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Focus
Immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni e Stati-nazione - R. Catalano
Migrazioni africane - G. Albanese
Rifugiati e profughi in Medioriente - B. Cantamessa
América y migración - G.A. Leal
I rohingya e il Sud-Est asiatico - G. Ritinsky
scripta manent
Interdipendenza planetaria - C. Lubich
parole chiave
I quattro verbi di papa Francesco – R. Catalano
punti cardinali
Il bene come fine della persona in Maritain - S. Pinna
Myriam, donna ebrea - G.M. Porrino
Fondata da Chiara Lubich nel 1978, alla fonte del carisma dell’unità
Nuova Umanità è una rivista multitematica Cultura e culture nella mistica
che, alla luce del carisma dell’unità, di Chiara Lubich - G.M. Zanghí
dialoga con le prospettive culturali Discorso inaugurale della Summer School
del mondo contemporaneo. Sophia - C. Lubich
Storia di Light. 19 - I. Giordani
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controcorrente
L’Europa e le sue nuove sfide - G. Iorio______________________ » pp. 5-10
A distanza di qualche mese, l'Autore riflette sugli esiti e le conseguenze delle recenti
elezioni europee. Tre sono i risultati che emergono: 1) la partecipazione aumenta;
2) i sovranisti perdono e restano divisi; 3) gli europeisti vincono, non i tradizionalisti
Ppe e Socialisti, ma i nuovi europeisti dei Liberali e Verdi, che intercettano il voto
dei giovani. Nelle conclusioni l’Autore sottolinea che, al di là dei rapporti di forza
elettorali, l’Europa deve guardare oltre se stessa, recuperando il sogno di essere
all’altezza delle sfide dell’umanità, quello che animava i padri (e le madri) fondatori.
Focus
Immigrazione e multiculturalismo
Migrazioni e Stati-nazione. Le contraddizioni di un mondo
in movimento - R. Catalano_________________________________ » pp. 11-19
A causa dei processi migratori, il mondo è polarizzato fra chi cerca di cambiare
dimora in nome del diritto alla libertà di sceglierla e chi è impegnato a impedirglielo
in nome del diritto alla sovranità sul proprio territorio. Gli Stati-nazione, nati per
assicurare e difendere i diritti umani, sono ora quelli che li negano a chi cerca una
sopravvivenza. La categoria di Stato-nazione mostra tutte le sue crepe. Il fenomeno
non è solo europeo, ma sembra che proprio il vecchio continente sia quello a soffrir-
ne maggiormente, alla ricerca come è della sua identità.
scripta manent
Interdipendenza planetaria - C. Lubich ____________________ » pp. 59-61
I carismi hanno una valenza profetica e Chiara Lubich ci offre un esempio signifi-
cativo per i nostri giorni. I passi che proponiamo dimostrano come già nel 2004,
quando i grandi processi migratori attuali erano appena iniziati, la donna trentina
avesse intuito la portata storica del fenomeno. Non solo lo ha decodificato fra le
righe della storia, ma, attraverso la spiritualità nata dalla sua esperienza cristiana,
ha offerto una metodologia per vivere il fenomeno come un’opportunità e non come
una minaccia.
parole chiave
I quattro verbi di papa Francesco - R. Catalano_____________ » pp. 63-80
punti cardinali
Il bene come fine della persona in Maritain - S. Pinna_______ » pp. 81-104
A partire dalle intuizioni filosofiche di Jacques Maritain e sulla scia di un tomismo
vivente, Charles Journet (1891-1975) indaga intorno al rapporto tra grazia e libertà,
che solleva complesse questioni teologiche quando l’azione umana produce un pec-
cato. L’innocenza di Dio davanti al mistero del male permette di cogliere la grandez-
za della libertà della persona, la quale non è mai abbandonata, perché nella grazia,
donata a ogni creatura, sono conferiti la giustizia e l’amore salvifico divino.
in biblioteca
All’ombra del Principe fiorisce la politica?
- S. Passaggio __________________________________________ » pp. 155-158
risultati elettorali
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cosa accade
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prospettive e possibilità
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Migrazioni e Stati-nazione
Le contraddizioni
di un mondo in movimento
Roberto
Catalano non un fenomeno nuovo,
condirettore ma un segno dei tempi
del centro
per il dialogo Le migrazioni non sono una novità. Sono sempre
interreligioso esistite nella storia dell’umanità, caratterizzando i
del movimento molteplici e costanti cambiamenti e sviluppi, spesso
dei focolari.
professore presso assolutamente inattesi. Con ogni probabilità, conti-
la pontificia nuano e continueranno a essere parte della vita del
università genere umano. Tuttavia, non si può negare che il fe-
urbaniana (roma), nomeno, in questi nostri giorni, abbia raggiunto pro-
presso l’istituto porzioni probabilmente sconosciute fino ad oggi, tan-
universitario
sophia di loppiano to che i migranti nel mondo – calcolati attorno ai 258
(figline – incisa milioni1 – sono definiti il “sesto continente”2 . Non solo.
in val d’arno, Il loro numero è in crescita costante in ogni parte del
firenze) e presso globo3 . Di fronte a queste cifre assistiamo a un feno-
l’accademia meno pieno di contraddizioni. Si potrebbe dire che il
di scienze umane
e sociali di roma. mondo sia polarizzato fra chi cerca di cambiare dimo-
ra in nome del diritto alla libertà di sceglierla e chi è
impegnato a impedirlo in nome del diritto alla sovrani-
tà sul proprio territorio. Si sta sviluppando sempre più
una sindrome dell’“altro”, del “diverso”, del “migran-
te”, visto come la fonte di tutti i problemi e le crisi at-
tuali. Per questi e molti altri motivi la questione migra-
zione interroga l’uomo del nostro tempo e lo fa come
individuo e comunità, come persona e come nazione,
12 nu 235
14 nu 235
oltre l’occidente
16 nu 235
1
Cf. Building Trust: the Challenge of Peace and Stability in the Mediterranean,
Report, Ispi, 2018, p. 104 (www.ispionline.it/it/pubblicazione/building-trust-chal-
lenge-peace-and-stability-mediterranean-21624).
2
Cf. T. Dell’Olio, Il sesto continente, in «Mosaico di pace», 17 gennaio 2014,
www.mosaicodipace.it/a/39591.html.
3
Sono passati da 173 milioni nel 2000 a 244 milioni nel 2015 (cf. UN, Depart-
ment of Economic and Social Affairs, International Migration report 2015, New York
2016).
4
È bene distinguere multiculturalità da pluralità, soprattutto in riferi-
mento al contesto che qui si tratta. Il pluralismo è riferito alle cosiddette mi-
noranze tradizionali o nazionali che erano presenti sul territorio al momento
della formazione degli Stati-nazione. Tale pluralismo linguistico e culturale, ca-
ratteristico di alcuni Paesi europei, tutelato dalle rispettive Costituzioni, «nasce
da una storia comune» e, dunque, «si è dimostrato integrabile in visioni d’in-
sieme della vita collettiva» (G. Zagrebelsky, La virtù del dubbio, in C. Galbersani-
ni, The Volk is back? Spunti di riflessione per un’Europa multiculturale ed inclusiva,
18 nu 235
14
Cf. ibid., p. 223.
15
Cf. W. Brown, Stati murati, sovranità in declino, trad. it. di S. Liberatore, a cura di
F. Giardini, Laterza, Roma-Bari 2013.
16
Cf. A. Fabris, Modelli identitari nell’Europa multiculturale, in «Sophia», X (2/2018),
pp. 185-196.
17
Nel 2018 si è registrato un crollo del 95% degli arrivi in Europa rispetto al
2015 (cf. Building Trust: the Challenge of Peace and Stability in the Mediterranean, cit.,
p. 112). A smentire una politica che costantemente reclama la salvaguardia degli
interessi dei propri cittadini a fronte di una paventata invasione di migranti, è bene
chiarire che le statistiche rivelano che la stragrande maggioranza dei migranti for-
zati resta nelle stesse aree geografiche o in Paesi vicini. La Turchia, per esempio, ne
ha circa 3,5 milioni sul suo territorio, il Pakistan un milione e mezzo come l’Uganda
e come il Libano che, però, conta una popolazione totale di 4,2 milioni di abitanti
(cf. M. Zanzucchi, Un problema di giustizia non di sicurezza, in «Città Nuova», LXII
[9/2018], p. 10).
18
Bruno Cantamessa da vari anni vive fra Libano e Giordania. George Ritinsky
dalla fine degli anni Ottanta ha vissuto in diversi Paesi del Sud-Est asiatico. Giulio
Albanese ha vissuto in Africa ed è uno dei massimi esperti sui problemi del conti-
nente. Gabriel Jalisco è uno studioso messicano.
19
A. Fabris, Modelli identitari nell’Europa multiculturale, cit., p. 186.
20
Cf. ibid.
21
Ibid.
Dialogica
per un pensare teologico
tra sintassi trinitaria e questione
del pratico
di Leopoldo Sandonà
nu 235
Migrazioni africane
con circa 3,1 milioni di migranti internazionali che risiedono nel Paese (cir-
ca il 6% della sua popolazione totale). Solo una parte dei migranti africani
si allontana di molto dal proprio Paese d’origine. Ecco, allora, che l’Euro-
pa diventa la prima destinazione di coloro che arrivano dal Nord Africa,
cioè da Paesi come Tunisia, Marocco ed Egitto. Mentre il 93,6% di migranti
africani che provengono dall’Africa occidentale – Mali, Senegal, Gambia,
Nigeria – non lascia affatto il continente, ma si trasferisce in un altro Paese
dell’Africa occidentale.
Per quanto concerne invece l’Africa centrale, il 40% dei migranti che
proviene da questo settore geografico raggiunge l’Africa orientale (Kenya,
Tanzania, Etiopia). La porosità delle frontiere, certamente, alimenta la
mobilità. Riguardo, in particolare, al numero dei rifugiati all’interno del
continente, secondo l’ultimo rapporto annuale Global Trends, pubblicato
dall’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati3, nel 2017 si è regi-
strato un particolare incremento nell’Africa subsahariana, dove sono au-
mentati di 1,1 milioni (+22%), raggiungendo la ragguardevole cifra di 6,3
milioni di unità. Inoltre, cinque delle dieci nazioni che, secondo l’Unhcr,
hanno prodotto il maggior numero di persone costrette alla fuga sono pro-
prio in Africa: Burundi, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Sudan e Re-
pubblica Democratica del Congo (Rdc). In quest’ultimo Paese, nel corso
del 2017, la guerra si è estesa, particolarmente sul versante orientale, co-
stringendo milioni di civili, residenti soprattutto nelle province del Nord e
del Sud Kivu, dell’Alto Katanga e della regione del Kasai, ad abbandonare le
proprie abitazioni. Un esodo che nell’ex Zaire ha prodotto il raddoppio del
numero degli sfollati interni da 2,2 milioni a 4,4 milioni, concentrati in par-
ticolare nel Kivu settentrionale, da dove sono fuggite 1,1 milioni di persone.
Sempre secondo la stessa fonte, la maggior parte delle persone in fuga da
conflitti armati e violazioni dei diritti umani proviene dall’Africa centrale e
orientale, in particolare da Repubblica Centrafricana, Rdc, Burundi, Eritrea,
Sudan, Nigeria, Mali e Somalia.
22 nu 235
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oggi sono oltre un miliardo (circa 1,216 miliardi di abitanti). Se l’Italia fosse
cresciuta allo stesso ritmo, oggi gli italiani sarebbero 185 milioni.
Secondo i dati Eurostat, la popolazione europea è destinata a restare
pressoché invariata da qui al 2050, mentre quella africana continuerà a
crescere. A metà del secolo la popolazione mondiale vivrà per il 25% in
Africa (era il 13% nel 1995 e il 16% nel 2015) e solo per il 5% in Europa. Le
stime degli esperti indicano anche che si registrerà un graduale e costante
aumento della popolazione in età lavorativa. Nel frattempo, si ridurran-
no le fasce passive, sia quella troppo giovane, sia quella troppo anziana,
per essere considerate produttive. Un destino opposto a quello dei Paesi
occidentali, che saranno abitati da una popolazione sempre più anziana.
Lo si evince dal cosiddetto dependence index, un indicatore che misura la
percentuale delle persone di età inferiore ai 15 anni e superiore ai 64, ri-
spetto alla fascia lavorativa. Se, ad esempio, l’indicatore misura il 70%, si-
gnifica che ci sono 70 bambini/anziani ogni 100 persone in età lavorativa.
1
Cf. http://www.un.org/en/development/desa/population/migration/pu-
blications/migrationreport/docs/MigrationReport2017_Highlights.pdf; cf. anche:
https://publications.iom.int/system/files/pdf/wmr_2018_en.pdf.
2
Cf. http://www.fao.org/3/i7951en/I7951EN.pdf.
3
Cf. https://www.unhcr.org/5b27be547.
26 nu 235
Rifugiati e profughi
in Medioriente
quali si fugge e quelli in cui ci si rifugia, anche se talvolta il confine tra Paesi
di fuga e di rifugio non è troppo netto. I Paesi coinvolti sono comunque i
seguenti: Turchia, Siria, Iraq, Iran, Libano, Giordania, Cisgiordania e Gaza,
Yemen; oltre al Paese che non esiste: il Kurdistan.
Tutto ciò non affronta il pur importante problema dei richiedenti asilo
che hanno già lasciato la regione mediorientale, né più in generale dei mi-
granti che dal Medioriente cercano di raggiungere Europa, Usa, Canada,
Australia o altri Paesi, o le connessioni con le contigue migrazioni delle aree
nordafricana, africana e asiatica, che rappresentano fenomeni autonomi di
vasta portata, ma spesso con notevoli punti di contatto con le migrazioni
da e per il Medioriente.
È infine importante precisare che il fenomeno dei rifugiati presenti in
Medioriente non riguarda solo i siriani in fuga dalla guerra. Ci sono anche
milioni di palestinesi, iracheni e afghani che da decenni si spostano
nell’area mediorientale e che rappresentano le conseguenze mai veramen-
te affrontate dei conflitti degli ultimi settant‘anni.
A livello mondiale, per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno mi-
gratorio, dei 68,5 milioni di profughi rilevati dalle Nazioni Unite (Nu) alla
fine dello scorso anno, sarebbero soltanto quattro milioni le persone che
cercano rifugio (legale) in Paesi stabili lontano dal proprio, mentre il nu-
mero degli sfollati all’interno del proprio Paese rappresenterebbe la cifra
ben più consistente di circa 40 milioni di persone. I restanti 25 milioni circa
sarebbero costituiti dalle persone rifugiate in Paesi vicini o confinanti con
il proprio: la maggioranza di questa gente (sfollati e rifugiati in Paesi con-
finanti) spera di poter tornare a casa propria, prima o poi, qualcuno anzi lo
ha già fatto scommettendo sulla pacificazione di alcuni territori.
L’altro numero del quale è doveroso accennare, pur senza qui entra-
re nel merito, è quello dei migranti non obbligati, che a livello mondiale si
aggirano intorno ai 250 milioni di persone: la classifica dei cinque Paesi
che ospitano più migranti vede in testa gli Usa seguiti da Arabia Saudita,
Germania, Russia e Regno Unito. L’Italia è undicesima in questa classifica.
28 nu 235
del Medio Oriente e il destino delle minoranze, si è parlato per la Siria di oltre
sette milioni di sfollati interni (Agensir del 12 novembre 2018). I morti in
questi quasi otto anni di guerra avrebbero ampiamente superato il mezzo
milione e i feriti che hanno subito mutilazioni sarebbero 1,5 milioni.
