accesso in dettaglio ai nomi e ranghi
degli ufficiali e dei soldati che hanno partecipato agli stupri di migliaia di donne
rohingya, o che hanno bruciato e raso al suolo interi villaggi.
45
https://www.youtube.com/watch?v=KRzoY-dLc_4.
46
http://www.thebuddhistbinladen.com/.
47
https://www.latimes.com/world/asia/la-fg-ff-myanmar-monk-20150524-
story.html.
48
https://www.bangkokpost.com/news/asean/1582066/protest-in-myan-
mars-rakhine-state-opposes-rohingya-return#cxrecs_s.
49
Mae Sot, una cittadina della Thailandia situata in prossimità del confine bir-
mano, conta tra la sua popolazione circa il 40% di abitanti provenienti dal Myanmar,
soprattutto dal vicino Stato karen. Questa parte di popolazione fugge dal Myanmar
a causa della povertà e per le violenze contro il loro popolo (cf. https://observers.
france24.com/en/20160808-video-burma-karen-police-army).
50
https://www.youtube.com/watch?v=KXWG4NQNIlo.
51
https://www.youtube.com/watch?v=irQhr9DOfbg.
52
https://www.youtube.com/watch?v=vtrZaChNRtA.
53
https://frontiermyanmar.net/en/tatmadaw-says-it-will-halt-operations-in-
shan-and-kachin-to-resuscitate-peace-talks.
54
https://www.ncronline.org/news/world/cardinal-bo-slams-myanmar-mili-
tary-brutality-kachin.
55
https://frontiermyanmar.net/en/rakhine-rebels-attack-police-stations-in-
pre-dawn-raids-myanmar-army.
56
https://washdiplomat.com/index.php?option=com _content&view=
article&id=15159:world-turns-blind-eye-to-yemens-civil-war-rohingya-refugees-
and-south-sudans-famine&catid=1556&Itemid=428.
57
https://frontiermyanmar.net/en/despite-eu-embargo-tatmadaw-buys-eu-
ropean-aircraft.
58
https://www.aljazeera.com/news/2018/11/eu-considers-sanctions-myan-
mar-rohingya-crackdown-181102074402851.html.

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focus. immigrazione e multiculturalismo
I rohingya e il Sud-Est asiatico. L’odissea di un’etnia

59
https://www.lastampa.it/2017/11/27/vaticaninsider/the-pope-meets-
the-military-leaders-of-myanmar-ahead-of-schedule-3xeYWlU0cjWY7AwZVZH-
vEO/pagina.html.
60
https://www.nytimes.com/2018/01/27/world/asia/myanmar-mili-
tary-ethnic-cleansing.html.
61
https://www.youtube.com/watch?v=kwGuSUM2kh0.
62
Un video di alcuni anni fa, prodotto dalla Cnn, mostra il matrimonio della figlia
del generale Than Shwe e può dare un piccolo esempio della ricchezza illimitata che
ancora oggi i militari godono con una libertà indiscussa.
63
https://www.youtube.com/watch?v=RcirjxDoe7k.
64
https://www.ucanews.com/news/cardinal-bo-asks-world-to-help-myan-
mar-find-peace/83300.
65
https://www.youtube.com/watch?v=NJkg2_72uUo.
66
https://www.youtube.com/watch?v=KgeehHK6Ku8.
67
ht tps: //w w w.th eg uardian .co m /wo rld / 2019/ jan /0 6/rak hin e -re -
bels-kill-13-in-independence-day-attack-on-myanmar-police-posts.

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scripta manent

Interdipendenza planetaria

Sull’argomento di questo Focus sembrano di particola-


re significato due testi di Chiara Lubich che proponiamo ai
nostri lettori. Uno, presentato in occasione di un convegno
Chiara a Londra, offre una chiave di lettura, in qualche modo pro-
Lubich fetica. Si era, infatti, solo all’inizio dei processi migratori,
che tuttavia mostravano di essere capaci di provocare mu-
(1920-2008)
fondatrice
tamenti significativi alla società occidentale, in particolare
del movimento a quella europea.
dei focolari Il secondo, tratto da un commento della Lubich a una
e delle numerose frase del vangelo, propone una metodologia cristiana per
altre opere che assicurare un atteggiamento di accettazione, promozio-
alla sua iniziativa
si riconducono
ne e integrazione dei migranti da parte delle società che
(compresa li accolgono.
la rivista
nuova umanità). «In questi ultimi anni le nostre società europee
è universalmente vengono percorse da importanti correnti migratorie,
riconosciuta
come importante
dall‘Est all‘Ovest, dal Sud al Nord; questo fenomeno sta
testimone incidendo profondamente sulla fisionomia del nostro
dell’unità fra continente, rendendo le sue città sempre più variega-
i popoli, le culture te. Lo si vede camminando per le strade, lo si nota, ad
e le religioni. esempio, nel fiorire di moschee, ma anche di templi,
molti templi in Paesi che fino a poco tempo fa erano
ancora quasi esclusivamente di religione cristiana. Con-
temporaneamente i moderni mezzi di comunicazio-
ne rendono presenti gli uni agli altri persone e popoli
materialmente lontanissimi; tanto che, per esempio,
nelle scelte personali di un giovane occidentale, può
avere ora un peso decisivo ciò che accade in Asia o in
Africa. Nessuno ci è più estraneo perché lo “vediamo”,

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scripta manent
Interdipendenza planetaria

perché sappiamo di lui. Inoltre, la globalizzazione economica e finanziaria ha


intrecciato tutti i nostri interessi, che non sono più separati tra di loro; molti
problemi attuali riguardano l’umanità nel suo insieme e nessun popolo può
affrontarli separatamente dagli altri. Viviamo dunque in un mondo che è dav-
vero diventato, come si dice, un “villaggio globale”: un villaggio complesso e
nuovo. Situazione questa che ci mette davanti delle possibilità di conoscenze
e di sviluppo impensate, anche se non mancano certo paure, diffidenze e
chiusure, soprattutto per il pericolo sempre imminente del terrorismo. In una
situazione, per certi versi simile alla nostra, si è ritrovato un grande santo e
dottore della Chiesa, Agostino di Ippona, che, di fronte al crollo dell‘Impero
Romano sotto la pressione delle migrazioni dei popoli del Nord e dell‘Est, ha
avuto la grazia e la lungimiranza di aiutare la coscienza cristiana a capire che
lo sconvolgimento delle civiltà, che stava avvenendo sotto gli occhi di tutti
i suoi contemporanei, non era la fine del (loro) mondo, ma la nascita di un
mondo nuovo1. La sua era una visione che veniva dalla fede e dalla convinzio-
ne che Dio non è assente dalla storia. L’amore di Dio, infatti, è tale da saper
convogliare ogni cosa al bene, lo dice lo stesso san Paolo: “Tutto concorre al
bene di coloro che amano Dio” (Rm 8, 28). È ora – mi sembra – la stessa fede
che deve sorreggere anche noi e guidarci nell’attuale situazione»2.

«Come vivremo, allora, la Parola di vita di questo mese?3. In base a


quanto si è appena visto, essa ci orienta innanzitutto a lodare Dio impe-
gnandoci a costruire l’unità, la concordia e la pace all’interno delle nostre
comunità. E ciò è possibile, ricercando sempre tutto quello che ci può unire
e mettendo da parte quello che ci può dividere. Così facendo, innalziamo
a Dio la lode e il sacrificio più bello. Ci invita poi ad allargare questo spirito
di comprensione e di accoglienza verso tutte le persone che appartengono
a un’altra religione, tradizione culturale, ecc., con le quali possiamo veni-
re a contatto, come, per esempio i numerosi immigrati che sono tra noi.
Scopriremo tanti punti, tanti valori che abbiamo in comune con essi. Come
cristiani, dobbiamo essere i primi a testimoniare questo spirito di com-
prensione e di accoglienza. Non è forse questo il distintivo e la consegna
lasciatici da Gesù? Non ci ha detto che, in base a questa testimonianza, gli
altri ci riconosceranno come veri suoi discepoli? (cf. Gv 15, 35)»4.

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chiara lubich

1
Cf. soprattutto La città di Dio, ma anche i discorsi nei quali sant’Agostino parla
della caduta di Roma (nn. 81, 105, 296, 397).
2
C. Lubich, Quale futuro per una società multiculturale, multietnica e multireligiosa?,
Westminster Central Hall, Londra, 19 giugno 2004.
3
Si tratta del passo della Lettera ai Romani: «Lodate, nazioni tutte, il Signore;
i popoli tutti lo esaltino» (Rm 15, 11).
4
C. Lubich, Commento alla Parola di Vita, gennaio 1991.

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dallo scaffale di città nuova

Vera sapienza è l’incontro


con l’altro
la regina di Saba e altri scambi
di doni
di Filippo Manini

Oggi che valore ha il dono? È possibile il dialogo tra i popoli


o l’unica via è il conflitto? La Bibbia offre diverse risposte a
queste domande. Un’immagine felice di dialogo e di scambio
di doni è offerta da Salomone e dalla regina di Saba. In questo
racconto e in altri passi dell’Antico e del Nuovo Testamento,
appare come l’incontro coinvolga ogni aspetto dell’esistenza,
compresa la relazione con Dio. Le ombre e i conflitti non eli-
minano la speranza e la fiducia in uno scambio fecondo. Nel
isbn primo capitolo è illustrato, con diversi altri passi biblici, l’in-
97888311188043 contro tra Salomone e la regina di Saba. Nel secondo capito-
pagine lo si trovano tracce ed echi di quest’incontro in passi di tono
apocalittico e messianico. Infine, il terzo capitolo presenta al-
80 tri incontri, tra cui quello fra Davide e Gionata e quello fra Elia
prezzo e la vedova di Sarepta.
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I quattro verbi
di papa Francesco

Roberto papa francesco, un migrante


Catalano di fronte alle ondate migratorie

condirettore Eletto al soglio di Pietro il 13 marzo 2013, nei mesi


del centro successivi alla sua elezione, Jorge Mario Bergoglio si è
per il dialogo trovato di fronte a quello che ha immediatamente colto
interreligioso
del movimento come “segno dei tempi” dell’epoca in cui viviamo. Da
dei focolari. un lato, infatti, centinaia di migranti attraversavano il
professore presso Mediterraneo per raggiungere le coste italiane, punto
la pontificia di entrata per l’Europa. Dall’altra, si manifestava sem-
università pre più evidente la crescente resistenza, con le inevita-
urbaniana (roma),
presso l’istituto bili tensioni, ad accettare migranti sul suolo europeo. Di
universitario conseguenza, i migranti rappresentano un punto fon-
sophia di loppiano damentale di attenzione per il papa argentino fin dalla
(figline – incisa sua elezione, e Francesco non ha mancato di eviden-
in val d’arno, ziare come la nostra storia della salvezza sia profonda-
firenze) e presso
l’accademia mente collegata con eventi migratori1. Nel corso dei sei
di scienze umane anni passati, viaggi, documenti, conferenze, incontri,
e sociali di roma. messaggi hanno chiaramente mostrato quanto questo
problema stia al centro del magistero e della missione
di papa Francesco. Con tutta probabilità, si può affer-
mare che “accogliere”, “proteggere”, “promuovere” e
“integrare”, i quattro verbi contenuti nel suo messaggio
per la Giornata del migrante del 2017, la numero 103
dalla sua istituzione, possono essere considerati come
la vera sintesi della prospettiva del pontefice sulla que-
stione migrazioni2.

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I quattro verbi di papa Francesco

i migranti: una questione cruciale per il nuovo papato

I processi migratori attuali, risultato della globalizzazione, sono fe-


nomeni che hanno avuto inizio ben prima dell’elezione di Bergoglio a
papa. Tuttavia, i primi mesi del suo pontificato hanno visto un’improv-
visa quanto drammatica impennata nelle tensioni fra “diverse identità”,
specialmente in Europa, e soprattutto vari naufragi nel Mediterraneo
che hanno causato la morte di centinaia di migranti. Di fronte a que-
ste situazioni papa Francesco ha immediatamente concentrato la sua
attenzione su questa categoria di persone, gente che ha immediato
bisogno di cura e assistenza. La centralità della questione migratoria
nell’agenda papale è stata chiara fin dall’inizio con la scelta della de-
stinazione del primo viaggio fuori del Vaticano3 . L’8 luglio 2013, papa
Francesco, infatti, con un annuncio dato nei giorni precedenti, si è re-
cato a Lampedusa. Il primo viaggio papale è diventato così un “evento
rivelatore”. Aiuta, infatti, a comprendere la direzione del papato 4 . Fino
a quel momento, i migranti avevano rappresentato una questione per
volontari e specialisti. Con questo breve viaggio, Bergoglio ha posto il
fenomeno al centro dell’attenzione sia della Chiesa che della società.
Non era che l’inizio. Negli anni successivi, fino ad oggi, papa Francesco
ha visitato altre località che sono diventate negli ultimi anni simboli di
migrazioni: Lesbo in Grecia e Ciudad Juárez in Messico, un centro urba-
no sorto come un fungo a poche decine di metri dal confine con gli Stati
Uniti, e pattugliato da militari in assetto di guerra. Da questi luoghi ha
lanciato messaggi coraggiosi al mondo.

l’atteggiamento di papa francesco


nei confronti dei migranti

È necessario ora mettere in rilievo aspetti che aiutino a far luce


sull’approccio di papa Francesco verso i migranti come i più poveri fra
i poveri.

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I migranti sono persone

Elemento fondante, spesso sottolineato dal pontefice, è il fatto che, pri-


ma di tutto, i migranti sono persone, esseri umani. Ciascuno di loro ha un
nome, un volto e una storia. Questo elemento semplice e, di per sé, eviden-
te è spesso dimenticato dall’opinione pubblica, bombardati come siamo
da statistiche senza fine, più o meno documentate, che i media propinano
sia in Europa che negli Usa. Come giustamente nota un giornalista italiano,
mentre le istituzioni europee a Bruxelles erano impegnate in una serie di
processi di incontri bi- e multi-laterali, spesso inconcludenti, sulle quote
di migranti da condividere fra i Paesi dell’Unione Europea, Bergoglio era a
Lesbo per incontrare quei migranti, camminando fra loro e intrattenendosi
personalmente con quelle persone5. Non solo. Li ha toccati, li ha ascoltati,
ha raccolto i disegni fatti dai loro bimbi e la sera stessa è tornato a Roma
portando con sé un gruppo di famiglie, le prime ad usare i corridoi umanita-
ri. Francesco è riuscito a stabilire un rapporto personale come avviene solo
fra esseri umani, piuttosto che considerarli numeri o pratiche anonime.

Quattro verbi chiave: accogliere, proteggere, promuovere e integrare

Di conseguenza, nella prospettiva di Bergoglio emergono quattro


verbi che esprimono altrettanti atteggiamenti da avere nei confronti
dei migranti.
Innanzi tutto, “accogliere”. L’accoglienza è l’atteggiamento fondante di
quella che papa Francesco definisce la “cultura dell’inclusione”. In termini
pratici, nel contesto delle ondate migratorie, Bergoglio invita autorità politi-
che e amministrative dei cosiddetti Paesi di destinazione ad offrire ai migranti
e ai rifugiati possibilità sempre più aperte e sicure di entrare nei loro territori.
Costantemente ricorda, infatti, «l’importanza di offrire a migranti e rifugia-
ti una prima sistemazione adeguata e decorosa»6. A conferma di questo, il
papa argentino non ha mancato di esprimere il suo apprezzamento e la sua
gratitudine a popoli e nazioni che sono stati testimoni di tale atteggiamento,
offrendo esempi incoraggianti di come accogliere sia migranti che rifugiati.

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I quattro verbi di papa Francesco

Fra questi, gli abitanti di Lampedusa meritano una menzione particolare, che
il papa ha esteso loro al termine della messa officiata in occasione del sua
visita lampo sull’isola italiana nel Mar Mediterraneo. Bergoglio chiaramente
rifiuta le cosiddette “espulsioni collettive e arbitrarie”, soluzioni che costrin-
gono i disperati, che hanno dovuto attraversare lo spettro della fuga da guerre
crudeli o da drammatiche carestie, a ritornare nei rispettivi Paesi di prove-
nienza dove si troveranno di fronte agli stessi problemi, in pericolo di vita e
senza una garanzia che la loro dignità e i loro diritti umani vengano rispettati.
I processi che mirano a semplificare la concessione di visti o che favoriscano
i corridoi umanitari assicurano un contatto umano, facilitano le procedure e
offrono garanzia di successo. Già Benedetto XVI, nella sua enciclica Caritas in
veritate, sottolineava quello che aveva definito come “principio della centra-
lità della persona umana”, invitando a dare la priorità alla “sicurezza perso-
nale” piuttosto che alla “sicurezza nazionale”7. Due elementi devono essere
messi opportunamente a fuoco nell’atteggiamento fondamentale necessario
per accogliere i migranti. Da un lato, è necessario rendersi conto che acco-
gliere migranti e rifugiati non va contro il processo di sviluppo. I due processi
rappresentano le ali della stessa “colomba della solidarietà”8. D’altro canto,
come già affermato da Benedetto XVI, è di fondamentale importanza assicu-
rare il diritto a migrare e, allo stesso tempo, quello a non migrare, che implica
il diritto a trovare all’interno del proprio Paese le condizioni necessarie che
permettano di condurre una vita dignitosa9. L’atteggiamento dell’accoglienza
nei confronti di chi migra o cerca rifugio può essere pienamente compreso
e accettato solo nella prospettiva del principio di solidarietà, che ha la sua
radice nella pagina evangelica che invita ad accogliere lo straniero10. La logica
qui è quella dell’amore e della misericordia, che restano i fondamenti della
prospettiva bergogliana, non solo per quanto riguarda il problema che qui si
affronta, ma quello ben più vasto della politica internazionale11.

“Proteggere” è il secondo verbo chiave nella road-map suggerita da


papa Francesco. Infatti, i migranti sono esposti a una serie di minacce e
pericoli inimmaginabili e, più di ogni altro gruppo di persone, sono vul-
nerabili allo sfruttamento, ad abusi di ogni tipo e alla violenza12 . Questo
è il destino tragico che i migranti devono sopportare. Tuttavia, fra loro,

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i bambini, essendo minori, stranieri e indifesi, restano la categoria espo-


sta a maggior rischio. Sono loro, soprattutto, ad essere oggetto della
necessità di un’adeguata protezione.

Una terza raccomandazione viene espressa dal verbo “promuovere”. La


protezione non è sufficiente. È, infatti, necessario assicurare iniziative posi-
tive al fine di promuovere uno sviluppo umano integrale. Si tratta di un argo-
mento già ampiamente trattato nel Compendio della dottrina sociale della Chie-
sa13. “Promuovere” ha un’accezione molto ampia. Coinvolge, infatti, non solo
il Paese di destinazione dei migranti ma anche le loro rispettive comunità di
origine. Qui è la cooperazione internazionale ad essere chiamata a giocare un
ruolo fondamentale, attraverso progetti, possibilmente non strumentalizzati
da interessi nascosti, atti a contribuire e ad assicurare realizzazioni concre-
te capaci di prevenire lo sradicamento delle persone dai contesti in cui sono
nate e hanno vissuto. Viene qui in evidenza, ancora una volta, il già citato di-
ritto non solo a migrare, ma anche quello a non migrare. Proprio questo punto
costituisce uno degli elementi fondanti della Dichiarazione di Lampedusa14. Il
documento si basa sull’evidenza che tutti gli esseri umani hanno gli stessi di-
ritti e nessuno può essere oggetto di alcun tipo di discriminazione15.

“Integrare” è il quarto verbo che papa Francesco propone agli Stati ri-
ceventi gli emigrati, in particolare in Europa e negli Usa, dove a più riprese
è tornato sull’argomento. Nel 2016, nel suo discorso di accettazione in oc-
casione dell’assegnazione del Premio Carlo Magno, Bergoglio si soffermò
proprio sulla questione dell’integrazione, sottolineando di fronte ai mag-
giori rappresentanti dell’Unione Europea la necessità di promuovere atteg-
giamenti e processi integrativi16. L’invito del pontefice mirava a scongiurare
il pericolo di scontri fra i governi e gli abitanti dei Paesi di destinazione e
i nuovi arrivati e le loro culture e religioni. In tale prospettiva Francesco
invitava a «vincere la tentazione di ripiegarsi su paradigmi unilaterali e
di avventurarsi in “colonizzazioni ideologiche”»17. L’Europa, sottolinea-
va, è «chiamata a diventare modello di nuove sintesi e di dialogo. Il volto
dell’Europa non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel por-
tare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure»18.

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I quattro verbi di papa Francesco

La Regola d’oro rappresenta il paradigma di riferimento per tali processi19.


Il discorso di Bergoglio non è mai ermeneutico, ma oltre ai suoi gesti sim-
bolici, a cui si è accennato, non manca mai di riconoscere esempi positivi di
integrazione nel presente come nel passato20.
Allo stesso tempo, non perde occasione per ricordare agli europei la
loro esperienza passata, quando, come migranti, i loro antenati si erano
diretti a Occidente verso le Americhe21. In tale contesto, Bergoglio ha ri-
petutamente sottolineato come l’integrazione abbia da sempre costituito
un aspetto fondante per la formazione di nuove civiltà, nate dall’incontro
di gente di diverse provenienze e culture. Papa Francesco intende met-
tere in evidenza come le migrazioni rappresentino non una minaccia, ma
un’opportunità nell’evolversi mondiale delle diverse culture e civiltà. «Non
dobbiamo spaventarci, perché l’Europa si è formata con una continua in-
tegrazione di culture, tante culture […]. L’Europa si è formata con le migra-
zioni»22. Il rischio per le nazioni dell’Occidente è ora quello di non essere
aperte all’accoglienza e all’integrazione. Tale atteggiamento nasconde pe-
ricoli notevoli per il futuro.

Perché, qual è il pericolo quando un rifugiato o un migrante – que-


sto vale per tutti e due – non viene integrato, non è integrato? Mi
permetto la parola – forse è un neologismo – si ghettizza, ossia en-
tra in un ghetto. E una cultura che non si sviluppa in rapporto con
l’altra cultura, questo è pericoloso. Io credo che il più cattivo consi-
gliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura, e
il miglior consigliere sia la prudenza23.

La necessità della reciprocità

È di cruciale importanza notare come la prospettiva bergogliana su


questo tema non sia mai unidirezionale. Tutti e quattro i verbi che fanno
parte del suo “lessico migratorio” portano con sé una chiara dimensione
relazionale e, quindi, di reciprocità. Infatti, la cura dei migranti richiede un
approccio di mutualità fra coloro che accolgono e quanti sono accolti, co-
loro che cercano asilo e riparo e quanti offrono assistenza. Da qui l’invito

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di papa Francesco anche agli immigrati affinché, soprattutto anche se non


solo, «proprio per il bene dei loro bambini, collaborino sempre più stretta-
mente con le comunità che li accolgono»24.

L’integrazione, che non è né assimilazione né incorporazione, è un


processo bidirezionale, che si fonda essenzialmente sul mutuo ri-
conoscimento della ricchezza: non è appiattimento di una cultura
sull’altra, e nemmeno isolamento reciproco, con il rischio di nefa-
ste quanto pericolose “ghettizzazioni”25.

I processi suggeriti da papa Francesco hanno, quindi, una dimensione


bi-direzionale scongiurando il pericolo dell’assimilazione e dell’incorpora-
zione26 e assicurando la possibilità di una vera integrazione.

il ruolo chiave dell’ecumenismo


e del dialogo interreligioso

Nel realizzare pienamente i processi finora esposti, un contributo fon-


damentale potrà essere quello dato da ecumenismo e dialogo interreligio-
so. Entrambi offrono una varietà di opportunità che favoriscono la “cultura
dell’inclusione” e la “cultura dell’incontro”, evitando il pericolo di incorrere
– o perlomeno minimizzandolo – nella “cultura dell’esclusione”.

In primo luogo, l’impegno comune ad accogliere, proteggere, promuove-


re e integrare coloro che migrano rafforza i rapporti fra cristiani di diverse
Chiese e contribuisce a farli sentire parte dell’unica famiglia di Cristo, al di là
degli ostacoli ancora rappresentati da questioni teologiche ed ecclesiologi-
che. Inoltre, visto che i processi migratori sono spesso visti e dipinti, soprat-
tutto in Europa, come la minaccia di un’invasione islamica in Occidente e,
allo stesso tempo, rappresentati con il sospetto di una minaccia di infiltrazio-
ne da organizzazioni islamiste, iniziative interreligiose possono contribuire a
ravvicinare le comunità, aiutando al contempo ad eliminare timori, spesso
infondati, realizzando le premesse per un’integrazione a livello locale.

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I quattro verbi di papa Francesco

La cura per i migranti favorisce l’ecumenismo

La questione migratoria impegna Chiese e comunità cristiane in una


nuova forma di ecumenismo. È una situazione, infatti, che interroga le
Chiese a raggiungere coloro che soffrono. Ancora una volta, negli ultimi
anni, papa Francesco non ha elaborato e offerto nuove idee. Ha proposto
gesti concreti. La sua visita a Lesbo del 16 aprile 2017 è stata, infatti, una di-
mostrazione plastica di un nuovo tipo di cooperazione ecumenica, all’inter-
no della quale leader e membri di diverse comunità si accordano su azioni
comuni per costruire ponti e promuovere la pace e la comprensione lungo
la direttiva della “cultura dell’incontro reciproco”. A Lesbo, Bartolomeo,
patriarca ecumenico di Costantinopoli, Hieronymus II, arcivescovo di Ate-
ne e di tutta la Grecia, e il vescovo di Roma hanno incontrato alcune centi-
naia di rifugiati che erano bloccati nell’isola greca, dopo aver attraversato
la parte di mare che separa la Grecia dalla Turchia. Questa iniziativa ecu-
menica, unica nel suo genere, ha trasmesso un messaggio potente a tutto
il mondo cristiano. Le Chiese e le comunità cristiane non possono restare
sorde e cieche di fronte alle sfide che la storia propone. Esse sono chiamate
a incontrarsi e a lavorare insieme per il bene comune dell’intera umanità.
È un nuovo modello di ecumenismo che Bergoglio propone oggi. I migranti
offrono oggi alle Chiese cristiane la possibilità di uscire dallo spettro se-
colare di infinite discussioni teologiche, spesso inconcludenti, per affron-
tare insieme le grandi sfide poste dalla storia all’umanità dei nostri giorni.
È significativo vedere che ferite vecchie di secoli, soprattutto fra cattolici
e ortodossi, possono essere sanate dall’impegno comune a lavorare per
prendersi cura delle ferite del mondo intero27.

Questa nuova forma di “ecumenismo pratico” al servizio del genere


umano e del benessere universale emerge a chiari titoli dalla Dichiarazione
congiunta firmata al termine della visita da Francesco, Bartolomeo e Hie-
ronymus. Il testo mette in evidenza la preoccupazione condivisa e la con-
seguente cura per i migranti e i disperati che fuggono dalle guerre e dalla
fame. Le Chiese, quindi, possono dichiarare di essere unite «nel desiderio
della pace e nella sollecitudine per promuovere la risoluzione dei conflitti

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attraverso il dialogo e la riconciliazione»28. Non solo. I leader cristiani si


appellano in unità «a tutti i responsabili politici affinché sia impiegato ogni
mezzo per assicurare che gli individui e le comunità, compresi i cristiani,
possano rimanere nelle loro terre natie e godano del diritto fondamentale
di vivere in pace e sicurezza»29. Soprattutto, però, insieme invitano le loro
rispettive «comunità religiose ad aumentare gli sforzi per accogliere, assi-
stere e proteggere i rifugiati di tutte le fedi e affinché i servizi di soccorso,
religiosi e civili, operino per coordinare le loro iniziative»30. Alla conclusio-
ne, arriva la dichiarazione ecumenica più significativa: «Decidiamo con fer-
mezza e in modo accorato di intensificare i nostri sforzi per promuovere la
piena unità di tutti i cristiani»31.
L’esperienza di Lesbo e la dichiarazione congiunta costituiscono
un’evidenza che la questione problematica dei migranti offre un’oppor-
tunità preziosa al fine di lavorare insieme per la cultura dell’incontro,
che rappresenta, in modo concreto, una via per superare le spesso ot-
tuse ermeneutiche teologiche e arrivare a un ecumenismo pratico fra le
diverse Chiese cristiane.

