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controcorrente
Le stagioni del terrore - A. Lo Presti ___________________________» pp. 5-9
L’estate del 2016 sarà probabilmente ricordata come l’estate del terrore. Il senso di
insicurezza globale è diffuso ed esso ha delle precise conseguenze sul piano eco-
nomico e politico. L’analisi storica e politica del terrorismo globale mostra i neces-
sari passi da compiere per superarlo. Ci attende un inverno ricco di appuntamenti
elettorali importanti, speriamo che anche in tali circostanze non prevalga un tipo di
scelta politica soggiogata al clima di terrore.
Focus
Ecumenismo e Chiesa nel XXI secolo
La Chiesa: verso una visione comune - J.P. Back ______________ » pp. 11-25
La Commissione “Fede e costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC)
ha pubblicato La Chiesa: verso una visione comune. È un documento sfida, denomi-
nato come di “convergenza”, frutto di anni di lavoro, che ha battuto un cammino
nuovo e convalida una nuova metodologia nel mondo ecumenico: il receptive lear-
ning. Acclamato quale pietra miliare perché segnala fin dove le Chiese possono dire
di avere una visione ecclesiologica comune, indica i punti ove questa affermazione
ancora non è possibile. Il processo di valutazione, non solo da parte delle 345 Chie-
se membri del CEC, è in corso.
scripta manent
Il contributo del Movimento dei Focolari - M. Voce, J. Morán __ » pp. 41-52
La risposta del Movimento dei Focolari al documento La Chiesa: verso una visione
comune porta l’attenzione sui punti che ritiene di particolare importanza. Essi in-
cludono la comprensione della Chiesa come comunione e Cristo crocifisso come
paradigma della vita ecclesiale e del cammino ecumenico. La sua risposta offre sug-
gerimenti per ulteriori approfondimenti, fra cui quello della dimensione carisma-
tica. La terza sezione mette il “Focus” sul contributo che il Movimento, con la sua
spiritualità e il “dialogo della vita”, può offrire alla koinonía fra cristiani e verso una
comune visione teologica della Chiesa.
parole chiave
Fede e costituzione - S. Ferreira Ribeiro, M. Hoegger __________» pp. 53-55
punti cardinali
Condivisione e Terza rivoluzione industriale - G. Iorio ________ » pp. 57-75
Alla base della nuova Rivoluzione industriale, definita “Internet delle cose”, vi è il
principio di condivisione. Da allora numerosi studiosi ne hanno descritto le eviden-
ze empiriche, che l’Autore riprende e ripercorre nelle loro tappe essenziali. Una
nuova governance è resa possibile a livello sistemico, quando la produttività cresce
esponenzialmente nel campo dell’energia e della comunicazione; questa crescita di
produttività nell’infrastruttura energetico-comunicativa si ha a condizione di farla
funzionare con una governance di condivisione, anziché di “acquisitività” privatistica.
Tale sistema risponde al vincolo ambientale, di cui l’economia deve tenere conto,
e offre l’opportunità di riscoprire i benefici di stili di vita fondati sulla convivialità.
L’Autore delinea le condizioni perché una società e una economia fondate sulla con-
divisione possano affermarsi quale principio per uno sviluppo umano sostenibile e
inclusivo.
in biblioteca
L’età del caos - A. Crippa_________________________________ » pp. 143-147
Il maestro dentro - F. Rossi_______________________________ » pp. 148-151
Gesù abbandonato
di Chiara Lubich
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controcorrente
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alberto lo presti
con lo zar poteva lasciare tranquillo chi l’aveva stipulato. Da un giorno all’al-
tro si poteva essere passati per le armi.
Duecento anni dopo, in Francia, il terrore fu il risultato dell’iniziativa di un
Comitato di salute pubblica. La salute pubblica, in questo caso, non coincise
con la salute di decine di migliaia di cittadini passati alla ghigliottina perché
sospettati di aver tramato contro i giacobini. Il pensiero dei principali espo-
nenti di questo terrore, cioè Robespierre, Saint-Just e Couthon, era semplice
come quello di Ivan il Terribile. Bisognava fondare il nuovo regime sui prin-
cìpi di uguaglianza e di libertà, e per invogliare i cittadini a viverli, si fondò
un regime basato sul terrore della ghigliottina. Bastava una prova morale
per mandare qualcuno al patibolo. I processi erano condotti senza avvocati
difensori, senza garanzie giuridiche, senza l’obbligo di fornire gli indizi di col-
pevolezza. Nessuno poteva dirsi al sicuro. Gli stessi protagonisti del terrore
finirono ghigliottinati.
L’insicurezza diffusa e l’incertezza generale, perciò, sono due ingredienti
che qualificano un sistema politico basato sul terrore. Non si tratta sempli-
cemente di regimi nei quali i vincitori opprimono i perdenti, come per esem-
pio avviene per i totalitarismi, i dispotismi, le tirannie. In questi casi, almeno
fin quando non si ribaltano i rapporti di potere, le forze al comando attua-
no le persecuzioni e le sistematiche epurazioni dei nemici per sostenere la
propria causa. L’insicurezza fisica, cioè, non è un sentimento generalizzato,
ma limitato, spesso addirittura circoscritto in liste di proscrizione. Il terro-
re, invece, indica qualcosa di più, cioè situazioni storiche nelle quali nessun
gruppo può sentirsi al sicuro. Nulla può garantire l’incolumità personale. L’e-
sistenza dei cittadini entra in un regime regolato dalla fatalità.
La scia di fatalità che ha costellato l’estate 2016 è ormai scandita da luo-
ghi, nomi e volti, divenuti famosi: i giovani di Orlando, gli stranieri di Dac-
ca che ignoravano i versetti del Corano, i cittadini di uno fra i quartieri più
popolosi di Bagdad, gli spettatori dei fuochi d’artificio sulla Promenade des
Anglais di Nizza, i passeggeri di un treno diretto a Wurzburg, i clienti di
un centro commerciale a Monaco, i partecipanti a una marcia di protesta a
Kabul, i clienti di un ristorante ad Ansbach, in Baviera, il prete che celebrava
la messa a Sain-Étienne-du-Rouvray (Rouen), gli avvocati, i medici e i pa-
zienti dell’ospedale civile di Islamabad, gli invitati a un ricevimento di nozze
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alberto lo presti
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focus. ecumenismo e chiesa nel xxi secolo
La Chiesa:
verso una visione comune
Joan introduzione
Patricia Il percorso del movimento ecumenico è oggi segnato
Back da una fase caratterizzata da nuove sfide. Una partico-
lare attenzione è posta alle minacce globali e i cristiani di
teologa, esperta
di ecumenismo,
varie Chiese stanno maturando diverse iniziative di col-
materia che ha laborazione per trovare soluzioni alle crisi economiche,
insegnato al alle emergenze ambientali, ai conflitti, alle catastrofi na-
“claretianum” turali e alla convivenza nei contesti caratterizzati dal plu-
- istituto di ralismo etico-religioso. Le immagini del patriarca Barto-
teologia della
vita consacrata
lomeo, di papa Francesco e dell’arcivescovo Ieronymos
(roma) e II, insieme sull’isola di Lesbo, o del patriarca Kirill e papa
che insegna Francesco all’aeroporto dell’Avana comunicano le nuove
attualmente frontiere dell’ecumenismo a un numero di persone assai
all’istituto più esteso rispetto ai destinatari dei documenti teologici
“mystici corporis”
(montet,
sul dialogo ecumenico. C’è un’unità de facto visibile che
svizzera). membro agisce, che testimonia al mondo l’unità in Cristo.
del centro È in questo contesto che sta avvenendo una sorta di
interdisciplinare passaggio concettuale, per il quale la piena comunione
di studi fra le Chiese non è più, ormai, solo un imperativo ec-
“scuola abbà”.
condirettore
clesiale, ma diventa una necessità per la credibilità del
del centro “uno” cristianesimo nel mondo. La diffusa consapevolezza di
per l’unità dei tale passaggio ha fatto compiere un balzo in avanti alle
cristiani del sfide ecumeniche. All’orizzonte del divenire delle Chiese
movimento dei è sempre stato presente che il «Tutti siano uno» era col-
focolari dal
2008 al 2014.
legato ad «affinché il mondo creda»1. Nei tempi odier-
ni, tuttavia, tale consapevolezza si è fatta impellente e
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elementi innovativi
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dopo il Concilio Vaticano II. Alla presentazione del libro il cardinal Kasper
disse:
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nica koinonía eucaristica»35. Alla luce di tutto ciò possiamo vedere in tale te-
sto non solo un documento di “convergenza”, ma un documento che segna
una “svolta”.
l’attesa ricezione
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1
Cf. Gv 17, 21.
2
Rimando a una spiegazione dettagliata nella rubrica “Parole chiave” di questo
“Focus”.
3
The Church: Towards a Common Vision, Faith and Order Paper n. 214, WCC Pub-
lications, Geneva 2013. Traduzione italiana sul sito web del Consiglio ecumenico
delle Chiese, www.oikoumene.org.
4
Attualmente le Chiese che fanno parte del Consiglio ecumenico delle Chiese
sono 345. Cf. www.oikoumene.org.
5
Cf. M. Tanner, The Church: Towards a Common Vision. A Faith and Order Perspec-
tive, in «One in Christ», vol. 49 (2015), p. 172.
6
La Chiesa cattolica non è membro del Consiglio ecumenico delle Chiese, ma i
teologi cattolici sono membri di “Fede e costituzione”.
7
Baptism, Eucharist and Ministry, Faith and Order Paper n.111, WCC Publications,
Geneva 1982. Cf. la relazione sulle risposte a tale documento: «La ricerca per l’unità
dei cristiani implica la ricerca per comuni prospettive ecumeniche sull’ecclesiolo-
gia», in Baptism, Eucharist and Ministry 1982-1990. Report on the Process and Responses,
Faith and Order Paper n. 149, WCC Publications, Geneva 1990. Questo è stato de-
dotto dalle risposte ove emergono presupposti diversi ma anche convergenze sulla
natura della Chiesa. William Henn vede questo documento come un catalizzatore
che ha dato vita a La Chiesa: verso una visione comune a motivo della convergenza su
fondamentali princìpi ecclesiologici: la Chiesa nel disegno di Dio come è conosciuta
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nella rivelazione, perciò radicata nella Parola di Dio; una comprensione trinitaria
della comunità cristiana e la Chiesa nata dalla missio Dei; l’elemento escatologico: la
Chiesa è come in un pellegrinaggio che si muove in diversi contesti culturali e socio-
logici, che ha bisogno di riforma; il regno di Dio che i cristiani devono promuovere, il
miglioramento della vita umana e la protezione del pianeta (cf. nota 17).
8
Confessing the One Faith, Faith and Order Paper n. 153, WCC Publications, Ge-
neva 1991.
9
The Nature and Purpose of the Church: A Stage on the Way to a Common State-
ment, Faith and Order Paper n. 181, WCC Publications, Geneva 1998.
10
The Nature and Mission of the Church: A stage on the Way to a Common State-
ment, Faith and Order Paper n. 198, WCC Publications, Geneva 2005.
11
Cf. Confessing One Faith. Towards an Ecumenical Explication of the Apostolic Faith
as Expressed in the Nicene-Constantinopolitan Creed (381), Faith and Order Paper n.
140, WCC Publications, Geneva 1987; Confessing the One Faith. An Ecumenical Ex-
plication of the Apostolic Faith as it is Confessed in the Nicene-Constantinopolitan Creed
(381), Faith and Order Paper n. 153, WCC Publications, Geneva 1991; Confessing
the One Faith. An Ecumenical Explication of the Apostolic Faith as it is Confessed in the
Nicene-Constantinopolitan Creed (381), Faith and Order Paper n. 153 (fifth printing,
corrected version), WCC Publications, Geneva 1999.
12
La Chiesa: verso una visione comune. Premessa: «La convergenza raggiunta con
La Chiesa rappresenta un traguardo ecumenico straordinario».
13
Cf. G. Wainright, Chiesa, in N. Lossky et al. (edd.), Dizionario del Movimento
Ecumenico, Edizioni Dehoniane, Bologna 1994, pp. 142-149.
14
M. Hietamaki, Agreeable Agreement. An Examination of the Quest for Consensus
in Ecumenical Dialogue, T&T Clark, London 2010, p. 10.
15
Papa Francesco il 18 dicembre 2014, nel ricevere una delegazione della Chiesa
evangelica luterana tedesca, parlando dell’evento afferma: «Nel 2017 i cristiani lu-
terani e cattolici commemoreranno congiuntamente il quinto centenario della Rifor-
ma. In questa occasione, luterani e cattolici avranno la possibilità per la prima volta
di condividere una stessa commemorazione ecumenica in tutto il mondo, non nella
forma di una celebrazione trionfalistica, ma come professione della nostra fede co-
mune nel Dio Uno e Trino. […] E l’intima richiesta di perdono rivolta al Signore Gesù
Cristo per le reciproche colpe, insieme alla gioia di percorrere un cammino ecume-
nico condiviso». Cf. www.vatican.va.
16
Cf. www.oikoumene.org per le traduzioni.
17
Cito qui alcuni: T.F. Rossi, Una comune comprensione della Chiesa, in «Studi
Ecumenici», Anno XXXII, nn. 1-2, gennaio-giugno 2014, pp. 13-18; W. Henn, The
Church: Towards a Common Vision (2013), in «Studi Ecumenici», Anno XXXII, nn. 1-2
gennaio-giugno 2014, pp. 19-43. Henn fa un approfondito studio del percorso con-
cluso in La Chiesa: verso una visione comune e menziona la relazione sulle risposte
al Baptism, Eucharist and Ministry che afferma: «La ricerca per l’unità dei cristiani
implica la ricerca per comuni prospettive ecumeniche sull’ecclesiologia». Questo
perché emergevano «presupposti diversi ma anche convergenze sulla natura della
Chiesa», W. Henn, The Church: Towards a Common Vision (2013), cit., p. 23. Perciò
Henn vede Baptism, Eucharist and Ministry come un catalizzatore che ha dato vita ai
tre documenti che hanno prodotto La Chiesa: verso una visione comune, ibid., p. 24; B.
Flanagan, Catholic Appropriation and Critique of The Church: Towards a Common Vision,
in «One in Christ», vol. 49 (2015), pp. 219-234; M. Tanner, The Church: Towards a
Common Vision, cit., pp. 171-181; J. Gibaut, Una visione di Chiesa, in «Il Regno - Attua-
lità», n. 8 (2013), pp. 204-206.
18
Cf. M. Tanner, The Church: Towards a Common Vision, cit., p. 174.
19
La Chiesa: verso una visione comune, n. 9.
20
Ibid., n. 30.
21
Cf. ibid., n. 37.
22
Ibid., n. 56.
23
Ibid., n. 47.
24
Ibid., n. 57.
25
Ibid., n. 63.
26
Ibid.
27
Ibid., n. 58.
28
Cf. C. Slipper, Receptive Ecumenism, in «Nuova Umanità» 221 (2016/1), pp. 61-
63.
29
La Chiesa: verso una visione comune, Premessa.
30
Sono pubblicati tutti i dialoghi internazionali e nazionali dal 1937 al 2005 dalla
casa editrice Dehoniane in 10 volumi.
31
Traduzione in italiano in W. Kasper, Raccogliere i frutti, «Il Regno - Documenti»,
19 (2009), pp. 585-664.
32
W. Kasper, 15.10.2009, sul sito web press.vatican.va.
33
M. Langham, 15.10.2009, sul sito web press.vatican.va.
34
Cf. J. Gibaut (ed.), By-laws of Faith and Order, Called to be the One Church, Faith
and Order Paper n. 212, WCC Publications, Geneva 2012, p. 236.
35
Citato in ibid.
36
Così si è espresso in proposito A.G. Drissi, membro del segretariato di “Fede
e costituzione”: «quando gruppi ecumenici e Chiese recepiranno il testo di conver-
genza, essi procederanno oltre l’accordo teologico vivendo l’essenza del testo, allo
stesso modo in cui le Chiese hanno recepito nel 1982 “Battesimo, eucarestia e mini-
stero” vivendo nella sua visione». Cf. www.oikoumene.org, 31 marzo 2016.
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joan patricia back
37
Cf. C. Lubich, Il dialogo è vita, Città Nuova, Roma 2007, pp. 66-67.
38
Ibid., p. 17.
39
J. Gibaut, Una visione di Chiesa, cit., p. 204.
40
Ibid.
41
Cf. C. Lubich, Il dialogo è vita, cit., pp. 25-26. Cf. Giovanni Paolo II, Ut Unum
Sint 23: «È vero: non siamo ancora in piena comunione. Eppure, malgrado le nostre
divisioni, noi stiamo percorrendo la via verso la piena unità […] e che noi cerchiamo
sinceramente: guidata dalla fede, la nostra comune preghiera ne è la prova. In essa,
ci raduniamo nel nome di Cristo che è Uno. Egli è la nostra unità».
42
Cf. «Unirsi al pellegrinaggio di Giustizia e Pace», Messaggio della 10ª Assem-
blea del Consiglio ecumenico delle Chiese a Busan, (Sud Corea) 8 novembre 2013,
www.oikoumene.org.
43
J. Gibaut, Una visione di Chiesa, cit., p. 206.
44
Ibid.
45
Ibid.
46
«On ouvre ainsi un vaste chantier» in A. Birmelé, L’Eglise: vers une vision com-
mune, «Studi Ecumenici», Anno XXXII, nn. 3-4, luglio-dicembre 2014, p. 354.
47
Cf. T.P. Rausch, Towards a Common Vision of the Church: Will it Fly?, «Journal of
Ecumenical Studies», 50/2 (2015), pp. 265-285.
