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IL COLORE DEL CIBO

Prefazione
Lalimentazione uno dei bisogni primari delluomo ma, data la sua caratteristica di animale
onnivoro, egli pu compiere delle scelte riguardo a cosa mangiare, esprime delle preferenze che non
sempre sono determinate ad un criterio di economia nutrizionale. Il carattere di commestibilit di un
cibo largamente determinato dalla cultura di ognuno.
Storicamente le societ umane, per garantirsi la sopravvivenza, non si sono limitate allo
sfruttamento delle risorse che avevano a portata di mano: gli alimenti circolano e sono spesso
allorigine di scambi tra culture diverse. In questa prospettiva il Mediterraneo appare un territorio
privilegiato. Con area mediterranea si indica una zona caratterizzata da condizioni climatiche
similari, allinterno della quale si possono individuare tre differenti tipi di ecosistemi, a cui
corrispondono diversi rapporti produttivi, sociali, culturali, una differente produzione e diversi
regimi alimentari. Questa diversit costituisce la base originale dello stile alimentare mediterraneo.
Le ricerche dellautore si focalizzano sul trovare le somiglianze e le diversit dei sistemi alimentari
nel Mezzogiorno dItalia. A partire dalla critica di un modello idealizzato di dieta mediterranea,
egli mostra come i caratteri specifici del sistema mediterraneo consistano nei tempi e nei ritmi
dellassunzione del cibo, nel valore dellestetica degli alimenti, nella solennit del pasto, nella
dimensione del mangiare assieme, nel modo di regolamentare le modalit dei pasti consumati fuori
dal gruppo familiare. In questo volume, Teti, da un lato ricostruisce gli aspetti materiali e storici
dellalimentazione meridionale in et moderna e contemporanea, dallaltro analizza la totalit
dellambito folklorico, linsieme della letteratura orale, gli aspetti cerimoniali e rituali, la sfera
simbolica e i sogni, le ossessioni e le utopie alimentari.
Introduzione
Anche se il Mediterraneo stato spesso presentato come una specie di Eden, dove tutto cresce
rigoglioso e spontaneo, in realt la ricerca del cibo stata la preoccupazione quotidiana (fino agli
anni 50) e lo tuttora (sponda del sud del Mediterraneo) di questarea. La vita delle persone
stata difficile e precaria, la frugalit e la sobriet non sono state una scelta volontaria: questo tratto
costitutivo del modello alimentare mediterraneo stato un necessario, tenacemente perseguito,
culturalmente elaborato, rapporto fra luomo, gli alimenti e lambiente. In questo passato
caratterizzato dalla scarsezza e dallansia della fame, i Carnevali, i banchetti ecc non sono che
eventi sporadici, o per pochi.
Tuttavia, per quanto la scarsezza, la precariet e le carenze alimentari abbiano condizionato la
cultura, la mentalit, il fisico e la salute degli uomini delle societ tradizionali, non bisogna
indulgere allinvenzione di una storia e di una metafisica della fame, incapace di render conto e di
mostrare le abilit, le tecniche culinarie ecc che caratterizzano questalimentazione, nonch la
variet di prodotti spontanei e coltivati che il Mediterraneo ha offerto.
Il Mediterraneo oggi al centro di nuove mode. Parlando di Mediterraneo e della sua storia, si
rischia, per, di pensarlo in modo statico, concentrandosi quasi esclusivamente su un passato spesso
enfatizzato e parziale (colonie della magna Grecia, impero romano...). Viene dimenticato che la sua
storia fatta di conflitti, di incontri, di avvicendarsi di popoli e di migrazioni, che si sono susseguiti
nel tempo. Risulta evidente la necessit di una consapevolezza critica dei luoghi del Mediterraneo, e
del loro passato.
Le culture alimentari, ripercorse nella lunga durata e nelle recenti grandi trasformazioni, risultano
gli ambiti decisivi per ripensare la realt e le mitologie, gli splendori e i contrasti del Mediterraneo.
Le immagini alimentari del Mediterraneo rispecchiano la storia e la realt alimentari delle
popolazioni. Lidea di dieta mediterranea non corrisponde alla storia e alle culture del mangiare
dei diversi paesi mediterranei: una costruzione recente, utile per per prendere consapevolezza e
riconoscere in cosa consista veramente la nostra tradizione alimentare. Per comprendere
lalimentazione mediterranea, bisogna immaginarla dal punto di vista degli uomini del passato e

delle culture di un tempo, per questo lautore si servito di racconti, storie ecc degli abitanti di quei
luoghi, ma anche dei propri.
Un errore che non deve essere compiuto, quando si parla di Mezzogiorno, quello di considerarlo
un insieme omogeneo, e non la realt complessa che , luogo di forti diversit geografiche e di
grandi contrasti sociali che hanno un puntuale riscontro nella variet dellalimentazione.
Sulle coste e sulle terre del Mediterraneo, fin dallantichit, lalimentazione stata oggetto di
discorsi e riflessione. Mangiare stato considerato sempre un fatto culturale. Lo stesso termine
dieta s rif ad unalimentazione come stile e regola di vita, salute, convivialit; interessante
notare poi come, nella maggioranza delle lingue romanze, i termini che designano il gusto
presentano la stessa etimologia. Un tratto davvero comune alle diverse culture alimentari del
Mediterraneo, inoltre, la consapevole identificazione con un prodotto, un piatto o una cucina.
La persistenza delle tradizioni pi comprensibile a partire dallosservazione di nuovi consumi e
rituali alimentari. Nei paesi, rispetto agli ambienti urbani, la giornata e lanno sono in parte scanditi
da eventi legati al cibo. Non si pensi, tuttavia, a una persistenza meccanica della tradizione: siamo
in presenza di invenzioni, a partire dalla tradizione, possibili soltanto perch finalmente sono
scomparse scarsezza e penuria alimentare.
La cucina e le pratiche alimentari sono buoni territori per osservare nuovi incontri, nuovi possibili
dialoghi. La cucina pu essere elemento di distinzione, di separazione, di conflitto; nello stesso
tempo per anche soglia di comunicazione, di scambio, di rapporto. Una ricognizione storicoantropologica e una riconsiderazione critica di un modello alimentare, se autentiche, finiscono con
il costituire una sorta di opposizione a nuove ideologie e mitologie alimentari, come lideologia del
fast-food, della dieta generalizzata ecc. La cucina diventa spazio per affermare una diversa
conoscenza di s, resistenza e alternativa a modelli esterni, omologanti ed esclusivi, affermazione di
presenza e di comunicazione. Il ripensamento storico di alcuni momenti e di alcuni motivi della
cultura alimentare del Mezzogiorno ha quindi anche lambizione di porsi il problema della ricostruzione di unidentit critica, aperta, plurale delle popolazione del Mediterraneo.
CAPITOLO I Alimentazioni e culture nel Mezzogiorno continentale
La dieta mediterranea: modello ideale e realt
Alla progressiva perdita di centralit del Mediterraneo, ha fatto da contrappunto, negli ultimi
decenni, la formulazione di un ideale culinario (mitizzato) comune a tutti i paesi di questarea, la
dieta mediterranea.
Si inizia a parlare di un regime mediterraneo a partire dai primi anni 50 circa, con le prime ricerche
di alcuni medici nutrizionisti americani, compiute per studiare la relazione fra consumi alimentari e
malattie quali quelle cardiovascolari, diabete, cancro ecc. Anche se gli effetti benefici della dieta
mediterranea emersi dagli studi delineano una serie di correlazioni pi che di relazioni causali e
comunque si resta sempre nel campo delle ipotesti plausibili, la dieta mediterranea inizia ad essere
considerata una risposta alla condizione alimentare omologata delle societ industrializzate
occidentali.
Anche le comunit dimmigrati italiani negli Stati Uniti che hanno tentato di trapiantare le loro
abitudini, hanno giocato un ruolo nella promozione del regime mediterraneo. Infatti, negli anni 50,
da un precedente rifiuto e disprezzo per lalimentazione degli emigrati, considerata carente ed
insufficiente, si passa allapprezzamento per una cucina italiana, indicata come modello di frugalit.
Ci dovuto ad un complessivo mutamento di come venivano considerati gli italo -americani negli
USA. Lemigrazione, in generale, stata un elemento di grande trasformazione delle culture
alimentari sia nei luoghi di partenza sia in quelli di arrivo, sia nella realt che nelle immagini.
Le norme e le prescrizioni alimentari, inoltre, non ubbidiscono soltanto a discorsi scientifici, ma
anche a fattori di ordine morale e religioso PAG36 FISCHLER E DIETETICA
GENERALIZZATA ??
Non bisogna dimenticare inoltre i notevoli interessi economici che ruotano attorno allinvenzione e
allesaltazione acritica della dieta mediterranea. Infatti, quando dallinteresse dei nutrizionisti passa