La sfida dell’islam e il contributo del dialogo interreligioso

Il problema delle migrazioni è spesso identificato con il fenomeno della


crescita della presenza dell’islam in Europa. Tale prospettiva, spesso forza-
ta, si fonda su un’altra identificazione, assai pericolosa, quella di islam con
terrorismo e con la minaccia di attacchi islamici. Nello spazio di una gene-
razione l’islam è diventata la seconda religione, dopo quella cristiana, per
presenza numerica in quasi tutte le nazioni dell’Europa e negli Stati Uniti.
Si tratta di un fenomeno che costituisce parte di una ben più ampia onda-
ta migratoria all’interno dei Paesi asiatici, del Medioriente e dell’Africa e,
da queste parti di mondo, verso l’Occidente. Dobbiamo, tuttavia, essere
molto cauti nell’accettare tout court la narrativa attuale proposta dai media
e abilmente manipolata da alcuni partiti e forze politiche che tendono a
identificare, quasi gratuitamente, ondate migratorie e invasione islamica
dell’Europa32. Si deve prestare attenzione a considerare il fatto che i musul-

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I quattro verbi di papa Francesco

mani che migrano verso Europa e Nord America, spesso, se non sempre,
lasciano i loro Paesi con una larga maggioranza musulmana per trovare
una nuova sistemazione in nazioni dove la presenza islamica è ancora mi-
nima o, comunque, fortemente minoritaria. Inoltre, questi musulmani si
trovano a dover convivere con altre comunità musulmane provenienti da
Paesi e contesti, anche dal punto di vista islamico, molto diversi, dove si
seguono scuole giuridiche di diversa tradizione. Non si tratta di elementi
marginali, come potrebbe sembrare ad osservatori superficiali e inesperti.
Da una parte, i Paesi di accoglienza sono motivati e, spesso, costretti a
trovare modalità per assicurare una “cultura dell’accoglienza”. E si tratta di
processi tutt’altro che semplici. Dall’altra, i musulmani, oltre che trovare vie
di ambientamento alla cultura e alla lingua locale del Paese di accoglienza,
si trovano, loro malgrado, costretti a integrarsi anche con altri gruppi musul-
mani e con le loro rispettive scuole e tradizioni. I musulmani che arrivano in
Europa, quindi, si trovano a vivere due tipi di pressione socio-religiosa all’in-
terno dei processi di adattamento e integrazione. Uno è evidente, essendo
connesso al loro sforzo di inserirsi nell’ambiente socioculturale locale, che,
a sua volta, è stimolato a trovare vie e modalità per assicurare una dovuta
integrazione ai nuovi arrivati. Il secondo processo è spesso invisibile a un
approccio superficiale, specialmente da parte di osservatori occidentali.
Implica, infatti, meccanismi di adattamento all’interno di comunità e gruppi
musulmani provenienti da diversi contesti, spesso continenti differenti e, di
conseguenza, da una grande varietà di tradizioni all’interno dell’islam. Se,
da un lato, l’islam è ormai parte del destino del continente europeo e lo sarà
sempre più per la sua vita sociale e la sua storia futura, dall’altro, l’islam che
crescerà e si svilupperà nel continente europeo sarà assai diverso da quello
presente attualmente nel mondo islamico, in Paesi come l’Arabia Saudita, la
Turchia, l’Iran, l’Indonesia, il Pakistan, il Bangladesh, ecc. 33.
Tuttavia, è innegabile che l’islam rappresenti oggi per l’Europa uno dei
grandi problemi aperti. La sua presenza, infatti, mette in questione l’iden-
tità europea, la sua vita presente e futura e, spesso, crea problemi nei rap-
porti quotidiani all’interno dei quartieri, dei luoghi di lavoro e nelle scuole.
Questo fa dell’Europa il continente della “paura”, un sentimento ormai co-
mune al mondo occidentale – in Europa come in Nord America, sia pure

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con una varietà di modalità – che ha cominciato a penetrare la coscienza e


l’immaginario occidentale ben prima dell‘11 settembre34. Da quella data in
poi, il senso di paura è cresciuto progressivamente e si è sempre più diretto
verso l’“altro”, che spesso, se non sempre, era e resta il musulmano. In gene-
rale, l’“altro” potrebbe essere lo straniero, ma una certa narrativa proposta
come bombardamento mediatico costante e sottile è riuscita a identificare
i due a livello di immaginario comune. Oggi, per la gran parte dei cittadini
europei e nordamericani il musulmano è l’“altro” o lo straniero di cui si deve
aver paura perché terrorista. Tale situazione ha generato una polarizzazione
fra coloro che sono aperti e vedono il dialogo con i musulmani come una pos-
sibilità reale – mai semplice o naïf, ma pur sempre reale – verso l’integrazio-
ne, e coloro che, invece, la considerano impossibile e avvertono la minaccia
dell’islam nei confronti della laicità o, in seconda istanza, un pericolo per le
radici cristiane dell’Europa35.
Alcuni fra i politici di maggior spicco del vecchio continente, negli ultimi
due decenni – Merkel, Cameron e Sarkozy –, hanno mostrato una chiara po-
sizione a favore di un liberalismo laico che possa costringere i nuovi arrivati
appartenenti a diverse religioni (in particolare i musulmani) ad accettare
valori di stampo laico. La tendenza era quella di costringere i musulmani a
integrarsi accettando tali condizioni. Inoltre, questa Europa liberale e laica
nutriva anche un altro obiettivo: quello di trasformare islam e musulmani
al tal punto da poter essere accettatati in Europa. Si è così venuto a for-
mare uno sforzo concertato per la creazione e la formazione di un “islam
europeo”, tale da poter essere accettato e gestito dagli Stati e dalla cultura
europea, in generale36. Anche questo, tuttavia, non esauriva la questione e
le aspettative. In anni recenti, infatti, si è assistito a un impegno crescente
dell’Europa a favore di politiche atte a trovare e realizzare soluzioni sempre
più drastiche di fronte a problemi creati dalla presenza musulmana37. Tutto
questo si è ottenuto grazie alla formazione di partiti nazionalisti e populi-
sti o alla crescita inarrestabile di alcuni che già erano presenti nel panora-
ma politico di alcuni Stati. Entrambi questi schieramenti guardavano alla
politica della Merkel e a quella di Cameron e Sarkozy, come a sogni naïf.
Il liberalismo europeo si è ormai imposto in forma muscolare e contraria a
qualsiasi multiculturalismo38.

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I quattro verbi di papa Francesco

In tale contesto, la voce di papa Francesco si è sempre distinta da que-


sto coro perché chiaramente a favore del dialogo, che il papa argentino
considera «condizione necessaria per la pace nel mondo», e pertanto de-
finisce come «un dovere per i cristiani, come per le altre comunità religio-
se»39. “Dialogo” per Bergoglio ha un significato ben definito: «La promo-
zione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni
religiose». Il papa appare ben cosciente della sua «importanza, sia perché
il mondo è, in qualche modo, diventato “più piccolo”, sia perché il feno-
meno delle migrazioni aumenta i contatti tra persone e comunità di tradi-
zione, cultura, e religione diversa»40. In Evangelii gaudium papa Francesco
dedica un’attenzione speciale al dialogo con i musulmani, sottolineando
come esso abbia assunto una notevole importanza, perché essi sono «oggi
particolarmente presenti in molti Paesi di tradizione cristiana dove pos-
sono celebrare liberamente il loro culto e vivere integrati nella società»41.
Bergoglio fa chiaro riferimento alla realtà dei migranti musulmani quando
invita i cristiani ad «accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’I-
slam che arrivano nei nostri Paesi»42. È opportuno sottolineare come papa
Francesco insista nel riferirsi non tanto all’islam come religione, quanto ai
musulmani come uomini e donne di fede e di religione. I migranti, infatti,
come già precisato, non sono numeri, ma persone con un volto e un nome.
Dunque, rapporti umani calorosi possono essere stabiliti con persone che
professano una fede, non tanto con la religione stessa43.
“Fraternità” è una parola chiave per il dialogo. Costituisce una realtà
e uno stile di vita che Bergoglio, in molti suoi interventi di fronte a diversi
gruppi e durante vari viaggi, ha incoraggiato ad adottare. Ha spiegato il
significato di dialogo e anche le sue dinamiche a Sarajevo, un luogo che
ha sperimentato armonia e odio fra persone di comunità religiose diverse.

Il dialogo interreligioso, prima ancora di essere discussione sui gran-


di temi della fede, è una «conversazione sulla vita umana». In esso si
condivide la quotidianità dell’esistenza, nella sua concretezza, con
le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze; si assumono responsabilità
comuni; si progetta un futuro migliore per tutti. Si impara a vivere
insieme, a conoscersi e ad accettarsi nelle rispettive diversità, libe-
ramente, per quello che si è. Nel dialogo si riconosce e si sviluppa

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una comunanza spirituale, che unifica e aiuta a promuovere i valori


morali, i grandi valori morali, la giustizia, la libertà e la pace. Il dialo-
go è una scuola di umanità e un fattore di unità, che aiuta a costruire
una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto44.

conclusione

Il “dialogo” rimane una parola chiave nel dizionario personale di papa


Francesco e, nel corso del suo intero pontificato, dalla sua elezione ad oggi,
appare profondamente collegata a una grande varietà di persone, gruppi
e comunità. È con loro che siamo chiamati a promuovere una “cultura del
dialogo” per ricostruire il tessuto sociale che, per essere rinnovato, deve
essere “inclusivo”45. Coloro che si impegnano nel dialogo possono contri-
buire alla promozione di un’integrazione che trova nella solidarietà uno sti-
le di vita. Il punto non sta tanto o solo nel trovare soluzioni a favore della
gente che migra per ricollocarsi in Paesi geograficamente lontani. Questa
resterebbe una soluzione a breve termine. L’obiettivo finale deve essere
quello di arrivare a una “profonda integrazione culturale”. Qui sta il modo
di evitare confronti diretti e scontri e, allo stesso tempo, di assicurare un
futuro determinato da un incontro di civiltà e da persone capaci di garanti-
re una nuova ricchezza di innovazione e creatività46.
In definitiva, la prospettiva del papato di Bergoglio in merito alla pro-
blematica migratoria offre una lettura positiva di un momento storico do-
loroso. Questo “segno dei tempi”, che è la mobilità apparentemente inar-
restabile di persone e masse, insieme a un’emergenza seria e di notevoli
proporzioni, crea la possibilità di nuovi incontri fra i popoli, generando al
contempo scambi culturali, collaborazioni a diversi livelli e dialogo di carat-
tere interreligioso e interculturale. Da un punto di vista ecclesiale, il feno-
meno, che è stato oggetto del nostro riflettere, rappresenta un nuovo locus
theologicus, che provoca e stimola individui, gruppi e comunità cristiane a
ripensare le modalità per essere seguaci di Cristo nel mondo d’oggi. Siamo
chiamati a vedere gli altri come la presenza di Dio in mezzo a noi: il suo
regno sta crescendo fra noi attraverso la presenza dei migranti. I quattro
verbi – accogliere, proteggere, promuovere ed integrare – che abbiamo

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parole chiave
I quattro verbi di papa Francesco

cercato di comprendere e approfondire nella prospettiva del magistero


del papa attuale, insieme al dialogo come metodologia per realizzarli in
modo efficace, rappresentano quattro vie sicure per formare la società del
futuro. Tale società non potrà essere costruita sull’assurdità del sogno di
salvaguardare la propria identità chiusa. Una tale comunità preoccupata a
difendere la purezza della sua identità è destinata a morire e a scompari-
re. Solo rimanendo aperti alla possibilità di stabilire rapporti con gli altri si
possono assicurare la sua rinascita e la sua successiva crescita47.

1
Cf. Papa Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifu-
giato 2017, Città del Vaticano, 8 settembre 2016 (https://w2.vatican.va/content/
francesco/it/messages/migration/documents/papa-francesco_20160908_
world-migrants-day-2017.html).
2
Il fenomeno migratorio è una questione quasi genetica per questo uomo ve-
nuto quasi dalla fine del mondo, come egli stesso si presentò alla folla in piazza S.
Pietro, pochi minuti dopo essere stato eletto. Infatti, lui stesso fa parte di una fami-
glia che ha sperimentato il trauma della migrazione, quando i suoi si trasferirono
in Argentina dall’Astigiano, in Italia. Per anni ha continuato a vivere fra i migran-
ti, contribuendo lui stesso al fenomeno quando negli anni Settanta e Ottanta del
secolo scorso, durante la dittatura militare nel suo Paese, aiutò decine di persone
ricercate da polizia ed esercito a fuggire verso l’estero. Più tardi, come arcivescovo
di Buenos Aires, si è distinto per la cura e l’attenzione verso la gente delle periferie
della metropoli argentina, dove un buon numero di cosiddetti cartoneros sono emi-
grati da Bolivia e Paraguay. E anche la sua stessa elezione a papa lo ha costretto,
suo malgrado, a un’altra esperienza di migrazione, originale senza dubbio, dal suo
mondo argentino al Vaticano, un luogo che, non lo ha mai nascosto, soprattutto nei
primi tempi, non apprezzava per le caratteristiche che vi ha trovato. Lo provano i
molteplici cambiamenti che è riuscito ad apportare e che ancora mira a realizzare
all’interno del minuscolo Stato.
3
La parola “primo” è un termine chiave nel papato di Francesco, come sottolinea
un interessante libro pubblicato da due giornalisti italiani. Cf. G. Fazzini - S. Femminis,
Francesco. Il papa delle prime volte, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2018.
4
Cf. G. Chirri, Le novità nei viaggi di Francesco, in A. Spadaro, Il nuovo mondo di
Francesco. Come il Vaticano sta cambiando la politica globale, Marsilio Editore, Venezia
2018, p. 222.

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roberto catalano

5
Cf. M. Matuzzi, Quanto è grande l’anima dell’Europa, in A. Spadaro, Il nuovo
mondo di Francesco, cit., p. 116.
6
Papa Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato
2018, Città del Vaticano, 15 agosto 2017 (http://w2.vatican.va/content/francesco/
it/messages/migration/documents/papa-francesco_20170815_world-migran-
ts-day-2018.html).
7
Cf. Benedetto XVI, Caritas in veritate, 47. (http://w2.vatican.va/content/
benedict-xvi/en/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_ 20090629_cari-
tas-in-veritate.html).
8
E. Romeo, Le coste di un’Italia in fuga, in A. Spadaro, Il nuovo mondo di Francesco,
cit., p. 109.
9
Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al Forum Internazionale Migrazioni e Pace,
21 febbraio 2017 (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/
february/documents/papa-francesco_20170221_forum-migrazioni-pace.html).
10
Cf. Mt 25, 35.
11
È significativo che nel gennaio 2016, pochi mesi dopo l’attacco terroristico
al Bataclan di Parigi, nel suo tradizionale indirizzo al Corpo diplomatico presso la
Santa Sede, papa Francesco abbia pronunciato otto volte la parola “misericordia”,
sottolineando, fra l’altro, che essa costituiva il filo d’oro che legava tutti i viaggi com-
piuti l’anno precedente. Con Bergoglio il termine “misericordia” è diventato un pa-
radigma politico (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/no-
vember/documents/papa-francesco_20161101_svezia-conferenza-stampa.html).
12
Cf. Benedict XVI, Message to the 92nd World Day of Migrants and Refugees,
18th October 2005 (http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/en/messages/
migration/documents/hf_ben-xvi_mes_20051018_world-migrants-day.html).
13
Cf. Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, Compendio della Dottrina Sociale della
Chiesa, n. 373 (http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpea-
ce/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_en.html).
14
Si tratta di un documento prodotto al termine della conferenza tenutasi a
Lampedusa dal 31 gennaio al 2 febbraio 2014, dopo le tragedie che, fra il 3 e l’11
ottobre 2013 avevano causato la morte di più di 600 persone, affogate nel Mar
Mediterraneo. La Dichiarazione chiede la libertà di movimento per tutti gli esseri
umani e sottolinea come ogni uomo e ogni donna sia libero di scegliere il luogo
dove vivere (http://www.lacartadilampedusa.org/The%20Charter%20of%20
Lampedusa_EN.pdf).
15
La stessa Dichiarazione di Lampedusa offre un ampio spettro di diritti che, se
realizzati e salvaguardati, possono favorire l’integrazione ad ogni livello. Il docu-
mento raccomanda di adottare nuove forme di cittadinanza. In modo specifico la
Carta chiede il riconoscimento della cittadinanza sulla base dello ius soli (cf. Carta

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I quattro verbi di papa Francesco

di Lampedusa in P. Ferrara, Il mondo di Francesco. Bergoglio e la politica internazionale,


Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2016, pp. 80-84).
16
Cf. Papa Francesco, Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Ma-
gno, Città del Vaticano, 6 maggio 2016 (http://w2.vatican.va/content/francesco/
it/speeches/2016/may/documents/papa-francesco_20160506_premio-car-
lo-magno.html).
17
Ibid.
18
Ibid.
19
Papa Francesco, Discorso alle Camere Riunite del Congresso degli Stati Uniti d’A-
merica, Washington D.C. (Usa), 24 settembre 2015: «Ricordiamo la Regola d’Oro:
“Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te” (Mt 7, 12). Questa norma ci
indica una chiara direzione. Trattiamo gli altri con la medesima passione e compas-
sione con cui vorremmo essere trattati. Cerchiamo per gli altri le stesse possibilità
che cerchiamo per noi».
20
In tal senso è significativo quanto papa Francesco afferma nel corso della
conferenza stampa coi giornalisti sul volo di ritorno dalla Svezia verso Roma, nel
novembre 2016.
21
Cf. Papa Francesco, Fratelli e sorelle che vogliono vivere in pace, in «Libertà Civili»,
gennaio-febbraio 2017 (http://www.libertacivili.it/wp-content/uploads/2017/05/
Parla-Francesco.pdf).
22
Id., Conferenza stampa a bordo del volo di ritorno dalla Svezia a Roma, 1 novem-
bre 2016 (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/november/
documents/papa-francesco_20161101_svezia-conferenza-stampa.html).
23
Id., Conferenza stampa a bordo del volo di ritorno dalla Svezia a Roma, 1 novembre
2016, cit.
24
Id., Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2017, Città del
Vaticano, 8 settembre 2016, cit.
25
Id., Fratelli e sorelle che vogliono vivere in pace, in «Libertà Civili», gennaio-feb-
braio 2017, cit.
26
Cf. Id., Discorso ai partecipanti al Forum Internazionale Migrazioni e Pace, 21 feb-
braio 2017, cit.
27
Cf. A. Spadaro, Il nuovo mondo di Francesco, cit., p. 40.
28
Dichiarazione congiunta di sua santità Bartolomeo, patriarca ecumenico di Co-
stantinopoli, di sua beatitudine Ierenymos, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, e del
santo padre Francesco, Moria Refugee Camp, Lesbo (Grecia), 16 aprile 2016 (http://
w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/april/documents/papa-fran-
cesco_20160416_lesvos-dichiarazione-congiunta.html).
29
Ibid.
30
Ibid.

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roberto catalano

31
Ibid. I tre leader cristiani dimostrano di essere pienamente coscienti che,
come afferma la Charta Oecumenica del 2001, «riconciliazione [per i cristiani]
significa promuovere la giustizia sociale all’interno di un popolo e tra tutti i po-
poli […]. Vogliamo contribuire insieme affinché venga concessa un’accoglienza
umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e a chi cerca asilo in
Europa», Charta Oecumenica. Guidelines for the Growing Cooperation among the
Churches in Europe, Strasbourg, 22nd April 2001 (http://www.ceceurope.org/
wp-content/uploads/2015/07/ChartaOecumenica.pdf).
32
Infatti, molti di coloro che fuggono dai rispettivi Paesi di origine, soprattutto
ma non solo dal Medioriente, sono cristiani e lo stesso può essere detto per coloro
che giungono da alcuni Paesi dell’Africa subsahariana.
33
A questo proposito cf. il recente numero della rivista Oasis, Musulmani d’Euro-
pa. Tra locale e globale, XIV, 28 (2018), Marsilio Editore. In particolare cf. F. Dassetto,
Il compito che ci attende, pp. 7-14; J. Nielsen, L’Islam europeo: tendenze e prospettive,
pp. 18-35; U. Shavit, I paradossi sul dibattito sull’integrazione, pp. 36-44; B. Bruce, La
via marocchina all’Islam Europeo, pp. 45-53; B. Conti, L’Islam in Italia, dalla comunità
alla cittadinanza, pp. 54-69; W. Farouq, La fatwa, specchio della religiosità islamica in
Europa, pp. 70-86; S. Hamid, Il salafismo in Gran Bretagna. Le ragioni di un successo, pp.
87-95; F. Botturi, Le condizioni della convivenza multiculturale, pp. 96-109.
34
Cf. D. Moïsi, Geopolitica delle emozioni. Le culture della paura, dell‘umiliazione e
della speranza stanno cambiando il mondo, Garzanti, Milano 2009.
35
A partire dal 2011, l’Europa è stata testimone di una serie impressionante di
affermazioni contro l’islam e i suoi seguaci. Un numero crescente di persone (sem-
plici cittadini, giornalisti e un numero notevole di politici) ha individuato nell’islam e
nei musulmani il vero problema dei rispettivi Paesi di appartenenza e del continente
intero. Cresce di pari passo la convinzione che questa religione e i suoi seguaci non
potranno mai trovare le modalità per una vera integrazione in Europa e nel suo tessuto
sociale (cf. M. Kaemingk, Christian Hospitality and Muslim Immigration in an Age of Fear,
Grand Rapids [MI], William B. Eerdmans Publishing Company, 2018, p. 30).
36
Cf. ibid., p. 9.
37
Cf. ibid.
38
È lo stesso tipo di sentimento che Donald Trump ha iniettato, giorno dopo
giorno, nell’immaginario del suo elettorato con slogan America first. Una volta
conquistata la Casa Bianca, ha imposto un controllo sempre più stretto ed esi-
gente nei confronti dei musulmani che entrano negli Usa, per assicurarsi del loro
atteggiamento nei confronti della democrazia statunitense. Gli stessi discorsi di
Trump riflettono un profondo e crescente, mai celato, sentimento anti-islamico
che, del resto, si è venuto formando nella cultura politica americana certamente

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I quattro verbi di papa Francesco

dopo l‘11 settembre, ma anche prima degli attacchi alle Torri gemelle e al Penta-
gono (cf. ibid., pp. 30-31).
39
Papa Francesco, Evangelii gaudium, 250.
40
Id., Discorso ai partecipanti della Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per
il Dialogo Interreligioso, Città del Vaticano, 28 novembre 2013 (http://w2.vatican.
va/content/francesco/it/speeches/2013/november/documents/papa-france-
sco_20131128_pc-dialogo-interreligioso.html).
41
Id., Evangelii gaudium, 252.
42
Ibid., 253.
43
Cf. Papa Francesco, Discorso al Centro Astalli di Roma per Migranti e Rifugia-
ti, Roma, 10 settembre 2013 (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/spee-
ches/2013/september/documents/papa-francesco_20130910_centro-astalli.
html).
44
Id., Discorso ai partecipanti all’incontro ecumenico e interreligioso, Sarajevo (Bo-
snia ed Erzegovina), 6 giugno 2015 (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/
speeches/2015/june/documents/papa-francesco_20150606_sarajevo-incon-
tro-ecumenico.html).
45
Cf. Id., Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, Città del
Vaticano, 6 maggio 2016, cit.
46
Cf. ibid.
47
Cf. G. Perego, Uomini e donne come noi. I migranti, l’Europa, la Chiesa, La Scuola
Editrice, Brescia 2015, p. 74.

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punti cardinali

Il bene come fine


della persona in Maritain

Samuele morale e libertà


Pinna
Il tema della libertà della persona nella ricerca del
sacerdote
ambrosiano
Bene, che è il fine di tutto il reale, è affrontato in diver-
e teologo. si scritti da Jacques Maritain (1882-1973). Del resto
cultore – secondo Vittorio Possenti –, il nucleo del pensiero
della materia del filosofo francese, e di quello morale in particolare,
teologica presso è «la filosofia della libertà, la filosofia della persona e
l’università
cattolica
della soggettività, il grande problema dei rapporti tra
(milano) e grazia e libertà e quindi anche il problema del male»1.
collaboratore Si vuole ora mostrare la ricchezza del pensiero ma-
della cattedra ritainiano, riportando, a mo’ di suggestioni e senza pre-
marco arosio tesa di completezza, quei passi che ripresentano tale
di alti studi
medievali
interessante tematica che, pur non essendo il primo
della facoltà oggetto d’indagine di quegli studi, emerge in filigrana
di filosofia come costante del pensiero del filosofo francese.
dell’ateneo Nella sua prima opera, La philosophie bergsonienne.
pontificio regina Études critiques, che raccoglie le lezioni tenute all’Insti-
apostolorum.
socio della
tut Catholique di Parigi nel 1913, riviste nella seconda
international edizione del 1930, pur senza modifiche sostanziali,
science and Maritain si sofferma sul concetto di libertà. In que-
commonsense sto scritto, mostra come Bergson ammetta l’evidenza
association dell’esistenza della libertà, ma senza definire l’atto li-
e autore
di numerosi
bero a causa delle confusioni tra l’ordine psicologico
volumi. e quello spirituale, dove la libertà viene a coincidere
con la spontaneità: «Una forza che agisce, ecco ciò che

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punti cardinali
Il bene come fine della persona in Maritain

resta della libertà umana. Per il tomismo la libertà si pone nella relazione
tra l’intelletto e la volontà, in quanto la volontà è subordinata all’intelligen-
za, la pratica alla teoria, l’azione alla verità. La volontà è determinata solo
dal bene assoluto, ma noi viviamo in un mondo di beni limitati, per cui sia-
mo liberi di fronte a tutti i beni parziali, che l’intelligenza conosce in questo
mondo»2. Il libero arbitrio, dall’altra parte, è una proprietà che proviene
dalla nostra stessa natura di esseri dotati di intelligenza. Maritain distin-
gue, così, due significati a riguardo della libertà: «la libertà di scelta o libero
arbitrio, che implica un’assenza di necessità o necessitazione, e la libertà
di autonomia, di sviluppo e infine di esultazione, che implica un’assenza di
coazione esterna, ed il cui dinamismo conduce la persona umana verso una
crescente pienezza di vita, verso la piena esplicazione delle sue virtualità
e verso il suo proprio compimento»3. Questa libertà sviluppa l’armonica
collaborazione dell’intelligenza e della volontà, permettendo alla persona
di raggiungere il buono e il vero e, dunque, la perfezione della vita umana.
Sicché, riprendendo il pensiero di san Tommaso, «la radice della libertà
come soggetto è la volontà, ma come causa è la ragione»4, poiché è nel
giudizio pratico-pratico, che determina l’atto concreto da porsi qui e ora, in
cui l’uomo si decide liberamente per il bene o per il male. La distinzione
tra il sapere speculativo e il sapere pratico deve sempre essere tenuta pre-
sente, perché a livello epistemologico ne deriva un rapporto di relazione
e una subordinazione tra la filosofia e la teologia che può essere di infrap-
posizione o di subalternazione, a seconda che si tratti di sapere teoretico
o di sapere pratico. Maritain precisa che nel primo caso si tratta di «una
infrapposizione che lascia alla filosofia la sua autonomia completa e non
implica subalternazione»5. Quando, invece, si tratta del sapere pratico, il
cui oggetto sono le azioni da intraprendere da parte di un uomo, che si
trova in una data situazione storico esistenziale, tenendo conto del suo fine
ultimo, allora un sapere pratico «non potrà esistere come sapere (pratico)
stabilizzato nel vero in maniera organica, se esso non conoscesse le verità
di fede»6. Ne consegue che una morale puramente naturale non sarebbe in
grado di guidare correttamente l’azione umana, non conoscendone le reali
condizioni di operabilità. Il filosofo francese propone, dunque, una filosofia
morale adeguatamente presa, subalternata alla teologia, che resta metodo-

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samuele pinna

logicamente filosofia, ma che considera i dati che la Rivelazione fornisce


sulla realtà dell’uomo e del suo destino.

È in ragione di una condizione esistenziale, voglio dire lo stato at-


tuale della natura umana, e del fine ultimo al quale di fatto essa è
ordinata, che la filosofia morale adeguatamente presa è subalter-
nata alla teologia. Questo non è per nulla sorprendente, poiché la
condizione esistenziale del soggetto che agisce è implicata nell’og-
getto stesso, nel subjectum formale del sapere pratico come tale; in
altri termini è all’esistenza stessa che si conclude la praticità della
conoscenza7.