Altri sei milioni di siriani si sarebbero rifugiati in Turchia (3,5 milioni),
Giordania (1,4 milioni) e Libano (un milione), oltre che in Iraq, Egitto, ecc.
Si tratta in ogni caso di valutazioni in base ai dati disponibili, che non ten-
gono conto dei clandestini, di coloro che non si dichiarano alle Nu perché
non hanno documenti oppure sono disertori o con altre gravi difficoltà che
li inducono a tenere un profilo molto basso. Anche molti bambini nati nei
campi profughi o comunque fuori dalla Siria sono invisibili, non sono regi-
strati neppure all’anagrafe. La maggior parte dei rifugiati sopravvive con
gli aiuti internazionali e sono pochi quelli che hanno la fortuna di trovare
un qualche lavoro saltuario e sottopagato. I campi ufficiali ospitano meno
della metà dei profughi, gli altri si arrangiano come possono sia nei campi
informali, sia affittando tutto ciò che in qualche modo rappresenta un tet-
to sulla testa. Carenze igieniche, sanitarie, alimentari e scolastiche sono
la norma, nonostante gli sforzi anche notevoli delle Nu, di governi, ong e
associazioni locali di assistenza. I bambini siriani che non sanno leggere
né scrivere sono sempre di più. È importante ricordare che in Siria si erano
rifugiati anche un milione di iracheni e mezzo milione di palestinesi.
In Libano ci sono ufficialmente circa 1,1 milioni di siriani, ma anche 300-
400 mila iracheni dislocati qua e là nel Paese, e circa 500 mila palestinesi
per lo più riuniti nei cosiddetti campi profughi, che sono in realtà dei veri
e propri villaggi, anche se in condizioni di provvisorietà e senza diritto di
cittadinanza da settant‘anni anni, quando arrivarono i primi palestinesi in
fuga dopo la conquista israeliana del 1948. La situazione libanese dei pro-
fughi (complessivamente intorno al 20% della popolazione) contribuisce
non poco a mantenere nel Paese dei cedri un clima precario e critico.
In Giordania la situazione non è molto diversa, per certi versi anche un
po’ più complicata. Ai pochi giordani autoctoni (di origine beduina) si sono
aggiunti nel tempo (soprattutto dal 1948 e dal 1967) 1,2 milioni di palesti-
nesi, poi naturalizzati, e altri 1,7 milioni di palestinesi ai quali è stato con-
cesso un passaporto temporaneo. I rifugiati siriani ufficiali sono 740 mila,
30 nu 235
tre regioni in cui è divisa la loro patria: il Kurdistan turco, quello iracheno e
quello siriano (ma ci sono enclaves anche in Iran). Nel Kurdistan iracheno,
al tempo dell’avanzata dello Stato islamico (2014-2015), hanno trovato ri-
fugio almeno 750 mila iracheni e siriani (soprattutto yazidi e cristiani, ma
non solo), che hanno potuto così scampare alle persecuzioni del Daesh.
i rifugiati in giordania
32 nu 235
queste condizioni sono solamente delle speranze, anzi, se la guerra non finirà
presto, si corre il rischio di perderle. Però, segnali positivi in questo senso sono
il rientro in Siria, negli ultimi mesi, di diverse centinaia di profughi dal Libano e la
riapertura del valico di Jaber-Naseeb fra Giordania e Siria.
Comunque, sebbene i cristiani siano pochi, sono ben presenti nella vita
sociale, culturale, politica ed economica del Medioriente, e danno un con-
tributo importante per lo sviluppo della regione.
Da dove provengono gli aiuti che la Caritas utilizza per sostenere i profughi
e i poveri? Qual è il vostro impegno per il dialogo tra le culture? Cosa possiamo
fare in più, come italiani, per aiutarvi?
Caritas Giordania ha da poco festeggiato cinquant‘anni: è stata fonda-
ta infatti nel 1967 per dare una risposta all’arrivo dei profughi palestinesi
dopo la Guerra dei sei giorni. Oggi, abbiamo 22 centri, 450 dipendenti e
tremila volontari. Aiutiamo circa 200-250 mila persone ogni anno, senza
distinzione di cultura, nazionalità e religione. E senza tenere conto se le
persone che ci chiedono aiuto siano profughi legali o clandestini.
Negli ultimi anni, i contributi internazionali che la Giordania ha ricevuto
per far fronte all’afflusso di profughi sono piuttosto diminuiti, invece di au-
mentare come è aumentato il numero dei profughi, e questa è una grande
sfida per la Giordania. Per quanto riguarda la Caritas, noi riceviamo ancora
la stessa somma di cinque anni fa, grazie soprattutto ai nostri partner delle
diverse Caritas del mondo, ma non sappiamo per i prossimi anni come si
evolverà la situazione.
Per quanto riguarda il dialogo della vita, soprattutto quello con molti
musulmani, è per noi un’esperienza quotidiana e molto positiva. Ci sono
poi anche moltissimi contatti e iniziative culturali sia a livello ecumenico
che interreligioso.
Molti italiani vengono in Giordania come cooperanti o volontari nelle
ong. Anche alla Caritas riceviamo continuamente giovani che vengono a fare
uno stage: e questo è per noi un bellissimo sostegno. Un aspetto che forse
si potrebbe incrementare è far conoscere di più in Italia il turismo religioso
in Giordania. Ci sono molti luoghi legati all’Antico e al Nuovo Testamento:
primo fra tutti certamente è il sito del battesimo di Gesù, sulla riva orienta-
le del Giordano. Un incremento del turismo religioso in Giordania sarebbe,
secondo me, anche un modo per sostenere i cristiani giordani, creando una
sensibilità e delle opportunità. E aiutare così anche a ridurre la diaspora.
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América y migración
El reto de construir puentes
en lugar de muros
Este país cuenta con 22 millones de habitantes, es decir que casi el 25 por
ciento de su población reside en el exterior.
Y por otra parte, los países a donde más han emigración hay está en
primer lugar Estados Unidos encabeza con 46,6 millones de personas,
seguido de Alemania con 12 millones y Rusia con 11,6 millones. Y en los
continentes, es Europa es el que tiene el mayor número de inmigrantes
residentes (76 millones contra los 56 millones del año 2000).
el muro
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honduras
38 nu 235
el ideal en la frontera
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las usan o, trataron de usarlas como puente para llegar a los Estados Uni-
dos con el sueño de encontrar una mejor calidad de vida pero, al vivir el
fracaso en el intento de internarse ilegalmente o cuando son deportados,
muchas personas se quedan en estas ciudades y comienzan a buscar una
oportunidad de trabajo y de vida con la esperanza de hacer un intento más
por regresar a los Estados Unidos.
- ¿Y esta caravana ha sido diferente a la manera en que llegan aquí los cen-
troamericanos que quieren cruzar la frontera?
- Lo que hemos visto en las últimas semanas con la llegada de miles de
personas que vienen de Centroamérica en caravanas nos ha sorprendido
y ha generado una fuerte confusión entre las personas que habitamos
en Mexicali y Tijuana. Si bien es cierto que el fenómeno de la migración
de personas es una imagen habitual en nuestras vidas, la forma de cómo
se ha presentado en esta ocasión nos ha sorprendido porque muchos de
nosotros aún no logramos entender la repentina problemática que hizo a
todas estas personas tomar la decisión de salir en caravanas a un mismo
tiempo. Su transitar por el sur y centro de México fue muy exitoso hasta
que llegaron a este destino en donde se termina el camino, sólo queda
conseguir su sueño.
- La gente local, ¿cómo ha reaccionado?
- Para todos los que vivimos aquí ha sido un fenómeno que ha inquie-
tado y confundido a los habitantes locales ya que se han generado senti-
mientos de rechazo y hasta xenofobia a todas estas personas a causa de la
poca información y la incertidumbre sobre los motivos que los han llevado
a dejar sus países de esta manera. Mexicali ha sido lugar de paso, en donde
se les ve acampando en las calles y en lugares públicos, de hecho, su estan-
cia en albergues es corta ya que su destino final es Tijuana.
- La comunidad del Movimiento de los Focolares, ¿de qué manera responde
a esta realidad?
- Como comunidad nos hemos acercado a la casa del migrante que está
a cargo de nuestra Diócesis y nos encontramos con la sorpresa de que por
ahí no ha llegado ninguna persona de estas caravanas.
Algunos de los nuestros intentaron acercarse a un campamento dentro
de la ciudad pero la policía no les permitió acercarse, nos dijeron que sólo
42 nu 235
espejo. Tenemos al temor y odio contra el otro como un veneno que puede
recorrer nuestras venas y dañarnos profundamente.
Para quienes queremos optar por la persona humana y su dignidad en
todo momento, en especial por la de aquellos que más sufren y a quienes
hay que dar la mano en los momentos de persecución y odio, es necesario
que no caigamos en la trampa de quienes buscan difundir una mentalidad
de prejuicios, rechazo y exclusión.
En este mundo individualista y capitalista, es importante que no perda-
mos de vista que el primero que se deshumaniza es quien no ayuda a quien
lo necesita, por ello me parece que en estos días es importante tener en
cuenta algunos elementos de elemental sentido común.
Bien decía Marilú Martínez en sus redes sociales que es importante no
convertirnos en los despreciados que desprecian y por ellos refería tres
puntos que me parece importante compartir:
44 nu 235
George I rohingya
Ritinsky e il Sud-Est asiatico
di origini italiane, L’odissea di un’etnia
ha studiato
filosofia
e teologia presso
la pontificia
università
lateranense
e da trent’anni la regione del sud-est asiatico (asean)
lavora nel
sud-est asiatico: Per capire e affrontare la questione dei profughi
da 10 anni rohingya, è necessario iniziare da uno sguardo gene-
collabora rale sulla regione nella quale vivono: il Sud-Est asia-
con città nuova
per la regione tico. Dall’8 agosto 1987 i Paesi che compongono la
dell’asean. regione hanno costituito l’Asean1 (Associazione delle
è stato lettore nazioni del Sud-Est asiatico), composta da dieci na-
di etica del zioni: Indonesia, Thailandia, Singapore, Malaysia, Fi-
business presso lippine, Vietnam, Myanmar (già Birmania), Cambogia,
la saint john
university Brunei e Laos. Lo scopo di quest’associazione, come
di bangkok. descritto nella presentazione ufficiale, è «la coopera-
zione, l’integrazione da un punto di vista economico,
sociale, militare e di sicurezza nazionale degli Stati
membri»2 . Una delle caratteristiche comuni a queste
dieci nazioni è la presenza di una costellazione di po-
poli etnici con una propria lingua, una propria cultura
e una lunga tradizione. Spesso, se non sempre, a molti
di questi gruppi, nel corso dei secoli, è stata negata la
possibilità di autodeterminazione: la possibilità, cioè,
di avere un proprio territorio riconosciuto a livello in-
ternazionale. Sono, infatti, diverse centinaia le etnie
che popolano l’Asean. Dove si trovano la maggior par-
te dei popoli etnici della regione?
46 nu 235
48 nu 235
L’impero britannico32
azione del governo, lo State Peace and Development Council, mutò il nome
della regione di nostro interesse da Stato dell’Arakan a Stato di Rakhine.
Questa decisione significò il riconoscimento del gruppo etnico dei rakhine,
prevalentemente buddhisti, e, allo stesso tempo, sancì l’esclusione dell’altro
gruppo etnico, quello dei rohingya, in maggioranza musulmani. Tutto questo
aggravò ulteriormente una situazione già da lungo tempo caratterizzata da
una chiara discriminazione nei confronti della sezione musulmana del grup-
po etnico di cui ci stiamo occupando. Anche se il nome dello Stato, Rakhine,
non era accettato da entrambi i gruppi (quello buddhista arakanese e quello
musulmano rohingyanese), rimase il fatto della profonda frattura sociale tra
le etnie che ha portato a sanguinose lotte etniche36.
Nei decenni successivi, i rohingya hanno subìto persecuzioni politiche
e sociali37 e le loro organizzazioni sono state sistematicamente sciolte dal
governo militare del generale Ne Win. La fondazione del Bangladesh, av-
venuta il 16 dicembre 1971, fu vista dal governo birmano come un perico-
lo imminente di invasione da parte degli stranieri bengalesi, e i rohingya
vennero subito considerati come pericolosi alleati di questi movimenti. Se-
condo una teoria del governo abilmente pubblicizzata nella popolazione, i
rohingya si sarebbero infiltrarti nella Birmania per ottenere l’indipendenza
della loro regione dal governo centrale birmano a favore della formazione
di uno Stato islamico appoggiato dal Bangladesh. Le tensioni che seguirono
sfociarono nell’operazione militare Operation Dragon King38, lanciata il 6
febbraio 197839. La versione ufficiale dell’operazione era quella di realizza-
re un censimento accurato, per registrare i cittadini nello Stato del Rakhine
e per espellere gli infiltrati stranieri. In realtà, le cose furono ben diverse.
Ufficiali militari e agenti dell’Ufficio per l’immigrazione condussero l’ope-
razione di comune accordo, passando al setaccio la popolazione rohingya.
Durante queste operazioni avvennero episodi di violenza di ogni genere:
intimidazioni, uccisioni e stupri. I rohingya si trovarono a dover fuggire
verso il Bangladesh. L’operazione concertata dalle agenzie governative e
dall’esercito del Myanmar provocò, nel corso di tre mesi, l’esodo in massa,
calcolato tra le 200 mila e le 250 mila persone, per la maggioranza mu-
sulmani rohingya. Queste migliaia di persone furono costrette a lasciare
la propria regione del Rakhine per fuggire a ridosso del confine, in Ban-
50 nu 235
52 nu 235
Sicuramente, nel caso dei rohingya, non è possibile parlare di una mi-
grazione verso il Bangladesh per ragioni economiche, come invece avviene
per altri gruppi sempre dal Myanmar, ma verso la Thailandia49. I rohingya
rappresentano, invece, un esempio recente50 di pulizia etnica, preparata
già dai primi di agosto del 2017, come affermava la BBC51. Queste testi-
monianze avvallano la convinzione, da parte di molti analisti politici della
regione, che le operazioni contro i rohingya siano state ben pianificate per
arrivare a uno scopo preciso, cioè l’allontanamento dal suolo del Myanmar
dei rifugiati illegali bengalesi. Come abbiamo visto, una questione che ha
radici storiche profonde.
Questa minoranza etnica, i rohingya, forse una tra le più perseguitate
al mondo, come abbiamo potuto constatare, fa parte delle migliaia dei
popoli senza una patria, che si trovano ancora oggi sul nostro pianeta.
Eppure la cultura del Sud-Est asiatico è una cultura multi-religiosa e tolle-
rante. Tuttavia, gli interessi politici nazionali e internazionali distruggono
spesso valori ed eredità culturali antiche come il mondo. I rohingya non
sono i soli a subire questo processo discriminatorio violento. Sono tre i
conflitti di questo tipo ancora in atto in Myanmar52 . La persecuzione nello
Stato di Shan53 e quella dei kachin cristiani54 da parte del Tatmadaw55
rappresentano altri due gravi esempi di questa politica. Inspiegabilmente
per i media internazionali, esiste principalmente la questione rohingya:
una guerra, a detta di alcuni, forse strumentalizzata per togliere l’atten-
zione dal disastro umanitario in Yemen56 perpetuato da truppe musulma-
ne contro popolazioni musulmane?
Le grandi questioni che, al momento, rimangono sul tavolo dei rap-
presentanti delle Nazioni Unite sono tante. Da una parte, il rimpatrio
54 nu 235
1
http://www.asean.org.