48
È da segnalare che c’è un nuovo “spazio” ecumenico a livello mondiale che
permette a Chiese e comunità ecclesiali di incontrarsi: si chiama “Global Christian
Forum”, cui partecipano Chiese e comunità ecclesiali che in passato non erano in
dialogo con le Chiese storiche. Cf. www.globalchristianforum.org
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focus. ecumenismo e chiesa nel xxi secolo
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odair pedroso mateus, tamara grdzelidze, william henn
Chiesa, ma con quanto la descrive nelle sue diverse immagini bibliche e con
le sue tradizionali note di unicità, santità, cattolicità e apostolicità.
Uno degli sviluppi interessanti è l’introduzione della nozione di “prima-
to”. Per capirne l’importanza si deve tener presente che nel documento
precedente della Commissione “Fede e costituzione”, dal titolo Battesimo,
eucaristia e ministero, di tale nozione non v’era alcuna menzione. Benché una
presunta autorità a servizio della comunione universale sia stata un fattore
di divisione della Chiesa nella storia, sia tra Oriente e Occidente, sia tra cat-
tolici e protestanti, tale questione non è stata affrontata estesamente fin-
ché la Chiesa cattolica romana non si è coinvolta ufficialmente nel dialogo
ecumenico in seguito al Concilio Vaticano II. Nel 1993 la quinta Conferenza
mondiale di “Fede e costituzione” ha sollecitato un dialogo ecumenico su
questa questione. Nel 1995, rispondendo a tale sollecitazione, papa Giovan-
ni Paolo II ha rilanciato la discussione sull’esercizio del “primato” del vesco-
vo di Roma come servizio all’unità dei cristiani1. La Chiesa: verso una visione
comune riflette questa situazione ecumenica nuova e promettente.
Anche nel metodo, nel processo, non siamo arrivati all’“unanimità” ma
abbiamo raggiunto un certo livello di “convergenza” sugli elementi fonda-
mentali di ciò che le differenti tradizioni che noi rappresentiamo intendono
con “Chiesa”.
La Commissione “Fede e costituzione”, sulla base di questa convergenza
limitata, ha deciso di pubblicare il testo e chiede alle Chiese di impegnarsi
in esso, sperando che questo possa condurle a maturare nella comunione.
Questa decisione, presa nel 2012, è l’apice di un lungo processo, concepito
tra il 1988 e il 1993 e implementato dal 1994 in poi. Ci sono state tre fasi
principali. In ognuna di esse le Chiese sono state invitate a studiare il testo
proposto e a rispondere ad esso. Si dovrebbe notare che finora il testo sulla
Chiesa non ha suscitato la risposta entusiasta data al documento di conver-
genza del 1982, Battesimo, eucaristia e ministero. Ma questo non è un motivo
di scoraggiamento, perché ciò che alla fine è in gioco è la testimonianza
stessa da rendere al vangelo.
Parlo di una convergenza limitata perché ci sono molti temi che anco-
ra richiedono chiarificazione. Ecco alcune domande che li indicano: l’orga-
nizzazione ministeriale della Chiesa è di origine divina? Come parlare della
Chiesa sia quale creazione del vangelo, sia quale “sacramento” di grazia?
Quando nella Chiesa la diversità, che è inerente alla sua unità, è vista come
illegittima? Se ogni Chiesa locale è pienamente la Chiesa, su quali fonda-
menti pretendiamo che la Chiesa universale preceda la Chiesa locale? È il
ministero dei diaconi, dei presbiteri e dei vescovi essenziale per la Chiesa o
la Chiesa può essere tale con altre forme di ministero?
Ci si potrebbe chiedere perché è importante la discussione sulla Chiesa.
Ci sono questioni più urgenti, come una comune testimonianza della nostra
fede di cristiani. Ma io credo che discutere di ecclesiologia è importante per-
ché molte divisioni che hanno interessato la cristianità sono teologicamente
correlate alla comprensione della Chiesa e al suo ruolo nel disegno salvifico
di Dio per il mondo. Alcuni esperti sostengono che questo è “il” problema
ecumenico specialmente nella cristianità occidentale. Questo significa che
la strada per l’unità passa per la ricerca di un linguaggio ecclesiologico che
può aiutare il conflitto tra ecclesiologie a diventare un dialogo tra ecclesio-
logie, nel quale le Chiese possano scoprire che ci sono più affinità di quelle
che le loro ecclesiologie apologetiche suggeriscono. Questo certamente
rafforzerebbe la loro comunione reale, ancorché imperfetta. Lo sforzo per
convergere nella dottrina della Chiesa mira a impegnarsi più pienamente
nella comune testimonianza “nel e per il mondo”. Sono complementari l’u-
na all’altra, lontane dall’escludersi reciprocamente. In fondo, Cristo, Capo
dell’unico Corpo, la Chiesa, è anche il Primo della Nuova Creazione.
La Commissione “Fede e costituzione” non ha ancora deciso se pubbli-
cherà o no le risposte a La Chiesa: verso una visione comune. Tale questione è
sull’agenda del gruppo di studio sull’ecclesiologia del nostro Dipartimento,
che si incontrerà nel giugno 2016, come pure sull’agenda dell’incontro della
Commissione plenaria previsto nel giugno 2017.
Quale membro di una Chiesa della Riforma, per descrivere il principale
contributo dato dalle Chiese riformate ai temi del documento è necessario
anticipare una considerazione. Preferirei infatti parlare di contributo del-
le Chiese segnate dalla Riforma. Esse insistono sulla concezione per cui la
Chiesa è creata dalla Parola di Dio e dallo Spirito Santo e perciò dev’esse-
re ordinata in modo tale da rimanere disponibile a essere ancora riformata
dalla Parola incarnata e dallo Spirito di Dio. Esse insistono sull’importanza
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Tamara Grdzelidze, della Chiesa ortodossa di Georgia, già membro del segre-
tariato di “Fede e costituzione” dal 2001 al 2014 e attualmente ambasciatrice del-
la Georgia presso la Santa Sede (Città del Vaticano). Teologa e storica, in qualità
di esecutore dei programmi di “Fede e costituzione”, ha edito vari volumi relativi a
studi condotti da membri della stessa commissione.
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odair pedroso mateus, tamara grdzelidze, william henn
il processo
gli sviluppi
Uno degli sviluppi de La Chiesa: verso una visione comune, rispetto alle
due versioni precedenti, lo possiamo cogliere ritornando ai precedenti testi
di “Fede e costituzione”. C’era stata una risposta generalmente entusiasta
al testo di convergenza Battesimo, eucaristia e ministero del 1982 e due altri
grandi studi furono completati negli anni seguenti: Chiesa e mondo nel 19898,
sul ruolo della comunità cristiana quale segno efficace del regno di Dio, e
Confessando la stessa fede nel 19909, su una spiegazione comune contempo-
ranea del Credo.
Questi risultati rilevanti condussero la quinta Conferenza mondiale di
“Fede e costituzione” tenutasi a Santiago di Compostela nel 1993 a proporre
una risoluzione, nella quale si sosteneva che era giunto il momento di discu-
tere un ministero a servizio dell’unità universale della Chiesa. Questa riso-
luzione catturò l’attenzione di Giovanni Paolo II che la citò, apprezzandola,
all’inizio della sua descrizione del ministero del successore di Pietro nella
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odair pedroso mateus, tamara grdzelidze, william henn
sua enciclica Ut Unum Sint10. Giovanni Paolo II invitava i capi delle altre Chie-
se e i loro teologi a dialogare con lui su come il papato potesse essere eserci-
tato oggi, alla luce del progresso che era stato fatto nei rapporti ecumenici11.
Alcune delle reazioni a La natura e lo scopo della Chiesa indicarono che
non era stata accolta l’istanza di Santiago di Compostela o l’invito di papa
Giovanni Paolo II a considerare un possibile ruolo di un ministero di prima-
to. Per questo fu deciso che la seconda revisione dello studio ecclesiologi-
co – La natura e la missione della Chiesa – dovesse esplicitamente includere
alcune affermazioni su tale ministero. La Chiesa: verso una visione comune
sviluppò quelle affermazioni. Quindi la ragione ultima dell’inclusione di que-
sto tema si trova nel proposito della quinta Conferenza mondiale e nella
risposta positiva da parte di Giovanni Paolo II nell’Ut Unum Sint.
consenso unanime
36 nu 223
odair pedroso mateus, tamara grdzelidze, william henn
Nel quadro delle tematiche discusse nei dialoghi teologici, i temi eccle-
siologici hanno grande importanza perché la Chiesa è stata costituita da
Gesù Cristo come testimone. Le sue parole di commiato ai discepoli, ripor-
tate dai quattro Vangeli e all’inizio degli Atti degli Apostoli, come annota il
documento La Chiesa: verso una visione comune erano un mandato ad andare
e fare discepoli di tutte le nazioni.
A titolo informativo va ricordato che il movimento ecumenico nacque
all’inizio del ’900 ad opera di missionari, nella Conferenza missionaria mon-
diale che si tenne a Edimburgo nel 1910. I missionari presenti a Edimburgo
erano tutti profondamente coinvolti nella testimonianza ed erano convinti
che la divisione tra i cristiani indebolisse la loro testimonianza. Molte del-
le divisioni erano determinate da opposte interpretazioni su ciò che Cristo
voleva fosse la sua Chiesa. L’unità dà un fondamento per una comune testi-
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odair pedroso mateus, tamara grdzelidze, william henn
la mia esperienza
1
Cf. Giovanni Paolo II, Ut Unum Sint, n. 95.
2
The Nature and Purpose of the Church: A Stage on the Way to a Common State-
ment, Faith and Order Paper n. 181, WCC Publications, Ginevra 1998.
3
Baptism, Eucharist and Ministry, Faith and Order Paper n. 111, WCC Publications,
Ginevra 1982.
4
The Nature and Mission of the Church: A Stage on the Way to a Common State-
ment, Faith and Order Paper n. 198, WCC Publications, Ginevra 2005.
5
Cf. Report of the 2009 plenary commission meeting, 9 ottobre 2009.
6
Cf. Inter-Orthodox Consultation for a response to the Faith and Order study: The
Nature and Mission of the Church. A Stage on the Way to a Common Statement, Agia
Napa / Paralimni, Cyprus, 2-9 marzo 2011.
7
Cf. Ecumenism.net/2012/07/wcc_fc_commission _ approves_new_theologi-
cal_agreement.htm sul sito web del World Council of Churches, 13/09/2013.
8
Cf. Church and World. The Unity of the Church and the Renewal of Human Com-
munity. Faith and Order n. 151 WCC Publications, Ginevra 1990.
9
Cf. Confessing the One Faith. An Ecumenical Explication of the Apostolic Faith as
it is Confessed in the Nicene-Constantinopolitan Creed (381), Faith and Order Paper n.
153, WCC Publications, Ginevra 1991.
10
Cf. Ut Unum Sint, n. 89.
11
Cf. ibid., nn. 95-96.
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scripta manent
Il contributo del
Movimento dei Focolari
La risposta al documento di
“Fede e costituzione”,
Consiglio ecumenico delle Chiese,
Maria documento di studio n. 214
Voce La Chiesa: verso una visione comune
presidente del
movimento dei 30 dicembre 2015
focolari. giurista,
canonista.
premessa
dell’iniziativa ecumenica “Insieme per l’Europa” 1 che getta ponti fra le Chie-
se e si adopera per una comune testimonianza nella società, di particolare
urgenza nel contesto multiculturale e multireligioso di oggi e davanti alle
sfide della pace e della giustizia.
Sin dagli anni ’60 sono parte del Movimento dei Focolari cristiani di va-
rie Chiese, in piena fedeltà alla propria Chiesa. Sostenuti dal comune ideale
dell’unità, essi realizzano tra loro una comunione profonda in Cristo e un
vicendevole scambio dei doni delle loro Chiese, così da vivere, sulla base
della sequela di Cristo e della vita nello Spirito e per la carità reciproca, in
qualche modo già come un solo popolo che testimonia insieme la vita in
Cristo e si impegna in diversi modi a rinnovare la convivenza umana nei suoi
vari aspetti alla luce del vangelo.
Alla base di quest’esperienza sta la spiritualità dell’unità o spiritualità di
comunione, che Chiara Lubich in più occasioni è stata invitata a illustrare al
Consiglio ecumenico delle Chiese nella sua valenza ecumenica2. Rileviamo
qui, sinteticamente, fra i cardini di questa spiritualità incentrata nella pre-
ghiera di Gesù per l’unità (in particolare Gv 17, 21): l’impegno a mettere in
pratica nel quotidiano la Parola di Dio come risposta al suo Amore (cf. Mt
7, 21-27); l’osservanza del comandamento nuovo di Gesù (cf. Gv 13, 34) che
porta ad amare non soltanto gli altri come se stessi, ma anche la Chiesa
altrui come la propria; Gesù crocifisso e abbandonato (cf. Mc 15, 34; Mt 27,
46) come chiave di uno stile di vita “kenotico” e come fonte dello Spirito che
apre la via all’unità; l’esperienza della presenza viva di Cristo fra coloro che
sono uniti nel suo nome (cf. Mt 18, 20) come frutto maturo di tale amore che
si esprime in un’unità nella pluralità e nella diversità che rispecchia il mistero
della SS. Trinità.
Con questo spirito, le persone del Movimento dei Focolari concorrono a
un rinnovamento della propria Chiesa di appartenenza e allo stesso tempo
promuovono un dialogo della vita che favorisce lo sviluppo delle varie forme
di rapporto fra le Chiese: quello della preghiera, della condivisione concreta
e della dottrina.
Allo stesso tempo siamo impegnati a costruire ponti anche con i fedeli di
altre religioni, persone di convinzioni non religiose ed esponenti dei diversi
ambiti della cultura.
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a mettere le persone non solo in comunione con Dio ma anche tra loro,
rendendole creature “nuove”, chiamate a vivere e a promuovere a tutti i
livelli rapporti di comunione come principio di una più piena e più reale
socialità. Nella stessa linea si potrebbe illustrare come la presenza dei
cristiani nella società non si limiti alla diakonía e al servizio, a prevenire
le molteplici forme di povertà e di esclusione e a promuovere la pace,
la giustizia e la salvaguardia del creato, ma pure immette nella società,
quasi per osmosi, un potenziale di comunione, reciprocità e condivisione
che potrà animare e rinnovare tutti gli ambiti della convivenza umana,
quasi un divino “lievito” che, rispondendo ai molti perché dell’umanità di
oggi, la fa crescere verso “cieli nuovi e terre nuove” 6.
1. Il “dialogo della vita”. È all’interno di una vita evangelica sempre più con-
divisa, basata sul seguire insieme Cristo, sulla vita nello Spirito e l’impe-
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che, incentrando la nostra vita nel Cristo crocifisso e risorto, sarà possibile,
nonostante le barriere tuttora esistenti, crescere in un’esperienza di koinonía
che porterà col tempo anche alla piena unità visibile. Approfondire le im-
plicazioni di una simile spiritualità, eventualmente anche con uno specifico
progetto di studio, potrebbe essere un’importante pista di ricerca nel “pelle-
grinaggio ecumenico” verso la piena comunione.
Con un rinnovato ringraziamento, esprimiamo i nostri migliori auguri per
l’ulteriore cammino e assicuriamo non soltanto la nostra preghiera, ma an-
che il fattivo impegno del Movimento dei Focolari a rafforzare sempre più i
vincoli di comunione fra tutti i cristiani per testimoniare insieme e favorire
la fraternità fra le persone e i popoli, le religioni e le culture e in tal modo
contribuire a un mondo più giusto, ecologicamente sostenibile e a una pace
duratura.
in collaborazione con:
Hubertus Blaumeiser
Chiesa Cattolica Romana
1
Cf. http://together4europe.org.
2
Rinviamo in particolare alla riflessione sul tema “Verso una spiritualità
dell’unità” offerta all’Istituto ecumenico di Bossey il 26 ottobre 2002 e a quella su
“L’unità e Gesù crocifisso e abbandonato, fondamenti per una spiritualità di comu-
nione” offerta presso la sede del Consiglio ecumenico delle Chiese il 28 ottobre
2002. C. Lubich, Il dialogo è vita, Città Nuova, Roma 2007, pp. 16-33; 54-72. Prece
denti visite a quella sede del Consiglio ecumenico delle Chiese a Ginevra erano av-
venute nel 1967 e nel 1982.
3
Cf. il riferimento all’uomo e alla donna «creati ad immagine di Dio (cf. Gen 1,
26-27), quindi con un’intrinseca capacità di comunione (gr. koinonía) con Dio e fra
loro» e alla comunione come «dono che la Chiesa è chiamata ad offrire a un’umanità
ferita e divisa» (n. 1).
4
Ci sembra significativo, in questo contesto, che Giovanni Paolo II, in qualche
occasione, non abbia esitato ad affermare che la dimensione istituzionale e quella
carismatica sono “co-essenziali” per la vita della Chiesa. Cf. Giovanni Paolo II, Dis-
corso alla Veglia di Pentecoste in piazza San Pietro con i Movimenti ecclesiali e le nuove
Comunità, 30 maggio 1998.
5
Cf. per esempio cap. 1: «La comunione, che ha la sua fonte nella vita della santa
Trinità, è sia il dono grazie al quale la Chiesa vive, sia il dono che la Chiesa è chiama-
ta da Dio a offrire a un’umanità ferita e divisa, nella speranza della riconciliazione
e della guarigione» (n. 1); cap. 2: «Come comunione stabilita da Dio, la Chiesa […]
è per sua natura missionaria, chiamata e inviata a testimoniare nella propria vita la
comunione che Dio vuole per tutta l’umanità e per tutto il creato, nel Regno» (n. 13);
«Lo Spirito Santo vivifica e abilita la Chiesa a svolgere il suo compito nella proclama-
zione e nella realizzazione di quella trasformazione generale che tutta la creazione,
gemendo, attende (cf. Rm 8, 22-23)» (n. 21); «La Chiesa, incarnando nella sua vita il
mistero della salvezza e della trasformazione dell’umanità, partecipa alla missione
di Cristo mirante a riconciliare, attraverso di lui, tutte le cose con Dio e gli uni con gli
altri (cf. 2 Cor 5, 18-21; Rm 8, 18-25)» (n. 26).