nel linguaggio dei media, della pubblicit e delle multinazionali, la dieta mediterranea assume
contorni mitici e astorici, diventa una sorta di regime alimentare tradizionale, unico, immutabile,
diffuso allo stesso modo nelle diverse zone del Mediterraneo.
Paradossalmente, lidea di dieta mediterranea tende ad affermarsi proprio nei decenni in cui le
popolazioni cominciano ad abbandonare le antiche abitudini alimentari che erano alquanto diverse
da quelle idealizzate e individuate come modello. Gli studi di storia dei consumi alimentari
mostrano, infatti, come ancora nella prima met del Novecento le popolazioni delle aree interne del
Mezzogiorno dov stato individuato il modello mediterraneo abbiano un regime alimentare a
base di pane di mais, patate, pomodori, peperoni, legumi, e per il condimento ricorrano al grasso di
maiale. Lolio doliva, il pane di frumento e il vino, restano uneredit importante del passato, che
caratterizza per solo la cucina dei ceti benestanti, mentre i ceti popolari non possono permetterseli.
La pasta appare ancora un genere di lusso raramente consumato, ed il pesce fresco, per ragioni di
trasporto, non giunge quasi mai nelle zone interne. La cucina dei ricchi, anchessa assai diversa
dalla dieta mediterranea, era una cucina abbondante, ricca di carne e con cibi di ogni tipo
provenienti dalle diverse attivit produttive o importati da fuori, consumati in banchetti lenti,
interminabili, a crepa pancia. E un modello molto diverso da quello indicato come modello
mediterraneo, a cui i poveri hanno accesso, in maniera limitata, soltanto in occasioni eccezionali,
una sorta di controdieta, ma un modello a cui tendono e a cui si ispirano e che allorigine di
scelte e pratiche alimentari compiute di recente.
Lo stile alimentare, per, non va ridotto solo a ci che un determinato gruppo mangia, ma
concorrono a formalo anche ci che la gente non mangia (per scelta o necessit), la realt e i
desideri alimentari; senza dimenticare poi che i vari modelli hanno profonde e diverse affermazioni
e articolazioni sociali, geografiche, storiche. Bisogna inoltre rilevare che il modello della dieta
mediterranea, pur generico e inventato allesterno, non avulso dalla storia, dalle culture, dalle
tradizioni alimentari del Mediterraneo. Fin dallantichit lidea di dieta associata a regime e
pratiche alimentari, salute ma anche territorialit, dimora, cucina (->si vedano i vari significati ed
applicazioni del termine dieta in Ippocrate, Sofocle, Galeno, Cicerone ecc e la teoria umorale, dove
il cibo prevenzione e terapia). Nella tradizione mediterranea il mangiare e la salute sono legati ad
un pi generale stile di vita. La regola alimentare regola di vita, e le trasgressioni alimentari
(digiuni o abboffate) sono sempre legate a concezioni religiose, filosofiche, culturali, in genere in
opposizione a quelle dominanti nella societ. I formulari di salute indicano, tuttavia, modelli,
regole, standard, valori di comportamento e pratiche alimentari dei ceti abbienti e con scrittura, che
vengono accolti, interpretati ed elaborati diversamente dai ceti popolari che hanno differenti
disponibilit e preoccupazioni, questo per non vuol dire che i contadini non conoscessero
comunque perfettamente le conseguenze negative e positive dovute alla presenza o allassenza di
determinati alimenti o bevande e le loro norme dietetiche avevano come base elementare il fatto che
la salute derivi dal buon nutrimento. La preoccupazione fondamentale delle classi popolari restava
per quella di vincere la fame, sempre incombente, e contrastare le ideologie che in qualche modo
la giustificavano, nel folklore e nelle parlate popolari, quindi, il termine dieta sembra evocare pi
una situazione di rinunce e di privazioni alimentari, scelte e insieme necessarie (digiuni religiosi
ecc), che non il piacere derivante dal mangiare. Quando era possibile i ceti popolari realizzavano
una sorta di controdieta a base di cibi buoni e abbondanti: nelle culture folkloriche infatti era forte il
legame tra alimentazione e salute, ma la salute per loro era legata non tanto a regole ma a mangiare
bene ed in abbondanza, a trasgressioni alimentari, al consumo di taluni cibi anzich di altri.
Per questi motivi e significati, ancora oggi, fare una dieta viene guardato con ironia e la dieta
considerata una sorta di invenzione che continua le ideologie dei digiuni e delle astinenze. La dieta
viene da molti presentata come una sorta di truffa per persone comunque ammalate (cfr i medici
vietano il cibo, ma loro mangiano! ecc). Daltra parte , a livello pi generale della societ di
massa, che la parola dieta ha subito uno slittamento di significato: anche nel linguaggio comune
non designa pi un regime quotidiano di alimentazione e una regola di vita, ma una limitazione, una
sottrazione di cibo. Le scelte alimentari limitative della societ dei consumi sembrano avvenire

non tanto per ragioni morali o religiose, ma per considerazioni igieniche, estetiche, utilitaristiche.
Tuttavia difficile sottrarsi allimpressione che il successo travolgente delle diete nella societ di
massa nasconda anche valori penitenziali rimossi, un desiderio di rinuncia e di autopunizione
legato alleccesso di offerta alimentare, e alle immagini edonistiche con cui la pubblicit ha
cominciato a proporre i consumi. Ma la dieta pu essere anche legata alla paura inconscia che la
scarsezza o altre forme di privazioni alimentari possano sempre tornare; la dietetica generalizzata
come razionalizzazione anticipata di un mondo prossimo venturo di digiuni obbligati.
Lidea di dieta mediterranea, anche se nasce in questo contesto, non va confusa semplicisticamente
con lideologia della dietetica generalizzata. Nata come invenzione puritana e moralista
anglosassone, la dieta mediterranea si alimenta nel Vecchio Mondo di un fondo di
antiamericanismo, la riproposta delle cucine regionali assume i contorni di una denuncia
antiamericana. La dieta mediterranea, nella reimpostazione che conosce nel Mediterraneo, assume
un carattere oppositivo a modelli omologanti e a forme di non cucina, tenta un recupero delle
concezioni tradizionali, affermando il piacere del mangiare e il legame fra alimentazione e salute.
Tutto ci viene ben accolto dalla societ di massa e sempre pi si afferma lidea che mangiare,
come avveniva nel passato, deve costituire soprattutto un piacere, sganciato da idee di colpa e
mortificazioni.
E importante, quindi, per evitare mitizzazioni della dieta mediterranea, che i regimi alimentari
tradizionali vengano conosciuti nella loro somiglianza e nelle diversit, ma anche nella loro
storicit, nei diversi quadri culturali e nelle molteplici rappresentazioni simboliche.
Somiglianze e diversit dei regimi alimentari tradizionali
Antichit e modernit; staticit e dinamicit
I regimi alimentari delle societ tradizionali del Mediterraneo sono stati presentati prevalentemente
in una sorta di astoricit e mancanza di dinamicit. Se si prendono in considerazione i regimi
alimentari delle regioni meridionali dellOttocento, si nota che non solo lolio doliva, il vino, il
pane di frumento, i cereali, i legumi, le erbe, la frutta, le piante aromatiche, ma anche rituali e
simbologie alimentari riportano spesso al mondo antico. Anche molte tecniche di produzione,
preparazione, cottura, conservazione degli alimenti riportano a pratiche antiche. Tuttavia, appare
riduttivo e scontato considerare la diffusione e la fortuna di lunga durata degli alimenti come spie di
una pure innegabile continuit e di una sorta di astoricit dei regimi alimentari mediterranei. Il
problema della conservazione e della rivoluzione in campo alimentare non va esaminato soltanto
con riferimento alla disponibilit ed ai consumi degli alimenti, ma bisogna considerare anche le
necessit e le scelte, ci che si mangia e si vorrebbe mangiare, le valenze sociali, rituali, simboliche
del cibo, i modi di preparare e conservare gli alimenti, le concezioni del sapere, della medicina, la
storia e la societ.
Nei diversi periodi, pure in presenza di analoghe risorse, sono cambiate le valenze sociali, culturali,
simboliche del cibo, le rappresentazioni culinarie, il gusto, la sensibilit. Lalimentazione delle
regioni meridionali presenta stratificazioni e sedimentazioni di abitudini originatesi in luoghi
geografici lontani, commistioni fra varie culture, formatesi nel corso della storia. Per quanto infatti
lalimentazione dei periodi premoderni sia strettamente legata alla produzione locale, alle risorse
dellambiente, quanto spesso definito come locale quasi sempre arrivato dallesterno, da altre
aree del Mediterraneo. In epoca moderna lintroduzione e laffermarsi dei nuovi prodotti
provenienti dallAmerica determinano, pur allinterno di un equilibro conservato, importanti
innovazioni in abitudini, comportamenti, pratiche alimentari, nonch nel gusto e nella mentalit,
oltre a giocare un ruolo decisivo per laffermarsi, dal 600 all800, di quelle che saranno poi le
cucine tradizionali, grazie non solo alle loro caratteristiche nutritive, ma soprattutto per essere in
grado di dare nuovo gusto alle antiche cucine, senza per alterarne lequilibrio.
Per una serie di fattori geografici, climatici, produttivi, culturali, il Mezzogiorno forse una delle
aree dellEuropa dove in maniera pi vistosa e originale si verificata una combinazione di prodotti

vegetali e animali, di piante antiche e nuove, rendendo possibile un raccordo tra cucina quotidiana e
cucina festiva, cucina popolare e cucina dlite.
Lavvento dei prodotti americani avviene in un periodo caratterizzato anche da altri importanti
mutamenti alimentari. Dal XVI sec., infatti, in tutta Europa, si inizia a verificare un passaggio da un
relativo benessere alimentare caratterizzato dal mangiare carne, ad unalimentazione
prevalentemente o totalmente erbivora, integrata talvolta con cereali minori, pesce salato,
formaggio, pane, vino, carne affumicata o salata e di animali minuti, che durer fino alla fine
dellOttocento- met del Novecento. Si tratta di una scarsezza alimentare che ha profonde
conseguenze di natura psicologica e culturale nelle popolazioni.
Tutti questi cambiamenti si incontrano e si combinano con la diffusione della pasta industriale che
si verifica nel Mezzogiorno a partire dal XVI sec, grazie allintroduzione del torchio. Alla fine
dellOttocento la pasta la base delle alimentazioni.
A partire dalla fine dellOttocento gli emigrati nelle Americhe introducono grandi trasformazioni
nei consumi e nelle abitudini alimentari. Nel Nuovo Mondo e in quello dorigine familiarizzano con
carne, uova, latte, formaggi, liquore, caff, alcuni rimanendo saldi ed esportando la propria cucina
dorigine, altri attuando delle rotture con essa.
Limmagine di unalimentazione tradizionale statica quindi parziale e fuorviante. Delle immagini
di stabilit e immobilit delle societ tradizionali sembrano responsabili pi che i folkloristi che
le descrissero in passato, i loro commentatori attuali. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che le
fonti vanno contestualizzate, assunte criticamente, fatte dialogare con le altre fonti.
Le impostazioni che privilegiano la stabilit o le rotture traumatiche fra uno stato premoderno
(naturale) ed un moderno (artificiale), propongono anche un luogo comune sulla modernizzazione
alimentare, individuata nella societ industriale avanzata. Questi punti di vista non tengono conto,
per, che una modernit alimentare (introduzione degli alimenti americani, pasta ecc) e una
trasformazione (violenta) della natura sono gi presenti in quella che loro invece considerano un
periodo di staticit e tradizione.
Bisogna considerare, quindi,il passaggio dalla tradizione alla modernit non come una rottura
epocale, ma come una serie di piccoli e lenti mutamenti che si erano gi affermati in societ
tradizionali come quelle del Mediterraneo: le recenti grandi trasformazioni vanno inserite in un
lungo e complesso processo storico, cominciato almeno nel 400. La modernizzazione alimentare,
intesa come indipendenza dalla produzione annuale e rottura del circolo clima - carestia - fame,
comincia lentamente e senza grandi squilibri sulle sponde del Mediterraneo. I cibi e i piatti tipici
tradizionali non risalgono ad un lontano passato, ma si affermano tra il XVII e XIX sec.
Differenze sociali e ambientali
Lalimentazione del passato non va considerata in termini restrittivi, come esito di un aut aut, ma in
termini di un et et; va ripensata nelle sue contraddizioni, combinazioni e sovrapposizioni, nelle
diverse situazioni storiche, geografiche, economiche e sociali. Paesaggi e vegetazioni; assetti
fondiari, tipi dinsediamento, colture, tecniche agricole, rapporti sociali differenti offrono una
notevole variet di disponibilit, abitudini, culture alimentari. Tutte questa variabili vanno sempre
rapportate ai diversi periodi storici e contesti ambientali e sociali.
Analizzando le differenze alimentari legate allordine sociale, si nota come una grande
contrapposizione sociale, ma anche culturale, mentale e alimentare, si ha tra i ceti popolari
mangiatori di pane nero e i ceti benestanti mangiatori di pane bianco, che resta un miraggio per
i ceti meno abbienti. Unaltra opposizione quella tra ceti popolari mangiatori di erbe e ceti
benestanti mangiatori di carne, dato che resta sostanzialmente inalterato fino agli inizi del 900.
Unaltra differenza ancora segnata dalla presenza del pesce: fresco, per i ricchi; pesce conservato
salato o essiccato (baccal, stoccafisso, sarde, aringhe), considerati alimenti importanti e delle feste,
per i ceti popolari, soprattutto quelli dellinterno e dei piccoli centri. La cucina del territorio non va
quindi confusa con quella che si ottiene con prodotti locali e con alimenti naturali e freschi. I ricchi
consumano, molto pi dei ceti popolari, anche uova, salami, latticini, paste, olio, vino. Unaltra