2
Ibid.
3
https://www.baliprocess.net/membership/indonesia/.
4
Tuttavia, a causa delle distanze e del numero delle isole (18.306), non è facile
stabilire con esattezza la popolazione del Paese. Di queste 18.306 isole, secondo la
stima del 2002 del Lapan (cf. http://sinas-indonesia.org/institution/national-insti-
tute-of-aeronautics-and-space-lapan/), ovvero l’Istituto nazionale di aeronautica e
dello spazio indonesiano, soltanto 8.844 hanno un nome; 922 sono abitate in modo
permanente. Essendo una zona fortemente sismica, il sorgere e scomparire di nuo-
ve isole è cosa abbastanza comune.
5
L’Indonesia, come noto, è il Paese al mondo con la più numerosa popolazione
musulmana. I fedeli dell’islam superano, infatti, i 200 milioni.
6
http://www.thaigov.go.th/.
7
ht tp: //w w w.mfa .go.th /main /en /news3/6 885/86767-Announce-
ment-of-the-National-Agenda-%E2%80%9CHuman-Rights.html.
8
https://www.onlychaam.com/ethnic-groups-in-thailand/.
9
https://www.malaysia.gov.my/portal/index.
10
Cf. S. Nagaraj - T. Nai-Peng - N. Chiu-Wan - L. Kiong-Hock - J. Pala, «Counting
Ethnicity in Malaysia: The Complexity of Measuring Diversity», in P. Simon - V. Piché -
A.A. Gagnon (edd.), Social Statistics and Ethnic Diversity. Cross-National Perspectives
56 nu 235
38
https://www.hrw.org/reports/2000/burma/burm005-01.htm.
39
https://www.youtube.com/watch?v=04axDDRVy_o.
40
https://www.youtube.com/watch?v=irQhr9DOfbg.
41
https://www.reuters.com/article/us-myanmar-rohingya/at-least-71-kil-
led-in-myanmar-as-rohingya-insurgents-stage-major-attack-idUSKCN1B507K.
42
https://www.youtube.com/watch?v=04axDDRVy_o.
43
https://www.youtube.com/watch?v=pebrk29ZJW8.
44
https://frontiermyanmar.net/en/new-un-panel-to-prepare-indictments-
over-myanmar-atrocities. Il materiale è stato raccolto in un volume cartaceo di 444
pagine all’interno delle quali è possibile avere accesso in dettaglio ai nomi e ranghi
degli ufficiali e dei soldati che hanno partecipato agli stupri di migliaia di donne
rohingya, o che hanno bruciato e raso al suolo interi villaggi.
45
https://www.youtube.com/watch?v=KRzoY-dLc_4.
46
http://www.thebuddhistbinladen.com/.
47
https://www.latimes.com/world/asia/la-fg-ff-myanmar-monk-20150524-
story.html.
48
https://www.bangkokpost.com/news/asean/1582066/protest-in-myan-
mars-rakhine-state-opposes-rohingya-return#cxrecs_s.
49
Mae Sot, una cittadina della Thailandia situata in prossimità del confine bir-
mano, conta tra la sua popolazione circa il 40% di abitanti provenienti dal Myanmar,
soprattutto dal vicino Stato karen. Questa parte di popolazione fugge dal Myanmar
a causa della povertà e per le violenze contro il loro popolo (cf. https://observers.
france24.com/en/20160808-video-burma-karen-police-army).
50
https://www.youtube.com/watch?v=KXWG4NQNIlo.
51
https://www.youtube.com/watch?v=irQhr9DOfbg.
52
https://www.youtube.com/watch?v=vtrZaChNRtA.
53
https://frontiermyanmar.net/en/tatmadaw-says-it-will-halt-operations-in-
shan-and-kachin-to-resuscitate-peace-talks.
54
https://www.ncronline.org/news/world/cardinal-bo-slams-myanmar-mili-
tary-brutality-kachin.
55
https://frontiermyanmar.net/en/rakhine-rebels-attack-police-stations-in-
pre-dawn-raids-myanmar-army.
56
https://washdiplomat.com/index.php?option=com _content&view=
article&id=15159:world-turns-blind-eye-to-yemens-civil-war-rohingya-refugees-
and-south-sudans-famine&catid=1556&Itemid=428.
57
https://frontiermyanmar.net/en/despite-eu-embargo-tatmadaw-buys-eu-
ropean-aircraft.
58
https://www.aljazeera.com/news/2018/11/eu-considers-sanctions-myan-
mar-rohingya-crackdown-181102074402851.html.
59
https://www.lastampa.it/2017/11/27/vaticaninsider/the-pope-meets-
the-military-leaders-of-myanmar-ahead-of-schedule-3xeYWlU0cjWY7AwZVZH-
vEO/pagina.html.
60
https://www.nytimes.com/2018/01/27/world/asia/myanmar-mili-
tary-ethnic-cleansing.html.
61
https://www.youtube.com/watch?v=kwGuSUM2kh0.
62
Un video di alcuni anni fa, prodotto dalla Cnn, mostra il matrimonio della figlia
del generale Than Shwe e può dare un piccolo esempio della ricchezza illimitata che
ancora oggi i militari godono con una libertà indiscussa.
63
https://www.youtube.com/watch?v=RcirjxDoe7k.
64
https://www.ucanews.com/news/cardinal-bo-asks-world-to-help-myan-
mar-find-peace/83300.
65
https://www.youtube.com/watch?v=NJkg2_72uUo.
66
https://www.youtube.com/watch?v=KgeehHK6Ku8.
67
ht tps: //w w w.th eg uardian .co m /wo rld / 2019/ jan /0 6/rak hin e -re -
bels-kill-13-in-independence-day-attack-on-myanmar-police-posts.
58 nu 235
Interdipendenza planetaria
60 nu 235
1
Cf. soprattutto La città di Dio, ma anche i discorsi nei quali sant’Agostino parla
della caduta di Roma (nn. 81, 105, 296, 397).
2
C. Lubich, Quale futuro per una società multiculturale, multietnica e multireligiosa?,
Westminster Central Hall, Londra, 19 giugno 2004.
3
Si tratta del passo della Lettera ai Romani: «Lodate, nazioni tutte, il Signore;
i popoli tutti lo esaltino» (Rm 15, 11).
4
C. Lubich, Commento alla Parola di Vita, gennaio 1991.
nu 235
I quattro verbi
di papa Francesco
64 nu 235
Fra questi, gli abitanti di Lampedusa meritano una menzione particolare, che
il papa ha esteso loro al termine della messa officiata in occasione del sua
visita lampo sull’isola italiana nel Mar Mediterraneo. Bergoglio chiaramente
rifiuta le cosiddette “espulsioni collettive e arbitrarie”, soluzioni che costrin-
gono i disperati, che hanno dovuto attraversare lo spettro della fuga da guerre
crudeli o da drammatiche carestie, a ritornare nei rispettivi Paesi di prove-
nienza dove si troveranno di fronte agli stessi problemi, in pericolo di vita e
senza una garanzia che la loro dignità e i loro diritti umani vengano rispettati.
I processi che mirano a semplificare la concessione di visti o che favoriscano
i corridoi umanitari assicurano un contatto umano, facilitano le procedure e
offrono garanzia di successo. Già Benedetto XVI, nella sua enciclica Caritas in
veritate, sottolineava quello che aveva definito come “principio della centra-
lità della persona umana”, invitando a dare la priorità alla “sicurezza perso-
nale” piuttosto che alla “sicurezza nazionale”7. Due elementi devono essere
messi opportunamente a fuoco nell’atteggiamento fondamentale necessario
per accogliere i migranti. Da un lato, è necessario rendersi conto che acco-
gliere migranti e rifugiati non va contro il processo di sviluppo. I due processi
rappresentano le ali della stessa “colomba della solidarietà”8. D’altro canto,
come già affermato da Benedetto XVI, è di fondamentale importanza assicu-
rare il diritto a migrare e, allo stesso tempo, quello a non migrare, che implica
il diritto a trovare all’interno del proprio Paese le condizioni necessarie che
permettano di condurre una vita dignitosa9. L’atteggiamento dell’accoglienza
nei confronti di chi migra o cerca rifugio può essere pienamente compreso
e accettato solo nella prospettiva del principio di solidarietà, che ha la sua
radice nella pagina evangelica che invita ad accogliere lo straniero10. La logica
qui è quella dell’amore e della misericordia, che restano i fondamenti della
prospettiva bergogliana, non solo per quanto riguarda il problema che qui si
affronta, ma quello ben più vasto della politica internazionale11.
66 nu 235
“Integrare” è il quarto verbo che papa Francesco propone agli Stati ri-
ceventi gli emigrati, in particolare in Europa e negli Usa, dove a più riprese
è tornato sull’argomento. Nel 2016, nel suo discorso di accettazione in oc-
casione dell’assegnazione del Premio Carlo Magno, Bergoglio si soffermò
proprio sulla questione dell’integrazione, sottolineando di fronte ai mag-
giori rappresentanti dell’Unione Europea la necessità di promuovere atteg-
giamenti e processi integrativi16. L’invito del pontefice mirava a scongiurare
il pericolo di scontri fra i governi e gli abitanti dei Paesi di destinazione e
i nuovi arrivati e le loro culture e religioni. In tale prospettiva Francesco
invitava a «vincere la tentazione di ripiegarsi su paradigmi unilaterali e
di avventurarsi in “colonizzazioni ideologiche”»17. L’Europa, sottolinea-
va, è «chiamata a diventare modello di nuove sintesi e di dialogo. Il volto
dell’Europa non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel por-
tare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure»18.
68 nu 235
70 nu 235
mani che migrano verso Europa e Nord America, spesso, se non sempre,
lasciano i loro Paesi con una larga maggioranza musulmana per trovare
una nuova sistemazione in nazioni dove la presenza islamica è ancora mi-
nima o, comunque, fortemente minoritaria. Inoltre, questi musulmani si
trovano a dover convivere con altre comunità musulmane provenienti da
Paesi e contesti, anche dal punto di vista islamico, molto diversi, dove si
seguono scuole giuridiche di diversa tradizione. Non si tratta di elementi
marginali, come potrebbe sembrare ad osservatori superficiali e inesperti.
Da una parte, i Paesi di accoglienza sono motivati e, spesso, costretti a
trovare modalità per assicurare una “cultura dell’accoglienza”. E si tratta di
processi tutt’altro che semplici. Dall’altra, i musulmani, oltre che trovare vie
di ambientamento alla cultura e alla lingua locale del Paese di accoglienza,
si trovano, loro malgrado, costretti a integrarsi anche con altri gruppi musul-
mani e con le loro rispettive scuole e tradizioni. I musulmani che arrivano in
Europa, quindi, si trovano a vivere due tipi di pressione socio-religiosa all’in-
terno dei processi di adattamento e integrazione. Uno è evidente, essendo
connesso al loro sforzo di inserirsi nell’ambiente socioculturale locale, che,
a sua volta, è stimolato a trovare vie e modalità per assicurare una dovuta
integrazione ai nuovi arrivati. Il secondo processo è spesso invisibile a un
approccio superficiale, specialmente da parte di osservatori occidentali.
Implica, infatti, meccanismi di adattamento all’interno di comunità e gruppi
musulmani provenienti da diversi contesti, spesso continenti differenti e, di
conseguenza, da una grande varietà di tradizioni all’interno dell’islam. Se,
da un lato, l’islam è ormai parte del destino del continente europeo e lo sarà
sempre più per la sua vita sociale e la sua storia futura, dall’altro, l’islam che
crescerà e si svilupperà nel continente europeo sarà assai diverso da quello
presente attualmente nel mondo islamico, in Paesi come l’Arabia Saudita, la
Turchia, l’Iran, l’Indonesia, il Pakistan, il Bangladesh, ecc. 33.
Tuttavia, è innegabile che l’islam rappresenti oggi per l’Europa uno dei
grandi problemi aperti. La sua presenza, infatti, mette in questione l’iden-
tità europea, la sua vita presente e futura e, spesso, crea problemi nei rap-
porti quotidiani all’interno dei quartieri, dei luoghi di lavoro e nelle scuole.
Questo fa dell’Europa il continente della “paura”, un sentimento ormai co-
mune al mondo occidentale – in Europa come in Nord America, sia pure
72 nu 235
74 nu 235
conclusione
1
Cf. Papa Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifu-
giato 2017, Città del Vaticano, 8 settembre 2016 (https://w2.vatican.va/content/
francesco/it/messages/migration/documents/papa-francesco_20160908_
world-migrants-day-2017.html).
2
Il fenomeno migratorio è una questione quasi genetica per questo uomo ve-
nuto quasi dalla fine del mondo, come egli stesso si presentò alla folla in piazza S.
Pietro, pochi minuti dopo essere stato eletto. Infatti, lui stesso fa parte di una fami-
glia che ha sperimentato il trauma della migrazione, quando i suoi si trasferirono
in Argentina dall’Astigiano, in Italia. Per anni ha continuato a vivere fra i migran-
ti, contribuendo lui stesso al fenomeno quando negli anni Settanta e Ottanta del
secolo scorso, durante la dittatura militare nel suo Paese, aiutò decine di persone
ricercate da polizia ed esercito a fuggire verso l’estero. Più tardi, come arcivescovo
di Buenos Aires, si è distinto per la cura e l’attenzione verso la gente delle periferie
della metropoli argentina, dove un buon numero di cosiddetti cartoneros sono emi-
grati da Bolivia e Paraguay. E anche la sua stessa elezione a papa lo ha costretto,
suo malgrado, a un’altra esperienza di migrazione, originale senza dubbio, dal suo
mondo argentino al Vaticano, un luogo che, non lo ha mai nascosto, soprattutto nei
primi tempi, non apprezzava per le caratteristiche che vi ha trovato. Lo provano i
molteplici cambiamenti che è riuscito ad apportare e che ancora mira a realizzare
all’interno del minuscolo Stato.
3
La parola “primo” è un termine chiave nel papato di Francesco, come sottolinea
un interessante libro pubblicato da due giornalisti italiani. Cf. G. Fazzini - S. Femminis,
Francesco. Il papa delle prime volte, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2018.
4
Cf. G. Chirri, Le novità nei viaggi di Francesco, in A. Spadaro, Il nuovo mondo di
Francesco. Come il Vaticano sta cambiando la politica globale, Marsilio Editore, Venezia
2018, p. 222.
76 nu 235
5
Cf. M. Matuzzi, Quanto è grande l’anima dell’Europa, in A. Spadaro, Il nuovo
mondo di Francesco, cit., p. 116.
6
Papa Francesco, Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato
2018, Città del Vaticano, 15 agosto 2017 (http://w2.vatican.va/content/francesco/
it/messages/migration/documents/papa-francesco_20170815_world-migran-
ts-day-2018.html).
7
Cf. Benedetto XVI, Caritas in veritate, 47. (http://w2.vatican.va/content/
benedict-xvi/en/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_ 20090629_cari-
tas-in-veritate.html).
8
E. Romeo, Le coste di un’Italia in fuga, in A. Spadaro, Il nuovo mondo di Francesco,
cit., p. 109.
9
Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al Forum Internazionale Migrazioni e Pace,
21 febbraio 2017 (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/
february/documents/papa-francesco_20170221_forum-migrazioni-pace.html).
10
Cf. Mt 25, 35.