Non si deve, pertanto, confondere la filosofia morale adeguatamente pre-


sa con la teologia morale, perché «l’oggetto che la specifica non è divino ma
umano, sopraelevato ma umano, subalternato alla teologia, ma inferiore
alla teologia»8. La teologia morale non è specificata dagli atti umani, ma
dalla Rivelazione divina, ed è, a questo livello, che conosce gli atti umani:
«La teologia morale discende dai princìpi rivelati, la filosofia morale ade-
guatamente presa sale, in un certo qual senso, verso di essi per il fatto
della subalternazione»9. Sicché, «la filosofia morale adeguatamente presa
conosce dal basso quella stessa vita umana che la teologia morale conosce
dall’alto»10. La filosofia morale considera la vita eterna nella prospettiva dei
fini naturali, temporali, che non sono mezzi per la vita della grazia e della
gloria, ma fini intermediari o infravalenti. Non si può dividere l’uomo che è
«un complesso di animalità, di ragione e di grazia»11 in due, quasi ci fosse
una parte naturale e l’altra soprannaturale. Si deve, al contrario, conside-
rare la natura umana nella prospettiva della sua sopraelevazione sopran-
naturale, perché «l’uomo ordina la sua vita al fine ultimo naturale solo se si
volge verso il suo fine soprannaturale»12. Spiega Possenti:

In altri termini, non è possibile isolare un’etica puramente natura-


le come autentica ed adeguata scienza della condotta umana, in
quanto ad essa manca sia la conoscenza del vero fine ultimo asso-
luto al quale l’uomo è ordinato, sia la conoscenza dell’integralità
delle condizioni esistenziali dell’uomo: senza di questo un’etica

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punti cardinali
Il bene come fine della persona in Maritain

puramente naturale rimarrebbe una “scienza” ordinata non alla


concreta esistenza umana, ma solo alla astratta essenza dell’uo-
mo. Nel caso della filosofia morale adeguatamente presa non vi è
soltanto una sopraelevazione di tipo operativo nella quale la grazia
aiuta la natura a fare nel suo proprio ordine quello che da sola non
saprebbe fare o farebbe meno plenariamente – ausilio operativo
che si verifica anche nel caso della filosofia speculativa nella quale
la Rivelazione apporta “confortazioni soggettive” che aiutano la
ragione a meglio compiere il suo perfetto lavoro di ragione –, ma
anche una sopraelevazione ed un apporto nell’ordine dei princìpi
che le sono indispensabili per il suo stesso costituirsi come scienza
adeguata dell’agire umano13.

Per Maritain l’etica e la fede hanno un legame, nonostante possiedano


entrambe una loro specificità in cui l’una non può essere ridotta all’altra. Se
c’è un’autonomia della filosofia morale, questa non è assoluta ma relativa,
perché non si può costituire una morale autentica, ossia capace di regolare
gli atti umani, prescindendo da qualsiasi riferimento dato dalla Rivelazione,
che ha tra i suoi compiti quello di mostrare il fine ultimo dell’uomo. Nella
dinamica dell’atto libero, che si dà nel reciproco implicarsi dell’intelligenza
e della volontà, la libertà presuppone la natura, non è una forma vuota, un
dovere astratto. Questo significa «che l’etica presuppone la metafisica e la
filosofia speculativa, e che il retto uso della nostra libertà presuppone la
conoscenza di ciò che è e delle leggi supreme dell’essere»14. Agire libera-
mente significa deliberare sul nostro fine, perché – sebbene l’uomo sia uno
spirito sottoposto a una condizione carnale – sussistono nella persona due
tipi di aspirazione: la prima, chiamata dal filosofo francese, “connaturale”
e la seconda “transnaturale”, in quanto appartiene «alla personalità come
perfezione trascendentale, che ha il suo vertice infinito in Dio»15. L’anima,
infatti, come intelligenza, informa il corpo ed è capace di autocoscienza e
di autodeterminazione: «I cristiani poi sanno che l’uomo non vive in uno
stato di natura pura, perché Dio, mediante la grazia, ha soddisfatto le aspi-
razioni transnaturali dell’anima ad essere pienamente persona al di là dei
limiti della persona umana»16. Nella vita eterna, l’anima, libera dal corpo e
nell’attesa di quello glorificato alla consumazione dei secoli, conversa con

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samuele pinna

gli altri spiriti umani e conosce intuitivamente Dio, faccia a faccia. È ciò
che esprime anche Dante nel Paradiso, quando si domanda «se nel Regno
dei cieli riconosceremo le persone incontrate sulla terra. Secondo la Divina
Commedia, i salvati non si ricorderanno in maniera vaga gli uni degli altri,
quasi dissolti nel bene divino, ma riconosceranno coloro che hanno cono-
sciuto nella vita terrena. Il Poeta esprime questo commovente pensiero nel
XIV canto quando gli appaiono i beati in vesti luminose e accecanti»17. Se-
condo Dante, in Paradiso, «il proprio essere personale si mantiene e non
è dissolto. L’anima beata può riportare così al cuore, ormai infiammato di
beatitudine da Dio, la memoria e la presenza delle persone incontrate e già
amate, benché in modo imperfetto, nella vita terrena»18: «forse non pur
per lor, ma per le mamme, / per li padri e per li altri che fuor cari / anzi che
fosser sempiterne fiamme»19.
La morale presuppone la conoscenza, ma non speculativa, bensì un sa-
pere pratico, che non riguarda l’essere da conoscere ma i fini da intrapren-
dere, gli atti da fare. Ecco il riferimento al divino: «Dio – afferma Viotto –
come creatore è a capo del mondo della natura e come legislatore è a capo
del mondo della libertà, nel primo caso nulla gli può fare resistenza, nel se-
condo caso la creatura può resistere al Creatore introducendo nel mondo,
di sua iniziativa, il male»20. Scrive il filosofo francese:

La storia è fatta innanzi tutto dall’intersecarsi e dal confondersi,


dall’inseguirsi e dal conflitto della libertà increata con la libertà
creata; essa è come inventata ad ogni istante del tempo dalle ini-
ziative di queste due libertà che si incontrano o si urtano, l’una nel
tempo, l’altra fuori del tempo, dall’alto dell’eternità alla quale tutti
i momenti del tempo sono indivisibilmente presenti, e da dove co-
nosce tutta la successione con un solo sguardo21.

Maritain mostra il dinamismo della libertà, il continuo passaggio dalla


libertà psicologica, per cui siamo liberi di scegliere, alla libertà morale, come
capacità di seguire liberamente la regola morale, assunta dalla coscienza
come criterio di scelta. «Noi diciamo – egli precisa – che la libertà di scelta,
la libertà nel senso di libero arbitrio, non è fine a se stessa. Essa è ordinata
alla conquista della libertà di autonomia e di esultazione»22, come pienezza

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punti cardinali
Il bene come fine della persona in Maritain

di amore e riposo in Dio. Il filosofo francese, secondo cui l’ordine morale si


radica in quello ontologico,

comprende chiaramente l’essenziale importanza della sovramora-


le nella vita morale dell’umanità, a due titoli: 1) aiutare coloro che
vivono sotto il regime della morale, nel quale la ragione è regola
immediata degli atti umani, a compiere quanto viene prescritto
dalla legge; 2) portare un certo numero di uomini a vivere diret-
tamente nel regime sovramorale, nel quale sono liberati da ogni
servitù anche nei confronti della legge, ma non per passare al di là
del bene e del male, ma per compiere amorosamente e liberamen-
te il bene senza che la loro volontà sia schiacciata o piegata dalla
legge: essi sono i santi23.

La libertà consiste, pertanto, nell’aderire liberamente all’amore di Dio,


oltre la scelta stessa e l’obbligatorietà della legge.
Se il fine, transnaturale, della persona è la visione di Dio, la morale non
risulta essere soltanto normativa, ma anche evolutiva, perché «vi è una
progressiva coscienza nella storia dei valori morali da parte dell’uomo, il
che crea un importante dinamismo storico»24. Ciò non annulla l’aspetto
normativo in cui «gli atti sono regolati o normati, mediante la ragione, dalla
legge naturale, dai fini essenziali dell’uomo, dal bene come valore»25. L’at-
to, infatti, aspira spontaneamente alla sua regolazione, alla norma, ossia
alla sua forma-matrice: «È la conformità alla ragione e alla norma-pilota a
costituire la moralità dell’atto, il formale della moralità»26. In questo sen-
so, si precisa anche il significato che Maritain dà all’idea di “progresso”.
È l’anima dell’uomo a tendere verso l’infinito, nonostante il corpo sia sog-
getto alla corruzione della materia: «L’idea del progresso storico necessa-
rio, in fondo, non è meno contraddittoria dell’idea del cerchio quadrato.
Chi dice progresso storico, infatti, dice evoluzione nel tempo; chi dice evo-
luzione nel tempo dice materia; ma chi dice materia dice radicale appetito
del nuovo e non del perfetto, e quindi assenza di progresso necessario o di
tendenza necessaria al più perfetto»27, perché «solo lo spirito può divenire
senza alterarsi»28. Il progresso in tal modo concepito scade nel “materiale”,
dove, con una sorta di manicheismo storico, si identifica il male nel passato

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e il bene nell’avvenire, facendo della rivoluzione, come sovvertimento, lo


strumento di rinnovamento della storia. La vera rivoluzione, invece, non
sovverte, perché non rinuncia ai progressi acquisiti dal passato: «Dovremo
dire – conclude Maritain – che il progresso, in quanto progresso, dal mo-
mento che suppone la conservazione, in un modo o nell’altro, dei guadagni
acquisiti in passato, è fondamentalmente conservatore e positivo; ma il pro-
gresso necessario, in quanto esprime una pretesa legge metafisicamente
necessaria in campo universale, è essenzialmente rivoluzionario e negativo.
L’idea-mito di Progresso divora così il progresso reale»29.

il fine ultimo

Se l’agire della persona coinvolge l’intelletto e la volontà in quel dina-


mismo che tende al fine ultimo, decisivo è l’aspetto della libertà e, quindi,
della scelta morale, che può essere di bene o di male. Sicché, «con il tema
della libertà – precisa Possenti – si entra a pieno titolo nel dominio della
filosofia morale, con le connesse grandi questioni del rapporto tra felicità
e persona, del fine ultimo oggettivo e soggettivo della vita umana, della
struttura della soggettività, dell’atto libero, della conoscenza del soggetto
da parte del soggetto, del rapporto tra persona umana e persona divina,
tra libertà creata e libertà increata»30. A questo riguardo, Nove lezioni sulle
prime nozioni della filosofia morale risulta essere l’opera maritainiana fonda-
mentale sulla filosofia pratica31. Sono, qui, recuperati i criteri metodologici
per fondare una scienza dell’etica, senza interferenze infra-morali di ordine
sociologico o sovra-morali di ordine mistico: «Il sociologismo, come estra-
polazione della sociologia, confonde quest’ultima con una filosofia della
vita morale e ne fa un sostituto dell’etica»32. Spiega Viotto:

Il comportamento animale può essere oggetto di misurazione e di


statistica, perché determinato dall’istinto e dalla natura; mentre il
comportamento umano, essendo libero, esige un riferimento ai va-
lori, che solo la filosofia può indicare. Darwin, Marx e Freud hanno
negato la libertà dell’agire umano, cercando nella evoluzione della
specie, nelle strutture socio-economiche, e nell’inconscio le cau-

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Il bene come fine della persona in Maritain

se e le motivazioni del comportamento umano. La filosofia morale


per fondarsi scientificamente ha bisogno di concetti fondamentali
sistematici, come le nozioni di bene, valore, fine, norma, di concet-
ti fondamentali pratici, come le nozioni di diritto, dovere, premio,
castigo; e concetti fondamentali pre-richiesti, come le nozioni di
verità, esistenza di Dio, e libertà dell’anima umana, che solo la meta-
fisica può fornire33.

Maritain distingue, innanzi tutto, il bene ontologico e il bene morale:


«Ogni cosa è ontologicamente buona, ma non ogni cosa è moralmen-
te buona»34. Se il bene ontologico è un trascendentale, ossia una qualità
dell’essere (come l’uno e il vero), per cui l’essere è se stesso, conoscibile e
desiderabile, il bene morale non è un trascendentale, riguarda l’azione uma-
na e l’uso della libertà, ciò che si pone in essere. Scrive il filosofo francese:

I valori morali sono specificatamente buoni o cattivi, perché sono


oggetto di conoscenza pratica e non di conoscenza speculativa;
oggetto di una conoscenza che non è specificata da ciò che le cose
sono, ma da ciò che dev’essere fatto; di una conoscenza specificata
dalla regola, o dalla misura, che è la matrice della cosa da fare35.

Il bene morale vale per se stesso nella sua oggettività, ma è anche il bene
del soggetto che lo compie: «Amare l’azione buona perché è buona e perché
mi rende buono è la stessa cosa»36. Si comprende fin da subito che «l’im-
presa di filosofia morale di Maritain mira a fondare l’etica sulla base della
metafisica dell’essere, e quindi sulle proprietà trascendentali dell’essere,
in particolare nel caso dell’etica sul bene, e su quanto ne deriva, in special
modo sul valore»37. La filosofia morale presuppone, infatti, l’esperienza mo-
rale, mediante la quale si manifesta una conoscenza connaturale dei valori
morali (in modo precosciente), posti gradatamente in luce nella sua storia.
L’intelligenza umana «non giudica allora in virtù di ragionamenti e di connes-
sioni di concetti, di dimostrazioni e di necessità logiche; giudica in maniera
non concettuale, per conformità alle inclinazioni che sono in noi, e senza es-
sere capace di esprimere le ragioni del proprio giudizio; il suo giudizio ha un
valore implicitamente razionale non ancora evidenziato»38. Precisa Viotto:

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Queste inclinazioni non possono essere argomentazioni di filo-


sofia morale, esse dipendono dal costume, dall’ambiente sociale,
dall’educazione, ma sono un materiale prezioso per la riflessione
filosofica. Le considerazioni conclusive [di Maritain] riguardano
l’ordine estetico, con la distinzione tra la bellezza trascendentale,
pura bellezza intelligibile, ontologicamente propria dell’essere, e
la bellezza estetica, propria dell’opera d’arte che è percepita in una
intellezione avviluppata nella percezione sensibile39.

Se bello e brutto sono distinzioni relative, di un’intelligenza che conside-


ra anche la parte sensitiva, bene e male sono distinzioni assolute, proprie
della ragione di fronte a Dio. Il male è, dunque, un disordine senza possibili-
tà di compensazioni nell’ordine dell’universo naturale, perché – al contrario
del bene che lo realizza – distrugge l’uomo. Infatti, «il bene originato dall’a-
gente libero deve ridondare su di lui come un completamento (ontologico)
del suo proprio essere»40. Quando l’uomo, nella sua libertà, compie il male,
e prende l’iniziativa di farlo, impedisce la realizzazione dell’essere, portan-
done le conseguenze. Precisa Maritain:

Se con il male, con la nientificazione di essere provocata dal mio


atto, ho diminuito il bene dell’universo, io mi sono, per così dire,
reso da me stesso troppo grande in rapporto all’universo, questo
non ha altro mezzo per ridurmi alla mia propria statura, alla mia
dimensione originaria, se non diminuendo il mio essere in misura
proporzionale41.

L’aspetto dell’incrinatura dell’essere è decisivo perché permette al filoso-


fo francese di riconoscere nella persona una libertà creata attraversata dalla
causalità divina, precisando che di suo proprio l’uomo ha solo l’iniziativa del
male del quale egli è la causa prima. È questo – precisa Maritain – «un caso
particolare della dissimmetria che si riscontra sempre tra la linea del bene
(che noi non possiamo fare senza Dio) e la linea del male (che possiamo fare
da noi)»42. La conoscenza umana e quella divina sono, inoltre, radicalmente
diverse, perché Dio, sovranamente libero e trascendente rispetto alle sue
creature, non fa il male e lo conosce attraverso il bene senza esserne tocca-

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Il bene come fine della persona in Maritain

to: «Persino quando conosce ciò di cui non è la causa – il male come tale –, la
scienza divina non è mai formata da quanto conosce»43.
Il male compiuto allontana dal fine ultimo della vita umana e, benché esi-
stano fini infravalenti, questo rimane nel subcosciente di colui che agisce. Il
bene morale implica, poi, la nozione di valore e di fine a riguardo rispettivamen-
te dell’ordine di specificazione (il bene è da farsi, perché è bene) e dell’ordine di
esercizio (decidersi a vivere secondo quel bene). La libertà riguarda l’ordine di
esercizio e il fine; la norma, invece, concerne l’ordine di specificazione e il valore.
Il valore incondizionato della creatura libera si risolve comprendendo
che questa è direttamente e immediatamente ordinata a Dio. Qui si ritrova
il valore etico del concetto di regola o norma, il quale necessita una distin-
zione importante. Scrive a tal proposito Carlo Caffarra:

La esprimiamo col vocabolario di J. Maritain, ma si tratta di una


distinzione presente in tutto il pensiero cristiano. È la distinzione
fra “norma-pilota” e “norma-precetto”. Per “norma-pilota” si in-
tende la regola, la forma guidante secondo la quale un’azione uma-
na deve essere posta se è un’azione buona. È, semplicemente, la
forma o la misura secondo la quale un atto è compiuto, quando è
buono. Per “norma-precetto” si intende, invece, l’obbligo di agire
secondo quella forma o misura di cui si è parlato. Poiché la regola è
una condizione fondamentale perché l’atto sia buono, per ciò stes-
so essa impone un precetto cui si deve obbedire: la “norma-pilota”
fonda e genera la “norma-precetto” 44.

In altre parole, la “norma-pilota” «è l’interiore ordinazione della perso-


na umana a realizzarsi nel valore etico colto dalla ragione in quanto facoltà
dell’Assoluto, sigillo impresso nell’uomo dalla Sapienza creatrice di Dio»45.
Per quanto riguarda il valore etico, san Tommaso – precisa Maritain –
«insegna che la perfezione consiste nell’amore di carità e che ciascuno è
tenuto a tendere alla perfezione dell’amore, secondo la sua condizione e
per quanto sta in lui. Tutta la morale è così sospesa a quanto c’è di più esi-
stenziale nel mondo, perché l’amore non è diretto, né a possibili, né a pure
essenze, ma a degli esistenti; si ama ciò che esiste o ciò che è destinato a
esistere»46. L’atto morale non consiste nell’applicare, quasi per deduzione,

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una regola, ma nel mantenere l’ordine da porre in essere hic et nunc, con
prudenza, in riferimento alla “norma-pilota”.
La norma costituisce la causa formale dell’azione, non quella finale, ma
si inserisce nel dinamismo dell’atto morale. Si devono, difatti, considerare
due aspetti dell’obbligazione: la norma-precetto, che giudica l’azione, e la nor-
ma-pilota che guida l’azione. La norma-pilota, «nel senso di compasso per
tracciare le righe, di filo della sinopia, di misura, di forma matrice»47, è molto
importante, perché l’atto aspira spontaneamente alla sua regolazione, ma
non è separabile dalla norma-precetto, perché solo Dio può essere legge a se
stesso. Se la filosofia greca ha dato più importanza alla norma-pilota (come
forma promotrice di armonia), la filosofia cristiana ha dato maggior rilievo
alla norma-precetto, nonostante i due aspetti della obbligazione morale non
debbano essere separati, perché «ciò che è male, considerando la norma
come misura, è proibito dalla norma come precetto»48. Infatti, «peccare non
è altro che deviare dalla rettitudine che un atto dovrebbe avere»49.
L’uomo è libero di determinare i suoi fini, di scegliere il suo fine ultimo, ma
questa scelta non modifica il valore, che impegna la volontà: «Ciò che è ultimo
nell’ordine dell’esecuzione diventa il primo nell’ordine dell’intenzione»50. Il va-
lore è predeterminato dall’essere, nella sua oggettività, il fine è scelto per au-
todeterminazione dal soggetto, perché «il desiderio naturale di felicità è una
specie di cornice vuota: dipende dalla mia scelta riempire questa cornice con
un quadro determinato»51. Tuttavia, per fondare una morale non basta il valore,
perché nell’azione la causa formale deve esplicitarsi attraverso una causa fi-
nale: «La bontà o la malizia intrinseca di un atto ci forniscono il perché formale,
ma resta necessario il perché finale, quando si tratta del passaggio all’esisten-
za; per avere presa sull’esistenza i valori debbono essere inseriti nel dinami-
smo della nostra naturale tendenza alla felicità»52. In realtà – spiega Possenti –,
«la ricerca della felicità è per l’uomo qualcosa a cui tende non per libera scel-
ta, ma per profonda e incoercibile necessità di natura: la perfetta e compiuta
felicità è in tal modo il fine ultimo soggettivo dell’essere umano, come avevano
ben compreso i greci, che su tale assunto fondavano tanta parte delle loro
dottrine morali»53. Se si vuole, tale fine ultimo soggettivo è quella nota costan-
te, dove tutto il resto non è escluso ma marginale rispetto al tema principale.
Quell’unica nota è ciò che permette l’incontro puro, perché purificato, con Dio.

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Il bene come fine della persona in Maritain

Una nota, come quella del Preludio op. 28, n. 15 di Chopin, detta “la goccia”, che
ritorna continuamente nonostante le variazioni del tema (della vita). Si tratta
di una nota sola, eppure quando ci si accorge di questa nota – fa osservare
Luigi Giussani –, non la si perde più, non si può più perderla, resta una fissa-
zione. Tale pensiero fisso è il desiderio della felicità54. La sete di felicità si può
obliare, ma – come afferma ancora Giussani – ritorna, come urgenza senza
cui l’uomo non può vivere: inizia e finisce il breve brano della nostra vita. È
quanto suggerisce il Poeta nel viaggio della Commedia: l’uomo è, infatti, «de-
siderio, ossia in rapporto con le stelle, e Dante – con questa parola, dal latino
sidera (de-sidera) – ha concluso tutte e tre le cantiche: “E quindi uscimmo a
riveder le stelle” (Inferno, XXXIV, v. 138), “puro e disposto a salire alle stelle”
(Purgatorio, XXXIII, v. 145), “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso,
XXXIII, v. 145)»55. La ricerca della felicità, insita in ogni creatura, è tensione
verso l’eterno, che coincide con la Verità, il Bene e la Bellezza. San Tommaso
d’Aquino parlerà del desiderium naturale videndi Deum (desiderio naturale di
vedere Dio): «La passione che attraversa l’uomo è quella di contemplare Dio,
ma un Dio che non è in concorrenza con l’uomo, non è in dialettica con lui; un
Dio così intimo all’uomo che promuove l’uomo stesso»56. Il desiderio porta a
comprendere che con Dio è possibile la redenzione in cui è

salvo ogni particolare della vita, perché l’uomo viene al mondo


con un grande desiderio, con una grande speranza, una grande
promessa di bene; contraddetta, apparentemente, nell’esperien-
za quotidiana della presenza del male, della morte e del dolore.
In questa ferita stanno tutta la dignità e la grandezza della vita
dell’uomo. Dante, il cristiano Dante, scrive la Divina Commedia per
raccomandarci di non disperare: una speranza è possibile, di cer-
tezza si può vivere, perché tutto è rapporto con le stelle57.

L’etica cristiana, dunque,

secondo Maritain, non può che distinguere tra Bene e Felicità, e in-
dicare che bisogna amare il Fine ultimo assoluto (Dio, Supremo Bene
per sé sussistente) più che il fine ultimo soggettivo (la Felicità).
Di fatto si può dire che il cristianesimo abolisce la separazione tra

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Fine ultimo assoluto e fine ultimo soggettivo, perché quest’ultimo,


cioè la beatitudine, altro non è che l’unione diretta e indissolubile
con Dio, Fine ultimo assoluto. Ma purtuttavia i due fini di per sé
rimangono distinti, essendo distinti la pienezza soprannaturale in
cui il soggetto si compie e Dio stesso58.

Il desiderio della visione di Dio è iscritto nell’animo umano («che del di-
sio di sé veder n’accora»59) e quando si compie rinasce ancora da se stesso
(«saziando di sé, di sé asseta»60). Spiega Gilson:

L’intero ordine delle creature deriva da una sola causa e tende a un


solo fine. Possiamo pertanto attenderci che il principio che regola le
azioni morali sia identico a quello delle leggi fisiche; la causa profon-
da che fa sì che la pietra cada in basso, che la fiamma salga in alto,
che i cieli siano mutanti e che gli uomini siano in grado di volere è
sempre la medesima; ciascuno di questi esseri agisce esclusivamen-
te per raggiungere, tramite specifiche operazioni, la perfezione che
gli è propria, e per realizzare mediante ciò il suo stesso fine, che è
quello di somigliare a Dio: unumquodque tendens in suam perfectio-
nem, tendit in divinam similitudinem. Tuttavia, poiché ciascun essere
è definito da una propria peculiare essenza, dobbiamo aggiungere
che ciascuno avrà una sua peculiare maniera di realizzare il fine
comune a tutti. Poiché tutte le creature, anche quelle sprovviste di
intelletto, sono ordinate a Dio come loro fine ultimo, e poiché tutte
le creature raggiungono il loro fine ultimo nella misura in cui parte-
cipano alla somiglianza con Dio, è di conseguenza necessario che le
creature intelligenti raggiungano il loro fine nella maniera a esse pe-
culiare, vale a dire tramite l’operazione propria delle creature intel-
ligenti e la conoscenza di essa. Risulta quindi immediatamente evi-
dente che il fine ultimo di una creatura intelligente è conoscere Dio61.

L’errore, come quello di Kant62, sta nel disgiungere l’obbligazione e il


valore morale dal fine, perché – afferma Viotto –

il mio bene fa tutt’uno con il Bene in se stesso. Se Dio esiste, Egli è


il fine ultimo e il bene dell’uomo. Ma questo fine non è raggiungi-
bile nell’ordine naturale. La felicità naturale lascia l’uomo insoddi-

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Il bene come fine della persona in Maritain

sfatto, e l’uomo non può soddisfare il suo desiderio di vedere Dio,


perché si trova esistenzialmente in uno stato di natura decaduta.
Lo stato di natura pura è uno stato possibile, ma non reale. L’et-
nologia, la storia comparata delle religioni, la teologia spiegano
questa insoddisfazione della condizione umana e l’aspirazione
ad una condizione sovraumana, che la filosofia indiana pretende
di raggiungere mediante una mistica naturale, mentre la filosofia
cristiana sa che è dono della grazia di Dio63.

l’obbligazione morale e la sofferenza

L’obbligazione morale o il dovere è «una coercizione esercitata dall’in-


telletto sul libero arbitrio»64. Tuttavia, «la nozione di dovere e di obbliga-
zione è fondamentale nell’ordine della moralità, come la nozione di unità o
di numero nell’ordine matematico»65. Il sentimento di obbligazione, infatti,
«è il sentimento di essere vincolato dal bene che io vedo»66. L’obbligazio-
ne dipende dal valore e si esprime in due momenti: 1. «Fai il bene, evita il
male»67, che è ancora un’affermazione tutta intellettuale; 2. «Tu devi fare
il bene ed evitare il male», quale formulazione universale dell’obbligazione
morale. Ciò consiste in una «costrizione niente affatto fisica, una costrizio-
ne puramente intellettuale, costrizione della visione sul volere in virtù della
natura stessa del volere»68.
L’obbligazione si riferisce alla natura dell’uomo, alla struttura del suo
essere, anche se è rinforzata dai condizionamenti sociali e fortificata dai
comandamenti divini. Precisa Viotto:

Essa non è una forma vuota, un imperativo categorico che si im-


ponga dall’esterno sulla natura dell’uomo. La volontà non può
volere il male per se stesso, in quanto tale, ma l’uomo nel suo
autodeterminarsi è libero di scegliere il male, di non obbedire
alla regola. Sul piano del giudizio speculativamente pratico, come
visione astratta della norma, l’uomo non può non cogliere l’obbli-
gazione, mentre sul piano del giudizio praticamente pratico dell’a-
zione concreta da farsi l’uomo può trasgredire l’obbligazione, e
contraddicendosi fare il male 69.

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Nell’ordine della prassi, è presente anche l’errore, analizzato mediante


quattro elementi: 1. l’atto esterno (la non conformità alla norma-pilota);
2. la consapevolezza morale (l’implicazione della volontà nell’atto perver-
so); 3. la responsabilità psicologica (le condizioni di esercizio del libero ar-
bitrio); 4. l’opposizione contro qualche cosa (la società, la creazione, Dio).
Da qui, Maritain si sofferma sulla nozione di sanzione, che sviluppa
alcune considerazioni sul premio e sul castigo considerati come una con-
seguenza intrinseca all’ordine morale, perché «il male e il bene compor-
tano un accrescimento o una privazione di essere»70. Il premio o il castigo
dipendono dall’azione intrapresa, poiché sono una conseguenza naturale
delle azioni compiute e, in qualche modo, ricadono sull’agente libero, in
ragione della sua responsabilità. Sono, pertanto, una remunerazione per
l’azione compiuta e non un rimedio sociale o personale: il male – afferma
qui Maritain – ha nientificato l’essere e ha privato l’ordine di qualcosa di
dovuto. È, qui, individuata la dialettica intrinseca dell’ordine morale: «La
legge di riequilibramento dell’essere»71, dove si deve tenere presente che
«la storia del mondo progredisce simultaneamente nella linea del bene e
nella linea del male»72 .
Il male, che incide su chi lo compie, ristabilisce l’ordine e permette la
guarigione morale mediante la pena, perché «il colpevole è ricondotto al
suo vero posto, cessa di essere sfasato e dislocato, è esistenzialmente
riordinato. Se accetta la pena come giusta, sarà guarito»73. La pena e la
sofferenza, hanno così un doppio significato, sono nella loro oggettività
una punizione-restaurazione dell’ordine e nella soggettività una punizione-ri-
medio. Il peccato «ha privato Dio del dovuto, ma la misericordia di Dio va
oltre (non contro) la giustizia, perché Dio può rimettere i peccati; e quando
non c’è più colpa non è più necessaria la pena; la compensazione diventa
superflua, perché l’amore di Dio accresce l’essere ben oltre la diminuzione
causata dal male. Ma se il colpevole non accetta il perdono, rimane nella
sua colpa»74. Il dannato è colui che ha scelto il castigo, rifiutando il bene
e ottenendo quello che ha deciso, perché la legge della fruttificazione del
bene e del male è «una specie di principio di Archimede metafisico»75.
È la non considerazione della regola da parte dell’uomo la premessa per
l’atto immorale, che è un venir meno al dover essere (causa deficiente).