differenza sociale segnata dalla disponibilit di acqua potabile, che rester un problema fino agli
anni 50 60.
La diversit sociale emerge anche dalla quantit di cibo consumato: mangiare assai resta, ancora in
anni recenti, segno di ricchezza e potere.
Anche la disponibilit di prodotti importati da lontano era segno di lusso e di distinzione sociale.
Esistono quindi almeno due regimi alimentari mediterranei: quello dei ricchi e quello dei poveri.
La distanza fra queste due cucine condiziona i quadri culinari e le mentalit delle popolazioni, la
loro concezione del corpo e della salute. Ma le due alimentazioni, che comunque si affermano in
una stessa realt, si influenzano, si cercano, sono in costante rapporto.
Significative sono poi le peculiarit alimentari legate allambiente geografico, ecologico, produttivo
e alle forme di insediamento (citt vs campagna; costa vs interno; zone montane vs zone collinari vs
zone marine). Il vitto varia talvolta anche nei diversi periodi dellanno. Linverno, periodo di vuoto
produttivo, quello pi infelice dellanno dal punto di vista alimentare.
Anche allinterno delle diverse categorie sociali delluniverso popolare (contadini, piccoli
proprietari, mezzadri ecc) si registrano disponibilit alimentari, tecniche cucinarie, ritualit legate al
cibo, notevolmente diverse.
Abitudini alimentari differenti sono legate ai lavori stagionali, alle relazioni sociali, alle
disponibilit familiari, alle tradizioni religiose, alle feste, alle pratiche magiche, talvolta al gusto
individuale.
Modelli, comportamenti alimentari e stile di vita
Il modello e la ricerca dellequilibrio
Bench la dicotomia tra paese della fame (popolo) e paese della cuccagna (ricchi) perduri fino
allOttocento, quando il nesso clima-carestie-andamento dei prezzi ha unincidenza fondamentale
nellarea mediterranea e un cattivo raccolto conduce le popolazioni sulla soglia della fame, il
mondo tradizionale non va pensato come segnato da una continua scarsezza e precariet alimentari.
La categoria della fame ignora e sottovaluta la fantasia alimentare delle popolazioni, messa in atto
anche in presenza di pochi alimenti, la loro capacit di rendere piacevoli cibi non apprezzati o poco
nutrienti, trascura la complessit delle cucine rituali e festive, ignora i desideri di abbondanza, che i
ceti popolari riuscivano a realizzare soltanto in occasioni eccezionali.
Allinterno di questi due estremi, gli abitanti del Mezzogiorno cercano di realizzare una sorta di
equilibrio basato sul rapporto tra uomo, ambiente ed alimenti. Fin dallantichit gli individui delle
regioni meridionali e del Mediterraneo hanno realizzato un proprio equilibrio vitale a partire dalla
triade ulivo-vite-grano, integrato dalla produzione agricola, dalla pastorizia, dalla pesca, dalla
caccia e dalla raccolta di erbe spontanee. Per quanto questi alimenti compaiano insieme solo di rado
sulla tavola dei ceti popolari, la tendenza a cucine in cui si combinano prodotti dellagricoltura,
della pastorizia e, quando possibile, della pesca ed esterni. Questo equilibrio complessivo non un
dato acquisito una volta per sempre: costituisce unaspirazione, uno stile da realizzare e custodire, il
frutto della fatica incessante delluomo, un punto darrivo costantemente messo in discussione da
condizioni sfavorevoli e da limitazioni ambientali. Anche la biologia delle popolazioni del
Mediterraneo stata condizionata da uno stile parsimonioso sia nella ricerca che nel consumo del
cibo.
La sobriet e la frugalit: tra scelta e necessit
La frugalit e la sobriet dei regimi alimentari tradizionali vengono spesso esaltate per polemizzare
con gli eccessi attuali. Ma le immagini, ora realistiche ora edulcorate, dei ceti popolari parchi,
laboriosi, sani ecc hanno una storia di lunga durata, si originano nellantichit classica e vengono
proposte e rinnovate in epoca moderna e contemporanea. Alla fine dellOttocento limmagine della
frugalit alimentare dei ceti popolari, che sanno accontentarsi e sono poco laboriosi, viene assegnata
dal pensiero borghese allintera popolazione italiana e verr ripresa, in maniera esasperata e
strumentale, dallideologia ruralista del periodo fascista. Queste immagini della dieta e del popolo

mediterraneo sono presenti anche in contesti storici e geografici diversi (USA ecc), mostrando come
il Mediterraneo sia anche un luogo di proiezione di bisogni ed esigenze di popolazioni a esso
esterne. In epoca moderna le diverse aree del Mediterraneo diventano luoghi di unalterit, anche
alimentare, considerata ora negativamente ora positivamente. Daltra parte, la fissit dello sguardo
esterno riflette in qualche modo, anche se spesso in modo deformato, la staticit e la monotonia
della realt osservata.
I lavoratori della terra non mangiano poco perch sono sobri e frugali, appaiono sobri e frugali
perch non sempre hanno da mangiare: il modello della frugalit e della sobriet in parte legato a
limitazioni concrete, una scelta obbligata. E infatti i contadini rovesciano il modello della frugalit
ogni volta che possono, cio in occasione festive, rituali ecc o nuove disponibilit.
La sacralit del pane e degli alimenti
In passato il desiderio alimentare di persone che si misuravano quotidianamente con il problema del
mangiare aveva come oggetto principale il pane, che era lelemento centrale, cardine di tutti i
regimi alimentari tradizionali. Non vi era un unico tipo di pane, ma diversi: il frumento era
lelemento della panificazione dei ceti sociali elevati, mentre i ceti popolari si servivano di cereali
minori, legumi, e in caso di necessit cicorie, finocchi, altre erbe selvatiche o ghiande, per fare il
pane. La fame di pane bianco e il ricorso a miscitati di ogni tipo, che forniscono di solito un pane
nero, aspro, duro, immangiabile, permangono ancora fino allindomani della seconda guerra
mondiale. Spesso il pane da solo costituiva lunico alimento nellarco di unintera giornata,
specialmente in determinati periodi di crisi e nelle situazioni di grave disagio.
In quasi tutti i paesi del Mezzogiorno la produzione, la preparazione, il consumo del pane sono
accompagnati da gesti, preghiere, formule, riti di propiziazione e di ringraziamento.
Non un caso che la civilt contadina tradizionale sia stata definita civilt del pane. Il pane la
metafora di un universo in cui ogni bene era necessario e pertanto niente andava smarrito, gettato,
sprecato. La sacralit che circonda il cibo, il culto degli alimenti, non possono essere compresi se
non si pensa alla loro scarsezza e precariet, che hanno creato questo stile alimentare e culturale.
Tutti i prodotti andavano custoditi e nel caso di disponibilit eccedenti il fabbisogno familiare e
quotidiano, conservati, cos da attenuare la stretta dipendenza dalle disponibilit stagionali e fare in
modo che niente andasse sprecato. Nelle societ tradizionali non si buttava via niente, di cibo.
Le acque: tirannia, sacralit, nostalgia
Lequilibrio produttivo e alimentare, il vitto quotidiano, la qualit della vita, la mentalit delle genti
del Mediterraneo, ancora in un recente passato, risultano strettamente legati alla bizzarria del clima,
allalternarsi di periodi di siccit e periodi di piogge torrenziali. Da qui la grande importanza che
veniva attribuita alle interrogazioni del cielo, delle nuvole, delle stelle, degli animali ecc riguardo al
tempo metereologico. Destate, invece, per far s che piovesse, i contadini si rivolgevano al Signore
e ai santi che, nel caso in cui non esaudivano le loro preghiere in tempi brevi, venivano addirittura
puniti (immersioni in mare, cibo salato in bocca ecc). Daltra parte per, lacqua piovana, quando
troppo abbondante, rappresentava un incubo per le popolazioni: ingrossava le fiumare, provocava
frane, devastava gli orti, danneggiava le messi ecc. Per questo cerano quindi anche preghiere, gesti
e formule rituali per fermare la pioggia e vincere la potenza delle tempeste.
Oltre allacqua che tarda ad arrivare e allacqua che scende inarrestabile, bisogna ricordare lacqua
stagnante a valle, nelle pianure e nelle marine malefiche, putride, dove dominava la malaria. Non si
comprendono carestie, fame, malattie, malanconia, medicina popolare, mentalit, religiosit delle
popolazioni se si prescinde dal dominio che le acque e la malaria hanno esercitato nel corso dei
secoli.
Nel folklore meridionale il vino, che fa bene alla salute e allunga la vita, contrapposto allacqua
che fa male e accorcia gli anni. Ma questa superiorit del vino sembra legata alla scarsezza di acqua
potabile, alle infezioni che le acque putride spesso provocavano, e i contadini e i pastori avevano
quindi una cognizione della bont dellacqua.