11
È significativo che nel gennaio 2016, pochi mesi dopo l’attacco terroristico
al Bataclan di Parigi, nel suo tradizionale indirizzo al Corpo diplomatico presso la
Santa Sede, papa Francesco abbia pronunciato otto volte la parola “misericordia”,
sottolineando, fra l’altro, che essa costituiva il filo d’oro che legava tutti i viaggi com-
piuti l’anno precedente. Con Bergoglio il termine “misericordia” è diventato un pa-
radigma politico (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/no-
vember/documents/papa-francesco_20161101_svezia-conferenza-stampa.html).
12
Cf. Benedict XVI, Message to the 92nd World Day of Migrants and Refugees,
18th October 2005 (http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/en/messages/
migration/documents/hf_ben-xvi_mes_20051018_world-migrants-day.html).
13
Cf. Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, Compendio della Dottrina Sociale della
Chiesa, n. 373 (http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpea-
ce/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_en.html).
14
Si tratta di un documento prodotto al termine della conferenza tenutasi a
Lampedusa dal 31 gennaio al 2 febbraio 2014, dopo le tragedie che, fra il 3 e l’11
ottobre 2013 avevano causato la morte di più di 600 persone, affogate nel Mar
Mediterraneo. La Dichiarazione chiede la libertà di movimento per tutti gli esseri
umani e sottolinea come ogni uomo e ogni donna sia libero di scegliere il luogo
dove vivere (http://www.lacartadilampedusa.org/The%20Charter%20of%20
Lampedusa_EN.pdf).
15
La stessa Dichiarazione di Lampedusa offre un ampio spettro di diritti che, se
realizzati e salvaguardati, possono favorire l’integrazione ad ogni livello. Il docu-
mento raccomanda di adottare nuove forme di cittadinanza. In modo specifico la
Carta chiede il riconoscimento della cittadinanza sulla base dello ius soli (cf. Carta
78 nu 235
31
Ibid. I tre leader cristiani dimostrano di essere pienamente coscienti che,
come afferma la Charta Oecumenica del 2001, «riconciliazione [per i cristiani]
significa promuovere la giustizia sociale all’interno di un popolo e tra tutti i po-
poli […]. Vogliamo contribuire insieme affinché venga concessa un’accoglienza
umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi e a chi cerca asilo in
Europa», Charta Oecumenica. Guidelines for the Growing Cooperation among the
Churches in Europe, Strasbourg, 22nd April 2001 (http://www.ceceurope.org/
wp-content/uploads/2015/07/ChartaOecumenica.pdf).
32
Infatti, molti di coloro che fuggono dai rispettivi Paesi di origine, soprattutto
ma non solo dal Medioriente, sono cristiani e lo stesso può essere detto per coloro
che giungono da alcuni Paesi dell’Africa subsahariana.
33
A questo proposito cf. il recente numero della rivista Oasis, Musulmani d’Euro-
pa. Tra locale e globale, XIV, 28 (2018), Marsilio Editore. In particolare cf. F. Dassetto,
Il compito che ci attende, pp. 7-14; J. Nielsen, L’Islam europeo: tendenze e prospettive,
pp. 18-35; U. Shavit, I paradossi sul dibattito sull’integrazione, pp. 36-44; B. Bruce, La
via marocchina all’Islam Europeo, pp. 45-53; B. Conti, L’Islam in Italia, dalla comunità
alla cittadinanza, pp. 54-69; W. Farouq, La fatwa, specchio della religiosità islamica in
Europa, pp. 70-86; S. Hamid, Il salafismo in Gran Bretagna. Le ragioni di un successo, pp.
87-95; F. Botturi, Le condizioni della convivenza multiculturale, pp. 96-109.
34
Cf. D. Moïsi, Geopolitica delle emozioni. Le culture della paura, dell‘umiliazione e
della speranza stanno cambiando il mondo, Garzanti, Milano 2009.
35
A partire dal 2011, l’Europa è stata testimone di una serie impressionante di
affermazioni contro l’islam e i suoi seguaci. Un numero crescente di persone (sem-
plici cittadini, giornalisti e un numero notevole di politici) ha individuato nell’islam e
nei musulmani il vero problema dei rispettivi Paesi di appartenenza e del continente
intero. Cresce di pari passo la convinzione che questa religione e i suoi seguaci non
potranno mai trovare le modalità per una vera integrazione in Europa e nel suo tessuto
sociale (cf. M. Kaemingk, Christian Hospitality and Muslim Immigration in an Age of Fear,
Grand Rapids [MI], William B. Eerdmans Publishing Company, 2018, p. 30).
36
Cf. ibid., p. 9.
37
Cf. ibid.
38
È lo stesso tipo di sentimento che Donald Trump ha iniettato, giorno dopo
giorno, nell’immaginario del suo elettorato con slogan America first. Una volta
conquistata la Casa Bianca, ha imposto un controllo sempre più stretto ed esi-
gente nei confronti dei musulmani che entrano negli Usa, per assicurarsi del loro
atteggiamento nei confronti della democrazia statunitense. Gli stessi discorsi di
Trump riflettono un profondo e crescente, mai celato, sentimento anti-islamico
che, del resto, si è venuto formando nella cultura politica americana certamente
dopo l‘11 settembre, ma anche prima degli attacchi alle Torri gemelle e al Penta-
gono (cf. ibid., pp. 30-31).
39
Papa Francesco, Evangelii gaudium, 250.
40
Id., Discorso ai partecipanti della Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per
il Dialogo Interreligioso, Città del Vaticano, 28 novembre 2013 (http://w2.vatican.
va/content/francesco/it/speeches/2013/november/documents/papa-france-
sco_20131128_pc-dialogo-interreligioso.html).
41
Id., Evangelii gaudium, 252.
42
Ibid., 253.
43
Cf. Papa Francesco, Discorso al Centro Astalli di Roma per Migranti e Rifugia-
ti, Roma, 10 settembre 2013 (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/spee-
ches/2013/september/documents/papa-francesco_20130910_centro-astalli.
html).
44
Id., Discorso ai partecipanti all’incontro ecumenico e interreligioso, Sarajevo (Bo-
snia ed Erzegovina), 6 giugno 2015 (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/
speeches/2015/june/documents/papa-francesco_20150606_sarajevo-incon-
tro-ecumenico.html).
45
Cf. Id., Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, Città del
Vaticano, 6 maggio 2016, cit.
46
Cf. ibid.
47
Cf. G. Perego, Uomini e donne come noi. I migranti, l’Europa, la Chiesa, La Scuola
Editrice, Brescia 2015, p. 74.
80 nu 235
resta della libertà umana. Per il tomismo la libertà si pone nella relazione
tra l’intelletto e la volontà, in quanto la volontà è subordinata all’intelligen-
za, la pratica alla teoria, l’azione alla verità. La volontà è determinata solo
dal bene assoluto, ma noi viviamo in un mondo di beni limitati, per cui sia-
mo liberi di fronte a tutti i beni parziali, che l’intelligenza conosce in questo
mondo»2. Il libero arbitrio, dall’altra parte, è una proprietà che proviene
dalla nostra stessa natura di esseri dotati di intelligenza. Maritain distin-
gue, così, due significati a riguardo della libertà: «la libertà di scelta o libero
arbitrio, che implica un’assenza di necessità o necessitazione, e la libertà
di autonomia, di sviluppo e infine di esultazione, che implica un’assenza di
coazione esterna, ed il cui dinamismo conduce la persona umana verso una
crescente pienezza di vita, verso la piena esplicazione delle sue virtualità
e verso il suo proprio compimento»3. Questa libertà sviluppa l’armonica
collaborazione dell’intelligenza e della volontà, permettendo alla persona
di raggiungere il buono e il vero e, dunque, la perfezione della vita umana.
Sicché, riprendendo il pensiero di san Tommaso, «la radice della libertà
come soggetto è la volontà, ma come causa è la ragione»4, poiché è nel
giudizio pratico-pratico, che determina l’atto concreto da porsi qui e ora, in
cui l’uomo si decide liberamente per il bene o per il male. La distinzione
tra il sapere speculativo e il sapere pratico deve sempre essere tenuta pre-
sente, perché a livello epistemologico ne deriva un rapporto di relazione
e una subordinazione tra la filosofia e la teologia che può essere di infrap-
posizione o di subalternazione, a seconda che si tratti di sapere teoretico
o di sapere pratico. Maritain precisa che nel primo caso si tratta di «una
infrapposizione che lascia alla filosofia la sua autonomia completa e non
implica subalternazione»5. Quando, invece, si tratta del sapere pratico, il
cui oggetto sono le azioni da intraprendere da parte di un uomo, che si
trova in una data situazione storico esistenziale, tenendo conto del suo fine
ultimo, allora un sapere pratico «non potrà esistere come sapere (pratico)
stabilizzato nel vero in maniera organica, se esso non conoscesse le verità
di fede»6. Ne consegue che una morale puramente naturale non sarebbe in
grado di guidare correttamente l’azione umana, non conoscendone le reali
condizioni di operabilità. Il filosofo francese propone, dunque, una filosofia
morale adeguatamente presa, subalternata alla teologia, che resta metodo-
82 nu 235
84 nu 235
gli altri spiriti umani e conosce intuitivamente Dio, faccia a faccia. È ciò
che esprime anche Dante nel Paradiso, quando si domanda «se nel Regno
dei cieli riconosceremo le persone incontrate sulla terra. Secondo la Divina
Commedia, i salvati non si ricorderanno in maniera vaga gli uni degli altri,
quasi dissolti nel bene divino, ma riconosceranno coloro che hanno cono-
sciuto nella vita terrena. Il Poeta esprime questo commovente pensiero nel
XIV canto quando gli appaiono i beati in vesti luminose e accecanti»17. Se-
condo Dante, in Paradiso, «il proprio essere personale si mantiene e non
è dissolto. L’anima beata può riportare così al cuore, ormai infiammato di
beatitudine da Dio, la memoria e la presenza delle persone incontrate e già
amate, benché in modo imperfetto, nella vita terrena»18: «forse non pur
per lor, ma per le mamme, / per li padri e per li altri che fuor cari / anzi che
fosser sempiterne fiamme»19.
La morale presuppone la conoscenza, ma non speculativa, bensì un sa-
pere pratico, che non riguarda l’essere da conoscere ma i fini da intrapren-
dere, gli atti da fare. Ecco il riferimento al divino: «Dio – afferma Viotto –
come creatore è a capo del mondo della natura e come legislatore è a capo
del mondo della libertà, nel primo caso nulla gli può fare resistenza, nel se-
condo caso la creatura può resistere al Creatore introducendo nel mondo,
di sua iniziativa, il male»20. Scrive il filosofo francese:
86 nu 235
il fine ultimo
Il bene morale vale per se stesso nella sua oggettività, ma è anche il bene
del soggetto che lo compie: «Amare l’azione buona perché è buona e perché
mi rende buono è la stessa cosa»36. Si comprende fin da subito che «l’im-
presa di filosofia morale di Maritain mira a fondare l’etica sulla base della
metafisica dell’essere, e quindi sulle proprietà trascendentali dell’essere,
in particolare nel caso dell’etica sul bene, e su quanto ne deriva, in special
modo sul valore»37. La filosofia morale presuppone, infatti, l’esperienza mo-
rale, mediante la quale si manifesta una conoscenza connaturale dei valori
morali (in modo precosciente), posti gradatamente in luce nella sua storia.
L’intelligenza umana «non giudica allora in virtù di ragionamenti e di connes-
sioni di concetti, di dimostrazioni e di necessità logiche; giudica in maniera
non concettuale, per conformità alle inclinazioni che sono in noi, e senza es-
sere capace di esprimere le ragioni del proprio giudizio; il suo giudizio ha un
valore implicitamente razionale non ancora evidenziato»38. Precisa Viotto:
88 nu 235
to: «Persino quando conosce ciò di cui non è la causa – il male come tale –, la
scienza divina non è mai formata da quanto conosce»43.
Il male compiuto allontana dal fine ultimo della vita umana e, benché esi-
stano fini infravalenti, questo rimane nel subcosciente di colui che agisce. Il
bene morale implica, poi, la nozione di valore e di fine a riguardo rispettivamen-
te dell’ordine di specificazione (il bene è da farsi, perché è bene) e dell’ordine di
esercizio (decidersi a vivere secondo quel bene). La libertà riguarda l’ordine di
esercizio e il fine; la norma, invece, concerne l’ordine di specificazione e il valore.
Il valore incondizionato della creatura libera si risolve comprendendo
che questa è direttamente e immediatamente ordinata a Dio. Qui si ritrova
il valore etico del concetto di regola o norma, il quale necessita una distin-
zione importante. Scrive a tal proposito Carlo Caffarra:
90 nu 235
una regola, ma nel mantenere l’ordine da porre in essere hic et nunc, con
prudenza, in riferimento alla “norma-pilota”.
La norma costituisce la causa formale dell’azione, non quella finale, ma
si inserisce nel dinamismo dell’atto morale. Si devono, difatti, considerare
due aspetti dell’obbligazione: la norma-precetto, che giudica l’azione, e la nor-
ma-pilota che guida l’azione. La norma-pilota, «nel senso di compasso per
tracciare le righe, di filo della sinopia, di misura, di forma matrice»47, è molto
importante, perché l’atto aspira spontaneamente alla sua regolazione, ma
non è separabile dalla norma-precetto, perché solo Dio può essere legge a se
stesso. Se la filosofia greca ha dato più importanza alla norma-pilota (come
forma promotrice di armonia), la filosofia cristiana ha dato maggior rilievo
alla norma-precetto, nonostante i due aspetti della obbligazione morale non
debbano essere separati, perché «ciò che è male, considerando la norma
come misura, è proibito dalla norma come precetto»48. Infatti, «peccare non
è altro che deviare dalla rettitudine che un atto dovrebbe avere»49.
L’uomo è libero di determinare i suoi fini, di scegliere il suo fine ultimo, ma
questa scelta non modifica il valore, che impegna la volontà: «Ciò che è ultimo
nell’ordine dell’esecuzione diventa il primo nell’ordine dell’intenzione»50. Il va-
lore è predeterminato dall’essere, nella sua oggettività, il fine è scelto per au-
todeterminazione dal soggetto, perché «il desiderio naturale di felicità è una
specie di cornice vuota: dipende dalla mia scelta riempire questa cornice con
un quadro determinato»51. Tuttavia, per fondare una morale non basta il valore,
perché nell’azione la causa formale deve esplicitarsi attraverso una causa fi-
nale: «La bontà o la malizia intrinseca di un atto ci forniscono il perché formale,
ma resta necessario il perché finale, quando si tratta del passaggio all’esisten-
za; per avere presa sull’esistenza i valori debbono essere inseriti nel dinami-
smo della nostra naturale tendenza alla felicità»52. In realtà – spiega Possenti –,
«la ricerca della felicità è per l’uomo qualcosa a cui tende non per libera scel-
ta, ma per profonda e incoercibile necessità di natura: la perfetta e compiuta
felicità è in tal modo il fine ultimo soggettivo dell’essere umano, come avevano
ben compreso i greci, che su tale assunto fondavano tanta parte delle loro
dottrine morali»53. Se si vuole, tale fine ultimo soggettivo è quella nota costan-
te, dove tutto il resto non è escluso ma marginale rispetto al tema principale.
Quell’unica nota è ciò che permette l’incontro puro, perché purificato, con Dio.