6
Ricordiamo a questo proposito la visione dei primi tempi del cristianesimo
come viene espressa per esempio nella Lettera a Diogneto (6, 1: i cristiani come “ani-
ma mundi”); o in Agostino di Ippona (la Chiesa come spazio del “mondo riconcilia-
to”; cf. Sermones 96, 7, 9, PL 38, 588), ma anche l’immagine forte che si trova in Ez
47, quella delle “acque” che escono dal tempio e risanano e fecondano tutta la terra,
promessa dello Spirito realizzata a Pentecoste.
7
Cf. Join the Pilgrimage of Justice and Peace, Messaggio della 10° Assemblea del
Consiglio ecumenico delle Chiese a Busan (Corea del Sud), 8 novembre 2013.
8
Cf. “Premessa”; e al n. 24: «Non è giunto forse il momento di un nuovo approc-
cio?».
9
Potranno essere illuminanti, in questo contesto, i “cinque imperativi ecumeni-
ci” formulati nel cap. VI del documento Dal conflitto alla comunione della Commissio-
ne luterano-cattolica sull’unità (2013).
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10
Espressione coniata dal rev. Philip Potter durante la visita di Chiara Lubich al
Consiglio ecumenico delle Chiese nel 1982.
11
Cf. C. Lubich, Il dialogo è vita, cit., pp. 16-33; Id., Una spiritualità per la riconci-
liazione, in «Nuova Umanità» 113 (1997/5), pp. 543-556; Id., A spirituality of Unity
in Diversity, in Searching for Christian Unity, New City Press, Hyde Park (NY) 2007,
pp. 190-203.
12
Cf. Procedure di consenso, in Linee-guida per la conduzione degli Incontri del
Consiglio ecumenico delle Chiese, 14 febbraio 2006.
13
Cf. Gal 3, 28: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non
c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». In un convegno
ecumenico di vescovi amici del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich ha spiegato
così l’esperienza del Risorto fra i discepoli: «Gesù in mezzo a noi vivifica il suo Corpo
mistico. Con Lui in mezzo a noi diventavamo “cellule vive” di esso […]. Si formarono
e si formano così nella Chiesa cattolica e nelle altre Chiese e fra membri di Chiese
diverse, brani di cristianità uniti nel nome di Gesù in attesa dell’ulteriore vincolo
d’unità, l’Eucaristia, quando Dio vorrà», Voi siete tutti uno in Cristo Gesù – la presenza
di Cristo in mezzo ai suoi e il dialogo della vita, Intervento al Convegno ecumenico di
Vescovi, Rocca di Papa (Roma), 26 novembre 2003; pubblicato in «gen’s – rivista di
vita ecclesiale» 35 (2005/1) pp. 6-11.
14
Cf. C. Lubich, Voi siete tutti uno in Cristo Gesù, cit., p. 11: «Non si può, infatti,
entrare nell’animo di una persona per comprenderla, per capirla, se il nostro spirito
è ricco di una preoccupazione, di un giudizio, di un pensiero…, di qualunque cosa.
L’amore e l’amore reciproco esigono la massima povertà di spirito; solo con essa è
possibile realizzare l’unità. Ora, solo Gesù abbandonato che ha perso tutto […] può
insegnare a staccarsi da tutto, tutto, tutto. Questo massimo distacco esteriore, ma
soprattutto interiore, rende tutti capaci di capire gli altri e rende tutti aperti a rice-
vere i doni che gli altri portano».
Cf. anche nel discorso all’Istituto Ecumenico di Bossey (26 ottobre 2002; C.
Lubich, Il dialogo è vita, cit., p. 30): «Secondo la nostra esperienza, una spiritualità
ecumenica sarà feconda in proporzione di quanto, chi vi si dedica, vedrà in Gesù
crocifisso e abbandonato, che si riabbandona al Padre, la chiave per ricomporre l’u-
nità con Dio e l’unità fra noi». Occorrono «cuori profondamente toccati da Lui, che
sanno non sfuggirgli, ma lo amano e trovano in Lui la luce e la forza per non fermarsi
nel trauma, nello spacco della divisione, ma per andare sempre al di là» (ibid., pp.
30-31). In questo senso, Chiara Lubich si è detta convinta che Gesù abbandonato
sia «“la stella” del cammino ecumenico». Da parte sua, l’allora segretario del CEC,
Konrad Raiser, in occasione della visita di Chiara Lubich al Consiglio ecumenico, il
28 ottobre 2002 ha ricordato che già il messaggio della Conferenza mondiale del
nascente Movimento ecumenico a Stoccolma nel 1925, aveva espresso l’idea che
«più ci avvicineremo alla croce di Cristo, più ci avvicineremo gli uni gli altri» (cf.
Message n. 14, in G.K.A. Bell [ed.], The Stockholm Conference 1925. The Office Report
of the Universal Christian Conference on Life and Work held in Stockholm, 19-30 August,
1925, Oxford University Press, London 1926, pp. 710-716). La ricerca dell’unità – ha
concluso Raiser – non sta perciò nel «costruire un edificio, bensì in un processo
di spogliamento, di svuotamento di noi stessi, di tutto ciò che ci tiene separati da
Cristo e gli uni dagli altri» (in C. Lubich, Il dialogo è vita, cit., p. 73). Nel Messaggio
congiunto che Chiara Lubich e Konrad Raiser in quel giorno hanno indirizzato «ai
partner ecumenici che sono impegnati per l’unità delle Chiese», essi affermano: «Se
le Chiese si riuniscono per rendere visibile l’unità cercata sinceramente, conver-
rebbe cambiare gli atteggiamenti verso Dio e tra di loro. Esse sono chiamate alla
metánoia e alla kénosis, nelle quali troviamo il modo di praticare la più genuina peni-
tenza e vivere la più autentica umiltà». (http://www.oikoumene.org/en/resources/
documents/general-secretary/joint-declarations/spirituality-of-unity).
15
Consiglio Ecumenico delle Chiese, Quinta conferenza mondiale di “Fede e
Costituzione”, in T. Best - G. Gassmann (edd.), On the Way to Fuller Koinonía, Faith
and Order Paper n. 166, World Council of Churches Publications, Geneva 1994, p.
233.
16
Cf. per esempio, la definizione, generalmente condivisa fra i cristiani, della
Chiesa locale citata al n. 31: «Una comunità di credenti battezzati nella quale si
predica la parola di Dio, si professa la fede apostolica, si celebrano i sacramenti, si
testimonia l’opera redentrice di Cristo per il mondo e nella quale i vescovi e gli altri
ministri esercitano un ministero di episkopé a servizio della comunità. (Rapporto del
Gruppo di lavoro congiunto fra Consiglio ecumenico delle Chiese e Chiesa cattolica
romana, La Chiesa: locale e universale, n. 15; EO 3/859. In questa definizione, “locale”
non dovrebbe essere confuso con “denominazionale”)».
17
Ai nostri giorni si è sempre più consapevoli della necessità che il Movimento
ecumenico affondi le sue radici nella spiritualità. Cf. pure Gruppo misto di lavoro fra
la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese, Appendix B Be renewed in
the Spirit. The Spiritual Roots of Ecumenism, Geneva-Rome 2013, pp. 104-110. Cf. «La
sua dedizione ad una spiritualità dell’unità è importante per mantenere e riaccen-
dere l’impegno per l’unità», Konrad Raiser, in C. Lubich, Il dialogo è vita, cit., p. 46.
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sandra ferreira ribeiro - martin hoegger
Henn, o.f.m.cap., della Chiesa cattolica; il Morag Logan, della Uniting Church
dell’Australia; Makhosazana K. Nzimande, della Chiesa anglicana del Sud
Africa e Hermen Priyaraj Shastri, della Chiesa metodista della Malesia.
In questi anni “Fede e costituzione” ha pubblicato 221 studi, ognuno
contrassegnato in successione numerica continua e consultabile sul sito del
Consiglio ecumenico delle Chiese2. Nel 1982 è stato pubblicato un docu-
mento su Battesimo, eucaristia e ministero (Baptism, Eucharist and Ministry)3.
Si tratta di un testo di grande convergenza e consenso, considerato come il
risultato più notevole del dialogo multilaterale.
Dopo Battesimo, eucaristia e ministero, “Fede e costituzione” ha intrapre-
so un intenso studio di ecclesiologia. Il primo frutto è stato il testo pubblica-
to nel 1998 intitolato: La natura e lo scopo della Chiesa (The Nature and Purpose
of the Church)4.
Dopo aver recepito commenti e suggerimenti da parte delle Chiese, è
stato pubblicato un secondo testo nel 2005 intitolato La natura e la missione
della Chiesa (The Nature and Mission of the Church)5.
Il frutto più maturo di questo studio è rappresentato dal testo di conver-
genza pubblicato nel 2013 che s’intitola La Chiesa: verso una visione comune
(The Church: Towards a Common Vision)6. A questo documento è dedicato il
presente “Focus”.
1
“Vita e azione” (Life and Work) sottolineava l’importanza di collaborare insie-
me cristiani di diverse Chiese per la giustizia e per la pace. Fu un vescovo luterano
svedese di Uppsala, Nathan Söderblom, l’iniziatore di questo movimento.
2
www.oikoumene.org/en/resources/documents/commissions/faith-and-or-
der/documents-of-the-wcc-commission-on-faith-and-order.
3
Faith and Order paper n. 111.
4
Faith and Order paper n. 181.
5
Faith and Order paper n. 198.
6
Faith and Order paper n. 214.
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punti cardinali
Condivisione e
Terza rivoluzione industriale
Gennaro
introduzione
Iorio
docente di Condividere i beni, le esperienze, i talenti tra le per-
sociologia e sone non è più solo un prezioso spazio di testimonian-
sociologia za personale. La cura e la gestione dei beni comuni non
dell’innovazione sono destinate alla tragedia del depauperamento, così
all’università come sentenziò Hardin nel lontano 19681.
degli studi di
salerno. membro Oggi, condividere può diventare la governance su cui
dell’internatio fondare l’economia e la società. Le piccole esperienze
nal sociological personali di condivisione sono dentro un grande movi-
association. mento storico di riscoperta di una società collaborativa
membro e conviviale, dimensione quest’ultima relegata ai mar-
del centro
interdisciplinare gini dal modello accumulativo e privatistico del capita-
di studi “scuola lismo moderno.
abbà” e del gruppo La prospettiva e la trasformazione della Terza rivo-
internazionale luzione industriale in atto, che va sotto il nome di Inter-
social-one. net delle cose (IdC), contiene, al fondo, questa posta in
gioco, di cui è importante comprendere il processo per
prendere parte. Nella trasformazione, anche dramma-
tica, che stiamo vivendo c’è un’opportunità inedita, un
ritorno alla centralità di tutta quella tradizione cultura-
le che ha fatto della solidarietà, della gestione comune
dei beni, della collaborazione il perno di un mondo più
giusto e fraterno. Oggi siamo nel pieno dello scontro tra
due paradigmi: quello nascente, fondato sulla condivi-
sione, e quello esistente, incentrato sull’accumulazione.
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per cento circa del mercato, mentre il suo principale concorrente, Verizon, il
25 per cento. In sostanza il mercato della telefonia fissa negli Usa (ma anche
negli altri Paesi) non esiste, perché c’è un oligopolio.
Il telefono, per funzionare, richiedeva energia elettrica, quindi cominciò
la creazione dell’infrastruttura elettrica del Paese, che allargava il suo mer-
cato all’illuminazione e alle fabbriche. Nell’industria il passaggio dal carbone
al petrolio-elettricità aumentò la produttività del 300 per cento8.
L’impatto sulla società e sull’economia è stato enorme. La telefonia con-
sentiva la comunicazione e il controllo della produzione su scala nazionale,
favorendo il coordinamento del mercato delle merci. Il passaggio dai tra-
sporti mossi a carbone (i treni a vapore a direzione fissa) a quelli a petrolio a
direzione variabile (auto) ampliò il raggio dell’attività economica. Il traspor-
to su gomma è stato il pilastro su cui si è poggiata tutta la Seconda rivoluzio-
ne industriale, come la Prima era stata caratterizzata dalla posa dei binari.
Entrambe avevano alla base un’infrastruttura energetico-comunicativa che
le reggeva: la prima era carbone-stampa/treno, la seconda petrolio-telefo-
no/automobile.
Certo sarà difficile scardinare questo ordine economico, perché il 2008
è anche l’anno in cui la concentrazione capitalistica ha raggiunto il suo mas-
simo. A livello mondiale tre delle quattro più grandi società per azioni sono
aziende petrolifere, seguono dieci banche: Jp Morgan Chase, Goldman Sa-
chs, Boa Merrill Lynch, Morgan Stanley, Citigroup, Deutsche Bank, Crédit
Suisse, Barclays Capital, UBS e Wells Fargo Securities che controllano il 60
per cento del mercato mondiale dell’investment banking. Dopo di esse ven-
gono 500 multinazionali con un fatturato che rappresenta un terzo del Pil
mondiale (22.500 miliardi di dollari su un totale di 62.000 miliardi).
Questa concentrazione è il prodotto più maturo di una specifica struttu-
ra energetico-comunicativa che è stata alla base della Prima e della Seconda
rivoluzione industriale, alla cui radice c’è stato un principio culturale che ha
nell’individuo egoista e acquisitivo il suo sistema operativo di riferimento.
Nel 2008, con l’inizio della più grande crisi finanziaria di tutti i tempi
(non ancora conclusa), il prezzo del petrolio ha raggiunto il costo record di
147$ al barile. Sarà questa la data che gli storici ricorderanno come il picco
della Seconda rivoluzione industriale e l’inizio della sua discesa?
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al gigabyte, dieci anni dopo 3 centesimi. Oggi i telefoni cellulari pesano pochi
grammi, sono piccoli e costano poche centinaia di euro (ma anche meno). Il
super computer creato alla fine degli anni Settanta del ’900 costava 9 milioni
di dollari e pesava 5 tonnellate e mezzo. Il costo marginale, rispetto a questi
numeri, sta scendendo a zero. Questo parametro è fondamentale per capire
le performance commerciali e il ritorno degli investimenti economici di un si-
stema capitalistico11.
La crescita esponenziale produttiva e la riduzione del costo di produzio-
ne è quanto mai osservabile nel settore delle energie rinnovabili. Quando
le rinnovabili saranno accompagnate da una infrastruttura di distribuzione
Internet, ogni edificio diventerà un nodo della rete di produzione di energia,
di cui una parte consumerà e quella in eccesso verrà condivisa con chi ne
ha necessità.
Richard Swanson, fondatore della SunPower Corporation, ha riscontrato
che nella tecnologia solare opera la stessa legge di Moore osservata per i
chip dei computer. Secondo la legge di Swanson, il prezzo delle celle solari
fotovoltaiche tende a diminuire del 20 per cento ogni volta che la capacità
di produzione del settore raddoppia. Infatti, i prezzi delle celle fotovoltaiche
sono crollati dai 60 dollari al watt del 1976 allo 0,60 nel 2013. Se l’andamen-
to si confermerà nei prossimi anni, entro il 2030 il prezzo medio dell’elettri-
cità sarà la metà di quello attuale generato dall’energia fossile12.
Già oggi le compagnie energetiche sono costrette a rinunciare a investire
nella costruzione di nuove centrali a energia fossile da un miliardo di dollari,
perché le energie rinnovabili hanno dilatato di molto il tempo di ritorno eco-
nomico dell’investimento. Questo vuol dire che l’energia rinnovabile sta già
estromettendo dalla rete elettrica (e dal mercato) l’elettricità a combustibile
fossile.
La Stanford University in un suo studio ha calcolato che lo sfruttamento
del 20 per cento del vento presente nel nostro pianeta sarebbe capace di
produrre energia pari a sette volte il fabbisogno dell’intera economia mon-
diale. Negli ultimi venti anni la produttività delle turbine eoliche è aumentata
di cento volte. La conseguenza è stata una riduzione dei costi di produzione,
installazione e manutenzione dell’eolico che a partire dal 1998 registra un
raddoppio della capacità produttiva ogni due anni e mezzo13.
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Adam Smith ne La ricchezza delle nazioni del 177615 affermava che nel
mercato ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Quindi
se aumenta la domanda di un bene, i venditori aumentano di conseguenza i
loro prezzi. Se i prezzi aumenteranno troppo, la domanda calerà e i venditori
saranno costretti ad abbassare i prezzi. Così accade anche per l’offerta, ma
in modo contrario e inversamente proporzionale.
Un altro importante economista francese, Jean-Baptiste Say16, aggiunse
un secondo postulato e cioè che l’attività economica di mercato si autoa-
limenta, a meno che non intervenga una forza esterna. Una generazione
di economisti neoclassici successivi ha visto nell’innovazione tecnologica
un elemento per perfezionare la legge di Say. Secondo questi autori la tec-
nologia aumenta la produttività, cioè consente di produrre una maggiore
quantità di beni a prezzi più bassi. I prezzi più bassi fanno crescere la do-
manda dei beni. Un ulteriore effetto dell’innovazione tecnologica è che avvia
un processo di concorrenza e competitività tra i produttori per conquistare
nuovi clienti.