Nonostante la presenza di eccellenti acque, dovunque nel Mezzogiorno in epoca moderna e


contemporanea viene segnalata ripetutamente la difficolt delle popolazioni di reperire acqua
potabile.
Esiste un culto dellacqua, un atteggiamento sacrale, forse addirittura pi forte di quello che si
riscontra legato al pane (in quanto anche la farina dipendeva, del resto, dallacqua).
Nella tradizione, lacqua metafora di dispersione, fuga senza fine, ma anche elemento di
purificazione, elemento della nostalgia, della memoria, ma anche delloblio (cfr culti orfici).
CAPITOLO II Alimentazione e cucine popolari
Nelle societ tradizionali vi una situazione alimentare complessa e contraddittoria: da un lato la
necessit costringe la popolazione ad un pasto frugale, dallaltro vi per il desiderio di una cucina
elaborata e abbondante, la pratica di rendere piacevoli i prodotti disponibili. La tensione
allabbondanza, a una cucina fantasiosa e sofisticata, rivela quanto sia frutto di un atteggiamento
etnocentrico il considerare come cucina (quindi cultura) solo le pratiche alimentari dellelite
mentre chiamare nutrizione (quindi a natura) quella dei ceti popolari.
La gastronomia e le innovazioni culinarie, bench il gastrocentrismo e i pregiudizi di molti
studiosi e osservatori abbiano sostenuto il contrario, non sono prerogativa della cucina dei ricchi o
borghese. Difatti, alcune ricette contadine, rivelano livelli di sofisticatezza e articolazioni a volte
maggiori di quelle dellelite. Quando, nel passato, le popolazioni riescono ad allontanarsi dalla
penuria e dalla scarsezza, nelle occasioni eccezionali, si verifica lingresso nel mondo di una
gastronomia fatta di ricercatezze e originalit. Il folklore tramanda norme, indicazioni, avvertenze
sulla bont e sulla qualit dei cibi, sui modi di cucinarli, prepararli, consumarli, conservarli.
Un modello alimentare non costituito solo da quello che si mangia abitualmente, ma anche da ci
che i desidererebbe mangiare. Arte, fantasia, immaginazione popolare venivano usate sia per il
mangiare ordinario sia per il mangiare eccezionale.
Mangiamo meglio: il piacere alimentare
I racconti popolari iniziano spesso con una situazione di fame, risolvono il negativo con una
narrazione destorificante, e riportano il narratore alla condizione di chi deve andare a mangiare
quello che trova.
Mangiare, sostantivo e verbo, inteso quale insieme e combinazione di ingredienti ed essenze, e
quale gesto ordinario e rituale, esprime meglio lo stile alimentare di popolazioni che, pur in
condizioni di scarsezza e precariet, aspirano ad una cucina varia, elaborata, soddisfacente. Il
mangiare, cos come il parlare, ha un carattere sociale, base della convivialit, dello stare assieme
e delle trasgressioni alimentari. Dal mangiare, poi, praticamente inseparabile il bere: i regimi
alimentari del Mediterraneo sono quelli con la maggiore presenza e diversit di bevande.
Il piacere del mangiare e del bere coincide con la contentezza, la felicit e la buona salute. I cibi che
fanno stare bene sono quelli buoni; la forza, il vigore fisico e la salute derivano da una buona e
adeguata alimentazione. Ogni cibo trovava impiego anche nella medicina popolare e nel ricco
universo magico tradizionale, dove veniva utilizzato indipendentemente dal fatto che gli effetti
fossero reali.
E stato rilevato come il piacere alimentare fosse legato, per i ceti popolari, soprattutto a
situazioni festive ed eccezionali. Era a volte un piacere che si traduceva in insoddisfazione e
delusione, dal momento che si prendeva ulteriormente consapevolezza di una normalit basata
sulla scarsezza e sulla precariet, di una persistente distanza dalla cucina dei ricchi, dellinevitabile
immediato ritorno a un domani ordinario.
Mangiare insieme
Il piacere alimentare era legato non solo alla qualit-quantit dei cibi consumati nei giorni
ordinari e festivi, ma anche alla dimensione del mangiare assieme, con i propri familiari o amici.
Dividere il pane o il cibo significava fondare e rendere sacre unioni, legami, rapporti. Il mangiare

crea unioni e legami anche tra i vivi e i defunti, coloro che restano e chi invece partito per unaltra
terra, emigrato. Lassunzione del cibo, lungi dallessere un atto meccanico e fisiologico, in tutte le
societ e le culture un atto sociale.
La gastronomia legata inoltre alla conversazione, al parlare.
Mangiare assieme assume nella societ tradizionale un valore sacrale: attorno alla tavola si formano
e si cementano gruppi, si stabiliscono affari, si fanno promesse ecc (cfr importanza si nota in
formule quali Non siederai pi alla mia tavola ecc).
Fare da mangiare, offrire da mangiare
Un altro aspetto importante da analizzare quello del fare da mangiare. Tutta lItalia contadina e i
ceti popolari urbani sembrano aver dedicato nel passato poco tempo e poca cura alla preparazione
del cibo. Le molteplici e complesse attivit che erano compito della donna, riducono il tempo del
fare da mangiare; la limitata disponibilit di beni contribuisce a rendere di poco rilievo il tempo, la
pratica, il sapere legati al cucinare.
Non bisogna tuttavia dimentica che la cucina popolare arte che richiede un notevole
apprendimento e una costante pratica, tanto che labilit e la fantasie delle donne nel trattare e
preparare gli alimenti, il saper fare da mangiare, erano considerati unimportante caratteristica.
Esse, inoltre, occupandosi dei pasti dei signori acquisivano abitudini e tecniche che divenivano
patrimonio popolare, e la saggezza alimentare delle donne veniva tramandata di generazione in
generazione. Anche il saper far da mangiare bene delluomo era apprezzato, ma solo se questo
avveniva fuori dalla dimensione domestica o solo se, in casa, la donna era assente o impedita.
Il piacere e labilit del far da mangiare trovavano una loro affermazione nelle occasioni cerimoniali
e rituali. Il far da mangiare si traduceva spesso nel dar da mangiare, nelloffrire, nel servire le
pietanze (agli invitati, ai santi, ai poveri ecc).
Nel donare gli alimenti entravano invece in gioco i sentimenti dellonore e della vergogna. A tavola
infatti bisognava sempre fare bella figura. Attenzione, premura, preoccupazione,
accompagnavano la persona o la famiglia che doveva rivelare, mostrare, esibire le proprie
disponibilit alimentari e capacit culinarie. Si passa dalla vergogna dei meno abbienti nel rivelare
la loro miseria e cercare in ogni modo qualcosa da dare ad un ospite inatteso, allostentazione del
cibo da parte dei benestanti.
Se non si fa riferimento a questo sostrato culturale, non si possono comprendere i comportamenti e
rituali alimentari odierni (grandi tavolate, insistere perch lospite mangi ancora un po...), dietro i
quali resiste ancora la memoria di un tempo in cui ogni bene era necessario.
Non bisogna poi dimenticare la vicinanza e la solidariet messe in atto nelle circostanze del dono e
dellofferta (ai viaggiatori, poveri ecc).
Luoghi e tempi del mangiare
Nella societ tradizionale non solo, in caso di necessit, si mangiava qualsiasi cosa, ma si mangiava
anche in qualunque posto ed ora. Non vi era una rigida canonizzazione dei tempi del mangiare o dei
luoghi: luoghi e tempi erano organizzati in relazione alle fasi di produzione, consumo,
conservazione del cibo; oltre che dallappetito, dalle occasioni e dal desiderio. Spazi produttivi,
abitativi, di preparazione, consumazione, conservazione degli alimenti costituiscono un insieme
territoriale, sociale, culturale.
Si mangiava e si cucinava anche allaperto, il cibo veniva esposto nelle case, a tavola, nelle strade e
nelle piazze (riti, sagre ecc), nelle botteghe e nei mercati.
I mercati costituiscono il trionfo della mescolanza di cibi, colori, sapori e odori; una mescolanza
confusione delle persone (generalmente uomini) con animali, prodotti, piante.
Lo spuntino giornaliero spesso veniva consumato sul luogo di lavoro, nei campi, mentre il pasto
principale e caldo veniva mangiato la sera, allaperto destate, vicino al caminetto dinverno.
Durante i lavori stagionali, come ad esempio la mietitura, i pasti giornalieri diventavano frequenti e

pi abbondanti. Spesso i componenti del nucleo familiare mangiavano nello stesso recipiente di
terracotta e bevevano dalla stessa brocca.
Un discorso a parte va fatto per i tempi e le portate dei pasti dei ceti benestanti, dove il mangiare era
abbondante e lento.
Si deve considerare inoltre la lentezza, che contraddistingue o che viene assegnata alle culture e
alle pratiche alimentari tradizionali del Mezzogiorno. Anche il consumo improntato alla lentezza:
mangiare lentamente una regola della dietetica popolare e anche una norma di buona maniera.
Questo valeva anche per il pranzo frugale dei contadini sui campi. Era inoltre consigliata una
piccola sosta, dopo il pasto meridiano. La lentezza nel tagliare il pane e nel masticare, nelloffrire e
nellaccettare, nelle situazioni conviviali appare legata a una particolare filosofia della vita.
Il motivo della lentezza (intesa anche come riscoperta della ricchezza e degli aromi delle cucine
locali, del gusto ecc) come critica della fretta al centro di importanti riflessioni socioantropologiche, di romanzi, riviste...
E nello sviluppo del gusto e non nel suo immiserimento, la vera cultura; di qui pu iniziare il
progresso, con lo scambio internazionale di storie, conoscenze, progetti.
Cucina locale, identit culturale, nostalgia
Il cibo, i gesti e la ritualit connessi al consumo degli alimenti, costituiscono un linguaggio,
diverso da cultura a cultura, che non si pu occultare e che riaffiora.
Nelle societ tradizionali esisteva un forte legame tra territorio e cultura alimentare; tra luoghi
produttivi, spazi abitativi e cucina, tanto che per ogni microcosmo ambientale o produttivo esisteva
una cucina diversa.
Le disponibilit e le pratiche alimentari differenti erano anche un modo in cui gli abitanti delle
diverse zone e comunit percepivano se stessi e gli altri (cfr polentoni). Nelle societ tradizionali
lidentit ha molto a che fare con il fatto alimentare e letnocentrismo e il campanilismo si
traducono in una sorta di gastrocentrismo, che pu avvicinare o dividere. Per lindividuo della
societ tradizionale il senso di appartenenza alimentare, il gusto, i desideri, la nozione di cibi buoni
o meno e di quelli irraggiungibili, si forma dallinfanzia, anche grazie al folklore, le storie e i
racconti.
La preoccupazione e il desiderio del mangiare vengono espressi in numerosi testi orali rivolti ai
bambini. Sempre nei racconti popolari, emergono le condizioni e la cultura alimentare dei ceti
popolari: il mondo popolare viene raccontato come caratterizzato da fame, digiuni obbligati,
alimenti non desiderati; un mondo dove le persone sognano i cibi ricchi e dei ricchi, sia per la loro
valenza dietetica sia per quella simbolica.
Un dato da non dimenticare limportanza del latte materno per lallevamento del bambino: la
perdita e la paura della perdita del latte sono alla base di concezioni magiche complesse.
Leducazione alimentare dei bambini, oltre a insegnar loro il valore nutritivo dei cibi, a stimolare
preferenze alimentari realizzabili ecc, faceva s che apprendessero il carattere gioioso del mangiare,
la sacralit e la religiosit del cibo, limportanza del mangiare assieme. I pasti principali e quelli
festivi vedevano presenti tutti i membri della famiglia, ed era qui che i bambini imparavano la
ritualit alimentare, limportanza del donare, il costruirsi di relazioni sociali... Anche i giocattoli dei
bambini erano commestibili o avevano a che fare con il cibo, in modo da apprendere la cultura
locale del cibo. Non deve sorprendere quindi lo stretto legame che lindividuo della societ
tradizionale stabiliva con la cucina dellinfanzia.
Nellaffermarsi di una cucina del territorio entrano in gioco fattori geografici, climatici, economici,
culturali (credenze, rituali, concezioni mediche, stile di vita delle popolazioni ecc).
I tratti che caratterizzano la cucina del territorio sono la socializzazione, lunione, la comunione, la
dimensione conviviale che si stabilisce tra le persone.
Il ritorno alla cucina del territorio non soltanto un fatto di conservatorismo culturale e culinario:
una questione di riconoscimento di gusto, ma anche di appaesamento; ha a che fare con i modi di