Una nota, come quella del Preludio op. 28, n. 15 di Chopin, detta “la goccia”, che
ritorna continuamente nonostante le variazioni del tema (della vita). Si tratta
di una nota sola, eppure quando ci si accorge di questa nota – fa osservare
Luigi Giussani –, non la si perde più, non si può più perderla, resta una fissa-
zione. Tale pensiero fisso è il desiderio della felicità54. La sete di felicità si può
obliare, ma – come afferma ancora Giussani – ritorna, come urgenza senza
cui l’uomo non può vivere: inizia e finisce il breve brano della nostra vita. È
quanto suggerisce il Poeta nel viaggio della Commedia: l’uomo è, infatti, «de-
siderio, ossia in rapporto con le stelle, e Dante – con questa parola, dal latino
sidera (de-sidera) – ha concluso tutte e tre le cantiche: “E quindi uscimmo a
riveder le stelle” (Inferno, XXXIV, v. 138), “puro e disposto a salire alle stelle”
(Purgatorio, XXXIII, v. 145), “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso,
XXXIII, v. 145)»55. La ricerca della felicità, insita in ogni creatura, è tensione
verso l’eterno, che coincide con la Verità, il Bene e la Bellezza. San Tommaso
d’Aquino parlerà del desiderium naturale videndi Deum (desiderio naturale di
vedere Dio): «La passione che attraversa l’uomo è quella di contemplare Dio,
ma un Dio che non è in concorrenza con l’uomo, non è in dialettica con lui; un
Dio così intimo all’uomo che promuove l’uomo stesso»56. Il desiderio porta a
comprendere che con Dio è possibile la redenzione in cui è
secondo Maritain, non può che distinguere tra Bene e Felicità, e in-
dicare che bisogna amare il Fine ultimo assoluto (Dio, Supremo Bene
per sé sussistente) più che il fine ultimo soggettivo (la Felicità).
Di fatto si può dire che il cristianesimo abolisce la separazione tra
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Il desiderio della visione di Dio è iscritto nell’animo umano («che del di-
sio di sé veder n’accora»59) e quando si compie rinasce ancora da se stesso
(«saziando di sé, di sé asseta»60). Spiega Gilson:
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Non solo, introduce anche una ferita nell’essere che va risanata. Tuttavia,
«se il male cresce assieme al bene, il bene cresce maggiormente»76.
Si è di fronte al male, che produce sofferenza, che «in se stessa non è
un bene, essa è un male»77. Tuttavia, il suo effetto è ambivalente, perché
«diminuisce ciò che vi è di biologico nell’uomo, ma può rafforzare e purifi-
care ciò che vi è di morale in lui»78. Maritain considera tre atteggiamenti di
fronte alla sofferenza:
96 nu 235
Dal canto suo, il filosofo francese spiega che «il Cristo non ha scelto la
sofferenza perché è buona, ma ha voluto subirla per salvare il mondo»82
e i santi «la amano e la tengono cara come sofferenza del Cristo cui essi
partecipano, non come sofferenza, perché come tale essa è sempre odio-
sa»83. La sofferenza ha, però, un senso, seppur «nell’ordine naturale si deve
lottare contro di essa, si deve tentare di diminuirla per quanto è possibile,
poiché è un male»84. Tuttavia, «nell’ordine soprannaturale la sofferenza è
pur sempre un male, ma un male di cui Dio si serve per il nostro bene e
del quale soltanto Lui può servirsi con tanta sicurezza. Perciò quando essa
giunge bisogna benedirla, perché nelle mani di Dio, quel male può diven-
tare un bene. Ma non si può desiderarla per altri, perché è un male»85. La
sofferenza diviene, addirittura, luminosa, non riducendo l’uomo a una vita
schiacciata e oppressa. Scrive ancora Journet:
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1
V. Possenti, Una filosofia per la transizione. Metafisica, persona e politica in J.
Maritain, Massimo, Milano 1984, p. 66.
2
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, Città Nuova, Roma 2003, p. 32.
3
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., pp. 66-67.
4
J. Maritain, La philosophie bergsonienne. Études critiques, in J. et R. Maritain,
Oeuvres complètes. Volume I, Éditions Universitaires - Éditions Saint-Paul, Fribourg
(Suisse) - Paris 1986, pp. 5-612: p. 443. Tutte le traduzioni nel testo sono a cura
dell'Autore.
5
J. Maritain, Science et sagesse, suivi d’éclaircissement sur la philosophie morale,
in J. et R. Maritain, Oeuvres complètes. Volume VI, Éditions Universitaires - Éditions
Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1984, pp. 11-250: p. 109.
6
Ibid., p. 89.
7
Ibid., pp. 180-181.
8
Ibid., p. 182.
9
Ibid.
10
Ibid., pp. 182-183.
11
Ibid., p. 186.
12
Ibid., p. 189.
13
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., p. 62.
14
J. Maritain, Du régime temporel et de la liberté, in J. et R. Maritain, Oeuvres com-
plètes. Volume V, Éditions Universitaires - Éditions Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Pa-
ris 1982, pp. 319-515: p. 334.
15
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., pp. 99-100.
16
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 277.
17
S. Pinna, Amore e perdono nella poesia di Dante. Meditazione teologica sulla mi-
sericordia. Prima Parte, «Città di Vita», 72 (2017/1), pp. 31-48: p. 34.
18
Ibid., p. 36.
19
Paradiso, XIV, vv. 64-66.
20
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 143.
21
J. Maritain, Du régime temporel et de la liberté, cit., p. 346.
22
Ibid., p. 349.
23
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., p. 75.
24
Ibid., p. 76.
25
Ibid.
26
Ibid.
27
J. Maritain, Théonas, ou les entretiens d’un sage et de deux philosophes sur diver-
ses matières inégalement actuelles, in J. et R. Maritain, Oeuvres complètes. Volume II,
Éditions Universitaires - Éditions Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1987, pp. 765-
921: pp. 852-853.
28
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 51.
29
J. Maritain, Théonas, ou les entretiens d’un sage et de deux philosophes sur diver-
ses matières inégalement actuelles, cit., pp. 863-864.
30
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., p. 81.
100 nu 235
31
«Riporta le lezioni tenute nel 1949 alla fondazione Eau-Vive dei padri domeni-
cani della scuola di Saulchoir nei pressi di Parigi. L’opera va raccordata con altri due
scritti: Scienza e Saggezza, del 1935, nella quale Maritain stabilisce lo statuto episte-
mologico della scienza morale, e La filosofia morale del 1960, nella quale analizza i
diversi sistemi di filosofia morale da Socrate fino a Bergson e a Dewey» (P. Viotto,
Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 294).
32
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, in J. et
R. Maritain, Oeuvres complètes. Volume IX, Éditions Universitaires - Éditions Saint-
Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1990, pp. 739-939: p. 751.
33
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 294.
34
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 771.
35
Ibid., pp. 776-777.
36
Ibid., p. 780. In questa prospettiva, «il desiderio della felicità è inseparabile
dall’amore per il bene in se stesso» (P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere,
cit., p. 295).
37
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., p. 71.
38
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 796.
39
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., p. 295.
40
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 815.
41
Ibid., p. 816.
42
J. Maritain, La pensée de saint Paul, in J. et R. Maritain, Oeuvres complètes. Volu-
me VII, Éditions Universitaires - Éditions Saint-Paul, Fribourg (Suisse) - Paris 1988,
pp. 427-615: p. 511.
43
J. Maritain, Frontières de la poésie e autres essais, in J. et R. Maritain, Oeuvres
complètes. Volume V, cit., pp. 689-916: p. 791.
44
C. Caffarra, Viventi in Cristo, Jaca Book, Milano 1981, p. 76.
45
Ibid., p. 78.
46
J. Maritain, Court traité de l’existence et de l’existant, in J. et R. Maritain, Oeuvres
complètes. Volume IX, cit., pp. 9-140: p. 55 (trad. it.: J. Maritain, Breve trattato dell’esi-
stenza e dell’esistente, Morcelliana, Brescia 19984, p. 43).
47
J. Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosophie morale, cit., p. 879.
48
Ibid., p. 884.
49
Ibid., p. 874.
50
Ibid., p. 821.
51
Ibid., p. 825.
52
Ibid., p. 834.
53
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., p. 71.
54
«Qualunque realtà si reputa fondamentale, da qualunque cosa uno sia atti-
rato o desideri, al momento rende lieti, ma dopo passa. C’è invece una nota che
rimane intatta, pur con qualche leggero mutamento; dal principio alla fine resta la
stessa nella sua profondità, nella sua semplicità assoluta e nel suo carattere univoco
domina la vita: è la sete di felicità. Mi sono improvvisamente accorto – scrive Gius-
sani – che la bellezza del preludio di Chopin era apparentemente determinata, det-
tata dalla melodia di primo piano – che è bellissima, ha delle variazioni bellissime –,
ma l’attrattiva del pezzo, la profondità del pezzo, la verità del pezzo non era nella
melodia di primo piano: era in una nota che incominciava a farsi sentire leggerissima
e poi cresceva, cresceva, cresceva, così che la melodia passava in seconda linea e in-
vece ingrossava questa nota, sempre quella, sempre quella – proprio “mono-tono” –,
sempre quella; e poi passava in secondo piano e poi ripassava in primo piano. E
quando uno incomincia ad accorgersi di quella nota, capisce che il tema del pezzo
è quella nota e non la melodia, e quella nota diventa come una fissazione. Tant’è
vero che alla terzultima o penultima battuta finalmente sembra che questa nota sia
stata vinta: la melodia prende il sopravvento e detta le sue note lentamente, quasi
dominando il campo. Ma dopo quattro o cinque di queste note che dominano il
campo, tac tac tac: la goccia ritorna. E io ho capito improvvisamente, sentendo que-
sto preludio di Chopin – dopo averlo sentito cento volte –, che questo è il senso della
vita: il senso della vita è come quella nota, sempre quello, uniforme. Tutto il colore,
tutta la varietà della vita è nell’apparenza; ma, pur essendo la varietà della vita, il
colorito della vita, tutto nell’apparenza, non è quello il tema della vita. Quello che
l’uomo vuole non è quello, quello che l’uomo aspetta non è quello: è piuttosto quella
fissazione lì, che è il desiderio di felicità, il desiderio della felicità. Quella nota lì è
nella melodia ciò che nell’uomo è il desiderio della felicità, l’esigenza del cuore, vale
a dire il punto di fuga» (L. Giussani, L’autocoscienza del cosmo, Biblioteca Universale
Rizzoli, Milano 2000, pp. 299-300).
55
S. Pinna, Amore e perdono nella poesia di Dante, cit., p. 36.
56
I. Biffi, San Tommaso d’Aquino. Il teologo. La teologia, Jaca Book, Milano 1992, p. 27.
57
F. Nembrini, Dante, poeta del desiderio. Conversazioni sulla Divina Commedia.
Volume III - Paradiso, con un intervento di M. Bersanelli, Itaca, Castel Bolognese
2015, pp. 8-9. E scrive ancora: «Così si compie quel grande desiderio che ci fa vivere,
il desiderio che la vita sia salva. Salva non nel senso che andrà a finir bene nell’aldilà:
che sia salva ora. Che sia salva l’amicizia che vivo con i miei amici, siano salvi i miei
figli e la mia donna, siano salvi l’utilità del tempo che passa e il dolore che c’è. Che
la vita e ogni particolare della vita siano salvi, cioè siano rapporto con le stelle, rap-
porto con l’Infinito e con l’Eterno» (ibid., p. 9).
58
V. Possenti, Una filosofia per la transizione, cit., pp. 73-74.
59
Purgatorio, V, v. 57.
60
Ibid., XXXI, v. 129. È ancora Dante a mostrare plasticamente quanto intende il
filosofo francese. Il Paradiso è il compimento del desiderio, dove la sua soddisfazio-
102 nu 235
82
J. Maritain, Sur la souffrance, cit., p. 264.
83
Ibid.
84
Ibid., p. 261.
85
Ibid., pp. 261-262.
86
C. Journet, Il Male, cit., p. 288.
87
J. Maritain, Science et sagesse, Labergerie, Paris 1936, p. 217. Traduzione a cura
dell'Autore.
88
Ibid., p. 219.
89
P. Viotto, Jacques Maritain. Dizionario delle opere, cit., pp. 178-179.
90
J. Maritain, Science et sagesse, cit., p. 217.
91
S. Pinna, Un grande amico. Il Maritain di Viotto, Edizioni Studium, Roma 2018, p. 112.
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due annunciazioni
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ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la
vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di
Emmanuele», che significa Dio con noi (Mt 1, 22-23).
La citazione, tratta dal profeta Isaia, presenta una questione, molto stu-
diata dagli esegeti, riguardante la parola “vergine”10. Il testo ebraico non
parla di una vergine, betulah, ma di una ‘alma, cioè di una giovane donna.
Quando il testo di Isaia fu tradotto in greco, il traduttore usò il termine par-
thenos, vergine. In greco, il versetto biblico è molto più sorprendente: che
una vergine d’Israele sia incinta è un fatto straordinario e si adatta meglio
al contesto isaiano. Il profeta, infatti, ha annunciato un segno e la natura
del segno è di manifestare un avvenimento inusuale: che un figlio nasca
da una giovane donna è un avvenimento banale, che invece nasca ad una
vergine è denso di significato11. È importante anche sottolineare che se de-
gli ebrei dell’era precristiana hanno potuto leggere sia giovane donna che
vergine, ciò fa pensare che il testo avesse un senso per loro in entrambi i
casi. Sposata o vergine, la giovane donna menzionata da Isaia è una donna
che ha un legame con Dio. Questa donna misteriosa diventa una partner di
Dio nel dare alla luce un figlio che, nella sua persona, manifesta una spe-
ciale presenza di Dio: egli si chiamerà Emmanuele. Se si pone l’accento sul
termine ‘alma, giovane donna, si può pensare all’intervento di Dio in seno
a una coppia umana. È il caso di Anna ed Elkanà (1 Sam 1, 2). Se si pone
l’accento sulla nozione di parthenos, vergine, si sottolinea che Dio è lo spo-
so ed è lui che dona la vita. Quindi, il significato della profezia di Is 7, 14
rimane aperto e uno dei compimenti possibili dell’annuncio profetico è che
la vergine dia alla luce un figlio. In tal senso, il testo di Mt 1, 23 ha un denso
significato e spiega ciò che agli occhi degli uomini è una contraddizione:
una vergine che è sposa e madre. È il mistero di Dio! Come afferma Philippe
Lefebvre, quando Dio è presente, le realtà di sposa e vergine cessano di
essere delle categorie umane che si oppongono, poiché esse sottolineano
due forme possibili dell’alleanza di una donna con Dio. La verginità non
è assenza di matrimonio, ma è un modo per dire lo sposalizio con Dio12.
Maria è la madre del figlio di Davide, cioè la parthenos/’alma che dà alla
luce l’Emmanuele, il Dio in mezzo a noi. Anche il Vangelo di Luca presenta
Alla luce di questi testi, appare evidente che l’evangelista abbia voluto
offrire una rilettura di oracoli profetici alla luce del Risorto (cf. Lc 1, 32.35).
La figlia di Sion, che nei passi sopra riportati rappresenta un simbolo, una
personificazione del popolo di Israele, in Luca prende i lineamenti del volto
della giovinetta di Nazareth: «La Vergine presenta anche i tratti della figlia
di Sion escatologica, vagheggiata e cantata dai profeti. La figlia di Sion in-
carna la comunità dell’alleanza, sposa di Dio e madre del Messia che por-
terà la salvezza al popolo»15.
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Fin dalle prime pagine della Bibbia, appare un importante filo condutto-
re. Gli inizi del popolo di Israele affondano le loro radici in tale tematica: la
sterilità delle matriarche – Sara, Rebecca, Rachele – e la nascita di un figlio
“inconcepibile”. È nel colloquio con Dio che la sterilità di queste donne si
apre alla fecondità. Non percorreremo qui le varie storie bibliche, ma ci
concentreremo su due testi che esprimono la lode a Dio per una tale mera-
viglia: la nascita di un figlio che testimonia la grandezza di Dio. Il figlio che
non può nascere, il figlio “inconcepibile”, viene alla luce!