Per gli economisti, quando il meccanismo della concorrenza fondata
sull’innovazione tecnologica si afferma in maniera generalizzata conduce
alla “produttività estrema”, cioè alla “massimizzazione del benessere gene-
rale”. Tale massimizzazione è il punto in cui ogni unità di prodotto aggiuntivo
creato ha un costo minimo, per questo è detto costo marginale, cioè è il
costo di produzione dell’ultima unità prodotta, al netto dei costi fissi. Per
capirci, per un panettiere il costo marginale è il costo dell’ultimo pezzo di
pane che deve produrre al netto dei costi fissi del fitto, dell’investimento del
forno ecc.
In un’economia di mercato capitalistico, quindi, il profitto si realizza ai
margini. E dove la produzione di beni e servizi assume costi marginali zero,
il profitto tramonta, la proprietà perde senso e il mercato su cui si scambia-
no titoli di proprietà diventa superfluo. È ciò che è accaduto al colosso di
produzione delle pellicole fotografiche Kodak, con l’avvento delle macchine
fotografiche digitali incorporate nei cellulari, o ai colossi dell’industria dei
dischi musicali.
Oggi, questo costo è quasi zero nel campo dell’energia rinnovabile (in
Cile per più di sei mesi all’anno) e dell’informazione in rete. E sta comincian-
do a farsi sentire in diversi settori commerciali e produttivi: nell’editoria, nel
manifatturiero con le stampanti 3D (aeronautica), nell’istruzione superiore
online, nella logistica. Gli economisti hanno capito da tempo che, se i con-
sumatori pagano solo il costo marginale dei beni che acquistano, le imprese
non sono più in condizioni di ripagarsi gli investimenti, né di produrre profitti
per i propri azionisti. L’unica via che hanno per mantenere privilegi è creare
monopoli o oligopoli in grado di assicurare artificiosamente i prezzi alti e
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6. proprietà diffusa e
organizzazione produttiva orizzontale: i prosumer
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cedono alla Rete energia da fonti rinnovabili si rendono non economici gli
investimenti da parte dei privati for profit in energia. Le nazioni che hanno
incentivi tariffari di questo tipo nel mondo sono oggi 6525.
Il finanziamento degli incentivi è stato fatto mediante l’aumento del
prezzo generalizzato dell’energia. In questo modo il passaggio alle rinno-
vabili è finanziato dai cittadini consumatori o dai contribuenti che hanno
finanziato i sussidi governativi. I maggiori beneficiari del meccanismo sono
state, paradossalmente, le grandi aziende delle rinnovabili che hanno potuto
realizzare guadagni facendo profitto attraverso i loro clienti o contribuenti.
Oggi, dopo l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco e la conferenza sul
clima Cop 21, l’opinione pubblica mondiale è più consapevole anche del
circuito che ha alimentato i profitti delle grandi compagnie energetiche e,
quindi, si sta diffondendo il desiderio di diventare prosumer di energia elet-
trica verde. Il meccanismo sta passando in mano a milioni di proprietari di
abitazioni che hanno attivato una curva di crescita esponenziale di produ-
zione energetica rinnovabile, distribuita e democratica. I prosumer, quindi,
riprendono gli incentivi che pagano quando diventano produttori di energia
con l’installazione sui propri tetti di un piccolo impianto rinnovabile e non
lasciano più i loro incentivi alle grandi società elettriche.
Questo passaggio, da consumatore a prosumer di energia, segna una
svolta di paradigma di come può essere prodotta e utilizzata l’energia. Se
nel secolo scorso le aziende energetiche del petrolio, del gas e del carbo-
ne hanno controllato e fatto funzionare l’infrastruttura elettrica nazionale,
grazie all’alleanza con le banche e gli istituti di credito, e favoriti dai sussidi
statali, oggi, invece, milioni di persone stanno realizzando la trasformazione
delle energie rinnovabili. Tale mutamento è segnalato dai dati, ma anche da
autorevoli Ceo di giganti delle energie fossili. Gérard Mestrallet della GDF
Suez, la più grande società di gas della Francia, ha ammesso che l’epoca
degli oligopolisti europei dell’energia non esiste più, perché «alcuni consu-
matori sono diventati produttori»26.
I cittadini e i consumatori stanno sostenendo non solo la produzione
ma stanno pagando la creazione dell’Internet dell’energia. Per funzionare,
la nuova Rete intelligente deve abbandonare la vecchia architettura cen-
tralizzata, verticistica e proprietaria in favore di un modello organizzativo
7. sostenibilità
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8. felicità
9. conclusione
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A chi vuole vivere questo tempo operando per una società collaborativa
sono dati due strumenti: la propria vita personale e l’essere cittadino. Nella
vita personale, chi vuole condividere lo può fare in tutti gli ambiti, perché ha
la piattaforma par farlo: giocattoli, posti letto, vestiti, auto, case, cravatte,
terreni incolti, borse, talenti, competenze, scambi culturali, soluzioni, esi-
genze, credito ecc. Una condivisione che riduce la coazione all’accumulo,
aumenta il ciclo di vita degli oggetti e promuove uno stile di vita più sobrio,
sostenibile e felice. In questo modo ognuno può dare il proprio contributo a
una economia della condivisione e di comunione.
Come cittadini c’è bisogno che ciascuno potenzi un’opinione pubblica
favorevole a investimenti nell’infrastruttura condivisa: innanzitutto nell’e-
nergia e nell’informazione. Oggi è tempo di vigilare su chi finanzia l’Internet
veloce e di chiedere l’accesso universale e gratuito alla Rete come diritto
di cittadinanza. Inoltre, l’opinione pubblica deve premere perché lo Stato
torni a promuovere agevolazioni fiscali per i cittadini che intendono costrui
re il proprio impianto di produzione di energia di piccola taglia, per curare
l’ambiente, ridurre le diseguaglianze e diffondere una rete di distribuzione
energetica che condivide il sovrappiù. A livello comunale, ulteriormente, si
può diffondere ciò che sta facendo Parigi: il comune mette a disposizione
dei residenti un parco auto elettrico ad accesso libero per gli spostamenti
urbani. La prenotazione e la responsabilità del mezzo si operano mediante
la registrazione ad un’App. Quindi tre dimensioni di policies per la condivisio-
ne di energia, informazione e mobilità possono cambiare il modello sociale.
Condividere significa ritrovare il senso e la ricchezza delle relazioni con
gli altri come bene primario. Un bene che oggi fa riscoprire il senso di con-
vivialità umana e che diventa una modalità operativa concreta, per riorga-
nizzare la struttura economica e sociale, che si estende fino alla biosfera.
C’è bisogno di accompagnare il processo storico con generosità: è
quello che papa Francesco chiama l’amore sociale (LS, 157), cioè l’agápe 32,
che si manifesta con l’azione dei singoli e delle comunità. Certo, i cambia-
menti di paradigma sono dirompenti e spesso dolorosi, eppure si perce-
pisce un’inconfondibile sensazione di possibilità. Per dirla con uno slogan:
il già (nato) e il non ancora (realizzato). È questo lo spazio della nostra
responsabilità oggi.
1
Cf. G. Hardin, The Tragedy of the Commons, in «Science», vol. 162, n. 3859
(1968), pp. 1243-1248.
2
Cf. E.J. Hobsbawm, Le rivoluzioni borghesi: 1789-1848, Laterza, Roma-Bari 1988,
p. 408.
3
Cf. A. Chandler, La mano visibile. La rivoluzione manageriale nell’economia ameri-
cana, Franco Angeli, Milano 1981, p. 170.
4
Cf. A.E. Davis, Art and Work: A Social History of Labour in the Canadian Graphic
Arts Industry in the 1940s, McGill-Queen’s University Press, Montreal 1955, p. 21.
5
Cf. Api, Energizing America: Facts for Addressing Energy Policy, 2013, p. 17, http://
www.api.org.
6
Cf. N. Mandayam - R. Frenkiel, AT&T History, in «Rutgers Unviersity», 2013,
http://www.winlab.rugers.edu.
7
Cf. A. Thiere, Un-natural Monopoly. Critical Moments in the Development of the
Bell System Monopoly, in «Cato Journal», 14, 2 (1994), p. 270.
8
Cf. C. Marvi, Quando le vecchie tecnologie erano nuove: elettricità e comunicazione
a fine Ottocento, Utet, Torino 1994.
9
Cf. G. Rifkin, La società a costo marginale zero, Mondadori, Milano 2014.
10
Cf. S. Mitchell - N. Villa - A. Weeks - A. Lange, The Internet of Everything for
Cities, in «Cisco» (2013), http://www.cisco.com.
11
Cf. G. Rifkin, La società a costo marginale zero, cit., p. 111.
12
Cf. E. Wesoff, First Solar Surprised with Big 2013 Guidance, 40 cents per Watt, in
«GreenTechMedia» 2013, http://www.greentechmedia.com.
13
Cf. C. Archer - M.Z. Jacobson, Evaluation of Global Wind Power, in «Journal of
Geophysical Research», 110 (2005), http://www.stanford.edu.
14
Cf. G. Rifkin, La società a costo marginale zero, cit., p. 117.
15
Cf. A. Smith, La ricchezza delle nazioni, Newton Compton, Roma 1995, pp. 95-
96.
16
Cf. J.B. Say, Trattato d’economia politica, Pomba, Torino 1854, p. 98.
17
C. Rose, The Comedy of the Commons, in «University of Chicago Law Review»,
53, n. 3 (1986), p. 76.
18
Cf. E. Ostrom, Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia 2006.
19
Cf. K. Polany, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 2000.
20
Cf. R.L. Heilbroner, Nascita e sviluppo della società capitalistica, Liguori, Napoli
1978.
21
Cf. H. Hotelling, The General Welfare in Relation to Problems of Taxation and of
Railway and Utility Rates, in «Econometrica», 6, 3 (1937).
22
Cf. R. Coase, The Marginal Cost Controversy, in «Economica», 13, 51 (1946).
23
Cf. ibid., p. 180.
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24
In particolare del cyberterrorismo, della privacy e del controllo, della comuni-
cazione emozionale e dell’annullamento del principio di verità.
25
Cf. UNEP, Feed in Tariffs as a Policy Instrument for promoting Renewable Energies
and Green Economies in Developing Countries, a cura di R. Wilson - L. Chad - J. David -
C. Dietrich - C. Hanle, 2012, p. 4, www.unep.org/pdf/report_2012.pdf.
26
Cf. G. De Clercq, Renewables Turn Utilities into Dinosaurs of the Energy World,
in «Reuters», 8 marzo, 2013, www.reuters.com/article/2013/03/08/us-utilities-
threat-id.
27
Cf. Epri, Estimating the Costs and Benefits of the Smart Grid: A Preliminary Esti
mate of the Investment Requiremets and the Resultant Benefits of a Fully Functioning
Smart Grid, 2011, p. 4.
28
Cf. M. Gruten et al., Living Planet Report 2012: Biodiversity, Biocapacity, and Bet-
ter Choices, in «World Wildlife Fund», 6 (2012), http://awasassets.panda.org.
29
Cf. Food Policy Research Institute, Impact of Climate Change on Agriculture-Fact
Sheet on Asia, 2009, http://ifpri.org.
30
Cf. R. Layard, Happiness: Lessons from a New Science, Penguin Press, New York
2006.
31
Cf. G. Iorio, Elementi di sociologia dell’amore. La dimensione agapica della società,
Natan, Roma 2013; cf. V. Araújo - S. Cataldi - G. Iorio (edd.), L’amore al tempo della
globalizzazione, Città Nuova, Roma 2015.
32
Cf. ibid.
nu 223
punti cardinali
Il cammino verso
l’unità dei cristiani
secondo papa Francesco1
Kurt Koch
presidente 1. l’obiettivo e il cammino dell’ecumenismo
del pontificio
consiglio per «Da parte mia, desidero assicurare, sulla scia dei
la promozione miei predecessori, la ferma volontà di proseguire nel
dell’unità dei
cristiani e della
cammino del dialogo ecumenico»2. Con queste paro-
commissione per i le pronunciate già durante il suo primo incontro con i
rapporti religiosi rappresentanti delle Chiese e delle comunità ecclesiali
con l’ebraismo. e delle altre religioni, il giorno dopo l’inizio del suo pon-
tificato, papa Francesco ha annunciato il suo impegno
ecumenico. Al riguardo, colpisce innanzitutto la consa-
pevolezza del papa di trovarsi in una fondamentale con-
tinuità con i suoi predecessori. A costoro egli ha fatto
esplicito riferimento, lodando il contributo specifico di
ognuno, nell’omelia letta durante la celebrazione dei
Vespri al termine della Settimana di preghiera per l’u-
nità dei cristiani, da lui presieduta per la prima volta nel
2014, quando è giunto alla seguente conclusione: «L’o-
pera di questi pontefici ha fatto sì che la dimensione del
dialogo ecumenico sia diventata un aspetto essenziale
del ministero del vescovo di Roma, tanto che oggi non
si comprenderebbe pienamente il servizio petrino senza
includervi questa apertura al dialogo con tutti i credenti
in Cristo»3.
In chiaro accordo con i suoi predecessori e in parti-
colare con il decreto sull’ecumenismo del Concilio Va-
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perdono per quei fratelli e sorelle cattolici che non hanno capito e che sono
stati tentati dal diavolo e hanno fatto la stessa cosa dei fratelli di Giuseppe.
Chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscere e di perdonare»12. Con
il riferimento alla storia veterotestamentaria di Giuseppe e dei suoi fratelli,
papa Francesco ha voluto sottolineare che i cristiani che vivono e lavorano
nelle comunità evangelicali e pentecostali sono per lui fratelli che abbiamo
ritrovato, come i figli di Giacobbe hanno ritrovato in Egitto il loro fratello
Giuseppe.
Un altro grande passo di riconciliazione è stato compiuto da papa Fran-
cesco nel giugno 2015, quando il pontefice si è recato a Torino per incontra-
re – primo tra i papi – la comunità valdese nel tempio valdese locale. Anche
in questa occasione, ha sentito l’obbligo di chiedere perdono, perché, invece
di accogliere la diversità esistente tra i fratelli cristiani, ci siamo scontrati gli
uni con gli altri. E si è espresso in modo toccante:
Riflettendo sulla storia delle nostre relazioni, non possiamo che rat-
tristarci di fronte alle contese e alle violenze commesse in nome
della propria fede, e chiedo al Signore che ci dia la grazia di ricono-
scerci tutti peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri. […] Da
parte della Chiesa cattolica vi chiedo perdono. Vi chiedo perdono
per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non
umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi13.
Con queste due richieste di perdono per i peccati commessi nel passato,
papa Francesco ha mostrato che spesso segnali forti sono più eloquenti di
molte parole. Tali gesti sono parte integrante del vocabolario ecumenico del
Santo Padre e rendono visibile ciò che più profondamente gli sta a cuore. Il
gesto compiuto da papa Francesco durante la sua visita alla chiesa patriar-
cale del Fanar a Istanbul, quando si è chinato davanti al patriarca ecumenico
Bartolomeo chiedendogli la benedizione per lui e per la Chiesa di Roma,
rimarrà sicuramente impresso nella memoria. Con tali gesti ecumenici,
papa Francesco si pone nella tradizione dei suoi predecessori nel ministero
petrino, e in particolare del beato papa Paolo VI, da lui molto apprezzato.
Nel 1973, nella Cappella Sistina in Vaticano, questo pontefice si inginocchiò
davanti al metropolita Meliton, quale delegato dell’allora patriarca ecumeni-
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un’isola per lasciarli discutere tra loro e, nel frattempo, si dovrebbe conti-
nuare il cammino verso l’unità.
Accanto a questo appello a non aspettare i teologi ma a proseguire il
cammino verso l’unità, in papa Francesco si trovano comunque chiari e con-
tinui riferimenti al ruolo necessario, all’interno delle relazioni ecumeniche,
del dialogo teologico, che egli sostiene e considera come un importante
contributo alla promozione dell’unità dei cristiani. Per lui è fondamenta-
le che soltanto uno sguardo teologico nutrito dalla fede, dalla speranza e
dall’amore riesca a generare una riflessione teologica autentica, che è «in
realtà vera scientia Dei, partecipazione allo sguardo che Dio ha su se stesso
e su di noi», e richiede una teologia «fatta in ginocchio»16. In questo stesso
spirito, papa Francesco e il patriarca ecumenico Bartolomeo, nella loro Di-
chiarazione comune, hanno ribadito, nel maggio 2014 a Gerusalemme, che
«il dialogo teologico non cerca un minimo comune denominatore teologico
sul quale raggiungere un compromesso», ma si basa piuttosto «sull’appro-
fondimento della verità tutta intera, che Cristo ha donato alla sua Chiesa e
che, mossi dallo Spirito Santo, non cessiamo mai di comprendere meglio»17.
Per definire ancora meglio la dimensione teologica del dialogo ecume-
nico, papa Francesco ricorre volentieri all’espressione spesso utilizzata da
papa Giovanni Paolo II, quella dello «scambio di doni», che non è «un mero
esercizio teorico», ma permette «di conoscere a fondo le reciproche tra-
dizioni per comprenderle e, talora, anche per apprendere da esse»18. Nei
dialoghi ecumenici infatti, secondo papa Francesco, non si tratta solamen-
te «di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio», come illustra
ampiamente nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium. Piuttosto,
si tratta «di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un
dono anche per noi». In riferimento allo scambio di doni, nel quale possiamo
imparare molto dagli altri, il Santo Padre menziona un esempio eloquente e
utile: «Nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità
di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla
loro esperienza della sinodalità»19.