percepirsi, di rappresentarsi, sia quando si resta che quando si esce fuori dal proprio mondo
dorigine.
La nostalgia alimentare un tratto costitutivo della storia e delle culture delle popolazioni
meridionali. Nostalgia sia per la patria, se si lontani, e che si cerca di placare con il cibo natio, che
evoca persone, storie, relazioni; sia per il cucina ricca e dei ricchi, se si appartiene alle classi
popolari. La fuga da un paese della fame, monotono e malinconico, e la ricerca di un altrove
alimentare sono allorigine delle scelte dei briganti e degli emigranti. La nostalgia alimentare, si
muove in una doppia direzione: quando si fermi si ha nostalgia dellaltrove, quando si partiti si
ha nostalgia del proprio luogo dorigine. La provenienza, lappartenenza, lidentit delle persone in
viaggio sono riconoscibili da ci che mangiano, da come trattano i cibi, dal modo di tagliare col
coltellino il pane a poco a poco, dal bisogno di portarsi appresso riserve del cibo natio, o farsele
inviare tramite corriere ecc; e quando tornano al paese natale proprio attraverso il cibo che
acquisiscono di nuovo familiarit con il luogo. Il cibo un elemento primario per scatenare la
comparsa dei ricordi. Come i cibi, anche lacqua rappresenta un elemento costitutivo della nostalgia
e della memoria di coloro che sono andati via. E la nostalgia dellacqua-alimento-terra-donnamadre-sicurezza. Non a caso la sete in molti romanzi segnala un senso di spaesamento e bere
costituisce una sorta di riconoscimento. Non bisogna per ridurre la nostalgia alimentare degli
emigrati a rimpianto per questo o quel cibo; ci di cui hanno nostalgia luniverso di paesaggi,
odori, sapori, affetti, rituali che i cibi del mondo dorigine evocano.
Non si deve pensare per allemigrato come ad un individuo che resta tenacemente legato alle
abitudini del mondo delle origini. Il viaggio comporta rischio di perdita, ma anche possibilit di
trovare e di scoprire un altro da s, di modificarsi, di cambiare le proprie abitudini, di incontrare
laltro attraverso la cucina. La storia dellemigrazione storia di contaminazione alimentare.
Questa ricerca odierna di prodotti locali, tipici, va vista sia come nostalgia per un tempo antico (e
in gran parte mitizzato), sia come critica alle moderne ideologie alimentari. Il mito, la ricerca di una
cucina del territorio esprime un diverso bisogno di appaesamento e di presenza delle persone che
hanno vissuto o ereditato il crepuscolo e la fine di un antico mondo.
CAPITOLO III Le culture alimentari attuali: rottura, continuit e invenzione
Lerosione dellantico modello
Da inizio anni Sessanta si verifica, come riflesso e conseguenza di vasti e generali mutamenti,
sintetizzabili con il termine modernizzazione, che scardinano il tradizionale equilibrio alimentare,
ecologico e socio-culturale, una grande trasformazione alimentare che porta le popolazioni
meridionali lontano dai modelli e dai regimi tradizionali. Il passaggio dalla tradizione alla
modernit, per, non va visto solo come un evento traumatico, una rottura epocale, considerando
anche che lerosione del modello tradizionale era iniziata da tempo e che il passato era
caratterizzato spesso da penuria, scarsezza, pessime condizioni igieniche ecc. Il complesso legame
con un passato cos ambivalente, fa s che i comportamenti alimentari delle popolazioni meridionali
oscillino fra negazione, nostalgia e recupero del passato, reinvenzione ed invenzione della
tradizione.
Ecco alcuni aspetti delle trasformazioni verificatesi negli ultimi cinquantanni circa. Nelle regioni
meridionali si verifica un aumento del consumo di carne, pesce, zuccheri, grassi e una diminuzione
del pane, pasta, verdure, olio ecc; viene meno il rapporto parsimonioso fra uomo e ambiente
alimentare, cos come la ricerca di un equilibrio alimentare (che influiva anche sulla salute e sul
benessere psicologico). Ci, unito ad altri fattori quali il mutato stile di vita, ha contribuito a creare
uno squilibrio tra bisogni e apporti energetici, con conseguenti problemi al metabolismo, di
sovrappeso, diabete ecc. Sempre pi spesso si mangia non per effettivi bisogni biologici, ma sulla
base di bisogni culturali indotti dalle mode, dalle industrie alimentari e dalla nostra societ.
I consumi reali e disponibili delluomo contemporaneo modificano anche, insieme alle abitudini e
alle culture alimentari, la biologia delluomo mediterraneo cos come si affermato nel corso di
una lunga storia e di un lento processo evolutivo. Le caratteristiche biologiche delle popolazioni

sono, infatti, il risultato di una lunga evoluzione, lespressione di fenomeni selettivi verificatisi
anche in funzione delle disponibilit alimentari (cfr biologia omogenea delle popolazioni del
Mediterraneo).
La fine del tradizionale equilibrio si accompagna, spesso come causa e a volte come conseguenza, a
pi generali squilibri. La stessa idea di Mediterraneo, il nome (spazio del continente circondato da
terra, linterno dei vari territori) e la storia, le percezioni esterne e le forme di
autorappresentazione, vengono messe in radicale discussione. Mentre in passato la vita delle
popolazioni si svolgeva prevalentemente nellinterno (per fuggire alle invasioni e alla malaria) ed il
rapporto con il mare era precario e difficoltoso, ora si verificato invece un abbandono delle
montagne e dei paesi interni, e la discesa delle popolazioni lungo le coste. La crisi delle zone
interne, lo sgretolarsi delle economie montane e collinari, si combinano, in un gioco di causaeffetto, con lerosione di un antico equilibrio alimentare, ecologico, socio-culturale.
Vi sono rischi sociali, culturali, mentali, legati allerosione dellantico equilibrio e allomologazione
che va realizzando unalimentazione standardizzata e mondiale, come per esempio la perdita della
sacralit degli alimenti e del mangiare, della convivialit, della gioia di stare assieme, il tempo e lo
spazio del mangiare ecc. E questo non sta accadendo solo nel Mediterraneo, ma anche nellAmerica
dei fast food.
Questa trasformazione alimentare per, se da un lato ha portato abbondanza ed eccesso, dallaltro
per non ha sconfitto la fame, presente anche nelle fasce sociali pi deboli della nostra societ
industrializzata.
Lalimentazione, in molti contesti, sempre meno un collante, un fatto educativo, un elemento di
socializzazione e di comunione, un tratto altamente simbolico, un a forma di iniziazione al mondo e
alla vita. Non costituisce pi un fatto di identificazione con un luogo, ma perdita di luoghi, di
rapporto con la terra, con la produzione, con le stagioni.

Linvenzione delle cucine regionali: tra retorica del passato ed esigenza di un nuovo
radicamento
I mutamenti dei modelli e dei valori alimentari tradizionali sono forse pi evidenti proprio in molte
iniziative che si propongono di recuperare la cucina tradizionale, in quanto dimenticano che in
passato, pi che differenze di cucine regionali, si riscontravano specificit locali (allinterno di una
koin alimentare mediterranea), che ora vengono unite in modo artificiale per creare le cucine
regionali. Unorgia di prodotti regionali, tipici, tradizionali viene organizzata in quasi tutti i
paesi, nel corso di sagre, feste religiose, manifestazioni turistiche e culturali. Queste sagre per
vanno distinte in quelle che svolgono una funzione di aggregazione comunitaria, di conoscenza e
valutazione dei prodotti locali, il permanere di un legame sacro e affettivo con il cibo; e quelle che
invece sono improntate a logiche strapaesane e costruiscono un rapporto inventato e strumentale
con il passato. Spesse volte, per esaltare inventiva e fantasia alimentari del passato, si dimentica la
scarsezza a cui erano legate, si va oltre quello che era la cucina del passato per attribuirle
caratteristiche odierne.
La riscoperta del cibo tradizionale va compresa allinterno del vasto e ambiguo interesse per la
civilt contadina, il folklore, le radici, che ha segnato profondamente la storia culturale e sociale
dellItalia e dei paesi occidentali nellultimo trentennio. La tradizione viene rispolverata e mitizzata
ora quando definitivamente scomparsa, o comunque impossibile riportarla in vita.
La pretesa di recuperare oggi pratiche alimentari scomparse si traduce di fatto in ribaltamento dello
stile tradizionale. Infatti non possibile riproporre in toto una cucina, uno stile di vita, un sistema
alimentare, quando si cucina un piatto tipico.
Il soffermarsi su questa retorica della tipicit utile per conoscere le forme popolari di
autopercezione e autorappresentazione alimentare delloggi. La tipicit pu essere vista come il
bisogno di un legame con il passato e di un appaesamento, linsoddisfazione per modelli percepiti
come esterni o estranei. I prodotti tipici rivelano il bisogno di un equilibrio alimentare, magari da
inventare o da reinventare, e rappresentano anche un fatto economico. E errato quindi scorgere

nella tipicit solo un impoverimento delle culture locali, una sua simulazione, ma qualcosa di
molto pi complesso, che cela il bisogno di un legame con il passato e di allontanarsi dai modelli
alimentari esterni (caratterizzati da cibi artefatti e non buoni), tipici di questepoca.
Non bisogna pensare per che tutto il passato sia definitivamente scomparso. Sono molti gli
elementi di continuit con la tradizione, anche perch lalimentazione delle popolazioni si basa
ancora in buona parte sui prodotti locali e regionali, spesso sulla produzione e sulla conservazione a
livello familiare.
Un compromesso tra passato e presente racconta il modo di intendere il corpo e la salute. La
magrezza non pi considerata segno di denutrizione, e la grassezza non pi uno stato sociale
invidiabile, ma viene considerata come una sorta di malattia. Resta diffusa per lironia per diete e
digiuni proposti da medici e dietologi.
Mangiare assieme considerato ancora un segno di vicinanza e gli alimenti sono ancora al centro di
relazioni sociali e rituali familiari o di gruppo, anche se magari oggi questi rituali hanno una
valenza in parte differente. La socialit e la lentezza vengono viste come possibili risposte a
tentativi di omologazione alimentare, alla solitudine e alla fretta dei contesti industriali e urbani.
La popolazioni, pertanto, da un lato si sono allontanate dal regime alimentare tradizionale, dallaltro
evocano e ripropongono in maniera nuova lantico modello.
Nel Mediterraneo le abitudini e le culture alimentari non sono state qualcosa di statico, omogeneo,
ereditato una volta per sempre. Hanno avuto a che fare con la geografia, la storia, la fatica, le
culture, le tradizioni delle popolazioni. In un certo senso quindi anche le scelte, i comportamenti, le
insoddisfazioni, le nostalgie e le consapevolezze odierne confermano una continuit col passato.
Lidea di dieta mediterranea ha fatto nascere una nuova consapevolezza riguardo allalimentazione,
che sta generando sempre pi una sorta di insofferenza per le abitudini alimentari che rompono
lantico equilibrio, senza tener conto di una cultura, di uno stile di vita, di una biologia affermatesi
nel corso dei secoli.