Nella Bibbia ebraica, vi è una sola donna chiamata Anna. Questa figura
di donna appare nelle prime pagine del Primo libro di Samuele. Anna, spo-
sa amata di Elkanà, è sterile. Ogni anno, la donna sale al tempio del Signore
ed è in questo luogo che lei chiede a Dio il dono di un figlio:
bene chi sia e cosa dovrà fare questo misterioso personaggio. Sarà Samue-
le, suo figlio, che consacrerà il primo messia. Il cantico di Miryam, invece,
non menziona il messia, perché egli è presente: la promessa si è realizzata.
La giovinetta di Nazareth porta in sé il messia, questo figlio “inconcepibi-
le”. Nella Bibbia, due donne aprono la via al messia che viene: Anna, che
lo annuncia per la prima volta; Maria che, per il suo sì al mistero di Dio,
offre le sue carni e il suo grembo alla formazione del corpo del Figlio di Dio,
uomo in mezzo agli uomini. Il Magnificat di Miryam è «la lode di colei che
ha creduto»; è un inno che da secoli è entrato nella preghiera della Chiesa
d’Oriente e d’Occidente, che fa da «ponte o cerniera tra l’Antico e il Nuovo
Testamento, tra Israele e la Chiesa»22.
la madre e la chiesa
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La giovane sposa e madre assume, in alcuni scritti del NT, una dimensione
metaforica grandiosa. Infatti, Miryam non solo è presentata in stretto lega-
me con la primitiva comunità, ma è anche considerata come «personifica-
zione concreta ed ideale» della Chiesa nascente. Miryam appare, inoltre,
come personificazione della figlia di Sion, come sposa fedele del Signore,
come madre del Figlio e madre del discepolo prediletto e, in lui, come ma-
dre di tutti i figli e le figlie d’Adamo. Miryam è anche la donna dell’Allean-
za25. Il suo fiat a Dio è una risposta personale e comunitaria insieme che
indica: a) «la ricapitolazione della storia primordiale sotto il segno della
grazia e della benedizione»; b) «un nuovo inizio della storia biblica iniziata
con la fede di Abramo». In Luca, Miryam appare come punto in cui con-
verge «la storia del popolo dell’antica alleanza»26 e si inaugura la storia
della nuova Alleanza. Come Abramo, ella ha creduto e ha avuto fede a una
promessa umanamente impossibile.
Già nel racconto lucano dell’annunciazione, la giovinetta di Nazareth
è presentata come persona individuale e come figura tipologica di sintesi:
in lei si compendia l’attesa antica del popolo d’Israele, «si inaugura […] la
comunità dei discepoli di Gesù». È la prima seguace del Figlio. Ma è soprat-
tutto ai piedi della croce del Figlio crocifisso che Miryam «rappresenta e in-
carna la Chiesa». Tutti sono fuggiti, ma lei è là, sta in piedi a rappresentare
la comunità cui è tolto lo Sposo. In quell’ora tragica, sorge un mondo nuovo,
nasce la comunità della nuova Alleanza. I figli di Dio dispersi sono radunati
dal-per-nel sacrificio di Cristo, ed ella è proclamata Madre. Nel libro degli
Atti, Miryam è presente allorquando la comunità primitiva si raduna (At 1,
13-14): «Ella è là come la madre di Gesù, il Risorto, e come colei nella quale
si è compiuta in anticipo l’effusione dello Spirito che ora sta per discendere
sui discepoli, rendendoli comunità della nuova alleanza (Gl 3, 1-5) e testi-
moni del Risorto»27.
Anche nel grandioso segno della donna vestita di sole (Ap 12, 1) e nel
simbolo della nuova Gerusalemme discesa dal cielo (Ap 21-22), «la figu-
ra della madre di Gesù e della comunità si intrecciano e si alternano, in
maniera complementare. La Chiesa, come Maria, sperimenta le prove a
motivo di Cristo, partecipa delle sofferenze del suo Signore, ma un gior-
no si rivelerà quale sposa dell’Agnello e città del Dio vivente rivestita di
conclusione
1
In greco Mariam.
2
A. Valentini, Maria secondo le Scritture. Figlia di Sion e Madre del Signore, EDB,
Bologna 2007, p. 7.
3
Ibid., p. 21.
4
A.M. Serra, La presenza e la funzione della Madre del Messia nell’Antico Testamento.
Principi per la ricerca e applicazioni, 2008, p. 15, articolo in pdf disponibile al seguente link:
http://www.culturamariana.com/pubblicazioni/fine29/01-fine2008-Serra.def.pdf.
5
Cf. A. Valentini, Maria secondo le Scritture, cit., p. 26-27.
6
Cf. P. Lefebvre, La Vierge au Livre. Marie et l’Ancien Testament, Cerf, Paris 2004.
7
A.M. Serra, La presenza e la funzione della Madre del Messia nell‘Antico Testa-
mento, cit., p. 16.
8
Per l’intero paragrafo, cf. P. Lefebvre, Agar et la servante du Seigneur, in La Vier-
ge au Livre, cit., pp. 59-66.
9
Per questo paragrafo e i successivi, cf. P. Lefebvre, Marie et l’humiliation des
femmes, in La Vierge au Livre, cit., pp. 135-139.
10
Cf. la posizione di P. Lefebvre, “La vierge concevra” (Is 7, 14). Une prophétie pos-
sible!, in La Vierge au Livre, cit., pp. 143-149. Cf. anche: A. Valentini, La Madre-Vergine
dell’Emmanuele (Mt 1), in Maria secondo le Scritture, cit., pp. 71-78.
11
Cf. lo studio dettagliato di C. Rico, ‘almâ et parthenos dans l’univers de la Bible:
le point de vue d’un linguiste, disponibile in pdf al seguente link : http://www.acade-
116 nu 235
mia.edu/394556/almah_et_parthenos_dans_lunivers_de_la_Bible_le_point_de_
vue_dun_linguiste.
12
Cf. P. Lefebvre, “La vierge concevra”, cit., p. 145.
13
Cf. A. Valentini, Chaíre, kecharitōménē (Lc 1, 26-38), in Maria secondo le Scrittu-
re, pp. 89-105.
14
Ibid., pp. 92-93.
15
Ibid., p. 101.
16
A. Valentini, Chaíre, kecharitōménē (Lc 1, 26-38), in Maria secondo le Scritture,
cit., pp. 89-105.
17
Ibid., pp. 93-94.
18
Cf. ibid., p. 101.
19
Ibid., p. 96.
20
Cf. P. Lefebvre, Marie et l’humiliation des femmes, in La Vierge au Livre, cit., pp.
197-198.
21
Sul Magnificat, cf. A. Valentini, Il canto della Figlia di Sion (Lc 1, 46b-55) e Ap-
procci esegetici al Magnificat, in Maria secondo le Scritture, cit., pp. 133-144; 145-164.
22
Ibid., p. 133.
23
A. Valentini, Maria secondo le Scritture, cit., p. 379.
24
Cf. ibid., pp. 382-383.
25
Cf. A. Serra, La Donna dell’Alleanza. Prefigurazioni di Maria nell’Antico Testamen-
to, Messaggero, Padova 2006.
26
A. Valentini, Maria secondo le Scritture, cit., p. 387.
27
Ibid., p. 389.
28
Ibid., p. 390.
nu 235
da più di dieci anni svolge la sua attività vicino a Firenze. Nel suo discorso, ripor-
tato di seguito al testo di Zanghí, Chiara Lubich introduce gli studenti al tema,
trasversale e allo stesso tempo centrale, della Sapienza divina.
Zanghí riprende e sviluppa questo tema facendo un’interessante anali-
si, ancor oggi attualissima, sulla fonte di un’autentica cultura cristiana e sulla
metodologia per approdarvi. Il suo discorso, come quello della Lubich, riprende
un’esperienza mistica, vissuta da Chiara e i suoi primi compagni, nel periodo
1949-1951, e denominata “Paradiso ’49”, a cui è stato dedicato il Focus del nu-
mero 234 di Nuova Umanità.
Abbiamo lasciato questa trascrizione nello stile di una conversazione infor-
male e colloquiale per non perdere e non tradire lo spirito originale e profondo
da cui sgorgano le riflessioni che Zanghí condivide con i suoi interlocutori e da
cui emerge con spontaneità il suo essere stato portatore di una testimonianza
intellettuale al servizio del Carisma di Chiara Lubich, di cui solo col tempo si
potrà prendere piena consapevolezza.
mathworkshop 2004
120 nu 235
122 nu 235
talmente nella gloria di Dio che non sia più adattamento ma sia rivelazione
compiuta e completa di quello che Dio è. Ma qui dobbiamo aspettare di
essere tutti nel Paradiso col corpo risorto.
Poi Gesù dice la terza cosa: «Però tu le hai così». Questo è di un’impor-
tanza fondamentale, perché dice il tipo di cultura a cui Chiara ci introduce.
Cioè, è vero che le cose che tu hai visto non sono come tu le hai viste, ma
attenta, io le ho adattate, quindi sono cose vere, però le hai, non più adat-
tate, ma nella loro interezza: le hai così nella vita.
Allora, io dico sempre, cosa significa? Significa che il linguaggio che può
veramente esprimere la novità della Realtà in cui Chiara è stata introdotta,
che è il Paradiso, non è quello che stiamo usando adesso, quello che potete
leggere anche nello stesso testo Paradiso ’49, ma è Gesù in mezzo fra di noi5.
Io dico sempre che, anche se noi parlassimo, ad esempio, su come pre-
parare un pranzo per qualcuno con l’amore, se questo viene fatto con Gesù
in mezzo, c’è una realtà che va al di là delle parole e che dice ai nostri cuori
molto di più di quello che possono dire le nostre parole.
Ora quello che Chiara vuole e che ha fatto in pratica col Paradiso ’49 è
che ha introdotto la nostra umanità nell’intimo della vita di Dio facendoci
capaci di “capirlo” (sempre tra virgolette), nella sua realtà, non tanto con le
parole, quanto con la presenza di Gesù in mezzo a noi.
Ecco allora il primo punto fondamentale: la cultura caratteristica che
Chiara porta è Gesù in mezzo a quelli che fanno cultura. Dunque voi po-
tete fare matematica e Gesù è presente in mezzo a voi. Lui in mezzo a voi
è il custode, è il rivelatore di qualche cosa di Dio anche nella matematica
– la matematica l’ha creata Dio, non è che ce la siamo inventata noi –, è il
custode di qualche cosa che le parole non riescono a dire, ma lui la dice
essendo presente. Ovviamente poi di questa sua presenza filtrano luci,
lampi, momenti di contemplazione dovuti al fatto che le nostre umanità,
le vostre qui presenti fra di voi, sono l’uno per l’altro uno speculum in cui
si vede la gloria di Dio. Questa è la bellezza! Perché sono legate, innestate
nell’umanità di Gesù e quindi ciascuno di voi è per l’altro quello che Gesù
è come uomo per noi: cioè il mediatore, colui che rende possibile per noi
accedere al mistero di Dio. Questo lo fate tra di voi riflettendo l’un l’altro la
luce che Dio vi dà!
124 nu 235
divino è portata a non vedere il negativo per sé, ma a vedere il positivo che
giace in quel negativo. Questo non è altro che l’applicazione culturale di
Gesù abbandonato6. Quando diciamo: «In ogni negativo vedo Gesù abban-
donato», cosa significa? Vuol dire che quel negativo è il figlio di Dio e che
lì dentro c’è la promessa della risurrezione. Cosa vuol dire culturalmente?
Che di fronte a qualunque realtà culturale, anche la più lontana dal cristia-
nesimo che noi possiamo immaginare, quella è Gesù abbandonato: cioè un
negativo che il figlio di Dio ha fatto suo, quindi non è più estraneo a Dio.
Dobbiamo stare attenti a non cadere in queste trappole, dicendo: «In que-
ste cose Dio non c’entra!». No, no, Dio è andato all’inferno, quindi quelle
cose le ha fatte sue, è Gesù lì dentro. Ovviamente, però, un Gesù che le ha
fatte sue e le sta preparando, le sta avviando verso la risurrezione.
Quindi, primo punto: una lettura estremamente positiva. Non però
semplicistica: questa è la mistica di Gesù abbandonato, che entra come
chiave ermeneutica, come modo di fare cultura.
Ed ecco il secondo e ultimo punto di fondamentale importanza. Prima
dicevo che Chiara è sempre positiva. Sì, perché per Chiara cosa vuol dire
fare cultura? Vuol dire muoversi all’interno della realtà del Risorto. Ultima-
mente nella Scuola Abbà parlavamo della cultura della risurrezione. Per
quanto io conosco la letteratura e la cultura cristiana a tutti i livelli, dalla
teologia all’arte, la risurrezione era una realtà proiettata, diciamo, all’oriz-
zonte ma che aveva poco a che fare con noi. L’uomo di oggi era più che
altro il viatore, coinvolto nelle sofferenze. Chiara dice un’altra cosa: se noi
crediamo sul serio a quello che Gesù ha fatto e viviamo sul serio il patto di
unità che è stato realizzato da Chiara con Foco, e che Chiara ci invita a fare,
quando ci si trova insieme, il concetto di viatore, cioè di uno in cammino,
cambia. Sì, siamo in cammino, però Chiara spiega: non come colui che sale,
ma come uno che già è in alto e cammina sul crinale di una montagna. Cioè
non salire per arrivare al Paradiso, ma camminare per viaggiare in Paradi-
so, il quale ti va scoprendo tutte le sue ricchezze.
Guardate, questa non è una differenza di poco conto: perché diverso è
se io mi piazzo davanti alla verità tutta intera come una meta che mi sta da-
vanti e io cammino cercando di arrivarci, sperando di arrivarci. No, Chiara
ci dice che Gesù è risorto, ci ha trascinati nella sua risurrezione. Come dice
126 nu 235
Paolo: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù dove Cristo siede
alla destra di Dio»7. Cercate le cose di lassù. «Ecco io faccio nuove tutte le
cose»8, si legge in Giovanni. Non è tanto muoversi in quella direzione: noi
con lui siamo già lì dove lui è! Allora si tratta, e lo si può descrivere con
un’analogia, di un gioco di specchi, di rifrazione. Se voi vi mettete di fronte
a uno specchio e avete uno specchio alle spalle, voi vedete la vostra imma-
gine riflessa in maniera quasi infinita. Ecco, lì avviene così. C’è questo gioco
di specchi che dovreste vivere fra di voi in questi giorni, che rende accessi-
bile la luce di Dio, la apre in tutta la ricchezza, l’infinita ricchezza. «Il Padre
dice Amore in infiniti toni», scrive Chiara nel Paradiso ’49. Ecco, gli infiniti
toni siete ognuno di voi, cioè ognuno di voi è una tonalità dell’unica parola
“Amore” detta da Dio, che Gesù in mezzo ricompone in uno, però senza
che venga persa la specificità di ogni tonalità. Ognuno è un tono diverso:
lei9 dice “Dio Amore” in una maniera diversissima da me e sarà così anche
in Paradiso, e lì si riflette tutta l’infinita ricchezza di Dio.
Allora, in conclusione, possiamo chiederci che cosa fa Dio con questo
carisma? Con Chiara, col suo carisma, Dio ci invita a vivere dove in realtà
siamo: nel seno del Padre, in lui. Questa è certamente una dichiarazione
di fede che noi facciamo ma, se c’è Gesù in mezzo, diventa reale, tangibi-
le, sperimentabile senza bisogno di accedere alle estasi, o ad altre cose di
questo genere; perché Gesù in mezzo rende toccabile per l’intelligenza e
per la mano la realtà profonda della fede cristiana.