Questa opportunità di imparare qualcosa di più sulla sinodalità, che
per papa Francesco si collega anche ad una sana “decentralizzazione” e
ad una “conversione del papato”20, ha naturalmente conseguenze anche
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Tuttavia, l’ecumenismo dei martiri ci pone anche davanti a una grande sfida,
riassunta da papa Francesco con le seguenti, pregnanti parole: «Se il nemico
ci unisce nella morte, chi siamo noi per dividerci nella vita?»37. Difatti, non
è vergognoso che i persecutori abbiano una migliore visione ecumenica di
quella che abbiamo noi cristiani? Nell’ecumenismo dei martiri va dunque
ravvisato il fulcro centrale di ogni sforzo ecumenico teso alla ricomposizione
dell’unità della Chiesa. Poiché la sofferenza di così tanti cristiani nel mondo
costituisce un’esperienza comune più forte delle differenze che ancora di-
vidono le Chiese cristiane, il martirio comune dei cristiani è oggi “il segno
più convincente” dell’ecumenismo, come ha evidenziato papa Francesco
nel suo messaggio ai partecipanti della Conferenza organizzata dal Global
Christian Forum lo scorso anno a Tirana, in Albania, sulla discriminazione, la
persecuzione e il martirio dei cristiani38.
Se gettiamo uno sguardo alle varie dimensioni della visione ecumenica
di papa Francesco, visione incentrata soprattutto sulla realtà dell’“ecumeni-
smo in cammino”, constatiamo che, effettivamente, l’impegno ecumenico fa
parte delle priorità del Santo Padre, come egli aveva annunciato e promesso
all’inizio del suo pontificato. Se, oltre a ciò, ripercorriamo le sue disparate
iniziative e i suoi numerosi incontri ecumenici, giungiamo alla conclusione
che papa Francesco, in continuità con i suoi predecessori nel ministero pe-
trino, esercita sin da ora un primato ecumenico, per il quale dobbiamo esse-
re profondamente riconoscenti.
1
Conferenza durante il 34º Convegno dei vescovi di varie Chiese a Istanbul, 29
novembre 2015.
2
Francesco, Discorso durante l’incontro con i rappresentanti delle Chiese e delle Co-
munità ecclesiali e delle altre religioni, 20 marzo 2013.
3
Francesco, Omelia durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della Conver-
sione di san Paolo apostolo, 25 gennaio 2014.
4
Francesco, Omelia durante la celebrazione ecumenica in occasione del 50° Anni-
versario dell’incontro a Gerusalemme tra papa Paolo VI e il patriarca Atenagora, nella
Basilica del Santo Sepolcro, 25 maggio 2014.
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5
Francesco, Omelia durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della Conver-
sione di san Paolo apostolo, 25 gennaio 2014.
6
Francesco, Discorso durante l’Udienza generale, 27 agosto 2014.
7
Francesco, Evangelii gaudium, n. 236.
8
Francesco, Omelia durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della Conver-
sione di san Paolo apostolo, 25 gennaio 2014.
9
Francesco, Discorso durante la Divina Liturgia nella chiesa patriarcale di San Gior-
gio a Istanbul, 30 novembre 2014.
10
Cf. R. Burigana, Un cuore solo. Papa Francesco e l’unità della Chiesa, Edizioni Ter-
ra Santa, Milano 2014; H. Destivelle, Le Pape Francois et l’unité des chrétiens. Un oe-
cuménismus en chemin, in «Istina» LX (2015), pp. 7-40; W. Kasper, Die ökumenische
Vision von Papst Franziskus, in G. Augustin und M. Schulze (Hrsg.), Freude an Gott. Auf
dem Weg zu einem lebendigen Glauben. Festschrift für Kurt Kardinal Koch zum 65, Ge-
burtstag, Freiburg i. Br. 2015, pp. 19-34; W. Kasper - Papst Franziskus, Revolution der
Zärtlichkeit und der Liebe, Verlag Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 2015, pp. 75-86.
11
Francesco, Discorso durante la visita privata a Caserta per l’incontro con il pastore
evangelico Giovanni Traettino, 28 luglio 2014.
12
Ibid.
13
Francesco, Discorso durante la visita al tempio valdese di Torino, 22 giugno 2015.
14
Unitatis redintegratio, n. 7.
15
Francesco, Omelia durante la celebrazione dei Vespri nella Solennità della Conver-
sione di san Paolo apostolo, 25 gennaio 2015.
16
Francesco, Discorso alla delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli,
28 giugno 2014.
17
Dichiarazione congiunta del Santo Padre papa Francesco e del patriarca ecumenico
Bartolomeo I, durante un incontro privato con il patriarca di Costantinopoli a Geru-
salemme, 25 maggio 2014.
18
Francesco, Discorso alla delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli,
28 giugno 2013.
19
Francesco, Evangelii gaudium, n. 246.
20
Cf. ibid., n. 32.
21
Cf. Francesco, Discorso in occasione della commemorazione del 50° anniversario
dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015.
22
Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 95.
23
Francesco, Discorso durante la Divina Liturgia nella chiesa patriarcale di San Gior-
gio a Istanbul, 30 novembre 2014.
24
Francesco, Discorso durante l’Udienza generale, 28 maggio 2014.
25
Francesco, Discorso durante la Divina Liturgia nella chiesa patriarcale di San Gior-
gio a Istanbul, 30 novembre 2014.
26
Francesco, Messaggio al Cardinale Kurt Koch per la X Assemblea plenaria del
Consiglio Ecumenico delle Chiese a Busan, in Corea, 4 ottobre 2013.
27
Francesco, Discorso a Sua Grazia Justin Welby, Arcivescovo di Canterbury, 16 giu-
gno 2014.
28
Francesco, Evangelii gaudium, n. 244.
29
Ibid., n. 246.
30
Francesco, Discorso durante l’Udienza generale, 25 settembre 2013.
31
Francesco, Discorso alla delegazione della Federazione Luterana Mondiale, 21 ot-
tobre 2013.
32
Francesco, Discorso alla delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli,
28 giugno 2013.
33
Francesco, Discorso ai partecipanti al Colloquio Ecumenico di religiosi e religiose
promosso dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita aposto-
lica, 24 gennaio 2015.
34
Francesco, Discorso a Sua Santità Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di
tutti gli Armeni, 8 maggio 2014.
35
Unitatis redintegratio, n. 8.
36
Francesco, Discorso ai membri della “Catholic Fraternity of Charismatic Covenant
Communities and Fellowships”, 31 ottobre 2014.
37
Francesco, Discorso al Movimento del Rinnovamento nello Spirito, 3 luglio 2015.
38
Cf. Francesco, Discorso rivolto al Global Christian Forum, 1 novembre 2015.
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punti cardinali
riconosca che abbiamo fatto un “bel lavoro”3. Ciò che però questi approcci
non spiegano è la natura del riconoscimento atteso. Una lettura con le teorie
del dono permette di pensare in modo nuovo questi argomenti e di ricercare
cosa è in gioco nel lavoro, quello che la logica del contratto non permette di
spiegare.
Lo studio poggia su due interventi in organizzazioni sanitarie private. La
prima è un centro di cure (CC) polivalente, no-profit, in una zona rurale,
che conta 80 posti letto e un centinaio di dipendenti. La seconda è una cli-
nica privata (CP) di 350 posti letto e più di 700 dipendenti, tra le migliori in
Francia. Nonostante la loro eccellenza, entrambe si sono confrontate con
un forte malessere dei lavoratori, rivelatosi nelle indagini interne e giunto
persino, nella clinica, a un violento sciopero.
La metodologia usata per la ricerca è stata di tipo etnografico. Sono sta-
te fatte lunghe interviste (40 nel centro di cure e 63 nella clinica privata)
presso il personale di tutte le categorie, dai dirigenti fino alle donne delle
pulizie, ed in particolare nei vari reparti di cure. Si sono aggiunti momenti
di osservazione del lavoro nei reparti, per entrare in profondità nell’espe-
rienza di lavoro delle équipe e dei loro responsabili. La raccolta dei dati è
stata completata dallo studio dei documenti disponibili, da questionari e da
altre indagini parallele che hanno confermato la diagnosi fatta. La ricerca ha
continuato poi per vari mesi con un lavoro con gli attori delle organizzazioni
studiate (sia i dirigenti, sia i gruppi di lavoro con personale di varie catego-
rie), a partire dalla diagnosi presentata, per costruire insieme un piano di
azioni che rispondesse ai problemi identificati. Qui però ci concentreremo
sulla nostra analisi alla luce del “dono”.
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Come un ritornello, torna nel discorso delle équipe che il lavoro, lo sfor-
zo, non viene visto, non è riconosciuto, né dai medici né dai responsabili dei
reparti: «La gente ha l’impressione che non si sia coscienti del lavoro svolto
e degli sforzi che si fanno» (Badante, CP).
La direzione, da parte sua, pare interessarsi solo al risultato, al lavoro di-
rettamente produttivo. Sembra non vedere tutto lo sforzo di coordinamento
che ogni compito richiede. Mentre agli occhi dei lavoratori, ciò che più dà
valore al loro lavoro è proprio lo sforzo consentito, la cura che mettono nel
loro lavoro. Ma è molto difficile per un responsabile vedere ciò che non ap-
pare più nel risultato finale: le difficoltà superate, tutto ciò che è costato,
quanto si è dovuto dare di sé. «Mi chiedo se si rendono conto di tutto il
lavoro svolto dal personale, fuori del proprio compito, l’investimento… Non
stiamo solo facendo il nostro lavoro e basta» (Infermiera, CC).
I lavoratori si aspettano dai loro capi che si spostino, che vengano a ve-
dere di persona il lavoro svolto e non solo a distanza attraverso gli strumenti
informatici. I responsabili, invece, risucchiati – come abbiamo visto – da in-
numerevoli questioni esterne che concentrano la loro attenzione ai margi-
ni dell’organizzazione, non sono più presenti sul terreno di lavoro. Oppure
sono nei loro uffici ad alimentare i sistemi di informazione. Ma non cono-
scono più il lavoro reale, lo vedono solo a distanza. «Non servono tutti que-
sti calcoli! Bisogna venire a lavorare con noi, bisogna vedere!» (Agente di
sterilizzazione, CP).
Le conseguenze di questa assenza o distanza, sia essa effettiva o solo
percepita, sono fondamentali: quando il lavoro non viene visto, riconosciuto,
la persona stessa si sente invisibile: «Nessuno mi vede, quasi ignorano che
lavoro qua, non sanno neanche che sono venuta!» (Agente di servizio, CC).
Colpisce il fatto che questo sentimento non si riscontra solo tra i lavora-
tori operativi ma viene espresso in modo simile dai responsabili dei reparti
e persino dai membri dell’équipe direttiva, spesso in difficoltà nei confronti
degli azionisti. Il lavoro dei dirigenti, e forse ancora di più quello dei mana-
ger intermedi, rimane completamente invisibile per i medici, che non hanno
nessuna idea di cosa ricopra la loro carica. Per le stesse équipe dei reparti,
l’attività del loro responsabile rimane un mistero: non sanno cosa fa: «Mi
chiedo cosa fanno. È impressionante, devono aver tanto lavoro per essere
così, di sicuro, si vede, ma che cosa?» (Badante, CP).
I dirigenti stessi sembrano non essere più capaci di vedere il lavoro di
continuo aggiustamento che compiono i responsabili di équipe. Ad alcuni
capireparto sono state persino affidate varie équipe, nonostante le nume-
rose incombenze amministrative che già assolvevano. È parso loro che il
rapporto di prossimità che cercavano di costruire con le loro équipe e che
vedevano come un loro compito centrale non venisse riconosciuto, e persi-
no a volte veniva negato, dai loro dirigenti.
Qualunque sia il livello gerarchico, il lavoro, lo sforzo, non viene visto,
non è saputo da nessuno, non è apprezzato nel suo giusto valore. Non può,
quindi, suscitare la debita riconoscenza.
Un senso di ingratitudine
Le équipe non sono recalcitranti al lavoro, non esitano a darsi senza cal-
colo. Ma bisogna che ciò non sia considerato come un qualcosa di dovuto.
Generalmente, i lavoratori del centro di cura come quelli della clinica affer-
mano che quanto danno non suscita la reciprocità sperata: «Abbiamo l’im-
pressione di dare, dare, dare, dare, dare sempre di più e che non abbiamo
niente in cambio» (Infermiera, CP).
Ritengono di dare molto, anche su un registro – l’aspetto amministrati-
vo – costoso per loro giacché non lo considerano come la loro prima mis-
sione, e non capiscono poi perché i dirigenti siano così poco sensibili alle
loro preoccupazioni. Che ritorno aspettano? Rispondono: un “grazie”, un
“buongiorno”, un segnale che si esiste per qualcuno, ma anche e soprattutto
un giudizio sul lavoro, la conferma che il lavoro è stato visto e apprezzato.
Quando manca il “buongiorno”, il breve commento personale, le persone
hanno l’impressione di essere una semplice pedina di gioco, di non conta-
re. Non esistono per nessuno. La manifestazione del riconoscimento, della
riconoscenza, è una questione di identità, fa sentire che uno esiste: «Non è
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lavoro effettuata al di là di ciò che era richiesto; si iscrive al cuore del lavoro
ordinario, è ciò che rende possibile il lavoro effettivo.
Anche l’impegnarsi nella cooperazione rappresenta un costo. Così come
l’impegnarsi, al di là delle regole, per inventare soluzioni produttive di fronte
all’imprevisto, e realizzando il lavoro nonostante i vincoli imposti dall’orga-
nizzazione e dalle regole del mestiere.
Dunque quest’azione corrisponde a un dono, in considerazione del fatto
che l’iniziativa che la sottende si esprime in modo libero, e non come un
dovere; perché è costosa e rischiosa e perché punta ad altro, rispetto alle
finalità meramente economiche.
Il dono sta perciò al cuore del lavoro, è inerente all’attività umana.
Non c’è lavoro effettivo senza una parte di dono. Con tale affermazione,
non si intende ovviamente ridurre il lavoro al dono, ma sottolineare una
delle sue caratteristiche che un approccio puramente economico non
mette in evidenza.
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al di là del loro status o della loro posizione, con tutto ciò che sono, la loro
storia, la loro sensibilità, le loro fragilità e le loro capacità relazionali.
Per di più, l’abbiamo visto sia nel centro di cure che nella clinica, l’espri-
mere il sentimento di una mancanza di riconoscimento è anche di per sé
problematico: fa apparire quello che si lamenta come qualcuno che sta fa-
cendo i conti e si rifiuta di dare con larghezza mentre invece, col suo rimpro-
vero, intende proprio denunciare un tradimento della logica del dono.
Di fatto, Alter osserva che spesso «la tentazione dell’egoismo», il fatto
di limitare il proprio investirsi per rendere meno dolorosa la mancanza di
riconoscimento, «corrisponde di più a un comportamento di prudenza che
a una volontà affermata di equilibrare lo scambio»22. Il ritirarsi può essere
anche una forma silenziosa di voice che conviene prendere sul serio23 per
quello che dice sul dono. Nelle organizzazioni studiate, il ritirarsi dei lavora-
tori può chiaramente essere analizzato come un rifiuto al fatto che il lavoro
si riduca a un mero fattore di produzione razionabile.
Riconoscere il dono pone oltretutto un problema di fondo alla logica
economica. Il dono gratuito è per natura libero, indecidibile, non cessa di
derogare alle regole, di creare incertezza, mentre l’organizzazione vorreb-
be cancellare il rischio. Non c’è dono senza trasgressione, senza eccedenza
riguardo alle regole. L’abbiamo osservato nel centro di cure e nella clinica:
ingegnosità e lavoro di aggiustamento sono di fatto un atto di libertà, un
giocare con le regole, un’incursione nella clandestinità per poter realizzare
il lavoro nonostante i vincoli posti dall’organizzazione. Proprio in questo si
tratta di un dono, di un regalo il cui valore sta precisamente nel costo, nel
rischio; un dono molto imbarazzante per i membri dell’organizzazione che
sono all’origine dell’elaborazione delle regole del lavoro e della volontà di
controllare i processi. Riconoscere questo invisibile lavoro di rielaborazione
delle regole, questa attività nascosta e sconsiderata, significherebbe accet-
tare che la razionalizzazione non basta per assicurare l’efficacia del sistema
e che sono necessari continui ricuperi. Significherebbe quindi rimettere in
questione la stessa logica economica.
Ciò nonostante, segni di riconoscimento sono attesi da parte del mana-
gement. Il giudizio suo sul lavoro è l’espressione della riconoscenza per il
dono fatto all’organizzazione. Non bastano i ringraziamenti formali nell’ora
102 nu 223
anouk grevin
***
1
N. Alter, Donner et prendre. La coopération en entreprise, Éditions La Découverte,
Paris 2009.
2
Cf. J. Siegrist, Adverse Health Effects of High-Effort/Low-Reward conditions, in
«Journal of Occupational Health Psychology» I (1996/1), pp. 27-41.
3
Cf. C. Dejours, Travail vivant. 2: Travail et émancipation, Éditions Payot et Ri-
vages, Paris 2009.
4
Le citazioni sono estratte dalle interviste realizzate presso il personale delle
due organizzazioni studiate. La funzione della persona e l’organizzazione di appar-
tenenza sono precisate tra parentesi. CC: centro di cure; CP: clinica privata.
104 nu 223
anouk grevin
5
Cf. M. Detchessahar - A. Grevin, Un organisme de santé… malade de “gestionite”,
in «Annales des Mines», Collana Gérer et Comprendre, 98 (2009/4), pp. 27-37.
6
Si pensi in particolare alla scuola francese detta “ergonomia dell’attività”: cf.
ad esempio F. Guérin et al., Comprendre le travail pour le transformer. La pratique de
l’ergonomie, Éditions ANACT, Lyon 2006.
7
N. Alter, Donner et prendre. La coopération en entreprise, cit., p. 141.
8
C. Dejours, Travail vivant. 2: Travail et émancipation, cit., p. 201.
9
Ibid., p. 21.
10
Cf. M. Mauss, Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés ar-
chaïques, 1924. Cf. sito: Les classiques des sciences sociales, Université du Québec à
Chicoutimi, http://classiques.uqac.ca.