Il mangiare mediterraneo: antidoto alle piccole patrie alimentari e allomologazione


globale
Unurgenza che emerge quella di uscire dallaut aut mondialismo vs localismo, tradizionalismo vs
modernismo. La prospettiva che si deve assumere quella di un etnocentrismo critico, che sappia
assumere la storia della propria cultura come unit delle storie culturali aliene, ma anche come
consapevolezza dei propri limiti e necessit di messa in discussione delle proprie categorie.
Per fare questo bisogna abbandonare sia il mito delle cucine del territorio, intese come cucine
esclusive, sia il relativismo alimentare, per cui tutti i modelli di cucina sarebbero intercambiabili. La
mondializzazione con cui dobbiamo fare i conti non pu passare attraverso il tentativo di eliminare
le patrie e le appartenenze; opportuno invece affermare la necessit di una patria alimentare
per non perdersi in una cultura omologante e massificante. Allo stesso tempo, spetta alle
popolazioni del Mediterraneo rapportarsi al proprio passato senza mitizzazioni, senza esclusivismi,
e ripensare e valutare da s la propria cucina tradizionale e, alla luce del proprio passato, la
modernit alimentare, non lasciando questo compito a persone esterne.
In una societ che non dipende pi esclusivamente dalla produzione stagionale non importante
mangiare sempre e comunque: importante sapere cosa si mangia, come, quando e con chi si
mangia.
Lattenzione alla cultura alimentare mediterranea va posta in quanto in questarea un insieme di
fattori consente di comprendere meglio le complesse interazioni tra ambiente, economia e cultura,
che stanno alla base dellevoluzione di ogni modello alimentare.
Non bisogna accettare in modo acritico tutti cambiamenti che vengono dallesterno, ma bisogna
sempre controllare se riescono a collocarsi allinterno di un particolare stile alimentare, con le sue
radici e con una storia fatta di continue, equilibrate e compatibili evoluzioni.

Una patri alimentare di riferimento una costruzione sia critica che affettiva, necessaria per
affermare il valore della bio-diversit, senza cadere n in un relativismo assoluto n in un modello
alimentare esclusivo.
CAPITOLO IV Il grasso e il magro. Stile di vita, modelli dietetici e concezione del corpo nelle
societ tradizionali
Grassi e magri
La grassezza, sia degli uomini che delle donne, modello di bellezza per individui che vivono in un
universo caratterizzato da precariet e scarsezza dei beni alimentari, che conoscono la
preoccupazione quotidiana per il cibo e la realt della fame. Nel meridione la grassezza, dovuta ad
una buona nutrizione, veniva considerata dalle popolazioni segno di benessere, ricchezza, piacere
alimentare, bellezza, prestanza fisica e potere sociale. In un universo di miseria, la grassezza era
anche il segno della rapacit e dellingordigia dei signori.
Conferma di questo la si pu trovare nella letteratura di inizio e met Novecento. Se i ricchi signori
appaiono, nei romanzi, in tuta la loro opulenza, ben nutriti, di buon colorito, grassi, robusti,
generalmente alti, belli e i loro tratti fisici sono assunti a segno di potere, prepotenza, ingordigia; gli
appartenenti ai ceti popolari vengono presentati come denutriti, in preda allossessione della fame,
deboli, magri, debilitati nel fisico a causa di carestie e malattie quali la malaria, psicologicamente
labili, desiderosi di buon cibo. La differenza fra ricchi e poveri era lampante, i due mondi distanti.
Magro anche brutto, suggeriscono le diverse fonti relative allet moderna e contemporanea.
Lalimentazione carente, portatrice di denutrizione, malattie endemiche, mortalit e natimortalit,
sar caratteristica dei ceti popolari fino alla prima met del Novecento. I differenti tipi di
alimentazione, per qualit e quantit , influiscono anche su alcuni tratti dellaspetto fisico quali ad
esempio laltezza (cfr altezza media giovani di leva al Nord e al Sud in Italia).
Il grasso e il magro: interpretazioni popolari e concezioni dellelite
Gli scritto e gli osservatori che stabiliscono relazioni, da un lato, tra grassezza, bellezza, vigore
fisico, potere ed eros, dallaltro tra magrezza, debolezza, bassa statura, bruttezza, riprendono e
danno voce a concezioni fortemente radicate nelle culture folkloriche meridionali. I testi folklorici
di area meridionale esplicitano il nesso tra buona alimentazione, forza e salute; accennano alla
grassezza come segno di benessere fisico e mentale. Nelle societ contadine la grassezza, che
equivaleva a forza, era un valore, poich significava capacit lavorativa. La bellezza veniva
collegata al buon nutrimento e una donna, per essere bella e sensuale, doveva essere grassa. Inoltre,
un individuo esile, scarno, debilitato, si ammalava con molta pi facilit delluomo grasso.
I contadini sapevano che un regime alimentare monotono, a base di prodotti vegetali, provocava
uno stato di debilitazione fisica e labilit psicologica.
Dallaltro lato, per, non mancavano nelle culture popolari tradizionali, cos come anche in quelle
dellelite, anche concezioni che associavano la grassezza alla malattia. Ne un esempio la gotta,
status symbol di coloro che si potevano permettere unalimentazione ricca e abbondante.
Non mancano nel passato concezioni colte che vedono nella grossezza una malattia e indicano
nella magrezza un modello alimentare, estetico e dietetico. Il corpo magro per gruppi marginali,
come pitagorici, orfici e santi, se non era un modello di bellezza era sicuramente segno di purezza,
di santit e di beatitudine. Si tratta per di comportamenti minoritari, oppositivi ai modelli
dominanti, come tali riprovati dalla maggioranza.
Il valore della magrezza, collegato a quello della rapidit e dellefficienza, della produttivit, si
delinea soltanto nel corso del Settecento, ad opera di gruppi sociali in ascesa, che affermano nuove
ideologie e nuove forme di organizzazione economiche e politiche. Dal romanticismo la magrezza
conosce una valutazione positiva, comincia a diventare modello estetico. A tutto ci si affianca
liniziare a percepire lobesit come qualcosa che danneggia la bellezza, distruggendo la primitiva
armonia di proporzioni, e cercare di spiegarne le cause (predisposizione genetica + abbondanza di
cibo + mancanza di esercizio fisico ecc).

Lobesit, sia che venga considerata segno di bellezza e salute, sia che venga messa in relazione con
malattie come la gotta, sia che venga considerata nemica della forza e della bellezza, resta sempre
un problema dei ricchi, di coloro che possono scegliere le pietanze e le bevande, in quantit e in
qualit.
La magra Quaresima e il grasso Carnevale: il contrasto tra pance vuote e pance piene
Da una condizione di scarsezza alimentare, con risvolti sociali e culturali, derivano tra i ceti
popolari il mito della grassezza, il sogno di abbondanza e di benessere alimentare, e il rifiuto della
magrezza, la fuga simbolica e realistica da un universo caratterizzato da povert e privazioni. Il
folklore esprime e amplifica le distanze fra ricchi e poveri, lo sdegno di questi ultimi nei confronti
dei primi, i sogni, i desideri alimentari della popolazione contadina. I testi poetici popolari rivelano
sia i modelli alimentari, dietetici, estetici degli appartenenti ai ceti pi disagiati, sia la loro
irritazione nei confronti di coloro che hanno quotidianamente la possibilit di mangiare a
crepapancia.
La distanza fra alimentazione dei ricchi e alimentazione dei poveri va considerata con molta cautela
e in modo critico nei diversi contesti geografici, produttivi, storico-culturali, non va assolutizzata, le
due cucine infatti avevano anche punti di contatto.
La grassezza e la robustezza appaiono modello di bellezza fisica e buona salute, segni di ricchezza e
di potere per i diversi ceti sociali del mondo tradizionale. Pochi, tuttavia, realizzano quel modello, i
pi lo invidiano, lo desiderano o lo deridono, non potendolo raggiungere.
La ricerca del cibo un impegno quotidiano dei poveri e la fame una condizione temuta; i loro
desideri e le loro pratiche tendono ad una cucina ricca, elaborata ed abbondante, che per
possibile soltanto durante le feste o in occasioni eccezionali. Numerosi testi di tradizione orale
ironizzano sul mangiare vegetariano cui si obbligati, rivelano il rifiuto dellideologia ecclesiastica
del digiuno e delle astinenze, rispettate pi per necessit (=scarsit di cibo) che motivazioni
religiose.
Quaresima che esalta corpi denutriti, magri, cadenti, brutti oggetto dironia e di disprezzo.
La persona magra associata ad astinenze e privazioni alimentari, debolezza, scarsa capacit
lavorativa, bruttezza fisica. Il contrasto alimentare tra Carnevale e Quaresima e quello fra la
Quaresima e la Pasqua si traduce in affermazione del mangiare, del grasso, dellabbondanza
(Quaresima scaccia Carnevale ed a sua volta scacciata da Pasqua).
Nelluniverso tradizionale, ma anche in contesti culturali colti, la persona molto magra e macilenta
considerata e trattata come una persona inquietante, minacciosa, creduta portatrice di sfortuna. I
contadini temevano anche un decadimento legato a condizioni di scarsezza alimentare. In figure
quali vampiri, morti che tornano ecc si pu vedere il timore della popolazione di morire per fame,
epidemie, malattie legate a carenze alimentari.
Il folklore delle regioni meridionali afferma una stretta relazione tra carne, sangue, benessere,
vita. La magrezza, dovuta ad una condizione di denutrizione o a scarsezza di alimenti e bevande che
forniscono sangue (carne e vino), negativamente connotata come condizione fisica che pu
condurre alla malattia e alla morte, rivela interessanti parentele fra Quaresima, streghe, jettatori e
vampiri. La magrezza nelluniverso tradizionale fa paura, si pone a met strada fra vita e morte. La
paura di morire per fame, il desiderio di cibi buoni e abbondanti, si traducono nelle culture
tradizionali in rifiuto radicale della magrezza e delle figure che la rappresentano, la presentificano.
I sogni alimentari non vengono separati dal desiderio erotico: mangiare bene e assai era legato a
potere, bellezza, vigoria, forza di seduzione, prestanza sessuale.
Labbondanza alimentare, la grassezza, la robustezza, la capacit lavorativa, la prolificit sono
riconducibili alla concezione carnevalesca dei ceti popolari. Carnevale mangione e beone
insaziabile, grosso e allegro, viene opposto alla magra e triste Quaresima. Il Carnevale termina con
la morte dello stesso, ucciso per aver troppo mangiato e bevuto. Il desiderio popolare di morire per
stravizi alimentari riflette la paura e langoscia di morire per fame. La parodia del porco ingordo ed
insaziabile sincontra spesso con lironia verso il ricco e grosso padrone, con la nostalgia per la