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Il bene come fine della persona in Maritain

Non solo, introduce anche una ferita nell’essere che va risanata. Tuttavia,
«se il male cresce assieme al bene, il bene cresce maggiormente»76.
Si è di fronte al male, che produce sofferenza, che «in se stessa non è
un bene, essa è un male»77. Tuttavia, il suo effetto è ambivalente, perché
«diminuisce ciò che vi è di biologico nell’uomo, ma può rafforzare e purifi-
care ciò che vi è di morale in lui»78. Maritain considera tre atteggiamenti di
fronte alla sofferenza:

a) è un fatto dipendente dalla natura, una fatalità che si accetta


curvando le spalle;
b) è la conseguenza di una colpa originale, ma è un’assurdità che
un innocente soffra. (Tappa della sofferenza cristiana offuscata,
Dostoevskij);
c) è una partecipazione alla sofferenza di Cristo. (Tappa della sof-
ferenza cristiana allo stato maturo, Bloy)79.

Secondo Léon Bloy, il quale è vissuto nella povertà e nella solitudine


per una scelta personale (ossia per una coerenza morale con la visione del
male e della menzogna che devastano il mondo), è soltanto la sofferenza
che può redimere a partire dalla Croce di Cristo80. Si chiede Journet:

Perché la sofferenza e la morte delle persone? L’Apostolo risponde


che, per colpa di uno solo, la morte ha regnato (Rm 5, 17), che essa è
la mercede del peccato (Rm 6, 23). E perché la sofferenza e la mor-
te del Figlio dell’uomo? La risposta è nel Vangelo: «Il Figlio dell’uo-
mo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc, 19, 10).
Quale ragione trovare a questa follia? «Dio ha tanto amato il
mondo che ha dato il Suo unico Figlio affinché chiunque crede
in Lui non perisca ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16). La prova
dell’amore può andare ancora oltre? Sì: «Non vi è prova di amore
maggiore che dare la propria vita per i propri amici» (Gv 15, 13).
Nel mondo c’era sofferenza e morte. Il Figlio di Dio scende nel
mondo per partecipare a quella sofferenza e a quella morte «per
diventare in tutto simile ai suoi fratelli» (Eb 2, 17), per «essere
provato in tutto come noi, eccetto che nel peccato» (Eb 4, 15),
e noi possiamo aggiungere per sposare l’umanità nel punto più

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profondo della sua miseria, e capovolgere per lei il senso della


sofferenza e della morte. Così si svolge l’inaudita dialettica della
sofferenza cristiana. La sofferenza, la morte sono un male che
Dio detesta, che non vuole per il primo uomo. Ma l’uomo le intro-
duce nel mondo con la sua ribellione, e sotto di esse è oppresso,
schiacciato. Da quel momento la sofferenza e la morte cambiano
aspetto agli occhi di Dio. Gli erano odiose, ora Gli divengono desi-
derabili, invidiabili, da quando sono divenute umane. Egli scende
dal cielo per prenderle su di Sé; ma non le sopprime, fa di più: dà
loro un senso, le illumina dall’interno, le trasfigura, le divinizza.
Ed allora esse possono essere desiderabili per l’uomo: diventano
ciò che Gesù stesso chiamava in modo profetico una croce, un
riflesso della sua Croce; beati quelli che vorranno portarla con lui:
essi saranno portati da lei là ove non vorrebbero andare, ma ove
per loro è meglio andare. La dialettica della sofferenza cristiana è
compiuta: Dio, che non voleva per noi né sofferenza né morte, le
invidia quando sono diventate nostre; le trasfigura facendole Sue
in Suo Figlio, affinché a nostra volta possiamo invidiarle81.

Dal canto suo, il filosofo francese spiega che «il Cristo non ha scelto la
sofferenza perché è buona, ma ha voluto subirla per salvare il mondo»82
e i santi «la amano e la tengono cara come sofferenza del Cristo cui essi
partecipano, non come sofferenza, perché come tale essa è sempre odio-
sa»83. La sofferenza ha, però, un senso, seppur «nell’ordine naturale si deve
lottare contro di essa, si deve tentare di diminuirla per quanto è possibile,
poiché è un male»84. Tuttavia, «nell’ordine soprannaturale la sofferenza è
pur sempre un male, ma un male di cui Dio si serve per il nostro bene e
del quale soltanto Lui può servirsi con tanta sicurezza. Perciò quando essa
giunge bisogna benedirla, perché nelle mani di Dio, quel male può diven-
tare un bene. Ma non si può desiderarla per altri, perché è un male»85. La
sofferenza diviene, addirittura, luminosa, non riducendo l’uomo a una vita
schiacciata e oppressa. Scrive ancora Journet:

La sofferenza è un male nel Cristo come in noi. Ma la carità, che l’ha


divinamente illuminata nel Cristo in Croce, può illuminarla anche in
noi, estendendosi da lui a noi. «Il vostro sacrificio – viene detto a

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Il bene come fine della persona in Maritain

santa Caterina da Siena – dev’essere insieme del corpo e dello spi-


rito, come la coppa e l’acqua che si offre al padrone: non gli si può
dare l’acqua senza la coppa, e la coppa senza l’acqua non gli procu-
rerebbe alcun piacere. Così lo vi dico, dovete offrirmi la coppa delle
molteplici prove corporali secondo il modo col quale lo ve le mando:
senza scegliere il luogo, il tempo, la prova, secondo il vostro deside-
rio, ma conformandovi al Mio. Ma questa coppa deve essere piena
d’affezione, di amore e di vera pazienza, dimodoché voi portiate e
sopportiate i difetti del vostro prossimo, provando odio e dolore del
vostro peccato. Allora... ricevo questo dono dalle Mie dolci spose,
cioè da ogni anima che Mi serve». San Paolo invitava così i Colossesi
«a condividere la sorte dei santi nella luce» (1, 12)86.

Il male è combattuto mediante le virtù con cui il cristiano può, nella


libera accettazione, sopportare la sofferenza. Dalle virtù teologali, che
sono delle disposizioni che abilitano alla vita eterna, alle virtù morali ac-
quisite, che sono dei comportamenti che abilitano all’esistenza terrena.
Tra questi due ordini, però, si situano le virtù morali infuse, di ordine so-
prannaturale, come le virtù teologali, ma che sopraelevano la vita morale
per farla corrispondere al destino eterno, santificando l’uomo e renden-
dolo capace di vivere in questo mondo come cittadino del cielo, nel già
e non ancora: «Donate dalla grazia santificante, esse si impadroniscono
della vita morale per farla corrispondere alle virtù teologali e al fine so-
prannaturale, di modo che noi diventiamo effettivamente cives sanctorum
et domestici Dei (san Paolo, Ef 2, 19)»87.
Esiste una relazione tra le virtù morali naturali e quelle infuse, poiché
«le virtù morali infuse proporzionano la nostra azione al nostro fine eter-
no, il loro proprio campo è quello dello spirituale o della vita eterna inizia-
ta quaggiù»88 . Maritain, riferendosi a Giovanni di San Tommaso, precisa
che due sono i modi secondo i quali l’azione umana può essere sopra-
elevata dalla grazia di Dio e può produrre effetti superiori alla proprie
capacità: o come causa principale seconda, che partecipa di una causalità
superiore oppure come causa strumentale in senso stretto. Nel primo caso
(è il piano della filosofia) si osserva come la virtù naturale abbia l’iniziati-
va nell’azione in riferimento alla vita terrena. Nel secondo (è il piano della

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teologia) invece, la virtù naturale è unita a quella soprannaturale infusa,


come uno strumento adatto per raggiungere fini superiori e agisce per la
vita eterna. Qui, le virtù morali infuse, infatti, sopraelevano strumental-
mente le virtù morali acquisite, perché proporzionano l’azione umana a
un suo fine superiore, direttamente soprannaturale. Essere forti – affer-
ma Viotto – «per non cedere al male è una virtù morale acquisita; essere
forti per non cedere al male in vista di conformarsi al Cristo sofferente e
redentore è una virtù morale infusa, che va considerata diversamente sul
piano morale e sul piano teologico»89.
Maritain riconosce due modi di sopraelevazione delle virtù naturali e,
tuttavia, distingue ancora nettamente il sapere filosofico dalla teologia. La
filosofia cristiana, sulla scia dell’insegnamento dell’Angelico, distingue per
unire e sulla base dell’unità vivente dell’uomo supera qualsiasi forma di na-
turalismo che separa i fini naturali e i fini soprannaturali della vita umana.

Il mondo di san Tommaso non è un mondo di essenze metafisica-


mente chiuse, isolate le une dalle altre, chiuse ciascuna nel suo
cerchio di specificità come in un impenetrabile cerchio magico. Il
mondo di san Tommaso è un mondo di mutua comunicazione e di
interpenetrazione, un mondo di nature aperte, percorso dall’alto in
basso dell’esistenza da un flusso di causalità che fa partecipare le
cose e le virtù le une alle altre e le eleva al di sopra di loro stesse90.

Sicché, «in tutti questi temi, Jacques Maritain ha seguito l’insegna-


mento di san Tommaso, vedendo nel tomismo una filosofia esistenziale,
in quanto l’uomo non solo può conoscere la verità, abbandonandosi piena-
mente, secondo la stessa legge della conoscenza, all’oggettività dell’esse-
re; ma in quanto esso (o, piuttosto, il soggetto pensante) vive questa stessa
verità, l’attira e la incorpora nella propria soggettività»91.

1
V. Possenti, Una filosofia per la transizione. Metafisica, persona e politica in J.
Maritain, Massimo, Milano 1984, p. 66.
2
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, Città Nuova, Roma 2003, p. 32.
3
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., pp. 66-67.

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punti cardinali
Il bene come fine della persona in Maritain

4
J. Maritain, La philosophie bergsonienne. Études critiques, in J. et R. Maritain,
Oeuvres complètes. Volume I, Éditions Universitaires - Éditions Saint-Paul, Fribourg
(Suisse) - Paris 1986, pp. 5-612: p. 443. Tutte le traduzioni nel testo sono a cura
dell'Autore.
5
J. Maritain, Science et sagesse, suivi d’éclaircissement sur la philosophie morale,
in J. et R. Maritain, Oeuvres complètes. Volume VI, Éditions Universitaires - Éditions
Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1984, pp. 11-250: p. 109.
6
Ibid., p. 89.
7
Ibid., pp. 180-181.
8
Ibid., p. 182.
9
Ibid.
10
Ibid., pp. 182-183.
11
Ibid., p. 186.
12
Ibid., p. 189.
13
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., p. 62.
14
J. Maritain, Du régime temporel et de la liberté, in J. et R. Maritain, Oeuvres com-
plètes. Volume V, Éditions Universitaires - Éditions Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Pa-
ris 1982, pp. 319-515: p. 334.
15
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., pp. 99-100.
16
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 277.
17
S. Pinna, Amore e perdono nella poesia di Dante. Meditazione teologica sulla mi-
sericordia. Prima Parte, «Città di Vita», 72 (2017/1), pp. 31-48: p. 34.
18
Ibid., p. 36.
19
Paradiso, XIV, vv. 64-66.
20
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 143.
21
J. Maritain, Du régime temporel et de la liberté, cit., p. 346.
22
Ibid., p. 349.
23
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., p. 75.
24
Ibid., p. 76.
25
Ibid.
26
Ibid.
27
J. Maritain, Théonas, ou les entretiens d’un sage et de deux philosophes sur diver-
ses matières inégalement actuelles, in J. et R. Maritain, Oeuvres complètes. Volume II,
Éditions Universitaires - Éditions Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1987, pp. 765-
921: pp. 852-853.
28
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 51.
29
J. Maritain, Théonas, ou les entretiens d’un sage et de deux philosophes sur diver-
ses matières inégalement actuelles, cit., pp. 863-864.
30
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., p. 81.

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31
«Riporta le lezioni tenute nel 1949 alla fondazione Eau-Vive dei padri domeni-
cani della scuola di Saulchoir nei pressi di Parigi. L’opera va raccordata con altri due
scritti: Scienza e Saggezza, del 1935, nella quale Maritain stabilisce lo statuto episte-
mologico della scienza morale, e La filosofia morale del 1960, nella quale analizza i
diversi sistemi di filosofia morale da Socrate fino a Bergson e a Dewey» (P. Viotto,
Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 294).
32
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, in J. et
R. Maritain, Oeuvres complètes. Volume IX, Éditions Universitaires - Éditions Saint-
Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1990, pp. 739-939: p. 751.
33
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 294.
34
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 771.
35
Ibid., pp. 776-777.
36
Ibid., p. 780. In questa prospettiva, «il desiderio della felicità è inseparabile
dall’amore per il bene in se stesso» (P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere,
cit., p. 295).
37
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., p. 71.
38
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 796.
39
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 295.
40
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 815.
41
Ibid., p. 816.
42
J. Maritain, La pensée de saint Paul, in J. et R. Maritain, Oeuvres complètes. Volu-
me VII, Éditions Universitaires - Éditions Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1988,
pp. 427-615: p. 511.
43
J. Maritain, Frontières de la poésie e autres essais, in J. et R. Maritain, Oeuvres
complètes. Volume V, cit., pp. 689-916: p. 791.
44
C. Caffarra, Viventi in Cristo, Jaca Book, Milano 1981, p. 76.
45
Ibid., p. 78.
46
J. Maritain, Court traité de l’existence et de l’existant, in J. et R. Maritain, Oeuvres
complètes. Volume IX, cit., pp. 9-140: p. 55 (trad. it.: J. Maritain, Breve trattato dell’esi-
stenza e dell’esistente, Morcelliana, Brescia 19984, p. 43).
47
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 879.
48
Ibid., p. 884.
49
Ibid., p. 874.
50
Ibid., p. 821.
51
Ibid., p. 825.
52
Ibid., p. 834.
53
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., p. 71.
54
«Qualunque realtà si reputa fondamentale, da qualunque cosa uno sia atti-
rato o desideri, al momento rende lieti, ma dopo passa. C’è invece una nota che

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Il bene come fine della persona in Maritain

rimane intatta, pur con qualche leggero mutamento; dal principio alla fine resta la
stessa nella sua profondità, nella sua semplicità assoluta e nel suo carattere univoco
domina la vita: è la sete di felicità. Mi sono improvvisamente accorto – scrive Gius-
sani – che la bellezza del preludio di Chopin era apparentemente determinata, det-
tata dalla melodia di primo piano – che è bellissima, ha delle variazioni bellissime –,
ma l’attrattiva del pezzo, la profondità del pezzo, la verità del pezzo non era nella
melodia di primo piano: era in una nota che incominciava a farsi sentire leggerissima
e poi cresceva, cresceva, cresceva, così che la melodia passava in seconda linea e in-
vece ingrossava questa nota, sempre quella, sempre quella – proprio “mono-tono” –,
sempre quella; e poi passava in secondo piano e poi ripassava in primo piano. E
quando uno incomincia ad accorgersi di quella nota, capisce che il tema del pezzo
è quella nota e non la melodia, e quella nota diventa come una fissazione. Tant’è
vero che alla terzultima o penultima battuta finalmente sembra che questa nota sia
stata vinta: la melodia prende il sopravvento e detta le sue note lentamente, quasi
dominando il campo. Ma dopo quattro o cinque di queste note che dominano il
campo, tac tac tac: la goccia ritorna. E io ho capito improvvisamente, sentendo que-
sto preludio di Chopin – dopo averlo sentito cento volte –, che questo è il senso della
vita: il senso della vita è come quella nota, sempre quello, uniforme. Tutto il colore,
tutta la varietà della vita è nell’apparenza; ma, pur essendo la varietà della vita, il
colorito della vita, tutto nell’apparenza, non è quello il tema della vita. Quello che
l’uomo vuole non è quello, quello che l’uomo aspetta non è quello: è piuttosto quella
fissazione lì, che è il desiderio di felicità, il desiderio della felicità. Quella nota lì è
nella melodia ciò che nell’uomo è il desiderio della felicità, l’esigenza del cuore, vale
a dire il punto di fuga» (L. Giussani, L’autocoscienza del cosmo, Biblioteca Universale
Rizzoli, Milano 2000, pp. 299-300).
55
S. Pinna, Amore e perdono nella poesia di Dante, cit., p. 36.
56
I. Biffi, San Tommaso d’Aquino. Il teologo. La teologia, Jaca Book, Milano 1992, p. 27.
57
F. Nembrini, Dante, poeta del desiderio. Conversazioni sulla Divina Commedia.
Volume III - Paradiso, con un intervento di M. Bersanelli, Itaca, Castel Bolognese
2015, pp. 8-9. E scrive ancora: «Così si compie quel grande desiderio che ci fa vivere,
il desiderio che la vita sia salva. Salva non nel senso che andrà a finir bene nell’aldilà:
che sia salva ora. Che sia salva l’amicizia che vivo con i miei amici, siano salvi i miei
figli e la mia donna, siano salvi l’utilità del tempo che passa e il dolore che c’è. Che
la vita e ogni particolare della vita siano salvi, cioè siano rapporto con le stelle, rap-
porto con l’Infinito e con l’Eterno» (ibid., p. 9).
58
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., pp. 73-74.
59
Purgatorio, V, v. 57.
60
Ibid., XXXI, v. 129. È ancora Dante a mostrare plasticamente quanto intende il
filosofo francese. Il Paradiso è il compimento del desiderio, dove la sua soddisfazio-

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ne non lo spegne, ma lo alimenta: «L’assenza di desiderio è l’inferno, è il contrario di


Dio, è la morte dell’essere, perché l’essere è desiderio, è rapporto, è affermazione
dell’altro, cioè amore, perciò movimento» (F. Nembrini, Dante, poeta del desiderio,
cit., p. 156).
61
É. Gilson, Il tomismo. Introduzione alla filosofia di san Tommaso d‘Aquino, Jaca
Book, Milano 2011, p. 581. Cf. Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, lib. III, cap. 25.
62
Kant – afferma Maritain – «ha falsato la nozione di filosofia morale del suo
stesso carattere normativo, distaccando questo dalla sua fondazione nella natura,
e dai suoi legami con l’esperienza, facendo della filosofia morale una disciplina pu-
ramente normativa, e normativa a priori» (J. Maritain, La philosophie morale. Examen
historique et critique des grands systèmes, in J. et R. Maritain, Oeuvres complètes. Vo-
lume XI, Éditions Universitaires - Éditions Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1991,
pp. 233-1040; p. 432).
63
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 296.
64
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 900.
65
Ibid., p. 909.
66
Ibid., p. 900.
67
J. Maritain, L’homme et l’État, in J. et R. Maritain, Oeuvres complètes. Volume IX,
cit., pp. 471-736: p. 593.
68
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 902.
69
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 298.
70
Ibid., p. 299.
71
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 930.
72
Id., Le paysan de la Garonne. Un vieux laïc s’interroge à propos du temps présent,
in J. et R. Maritain, Oeuvres complètes. Volume XII, Éditions Universitaires - Éditions
Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1992, pp. 663-1035: p. 672.
73
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit.,
p. 930.
74
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., pp. 299-300.
75
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 931.
76
Id., Le paysan de la Garonne, cit., p. 720.
77
Id., Sur la souffrance, in J. et R. Maritain, Oeuvres complètes. Volume XVI, Édit-
ions Universitaires - Éditions Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1999, pp. 259-264:
p. 259.
78
Ibid.
79
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 367.
80
Cf. J. Maritain, Quelques pages sur Léon Bloy, in J. et R. Maritain, Oeuvres com-
plètes. Volume I, cit., pp. 991-1023.
81
C. Journet, Il Male. Saggio teologico, Borla, Roma 1993, p. 287.

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punti cardinali
Il bene come fine della persona in Maritain

82
J. Maritain, Sur la souffrance, cit., p. 264.
83
Ibid.
84
Ibid., p. 261.
85
Ibid., pp. 261-262.
86
C. Journet, Il Male, cit., p. 288.
87
J. Maritain, Science et sagesse, Labergerie, Paris 1936, p. 217. Traduzione a cura
dell'Autore.
88
Ibid., p. 219.
89
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., pp. 178-179.
90
J. Maritain, Science et sagesse, cit., p. 217.
91
S. Pinna, Un grande amico. Il Maritain di Viotto, Edizioni Studium, Roma 2018, p. 112.

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punti cardinali

Miryam, donna ebrea

In questi ultimi decenni, sono state avviate ricerche


miranti a scoprire Maria, donna ebrea del primo seco-
Giovanna lo. Cresciuta in una cultura e in un mondo molto diver-
so dal nostro, Miryam1 non ha recitato l’Ave Maria, né
Maria il Rosario, ma ha senz’altro cantato i salmi d’Israele e
Porrino conosceva preghiere della tradizione orale oltre ai vari
testi biblici. Ha vissuto secondo i precetti della Torah,
teologa, biblista,
scritta e orale, osservandone le leggi e le regole di pu-
docente di
teologia biblica rità. I Vangeli ci parlano poco di lei. Il cardinal Carlo
presso l’istituto Maria Martini, nella prefazione allo studio di Alberto
universitario Valentini, ha affermato: «A prima vista si direbbe che
sophia. non c’è molto su Maria nel Nuovo Testamento. C’è
membro
tanto silenzio su questa donna e bisogna leggere tra le
del centro
interdisciplinare righe per capire chi è Miryam, in quanto donna ebrea.
di studi Ma chi scruta con acribia i pochi testi pertinenti vi tro-
scuola abbà. va una profondità e una ricchezza insospettata»2 . C’è
una presenza discreta di Miryam, come giovinetta di
Nazareth, sposa di Giuseppe, madre di Gesù, ma bi-
sogna soprattutto guardare al carattere «qualitativo
della parola di Dio»3 .
Una riflessione su di lei deve considerare l’intera
rivelazione biblica. Ecco le domande di Aristide Serra:
«Maria nell’Antico Testamento: è legittima la doman-
da?». Egli rivolge poi un’altra questione agli autori dei
Vangeli: «Avete intravisto la figura di Maria di Nazareth
nei Libri Sacri dell’Antica Alleanza?»4. Nell’AT, come
nota Valentini, possiamo individuare, in relazione alla
figura di Miryam, una preparazione morale, tipologica
e profetica5, poiché il mistero di Miryam è strettamente

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punti cardinali
Miryam, donna ebrea

legato al mistero del rabbi di Nazareth. E l’intento di questo articolo mira ad


individuare, alla luce di testi dell’AT, qualche tratto del volto di Miryam tra-
smesso dagli evangelisti. Infatti, gli autori neotestamentari, nel tratteggiare
i loro personaggi, rimandano spesso i loro lettori, con citazioni o allusioni,
a testi della Bibbia ebraica. Cercheremo di guardare dunque a qualche fi-
gura femminile6 dell’AT e ad alcune tematiche sviluppate anche nel Nuovo,
senza dimenticare un punto prospettico importante: si guarda alla madre
dal mistero della resurrezione del Figlio. L’intento è sempre cristologico e
non mariologico. La figura di Miryam è quindi da collocare nel mistero della
passione, morte e resurrezione del Figlio suo. La luce del Risorto risplende
anche sul volto della Madre. Come afferma Serra, «la questione mariana»
scaturisce «dalla Pasqua come suo epicentro»7.

due annunciazioni

L’annuncio dell’angelo a Miryam non è il primo testo della Scrittura in


cui una donna riceve una parola da un messaggero. Infatti, nella Bibbia tro-
viamo vari annunci fatti a donne, con la promessa di un figlio. Si può men-
zionare la parola ad Abramo e Sara, l’incontro dell’angelo con Agar, incinta
di Ismaele, l’annuncio della nascita di Sansone.
Il Vangelo di Luca, inserendosi nella tradizione biblica delle annuncia-
zioni, si apre con due messaggi: l’annuncio della nascita di Giovanni Bat-
tista e quello della nascita di Gesù. Miryam, nel suo interloquire con Ga-
briele e poi con Elisabetta, attribuisce a sé per due volte il titolo di serva
del Signore8: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua
parola» (Lc 1, 38); «L’anima mia magnifica il Signore […] perché ha guarda-
to l’umiltà della sua serva» (Lc 1, 46-48). La giovinetta di Nazareth si situa,
dunque, nella lunga stirpe di donne dell’AT qualificate con tale appellativo.
La prima di queste è Agar, la serva di Sara e madre di Ismaele, la seconda è
Anna, madre del profeta Samuele. Agar è chiamata così perché è la serva
egiziana di Sara, moglie di Abramo. Anna, invece, si presenta a Dio, poi al
sacerdote Eli, usando una formula abituale. Infatti, nella Bibbia, secondo
un’usanza diffusa nell’antichità, quando ci si rivolge a Dio o ad un perso-

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giovanna maria porrino

naggio altolocato, non si usa il pronome personale “io”, ma la locuzione


di rispetto: “il tuo servo” o “la tua serva”. Il personaggio di Agar è interes-
sante perché la serva di Sara è testimone della prima annunciazione a una
donna nella Bibbia (cf. Gen 16, 7-12). Per la prima volta viene menzionato
un angelo nella Bibbia, ed è anche la prima volta che un messaggero divino
parla a una donna. Dio invia il suo messaggero a una serva egizia, facendo-
le una promessa per il figlio del suo seno (Gen 21, 18). Nell’annunciazione
lucana, l’evangelista, nel riferire le parole dell’angelo Gabriele a Miryam,
riprende gli stessi termini che l’angelo del Signore indirizzò ad Agar:

Ecco, sei incinta: Ed ecco, sarai incinta,


e partorirai un figlio e partorirai un figlio
e lo chiamerai Ismaele (Gen 16, 11). e lo chiamerai Gesù (Lc 1, 31).

Agar è serva per la sua condizione sociale, Maria invece, a conclusione


del dialogo con l’angelo, si presenta come la «serva del Signore» (Lc 1, 38).
Il termine è ripreso dalla giovinetta nel Magnificat: «Il mio spirito esulta in
Dio […] perché ha guardato l’umiliazione della sua serva». Il termine “umi-
liazione” è inaugurato per la prima volta nella Bibbia proprio con Agar. Dio
ha ascoltato l’umiliazione (cf. Gen 16, 11) della serva egizia, umiliata da Sara.
Agar ha visto l’angelo del Signore e Dio ha visto la serva egizia nella sua
umiliazione. Agar agisce secondo la parola dell’angelo: ritorna da Abramo
e Sara, facendo proprio il volere dell’angelo. Agar diventa così una “serva
del Signore”, una donna che assume la sua condizione di madre. Agar e
Miryam sono dunque presentate nella Scrittura come delle serve umiliate.
Miryam, definendosi “serva del Signore” e parlando della sua umiliazione,
esprime la sua solidarietà con la condizione di tutte le donne umiliate della
storia. Inoltre, Miryam appare come una vera interlocutrice del Signore:
Dio, tramite l’angelo, le chiede di assentire al suo progetto ed ella diven-
ta sua collaboratrice nell’attualizzazione del piano divino. La giovinetta si
pone così al servizio della vita, una vita che toccherà ogni figlio e figlia
di Adamo, in un itinerario che la porterà a ritrovarsi in una condizione di
umiliazione: prima ancora di essere sposa convivente, Miryam si trova

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punti cardinali
Miryam, donna ebrea

incinta di un figlio il cui padre non è Giuseppe. Il Vangelo è discreto su


questo aspetto, ma la giovinetta di Nazareth, nella sua adesione alla vo-
lontà divina, viene a trovarsi nella condizione umiliante di ragazza-madre.
Il testo greco sembra alludere a quest’umiliazione: il termine indica varie
situazioni umilianti inflitte a una donna. Miryam evoca la sua condizione di
giovinetta, incinta per opera dello Spirito Santo. Ma come spiegarlo? E chi
potrà credere alla sua parola? Il figlio non è di Joseph e Miryam si ritrova
in una situazione difficile: a causa del suo stato può essere denunciata
e giudicata pubblicamente, come lascia intendere l’evangelista Matteo9
(Mt 1, 9). Luca presenta Miryam come «una vergine, promessa sposa di un
uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe». Questa formula di presen-
tazione – «una vergine promessa sposa di un uomo» – riprende un testo di
legge del Deuteronomio:

Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in


città, giace con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città
e li lapiderete a morte: la fanciulla, perché, essendo in città, non ha
gridato, e l’uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo
(Dt 22, 23-24).