11
M. Mauss, Essai sur le don, cit., p. 18.
12
Cf. N. Alter, Donner et prendre. La coopération en entreprise, cit.
13
Cf. ibid.
14
Cf. J.-P. Dumond, La relation de travail: de la reconfiguration des prescriptions au
don empêché, in «Revue Travailler» 23 (2010), pp. 151-161.
15
Cf. L. Bruni, L’ethos del mercato. Una analisi sui fondamenti antropologici e sociali
dell’economia, Mondadori, Milano 2010.
16
Cf. H. Mintzberg, Il lavoro manageriale in pratica. Quello che i manager fanno e
quello che possono fare meglio, Franco Angeli, Milano 2014.
17
Cf. M.-A. Dujarier, L’idéal au travail, Éditions PUF, Paris 2012.
18
Cf. A. Grevin, Les transformations du management dans les établissements de
santé et leur impact sur la santé au travail: l’enjeu de la reconnaissance des dynamiques
de don. Etude d’un centre de soins de suite et d’une clinique privée malades de “gestio-
nite”, Tesi di dottorato, Università di Nantes 2011.
19
J. Godbout, L’esprit du don, Éditions La Découverte, Paris 1992, p. 203.
20
Cf. ibid., p. 192.
21
N. Alter, Donner et prendre. La coopération en entreprise, cit., p. 31.
22
Ibid., p. 209.
23
Cf. L. Bruni - A. Smerilli, The Value of Vocation. The Crucial Ruole of Intrinsically
Motivated People in Value-based Organizations, in «Review of Social Economy» LXVII
(2009/3), pp. 271-288.
24
Cf. S. Ghoshal, Bad Management Theories Are Destroying Good Management
Practices, in «Academy of Management Learning and Education» 4 (2005/1), pp.
75-91.
25
Cf. J. Godbout, Le don, la dette, l’identité. Homo donator vs homo oeconomicus,
Éditions La Découverte/MAUSS, Paris 2000.
Povertà
di Leonardo Becchetti
Maurizio Franzini, Alberto Mingardi, Chiara Saraceno,
Vittorio Pelligra
nu 223
alla fonte del carisma dell’unità
Verità e dialogo in
Chiara Lubich
Claudio
una premessa
Guerrieri
È difficile dire quale verità sia tale nel nostro contesto
phd in filosofia
(pul, roma). eppure non è pensabile né risulta sensato confrontarsi
baccalaureato se non si riconosce una verità, o meglio il nostro essere
in teologia (pug, immersi, determinati e costituiti di verità. Che poi le in-
roma). docente terpretazioni della realtà siano tante e diverse è un fatto
di filosofia. si e altrettanto evidente è che nel tempo e nella storia ci
occupa di dialogo
ecumenico. siano un consolidarsi, un accumularsi e uno stratificarsi
è membro di interpretazioni.
del centro Questo è un dato di fatto ma come tale è, a sua volta,
interdisciplinare da interpretare.
di studi “scuola Nel loro insieme le interpretazioni della verità pos-
abbà”.
sono apparire come depositate casualmente nel grande
magazzino della storia in cui ognuna cresce come un
fungo saprofita sull’altra o vi è ammassata in una con-
tiguità del tutto casuale. Il risultato è un nostro agitarci
in questo magazzino che vede nuovi visitatori pronti a
pescare qualcosa mettendo in evidenza ipotesi, diverse
e contingenti. Così ogni interpretazione si farebbe veri-
tà apparente e ogni verità mera ipotesi senza possibilità
di superare la sua formulazione, d’essere altro che “fa-
vola”. Incontrare l’altra interpretazione sarà soddisfare
la curiosità di vedere il mondo con occhi altrui ma non
svelerà nulla.
108 nu 223
claudio guerrieri
Raccogliere tutto quello che nel mondo c’è di vero, di bello, di sano, in modo
da poter veramente far questo dialogo universale con tutti, apprezzando tutti,
risuscitando tutti.
Chiara Lubich
Nella lettura delle pagine di Chiara Lubich ho scorto una modalità filo-
sofica di percezione della verità intuita religiosamente, che ad esse sottostà
e che ne costituisce il tessuto connettivo, che radicandosi nell’esperienza
esistenziale e religiosa non solo non nega le altrui interpretazioni ma si chia-
risce come costitutivamente dialogica e inclusiva.
La dimensione filosofica, in senso proprio, non è consueta nella presen-
tazione del pensiero della Lubich ma ne risulta elemento strutturale. La fi-
losofia ha avuto sempre un ruolo di punto di riferimento ed è stata sempre
presente nel processo di inculturazione che ha animato l’azione del Movi-
mento. Una prospettiva di rinnovamento dell’esperienza religiosa cristiana e
quella di rifondazione conseguente della cultura, come complesso concreto
di modalità esistenziali, sociali e politiche, e di una filosofia che ne sia la
struttura portante non sono separabili nell’esperienza del Movimento. Allo
stesso modo ne appare costitutivo il radicamento in una verità identificata
e determinata sul piano dell’appartenenza religiosa e contemporaneamente
la disponibilità, e ancor più la ricerca esplicita, alla collaborazione e al dialo-
go con qualunque altra esperienza religiosa e umana.
Di fatto la ricerca che ha caratterizzato il pensiero e l’azione della Lubich
è stata da lei presentata come fondata, nei suoi primi passi, proprio nell’al-
veo della ricerca filosofica, come l’attuazione del suo più intimo desiderio di
ricercare la verità:
110 nu 223
claudio guerrieri
Una certezza che si traduce in una prassi di vita e in una nuova scoperta:
È vero infatti che nel vangelo c’è una soluzione di ogni problema. È
anche vero però che, una volta capita la soluzione alla luce del van-
gelo, sono le scienze che debbono tradurla in adeguate conoscenze
e norme di vita per i vari tempi e le varie culture6.
112 nu 223
claudio guerrieri
negli anni in cui si forma la Lubich gioca un certo ruolo nel contesto della
cultura italiana.
Se dal punto di vista dell’esperienza religiosa la storia di Chiara Lubich
e del Movimento, che nasce con quanti condividono la sua ispirazione, si
traducono in quel “seguirLo”, che conclude la narrazione prima citata e che
evidenzia l’ascolto di quella verità che si apre all’interno dell’esistenza con-
creta per poi riesprimersi in pensiero ed animare una nuova prassi, la sua
traduzione filosofica sarà nel “riconoscerLo” in ogni uomo accogliendolo per
quello che è nell’amore.
La verità della presenza di Dio in ognuno e l’identità della verità con Dio
costituiscono elementi fondanti della sua prospettiva che richiamano e at-
tualizzano il Prologo di Giovanni e le pagine di Agostino.
lutazione d’ogni attività e possibilità dell’uomo nel suo collocarsi sulla scia
di Dio, emerge l’amore come chiave di questo rapporto e il suo costituirsi
in un movimento di reciproco annullamento e innalzamento nell’essere e
nel conoscere. Perché ci annulliamo davanti a Dio, perché non pretendiamo
di possedere la verità ma lo amiamo, ovvero guardiamo a lui come verità,
siamo innalzati a partecipare del suo essere, della sua Sapienza. La filosofia
e la teologia che ne conseguono avranno i caratteri della logicità, ma anche
un esplicito senso mistagogico. Si cerca una via per superare l’afasia, che
comporta una parola silente e ultima sul vero che verrebbe ad essere con-
cepito secondo una logica e un’ontologia dell’ineffabile, contenenti il rischio
della paralisi progettuale o della riduzione dell’orizzonte esistenziale nella
coscienza della differenza ontologica tra Verità e capacità conoscitive; d’al-
tro canto non ci si illude di poter facilmente e immediatamente stringere il
vero in una definizione filosofica dal carattere logico-formale o dogmatico. Il
vero appare come rivelazione da seguire ed esplicitare attraverso categorie
storico-culturali. Il vero si consegna all’uomo nella misura in cui l’ascolto
si traduce nel suo essere il nulla in cui possa risuonare la sua presenza. È
la risonanza in quel nulla che permette al vero di rendersi presente nella
storia come dono consegnato che comporta la responsabilità dell’ulteriore
donazione agli altri.
Questo comporta un atteggiamento etico che non insegue le varianti in-
terpretative di ognuno, né si arrocca sulla propria interpretazione, ma che,
come ascolto della verità in sé e negli altri, è disposto a un’accoglienza della
verità nel suo manifestarsi in sé e negli altri. L’atteggiamento etico di ognu-
no che comporta la convergenza nella ricerca e nell’ascolto, la reciprocità
nell’accoglienza dell’alterità dell’altro saranno determinanti della qualità del
dialogo.
D’altra parte in questa impostazione della Lubich risultano unite la vi-
sione intuitiva di una prospettiva scaturente dalla rivelazione e la continua
necessità di adeguarsi esistenzialmente e intellettivamente ad essa, senza
l’illusione di esserne proprietari in esclusiva, ma anzi nello sforzo continuo
di accoglierla ovunque la verità si manifesti e in qualunque grado si mostri.
La modalità esistenziale indicata, perché ciò sia possibile, è quella dell’a-
more, che risulta essere interiore ed esteriore, riguarda l’intenzione e l’azio-
114 nu 223
claudio guerrieri
ne, il pensare e la prassi e non è esclusiva del rapporto con Dio ma colora di
sé ogni rapporto interumano con la stessa dialettica di annullamento e in-
nalzamento reciproco. La logica dell’essere nulla per essere, del saper acco-
gliere per poter offrire, si evidenzia come il percorso intellettuale e mistico
a un tempo solo, per cui il dialogo filosofico non assume i caratteri del con-
fronto ma dell’assunzione reciproca della verità altrui, così da far emergere
lo splendore del vero come è possibile nell’incontro con prospettive diverse
dalla propria.
La dimensione collettiva in rapporto a Cristo come Verità costituisce una
chiave di lettura fondamentale per la comprensione della visione del rap-
porto tra uomo e verità in Chiara. L’identificazione della Verità con Gesù im-
plica, infatti, che essa scaturisca sia da un incontro con Cristo in quanto tale,
sia in quanto egli è presente in ogni uomo ed effettivamente “fra i suoi” 10.
L’orizzonte della filosofia si viene a definire nella scia del perché metafisi-
co, esistenziale ed etico, come si prospetta nel compimento dell’esperienza
di Gesù:
È una nuova teologia quella che scaturisce dalla vita del carisma
dell’unità, e, insieme, è una nuova filosofia. La filosofia, come si
dice, è la scienza dei “perché”, nel senso che essa cerca di scava-
re negli interrogativi che l’uomo si pone e, per quanto è possibile,
di rispondere ad essi. Ebbene, dopo anni di vita spirituale intensi
secondo questa nuova spiritualità ci siamo resi conto che esiste un
momento della vita di Gesù carico di risposte ad ogni nostro “per-
ché” […]. Ma, come ho detto, Gesù abbandonato non si è presenta-
to a noi solo come risposta agli interrogativi esistenziali dell’uomo.
Egli – un Dio che chiede a Dio il perché di questa lacerazione che
sembra toccare l’unità stessa di Dio! – è certamente, per così dire, il
domandare stesso condotto fino alla sua espressione più radicale,
quella alla quale nessun domandare umano osa spingersi e sembra,
perciò, colui che più rappresenta l’intelligenza umana davanti al mi-
stero. Ma, nel tempo stesso, Egli grida il suo grande “perché” pro-
prio per darci risposta anche ai molti “perché” che sono più oggetto
della riflessione filosofica11.
116 nu 223
claudio guerrieri
solo come una via ascetica al divino ma anche in chiave unitiva, nel senso
che il “farsi uno”, uno dei nodi della spiritualità comunitaria della Lubich,
comporta un’unità di fatto con l’altro che apre i soggetti coinvolti, nella
misura in cui è amore reciproco attuato, alla stessa unità con Dio.
Questo guardare al Cristo Abbandonato-Risorto come orizzonte di sen-
so, come assunzione d’ogni possibile dolore dell’umanità, presente, passato
e futuro, come suprema domanda e risposta che raccoglie uomo e Dio in
unità appare agli occhi della Lubich il trampolino da cui ogni riflessione filo-
sofica nuova può scaturire.
Mi piace ricordare l’affermazione di Nietzsche, a proposito del ruolo del
filosofo, che sembra ampliarsi ed essere superata, nella sua dimensione di
tragicità negativa, da chi guarda la realtà da questo particolare osservatorio
di Gesù Abbandonato:
C. Lubich, Per una filosofia che scaturisca dal Cristo, in «Nuova Umanità» 111-112
2
(1997/3-4), p. 364.
3
Ibid.
4
Ibid.
5
C. Lubich, testo inedito Appunti Paradiso ’49.
6
Ibid. Il testo continua con la presentazione delle cosiddette “inondazioni”: nate
dall’impegno a dare una risposta evangelica ai problemi dell’umanità, ai suoi dolori,
alle sue domande, hanno portato Chiara e il Movimento ad approfondire il dialogo
e la ricerca all’interno dei diversi settori culturali. Chiara altrove scrive: «Bisogna
pensare che, con l’andar del tempo, molti focolarini della stessa professione […]
dovranno mettere in comune, con Gesù in mezzo a loro, anche quelle idee, quel
le nozioni, quegli approfondimenti che di giorno in giorno avranno acquistato. La
presenza di Gesù in mezzo ad operai dello stesso mestiere, ad esempio, farà sì che
sia sempre di più Gesù in essi ad operare in quel dato settore ed illuminerà anche il
mestiere stesso». E poi in una nota si precisa: «Mutuando il termine da san Giovanni
Crisostomo (In Johannem homilia, 51, PG 59, 284), con “inondazioni” si intende la
118 nu 223
claudio guerrieri
penetrazione forte e intensa della vita e della luce del carisma dell’unità nelle real-
tà umane»; in C. Lubich, Una via nuova. La spiritualità dell’unità, Città Nuova, Roma
2002, p. 138 e nota 7. Di fatto si è dato vita a laboratori articolati in molte discipline
che integrano il lavoro seminariale di approfondimento dei membri del Movimento
con il dialogo con esperti di estrazioni e convinzioni diversificate su temi specifici.
7
Si rimanda qui alla questione dell’apertura di senso veritativo implicito in ogni
narrazione e alla dinamicità e alla polarità possibili di narrativo e veritativo nel com-
prendere, come atto di accogliere e non di esaurire la verità, cf. C. Guerrieri, Estetica
ermeneutica, Città Nuova X, Roma 2015, pp. 153-170.
8
Cf S. Kierkegaard, La malattia mortale, Timore e tremore e Briciole filosofiche,
nonché molte pagine del Diario.
9
C. Lubich, La vita, un viaggio, Città Nuova, Roma 1984, pp. 134-135, cit. in F.
Ciardi, Sul nulla di noi, Tu, in «Nuova Umanità» 116 (1998/2), pp. 244-245. Si riman-
da alla lettura dell’articolo per l’approfondimento del tema dal punto di vista della
teologia spirituale.
10
Si noti il titolo dell’allocuzione pronunciata da Chiara Lubich per il dottorato
honoris causa in filosofia, Per una filosofia che scaturisca dal Cristo, cit., ed il richiamo
esplicito al passo evangelico di Mt 18, 20 in cui l’essere uniti nel nome di Gesù di-
viene luogo della sua presenza. Nella nostra riflessione questo richiamo potrebbe
essere traslitterato come il farsi presente della verità in chi si unisce nella sua ricerca
avendo come fine unicamente la verità stessa.
11
C. Lubich, Per una filosofia che scaturisca dal Cristo, cit., pp. 368-370.
12
F. Nietzsche, Il libro del filosofo, trad. it. a cura di M. Beer - M. Ciampa, Savelli,
Roma 1978, p. 18.
nu 223
alla fonte del carisma dell’unità
Storia di Light. 7
“Il patto di unità”
122 nu 223
igino giordani
Spaventata Dolores consegnò una bustina con dentro l’ostia. Aletta la pre-
se; le focolarine recarono il deposito sacro prima all’episcopio (chiuso: le
due di pomeriggio in agosto). Il 28 agosto, giorno di sant’Agostino, Dolores
stessa a vedere Chiara cedette spontaneamente l’ostia che aveva presa; e
riconobbe nello sguardo di lei Gesù, e chiese di confessarsi: per denotare il
mutamento di vita, volle mutar nome e si chiamò Maria. Marilen, che era
vicina, scorse il confessore con gli occhi invasi di lacrime.
Foco vide la luce del miracolo negli occhi delle pope, poche ore dopo
che, in diligenza, salivano a Sella Valsugana, dove lui era sceso dalla baita di
De Gasperi, e nel risalire poi insieme alla baita Paradiso a Tonadico egli sentì
la narrazione: soprattutto la festa di figlie che hanno reso onore al Padre.
L’amore a Dio era scortato dall’amore alla natura, figlia di Dio. Chiara
amava condurre su per le giogaie alpine le sue pope. Pur gracile e inferma
spesso, saltava agile e saliva rapida, sì che era difficile tenerle dietro.
«Tu devi aver vinto più di un campionato podistico!» le diceva Foco, il
quale, al par dei più, non sempre riusciva a tenerle dietro. Sì che pareva ar-
duo seguirla, con una gamba frantumata in guerra, nelle corse podistiche
quasi quanto nelle ascensioni mistiche.
Tra gioghi, all’ombra delle conifere, sotto rocce, possibilmente presso
icone o santuari, ella parlava di Dio, della Vergine, della vita soprannaturale:
la soprannatura era la sua natura. Conviveva sempre col Signore: effetto
della carità, di cui era, molecola su molecola, edificata. E allora quelle fore-
ste si trasfiguravano in cattedrali, quelle cime parevano picchi di città sante,
fiori ed erbe si coloravano della presenza di angeli e di santi: tutto si animava
di Dio. Cadevano le barriere della carne. Si apriva il Paradiso. E appunto in
quell’estate, a Tonadico, Chiara vide e descrisse il Paradiso. A Tonadico ci fu
allora la prima… Mariapoli, che non era Mariapoli.