pancia piena. Nonostante questo, il Carnevale non era una festa separata, di radicale opposizione
fra ricchi e poveri, e gli stessi ricchi assistevano e in qualche modo partecipavano alle farse li
prendevano in giro.
La grassezza realizzata
Che il grasso fosse modello alimentare e la grassezza modello fisico ed estetico, attestato non
solo dal folklore, dai riti, dallimmaginario e dalle fantasie dei ceti popolari, ma anche dalle loro
scelte concrete. A tali modelli tendono e si accostano, infatti, ogni volta che ne hanno la possibilit.
La fuga ha costituito un dato storico-antropologico delle popolazioni delle regioni meridionali,
spesso a causa delle condizioni di vita intollerabili e della fame. Cos come la scelta del
brigantaggio stata anche fuga dal paese della fame e ricerca di un mondo di piacere alimentare e
abbondanza, un Carnevale perenne. Il desiderio di mangiare bene e in abbondanza del brigante
desiderio di essere forte e vigoroso, di essere considerato bello e potere avere cos belle donne.
Lutopia brigantesca va strettamente collegata alle utopie alimentari popolari realizzate nel corso del
Carnevale e delle feste, e va compresa allinterno di una pi generale e complessa storia sociale e
culturale del Mezzogiorno. Le fratture operate dal brigante, a livello alimentare, dietetico, di
concezione del corpo e della salute, sono significative ma eccezionali, provvisorie.
Sono gli emigranti che continuano e realizzano, questa volta in maniera meno effimera, i sogni e i
desideri dei briganti e delle popolazioni. Nelle Americhe gli emigranti possono accedere a quei cibi
loro preclusi nel paese dorigine. Per i contadini meridionali emigrati, vegetariani, si compie una
rottura secolare sul piano dietetico, del gusto, della cultura e della mentalit. Nel giro di una
generazione, inoltre, iniziano a manifestarsi anche cambiamenti nellaspetto fisico: lalimentazione
a base di carne, latte ecc fa s che i figli degli emigrati siano pi alti, per es, dei figli dei compaesani
rimasti in patria. LAmerica appare quindi come una sorta di Carnevale realizzato, luogo in cui si
sono potuti affermare, con molte trasformazioni ed innovazioni, tradizionali modelli alimentari,
dietetici e antropologici.
I comportamenti alimentari appaiono una sorta di carta didentit degli emigrati nel Nuovo Mondo.
I cibi e i rituali alimentari figurano sempre come momenti daggregazione e di riconoscimento della
famiglia e del gruppo di appartenenza. C una religiosit del cibo e del mangiare che rinvia ad
unantica tradizione.
E evidente per la distanza che separa il contadino che sceglieva di diventare brigante e lemigrante
che diventa mafioso. Il brigante moriva di fame, fuggiva dalla miseria, combatteva i ricchi
proprietari che lo sfruttavano. Il mafioso invece, pur provenendo anche lui da un passato di miseria
e da un desiderio di cibo e modelli alimentari mai raggiunti, colui che mangia bene e molto, non
pi per fame ma per ostentazione, per mostrarsi realizzato in un mondo che gli apparso ostile, per
sentirsi legato al mondo dei padri. La sua sfrenatezza alimentare non avviene nel paese della fame,
ma in quello dellabbondanza; mentre egli tenta di presentarsi come custode dei modelli e dei valori
dorigine, se ne allontana.
Le scelte dietetiche ed estetiche del mafioso riflettono, in modo esasperato, i modelli e i
comportamenti presenti tra gli emigrati italo-americani, da poco fuggiti dalla miseria e alle prese
con problemi dinserimento e didentit. Gli emigrati meridionali tentano di mangiare alla maniera
paesana; e, a contatto con nuove disponibilit e tradizioni alimentari, affermano, negano,
trasformano le loro antiche abitudini. Il pranzo rimane un atto con forte valenza sociale e
conviviale, anche tra gli emigrati.
Anche gli emigrati, quando ritornano in patria, cominciano a mangiare come i signori: pane bianco,
pesce, caff ecc fanno la comparsa nella dieta dei ritornati e dei loro familiari rimasti, tra la
preoccupazione dei ceti dominanti che vedono cos la fine di antichi privilegi alimentari.
Lemigrazione in America costituisce la grande causa di trasformazione della societ, della cultura,
della mentalit delle popolazioni. I ritornati ostentano un benessere conquistato a caro prezzo, sono
robusti, hanno un buon colorito, la grassezza il segno del loro nuovo status economico e sociale. Il

paese dorigine e il paese dadozione si trovano cos strettamente legati, si influenzano


reciprocamente.
Laccesso a nuovi consumi alimentari, che concretizzava antichi desideri e modelli popolari, la
possibilit di mangiare come i ricchi, di essere come loro, eleganti, robusti, alti sono i segni del
nuovo status raggiunto dagli americani ritornati, che mantengono legami con il mondo
dellemigrazione. LAmerica costituisce un Carnevale Compiuto, in quanto affermazione
dellabbondanza, della grassezza, che avevano attratto e affascinato i magri e i denutriti abitanti del
paese della fame.
Dal modello della grassezza al mito della magrezza
Come detto sopra, lemigrazione avvia un processo di grande trasformazione ed una delle cause
dellerosione della dieta tradizionale, che poi sar oggetto di rimpianto da parte degli emigrati e di
rivalutazione da parte di nutrizionisti e studiosi. Tuttavia, soltanto alla fine degli anni Cinquanta gli
standard alimentari conoscono un notevole miglioramento, dal punto di vista qualitativo e
quantitativo, allontanandosi cos la popolazione dal vecchio stile alimentare. La convinzione di
mangiare in maniera tradizionale, quando in realt si mangia come nel passato si sognava di fare,
significa la fine degli antichi regimi alimentari miseri e scadenti e del modello frugale. Si pu
notare un atteggiamento contraddittorio nei confronti dei modelli e delle pratiche alimentari di un
tempo: soprattutto in campo alimentare si registra quellambivalenza delle persone nei confronti
della loro cultura tradizionale.
Il modello alimentare dellabbondanza e dei buoni cibi e il modello estetico della grassezza,
affiancati dallironia per diete e digiuni, perdurano fino agli anni Sessanta. Con il tempo per, i
nuovi modelli e comportamenti alimentari che arrivano dallesterno (lideologia delle diete, del
mangiare poco e sano, la moda delle cucina alternative) tendono a rovesciare le concezioni del
passato. Si afferma anche fra i ceti popolari il mito della magrezza, che aveva gi colpito i ceti colti
dal Settecento. Nello stesso tempo si diffonde lidea della grassezza come malattia e bruttezza:
poich nella societ occidentale quasi tutti hanno accesso a beni di consumo in eccedenza, la
grassezza non pi uno status sociale, ma segno di malnutrizione, di scarsa considerazione per il
corpo e la salute, di disagio psicologico.
Le antiche distanze alimentari del passato sembrano superate, ma si vanno affermando altre
diversit sociali, alimentari, dietetiche, culturali. Ne sono esempi: pance piene vs pance vuote
considerate a livello di tutta la popolazione mondiale; cibi di lusso solo per ricchi; ecc. La paura
della fame stata sostituita da quella per lobesit e le mistificazioni alimentari.
Se in passato i poveri erano i soggetti pi esposti a condizioni di sottonutrizione, oggi, per difetti
fisiologici ereditari (gli uomini delle societ preindustriali avevano sviluppato una strategia
biologica che permetteva di accumulare, nei periodi di maggior disponibilit alimentare, le sostanze
energetiche in forma di grasso), sono i pi esposti ai rischi e ai problemi della ipernutrizione,
dellobesit o di una inadeguata alimentazione. Oltre a questo motivo, altri fattori che portano
allobesit nei ceti poveri sono una scarsa conoscenza dei meccanismi della nutrizione e delle
conseguenze dellobesit, e limpossibilit, per ragioni economiche e lavorative, a praticare sport;
magari anche le antiche concezioni di magro-grasso e il lungo passato di privazioni alimentari e
paura di morire per fame continuano a influenzare le attuali scelte alimentari e dietetiche delle
popolazioni.
CAPITOLO V Il colore del cibo
Contrasti di alimenti, contrasti di colori
Il bianco e il nero
Ancora fino agli anni Cinquanta in tutte le regioni del Mezzogiorno continentale viene riscontrata
una diversit di consumi e pratiche alimentari, che spesso riflette differenze di ordine sociale, con
risvolti culturali, psicologici, mentali. Certe contrapposizioni tra cibi, legate a differenti