Miryam viene a trovarsi nella casistica espressa da questa legge:


un’umiliazione pubblica e un serio pericolo di morte. Matteo insiste su
quest’aspetto, sottolineandone il carattere giuridico: infatti, Joseph vor-
rebbe ripudiare Miryam in segreto per evitare uno scandalo pubblico e sal-
vare la vita alla donna e al bambino. L’intervento dell’angelo aiuterà Joseph
ad entrare nel mistero di questa nascita e a prendere con sé la sua sposa.
Miryam vive in anticipo l’umiliazione che vivrà il figlio. La giovane entra
nell’orizzonte di sofferenza della vita umana.

la vergine concepirà un figlio

L’evangelista Matteo, a conclusione della scena appena descritta, fa al-


lusione al concepimento avvenuto per opera dello Spirito (Mt 1, 20-21) e
introduce un commento: in Miryam si è compiuto

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ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la
vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di
Emmanuele», che significa Dio con noi (Mt 1, 22-23).

La citazione, tratta dal profeta Isaia, presenta una questione, molto stu-
diata dagli esegeti, riguardante la parola “vergine”10. Il testo ebraico non
parla di una vergine, betulah, ma di una ‘alma, cioè di una giovane donna.
Quando il testo di Isaia fu tradotto in greco, il traduttore usò il termine par-
thenos, vergine. In greco, il versetto biblico è molto più sorprendente: che
una vergine d’Israele sia incinta è un fatto straordinario e si adatta meglio
al contesto isaiano. Il profeta, infatti, ha annunciato un segno e la natura
del segno è di manifestare un avvenimento inusuale: che un figlio nasca
da una giovane donna è un avvenimento banale, che invece nasca ad una
vergine è denso di significato11. È importante anche sottolineare che se de-
gli ebrei dell’era precristiana hanno potuto leggere sia giovane donna che
vergine, ciò fa pensare che il testo avesse un senso per loro in entrambi i
casi. Sposata o vergine, la giovane donna menzionata da Isaia è una donna
che ha un legame con Dio. Questa donna misteriosa diventa una partner di
Dio nel dare alla luce un figlio che, nella sua persona, manifesta una spe-
ciale presenza di Dio: egli si chiamerà Emmanuele. Se si pone l’accento sul
termine ‘alma, giovane donna, si può pensare all’intervento di Dio in seno
a una coppia umana. È il caso di Anna ed Elkanà (1 Sam 1, 2). Se si pone
l’accento sulla nozione di parthenos, vergine, si sottolinea che Dio è lo spo-
so ed è lui che dona la vita. Quindi, il significato della profezia di Is 7, 14
rimane aperto e uno dei compimenti possibili dell’annuncio profetico è che
la vergine dia alla luce un figlio. In tal senso, il testo di Mt 1, 23 ha un denso
significato e spiega ciò che agli occhi degli uomini è una contraddizione:
una vergine che è sposa e madre. È il mistero di Dio! Come afferma Philippe
Lefebvre, quando Dio è presente, le realtà di sposa e vergine cessano di
essere delle categorie umane che si oppongono, poiché esse sottolineano
due forme possibili dell’alleanza di una donna con Dio. La verginità non
è assenza di matrimonio, ma è un modo per dire lo sposalizio con Dio12.
Maria è la madre del figlio di Davide, cioè la parthenos/’alma che dà alla
luce l’Emmanuele, il Dio in mezzo a noi. Anche il Vangelo di Luca presenta

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punti cardinali
Miryam, donna ebrea

la giovinetta definendola, due volte, con l’appellativo di vergine: «Al sesto


mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, a una
vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giusep-
pe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1, 26-27). In questo versetto, in modo
implicito, l’evangelista suggerisce un legame con la vergine madre dell’Em-
manuele della profezia di Isaia.

gioisci, figlia di sion!

La prima parola che l’angelo Gabriele rivolge alla vergine Miryam è:


«Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1, 28). Cerchiamo di
capire il senso del saluto angelico, alla luce di testi veterotestamentari. Il
saluto si apre con la parola greca chaíre, “gioisci! rallegrati!”13. Non è un
semplice saluto, ma un invito alla gioia! Nelle parole angeliche rivolte a
Miryam da Gabriele «echeggiano gli annunci escatologici concernenti la
figlia di Sion»14:

Rallegrati, figlia di Sion,


Esulta grandemente, Non temere, terra,
grida di gioia, Israele,
figlia di Sion, ma rallégrati e gioisci,
esulta e acclama
giubila, figlia di poiché cose grandi ha
con tutto il cuore,
Gerusalemme! fatto il Signore.
figlia di Gerusalemme! (Zc 9, 9) (Gl 2, 21)
(Sof 3, 14)

Alla luce di questi testi, appare evidente che l’evangelista abbia voluto
offrire una rilettura di oracoli profetici alla luce del Risorto (cf. Lc 1, 32.35).
La figlia di Sion, che nei passi sopra riportati rappresenta un simbolo, una
personificazione del popolo di Israele, in Luca prende i lineamenti del volto
della giovinetta di Nazareth: «La Vergine presenta anche i tratti della figlia
di Sion escatologica, vagheggiata e cantata dai profeti. La figlia di Sion in-
carna la comunità dell’alleanza, sposa di Dio e madre del Messia che por-
terà la salvezza al popolo»15.

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Al suo saluto, l’angelo fa seguire un appellativo, kecharitōménē, lette-


ralmente ricolmata di grazia da Dio stesso per essere la madre di suo fi-
glio. L’ingresso di Miryam nel terzo vangelo avviene con tale appellativo:
Miryam è piena di grazia e ciò «designa ormai la personalità della Vergine
davanti a Dio e davanti al mondo»16. Il verbo è raro e deriva dalla parola
charis, grazia. L’angelo stesso dà una spiegazione, a due riprese, all’appel-
lativo usato quasi a rafforzarlo: «Il Signore è con te» (v. 28) e, subito dopo,
«hai trovato grazia presso Dio» (v. 30). Questa seconda locuzione esprime
«la benevolenza divina in vista di una missione da compiere, ma che incide
profondamente sulla persona cui tale benevolenza è destinata», mentre la
prima – «il Signore è con te» – «garantisce la presenza e la protezione del
Signore, senza la quale la missione risulterebbe del tutto impossibile»17.
Miryam sarà la madre del Re Messia atteso18. All’angelo Miryam pone
una domanda: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (v. 34).
Ella non mette in dubbio quanto l’angelo le ha appena rivelato, ma pone la
domanda sulla modalità: come ciò può accadere? E la risposta dell’angelo
spiega il mistero:

Lo Spirito Santo scenderà su di te


e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra.
Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà
chiamato Figlio di Dio (Lc 1, 35).

Ritroviamo, qui, una forte reminiscenza di un testo dell’Esodo. La den-


sa frase contiene un robusto simbolismo biblico. La menzione dello Spirito
Santo e della potenza dell’Altissimo allude allo «Pneuma creatore aleg-
giante sulle acque primordiali del caos (cf. Gen 1, 2) e atteso per la fine dei
tempi, nel futuro escatologico, come forza proveniente dall’Alto (cf. Is 32,
15)»19. Ecco la nuova creazione che avverrà nel seno di Miryam. In Luca, in-
fatti, risuonano echi veterotestamentari che rinviano il lettore ai libri di Ge-
nesi ed Esodo. La fanciulla è paragonata al tabernacolo costruito da Mosè,
su ordine di Dio, e chiamato anche Tenda del Convegno. Dopo che Mosè
ha eretto la tenda, Dio manifesta la sua presenza con la nube che la copre
con la sua ombra (Es 40, 35).

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Miryam, donna ebrea

Luca sembra dunque rappresentare Maria come l’arca dell’alleanza del


santuario itinerante, segno della presenza del Signore in mezzo al suo popolo,
quando evoca l’ombra della nube che “copriva” il tempio indicando così l’ir-
ruzione del mistero. Maria è paragonata al santuario del deserto, in cui Dio
dimora20. Il tabernacolo contiene l’arca dell’Alleanza che, a sua volta, contie-
ne le tavole della Legge, su cui sono incise le dieci parole, e il vasetto con la
manna. Maria, nuova arca dell’Alleanza, porta nel suo seno la Parola di Dio,
il Verbo fatto carne, Yehoshua, che lascerà in dono, per i secoli, il suo corpo
sotto le specie del pane. Verbum caro factum est, Verbum panis factum est!
Miryam, dopo l’annuncio angelico, si mette in fretta in cammino per
visitare Elisabetta, sua parente. L’incontro tra le due donne è significativo.
Elisabetta, che nel saluto ha sentito esultare di gioia il bimbo nel suo seno,
ricolma di Spirito Santo, saluta così la giovane:

Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!


E beata colei che ha creduto […] (Lc 1, 42.45).

Elisabetta proclama che Miryam è benedetta perché ha ascoltato la Pa-


rola di Dio. Nel saluto dell’anziana cugina, si può scorgere questo testo del
Deuteronomio:

Poiché tu avrai ascoltato la voce del Signore, tuo Dio, ver-


ranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste benedizioni.
Sarai benedetto nella città e benedetto nella campagna. Benedetto
sarà il frutto del tuo grembo […] (Dt 28, 2-4).

Miryam ha ascoltato e accolto l’annuncio angelico, per cui è benedet-


ta fra le donne e il frutto del suo seno è benedetto, secondo la promessa
deuteronomica. Ella è, dunque, la credente: come Abramo, padre nella
fede, ella ha creduto alla promessa divina, divenendo madre nella fede.
Per cui la giovane donna è salutata da Elisabetta e da lei riconosciuta
come «la madre del mio Signore»: un titolo che la comunità cristiana ha
forse attribuito molto presto a Miryam (cf. At 1, 14). La luce del Risorto
illumina la madre di Yehoshua.

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due magnificat a confronto

Fin dalle prime pagine della Bibbia, appare un importante filo condutto-
re. Gli inizi del popolo di Israele affondano le loro radici in tale tematica: la
sterilità delle matriarche – Sara, Rebecca, Rachele – e la nascita di un figlio
“inconcepibile”. È nel colloquio con Dio che la sterilità di queste donne si
apre alla fecondità. Non percorreremo qui le varie storie bibliche, ma ci
concentreremo su due testi che esprimono la lode a Dio per una tale mera-
viglia: la nascita di un figlio che testimonia la grandezza di Dio. Il figlio che
non può nascere, il figlio “inconcepibile”, viene alla luce!
Nella Bibbia ebraica, vi è una sola donna chiamata Anna. Questa figura
di donna appare nelle prime pagine del Primo libro di Samuele. Anna, spo-
sa amata di Elkanà, è sterile. Ogni anno, la donna sale al tempio del Signore
ed è in questo luogo che lei chiede a Dio il dono di un figlio:

Signore degli eserciti, se vorrai considerare l’umiliazione della tua


serva e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua serva e darai
alla tua serva un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i
giorni della sua vita (1 Sam 1, 11).

Il Signore si ricordò di Anna che concepì e partorì un figlio maschio. Sa-


muele, il figlio tanto atteso, è offerto a Dio, secondo la promessa materna.
Il tempio di Dio sarà la sua casa, fin dalla più tenera età. E Anna fa salire il
suo Magnificat a Dio. Per il nostro studio, è interessante mettere a confron-
to il canto di Anna con il Magnificat di Miryam, due donne ebree che hanno
sperimentato nella loro carne l’intervento potente di Dio, con la nascita del
figlio “inconcepibile” (1 Sam 2, 1-10; Lc 1, 46-55).
Il Magnificat21 cantato dalla madre di Gesù è molto vicino al cantico di
Anna, madre di Samuele. Ritroviamo la gioiosa esultazione nel Signore per
l’opera che egli ha compiuto. Dio è chiamato con l’appellativo “santo” in
entrambi i poemi. Si annuncia, nei due cantici, l’innalzamento degli umili e
l’abbassamento dei potenti. Inoltre, il cantico di Anna si conclude con l’an-
nuncio del re messia che riceverà forza da Dio. Anna è la prima persona in
assoluto, nella Bibbia, a parlare del messia che Dio invierà. Non si sa ancora

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Miryam, donna ebrea

bene chi sia e cosa dovrà fare questo misterioso personaggio. Sarà Samue-
le, suo figlio, che consacrerà il primo messia. Il cantico di Miryam, invece,
non menziona il messia, perché egli è presente: la promessa si è realizzata.
La giovinetta di Nazareth porta in sé il messia, questo figlio “inconcepibi-
le”. Nella Bibbia, due donne aprono la via al messia che viene: Anna, che
lo annuncia per la prima volta; Maria che, per il suo sì al mistero di Dio,
offre le sue carni e il suo grembo alla formazione del corpo del Figlio di Dio,
uomo in mezzo agli uomini. Il Magnificat di Miryam è «la lode di colei che
ha creduto»; è un inno che da secoli è entrato nella preghiera della Chiesa
d’Oriente e d’Occidente, che fa da «ponte o cerniera tra l’Antico e il Nuovo
Testamento, tra Israele e la Chiesa»22.

la madre e la chiesa

Nella lettura della Bibbia, appare un concetto in filigrana che attraversa


tutta la Scrittura. La nozione è antica, anche se la sua denominazione è re-
cente. Si tratta dell’idea di “personalità corporativa” che indica «una specie
di identificazione tra una persona e il gruppo in cui è inserita e del quale
è rappresentante»23. È un’idea arcaica strettamente legata alla mentalità
ebraica. Si spiega così l’importanza di figure quali Abramo e Mosè, perso-
naggi singoli che hanno una forte dimensione comunitaria: il primo è il ca-
postipite del popolo, il secondo è mediatore tra Dio e il popolo. In tal senso
vanno capite anche le prefigurazioni simboliche del servo di JHWH in Isaia
e del figlio dell’uomo in Daniele. Tale categoria biblica appare anche nel NT
e spiega la tipologia Adamo-Cristo, la realtà di Cristo capo del corpo, cioè
della Chiesa, e illumina anche Miryam come tipo della Chiesa24.
Nell’AT, accanto alla figura del messia, del servo sofferente e del Figlio
dell’uomo, appare anche una figura femminile che rappresenta il popolo di
Israele radunato da Dio nel tempio santo. La Bibbia, parlando della figlia
di Sion, di Gerusalemme, come madre dei popoli, fa uso di una metafora
molto ardita per indicare le nozze di Dio con il popolo di Israele. In Miryam,
si realizza il mistero annunciato: le nozze di Dio con il popolo e con l’uma-
nità. Il Verbo di Dio si è fatto carne nel seno di una giovane donna ebrea.

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La giovane sposa e madre assume, in alcuni scritti del NT, una dimensione
metaforica grandiosa. Infatti, Miryam non solo è presentata in stretto lega-
me con la primitiva comunità, ma è anche considerata come «personifica-
zione concreta ed ideale» della Chiesa nascente. Miryam appare, inoltre,
come personificazione della figlia di Sion, come sposa fedele del Signore,
come madre del Figlio e madre del discepolo prediletto e, in lui, come ma-
dre di tutti i figli e le figlie d’Adamo. Miryam è anche la donna dell’Allean-
za25. Il suo fiat a Dio è una risposta personale e comunitaria insieme che
indica: a) «la ricapitolazione della storia primordiale sotto il segno della
grazia e della benedizione»; b) «un nuovo inizio della storia biblica iniziata
con la fede di Abramo». In Luca, Miryam appare come punto in cui con-
verge «la storia del popolo dell’antica alleanza»26 e si inaugura la storia
della nuova Alleanza. Come Abramo, ella ha creduto e ha avuto fede a una
promessa umanamente impossibile.
Già nel racconto lucano dell’annunciazione, la giovinetta di Nazareth
è presentata come persona individuale e come figura tipologica di sintesi:
in lei si compendia l’attesa antica del popolo d’Israele, «si inaugura […] la
comunità dei discepoli di Gesù». È la prima seguace del Figlio. Ma è soprat-
tutto ai piedi della croce del Figlio crocifisso che Miryam «rappresenta e in-
carna la Chiesa». Tutti sono fuggiti, ma lei è là, sta in piedi a rappresentare
la comunità cui è tolto lo Sposo. In quell’ora tragica, sorge un mondo nuovo,
nasce la comunità della nuova Alleanza. I figli di Dio dispersi sono radunati
dal-per-nel sacrificio di Cristo, ed ella è proclamata Madre. Nel libro degli
Atti, Miryam è presente allorquando la comunità primitiva si raduna (At 1,
13-14): «Ella è là come la madre di Gesù, il Risorto, e come colei nella quale
si è compiuta in anticipo l’effusione dello Spirito che ora sta per discendere
sui discepoli, rendendoli comunità della nuova alleanza (Gl 3, 1-5) e testi-
moni del Risorto»27.
Anche nel grandioso segno della donna vestita di sole (Ap 12, 1) e nel
simbolo della nuova Gerusalemme discesa dal cielo (Ap 21-22), «la figu-
ra della madre di Gesù e della comunità si intrecciano e si alternano, in
maniera complementare. La Chiesa, come Maria, sperimenta le prove a
motivo di Cristo, partecipa delle sofferenze del suo Signore, ma un gior-
no si rivelerà quale sposa dell’Agnello e città del Dio vivente rivestita di

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Miryam, donna ebrea

luce e ammantata di gloria»28 . È quanto i padri conciliari hanno affermato


a proposito di Maria, nella Lumen gentium, in quanto madre del Figlio e
figura della Chiesa (LG 63).

conclusione

In questo breve percorso, si è evidenziato quanto Matteo e Luca (ma


anche Giovanni), partendo dalla rivelazione centrale della resurrezione di
Gesù, abbiano usato figure, tematiche e simboli tratti dall’AT per delineare
i tratti del volto di Miryam. La luce del Figlio risorto getta luce sul volto
della madre sua. Abbiamo, inoltre, scoperto alcune figure di donne dell’AT,
ma anche forti simboli biblici, che hanno trovato compimento in colei che la
Chiesa primitiva ha riconosciuto come vergine, credente e madre.

1
In greco Mariam.
2
A. Valentini, Maria secondo le Scritture. Figlia di Sion e Madre del Signore, EDB,
Bologna 2007, p. 7.
3
Ibid., p. 21.
4
A.M. Serra, La presenza e la funzione della Madre del Messia nell’Antico Testamento.
Principi per la ricerca e applicazioni, 2008, p. 15, articolo in pdf disponibile al seguente link:
http://www.culturamariana.com/pubblicazioni/fine29/01-fine2008-Serra.def.pdf.
5
Cf. A. Valentini, Maria secondo le Scritture, cit., p. 26-27.
6
Cf. P. Lefebvre, La Vierge au Livre. Marie et l’Ancien Testament, Cerf, Paris 2004.
7
A.M. Serra, La presenza e la funzione della Madre del Messia nell‘Antico Testa-
mento, cit., p. 16.
8
Per l’intero paragrafo, cf. P. Lefebvre, Agar et la servante du Seigneur, in La Vier-
ge au Livre, cit., pp. 59-66.
9
Per questo paragrafo e i successivi, cf. P. Lefebvre, Marie et l’humiliation des
femmes, in La Vierge au Livre, cit., pp. 135-139.
10
Cf. la posizione di P. Lefebvre, “La vierge concevra” (Is 7, 14). Une prophétie pos-
sible!, in La Vierge au Livre, cit., pp. 143-149. Cf. anche: A. Valentini, La Madre-Vergine
dell’Emmanuele (Mt 1), in Maria secondo le Scritture, cit., pp. 71-78.
11
Cf. lo studio dettagliato di C. Rico, ‘almâ et parthenos dans l’univers de la Bible:
le point de vue d’un linguiste, disponibile in pdf al seguente link : http://www.acade-

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mia.edu/394556/almah_et_parthenos_dans_lunivers_de_la_Bible_le_point_de_
vue_dun_linguiste.
12
Cf. P. Lefebvre, “La vierge concevra”, cit., p. 145.
13
Cf. A. Valentini, Chaíre, kecharitōménē (Lc 1, 26-38), in Maria secondo le Scrittu-
re, pp. 89-105.
14
Ibid., pp. 92-93.
15
Ibid., p. 101.
16
A. Valentini, Chaíre, kecharitōménē (Lc 1, 26-38), in Maria secondo le Scritture,
cit., pp. 89-105.
17
Ibid., pp. 93-94.
18
Cf. ibid., p. 101.
19
Ibid., p. 96.
20
Cf. P. Lefebvre, Marie et l’humiliation des femmes, in La Vierge au Livre, cit., pp.
197-198.
21
Sul Magnificat, cf. A. Valentini, Il canto della Figlia di Sion (Lc 1, 46b-55) e Ap-
procci esegetici al Magnificat, in Maria secondo le Scritture, cit., pp. 133-144; 145-164.
22
Ibid., p. 133.
23
A. Valentini, Maria secondo le Scritture, cit., p. 379.
24
Cf. ibid., pp. 382-383.
25
Cf. A. Serra, La Donna dell’Alleanza. Prefigurazioni di Maria nell’Antico Testamen-
to, Messaggero, Padova 2006. 
26
A. Valentini, Maria secondo le Scritture, cit., p. 387.
27
Ibid., p. 389.
28
Ibid., p. 390.

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dallo scaffale di città nuova

Il giorno prima della pace


di Lucia Capuzzi

La guerra civile in Colombia, ossia la guerra più lunga d’Occi-


dente, s’è conclusa in sordina il 24 novembre 2016. Da tempo i
media avevano smesso di parlarne. Eppure essa ha messo fine
a una delle pagine più tragiche del Novecento, con 8,5 milioni
di vittime, tra uccisi, sequestrati, torturati, orfani, sfollati. Tra i
grandi sostenitori del processo di pace, Jorge Mario Bergoglio,
che, nel settembre 2017, si è recato nella nazione per aiutarla
a compiere il primo passo nel percorso verso un futuro senza
guerra. Il libro racconta questo momento in bilico tra conflitto
e pace attraverso le voci di tre sopravvissute. Tre donne che
la guerra non è riuscita a uccidere, nel corpo e nello spirito.
È la forza vitale a unirle al di là di vicende e barricate su cui
la brutalità del conflitto le ha collocate. Quella forza che le fa
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alla fonte del carisma dell’unità

Cultura e culture nella


mistica di Chiara Lubich

Giuseppe Maria Zanghí (Peppuccio) è stato il primo


Giuseppe direttore della rivista Nuova Umanità e, insieme a Chiara
Maria Lubich, tra i membri fondatori della Scuola Abbà, centro
studi del Movimento dei Focolari. Fra i primi che hanno
Zanghí aderito alla spiritualità di Chiara Lubich, Zanghí ne è stato
(1929-2015) un seguace fedele per tutta la sua vita, dedicandosi con
filosofo. è stato passione, creatività e libertà soprattutto al progressivo
il primo direttore svilupparsi di una vera e propria cultura che nasce dal ca-
della rivista
nuova umanità e,
risma dell’unità.
insieme a chiara Quanto segue è una trascrizione di un suo breve inter-
lubich, tra i vento al “Mathworkshop 2004”, un convegno per appas-
membri fondatori sionati di matematica, tenutosi a Castel Gandolfo (Roma)
del centro dal 5 al 7 marzo del 2004. I promotori dell’incontro si sta-
interdisciplinare
di studi
vano interrogando su come la luce di Dio e della sua Sa-
scuola abbà. pienza potesse illuminare anche la loro disciplina, che in
responsabile per linea generale è considerata lontano dal pensiero umanista
diversi anni della e ancor più da quello teologico. I destinatari della conver-
sezione giovanile sazione erano tutte persone impegnate nel campo della
del movimento
dei focolari,
matematica a diversi livelli, sia professionali che culturali
dell’aspetto (insegnanti, studenti, ricercatori, professori universitari,
culturale e provenienti da diverse nazioni del mondo).
del dialogo L’intervento di Zanghí, come lui stesso ci dice, è la
interreligioso. presentazione di una registrazione video di un discorso di
Chiara Lubich fatto il 15 agosto 2001 per l’inaugurazione
dell’Istituto Superiore di Cultura Sophia. Questo percorso
per giovani studenti conclusosi nel 2007, è stato il germe da
cui è nato l’attuale Istituto Universitario Sophia, che ormai

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alla fonte del carisma dell’unità
Cultura e culture nella mistica di Chiara Lubich

da più di dieci anni svolge la sua attività vicino a Firenze. Nel suo discorso, ripor-
tato di seguito al testo di Zanghí, Chiara Lubich introduce gli studenti al tema,
trasversale e allo stesso tempo centrale, della Sapienza divina.
Zanghí riprende e sviluppa questo tema facendo un’interessante anali-
si, ancor oggi attualissima, sulla fonte di un’autentica cultura cristiana e sulla
metodologia per approdarvi. Il suo discorso, come quello della Lubich, riprende
un’esperienza mistica, vissuta da Chiara e i suoi primi compagni, nel periodo
1949-1951, e denominata “Paradiso ’49”, a cui è stato dedicato il Focus del nu-
mero 234 di Nuova Umanità.
Abbiamo lasciato questa trascrizione nello stile di una conversazione infor-
male e colloquiale per non perdere e non tradire lo spirito originale e profondo
da cui sgorgano le riflessioni che Zanghí condivide con i suoi interlocutori e da
cui emerge con spontaneità il suo essere stato portatore di una testimonianza
intellettuale al servizio del Carisma di Chiara Lubich, di cui solo col tempo si
potrà prendere piena consapevolezza.

mathworkshop 2004

Mi è stato chiesto di dire due parole di presentazione al video di Chiara


che ascolterete: quello dell’inaugurazione dell’Istituto Superiore di Cultu-
ra. Il video si spiega da sé, non occorre che dica niente; premetto solo una
brevissima riflessione.
Chiara, rivolgendosi ai giovani dell’Istituto Superiore di Cultura, parla
a un certo momento dell’Aula, chiedendo qual è l’Aula di questa scuola, e
risponde che quest’Aula è il seno del Padre. Volevo solo farvi una brevissi-
ma riflessione su questo punto.
Con il carisma che Dio ha dato a Chiara, la riflessione cristiana, direi la
cultura cristiana – e penso di non sbagliarmi nel dire quello che dico –, è
entrata in una fase nuova, che è la risposta culturale del carisma.
Cioè, di fronte alla modernità, come si è mossa la cultura cristiana? Una
parte di essa si è sentita come tradita, quindi non ha capito più niente; allo-
ra è avvenuto il distacco tra la fede e la cultura, la cultura che prende strade
con le quali la fede non ha più niente da fare. Per cui è stato un momento

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forte di lacerazione, di scontro, proprio di non comprensione: si parlavano


due linguaggi completamente diversi, e questo è andato avanti per parec-
chio tempo. Per nominare solo un caso classico fra tutti, c’è stata la figura
di un grande pensatore e teologo cristiano che era Rosmini1. Lui tentò di
dialogare con Hegel, con la grande cultura, e il papa2 voleva farlo cardinale,
ma i gesuiti si opposero e ci fu uno sbarramento perché la sua posizione si
riteneva pericolosa per la fede cristiana. Era pericoloso soprattutto voler
aprire un dialogo con la cultura contemporanea cercando di capirne le ra-
gioni, capire perché ragionavano così, perché si muovevano così. C’erano
anche motivazioni giuste di questo atteggiamento: cioè la paura che si per-
desse lo specifico della fede, perché non ogni cultura può andare d’accor-
do con la fede, questo è evidente. Quindi era anche una paura, però come
sapete la paura non è mai un alleato di Dio.
In seguito c’è stato un tentativo di dialogo in cui si diceva: «Cerchiamo
allora di capire questa cultura», ma nel quale di fatto piano piano si sono
perse le ragioni di una cultura cristiana, cioè non si è capito più che cosa
porta di nuovo il cristianesimo, che significato ha. Ricordo ancora quando
si chiedeva, per esempio: «Ma può il cristianesimo produrre una cultura
sua? Che senso ha?». E la risposta che veniva sempre più forte era: «No,
non c’è una cultura cristiana, c’è il messaggio di Gesù, ma cultura cristiana
no». Perché il messaggio di Gesù si rivolge alla fede, la cultura è un fatto di
razionalità, di espressione di potenzialità umane, ecc. Queste sono state, in
maniera molto sintetica, le due direzioni in cui si è mossa e tuttora si muove
la posizione cristiana nei confronti della cultura.
Adesso, per quanto ho capito io – perché è difficile misurare –, ma
per quanto io l’ho capito, il carisma di Chiara apre un periodo diverso: è
quello che vorrei raccomandare a voi. Anche se la matematica di per sé
si muove su livelli di astrazione, implicitamente anche essa è legata col
fatto culturale.
Ora che cosa porta Chiara di nuovo? Una cosa fondamentale: nel Patto
di Chiara con Foco, che cosa è accaduto?3. Con la Parola di vita, che era
Gesù abbandonato, con l’amore reciproco, l’Eucaristia, che cosa è acca-
duto? È accaduto che – uso un termine forte ma anche giusto, penso – si
sono come aperti i cieli e Chiara si è trovata introdotta, non da sola, lei