Era che la Lia aveva ereditato a Tonadico di Primiero una baita, e Chiara
e le pope decisero d’andarvi per riposare l’estate.
La baita era composta di un fienile superiore, a cui si accedeva su una
scala a pioli dal piano terra, composto di una stanza con piccola cucina.
Lì si sistemarono alcune brande e un armadio tirato con una carrucola.
Foco andò all’albergo Orsinger ed ebbe occasione di parlare alla sala dei
Cappuccini.
Nella loro chiesa egli bramò legarsi corto con un voto di obbedienza, il
quale però a Chiara non parve conforme all’Ideale. Propose piuttosto che
alla comunione sul nulla dell’anima Gesù patteggiasse unità tra le persone:
e questo patto di unità, in Gesù, da Gesù fu realizzato. «Sull’altare dell’Io
sacrificato – disse Chiara – Gesù Eucarestia patteggiò con Gesù Eucarestia».
Chiara, rimasta in chiesa, invocò: “Padre”; e quella parola in lei, fatta uno con
Gesù, parve sillabata dallo Spirito Santo. Capì allora che la religione stava in
Gesù, fratello, che porta al Padre; e si trovò come rapita in una voragine di
sole: ebbe l’impressione di trovarsi nel seno del Padre, perché due raggi si
erano incontrati nell’annullamento totale di sé; in quell’unità di due anime,
venne palesandosi l’anima in cui erano comprese tutte le anime del Focola-
re. Si sentì beata quasi non si potesse sprofondare più giù; prima narrò, su un
sedile di pietra dietro alla chiesa, la sua visione a Foco; poi corse tra le pope
a confidarsi. Si iniziava in lei quel che chiamerà “Paradiso”.
Più tardi Chiara, raccontando l’episodio, ne spiegava le premesse miste-
riose. Per sei anni prima – diceva – Gesù aveva fatto vivere alle pope un’a-
scetica che stava:
1) nella scoperta dell’amore di Dio per loro e di conseguenza esse avevano
creduto all’amore di Dio;
2) nel far la volontà di Dio nell’attimo presente. E questa era parsa loro una
via nuova, secondo il vangelo, dove, ad esempio, non avevano incontra-
to l’aridità, né il vuoto o la povertà di cui parlano alcuni santi. Dio si era
manifestato loro; e non c’era vuoto, né aridità; c’era pienezza. Gesù ave-
va con loro usato un metodo globale, di sintesi, dicendo: «Amatevi l’un
l’altro» che è la sintesi del vangelo sotto cui l’umano delle pope si era via
via trasformato in soprannaturale. Chiara a Roma, prima di partire per
Trento, aveva letto il titolo di un film: In montagna ti rapirò! E trasse allora,
come in altre epoche, un senso di quella coincidenza fortuita. Quasi per un
condensatore; le creature razionali e umane le appaiono ora in montagna
come collegate dall’amore, con sotto il palpito di Dio. E la natura, alberi,
foglie, acque, stelle, cieli le rivelano in forme nuove la presenza di Dio.
Dagli appunti redatti da Chiara tra luglio e agosto 1949 a Tonadico e in-
viati a Foco e ricopiati nell’agosto 1969 ad Einsiedeln, riporto alcuni pensieri,
124 nu 223
igino giordani
che riguardano sopra tutto l’unità fatta nella comunione eucaristica del 16
luglio, festa della Madonna del Carmine.
Quando in Paradiso faremo unità colle altre anime, entrando in esse
(io in te), entreremo nel Paradiso della loro anima, ché ogni anima,
essendo Verbo, avrà tutto il Paradiso in sé. Dunque è esatto quando
ti dico che tu sei il mio Cielo. Ivi rimarrò permanentemente. Vera-
mente tu sei l’anima che più ho amato quaggiù perché più dovrò
amare lassù: come me stessa. E questo amore m’ha dato tutto Lui e
mi tolse tutta me. Che io ami in te ciò che di te rimarrà Lassù: solo
Lui. E tu fa’ altrettanto.
[…]
Ecco perché anch’io mi sentivo Chiara di Gesù Abbandonato men-
tre ora mi sento: Chiara di Gesù. […]
Chiara di quel Gesù che è in Seno al Padre, nel Quale rimango se
rimango unita a te (Foco).
25 luglio 1949
Diveniamo “Chiesa” quando nel nulla di noi (G.A.) i due Gesù Euca-
restia patteggiarono unità.
27 luglio 1949
Tu sarai in Paradiso l’Ideale di santa Caterina (l’Amore sgorgato dal
sangue di Gesù)… Tu sarai l’Amore Vero, ed io sarò il Vero Amore
(il Vero che è Amore)…
Ora – Anima mia –, tocca a te chiamare i Caterinati in capo a tutti,
perché congiurati in unità quaggiù coi francescani, salvino l’Italia!
Adesso comprendo perché “tutto S. Francesco” venne a trovarti a
Montecitorio… Ed ora capisco perché tu vedesti in me il Secondo
Ordine e cioè un simbolo di Santa Chiara!
[…]
Per questo amasti (come un’altra Maria) lo Spirito Santo in me e lo
Spirito Santo venne a te. Viva l’Italia, la vita di Gesù!
Ricordi, Anima mia, quando a S. Pietro la prima volta che venni con
te all’altare della Mamma tu mi facesti pregare ed io con misere
parole dissi: «Mamma, consuma le nostre due anime in uno…».
Prepariamoci, Anima mia, accelerando l’ora benedetta…
[…]
29 luglio 1949
Oggi è venerdì e tu mi scrivi un poema su Gesù Abbandonato. Ieri
era giovedì e mi scrivevi una lode tale dell’Unità che è Dio, da amar
Iddio e creature: tutto in un Amore, tanto che vedesti me come l’In-
carnazione dell’Amore!
[…]
Come s’avvera, Anima mia, ciò che ti dissi un giorno, che tu sarai
lo scrittore dell’Unità ed il Cantore di Gesù Abbandonato. Ed ora
sei il vero scrittore, perché prima facesti e poi insegnasti, ed il vero
cantore, perché prima soffristi cantando e poi cantasti.
Chiara così aveva capito nel 1949 il suo disegno, tracciato da Dio, e
allora così lo spiegò. Il suo disegno poteva dirsi il suo Magnificat, perché
glorificava Dio per aver messo in una persona – lei – la realtà del suo an-
nunzio: «Dove due o più…»; l’unità cioè realizzata in lei; e in lei la capacità di
proiettare fuori da sé l’unità stessa. E cioè perché – diceva – Dio comincerà
sempre dall’uno: da Adamo, per la creazione dell’uomo, da Maria tutti i figli
redenti. Maria – ebbe a spiegare poi nel 1961 – è una persona collettiva.
Quando non poteva ascoltare la narrazione di quelle visioni intellettuali,
perché lontano, lei inviava a Foco il resoconto per iscritto: ed era così bello
che, per tema andasse perduto o cadesse in mani estranee, in Svizzera dove
egli si era recato, se lo trascriveva premettendovi l’avvertimento: «Versioni
dalla beata Giuliana di Norwich».
Il rapimento di quelle visioni intellettuali, che evocavano l’intervento
dell’eterno Padre e del Figlio e di Maria e dello Spirito Santo sul mondo, dava
estasi a chi vi era introdotto.
Davvero: Luce intellettual piena d’amore
Amor di vero ben pien di letizia
Letizia che trascende ogni dolore.
126 nu 223
igino giordani
Era avvenuto l’incontro di Dio col mondo nel cuore di una vergine. E
l’opera di Foco in sostanza era questa: d’aver convogliato il dramma dell’u-
manità nella coscienza innocente di una vergine; dall’incontro era germo-
gliata l’Opera di Maria vera e propria.
Fu insomma quello il tratto definitivo della vocazione: un intervento
teandrico, in cui si spalancava il Paradiso per delineare un’azione sulla
terra.
Il Paradiso fu troncato così.
Chiara ormai non viveva che quella realtà, raccolta sotto il nome di Pa-
radiso; e le pareva che per sé e per tutti quella fosse la sola vita, la vera vita.
In quel suo raccogliersi di tutti gli ideali e di tutte le prospettive nel Pa-
radiso, la ritrovò Foco, risalendo, per l’ultima volta, quell’anno, in settembre,
a Tonadico.
Egli la trovò così assorta in Dio, nella sua vita interiore, che si spaventò
per la sua salute; difatti non prendeva neppure più il povero pasto essenzia-
le di cui le giovinette si nutrivano. Egli si spaventò: sapeva dalle sue letture
come non poche anime contemplative si distaccassero, nell’anelito a Dio,
dal corpo, così, quasi respiro che esce dalla bocca. Ricordava santa Caterina
estenuatasi nell’amore e nel fuoco, non sostenuta più da cibo…
Si spaventò. E un pensiero gli venne. Una sera, nel tornare dal bosco di
conifere, lungo la strada mal rischiarata, in compagnia delle focolarine, si
fece coraggio e le disse: «Chiara, scusa se ti parlo come uno che non sa
distaccarsi dalla terra. Io non riesco più a seguirti nei tuoi voli… e chi potreb-
be? Ora cessa. Torna da noi. Tu hai una famiglia che ha da fare sulla terra,
penando e lottando, per la gloria di Dio. Non puoi abbandonarla. Abban-
dona tu il Paradiso. Non ci hai insegnato, quale supremo amore, Gesù Ab-
bandonato? Ora, per lui e con lui, abbandona Dio per Iddio, il Paradiso per
la terra, dove puoi avviare tante anime al Paradiso. Lascia un po’ gli angeli e
torna con noi uomini; per amor di Gesù Abbandonato».
Chiara ascoltò con serietà. E, poiché era sempre pronta a sacrificarsi per
il fratello, pur angosciata, scoppiò a piangere e gemé: «Devo dunque abban-
donare il Paradiso?».
«Sì, Chiara, questo ti chiedono i tuoi figli».
Si ritirò in camera; e sola con Dio vergò quella dichiarazione d’amore che
è un po’ la magna charta dei focolarini, la quintessenza della loro spiritualità:
«Ho un solo sposo sulla terra… Gesù Abbandonato…».
E detto fatto, dal mattino seguente ella tornò a gittarsi ad amare il pros-
simo (una frase anche questa caratteristica del Movimento) servendo uno
per uno, con distacco e disinteresse.
Siffatto disinteresse – che era un interesse divino – fu da lei definito in
questa dichiarazione del 24 ottobre 1949 a Roma, dove tornò a lavorare.
la spiritualità nuova
Ho ritrovato un pezzo di carta, nel maggio 1976, sul quale erano riportati,
di sua scrittura, questi versi di Chiara:
«Foco nostro un bel dì
il Paradiso ci aprì.
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igino giordani
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igino giordani
È difatti una rivoluzione verginale: che non distrugge, non angoscia, non
uccide. Elimina il male, e mette a vivere il bene in una trasparenza di cieli su
vette alpine. Perciò prende nome e colore da Maria. Perciò è stata iniziata da
giovinette, in un’epoca in cui la donna assume posizioni direttive gravissime.
E Maria è madre di Gesù, e, in queste creature, misticamente presente, se-
guita a dar Gesù agli uomini.
Egli è l’amore fra noi. Maria, “Madre del bell’Amore”, ha di nuovo incen-
trato in questa virtù l’essenza del messaggio di suo Figlio: e perciò, in questa
famiglia, anche i coniugati son religiosi allo stesso titolo dei sacerdoti e delle
vergini, perché il grado di dignità è commisurato al grado di carità. All’in-
ferno ci potranno essere anche vergini e sacerdoti; non ci possono essere
anime che hanno amato.
Un’altra donna, santa Caterina da Siena, aveva capito ciò.
E la presenza di Maria dà alla convivenza un carattere di intimità nell’u-
miltà, e di freschezza mattutina, quasi di poesia verginale, onde, nell’abboz-
zo di regola, nel capitolo del vestire, è detto che «i focolarini vanno vestiti
come i gigli del campo e gli uccelli dell’aria» cioè «con freschezza e con
gusto come sono freschi e belli i fiori», e nel capitolo della casa è detto che
«il focolare deve essere bello come la natura, come il cielo; fresco, moderno,
senza nulla di superfluo, ma curato col gusto di Maria…».
L’insieme poi di questa casa fa la città di Maria, “Mariapoli”, dove la re-
gina è la Vergine Madre di Cristo. Sì che, nella Chiesa, se gerarchia e clero
formano la linea verticale, queste creature attendono a formare la linea oriz-
zontale, unendo le anime, come Maria cementava le masse attorno a Gesù
dall’ombra.
Il potere straordinario della loro ascetica sta in questo, che ciascuna vede
nel prossimo l’immagine di Cristo, l’equivalenza di Cristo; che, unite insieme
nel nome di lui, lui è in mezzo a loro, come ha promesso; e quindi la giornata,
al lavoro o a casa, in strada o in chiesa, è tutta una convivenza con Cristo.
Così come la giornata di Maria era tutto un vivere con Cristo e per Cristo.
E vergini erano portate a copiare Maria, sino a identificarsi con lei (per-
dendo del tutto la propria povera identità) sino a farsi misticamente Maria: è
uno scritto di Chiara, dei primi tempi, dove si rivela questo intimo incantevo-
le amore per la Madre di Dio, di solito tenuto nascosto nei loro discorsi, uno
scritto il cui spunto ricorda Newman, anche lui attratto a Maria da quel suo
conservare ogni cosa nel suo cuore per farne sangue di vita. Dice:
132 nu 223
igino giordani
l’opera di chiara
L’Opera di Maria è l’opera di Maria. Chiara l’ha costruita, con l’aiuto dei
discepoli e delle discepole intelligenti e obbedienti, pronti ad ogni impiego.
Citiamo un don Foresi, assistente ecclesiastico dell’Opera e mente dotata
di capacità varie, una Eli, Vale, Oreste, Petrilli, Cari, Ginetta, Gis, Lia, Maras,
Silvana…: ma per i nomi e gli atti rinvio alla Storia del Movimento dei Foco-
lari3. È questa in gran parte la storia di Chiara.
Prima di essere riconosciuto, l’Ordine di Maria – così come nel principio
fu chiamato – venne sottoposto a inchiesta, e patì periodi d’incertezze tetre,
tentativi e prove, che qui ricordiamo anche perché furono motivi di sofferen-
za intima – mai però di lagnanza – per la fondatrice.
Il tentativo di soluzione, più a lungo coltivato, fu quello di aggregare i
Focolari al Mondo Migliore, sito a Castel Gandolfo, un’istituzione religiosa e
culturale del gesuita padre Lombardi.
Egli bramava conquistare quella gioventù alla quale il proposito non
dispiaceva.
Io non trovavo la razionalità di un’unione tra due opere così diverse e
perciò mi opposi al parere dei focolarini più anziani. Chiara fu con me. E dello
stesso parere furono il generale dei Gesuiti e il papa stesso.
Ricordo un episodio del 18 agosto 1957, una domenica, in cui padre Lom-
bardi, durante una visita a Chiara, si mise a sostenere una sua tesi di riforma
della Chiesa, tesi messa poi in un volume, che doveva essere biasimato più
tardi dalle autorità ecclesiastiche. Egli voleva una riforma che interessasse il
papa, i cardinali, i vescovi e desiderava che le sue tesi fossero accettate dai
Focolari, che egli bramava annettere alla sua opera. I Focolari a lui parevano
portatori d’una religiosità viva e nuova come quella di san Francesco e quella
di sant’Ignazio.
Chiara non accettò quelle tesi e rispose che Gesù non vedeva dal cielo
il Vaticano; vedeva i santi, così come all’epoca di sant’Ignazio vedeva non il
Sant’Uffizio a cui egli era soggetto, ma la Compagnia di Gesù, e ribadì che
il solo atteggiamento verso la gerarchia è di obbedire: chi obbedisce canta
vittoria. E la vittoria non è l’avere riconoscimenti e soddisfazioni: ma conver-
tire anime a Cristo.
E spiegò: «Noi non possiamo ammettere codeste critiche del Papa e dei
vescovi. In essi noi vediamo Gesù, nell’obbedienza ad essi abbiamo la no-
stra vittoria, la quale non è costituita dai riconoscimenti, ma dalla coscienza
serale d’aver fatto durante il giorno bene alle anime. Quindi anche lei obbe-
disca al Santo Padre. Noi ci siamo sempre trovati bene a far così».
La soluzione piacque a tutti: ché padre Lombardi pensava di assumere al
Mondo Migliore sacerdoti dell’Ideale.
Man mano che l’Opera si svolgeva, Chiara sempre più nettamente, in
quella sua totale appartenenza a Dio per costruire la sua città nuova, appa-
riva una madre della Chiesa, copia anche in ciò di Maria, sviluppo della tradi-
zione costellata dei nomi di Caterina, Matilde, Teresa… Madre della Chiesa,
la quale, sull’esempio e con l’ispirazione di Maria vergine e madre, risana e
ravviva la Chiesa verginizzando la società.
Dai discorsi si può dire: dagli sguardi così profondi e infantili di Chiara
si capisce che la sua anima restava vincolata all’asta del suo ideale: Gesù
Abbandonato. In lui attingeva forza, eroismo, pazienza, penitenza, carità.
Ma il miracolo è questo: ché, proprio dilatando la sua opera a spazi di
piaghe sempre più ampi e sondando piaghe di dolore sempre più profonde,
con la sapienza di Cristo, e la sua grazia, trasfigurava tutta quella materia di
sofferenza in letizia, redimeva con Cristo e per Cristo quel dolore in amore.
E dall’amore esprime gioia.