Allora voi, dove dovete costruire la matematica? Dove trovare questa
fontana che dovrebbe inondare il campo della matematica e quello che
con la matematica ha a che fare? In Dio, voi dovete essere lì. Ma non solo
facendo un atto di fede, dicendo: «Io ci credo». No. Perché, se resto solo,
come ve lo dicevo prima, non è possibile, perché c’è sproporzione fra me
e Dio. Ma nell’unità, essendo ciascuno membro di Cristo come il tralcio
con la vite, e quindi ognuno avendo nei confronti della mia umanità il ruolo
di mediazione che ha l’umanità del Cristo che vive in lui, questo mi rende
accessibile questa realtà, me la fa vivere, me la fa sentire.
Allora, se è possibile sentire l’unione con Dio, io dico che è possibile
sperimentare, pensare e sentire la matematica nuova, cioè quel tipo di ma-
tematica che voi dovete cavare fuori dalla mente di Gesù.
1
Antonio Rosmini-Serbati (1797-1855), uno dei maggiori filosofi dell’Ottocen-
to europeo, fondatore dell’Istituto della Carità e protagonista della vita religiosa e
civile del suo tempo, soprattutto negli anni del Risorgimento italiano.
2
Pio IX nel 1848.
3
Si riferisce al patto di unità, fondato sull’Eucaristia, sigillato fra Chiara Lubich
e Igino Giordani (Foco), che ha dato inizio a un’esperienza mistica “a gruppo”, durata
vari mesi, denominata dalla stessa Lubich “Paradiso ’49”. Questa esperienza è nar-
rata in una raccolta di testi inediti chiamata con lo stesso nome. Cf. AA.VV., Il Patto
del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich. Percorsi interdisciplinari, Città Nuova, Roma
2012; cf. anche C. Lubich, Il Patto, in «Nuova Umanità», 204 (2012/6); C. Lubich,
“Paradiso ’49”, in «Nuova Umanità», 177 (2008/3); Focus. Il Paradiso ’49: protagonisti
e interpreti, in «Nuova Umanità», 234 (2019/2).
4
Cf. nota precedente.
5
L’espressione “Gesù in mezzo” fa riferimento alla presenza reale del Risorto
fra i cristiani: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro»
(Mt 18, 20). Cf. C. Lubich, Gesù in mezzo, a cura di J.M. Povilus e D. Falmi, Città Nuova,
Roma 2019.
128 nu 235
6
Cf. Mc 15, 33-37. L’espressione “Gesù abbandonato” si riferisce al momento
in cui Gesù, nel culmine della passione, sperimentando l’abbandono del Padre, ha
redento ogni realtà umana, anche le più lontane da Dio, identificandosi con esse. Cf.
C. Lubich, Il grido, Città Nuova, Roma 2000.
7
Col 3, 1.
8
Ap 21, 5.
9
Zanghí si riferisce a una delle persone presenti in sala durante la conversazione.
10
Le parole del Vangelo, «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in
mezzo a loro» (Mt 18, 20), sono più volte commentate da Chiara Lubich con quelle
che rappresentano il comandamento nuovo: «Amatevi come io vi ho amato» (cf.
Gv 15, 34). Questo amore totale e gratuito, al modo di Dio, è il “prezzo” a cui si fa
riferimento.
Restare umani
sette sfide per non rimanere
schiacciati dalla tecnologia
di Marco Scicchitano, Giuliano Guzzo
Gli Autori affrontano nel volume uno dei temi centrali della
nostra epoca chiedendosi, a fronte dell’avanzare della tec-
nica e dei mutamenti sociali connessi, cosa vogliamo che
resti dell’umano. Attraverso l’analisi di questioni come la
differenza tra maschile e femminile, la sessualità, l’aborto
e la selezione genetica, il consumismo, Scicchitano e Guzzo
cercano di individuare quei momenti del nascere, del vivere
e del morire che, oggi, rischiano di trascinare l’essere umano
verso ciò che umano non è.
isbn
9788831175357
pagine
144
prezzo
euro 15,00
nu 235
Chiara
Lubich Carissimi gen2, eccoci arrivati al giorno in cui da tut-
to il “mondo gen” – e non solo – si guarda qui a Montet,
(1920-2008) dove inauguriamo il primo anno di quella “università”
fondatrice
che ci è sembrato il Signore volesse. È essa un’ulterio-
del movimento
dei focolari re espressione concreta dell’aspetto del nostro Movi-
e delle numerose mento intitolato: “Sapienza e studio”.
altre opere che Ma perché, fra le diciotto diramazioni dell’Opera di
alla sua iniziativa Maria, siete presenti proprio voi gen?
si riconducono
Senz’altro per la vostra età adatta allo studio. Ma
(compresa
la rivista anche perché, per un imperscrutabile disegno della
nuova umanità). provvidenza di Dio, che segue e indirizza anche i nostri
è universalmente piccoli passi, voi – dopo i focolarini, naturalmente – sie-
riconosciuta te stati messi al corrente delle prime pagine di quel Pa-
come importante
radiso ’493 che è la fonte, che è all’origine di quello che
testimone
dell’unità fra deve essere il nostro modo di vedere, di conoscere – per
i popoli, le culture quanto è possibile – creato e Increato.
e le religioni. Il motivo di questo privilegio non era dipeso – lo sa-
pete – dai vostri meriti particolari e non aveva avuto lo
scopo di darvi un godimento spirituale speciale, por-
tandovi alla contemplazione di cose belle. Aveva un al-
tro perché, per potervi spiegare il quale, devo rinnovare
in voi lo stupore di quelle pagine, il ricordo di quell’av-
venimento, sempre presente e attuale.
Ecco perché vi leggo anzitutto almeno le righe fon-
damentali che caratterizzano quell’evento.
Siamo nel 1949 e io scrivo: «Erano passati cinque anni dall’inizio del
nostro Movimento e avevamo già compreso e fatti nostri alcuni capisaldi
della sua spiritualità, come Dio Amore, la volontà di Dio, veder Gesù nel
fratello, il comandamento nuovo, Gesù Abbandonato, Gesù in mezzo e l’u-
nità... Ora, da qualche tempo, eravamo concentrati sulla Parola di vita, che
vivevamo con una particolarissima intensità. Non c’erano grandi strutture
del Movimento allora, né erano sorte opere, per cui tutto il nostro impegno
consisteva nel vivere il Vangelo. La Parola di Dio entrava profondamente in
noi tanto da cambiare la nostra mentalità. La stessa cosa avveniva anche
per quanti avevano un qualche contatto con noi.
Questa nuova mentalità, che si andava formando, si manifestava come
una vera contestazione divina al modo di pensare, di volere e di agire del
mondo. E in noi provocava una rievangelizzazione.
A quanto ricordo, l’ultima Parola che avevamo vissuto in quel periodo
era stata “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E Gesù Abban-
donato ci era apparso come la Parola per eccellenza, la Parola tutta spiega-
ta, la Parola aperta completamente. Bastava, dunque, vivere Lui. Cosicché
tutto era andato semplificandosi. Vivere Lui significava vivere il nulla di noi
per essere tutti per Dio (nella sua volontà) e negli altri.
Eravamo immersi in questi pensieri e in queste esperienze, quando si
decise di allontanarci un po’ dal Movimento e di andare in montagna per
riposare.
Arrivate, noi focolarine, lassù, un altro fenomeno s’aggiungeva: io av-
vertii che non era tutto fiamma solo dentro di me», per le Parole scoperte
tutte come amore, «ma, in certo modo, anche fuori di me. Avevo l’im-
pressione di percepire, forse per una grazia speciale di Dio, la presenza
di Dio sotto le cose. Per cui, se i pini erano indorati dal sole, se i ruscelli
cadevano nelle loro cascatelle luccicando, se le margherite e gli altri fiori
e il cielo erano in festa per l’estate, più forte era la visione di un sole che
stava sotto a tutto il creato. Vedevo, in certo modo, credo, Dio che sostie-
ne, che regge le cose.
E Dio sotto le cose faceva sì che esse non fossero così come noi le ve-
diamo; erano tutte collegate fra loro dall’amore, tutte – per così dire – l’una
dell’altra innamorate. Per cui se il ruscello finiva nel lago, era per amore.
132 nu 235
Ero, dunque, entrata nel seno del Padre, che appariva agli occhi dell’ani-
ma (ma è come l’avessi visto con gli occhi fisici) come una voragine immen-
sa, cosmica. Ed era tutto oro e fiamme sopra, sotto, a destra e a sinistra.
Fuori di noi era rimasto il creato. Noi eravamo entrati nell’Increato.
Non distinguevo ciò che c’era nel Paradiso ma ciò non mi turbava. Era
infinito, ma mi trovavo a casa. Mi è parso di capire che chi m’aveva messo
sulla bocca la parola: “Padre” – avevo invocato il Padre invece di Gesù, es-
sendo un altro Gesù – era stato lo Spirito Santo. E che Gesù Eucaristia ave-
va operato veramente come vincolo d’unità fra me e Foco perché sui nostri
due nulla non era rimasto che Gesù Eucaristia», Gesù quindi.
«Foco intanto era uscito dal convento ed io l’ho invitato a sedersi con
me su una panchina presso un torrente. E lì gli ho detto: “Sai dove siamo?”.
E gli ho spiegato ciò che mi era accaduto.
Poi sono andata a casa dove ho trovato le focolarine, che tanto amavo,
e mi sono sentita spinta a metterle al corrente di ogni cosa. Le ho, quindi,
invitate a venir con noi in chiesa il giorno dopo e a pregar Gesù, che en-
trava nel loro cuore, a far lo stesso patto con Gesù che entrava nel nostro.
Così hanno fatto. In seguito io ho avuto l’impressione di vedere nel seno
del Padre un piccolo drappello: eravamo noi. Ho comunicato questo alle
focolarine le quali mi facevano una così grande unità da aver l’impressione
di veder anch’esse ogni cosa».
Oggi, in quel drappello, dovete entrare ed essere presenti pure tutti voi!
134 nu 235
Ma, scoperto e quasi assaporato Dio, con quella luce negli occhi
può ora guardare il mondo, e vederci bene […] tutto giudicando
secondo ragioni divine, quasi proiettando – ecco il compito della
Scuola – su tutto la luce dell’infinito sguardo di Dio.
Nella mente del sapiente cristiano viene quasi ricostruito l’ordine
ideale che è nella Mente di Dio. Lo svolgersi delle ère e delle età,
il succedersi e il concatenarsi degli avvenimenti, il fluire della sto-
ria... il fluire delle cose, l’avanzare della storia, lo svilupparsi della
propria vita, tutto è visto nel suo rapporto di dipendenza e conver-
genza a un divino disegno […] con la stessa “sintesi mentale” di
Dio, che vede ogni cosa nel Verbo e ogni cosa ama nello Spirito, e
tutto conosce amando e tutto ama nell’atto stesso della sua con-
templazione infinita5.
136 nu 235
Dopo tempo ho capito che quella domanda non era una domanda di
curiosità da parte mia, ma lo Spirito mi aveva spinto a entrare in chiesa, a
fare quella domanda per avere quella risposta. E la risposta cos’è stata?
Che tutti noi dobbiamo essere un’altra piccola Maria su questa terra.
Anche però i vostri contributi [sarete chiamati a dare], non solo do-
mande. Poiché voi siete, in genere, universitari, dediti ad approfondire di-
verse materie, potrà essere che la parola del professore, per la presenza
di Gesù fra tutti, illumini in voi qualche particolare della scienza cui siete
dediti, che sarà utile mettere in comunione: «Professore, ho capito, per
esempio, quella cosa riguardante…». Lo dite. Ecco il contributo vostro,
insieme alle domande.
Vi troverete perciò ad essere, come Gesù vuole, uguali fra tutti, fratelli,
in rapporto trinitario, mediante l’amore reciproco fra professori e studenti,
anche se i primi – i professori –, saranno in questa Trinità che componiamo,
a mo’ del Padre e voi del Figlio. Dovrete, dunque, lasciarvi “generare” da
loro, ma anche rispondere col vostro amore.
Per entrare in quest’aula occorreranno delle condizioni indispensabili.
Lo suggerisce il Paradiso ’49. Anzitutto indossare la divisa della Scuola: è la
Parola, vivere la Parola, lasciarsi vivere dalla Parola, diversa ogni giorno – vi
sarà detta –, di cui dovrete comunicarvi le esperienze. Solo la Parola ha ac-
cesso in Paradiso, solo la Parola ha accesso nel seno del Padre. Quando noi
andremo nell’altra vita e grazie a Dio entreremo nel seno del Padre, di noi
entrerà quella Parola che Dio ha pronunciato quando ci ha creato, rivestita
della nostra umanità. Ma lassù vive solo la Parola, vive solo il Verbo in noi.
Questo vivere la Parola, che è l’unico modo di avere accesso in Paradi-
so, nel seno del Padre, è il vostro contributo personale.
Ma c’è anche un contributo comunitario, collettivo. Vivere Gesù Ab-
bandonato, il niente, come condizione per attuare l’amore reciproco fra
voi, fra voi e i professori, sarà il vostro contributo comunitario. Perché?
Perché, per amarvi veramente con i professori, dovrete essere “vuoto”
per accogliere tutto dentro di voi. Perfettamente dovrete accogliere
quanto viene detto e per poter dare le vostre domande e i vostri piccoli
contributi, piccoli o grandi, contributi che sono tutti dello Spirito Santo,
per poter darli dovrete “svuotarvi” e dare. Non aver paura, non essere
timidi, non dire: «Magari quest’idea non è giusta». Bisogna avere il corag-
gio, farlo. Poi si capirà da Gesù in mezzo se siamo stati stonati o intonati.
Quindi, amare Gesù Abbandonato, facendo il vuoto per accogliere
quello che i professori dicono, amare Gesù Abbandonato per svuotare
quello che abbiamo dentro per donarlo agli altri, è il vostro modo di amare
collettivo insieme ai professori.
Ultranecessario poi sarà per la Scuola nutrirsi dell’Eucaristia. L’Eucari-
stia, infatti, non è – attenti! – che porti soltanto frutti belli, buoni, di santità,
d’amore; non è nemmeno solamente che abbia come scopo di aumentare
l’unione con Dio e fra noi. Certamente anche questo. Ma l’Eucaristia ha
come fine: farci Dio, per partecipazione. Poiché, per essa, le carni del Cristo
vivificate dallo Spirito e vivificanti si mescolano con le nostre carni, e giac-
ché è così l’Eucaristia ci divinizza nell’anima e nel corpo.
Ma Dio, anche Dio partecipato – come saremmo noi –, non può stare
che in Dio. Ecco perché l’Eucaristia pone l’uomo, che se ne è cibato de-
gnamente, nel seno del Padre; colloca l’uomo nella Trinità, in Gesù. Nello
stesso tempo l’Eucaristia non fa questo soltanto di un uomo, ma di molti,
i quali, essendo tutti Dio, sono uno. Sono Dio ciascuno e Dio tutti insieme.
Queste le condizioni che esige essere e rimanere in quest’aula.
Infine sarà essenziale per tutti, professori e voi studenti, formulare pri-
ma delle lezioni, ogni mattina, il cosiddetto “patto d’unità”, con la recita del
quale concludiamo questa nostra introduzione:
Gesù, che vivi nella SS. Eucaristia, noi singolarmente e tutti insie-
me ti promettiamo anzitutto d’essere fra noi la realizzazione del
tuo comandamento nuovo: d’amarci cioè come Tu ci hai amato fino
all’abbandono del Padre.