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Cultura e culture nella mistica di Chiara Lubich

ha fatto come la punta di diamante e poi si è portata dentro Foco e poi le


prime focolarine, ecc., si è trovata introdotta nel seno del Padre, cioè nel
“luogo” (noi usiamo immagini logicamente), nel luogo in cui “abita” (tra
virgolette) Gesù risorto. Gesù sta lì, sta nel seno del Padre, è tornato lì con
la sua umanità.
Certo, Chiara non è stata la prima mistica cristiana che è entrata nel
seno del Padre, se si pensa a san Giovanni della Croce, santa Teresa
d’Avila, sant’Angela da Foligno. Però una cosa fondamentale che bisogna
capire è questa: qual è la caratteristica di Chiara? Che lei non è entrata da
sola, è entrato un gruppo che Chiara ha battezzato – chissà perché, gliel’ho
chiesto una volta perché, ma lei non lo sa dire –, ha chiamato l’Anima con
la “A” grande. Io, sempre col vizio di filosofo, le chiedevo: «Chiara, ma ci
sono riferimenti di Plotino in quello che dici?». «Che c’entra Plotino?», ha
risposto Chiara, e infatti non c’entra niente. Una volta qualcuno ha por-
tato a Chiara una pagina di sant’Angela da Foligno dove racconta la sua
entrata nel seno del Padre. Lei racconta che si trova lì, nel seno del Padre,
ed è tutto buio, tutto tenebra. Cioè non riesce a vedere. Chiara entra nel
seno del Padre ed è tutto luce: sopra, sotto, davanti, tutto luce. Ora, io lo
spiegavo così: secondo me, il motivo è fondamentale, perché, se io entro
da solo, essendo creatura, logicamente ancora in cammino – non sono in
Paradiso –, nel seno del Padre non c’è proporzione tra il mio occhio e quello
che devo vedere. Non riesco, per cui la grande luce di Dio per me si riduce
in tenebra. Lo dicevano anche i mistici; in fondo che cos’è la tenebra del
mistico? Non è altro che l’eccesso – anche Aristotele lo diceva – della luce
di Dio che appare buia all’occhio che lo vede, perché l’occhio non è propor-
zionato. Ma c’è però un altro modo: se questa luce di Dio non mi colpisce
direttamente l’occhio, ma mi viene rifratta da quello “specchio” che per me
è il fratello, allora diventa per me comprensibile e visibile. Questa è la no-
vità grande che Chiara porta: cioè il fratello, logicamente come prolunga-
mento di Gesù, fa da mediazione della potenza della luce di Dio, che è così
grande che acceca – si dice nell’Antico Testamento: «Nessuno può vedere
Dio e restare vivo» – per cui diventa accessibile al mio occhio. In pratica,
non facciamo altro che vivere nella realtà l’incarnazione. Che cosa ha fatto
Gesù nell’incarnazione? Non ha fatto altro che rendere accessibile la luce

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della Trinità rivestendola di linguaggio umano. Ma attenzione: era il lin-


guaggio che usava il Verbo di Dio, la Parola di Dio, quindi le parole umane
acquistano un peso, una significazione, un’importanza che altrimenti non
avrebbero. Non so se è chiaro questo.
Ecco il primo risultato che l’entrata di Chiara nel seno del Padre dà: ri-
prende il linguaggio umano e gli dà uno spessore, diciamo, un valore, una
valenza, che altrimenti non avrebbe. Io, per esempio, avendo letto tanti
mistici, vedo che c’è sempre il grande lamento dell’inadeguatezza del lin-
guaggio umano: ma chi può dire? Dante stesso nel Paradiso scrive: «Ma
chi è che può ridire quello che ho visto?». Questo senso nel testo di Para-
diso ’49 4 non c’è mai, è curioso, non c’è mai. Quando lo leggiamo insieme,
non c’è mai. Chiara è tranquilla e nelle pagine finali del Paradiso c’è una
frase che voglio menzionare, perché è molto importante. Quando tutto si
conclude, Chiara che cosa capisce? Sente come Gesù dentro che le dice
(e attenti a quello che dice Gesù, perché è di fondamentale importanza):
«Vedi Chiara, le cose che tu hai visto non sono come tu le hai viste. Perché
io ho adattato ai tuoi occhi di creatura quello che creatura non può vedere,
ma le possiedi così».
Allora, tre cose dice Gesù, tre cose fondamentali.
Primo: «Le cose che tu hai visto non sono come tu le hai viste». Questo
rimane vero perché non c’è occhio umano che possa vedere Dio come Dio
è, altrimenti diventerebbe occhio divino.
Quindi, primo punto: non è così! Allora noi che leggiamo le pagine del
Paradiso ’49, e sono delle pagine del resto di una bellezza, di una precisio-
ne, di una potenza straordinaria… però Dio è un’altra cosa. Perché quello è
linguaggio d’uomo e Dio è Dio!
Però, secondo punto, Gesù dice: «Io ho adattato ai tuoi occhi di creatura
quello che creatura non può vedere». Cioè Gesù si fa l’ermeneuta per cui
lui dice a Chiara: tu, vedendo il Paradiso, non è che hai visto fantasie o cose
inesatte, hai visto delle cose che io – dice Gesù – ho adattato ai tuoi occhi.
Quindi hai visto delle cose vere, ecco la mediazione dell’umanità di Gesù.
Questa mediazione continua attraverso i fratelli. Quindi non è che vie-
ne falsata la realtà di Dio, ma viene adattata al nostro occhio nell’attesa,
logicamente, che la nostra umanità, nella risurrezione della carne, entri to-

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Cultura e culture nella mistica di Chiara Lubich

talmente nella gloria di Dio che non sia più adattamento ma sia rivelazione
compiuta e completa di quello che Dio è. Ma qui dobbiamo aspettare di
essere tutti nel Paradiso col corpo risorto.
Poi Gesù dice la terza cosa: «Però tu le hai così». Questo è di un’impor-
tanza fondamentale, perché dice il tipo di cultura a cui Chiara ci introduce.
Cioè, è vero che le cose che tu hai visto non sono come tu le hai viste, ma
attenta, io le ho adattate, quindi sono cose vere, però le hai, non più adat-
tate, ma nella loro interezza: le hai così nella vita.
Allora, io dico sempre, cosa significa? Significa che il linguaggio che può
veramente esprimere la novità della Realtà in cui Chiara è stata introdotta,
che è il Paradiso, non è quello che stiamo usando adesso, quello che potete
leggere anche nello stesso testo Paradiso ’49, ma è Gesù in mezzo fra di noi5.
Io dico sempre che, anche se noi parlassimo, ad esempio, su come pre-
parare un pranzo per qualcuno con l’amore, se questo viene fatto con Gesù
in mezzo, c’è una realtà che va al di là delle parole e che dice ai nostri cuori
molto di più di quello che possono dire le nostre parole.
Ora quello che Chiara vuole e che ha fatto in pratica col Paradiso ’49 è
che ha introdotto la nostra umanità nell’intimo della vita di Dio facendoci
capaci di “capirlo” (sempre tra virgolette), nella sua realtà, non tanto con le
parole, quanto con la presenza di Gesù in mezzo a noi.
Ecco allora il primo punto fondamentale: la cultura caratteristica che
Chiara porta è Gesù in mezzo a quelli che fanno cultura. Dunque voi po-
tete fare matematica e Gesù è presente in mezzo a voi. Lui in mezzo a voi
è il custode, è il rivelatore di qualche cosa di Dio anche nella matematica
– la matematica l’ha creata Dio, non è che ce la siamo inventata noi –, è il
custode di qualche cosa che le parole non riescono a dire, ma lui la dice
essendo presente. Ovviamente poi di questa sua presenza filtrano luci,
lampi, momenti di contemplazione dovuti al fatto che le nostre umanità,
le vostre qui presenti fra di voi, sono l’uno per l’altro uno speculum in cui
si vede la gloria di Dio. Questa è la bellezza! Perché sono legate, innestate
nell’umanità di Gesù e quindi ciascuno di voi è per l’altro quello che Gesù
è come uomo per noi: cioè il mediatore, colui che rende possibile per noi
accedere al mistero di Dio. Questo lo fate tra di voi riflettendo l’un l’altro la
luce che Dio vi dà!

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Tutto questo però necessità logicamente di una prima cosa di fonda-


mentale importanza, che bisogna capire. Nel tipo di cultura che noi abbia-
mo ereditato, quella che io ho chiamato in un mio articolo “la cultura del
logos”, qual è l’elemento importante? È quello che io penso, e che poi posso
comunicare agli altri. E che poi può essere accettato, può non essere accet-
tato, non importa, però l’importante è quello che io penso. Per noi, no. Per
noi l’importante è invece quello che il fratello, o la sorella, mi restituisce:
perché, come un raggio che parte da me, il fratello per me è uno specchio,
e questo specchio, essendo trasparenza di Dio, mi riflette questa luce e
me la restituisce. Però cosa fa nel restituirmela? La purifica dagli attacca-
menti, cioè dal fatto che è mia. Perché è lui che me la restituisce, quindi la
purifica dal peccato originale di ogni pensiero che è quello di essere il mio
pensiero, mentre invece deve essere il pensiero di Gesù. Questa è una cosa
molto diversa. Diceva san Paolo nella Prima lettera ai Corinzi: «Noi abbia-
mo la mente di Gesù». E Chiara continua a ripetere che noi dobbiamo fare
la teologia di Gesù, la filosofia, la matematica di Gesù. Ora questo lui lo fa
essendo presente in mezzo a noi, non so se è chiaro.
Quindi vedete già il rovesciamento categoriale: non è più importante
quello che io penso e che dico, ma quello che il fratello mi restituisce ridan-
domelo purificato dal fatto che io voglio possedere quello che penso. Perché
io lo do, lo dono, lui me lo restituisce e io me lo ritrovo con una trasparenza,
una potenza che io stesso non pensavo, mai avrei detto: «Ma guarda cosa
ho pensato! Quanto sono intelligente, non lo credevo, quanto sono intelli-
gente!». Non so se è chiaro. Questo è un punto di fondamentale importanza.
Ma – e con questo termino – c’è un’altra cosa da considerare: come
Chiara legge la cultura di oggi. Io vi ho parlato all’inizio di un modo di una
lettura negativa, di tradimento, ecc., soprattutto da parte cattolica ma non
solo. Per Chiara non è così! Lo vediamo nella Scuola Abbà, non è così!
A parte il fatto che questo è tipico di Maria, di tutte le madri, che quan-
do il bambino fa “ba, ba, ba”, dicono: «Guarda come parla! Guarda cosa sta
dicendo!».
È un po’ la stessa cosa che vediamo di Chiara nei nostri confronti duran-
te gli incontri della Scuola Abbà. Alle volte facciamo degli interventi, ripor-
tiamo a Chiara i commenti di un teologo o un filosofo, ecc. Lei per istinto

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Cultura e culture nella mistica di Chiara Lubich

divino è portata a non vedere il negativo per sé, ma a vedere il positivo che
giace in quel negativo. Questo non è altro che l’applicazione culturale di
Gesù abbandonato6. Quando diciamo: «In ogni negativo vedo Gesù abban-
donato», cosa significa? Vuol dire che quel negativo è il figlio di Dio e che
lì dentro c’è la promessa della risurrezione. Cosa vuol dire culturalmente?
Che di fronte a qualunque realtà culturale, anche la più lontana dal cristia-
nesimo che noi possiamo immaginare, quella è Gesù abbandonato: cioè un
negativo che il figlio di Dio ha fatto suo, quindi non è più estraneo a Dio.
Dobbiamo stare attenti a non cadere in queste trappole, dicendo: «In que-
ste cose Dio non c’entra!». No, no, Dio è andato all’inferno, quindi quelle
cose le ha fatte sue, è Gesù lì dentro. Ovviamente, però, un Gesù che le ha
fatte sue e le sta preparando, le sta avviando verso la risurrezione.
Quindi, primo punto: una lettura estremamente positiva. Non però
semplicistica: questa è la mistica di Gesù abbandonato, che entra come
chiave ermeneutica, come modo di fare cultura.
Ed ecco il secondo e ultimo punto di fondamentale importanza. Prima
dicevo che Chiara è sempre positiva. Sì, perché per Chiara cosa vuol dire
fare cultura? Vuol dire muoversi all’interno della realtà del Risorto. Ultima-
mente nella Scuola Abbà parlavamo della cultura della risurrezione. Per
quanto io conosco la letteratura e la cultura cristiana a tutti i livelli, dalla
teologia all’arte, la risurrezione era una realtà proiettata, diciamo, all’oriz-
zonte ma che aveva poco a che fare con noi. L’uomo di oggi era più che
altro il viatore, coinvolto nelle sofferenze. Chiara dice un’altra cosa: se noi
crediamo sul serio a quello che Gesù ha fatto e viviamo sul serio il patto di
unità che è stato realizzato da Chiara con Foco, e che Chiara ci invita a fare,
quando ci si trova insieme, il concetto di viatore, cioè di uno in cammino,
cambia. Sì, siamo in cammino, però Chiara spiega: non come colui che sale,
ma come uno che già è in alto e cammina sul crinale di una montagna. Cioè
non salire per arrivare al Paradiso, ma camminare per viaggiare in Paradi-
so, il quale ti va scoprendo tutte le sue ricchezze.
Guardate, questa non è una differenza di poco conto: perché diverso è
se io mi piazzo davanti alla verità tutta intera come una meta che mi sta da-
vanti e io cammino cercando di arrivarci, sperando di arrivarci. No, Chiara
ci dice che Gesù è risorto, ci ha trascinati nella sua risurrezione. Come dice

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Paolo: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù dove Cristo siede
alla destra di Dio»7. Cercate le cose di lassù. «Ecco io faccio nuove tutte le
cose»8, si legge in Giovanni. Non è tanto muoversi in quella direzione: noi
con lui siamo già lì dove lui è! Allora si tratta, e lo si può descrivere con
un’analogia, di un gioco di specchi, di rifrazione. Se voi vi mettete di fronte
a uno specchio e avete uno specchio alle spalle, voi vedete la vostra imma-
gine riflessa in maniera quasi infinita. Ecco, lì avviene così. C’è questo gioco
di specchi che dovreste vivere fra di voi in questi giorni, che rende accessi-
bile la luce di Dio, la apre in tutta la ricchezza, l’infinita ricchezza. «Il Padre
dice Amore in infiniti toni», scrive Chiara nel Paradiso ’49. Ecco, gli infiniti
toni siete ognuno di voi, cioè ognuno di voi è una tonalità dell’unica parola
“Amore” detta da Dio, che Gesù in mezzo ricompone in uno, però senza
che venga persa la specificità di ogni tonalità. Ognuno è un tono diverso:
lei9 dice “Dio Amore” in una maniera diversissima da me e sarà così anche
in Paradiso, e lì si riflette tutta l’infinita ricchezza di Dio.
Allora, in conclusione, possiamo chiederci che cosa fa Dio con questo
carisma? Con Chiara, col suo carisma, Dio ci invita a vivere dove in realtà
siamo: nel seno del Padre, in lui. Questa è certamente una dichiarazione
di fede che noi facciamo ma, se c’è Gesù in mezzo, diventa reale, tangibi-
le, sperimentabile senza bisogno di accedere alle estasi, o ad altre cose di
questo genere; perché Gesù in mezzo rende toccabile per l’intelligenza e
per la mano la realtà profonda della fede cristiana.
Allora voi, dove dovete costruire la matematica? Dove trovare questa
fontana che dovrebbe inondare il campo della matematica e quello che
con la matematica ha a che fare? In Dio, voi dovete essere lì. Ma non solo
facendo un atto di fede, dicendo: «Io ci credo». No. Perché, se resto solo,
come ve lo dicevo prima, non è possibile, perché c’è sproporzione fra me
e Dio. Ma nell’unità, essendo ciascuno membro di Cristo come il tralcio
con la vite, e quindi ognuno avendo nei confronti della mia umanità il ruolo
di mediazione che ha l’umanità del Cristo che vive in lui, questo mi rende
accessibile questa realtà, me la fa vivere, me la fa sentire.
Allora, se è possibile sentire l’unione con Dio, io dico che è possibile
sperimentare, pensare e sentire la matematica nuova, cioè quel tipo di ma-
tematica che voi dovete cavare fuori dalla mente di Gesù.

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alla fonte del carisma dell’unità
Cultura e culture nella mistica di Chiara Lubich

Certamente, Chiara batte sempre sull’importanza di ciò che lei chiama


“lo zoccolo”, ricordandoci che non è che noi inventiamo le cose, ci sono
migliaia di anni di studio e di conoscenza alle nostre spalle. Chiara chiama
“lo zoccolo” questa realtà che la cultura ha veicolato. Bisogna assumere
tutta questa realtà, illuminarla e condurla. Dove? È realtà umana, e l’umano
dove si trova? Si trova nel seno del Padre, in Cristo alla destra di Dio, di Dio
Padre! Quindi fare matematica lì.
Allora che cosa vi auguro io personalmente? Che voi riusciate ad avere
un tale presenza di Gesù in mezzo, così forte dichiarandovelo, dicendovelo
e pagando quello che bisogna pagare per avere Gesù in mezzo – perché
non è una cosa gratuita, bisogna ricordare questo10 –, ma avere una tale
presenza di Gesù in mezzo che vi fa sentire di essere veramente là dove Dio
vi ha portati e vi porta. E lì poi, siccome siete matematici, la parola “Amore”
che Dio dice in voi deve diventare matematica. In un altro può diventare
filosofia, poesia... in voi deve diventare matematica. Ma è la parola di Dio,
non so se è chiaro!

1
Antonio Rosmini-Serbati (1797-1855), uno dei maggiori filosofi dell’Ottocen-
to europeo, fondatore dell’Istituto della Carità e protagonista della vita religiosa e
civile del suo tempo, soprattutto negli anni del Risorgimento italiano.
2
Pio IX nel 1848.
3
Si riferisce al patto di unità, fondato sull’Eucaristia, sigillato fra Chiara Lubich
e Igino Giordani (Foco), che ha dato inizio a un’esperienza mistica “a gruppo”, durata
vari mesi, denominata dalla stessa Lubich “Paradiso ’49”. Questa esperienza è nar-
rata in una raccolta di testi inediti chiamata con lo stesso nome. Cf. AA.VV., Il Patto
del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich. Percorsi interdisciplinari, Città Nuova, Roma
2012; cf. anche C. Lubich, Il Patto, in «Nuova Umanità», 204 (2012/6); C. Lubich,
“Paradiso ’49”, in «Nuova Umanità», 177 (2008/3); Focus. Il Paradiso ’49: protagonisti
e interpreti, in «Nuova Umanità», 234 (2019/2).
4
Cf. nota precedente.
5
L’espressione “Gesù in mezzo” fa riferimento alla presenza reale del Risorto
fra i cristiani: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro»
(Mt 18, 20). Cf. C. Lubich, Gesù in mezzo, a cura di J.M. Povilus e D. Falmi, Città Nuova,
Roma 2019.

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giuseppe maria zanghí

6
Cf. Mc 15, 33-37. L’espressione “Gesù abbandonato” si riferisce al momento
in cui Gesù, nel culmine della passione, sperimentando l’abbandono del Padre, ha
redento ogni realtà umana, anche le più lontane da Dio, identificandosi con esse. Cf.
C. Lubich, Il grido, Città Nuova, Roma 2000.
7
Col 3, 1.
8
Ap 21, 5.
9
Zanghí si riferisce a una delle persone presenti in sala durante la conversazione.
10
Le parole del Vangelo, «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in
mezzo a loro» (Mt 18, 20), sono più volte commentate da Chiara Lubich con quelle
che rappresentano il comandamento nuovo: «Amatevi come io vi ho amato» (cf.
Gv 15, 34). Questo amore totale e gratuito, al modo di Dio, è il “prezzo” a cui si fa
riferimento.

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dallo scaffale di città nuova

Restare umani
sette sfide per non rimanere
schiacciati dalla tecnologia
di Marco Scicchitano, Giuliano Guzzo

Gli Autori affrontano nel volume uno dei temi centrali della
nostra epoca chiedendosi, a fronte dell’avanzare della tec-
nica e dei mutamenti sociali connessi, cosa vogliamo che
resti dell’umano. Attraverso l’analisi di questioni come la
differenza tra maschile e femminile, la sessualità, l’aborto
e la selezione genetica, il consumismo, Scicchitano e Guzzo
cercano di individuare quei momenti del nascere, del vivere
e del morire che, oggi, rischiano di trascinare l’essere umano
verso ciò che umano non è.
isbn
9788831175357
pagine
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alla fonte del carisma dell’unità

Discorso inaugurale della


Summer School Sophia
Per una cultura dell’unità1

Chiara
Lubich Carissimi gen2, eccoci arrivati al giorno in cui da tut-
to il “mondo gen” – e non solo – si guarda qui a Montet,
(1920-2008) dove inauguriamo il primo anno di quella “università”
fondatrice
che ci è sembrato il Signore volesse. È essa un’ulterio-
del movimento
dei focolari re espressione concreta dell’aspetto del nostro Movi-
e delle numerose mento intitolato: “Sapienza e studio”.
altre opere che Ma perché, fra le diciotto diramazioni dell’Opera di
alla sua iniziativa Maria, siete presenti proprio voi gen?
si riconducono
Senz’altro per la vostra età adatta allo studio. Ma
(compresa
la rivista anche perché, per un imperscrutabile disegno della
nuova umanità). provvidenza di Dio, che segue e indirizza anche i nostri
è universalmente piccoli passi, voi – dopo i focolarini, naturalmente – sie-
riconosciuta te stati messi al corrente delle prime pagine di quel Pa-
come importante
radiso ’493 che è la fonte, che è all’origine di quello che
testimone
dell’unità fra deve essere il nostro modo di vedere, di conoscere – per
i popoli, le culture quanto è possibile – creato e Increato.
e le religioni. Il motivo di questo privilegio non era dipeso – lo sa-
pete – dai vostri meriti particolari e non aveva avuto lo
scopo di darvi un godimento spirituale speciale, por-
tandovi alla contemplazione di cose belle. Aveva un al-
tro perché, per potervi spiegare il quale, devo rinnovare
in voi lo stupore di quelle pagine, il ricordo di quell’av-
venimento, sempre presente e attuale.
Ecco perché vi leggo anzitutto almeno le righe fon-
damentali che caratterizzano quell’evento.

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alla fonte del carisma dell’unità
Discorso inaugurale della Summer School Sophia

Siamo nel 1949 e io scrivo: «Erano passati cinque anni dall’inizio del
nostro Movimento e avevamo già compreso e fatti nostri alcuni capisaldi
della sua spiritualità, come Dio Amore, la volontà di Dio, veder Gesù nel
fratello, il comandamento nuovo, Gesù Abbandonato, Gesù in mezzo e l’u-
nità... Ora, da qualche tempo, eravamo concentrati sulla Parola di vita, che
vivevamo con una particolarissima intensità. Non c’erano grandi strutture
del Movimento allora, né erano sorte opere, per cui tutto il nostro impegno
consisteva nel vivere il Vangelo. La Parola di Dio entrava profondamente in
noi tanto da cambiare la nostra mentalità. La stessa cosa avveniva anche
per quanti avevano un qualche contatto con noi.
Questa nuova mentalità, che si andava formando, si manifestava come
una vera contestazione divina al modo di pensare, di volere e di agire del
mondo. E in noi provocava una rievangelizzazione.
A quanto ricordo, l’ultima Parola che avevamo vissuto in quel periodo
era stata “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E Gesù Abban-
donato ci era apparso come la Parola per eccellenza, la Parola tutta spiega-
ta, la Parola aperta completamente. Bastava, dunque, vivere Lui. Cosicché
tutto era andato semplificandosi. Vivere Lui significava vivere il nulla di noi
per essere tutti per Dio (nella sua volontà) e negli altri.
Eravamo immersi in questi pensieri e in queste esperienze, quando si
decise di allontanarci un po’ dal Movimento e di andare in montagna per
riposare.
Arrivate, noi focolarine, lassù, un altro fenomeno s’aggiungeva: io av-
vertii che non era tutto fiamma solo dentro di me», per le Parole scoperte
tutte come amore, «ma, in certo modo, anche fuori di me. Avevo l’im-
pressione di percepire, forse per una grazia speciale di Dio, la presenza
di Dio sotto le cose. Per cui, se i pini erano indorati dal sole, se i ruscelli
cadevano nelle loro cascatelle luccicando, se le margherite e gli altri fiori
e il cielo erano in festa per l’estate, più forte era la visione di un sole che
stava sotto a tutto il creato. Vedevo, in certo modo, credo, Dio che sostie-
ne, che regge le cose.
E Dio sotto le cose faceva sì che esse non fossero così come noi le ve-
diamo; erano tutte collegate fra loro dall’amore, tutte – per così dire – l’una
dell’altra innamorate. Per cui se il ruscello finiva nel lago, era per amore.

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chiara lubich

Se un pino s’ergeva accanto ad un altro pino, era per amore. E la visione di


Dio sotto le cose, che dava unità al creato, era più forte delle cose stesse;
l’unità del tutto era più forte che la distinzione delle cose fra loro.
Vivevamo questa esperienza quando venne in montagna Foco4. Foco, in-
namorato di santa Caterina, aveva cercato sempre nella sua vita una vergine
da poter seguire. Ed ora aveva l’impressione d’averla trovata fra noi. Per cui
un giorno mi fece una proposta: farmi il voto d’obbedienza», come facevano
i seguaci di santa Caterina da Siena a Caterina, «pensando che, così facendo
avrebbe obbedito a Dio. Aggiunse anche che, in tal modo, potevamo farci
santi come san Francesco di Sales e santa Giovanna di Chantal.
Io non capii in quel momento né il perché dell’obbedienza, né questa
unità a due. Allora non c’era l’Opera e fra noi non si parlava […] di voti»,
voto d’obbedienza, ecc. «L’unità a due poi non la condividevo perché mi
sentivo chiamata a vivere “che tutti”», tutti, «“siano uno”. Nello stesso tem-
po però mi sembrava che Foco fosse sotto l’azione d’una grazia» speciale
«che non doveva andar perduta. Allora gli dissi pressappoco così: “Può es-
sere veramente che quanto tu senti sia da Dio. Perciò dobbiamo prenderlo
in considerazione. Io però non sento quest’unità a due perché tutti devono
essere uno”. E aggiunsi: “Tu conosci la mia vita: io sono niente”. Perché vi-
vevo Gesù Abbandonato. “Voglio vivere, infatti, come Gesù Abbandonato
che si è completamente annullato. Anche tu sei niente perché vivi nella
stessa maniera. Ebbene, domani andremo in chiesa e a Gesù Eucaristia che
verrà nel mio cuore, come in un calice vuoto” – perché ero niente – “io dirò:
‘Sul nulla di me patteggia tu unità con Gesù Eucaristia nel cuore di Foco. E
fa’ in modo, Gesù, che venga fuori quel legame fra noi che tu sai’”. Poi ho
aggiunto: “E tu, Foco, fa’ altrettanto”.
L’abbiamo fatto e siamo usciti di chiesa. Foco doveva entrare dalla sa-
crestia per fare una conferenza ai frati. Io mi sono sentita spinta a ritornare
in chiesa. Entro e vado davanti al tabernacolo. E lì sto per pregare Gesù
Eucaristia, per dirGli: “Gesù”. Ma non posso. Quel Gesù, infatti, che stava
nel tabernacolo, era anche qui in me, ero anch’io, ero io, immedesimata con
Lui. Non potevo quindi chiamare me stessa. E lì ho avvertito uscire dalla
mia bocca spontaneamente la parola: “Padre”. E in quel momento mi sono
trovata in seno al Padre.

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Discorso inaugurale della Summer School Sophia

Ero, dunque, entrata nel seno del Padre, che appariva agli occhi dell’ani-
ma (ma è come l’avessi visto con gli occhi fisici) come una voragine immen-
sa, cosmica. Ed era tutto oro e fiamme sopra, sotto, a destra e a sinistra.
Fuori di noi era rimasto il creato. Noi eravamo entrati nell’Increato.
Non distinguevo ciò che c’era nel Paradiso ma ciò non mi turbava. Era
infinito, ma mi trovavo a casa. Mi è parso di capire che chi m’aveva messo
sulla bocca la parola: “Padre” – avevo invocato il Padre invece di Gesù, es-
sendo un altro Gesù – era stato lo Spirito Santo. E che Gesù Eucaristia ave-
va operato veramente come vincolo d’unità fra me e Foco perché sui nostri
due nulla non era rimasto che Gesù Eucaristia», Gesù quindi.
«Foco intanto era uscito dal convento ed io l’ho invitato a sedersi con
me su una panchina presso un torrente. E lì gli ho detto: “Sai dove siamo?”.
E gli ho spiegato ciò che mi era accaduto.
Poi sono andata a casa dove ho trovato le focolarine, che tanto amavo,
e mi sono sentita spinta a metterle al corrente di ogni cosa. Le ho, quindi,
invitate a venir con noi in chiesa il giorno dopo e a pregar Gesù, che en-
trava nel loro cuore, a far lo stesso patto con Gesù che entrava nel nostro.
Così hanno fatto. In seguito io ho avuto l’impressione di vedere nel seno
del Padre un piccolo drappello: eravamo noi. Ho comunicato questo alle
focolarine le quali mi facevano una così grande unità da aver l’impressione
di veder anch’esse ogni cosa».
Oggi, in quel drappello, dovete entrare ed essere presenti pure tutti voi!

E veniamo alla Scuola.