Il sentimento che si sprigiona ogni giorno più ardente in tutti già solo
vedendola e che di continuo pullula nelle case dove la sua regola vive, in
mezzo a migliaia di creature, è fondamentalmente la gioia. C’è Dio e dunque
c’è l’innocenza, con l’amore, la bellezza. Fuori spesso non si sa più godere,
e si sostituisce alla letizia il divertimento che sta ad essa come la narcosi
al riposo. Non si sa più vivere, e questa è una fontana di vita: vita che non
muore. Si è riscoperto il seguito dell’esistenza, questo capolavoro della fan-
tasia innamorata del Creatore. Sì che i Focolari stanno in mezzo al mondo
come crateri di gioia: come fonti di primavera. E i Focolari si identificano
totalmente in Chiara.
Si seguita a dare ai suoi discepoli il nome di pope e popi: e questo rimane
una sorgiva d’infanzia, che prende pure vecchi e pezzi grossi, ai quali risco-
pre la sapienza primigenia di vivere. E sapienza, in un documento augusto,
134 nu 223
igino giordani
è definita l’opera col magistero di Chiara, suscitata nel centro della pazzia
nucleare.
a roma 1949-1951
Resurrezione di Roma
Se io guardo questa Roma così com’è, sento il mio Ideale lontano
come sono lontani i tempi nei quali i grandi santi martiri illuminava-
no attorno a loro con l’eterna Luce persino le mura di questi monu-
menti che ancora si ergono a testimoniare l’amore che univa i primi
cristiani.
Con questo stridente contrasto il mondo colle sue sozzure e vanità
ora domina nelle strade e più nei nascondigli delle case dove è l’ira
con ogni peccato ed agitazione.
136 nu 223
igino giordani
E lo direi utopia il mio Ideale se non pensassi a Lui che pure vide un
mondo come questo che lo circondava ed al colmo della sua vita
parve travolto da ciò, vinto dal male.
Anche Egli guardava a tutta questa folla che amava come Se stesso,
Egli che se la era creata ed avrebbe voluto gettare i legami che la do-
vevano riunire a Lui, come figli al Padre, ed unire fratello a fratello.
Era sceso per ricomporre la famiglia e far di tutti uno.
Ed invece, nonostante le sue parole di Fuoco e di Verità che brucia-
vano il frascame della vanità sotterranti l’Eterno che è nell’uomo
e passa fra gli uomini, la gente, molta gente, pur comprendendo,
non voleva capire e rimaneva con gli occhi spenti perché l’anima
era oscura.
E tutto ciò perché li aveva creati liberi. Egli poteva, sceso dal Cielo
in terra, risuscitarli tutti con uno sguardo. Ma doveva lasciar ad
essi – fatti ad immagine di Dio – lasciar la gioia della libera con-
quista del Cielo. Si giocava l’Eternità e per l’Eternità intera essi
avrebbero potuto vivere come figli di Dio, come Dio, creatori (per
partecipazione di onnipotenza) della propria felicità.
Guardava il mondo così come lo vedo io, ma non dubitava.
Insaziato e triste pel tutto che correva alla rovina, riguardava pre-
gando di notte il Cielo lassù ed il Cielo dentro di sé dove la Trinità
viveva ed era l’Essere vero, il Tutto concreto, mentre fuori per le vie
camminava la nullità che passa.
Ed anche io faccio come Lui per non staccarmi dall’Eterno, dall’In-
creato che è radice al creato e perciò la Vita del tutto, per credere
alla vittoria finale della Luce sulle tenebre.
Passo per Roma e non la voglio guardare. Guardo il mondo che è
dentro di me e mi attacco a ciò che ha Essere e Valore. Mi faccio
un tutt’uno con la Trinità che riposa nell’anima mia, illuminandola
di eterna Luce e riempiendola di tutto il Cielo popolato di santi e di
angeli, che, puri spiriti, non asserviti a spazio ed a tempo, possono
trovarsi raccolti tutti coi Tre in unità d’amore nel mio piccolo essere.
E prendo contatto col Fuoco che, invadendo tutta l’umanità mia
donatami da Dio, mi fa altro Cristo, altro uomo-Dio per partecipa-
zione, cosicché il mio umano si confonde col divino ed i miei occhi
non sono più spenti ma attraverso la pupilla che è vuoto sull’anima,
per il quale passa tutta la Luce che è dentro (se lascio vivere Dio
138 nu 223
igino giordani
afflusso di reclute
per anni – “il primo e unico consigliere” dei focolarini. L’andammo a visitare
nel giugno e nell’agosto 1962, quando fu operato di cancro. La prima volta,
in clinica, non potendo aprire gli occhi, sfinito, appena ebbe appresa la mia
presenza, sibilò: «Primo e unico…». La seconda volta con gli occhi aperti,
sopra la paralisi delle membra, nella sua casa disse: «Primo ed unico consi-
gliere…».
Raduni si tennero anche in vari caffè e al Colosseo e a Villa Adriana.
Uno ne tenemmo, Alvino ed io, a Valle Giulia, sulla gradinata del Palazzo
dell’Esposizione, protetti dal verde: c’erano studenti, cappuccini, condotti
da padre Casimiro. Questi ed io avremmo dovuto spiegare l’Ideale; ma Alvi-
no esuberante come al solito, travolse nella sua eloquenza ogni proposito e
ogni programma; e spaziò in tutti i campi, dilatando un ideale cosmo-politi-
co che fece arrabbiare padre Casimiro.
In quel periodo furono conosciuti anche padre Beda, promotore di un
movimento detto “Regnum Christi”, e padre Raski, fondatore della Milizia
dell’Immacolata a Genova. Con entrambi le focolarine collaborarono ser-
vendo in tutto disinteresse.
Da Roma Chiara fece con Lia una corsa in Sardegna. Andò con un bat-
tello, dove ebbe un posto nella stiva, soffrendo un poco. Fecero il giro del-
la Sardegna e allora conobbero Sanluri Giovanna, vedova da poco, la quale
trovò la pace e la nuova casa in Focolare. Incontrandola dopo parecchi anni
(per esempio al Centro Mariapoli nel gennaio 1967) pareva più giovane che
mai: viveva l’infanzia spirituale. A Sassari, a Cagliari e altrove Chiara e Lia
suscitarono focolai che per anni poi, pur attraverso le prove, rimasero accesi
formando anime d’apostoli.
E nell’ottobre di quell’anno, circolò un breve scritto della fondatrice, rive-
latore di uno stato d’animo. S’intitola: “Parola di sapienza”. Dice:
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igino giordani
1
C. Lubich - I. Giordani, “Erano i tempi di guerra…”. Agli albori dell’ideale dell’unità,
Città Nuova, Roma 2007, pp. 156-157.
2
Qui si riporta la versione dello scritto così come Giordani lo trascrisse in que-
ste pagine. Il medesimo scritto fu pubblicato su La Via del 2.9.1950, con qualche
142 nu 223
in biblioteca
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L’età del caos
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L’età del caos
Il maestro dentro
M. Tagliani, Il maestro dentro, Add editore, Torino 2014, 192 pp., 14,00 €.
Quando si pensa alla presenza della scuola all’interno delle carceri, tal-
volta il pensiero di sottofondo che contraddistingue le relative considera-
zioni sul tema è quello dell’inutilità di tale contributo; come se, insieme alla
parola carcere o pena, venisse associato l’aggettivo irrimediabile.
Che senso ha, potrebbe essere la domanda, destinare risorse – econo-
miche e professionali – in vista di un percorso, quale appunto quello legato
all’istruzione, per persone che sembrano aver ormai indirizzato la loro vita
verso l’illegalità?
Al di là di quanto afferma il dettato costituzionale in materia di riabilita-
zione (art. 27), la realtà ci dimostra invece esattamente il contrario.
È di questi giorni il nuovo rapporto dell’Associazione Antigone sullo sta-
to delle carceri italiane per l’anno 20151; tra i tanti dati forniti dal rappor-
to, come sempre copiosi ed esaustivi, colpiscono i numeri relativi proprio
all’istruzione. L’anno scolastico 2014/2015 ha visto infatti l’attivazione di
ben 1.139 corsi scolastici, con 17.096 iscritti, dei quali 7.096 promossi alla
fine dell’anno; altro elemento di non poco valore, la maggior parte di questi
“alunni” è costituita da stranieri.
Ma i dati del rapporto Antigone raccontano anche qualcos’altro: la lettu-
ra risulta in crescita nelle carceri italiane, visto che nell’ultimo anno la media
di libri letti per ogni detenuto è pari a 15 libri.
Sembrerebbe dunque, da questi dati, che l’istruzione, la formazione
svolgano un ruolo tutt’altro che irrilevante all’interno del carcere: per uno
straniero, per esempio, imparare a scrivere e a leggere rappresenta un pri-
mo passo, forse decisivo, verso l’emancipazione da una vita ai margini, per
poter invece abbracciare un’esistenza di reale integrazione nella nuova co-
munità di appartenenza.
Ma non è solo per i detenuti stranieri che l’istruzione riveste un ruolo
importante: non v’è dubbio infatti che essa rivesta una funzione certamente
decisiva all’interno delle carceri minorili; possono venire in aiuto, in questo
senso, le tante esperienze positive e incoraggianti di tutti quei docenti che
148 nu 223
Il maestro dentro
hanno speso la loro professione all’interno degli istituti per minori, esperien-
ze che permettono di valutare seriamente il peso specifico dell’istruzione
scolastica all’interno di queste realtà.
Nel suo Il maestro dentro. Trent’anni tra i banchi di un carcere minorile, Mario
Tagliani, insegnante presso l’Istituto penale per minori “Ferrante Aporti”, ol-
tre a regalare una formidabile testimonianza appunto dall’interno (“dentro”)
di una realtà carceraria, delinea con grande lucidità il perché dell’importanza
dell’istruzione in un carcere minorile: «Educare in carcere significa educare
ad apprendere […]. Per un nostro allievo imparare in carcere non vuol dire
apprendere nozioni, quanto piuttosto farsi una coscienza interiore»2.
Esiste cioè una stretta connessione tra apprendimento e sviluppo di una
coscienza, ed è sempre l’Autore a spiegarla in maniera efficace:
Questo iter diventa ancora più importante in una realtà come quella degli
istituti minorili, dove la giovane età dei residenti – a prescindere dall’entità
della pena – impone un’attenzione e un impegno volti al recupero di soggetti
che certamente non possono essere marchiati in via definitiva.
Non va poi trascurato un aspetto tutt’altro che marginale, legato alla
conformazione della popolazione carceraria: anche nel caso degli istituti
minorili, infatti, la percentuale di minori provenienti da altri Paesi cresce
sensibilmente di anno in anno, segno tangibile di come il mondo del crimine
attinga sempre più frequentemente a quanti, arrivati in condizioni di miseria
da altri Paesi, finiscono per ignoranza per cadere nelle mani di chi promette
un futuro migliore. Da sempre le organizzazioni criminali, di fronte a biso-
gni primari, finiscono per porsi come un anti-Stato, capace però di garantire
un’assistenza e un sostegno che il vero Stato non ha saputo concretizzare.
La mancata conoscenza di una nuova lingua, la difficoltà a muoversi in un
mondo e in una cultura diversi divengono purtroppo fattori dirimenti per
questi giovani nello scegliere una strada fatta di criminalità e illegalità.
Imparare una lingua, una scrittura diventa qualcosa di più di una con-
quista scolastica; significa piuttosto restituire questi giovani al mondo, alla
società civile, maturare in questi soggetti una diversa consapevolezza sia
di se stessi sia della comunità di cui andranno a far parte, una realtà con
delle regole e delle interazioni che nulla hanno a che fare con il mondo a cui
appartenevano in precedenza.
Non si tratta quindi di una semplice istruzione nozionistica, piuttosto
di una formazione che – anche attraverso la scrittura – consenta a questi
giovani di appropriarsi di una “lingua” diversa, la lingua della legalità, del
rispetto delle leggi.
Tale prospettiva evidentemente non deve essere circoscritta al mondo
degli istituti minorili, anche se nel caso di questi ultimi l’urgenza è certa-
mente più visibile.
A conferma del ruolo rivestito dalla scrittura all’interno delle carceri, vale
la pena ricordare – per esempio – l’importanza di iniziative culturali ed edi-
toriali come il Premio letterario Goliarda Sapienza4, ideato e curato da An-
tonella Bolelli Ferrera, giornalista e scrittrice: dal 2010 quest’iniziativa vede
detenuti, affiancati da scrittori e artisti nella veste di tutor, cimentarsi in un
150 nu 223
Il maestro dentro
vero e proprio concorso letterario, che ormai da cinque anni si conclude con
la pubblicazione di un volume. Anche in questo caso la scrittura diviene un
percorso, non l’unico certamente, per dare un senso alla parola “riabilita-
zione”; un termine – come più volte sostenuto – che non vuole essere uno
slogan vuoto, piuttosto una chiave verso un incontro dove le parti – nel caso
della scrittura il soggetto condannato che parla attraverso il testo e la socie-
tà che ascolta – possano confrontarsi.
La cultura d’altro canto ha le sue regole, comporta impegno, dedizione e
certamente scambio e interazione; nel caso della realtà penitenziaria diven-
ta il luogo, il momento grazie al quale il cosiddetto “reo” trasforma se stesso,
sia che si tratti di un lavoro manuale come di un titolo di studio, ritornando
o, a seconda dei casi, diventando un cittadino, un membro di una comunità
pronta a sostenerlo ma anche pronta a ricevere il suo personale contributo.
Una grammatica insomma lessicale che apra il detenuto a una gramma-
tica sociale, fatta di rispetto delle regole e di consapevolezza della propria
funzione civica.
Fabio Rossi
1
Cf. C. Pasolini, Carceri italiane sovraffollate e costose. E chi ha misure alternative non
sgarra, in http://www.repubblica.it/cronaca/2016/04/15/news/antigone_dossier_
carceri_2016-137669219.
2
M. Tagliani, Il maestro dentro, Add editore, Torino, 2014, p. 61.
3
Ibid., p. 62
4
Per maggiori informazioni su questa iniziativa: http://www.raccontidal-
carcere.it.
L’unità si fa storia
Pasquale Foresi e il Movimento
dei Focolari
a cura di Armando Droghetti e Fiorenza Medici
nu 223
english summary
with its spirituality and “dialogue of life”, The journey towards christian
could offer to the koinonía among chri- unity according to pope Francis
stians and towards a common theologi-
cal vision of the Church. K. Koch
p. 77
parole chiave From the time of the Second Vatican
Council there have been important stri-
Faith and Order des in ecumenical dialogue. This article
S. Ferreira Ribeiro, M. Hoegger by cardinal Kurt Koch, president of the
p. 53 Pontifical Council for the promotion of
christian unity, reconstructs the various
phases of the ecumenical movement. It
punti cardinali goes through the various stages of that
Sharing and the Third industrial dialogue, reconstructing the historical
revolution evolution and identifying the principal
G. Iorio challenges. The conceptual framework
is built around the phases of ecumeni-
p. 57
sm of charity, of truth, of practical ecu-
At the base of the new industrial revolu- menism, spiritual ecumenism (prayer
tion, defined as the “Internet of things”, and martyrdom). The trajectory shows
there is the principle of sharing. Numer- the work of the most recent popes to
ous scholars have outlined the empirical intensify the relations between christian
evidence for this, and this article takes churches and confessions. Pope Fran-
up and summarizes the principal results ces is not only in continuity with such
of such study. A new form of governance an ecclesial commitment, but pushes at
is made possible on the systemic level the avant-garde, beyond the possibili-
whenever productivity grows exponen- ties of the present.
tially in the fields of energy and com-
munication. This growth of productiv-
ity in the infrastructures of energy and Gift as a dimension of work
communications is possible only when A. Grevin
there is a system of governance guided p. 91
by sharing, rather than private acquisi- The element of gift is often underesti-
tiveness. Such a system responds to the mated as a organizational and produc-
needs of the environment, to which the tive resource in our accounts of work
economic system must always listen, process. This lack is due to an economic
and offers the conditions for a society and management vision that concentra-
and economy founded on sharing can tes only on the procedural dimensions
affirm themselves as the principle for a of work. This article attempts to broa-
sustainable and inclusive human devel- den the horizon of research, by means
opment. of an empirical investigation carried out
154 nu 223
english summary
on two french health-care structures, bich’s spiritual initiative. These were the
and the theoretical evaluation of the re- years of the intense spiritual experience
sults of that investigation. which Chiara, Igino and the first compa-
nions had in the Dolomites – the sum-
alla fonte del carisma dell’unità mer of 1949.
Truth and dialogue in
in biblioteca
Chiara Lubich
p. 143
C. Guerrieri
p. 107 murales
Taking Lubich’s experience as it emer- p. 156
ges in a series of texts as a basis, this
article notes the presence in her thou-
ght of an explicitly dynamic relation to
truth which encourages an ever new
opening to the other. The relationship
between truth and dialogue is founded
on the capacity of a welcome of alte-
rity not caught up in the snares of dif-
ferences of identity (without denying
the importance of this theme), and the
search and continuous discovery of an
inclusive truth which concretizes the
experience of encounter and dialogue
as acts of love.
Story of Light. 7.
“The pact of Unity”
I. Giordani
p. 121
The Story of Light has arrived at the cru-
cial years in which the nascent Focolare
Movement was able to take full advan-
tage of the work and experience of the
Author. We are at the end of the 1940s,
and Igino Giordani was with Chiara Lu-
bich on an almost daily basis. With his
intelligence and silent presence he was
able to guarantee the expansion of Lu-
nu 223
La distruzione creatrice
come affrontare le crisi nelle
Organizzazioni a Movente Ideale
di Luigino Bruni
L’unità
di Chiara Lubich
nu 223
Leggendo un carisma
Chiara Lubich e la cultura
di Giuseppe Maria Zanghí
160 nu 223