Affinché poi si attualizzi la realtà di un’Anima sola, ti preghiamo
di patteggiare Tu stesso unità sul nulla d’amore dei nostri singoli
cuori, fondendoci in tal modo in uno.
E donaci così, per il continuo amore reciproco e per il quotidiano
nutrimento di Te, la grazia che Tu stesso nasca e rinasca fra noi ed
in noi, in modo che non più noi viviamo, ma Tu in noi. Amen.
138 nu 235
1
Discorso tenuto a Montet (Svizzera), il 15 agosto 2001, pubblicato in «Sophia»,
I (2008/0), pp. 12-18, e successivamente pubblicato con il titolo Una Scuola di Sa-
pienza. Discorso inaugurale di Chiara Lubich, in La Fonte e le frontiere. Sophia compie 10
anni, a cura di L. Bigliardi Parlapiano, Città Nuova, Roma 2018, pp. 109-123.
2
Gen, abbreviazione di Generazione nuova, è il nome che designa i giovani e le
giovani appartenenti al Movimento dei Focolari.
3
L’espressione si riferisce a quel periodo di intensa luce mistica in cui Chiara,
nell’estate del 1949, per una grazia speciale è stata introdotta a una particolare par-
tecipazione di vita e di intelligenza di Dio Trinità, in cui insieme le è stato dischiuso,
nella sua radice divina, l’Opera che doveva generare da Dio come dono alla Chiesa
e al mondo, l’Opera di Maria (Movimento dei Focolari). A testimonianza di quell’e-
vento sono rimasti degli appunti redatti da Chiara. Del Paradiso ’49, Chiara stessa ha
scritto quanto ella ricordava, a Oberiberg (Svizzera), il 30 giugno 1961, pubblicato
in «Nuova Umanità», 177 (2008/3), pp. 285-296 (cf. l’editoriale di G.M. Zanghí,
Questo numero, ivi, pp. 281-283). Su questo tema, cf. la raccolta di saggi a cura della
Scuola Abbà, Il Patto del ’49 nell’esperienza di Chiara Lubich. Percorsi interdisciplinari,
Città Nuova, Roma 2012; cf. anche Focus. Il Paradiso ’49: protagonisti e interpreti, in
«Nuova Umanità», 234 (2019/2).
4
Con questo “nome nuovo” è conosciuto nel Movimento dei Focolari Igino
Giordani (1894-1980), scrittore e uomo politico, esperto dei Padri della Chiesa e
della storia del cristianesimo, agiografo, ecumenista e profondo conoscitore del
pensiero sociale cristiano. Chiara Lubich lo considera confondatore del Movimento.
5
R. Spiazzi, Lo Spirito Santo nella vita cristiana, Città Nuova, Roma 1964, p. 229.
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Storia di Light. 19
L’Opera cresceva ogni giorno…
verso la sentenza
Nel novembre 1960 fu demandato alla CEI, presieduta dal cardinal Siri, l’in-
carico di decidere della vita e della morte dell’Opera di Maria.
Su invito di Chiara, io scrissi questa lettera al cardinal Montini, allora
arcivescovo di Milano, in data 12 novembre 1960.
Personale
A S.E. Rev.ma
Il Card. G.B. Montini
Arcivescovo di Milano
Eminenza Rev.ma
Ella ben sa quanta profonda stima io abbia sempre nutrita per le
Sue doti di apostolato, servitore instancabile della Chiesa; stima
che gli eventi hanno aumentata.
Perciò, per un caso che riguarda solo il bene della Chiesa – il caso
dei Focolarini – mi rivolgo ancora, con fiducia sicura, all’Eccellenza
vostra, sapendo che Ella vuole solo la verità. Sinora il nostro ba-
luardo era S.E. Rev.ma il Vescovo di Trento, il quale, avendoci spe-
rimentati, ci aveva amati e sorretti; ora egli è malato. E io non so a
chi meglio dovrei rivolgermi che a una Guida illuminata quale l’E.V.
Rev.ma. Che solo l’amore della Chiesa mi muova, in questa ora tor-
mentata in cui essa fronteggia, spesso incompresa, una nuova, più
spaventosa, invasione di barbarie, si deduce anche dal fatto che
non mi aspetto davvero alcun beneficio umano dai focolarini.
Sta per prendersi una decisione sul loro conto, e noi preghiamo
il Signore che essa sia conforme agli interessi della fede, come ci
danno affidamento le alte autorità incaricate.
Quale agiografo so benissimo che segni inseparabili dalle opere di
Dio sono: l’essere calunniate (interesse di Satana), il dare buoni frut-
ti. Al Movimento dei Focolari non manca né l’una né l’altra nota.
Circa le calunnie, ancora si fa circolare un libello mendace venuto
dalla Sicilia, nel quale si riconoscono i tratti dell’accusator fratrum;
un disgraziato, che dopo averci superficialmente avvicinati, ci ha at-
tribuito pensieri e opere che non ci appartengono. I focolarini fanno
apostolato nel mondo e capita loro di avvicinare (convertire spes-
so) ex preti, ex monache, peccatori impenitenti, massoni, comuni-
sti, acattolici… Può accadere ad alcuni osservatori esterni, come ai
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Sappiamo che i figli non assistiti, non corretti, non guidati, non
possono formarsi come la madre li vuole; e poiché i focolarini come
singoli e come famiglia vogliono formarsi quali la santa Chiesa Ma-
dre li vuole, aspettano da casa le norme e l’autorità, a cui possono
conformarsi.
Questi pensieri condivisi da tutta la famiglia dei focolarini – cen-
tinaia di giovani lietamente e totalmente donati alla Chiesa e solo
bramosi di servirla – rimetto alla paterna intelligente bontà dell’E.V.
Rev.ma in questa ora di attesa. Ci sono forze del male organizzate e
fuse nel mondo, perché non mobilitare e dirigere a difesa del bene
questa gioventù avida di santità? Essa, compatta, prega il Signore
che compensi V. E. coi doni più belli della sua divina Grazia; e le
chiede la santa benedizione.
Dev.mo Igino Giordani
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Il 2 luglio 1961, nella nuova sede di piazza Tor Sanguigna dove era il Cen-
tro femminile, Chiara parlò del suo viaggio in Germania. Si assise su una
mensola per libreria e alla folta schiera di focolarine che pendevano dal suo
labbro, ha narrato con la sua vivacità l’incontro a Monaco il venerdì e il saba-
to precedente con circa 60 pastori protestanti e loro mogli. Tutti erano rima-
sti come sotto l’irruzione pentecostale dell’Amore: avevano visto il problema
dell’unità nella luce nuova della carità, e tutti volevano venire a Roma.
E intanto avevano pregato nella Chiesa cattolica e avevano parlato con
desiderio, pari alla riverenza, del papa e avevano esaltato la Madonna. E
tutto sotto il fascino di lei, che appariva madre della Chiesa.
In mezzo a quel fervore di opere la vita le apparve quale descrisse in
questa sorta di poesia, vergata il 20 luglio 1961:
Gioie e dolori
speranze,
sogni raggiunti.
Maturità di pensiero e di vita.
Solidità.
Senso del dovere
e richiamo d’amore dall’Alto
cui risponde prima che Dio chiami
la coerenza della nostra vita.
Fatiche.
Fiamme e conquiste.
Temporali.
Fiducia in Dio: notte dei sensi
Dio solo.
Su. Giù.
Piogge tempestose,
radici profonde.
Frutti, frutti, frutti.
Annebbiamento dell’anima:
Dio mio, Dio mio perché notte dello spirito
mi hai abbandonato?
Poi musica soave di Cielo,
lontana. fiamma d’amor vivo
L’Opera sotto le sue mani cresceva ogni giorno. Suo compito era il com-
pito dell’Opera, che come Maria, per lei, si riempiva di Grazia.
Affidava talora la fiaccola a Chiaretto perché guardando l’Opera di Ma-
ria si vedesse il Verbo. E diceva: «Se 200 possono vivere così, come non
tutti? Gesù ha detto: “Farete cose più grandi delle mie”. Voglio dare una
gloria terribile a Lui, fare cose più grandi di Lui, testimonianza di chi vive
Cristo. Il comunismo è una bolla di sapone: il diavolo quando vede la luce
“taglia la corda”, ma bisogna avere il coraggio di restare Gesù per intimar-
gli [di andarsene]. Un terzo del mondo è conquistato a Cristo, dobbiamo
conquistare almeno altri due terzi. Io son sicura di riuscirci, perché è Lui».
È un caso di personalità riuscita, scrivevo nel marzo 1962, e di perso-
nalità come ne costruisce la religione; in questa l’Io è abolito; e nessuna
delle creature da me in tanti anni incontrate, ha schiantato, dominandola,
la propria umana identità. Ha fatto il vuoto in sé: ma lo ha colmato di Dio.
E Dio ha fatto della persona di lei la pienezza e l’armonia più sorprendenti,
assegnandole, proprio a lei che professa la spiritualità del perdersi nel fra-
tello, le caratteristiche più accentuate, inconfondibili.
E cioè una persona fatta tutt’uno col proprio Ideale. Lei vive del suo
Ideale, il suo Ideale la plasma. Non vi è altro in lei, ma vi è tutto, perché
il suo Ideale comprende Dio e l’umanità, il presente, il passato, il futuro,
Maria e la comunione dei santi, la Chiesa universale.
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Quando parla, ogni attimo, anche se canta, esso [il suo discorso] ger-
moglia, quasi si compone, armonioso, pezzo per pezzo, dalla sua anima,
che la fantasia e l’amore per Iddio illuminano: si collegano nomi ed eventi,
date e dati, e suscita da interstizi, da cenni, da indizi il suo mondo e tut-
to convoglia verso la sua costruzione, che è la costruzione di Cristo nelle
anime, nella società. E non vi è nulla di studiato, di artificiale, di difficile
in quella sua pianificazione ridente, quasi infantile, del suo mondo e delle
creature onde è abitato: no, con tutti i pensieri e le cure e le fatiche (e son
tante, perché ormai da mezzo mondo si rifanno a lei), resta infante, popa:
«Se non vi farete come questi piccoli…». È rimasta nell’infanzia; dove il la-
voro è un gioco, ma un gioco fatto per amore del Padre, coi materiali della
Madre: santità e bellezza della purità, arde di far sempre di più, cuore e
cervello sono come crateri che gittano fiamme sempre più veementi, inva-
dendo campi senza fine.
Si capisce santa Teresa di Lisieux quando affermati i “tre privilegi” della
sua vocazione (essere sposa di Cristo, essere carmelitana, essere madre di
anime) aggiungeva: «Tuttavia sento in me altre vocazioni. Mi sento la vo-
cazione di guerriero, di sacerdote, di apostolo, di dottore, di martire, infine
sento il bisogno di compiere per Te, Gesù, tutte le azioni più eroiche… Ah!
Malgrado la mia piccolezza, io vorrei illuminare le anime come i Profeti, i
Dottori, ho la vocazione di essere Apostolo…».
Così dibattuta ella trovò in san Paolo la chiave della sua vocazione:
l’amore. «Io sarò l’amore… così sarò tutto».
Miracolo di giovinezza – anzi di adolescenza, popa – che neanche gli
eventi dolorosi e le esperienze gravi di tanti anni ormai hanno solcato. Le
scrivono chilogrammi di lettere da tutto il mondo, le vengono dolori da tan-
te parti e nei punti sensibili, dona saggezza anche ai vecchi e ai sacerdoti, e
resta… popa. E ogni settimana sente il bisogno di cambiare stanza, cambia-
re la collocazione dei mobili, variare orari… mutamento, distacco da tutto;
sempre disponibile, sempre lanciata…
E poiché tutti i focolarini alla sera redigevano una sorta di bilancio di
meriti e di colpe – attivo e passivo – della giornata, riempiendo la casella
di certi “schemetti”, anche lei faceva, la sera, scrupolosamente il suo ren-
diconto. Solo che, accanto alla data ordinaria in crescita, ne poneva una
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il terzo ramo3
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di gioia tutta l’Opera di Maria, a cui finalmente veniva data dalla Chiesa,
come superiora giuridicamente conosciuta, Colei che all’Opera aveva dato
e dava ogni attimo di vita.
Il giorno stesso e, in certo modo come conseguenza del fatto stesso,
si riunirono al Mondo Migliore (la mattina) e a Grotta (il pomeriggio) e la
domenica successiva (7-8 dicembre) i rappresentanti del terzo ramo. Essi
la domenica, in mattinata, prima sentirono una bobina, contenente un di-
scorso di Chiara del Natale 1962, e poi Chiara stessa, la quale annunciò la
rinascita della comunità dei focolarini sposati a tenore di Regola e spiegò la
loro funzione: religiosi fatti per mobilitare i volontari nella riconquista del
mondo a Dio, monaci nel mondo. Fu la vera nascita – più che rinascita – del
terzo ramo.
Un tratto caratteristico di Chiara, si rivelò subito. Non stette a guardare
che l’altro fosse un deputato o uno scrittore. E più tardi non starà a guar-
dare se l’altro o l’altra sia in un rango elevato. Vede un’anima. E le scrive tra
l’altro così: «Farò nella tua anima un ricamo di Spirito Santo».
In tutti svegliava la coscienza dell’essenziale, del soprannaturale. Non
si curava dei loro libri, dei loro denari, dei loro talenti, chiunque fossero, ella
si curava delle loro anime.
E, infine, nei più di loro, era questo che a loro piaceva. E il giorno dell’Im-
macolata del 1963, ci si adunò tutti per la Messa a mezzogiorno, nella cap-
pella delle suore. Chiara andò a collocarsi a fianco di Foco e, quando il ce-
lebrante, don Foresi, si volse per distribuire l’Ostia Santa, quegli lesse a
nome di tutti i coniugati le promesse (nuove per gli uni, rinnovate per gli
altri). C’era una commozione di pianto: ché stavolta la consacrazione di
quei laici era fatta col consenso della Chiesa, alla presenza della superiora
generale, per ora delle sole focolarine, ma di fatto ancora e sempre ispira-
trice e maestra di tutti.
Il primo maggio (1964) ci fu l’ordinazione sacerdotale di Enzo Fondi,
medico focolarino. Si fece a Sessa Aurunca, per le mani di quel vescovo,
monsignor Costantini, conventuale. Si andò con Chiara, tornata dall’Ame-
rica del Nord e dall’America Latina, dove a Buenos Aires e a Recife erano
stati ordinati sacerdoti Vittorio Sabbione, avvocato, e Fede, medico. Ella
era tornata felice, dopo avere annodato all’Opera di Maria, in una sorta di
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avere bisogno di tutti per porre in atto progetti solidi e duraturi, oltre
che per motivi di ordine etico personale (senza la comunità ciascuno
può perdersi).
Chiude la parte storica l’analisi del pensiero di Machiavelli, non solo nella
lettura del Principe, ma anche delle sue altre opere, considerandolo, giusta-
mente, come il simbolico punto di svolta tra la “semplice” enunciazione di
utopie astratte, fatta da molti pensatori precedenti, e, invece, la realistica – e
talvolta amara – descrizione delle vicende storiche e politiche effettive:
Il suo strumento finale, per far rifiorire la politica e offrire delle con-
crete speranze di cambiamento, sembra essere: «Più che teorie, occorre
risuscitare dalla storia – ed anche da quella dimenticata dei “vinti” – profili
esemplari di politici e cittadini da riproporre alle nuove generazioni».
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