La Scuola che sta per iniziare ha un compito: insegnarvi la Sapienza.
Ma cos’è la Sapienza?
Ecco un bellissimo brano che lo spiega tanto bene, secondo me, e che
noi, di tempo in tempo, rileggiamo. Delinea in poche parole anche il compi-
to della Scuola. Comincia così:
Per il dono della Sapienza l’anima è messa a contatto delle realtà
eterne […]. Essa scruta la profondità di Dio e ne scorge la fulgi-
da bellezza. Vede ciò che non sa ridire e beve a quella sorgente
inesauribile, senza essere mai sazia, con un desiderio sempre più
vivo – come di cerva giunta alla sorgente – […].

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Ma, scoperto e quasi assaporato Dio, con quella luce negli occhi
può ora guardare il mondo, e vederci bene […] tutto giudicando
secondo ragioni divine, quasi proiettando – ecco il compito della
Scuola – su tutto la luce dell’infinito sguardo di Dio.
Nella mente del sapiente cristiano viene quasi ricostruito l’ordine
ideale che è nella Mente di Dio. Lo svolgersi delle ère e delle età,
il succedersi e il concatenarsi degli avvenimenti, il fluire della sto-
ria... il fluire delle cose, l’avanzare della storia, lo svilupparsi della
propria vita, tutto è visto nel suo rapporto di dipendenza e conver-
genza a un divino disegno […] con la stessa “sintesi mentale” di
Dio, che vede ogni cosa nel Verbo e ogni cosa ama nello Spirito, e
tutto conosce amando e tutto ama nell’atto stesso della sua con-
templazione infinita5.

Ma come acquistare la Sapienza?


La Sapienza si può ottenere domandandola a Dio; oppure amando Dio
e il prossimo; e ancora amando Gesù Abbandonato; e infine ponendo Gesù
in mezzo a noi.
Noi la domandiamo sempre, ad esempio, quando dobbiamo parlare in
pubblico, con uno o più consenserint – così come noi li chiamiamo – ispirati
alla preghiera insegnataci da Gesù: «Se due di voi sopra la terra si accor-
deranno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la
concederà» (Mt 18, 19).
La otteniamo anche amando Dio e il prossimo. È sempre stata, da quasi
sessant’anni, la nostra convinzione ed esperienza che l’amare gli altri por-
ta luce. «Chi mi ama – dice Gesù – sarà amato dal Padre mio e anch’io lo
amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14, 21). Ecco la luce.
La si ha, la Sapienza, anche amando Gesù crocifisso e abbandonato.
Nel capitolo VI degli Statuti dell’Opera di Maria è scritto: «Le persone che
fanno parte dell’Opera cercheranno di possedere anzitutto la vera sapien-
za cristiana. “Nulla infatti Dio ama se non chi vive con la Sapienza” (Sap 7,
28). Per questo, abbracciando con Cristo la sua croce e l’abbandono, cer-
cheranno di fare splendere nel proprio cuore il Risorto, che irradia i doni
dello Spirito» (art. 58).

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alla fonte del carisma dell’unità
Discorso inaugurale della Summer School Sophia

Un ultimo modo d’avere la Sapienza è quello di porre Gesù in mezzo a noi.


Leggiamo nello Statuto: le persone «cercheranno inoltre di esse-
re unite fra loro affinché Cristo, presente nell’amore reciproco, possa
elargire anche in mezzo a loro i doni dello Spirito» (art. 58), fra cui la
Sapienza.
In questa Scuola sarà soprattutto questo il modo d’ottenere la Sapien-
za: con Gesù in mezzo a voi. E se imparerete altre materie, come la filosofia,
la teologia, l’economia, la scienza, la medicina, la politica, ecc., esse non
potranno non essere intrise di Sapienza.
Questa Scuola, come tutte le scuole, si svolge in un’aula. Ma quale può
essere l’aula vera, l’aula ideale per una scuola di questo genere? Io non
ho dubbi: l’aula garante la Sapienza che vogliamo è solo il seno del Padre
celeste nel quale dobbiamo essere degni d’entrare e stabilirvici. Il carisma
che ci è dato lo permette.
E anche quando si esce da questa stanza di mura, non si dovrà mai usci-
re da quell’aula, pena, penso, il fallimento di questa Scuola. Perché, qualora
si uscisse, occorrerà presto ritornarvi.
Questa Scuola avrà poi un solo maestro: Gesù in mezzo a tutti voi, fra
voi, fra i professori, fra i professori e voi. Ma se il Maestro sarà Gesù fra tut-
ti, fra tutti, le lezioni non saranno fatte unicamente dai professori. Essi cer-
tamente le proporranno, ma anche voi avrete la vostra parte. Consisterà in
domande che la presenza di Gesù in mezzo a noi vi susciterà e consisterà
anche in specifici vostri contributi.
Voi direte: «Come mai, Chiara, abbiamo delle domande che lo Spiri-
to suggerisce?». Certo. Io ho fatto quest’esperienza nella vita. Certe do-
mande che faccio io stessa hanno come scopo di avere una certa rispo-
sta. Cioè lo Spirito Santo vuol dirci una cosa, allora suscita una domanda.
Per esempio, una volta, io sono entrata in chiesa e col cuore ho detto a
Gesù Eucaristia: «Ma perché hai voluto restare tu su tutti i punti della
terra, nella dolce Eucaristia, mentre non hai trovato un modo per farvi
rimanere tua Madre? Noi ne avremmo bisogno in questa vita». E dal ta-
bernacolo sembrava mi rispondesse: «Non l’ho lasciata perché la voglio
vedere in te, in voi. Apri le tue braccia e abbraccia l’umanità al posto di
Maria. Canta le litanie e cerca di specchiarti in esse».

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Dopo tempo ho capito che quella domanda non era una domanda di
curiosità da parte mia, ma lo Spirito mi aveva spinto a entrare in chiesa, a
fare quella domanda per avere quella risposta. E la risposta cos’è stata?
Che tutti noi dobbiamo essere un’altra piccola Maria su questa terra.
Anche però i vostri contributi [sarete chiamati a dare], non solo do-
mande. Poiché voi siete, in genere, universitari, dediti ad approfondire di-
verse materie, potrà essere che la parola del professore, per la presenza
di Gesù fra tutti, illumini in voi qualche particolare della scienza cui siete
dediti, che sarà utile mettere in comunione: «Professore, ho capito, per
esempio, quella cosa riguardante…». Lo dite. Ecco il contributo vostro,
insieme alle domande.
Vi troverete perciò ad essere, come Gesù vuole, uguali fra tutti, fratelli,
in rapporto trinitario, mediante l’amore reciproco fra professori e studenti,
anche se i primi – i professori –, saranno in questa Trinità che componiamo,
a mo’ del Padre e voi del Figlio. Dovrete, dunque, lasciarvi “generare” da
loro, ma anche rispondere col vostro amore.
Per entrare in quest’aula occorreranno delle condizioni indispensabili.
Lo suggerisce il Paradiso ’49. Anzitutto indossare la divisa della Scuola: è la
Parola, vivere la Parola, lasciarsi vivere dalla Parola, diversa ogni giorno – vi
sarà detta –, di cui dovrete comunicarvi le esperienze. Solo la Parola ha ac-
cesso in Paradiso, solo la Parola ha accesso nel seno del Padre. Quando noi
andremo nell’altra vita e grazie a Dio entreremo nel seno del Padre, di noi
entrerà quella Parola che Dio ha pronunciato quando ci ha creato, rivestita
della nostra umanità. Ma lassù vive solo la Parola, vive solo il Verbo in noi.
Questo vivere la Parola, che è l’unico modo di avere accesso in Paradi-
so, nel seno del Padre, è il vostro contributo personale.
Ma c’è anche un contributo comunitario, collettivo. Vivere Gesù Ab-
bandonato, il niente, come condizione per attuare l’amore reciproco fra
voi, fra voi e i professori, sarà il vostro contributo comunitario. Perché?
Perché, per amarvi veramente con i professori, dovrete essere “vuoto”
per accogliere tutto dentro di voi. Perfettamente dovrete accogliere
quanto viene detto e per poter dare le vostre domande e i vostri piccoli
contributi, piccoli o grandi, contributi che sono tutti dello Spirito Santo,
per poter darli dovrete “svuotarvi” e dare. Non aver paura, non essere

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Discorso inaugurale della Summer School Sophia

timidi, non dire: «Magari quest’idea non è giusta». Bisogna avere il corag-
gio, farlo. Poi si capirà da Gesù in mezzo se siamo stati stonati o intonati.
Quindi, amare Gesù Abbandonato, facendo il vuoto per accogliere
quello che i professori dicono, amare Gesù Abbandonato per svuotare
quello che abbiamo dentro per donarlo agli altri, è il vostro modo di amare
collettivo insieme ai professori.
Ultranecessario poi sarà per la Scuola nutrirsi dell’Eucaristia. L’Eucari-
stia, infatti, non è – attenti! – che porti soltanto frutti belli, buoni, di santità,
d’amore; non è nemmeno solamente che abbia come scopo di aumentare
l’unione con Dio e fra noi. Certamente anche questo. Ma l’Eucaristia ha
come fine: farci Dio, per partecipazione. Poiché, per essa, le carni del Cristo
vivificate dallo Spirito e vivificanti si mescolano con le nostre carni, e giac-
ché è così l’Eucaristia ci divinizza nell’anima e nel corpo.
Ma Dio, anche Dio partecipato – come saremmo noi –, non può stare
che in Dio. Ecco perché l’Eucaristia pone l’uomo, che se ne è cibato de-
gnamente, nel seno del Padre; colloca l’uomo nella Trinità, in Gesù. Nello
stesso tempo l’Eucaristia non fa questo soltanto di un uomo, ma di molti,
i quali, essendo tutti Dio, sono uno. Sono Dio ciascuno e Dio tutti insieme.
Queste le condizioni che esige essere e rimanere in quest’aula.
Infine sarà essenziale per tutti, professori e voi studenti, formulare pri-
ma delle lezioni, ogni mattina, il cosiddetto “patto d’unità”, con la recita del
quale concludiamo questa nostra introduzione:

Gesù, che vivi nella SS. Eucaristia, noi singolarmente e tutti insie-
me ti promettiamo anzitutto d’essere fra noi la realizzazione del
tuo comandamento nuovo: d’amarci cioè come Tu ci hai amato fino
all’abbandono del Padre.
Affinché poi si attualizzi la realtà di un’Anima sola, ti preghiamo
di patteggiare Tu stesso unità sul nulla d’amore dei nostri singoli
cuori, fondendoci in tal modo in uno.
E donaci così, per il continuo amore reciproco e per il quotidiano
nutrimento di Te, la grazia che Tu stesso nasca e rinasca fra noi ed
in noi, in modo che non più noi viviamo, ma Tu in noi. Amen.

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chiara lubich

1
Discorso tenuto a Montet (Svizzera), il 15 agosto 2001, pubblicato in «Sophia»,
I (2008/0), pp. 12-18, e successivamente pubblicato con il titolo Una Scuola di Sa-
pienza. Discorso inaugurale di Chiara Lubich, in La Fonte e le frontiere. Sophia compie 10
anni, a cura di L. Bigliardi Parlapiano, Città Nuova, Roma 2018, pp. 109-123.
2
Gen, abbreviazione di Generazione nuova, è il nome che designa i giovani e le
giovani appartenenti al Movimento dei Focolari.
3
L’espressione si riferisce a quel periodo di intensa luce mistica in cui Chiara,
nell’estate del 1949, per una grazia speciale è stata introdotta a una particolare par-
tecipazione di vita e di intelligenza di Dio Trinità, in cui insieme le è stato dischiuso,
nella sua radice divina, l’Opera che doveva generare da Dio come dono alla Chiesa
e al mondo, l’Opera di Maria (Movimento dei Focolari). A testimonianza di quell’e-
vento sono rimasti degli appunti redatti da Chiara. Del Paradiso ’49, Chiara stessa ha
scritto quanto ella ricordava, a Oberiberg (Svizzera), il 30 giugno 1961, pubblicato
in «Nuova Umanità», 177 (2008/3), pp. 285-296 (cf. l’editoriale di G.M. Zanghí,
Questo numero, ivi, pp. 281-283). Su questo tema, cf. la raccolta di saggi a cura della
Scuola Abbà, Il Patto del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich. Percorsi interdisciplinari,
Città Nuova, Roma 2012; cf. anche Focus. Il Paradiso ’49: protagonisti e interpreti, in
«Nuova Umanità», 234 (2019/2).
4
Con questo “nome nuovo” è conosciuto nel Movimento dei Focolari Igino
Giordani (1894-1980), scrittore e uomo politico, esperto dei Padri della Chiesa e
della storia del cristianesimo, agiografo, ecumenista e profondo conoscitore del
pensiero sociale cristiano. Chiara Lubich lo considera confondatore del Movimento.
5
R. Spiazzi, Lo Spirito Santo nella vita cristiana, Città Nuova, Roma 1964, p. 229.

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dallo scaffale di città nuova

Noi e gli altri


tredici ragazzi raccontano i migranti
a cura di Carlo Albarello, Assunta Di Febo

Come vivono i ragazzi di oggi il fenomeno


dell’immigrazione? Come lo raccontano?
Storie che sorprendono, commuovono,
fanno riflettere.

«È da un po’ di tempo ormai che si sta stretti sul nostro pia-


neta e la situazione è diventata abbastanza precaria: ci sono
persone che viaggiano fino a noi da pianeti lontani, solcan-
do i mari della galassia su pesanti piattaforme di metallo, per
scappare da luoghi che si sgretolano sempre di più, di giorno
in giorno»: i racconti di tredici studenti delle scuole superiori
isbn italiane, selezionati attraverso il concorso letterario Scriviamo-
9788831175418 ci 2018, organizzato dal Cepell (Centro per il libro e la lettura
del Ministero per i beni e le attività culturali), e attraverso l’At-
pagine lante digitale del ’900 letterario (un archivio della letteratura
96 più o meno nota del secolo appena trascorso). L’argomento al
centro della raccolta è il fenomeno delle migrazioni: i migran-
prezzo ti che abbandonano il loro Paese, spinti dalla guerra e dalla
euro 12,00 fame, e che partono in cerca di un futuro migliore. La forma è
il racconto, declinato in brevi storie di fantascienza, biografie
immaginarie, narrazioni dal sapore distopico.

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alla fonte del carisma dell’unità

Storia di Light. 19
L’Opera cresceva ogni giorno…

verso la sentenza

Igino Nel 1960 si ebbe l’impressione, fondata su relazio-


Giordani ni fidate, che si stesse per decidere definitivamente
sull’Opera nostra.
(1894-1980) Nel 1958 era morto Pio XII e l’ultima sua benedizio-
confondatore ne era stata “per Chiara e l’Opera”. Morì qualche giorno
del movimento dopo prima del riconoscimento della nostra Opera da
dei focolari. lui voluto.
scrittore,
giornalista e
Venne Papa Roncalli, il Pastore dell’unità e della ca-
parlamentare rità. Era fatto per noi. Sua sorella l’estate 1959 fu no-
della repubblica stra ospite nella Mariapoli, ospitata nella casa stessa di
italiana. Chiara fra Fiera e Tonadico. Però le fu vietato di tornare
tra noi. E così i timori risorsero.
I primi di maggio 1960 la stampa diede notizia di
una disposizione della CEI che proibiva ai sacerdoti del
clero regolare e secolare, nonché alle suore, di apparte-
nere al Movimento dei Focolari e di partecipare ai loro
raduni. La stampa vi aggiunse notizie cervellotiche di
varia provenienza.
Fu sospesa con quel divieto la Lega1, che doveva
essere poi riconosciuta nel 1963, con angoscia di molti
religiosi e religiose e di molti preti secolari, i quali trae-
vano dal Focolare una energia nuova e rinnovatrice. La
nostra Maestra e madre, soffrendone in silenzio, esortò
a vedervi una manifestazione di Gesù Abbandonato.

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alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 19

Nel novembre 1960 fu demandato alla CEI, presieduta dal cardinal Siri, l’in-
carico di decidere della vita e della morte dell’Opera di Maria.
Su invito di Chiara, io scrissi questa lettera al cardinal Montini, allora
arcivescovo di Milano, in data 12 novembre 1960.

Personale
A S.E. Rev.ma
Il Card. G.B. Montini
Arcivescovo di Milano

Eminenza Rev.ma
Ella ben sa quanta profonda stima io abbia sempre nutrita per le
Sue doti di apostolato, servitore instancabile della Chiesa; stima
che gli eventi hanno aumentata.
Perciò, per un caso che riguarda solo il bene della Chiesa – il caso
dei Focolarini – mi rivolgo ancora, con fiducia sicura, all’Eccellenza
vostra, sapendo che Ella vuole solo la verità. Sinora il nostro ba-
luardo era S.E. Rev.ma il Vescovo di Trento, il quale, avendoci spe-
rimentati, ci aveva amati e sorretti; ora egli è malato. E io non so a
chi meglio dovrei rivolgermi che a una Guida illuminata quale l’E.V.
Rev.ma. Che solo l’amore della Chiesa mi muova, in questa ora tor-
mentata in cui essa fronteggia, spesso incompresa, una nuova, più
spaventosa, invasione di barbarie, si deduce anche dal fatto che
non mi aspetto davvero alcun beneficio umano dai focolarini.
Sta per prendersi una decisione sul loro conto, e noi preghiamo
il Signore che essa sia conforme agli interessi della fede, come ci
danno affidamento le alte autorità incaricate.
Quale agiografo so benissimo che segni inseparabili dalle opere di
Dio sono: l’essere calunniate (interesse di Satana), il dare buoni frut-
ti. Al Movimento dei Focolari non manca né l’una né l’altra nota.
Circa le calunnie, ancora si fa circolare un libello mendace venuto
dalla Sicilia, nel quale si riconoscono i tratti dell’accusator fratrum;
un disgraziato, che dopo averci superficialmente avvicinati, ci ha at-
tribuito pensieri e opere che non ci appartengono. I focolarini fanno
apostolato nel mondo e capita loro di avvicinare (convertire spes-
so) ex preti, ex monache, peccatori impenitenti, massoni, comuni-
sti, acattolici… Può accadere ad alcuni osservatori esterni, come ai

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igino giordani

farisei di san Paolo, di scandalizzarsi del contatto che i nostri giovani


hanno coi peccatori: come se il Signore fosse venuto per i giusti.
L’accusator surriferito ha un’attenuante: quella di essere così…
informato da chiamare me “Spirito Santo”. Qui evidentemente
siamo nella patologia. Quanto ai frutti, essi sono tali e tanti che
mi confermano nella opinione da me subito concepita che questo
Movimento fosse suscitato dallo Spirito Santo per fronteggiare,
con tecniche nuove d’apostolato, il male maggiore del secolo: la
formazione di un’Anti-Chiesa, fatta di gente, non solo avversa, ma
ignara e lontana, a cui i sacerdoti e i religiosi difficilmente posso-
no arrivare. Messi come fermento nella pasta sociale, i focolarini
convertono i nuovi pagani col metodo con cui convertono i vecchi,
quando dicevano dei cristiani: «Guarda come si amano…».
La gente ostile o ignorante o vinta dalla colpa si converte a vedere
la vita, a sentire l’amore di Cristo.
Si dirà che noi ci vantiamo. Ma ognuno di noi sa che per sé non vale
niente e la sua opera vale solo se lascia agire il Signore: è Lui che fa
tutto. La gioia sta nel vedere la grazia di Dio che opera.
Per sé i focolarini vogliono essere solamente e totalmente cristiani,
la cui dottrina e spiritualità è semplicemente la dottrina e la spiri-
tualità della Chiesa, ma sanno di essere carichi di difetti e di potersi
sbagliare: per questo dal loro sorgere non han fatto che supplicare
di potere avere una direzione ecclesiastica spirituale sicura: e tut-
tora questo chiedono. Non vogliono che obbedire al Santo Padre, ai
vescovi, al clero, alla Chiesa tutta quanta.
Abbiamo vissuto anni di dura prova; e certe volte ci pareva di esse-
re sotto una cappa di caligine, quasi semiscomunicati o mezzi ere-
tici. Da persone che non ci conoscevano venivano persino accuse
di protestantesimo, persino a me che su Fides per anni ho diretto la
più vivace polemica antiprotestante.
Ma si trattava di giudizi basati non sulla conoscenza diretta, ma
su referenze di estranei. Grazie a Dio, quando quei giudici ci avvi-
cinavano, sempre o quasi sempre, nel conoscerci, prendevano ad
amarci e confortarci.
Se altre imputazioni ci son mosse, noi preghiamo che si vogliano
esaminare direttamente, nei nostri focolari e nella nostra vita, stu-
diandoci e interrogandoci.

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alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 19

Sappiamo che i figli non assistiti, non corretti, non guidati, non
possono formarsi come la madre li vuole; e poiché i focolarini come
singoli e come famiglia vogliono formarsi quali la santa Chiesa Ma-
dre li vuole, aspettano da casa le norme e l’autorità, a cui possono
conformarsi.
Questi pensieri condivisi da tutta la famiglia dei focolarini – cen-
tinaia di giovani lietamente e totalmente donati alla Chiesa e solo
bramosi di servirla – rimetto alla paterna intelligente bontà dell’E.V.
Rev.ma in questa ora di attesa. Ci sono forze del male organizzate e
fuse nel mondo, perché non mobilitare e dirigere a difesa del bene
questa gioventù avida di santità? Essa, compatta, prega il Signore
che compensi V. E. coi doni più belli della sua divina Grazia; e le
chiede la santa benedizione.
Dev.mo Igino Giordani

Il cardinal Montini, il quale da sostituto in Vaticano aveva più di una


volta ascoltato Chiara ed Eli, ricevette una buona impressione da questa
lettera: difatti mi scrisse chiedendomi il permesso di leggerla nell’adunan-
za della CEI, permesso che mi affrettai a comunicargli a Roma, nel Collegio
Lombardo, dove alloggiava.
Il risultato fu positivo. Dalla Congregazione del Santo Offizio, la cosa
fu passata alla Sacra Congregazione del Concilio, dove monsignor Pietro
Palazzini, d’accordo con monsignor Pietro Parente, divenne nostro consi-
gliere e amico, oltre che superiore stimato.
E dopo anni di prove e pianti e fatiche, Chiara risultava sempre nuova e
sempre uguale, sempre popa, come prima e più di prima.
Il venerdì 19 maggio 1961 ebbe a pranzo Pawley e la consorte che rima-
sero presi dalla semplicità e arsi dall’ardore di fede di lei, che sempre parla
di Dio e della Chiesa come di persone di famiglia; amori costanti, esperiti,
vissuti. E il 22 a pranzo ebbe padre Meyer, incantato anche lui di quella
freschezza. E il 26 andò a Monaco di Baviera per incontrare 50 personalità
protestanti, che sentono la vivezza della Chiesa cattolica vedendo la fre-
schezza e purezza del Movimento suscitato da questa creatura: apertura
sul divino.

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igino giordani

Il 2 luglio 1961, nella nuova sede di piazza Tor Sanguigna dove era il Cen-
tro femminile, Chiara parlò del suo viaggio in Germania. Si assise su una
mensola per libreria e alla folta schiera di focolarine che pendevano dal suo
labbro, ha narrato con la sua vivacità l’incontro a Monaco il venerdì e il saba-
to precedente con circa 60 pastori protestanti e loro mogli. Tutti erano rima-
sti come sotto l’irruzione pentecostale dell’Amore: avevano visto il problema
dell’unità nella luce nuova della carità, e tutti volevano venire a Roma.
E intanto avevano pregato nella Chiesa cattolica e avevano parlato con
desiderio, pari alla riverenza, del papa e avevano esaltato la Madonna. E
tutto sotto il fascino di lei, che appariva madre della Chiesa.
In mezzo a quel fervore di opere la vita le apparve quale descrisse in
questa sorta di poesia, vergata il 20 luglio 1961:

Gioie e dolori
speranze,
sogni raggiunti.
Maturità di pensiero e di vita.
Solidità.
Senso del dovere
e richiamo d’amore dall’Alto
cui risponde prima che Dio chiami
la coerenza della nostra vita.
Fatiche.
Fiamme e conquiste.
Temporali.
Fiducia in Dio: notte dei sensi
Dio solo.
Su. Giù.
Piogge tempestose,
radici profonde.
Frutti, frutti, frutti.
Annebbiamento dell’anima:
Dio mio, Dio mio perché notte dello spirito
mi hai abbandonato?
Poi musica soave di Cielo,
lontana. fiamma d’amor vivo

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alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 19

Poi più vicina.


Rullo di tamburi:
vittoria!
Lunga la vita,
varia la strada,
vicina la meta. riassunto
Tutto,
ogni cosa,
sempre
ha
ha avuto
un solo destino
l’unione con Te2.

L’Opera sotto le sue mani cresceva ogni giorno. Suo compito era il com-
pito dell’Opera, che come Maria, per lei, si riempiva di Grazia.
Affidava talora la fiaccola a Chiaretto perché guardando l’Opera di Ma-
ria si vedesse il Verbo. E diceva: «Se 200 possono vivere così, come non
tutti? Gesù ha detto: “Farete cose più grandi delle mie”. Voglio dare una
gloria terribile a Lui, fare cose più grandi di Lui, testimonianza di chi vive
Cristo. Il comunismo è una bolla di sapone: il diavolo quando vede la luce
“taglia la corda”, ma bisogna avere il coraggio di restare Gesù per intimar-
gli [di andarsene]. Un terzo del mondo è conquistato a Cristo, dobbiamo
conquistare almeno altri due terzi. Io son sicura di riuscirci, perché è Lui».
È un caso di personalità riuscita, scrivevo nel marzo 1962, e di perso-
nalità come ne costruisce la religione; in questa l’Io è abolito; e nessuna
delle creature da me in tanti anni incontrate, ha schiantato, dominandola,
la propria umana identità. Ha fatto il vuoto in sé: ma lo ha colmato di Dio.
E Dio ha fatto della persona di lei la pienezza e l’armonia più sorprendenti,
assegnandole, proprio a lei che professa la spiritualità del perdersi nel fra-
tello, le caratteristiche più accentuate, inconfondibili.
E cioè una persona fatta tutt’uno col proprio Ideale. Lei vive del suo
Ideale, il suo Ideale la plasma. Non vi è altro in lei, ma vi è tutto, perché
il suo Ideale comprende Dio e l’umanità, il presente, il passato, il futuro,
Maria e la comunione dei santi, la Chiesa universale.

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Quando parla, ogni attimo, anche se canta, esso [il suo discorso] ger-
moglia, quasi si compone, armonioso, pezzo per pezzo, dalla sua anima,
che la fantasia e l’amore per Iddio illuminano: si collegano nomi ed eventi,
date e dati, e suscita da interstizi, da cenni, da indizi il suo mondo e tut-
to convoglia verso la sua costruzione, che è la costruzione di Cristo nelle
anime, nella società. E non vi è nulla di studiato, di artificiale, di difficile
in quella sua pianificazione ridente, quasi infantile, del suo mondo e delle
creature onde è abitato: no, con tutti i pensieri e le cure e le fatiche (e son
tante, perché ormai da mezzo mondo si rifanno a lei), resta infante, popa:
«Se non vi farete come questi piccoli…». È rimasta nell’infanzia; dove il la-
voro è un gioco, ma un gioco fatto per amore del Padre, coi materiali della
Madre: santità e bellezza della purità, arde di far sempre di più, cuore e
cervello sono come crateri che gittano fiamme sempre più veementi, inva-
dendo campi senza fine.
Si capisce santa Teresa di Lisieux quando affermati i “tre privilegi” della
sua vocazione (essere sposa di Cristo, essere carmelitana, essere madre di
anime) aggiungeva: «Tuttavia sento in me altre vocazioni. Mi sento la vo-
cazione di guerriero, di sacerdote, di apostolo, di dottore, di martire, infine
sento il bisogno di compiere per Te, Gesù, tutte le azioni più eroiche… Ah!
Malgrado la mia piccolezza, io vorrei illuminare le anime come i Profeti, i
Dottori, ho la vocazione di essere Apostolo…».
Così dibattuta ella trovò in san Paolo la chiave della sua vocazione:
l’amore. «Io sarò l’amore… così sarò tutto».
Miracolo di giovinezza – anzi di adolescenza, popa – che neanche gli
eventi dolorosi e le esperienze gravi di tanti anni ormai hanno solcato. Le
scrivono chilogrammi di lettere da tutto il mondo, le vengono dolori da tan-
te parti e nei punti sensibili, dona saggezza anche ai vecchi e ai sacerdoti, e
resta… popa. E ogni settimana sente il bisogno di cambiare stanza, cambia-
re la collocazione dei mobili, variare orari… mutamento, distacco da tutto;
sempre disponibile, sempre lanciata…
E poiché tutti i focolarini alla sera redigevano una sorta di bilancio di
meriti e di colpe – attivo e passivo – della giornata, riempiendo la casella
di certi “schemetti”, anche lei faceva, la sera, scrupolosamente il suo ren-
diconto. Solo che, accanto alla data ordinaria in crescita, ne poneva una

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Storia di Light. 19

a scalare: e cioè, comprendendo che avrebbe potuto vivere altri 2.000


giorni al massimo, ogni sera ne sottraeva uno, riducendo ogni giorno di
una unità la distanza di tempo che la separava dalla morte: dallo Sposo.
Si era accorta, già dal gennaio 1957, che ogni giornata ha la sua pena e
quindi la giornata può indicarsi con la pena particolare di quelle 24 ore,
pena che sopportava con gioia, avendo scelto per ideale Gesù Abbando-
nato. E soleva dire, rovesciando un detto corrente, che ogni spina aveva
la sua rosa: sì che ogni pena attendeva lo sbocciare di una consolazione,
secondo il metro del Signore.
In febbraio 1957 la spina fu l’attesa del Santo Offizio, da cui Chiaretto
d’un subito venne rimandato a Trento. La rosa, il giorno appresso (8 feb-
braio), fu la notizia che l’arcivescovo, avendo conosciuto l’Opera, ne era
rimasto ancora più ammirato.
Quanto più le anime – popi e pope, giovani e vecchi – avevano contatto
con lei, tanto più se ne distanziavano, pur mentre ne accettavano l’insegna-
mento e l’amavano e le facevano unità. Era un distanziarsi per la riverenza,
che cresceva di giorno in giorno in timore di Dio, sino a non osare più aprire
bocca in sua presenza. Ed era del resto la sua tattica; portare le anime a Dio
e respingerle da sé – quel sé che aveva agito da calamita dell’amor divino –
per rigettarle in Gesù Abbandonato, nella purezza assoluta, nella rinunzia
totale, nel dolore per amore.
In quell’accettazione era inclusa l’accettazione totale dell’Ideale di lei e
quindi l’unificazione con la sua anima: in Cristo crocifisso.
Il 9 giugno 1962, Chiara e un nugolo di pope erano alla stazione ad at-
tendere più di 40 personalità luterane, della Germania, legate le più in Bru-
derschaft. Le accompagnava un prete cattolico focolarino, don Gleich, oltre
alla dirigente del Movimento nella Germania occidentale, Bruna. C’erano,
ad attendere dallo stesso treno, la loro madre generale Antonietta Novello
(zia di un focolarino), non poche canossiane.
Esse rimasero stupite quando io presentai loro Chiara “la fondatrice”,
così semplice, così umile, così adolescente… E furono sbalordite dalla
vitalità piena e interiore di tutte quelle creature, specialmente quando
cominciarono a discendere i fratelli luterani: i quali furono lieti di essere

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ricevuti con quella cordialità da quell’assembramento di giovani che rap-


presentavano Maria.
C’erano lo Pfarrer Hess e lo Pfarrer Glede con le consorti. Per una
settimana convissero con i focolarini a Grotta [Grottaferrata, n.d.r], vi-
sitarono basiliche e chiese di Roma e altri monumenti, furono in udienza
pubblica del papa e resero visita al cardinal Bea. Il discorso che tenne
Chiara per un’ora e mezza, con passione e luce, ai protestanti a Grotta,
l’ultimo giorno, prese come tema la “Parola di vita”. Fece vedere come la
vita dei Focolari fosse zampillata dalla meditazione del Vangelo e dalla
sua quotidiana traduzione in atto. Tanti vincoli di unità agivano nella
Chiesa, ma che i separati non accettavano. Per esempio: l’Eucarestia,
il Papa, la Vergine Maria, la Gerarchia… Ma esisteva un comune dato,
che poteva accomunare alle sorgenti, i due gruppi: la Sacra Scrittura.
Per i protestanti essa è il centro della religione. Orbene protestanti e
cattolici non potrebbero – come è stato auspicato da qualcuno di quel-
li – avere la stessa Parola di vita, e cioè il motto scelto, mese per mese
dai focolarini e sforzarsi di tradurla in vita? Da questo amore sarebbe
sorta la manifestazione dell’unico Cristo (a chi mi ama mi manifesterò)
e Cristo è anche il Corpo Mistico spiegato nel tempo e nello spazio. La
sera del venerdì 15 ripartirono. Prima ci fu un congedo nel teatrino di
Grotta, dove alcuni di loro e alcuni dei nostri dissero le loro impressioni.
Il capo Hess parlò del Santo Padre con venerazione, disse della bellezza
della Chiesa di Roma, confessò che aveva imparato il segno della croce
e lo faceva più volte al giorno, accennò ai sacramenti, a Maria Madre di
Dio, a Gesù Abbandonato, si distese a parlare della croce, donde la sua
Bruderschaft prende il nome, ed esaltò l’amore dei focolarini. Sentendo-
lo mi domandavo che cosa ancora ci dividesse. Canti e abbracci.
Nel tornare a Roma, la sera, col gesuita padre Martegani, ex direttore
di Civiltà Cattolica, questi mi confessò l’ammirazione e la gioia per la carità
dei focolarini la quale ravvivava i rapporti tra fratelli separati spingendoli
all’unità, mentre egli (e io con lui) aveva sino ad ora fatta l’esperienza arida
della verità fredda, offerta senza frutti. Qui la verità era donata come frutto
della carità: illuminata quindi e infiammata.

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il terzo ramo3

Nella Regola approvata temporaneamente era soppresso il terzo ramo.


Questo angosciava i focolarini coniugati, deprimeva Foco, che paventava in
quella soppressione il più grande dei fallimenti della sua vita. Ed espresse
ancora la sua angoscia la domenica del 17 giugno 1962 a Chiara, in un radu-
no, con le maggiori focolarine, in una villetta a Grotta. Esse lo chiamarono
a Gesù Abbandonato; ma egli rispose che appunto Gesù aveva urlato il suo
dolore, non se lo era chiuso in seno. E aggiunse che le esortazioni fattegli di
sperare e aspettare erano poco valide per lui, al quale l’età non consentiva
di rimandare oltre. Allora la carità, come al solito, ispirò la Mamma: quasi
si fece sapienza sul suo labbro.
E disse di tornare alle origini, quando il Movimento tutto si era presen-
tato in tre rami, proponendo di chiedere che popi, pope e coniugati fossero
rispettivamente raccolti in tre istituti secolari distinti e pur uniti nei supe-
riori e nell’identità della Regola, oltre che nella collaborazione.
Qualcuno osservò che quel giorno era appunto festa della Santissima
Trinità: tre persone unite e pur distinte; eguali pur procedendo lo Spirito
Santo dal Padre e dal Figlio.
La carità suggerì a lei quel ripiego o quella iniziativa di portata enorme.
La domenica primo aprile 1962 Chiara parlò nel pomeriggio a un 300
uomini del mondo del lavoro: operai, impresari, dirigenti, ecc. a Grotta.
Parlò di Maria. Dopo un’ora uscendo essi avevano i più gli occhi rigati di
pianto e dicevano: «Non si potrebbe avere il testo per meditarlo?».
In realtà pareva aver superato se stessa in luce, calore, eleganza, sem-
plicità: un esposto anche stilisticamente sobrio, corretto, armonioso, senza
alcuna sovrabbondanza e ripensamento e cessione.
Parlava di Maria come chi la conosce e la contempla, dispiegandone la
bellezza ad una ad una con una chiarità che incantava: e tutte ne portarono
l’impressione che avesse esposto il programma e la natura e la vocazione
della nostra famiglia, fatta cosa di Maria: quasi tutta di Maria.
C’era la santità che vi si esprimeva e il genio che l’esprimeva o, come
direbbe lei di simili manifestazioni, c’era il dono della sapienza onde lo Spi-
rito Santo parlava della Sposa. Si vide che ragion d’essere del Movimento

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e, in gran parte, ragion d’essere del rinnovamento della società è Maria,


amica, sorella, madre e socialmente regina e condottiera. La presenza di
Lei evocata dalla sua vicaria aveva suscitato un’atmosfera di paradiso dove
le anime ritrovavano l’unione con Dio per una purificazione del pensiero e
una verginizzazione del sentimento.
La sera del 7 novembre 1962 venne a Tor Sanguigna [Roma] il vescovo
di Catamarca (Argentina) destinato quale arcivescovo alla sede di Paranà.
Ad attenderlo Chiara e i capozona venuti da tutta Europa. Nell’attesa si è
parlato – Chiara ed io – del terzo ramo, per ridargli quel carattere di consa-
crazione e di nesso vitale col focolare, che ora, con la Regola in cui è visto
sotto la figura di volontari, pare aver perduto.
Ella mi ripetè come ci siano talora casi di rottura con individui insubor-
dinati, ma lei li salvava attendendo fino a che vedessero il male e si pentis-
sero o fino a che, delusi definitivamente, da sé andassero via: madre che,
se colpisce le mancanze, non vuole perdere i figli.
Poi per un’ora esaminò le applicazioni minute della Regola coi capizona,
ed era uno spettacolo sbalorditivo, in quei giovani (i più laureati, ex profes-
sionisti, intelligenze vivide, nella pienezza delle forze) semplici, docili, umi-
lissimi dinanzi a quella donna esile, giovane ancora, che faceva da maestra
e madre e superiora e regina. Si pensava con commozione agli apostoli e
discepoli congregati attorno a Maria.
E Maria ha predicato il vescovo di Paranà; venuto soprattutto per cono-
scere Chiara, è rimasto per ore nell’atteggiamento della devozione riverente,
dinanzi a Lei. Alla Sacra Congregazione del Concilio, gli avevano detto trat-
tarsi di un’anima eletta. Ma egli si era informato, poiché da qualche padre
conciliare (era in corso il Concilio Ecumenico Vaticano II) aveva sentito riser-
ve sull’Opera di Maria, e ne aveva ricevuto informazioni laudative; donde la
sua richiesta di avere focolare maschile e femminile nella sua diocesi.
Nel corso per focolarini del terzo ramo – come allora ancora si diceva –
tenuto l’8 e il 9 dicembre (sabato dell’Immacolata e domenica) a Grotta,
si risolse il modo di consacrazione dei focolarini coniugati e così la loro
piena parificazione agli altri. Si era tutti commossi – tutti 120 circa, uomini
e donne venuti da sei nazioni – al ricordo del voto di Chiara la vigilia dell’Im-
macolata. E la mattina della festa, Chiara prospettò l’ideale del focolarino

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coniugato definendolo con forza e bellezza che rapì in un’atmosfera para-


disiaca tutti. Il focolare è la casa di Nazareth. La casa di Nazareth fu il primo
focolare e Gesù il primo focolarino. Gesù, Maria, Giuseppe erano vergini
tutti e non erano in convento: non erano del mondo, ma erano nel mondo,
c’erano moglie e marito e pur vergini. Nell’Opera di Maria si è tutti verginiz-
zati se si vive la Regola che la Chiesa ci ha dato: la Regola più bella mai data.
Personalmente Chiara ricordò che anche lei, al momento del voto, sa-
peva di non avere vocazione pel convento né per il matrimonio né per la
verginità da sola in casa: cercava una quarta forma, ed è quella del focola-
re, il quale non avrebbe ragione di essere se non ci fossero anche gli spo-
sati. Questo il pensiero di Chiara espresso con un timbro di forza evange-
lica, che commosse tutti. La mattina seguente don Foresi ripetè invece i
concetti limitativi venuti dalla tradizione negando in concreto ai coniugati
la capacità di consacrazione e relegandoli a un terz’ordine. Chiamato da
Chiara sul palco, Foco fremente ribadì la volontà e la capacità dei coniugati
alla donazione totale, alla stregua degli ideali stessi del Concilio, la cui pri-
ma sessione il giorno avanti si era chiusa. Risultato fu la formulazione della
promessa degli ideali evangelici, dettata a Foco da don Foresi.
Dopo un anno, alla fine di novembre 1963 fu comunicato che era stata
data approvazione anche alla Regola del ramo femminile e si invitarono
focolarini e focolarine a procedere alla votazione dei capi. La Regola fem-
minile ripristinava nella sua integrità il terzo ramo (coniugati), stabiliva la
funzione dei volontari e dei simpatizzanti, tra cui includeva una sezione di
fratelli separati. Inoltre si ripristinava la Lega.
Don Foresi preferì rinviare le elezioni del ramo maschile. Si ebbero il
7 dicembre 1963 quelle del ramo femminile. Le aventi diritto al voto – un
50 – vennero da ogni parte del mondo. Fecero gli esercizi spirituali e il 7
dicembre – vigilia dell’Immacolata – a 20 anni esatti dalla nascita del Mo-
vimento (consacrazione di Chiara col voto di verginità), a Grottaferrata,
con intervento del vescovo di Frascati, monsignor Liverzani, si procedette
alla votazione della superiora generale e delle cinque consigliere. 48 sche-
de recarono il nome: Chiara Lubich. Nello spoglio, uscirono 48 schede con
quel nome: ultima ne uscì una 49a col nome di Natalia. E anche questo dis-
se l’unità e diede un carattere di straordinarietà alla votazione che colmò

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di gioia tutta l’Opera di Maria, a cui finalmente veniva data dalla Chiesa,
come superiora giuridicamente conosciuta, Colei che all’Opera aveva dato
e dava ogni attimo di vita.
Il giorno stesso e, in certo modo come conseguenza del fatto stesso,
si riunirono al Mondo Migliore (la mattina) e a Grotta (il pomeriggio) e la
domenica successiva (7-8 dicembre) i rappresentanti del terzo ramo. Essi
la domenica, in mattinata, prima sentirono una bobina, contenente un di-
scorso di Chiara del Natale 1962, e poi Chiara stessa, la quale annunciò la
rinascita della comunità dei focolarini sposati a tenore di Regola e spiegò la
loro funzione: religiosi fatti per mobilitare i volontari nella riconquista del
mondo a Dio, monaci nel mondo. Fu la vera nascita – più che rinascita – del
terzo ramo.
Un tratto caratteristico di Chiara, si rivelò subito. Non stette a guardare
che l’altro fosse un deputato o uno scrittore. E più tardi non starà a guar-
dare se l’altro o l’altra sia in un rango elevato. Vede un’anima. E le scrive tra
l’altro così: «Farò nella tua anima un ricamo di Spirito Santo».
In tutti svegliava la coscienza dell’essenziale, del soprannaturale. Non
si curava dei loro libri, dei loro denari, dei loro talenti, chiunque fossero, ella
si curava delle loro anime.
E, infine, nei più di loro, era questo che a loro piaceva. E il giorno dell’Im-
macolata del 1963, ci si adunò tutti per la Messa a mezzogiorno, nella cap-
pella delle suore. Chiara andò a collocarsi a fianco di Foco e, quando il ce-
lebrante, don Foresi, si volse per distribuire l’Ostia Santa, quegli lesse a
nome di tutti i coniugati le promesse (nuove per gli uni, rinnovate per gli
altri). C’era una commozione di pianto: ché stavolta la consacrazione di
quei laici era fatta col consenso della Chiesa, alla presenza della superiora
generale, per ora delle sole focolarine, ma di fatto ancora e sempre ispira-
trice e maestra di tutti.
Il primo maggio (1964) ci fu l’ordinazione sacerdotale di Enzo Fondi,
medico focolarino. Si fece a Sessa Aurunca, per le mani di quel vescovo,
monsignor Costantini, conventuale. Si andò con Chiara, tornata dall’Ame-
rica del Nord e dall’America Latina, dove a Buenos Aires e a Recife erano
stati ordinati sacerdoti Vittorio Sabbione, avvocato, e Fede, medico. Ella
era tornata felice, dopo avere annodato all’Opera di Maria, in una sorta di

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Federazione, le opere dei padri Peyton, Leppich, Richard, Werenfried, ed


essersi in Brasile incontrata con padre Lombardi.
Quei padri – dicevo io – sono tutti sacerdoti, se l’Opera di Maria nella
confederazione fosse rappresentata da un sacerdote (padre Maria? futuro
vescovo) non potrebbe perdere il carattere di universalità, così rispondente
agli obiettivi del Concilio, tra cui quelli di rifare il laicato Chiesa con respon-
sabilità diretta. E la sera, al ritorno, tornò in discussione quel tema. Ripetetti
che una delle cause di scristianizzazione della società sta nella separazio-
ne di clero e religiosi da una parte e laici dall’altra: separazione quasi in due
caste, con due lingue e vestiti e usi diversi, che rispecchiava l’influsso del
feudalismo sulla Chiesa, ma che era diverso dalla comunione di apostoli e
laici con Maria al centro della Chiesa di Costantinopoli, dove la convivenza
creava un cuore solo e un’anima sola. Il Concilio oggi vuol rifare della Chiesa
il fermento della società, ridando ai laici quel sacerdozio regale per cui essi
trasmettono il divino nel lavoro e nella vita ordinaria, facendo la consecratio
mundi… Il pericolo è che anche i focolarini si barrino in convento, in casta, e
guardino ai coniugati, ai laici, come a oggetti da catechizzare, anziché come
a compagni della stessa Chiesa. L’originalità dell’Opera di Maria sta in que-
sta integrazione di laici nella famiglia dei consacrati. Oggi invece il 99% delle
deliberazioni – dicevo – si prendono dai sacerdoti con le vergini consacrate,
i laici coniugati non sono ammessi: odi profanum vulnus et arceo…; contro i
propositi dei dirigenti, la mentalità antica torna e pesa.
Chiara ascoltava incoraggiandomi e approvando mentre mi assicurava
che tutto sarebbe tornato a posto. E al solito ebbe ragione.

Cf. Storia di Light. 12, in «Nuova Umanità», 228 (2017/4).


1

C. Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori editore, Milano 2001, pp. 195-196.


2

A lato della poesia, in corsivo, sono i commenti di Giordani.


3
Cf. Storia di Light. 6, in «Nuova Umanità», 222 (2016/2).

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All’ombra del Principe fiorisce la politica?


A. Danese, All’ombra del Principe. La politica dalle origini a Machiavelli.
Problemi attuali e prospettive, Rubbettino, Soveria Mannelli 2018

Machiavelli – ricorda l’Autore – per unanime giudizio storico è posto


all’origine della concezione dello Stato moderno, per aver superato la vi-
sione, classica e medievale, della connessione tra la politica e la morale e
quella dell’interazione tra la sfera religiosa e quella politica. Maturò questa
concezione non sulla base di giudizi di valore, ma per una necessità meto-
dologica e strategica, per arrivare a una definizione della politica che oggi
si direbbe laica o scientifica. Si trattava di una connessione presente non
solo nella filosofia politica occidentale, ma anche in culture non derivanti
da essa, infatti «nel mondo orientale antico non si può parlare di una ri-
flessione politica a prescindere da uno stretto legame con la religione, in
quanto uno dei tratti più caratteristici di tutte le grandi civiltà dell’antico
vicino Oriente è certamente la mancanza di una netta separazione tra la
sfera “sacra” e quella “profana”, tra la sfera “divina” e quella “umana”».
Ma questa separazione è stata una scelta utile o, almeno, inevitabile, per
lo sviluppo della civiltà? Vediamo come il tema viene affrontato nel libro.
L’opera si divide in due parti: la prima è dedicata alla “Storia del con-
cetto di politica: dall’antichità a Machiavelli” e la seconda alla “Democra-
zia fragile”. L’Autore suggerisce al lettore di partire con la visione della
seconda, perché disegna lì il quadro della contemporaneità, affrontando
i complessi problemi della politica odierna nel contesto culturale post-
moderno attuale, che moltiplica la difficoltà di dare un senso condiviso
e una realizzazione pratica a espressioni quali: uguaglianza, potere, rap-
presentanza, identità, pace, interdipendenza… La lettura di questo con-
testo solleciterebbe, poi, la ricerca di radici storiche nel passato più o
meno recente, per completarne la comprensione.
Tuttavia si può anche procedere per gradi, seguendo l’indice del libro, in
quanto la ricca e originale riflessione sul senso della politica nelle diverse,
e talvolta distanti, culture antiche, può fornire in anteprima le basi stori-

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in biblioteca

che necessarie per interpretare le considerazioni conseguenti sulla nostra


attualità. Infatti nella prima parte, dopo la presentazione della concezio-
ne della politica in Egitto, Cina e Israele, ci si sofferma sulla cultura socio-
politica greca (Socrate, Platone e Aristotele, senza trascurare poeti lirici
e tragici, storici, la commedia di Aristofane…) per giungere, poi, all’epoca
romana, riferimento ineludibile per la regolamentazione politica e giuridica
della convivenza. Si evidenziano anche le riflessioni di intellettuali che, pur
senza approfondire direttamente le problematiche politiche, abbondano di
evocazioni a detrimento o a sostegno dei regimi romani, che evolvono dalla
monarchia alla forma mista repubblicana, a quella dittatoriale e imperiale.
Un particolare risalto viene in seguito dato alle rivoluzioni innescate dal
vangelo, dalla Chiesa dei primi secoli, dalla patristica, da sant’Agostino, da
san Tommaso e da autori dell’epoca medievale cosiddetti minori, transitan-
do anche per scrittori abitualmente non considerati, principalmente, come
“politici”, quali Francesco d’Assisi e Francesco Petrarca. Un’accurata serie
di notizie e una vasta scelta antologica dei testi ne completano l’excursus.
In questa sezione, originale è la presentazione di una particolare caratteri-
stica dell’agire politico cristiano: la “tensione all’unità”. Così scrive Danese:

Una delle eredità più manifeste del Vangelo è la richiesta di unità


nelle comunità, tra le nazioni, col Padre. Cosa può significare nella
vita politica? Si tratta certamente di un obiettivo mai raggiunto, ma
da perseguire, preferendo il meno perfetto nell’unità, piuttosto che
l’ottimo nella divisione e attraverso le guerre. Tessere l’unità, specie
tra le nazioni e tra i partiti, appare un ideale ambizioso e utopico ma
indispensabile alla compattezza di un popolo purché se ne accettino
le sempre parziali realizzazioni nel tempo. Del resto l’azione con-
certata ha più probabilità di giungere a soluzioni idonee, sia perché,
come dice il popolo, quattro occhi vedono meglio di due (in termini
di condivisione di risorse e competenze), sia – a maggior ragione –
perché in tal modo si attenuano le reazioni delle opposizioni e pre-
vengono i conflitti. Un politico ha bisogno di tutte le virtù per navi-
gare nel mare tempestoso degli eventi imparando a ottimizzare le
possibili connessioni e convergenze con quanti possono condividere
i suoi princìpi e progetti, per quel che è possibile. Senza arrendersi,
continua a ricercare e persino mendicare il consenso perché sa di

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All’ombra del Principe fiorisce la politica?

avere bisogno di tutti per porre in atto progetti solidi e duraturi, oltre
che per motivi di ordine etico personale (senza la comunità ciascuno
può perdersi).

Chiude la parte storica l’analisi del pensiero di Machiavelli, non solo nella
lettura del Principe, ma anche delle sue altre opere, considerandolo, giusta-
mente, come il simbolico punto di svolta tra la “semplice” enunciazione di
utopie astratte, fatta da molti pensatori precedenti, e, invece, la realistica – e
talvolta amara – descrizione delle vicende storiche e politiche effettive:

Il rapporto tra etica e politica è centrale nell’umanesimo e nei trat-


tati sul Principe, i quali auspicano fortemente – ma non danno per
scontato – che l’etica si possa travasare nella politica. Con l’avven-
to del Rinascimento, la politica tende sempre più alla laicizzazio-
ne, distinguendosi dalla religione, sino a tentare la subordinazione
della Chiesa allo Stato. Il criterio di giudizio dell’azione politica vie-
ne distinto da quello dell’azione morale. La “messa tra parentesi”
dell’etica emerge come reazione pendolare ad una dipendenza da
valori e princìpi astratti che appaiono inefficaci e contrari all’au-
tonomia della politica. L’attenzione si concentra sulle dinamiche
del potere. Prevale il realismo della necessità e dei fatti, a scapito
dell’utopia, delle esortazioni direttive, delle teorie.

Del “segretario fiorentino” vengono anche fornite alcune riletture mo-


derne, in particolare quella fatta da Gramsci, di fatto il primo marxista a
prendere in considerazione il rapporto tra Marx e Machiavelli.
“Democrazia fragile”, la seconda parte, analizza i limiti e le difficoltà
che oggi la politica, ormai “secolarizzata”, deve affrontare. Se certamente
è oggi improponibile un modello superato di intima connessione dell’azio-
ne politica e governativa con una religione unica, ciò non vuol dire che non
sia indispensabile che ancora rimangano dei punti fermi, ideali e morali,
coi quali l’agire politico dovrebbe sempre confrontarsi. L’idea e l’esperien-
za stessa di democrazia (che sono prevalentemente occidentali) non sono
automaticamente sufficienti a risolvere gli attuali, gravi, problemi mondiali,
alcuni di origine antica (ma aggravati in una società postmoderna, sempre

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più frantumata e “iperconnessa” fino all’omologazione) e altri, nuovi e im-


previsti, frutto di disuguaglianze sempre crescenti, realtà nell’affrontare le
quali le classi dirigenti sono spesso impreparate o disinteressate, in quanto
sembrerebbero essere prevalentemente concentrate sulla conservazione
del loro potere, indipendentemente dai bisogni reali dei popoli governa-
ti, in un mondo in cui i partiti attraversano una profonda crisi di identità.
Così sintetizza Danese:

Il secolo XX e ancor più questo scorcio di XXI registrano crisi al-


talenanti delle democrazie. Frutto di guerre e sofferte conquiste,
esse sono il vanto dell’Occidente, che si sente in dovere di espor-
tarle, in modo morbido e/o violento, nei Paesi che ne sono privi, no-
nostante gli insoddisfacenti risultati: ciò che si offre è un modello
già vecchio, uno strumento neutro e spesso offensivo della dignità,
un sistema di formalismi, di manie…

Alla lucida e ampia analisi delle problematiche, seguono alcune pro-


poste di soluzione, partendo dalla conclusione che l’etica e i valori sono
ancora necessari e non si può prescindere dalla “partecipazione” e dall’at-
tenzione al primato delle persone, nell’interesse delle quali la politica e l’e-
conomia devono sempre operare. Danese conclude così:

La ricognizione storica del concetto di politica, passando per una


pluralità di teorie e sistemi politici, ci ha condotto al Principe di Ma-
chiavelli, presentato in discordanza concorde (per quanto riguarda
gli obiettivi finali) con gli utopisti del tempo (Moro, Erasmo, Bruno e
Campanella) e riletto nel Novecento attraverso Antonio Gramsci, che
lo ha riconsegnato a noi nella nuova veste di Moderno Principe partito.

Il suo strumento finale, per far rifiorire la politica e offrire delle con-
crete speranze di cambiamento, sembra essere: «Più che teorie, occorre
risuscitare dalla storia – ed anche da quella dimenticata dei “vinti” – profili
esemplari di politici e cittadini da riproporre alle nuove generazioni».

Stefano Passaggio

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dallo scaffale di città nuova

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Accogli lo straniero
storie esemplari
dell’Antico Testamento
di Lucio Sembrano

Si può leggere la Bibbia nella prospettiva


del dialogo interculturale e interreligioso?
Come si è confrontata Israele con le altre
culture che ha incontrato nella sua storia?

Affacciarsi ad alcune storie collocate nei momenti epocali


della sto­ria biblica potrà aiutare a superare i pregiudizi che
molti nutrono su questioni come la violenza nella Bibbia o la
giustizia di Dio, e offrire spunti rilevanti anche ai nostri giorni
per comprende­re il cammino del dialogo interculturale e in-
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terreligioso.
9788831188005 L’avventura dell’esodo dall’Egitto, la conquista della Terra, la
pagine se­dentarizzazione in Canaan, l’esperienza della diaspora esi-
130 lica, la ricostruzione del Tempio al ritorno da Babilonia, l’im-
patto con la cultura ellenistica hanno offerto infatti al popolo
prezzo d’Israele occasioni di confronto con persone e culture diverse,
euro 16,00 che hanno lasciato una traccia viva nella sua storia, a volte se-
gnando in profondità la ma­niera stessa con cui viene espressa
la relazione con JHWH.
Gli stranieri in Israele, gli ebrei in terra straniera e infine i
Maccabei a Gerusalemme sfidano i cristiani a superare le di­
scriminazioni e ad affermare la libertà religiosa e di coscienza,
con la consapevolezza ecclesiale e la fiducia che tutte le diffe-
renze sono ordinate all’unico popolo di Dio (cf. Lumen gentium, 1).

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Prossimo numero 236
Vivere fino alla fine 235
Altro che riti di scongiuro! Di fronte all’ultimo passaggio
della vita della persona servono un amore superiore
e una cura competente.
235
nuova umanità trimestrale di cultura
Nel prossimo
numero
impareremo
come.

Immigrazione e multiculturalismo nuova umanità


controcorrente
L’Europa e le sue nuove sfide – G. Iorio

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Immigrazione e multiculturalismo
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Migrazioni africane - G. Albanese
Rifugiati e profughi in Medioriente - B. Cantamessa
América y migración - G.A. Leal
I rohingya e il Sud-Est asiatico - G. Ritinsky
scripta manent
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I quattro verbi di papa Francesco – R. Catalano

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