disponibilit, tradizioni e culture alimentari, al gusto dei diversi ceti sociali, presentano anche
significativi contrasti di ordine cromatico.
La prima grande contrapposizione, caratteristica anche di altri stati europei ma qui maggiormente
sentita data la centralit del pane nellalimentazione, quella tra ceti benestanti, mangiatori di pane
bianco e ceti popolari, mangiatori di pane nero. Se il pane nero e duro buono da mangiare
per necessit, il pane bianco costituisce il sogno dei ceti popolari e il segno distintivo dei
galantuomini. Le classi popolari, per fare il pane, si servono di cereali minori, quali il mais (che
soppianter il frumento nelle classi contadine), uniti a misture di legumi, castagne e patate, se
disponibili, e in tempi di carestie anche erbe selvatiche e ghiande. Fino ai primi anni del Novecento,
nonostante alcuni miglioramenti nei consumi alimentari, il pane di grano resta un alimento
eccezionale per i contadini, che continuano a ricorrere a misture varie di cereali e legumi, anche se
castagne, orzo, erbe tendono a scomparire dalla panificazione.
Nella societ attuale, il passaggio dal pane bianco al pane nero, corrisponde a un cambiamento di
significati sociali: il pane nero divenuto paradossalmente segno di raffinatezza. Questo pane
nero, integrale, non va per confuso con quello che mangiavano i contadini.
Dalla farina bianca si ottenevano anche le paste. Queste potevano essere di vari tipi: fresche, fatte in
casa con la farina di grano duro e consumate nellarco di una giornata; e quelle industriali di lunga
conservazione. Per tutto lOttocento, entrambi i tipi di pasta, costituiscono un cibo eccezionale e
festivo per i poveri, quotidiano per i ricchi. Solo a inizio Novecento la pasta tende a diventare
sempre pi alimento ordinario dei contadini. Anche qui si deve distinguere tra i maccheroni e la
pasta nerastra che invece mangiavano i contadini: il nero appare ancora come il colore dei cibi di
seconda scelta cui ricorrono i ceti pi disagiati.
Il colore bianco si trova anche nelle carni di animali minuti quali polli e conigli, spesso le uniche
accessibili ai contadini, e come condimento, ottenuto dalle parti grasse e bianche del maiale.
Bianche sono anche le uova, utilizzate per paste, dolci, impasti ecc, genere di lusso per i contadini;
e di forte valenza simbolica (di inizio, passaggio, rinascita) in occasioni cerimoniali e festive quali
Natale, Pasqua e Carnevale.
Il latte, alimento pregiato e di lusso, generalmente destinato a bambini, ammalati, partorienti,
anziani, nel folklore associato, per le sue qualit nutritive, a delicatezza, benessere, forza e
bellezza.
I latticini hanno giocato un ruolo fondamentale soprattutto nelle zone in cui si praticava la
pastorizia. Il loro uso ancora in tempi recenti era comunque limitato e raro, un lusso.
Bianco o azzurro chiaro il colore della maggior parte del pesce fresco e di quello essiccato e
salato, cibo prelibato adoperato nelle feste e durante i pesanti lavori estivi.
Il bianco poi presente anche nellaglio, cipolla, e frutti quali il melone di pane, luva, i fichi
essiccati ecc.
Il bianco era colore di floridezza, e per questo i mascheranti durante il Carnevale si dipingevano il
volto con quel colore.
Cibi bianchi e di forte valenza simbolica, alimentare, dietetica, magica e medica erano anche lo
zucchero, il sale e lacqua chiara e limpida.
Il verde e il rosso
Laltra grande opposizione alimentare e sociale, a cui sembra corrispondere un contrasto di tipo
cromatico, quella tra poveri, mangiatori di erbe verdi, e ricchi, mangiatori di carne rossi o bianche.
Con prodotti vegetali ci si riferisce a erbe coltivate e spontanee, piante aromatiche ed essenze, e
anche i legumi. Un motivo ricorrente nel folklore il rifiuto delle erbe e la predilezione per le carni;
rifiuto dettato pi dal fatto che siano associate a monotonia alimentare, malessere fisico e
psicologico, magrezza e debolezza, pi che da un disprezzo per le erbe in s.
Le piante aromatiche e le essenze di colore verde ricoprono un ruolo fondamentale nella cucina
mediterranea. Ogni essenza ed erba venivano proposti o sconsigliati a seguito di una lunga
esperienza, per assicurare la migliore nutrizione possibile, per stare bene in salute, per essere

contenti. Le donne conoscevano le virt mediche di piante e prodotti della terra, e le utilizzavano
per unguenti, impasti ecc.
Le olive venivano largamente usate e da esse si ricavava anche lolio; la pianta dulivo inoltre
veniva considerata albero mitico e simbolo di fertilit.
In altri contesti mediterranei il verde fa riferimento alla freschezza e alla fragranza, a una
vegetazione rigogliosa.
Lattuale rilevante consumo di insalate, verdure, ortaggi, legumi, sembra rovesciare i
comportamenti alimentari degli ultimi decenni quando si era verificato un eccessivo consumo di
carni e di grassi.
I testi orali contrappongono alle erbe le carni, soprattutto quelle rosse. I contadini avevano accesso
alla carne (di maiale o ovino) solo nelle occasioni solenni (matrimoni ecc), nelle feste comandate, a
Carnevale e talvolta poche domeniche lanno durante i lavori di mietitura. Con frequenza ricorrono
alle carni di animali morti per vecchiaia o malattia. Il maiale gioca un ruolo fondamentale
nellalimentazione e nelle culture meridionali. La capra, il capretto, il castrone e a volte la pecora
forniscono la carne delle occasioni importanti. Polli e conigli venivano consumati in occasioni
festive, di malattie e di lutto. La carne di mucca non veniva mangiata dai contadini, e questo veniva
da loro vissuto come segno di inferiorit alimentare.
Anche il sangue, elemento carico di valenze simboliche, degli animali trovava largo impiego nella
cucina popolare e bere il sangue della bestia uccisa significava assumerne la forza e il vigore.
Rosso anche il colore del vino, fino agli anni Cinquanta considerato un genere di lusso, e bevuto
dai contadini in eccesso solo dopo la vendemmia o nelle principali feste religiose o Carnevale, con
risultati ritenuti dannosi sia alla salute che al costume. Abitualmente i contadini devono
accontentarsi dei vinelli. La sobriet dei ceti popolari durante lanno era quindi il risultato di
necessit. Al vino venivano attribuite qualit stimolanti, energetiche, dietetiche; oltre a
simboleggiare la vita ed essere propiziatorio.
Rosso anche il colore di numerosi ortaggi considerati dai ceti popolari nutritivi o gustosi (carote,
cocomeri, cipolle di Tropea, pomodori, bietole, peperoncino...) e di numerose variet di frutta (uva,
mele, susine, prugne, ciliegie, castagne, noci (anche il colore marrone assume le valenze positive
del rosso) ...).
Alimenti, colore, gusto
I caratteri costitutivi dei regimi alimentari tradizionali rivelano come i prodotti pi importanti dal
punto di vista nutritivo ma anche pi graditi, gustosi e mangiati dalla popolazione solo in occasioni
speciali, fossero prevalentemente di colore bianco o rosso, o di sfumature di colori simili
[associazione tra colore del cibo, qualit nutritive, preferenze alimentari]. Evidenza di questo si
trova nelle ricette di cucina, nei testi della tradizione orale, nelle norme dietetiche legate sia alla
medicina che lestetica ecc.
Si potrebbe pensare che la percezione e la valutazione positiva di determinati colori abbiano potuto
condizionare rifiuti, preferenze, accettabilit, apprezzamenti alimentari. Ma le cose sono molto pi
complesse, soprattutto per quanto riguarda di stabilire se il colore abbia influenzato il mangiare
determinati cibi o viceversa i cibi abbiano influito su come stato poi percepito il colore, anche dal
punto di vista simbolico.
I colori sono soltanto uno, e forse non il pi importante, dei fattori che concorrono a influenzare il
gusto e le preferenze alimentari delle persone.
In ogni caso, i colori degli alimenti sono polisemici e associano in s diversi valori nelle diverse
culture e, talvolta, anche nella stessa (cfr duplice valenza del colore verde: erbe, sia negative e
monotone, sia cercate ed usate per quanto riguarda le erbe aromatiche; del colore nero , che a
seconda dei contesti sinonimo di povert o di prestigio sociale e identit culturale ecc).
Bench non siano ancora chiari completamente i legami tra fisiologia e colore e tra psicologia e
colore, si pu dire che anche se il colore gioca un ruolo decisivo per laccettabilit del cibo, le
preferenze e i rifiuti alimentari si verificano a livelli pi complessi e investono diversi piani, quali le

qualit nutritive del cibo, la rilevanza sociale, dallidentificazione della popolazione con un
determinato cibo, dallambiente, dal clima, ai rapporti produttivi e sociali, alla cultura e alla
religione, alleconomia, a fattori psicologici e affettivi ecc.
Il colore della cucina mediterranea e le preferenze e il gusto alimentare sono esito di un combinarsi,
nel corso della storia, di caso e di necessit, di condizioni ambientali e di concezioni dietetiche, di
quella ricerca dequilibrio che stata una caratteristica delle cucine e delle culture mediterranee
dallantichit ai nostri giorni.
Il modello antico della mescolanza di alimenti e di colori
Le contrapposizioni alimentari sono solo uno degli aspetti della cucina mediterranea.
Delle cucine popolari del passato, pur caratterizzate da distinzioni di ordine economico, sociale,
cromatico, simbolico, bisogna cogliere il modello (ideale ma non sempre realizzato) della
combinazione, dellassociazione, del miscuglio di cibi, sapori, colori.
La combinazione di numerosi prodotti e ingredienti allorigine di un equilibrio vitale, realizzato o
da raggiungere, che strettamente legato ai diversi ecosistemi del Mediterraneo: mare, terra ferma,
montagne, pianure, vallate, colline.
La mescolanza di alimenti, odori, sapori, colori un tratto costitutivo delle pratiche cucinarie, colte
e popolari, e le sue radici sono rintracciabili nella teoria umorale, nelle diete ascetiche e vegetariane,
nella cucina medievale ecc.
Mentre in epoca medievale linteresse per i colori e il loro abbinamento era legato a fattori estetici,
in epoca moderna ci legato a considerazioni di ordine dietetico.
Nuovi miscugli: le piante americane e le paste
Proprio allinterno della cultura e della pratica del modello della mescolanza e delle combinazioni
di cibi, sapori e colori, va compresa la diversa fortuna dei prodotti americani, che vengono inseriti
nei regimi e culture alimentari dei diversi ceti sociali tra la fine del Settecento e linizio
dellOttocento. Le patate, i fagioli, il mais (che sostituisce tutti i cereali minori ed secondo per
importanza solo al frumento), il pomodoro, il peperoncino ecc si diffondono velocemente nella
cucina mediterranea, talvolta divenendo anche elementi costitutivi dellidentit alimentare locale
(ne sono un esempio il pomodoro e il peperoncino, al sud).
Nel Meridione, forse come in nessunaltra area, di verificata una combinazione di prodotti
vegetali e animali, di piante antiche e piante americane. Il folklore associa i nuovi prodotti a
salute e piacere alimentare. I prodotti americani, combinati tra loro o con altri alimenti, realizzano
un collegamento fra cucina quotidiana e festiva, cucina popolare e delite, cucina povera dai colori
spenti e cucina dai colori (forniscono naturalmente, crude o cotte, colori vivi e vitali) vivi dei ricchi.
E interessante notare come proprio i prodotti americani costituiscono la quasi totalit dei piatti
tipici del Sud, mostrati come elemento di meridionalit e mediterraneit. E proprio i prodotti
giunti dallAmerica vengono utilizzati per contrastare lodierna cucina americana, omologata e
internazionale.
Insieme alla progressiva meridionalizzazione dei prodotti americani si verifica la
generalizzazione della pasta, accanto o in sostituzione al pane come base dellalimentazione e
principio organizzativo della cucina.
A fine Ottocento anche la pizza al pomodoro diventa il pasto della povera gente e viene venduta
sulle strade assieme ai maccheroni.
Combinare, mischiare, creare
La contemporanea presenza di cibi diversi quali erbe, carni, pesce, frutta ecc una caratteristica
delle cucine e dellelite del Mezzogiorno in epoca contemporanea. Pur lontanissimi dalla
disponibilit dei ricchi e costretti alla frugalit, anche i ceti popolari in epoca moderna tendono al
modello della mescolanza (soprattutto tra erbe e carni) e dellabbondanza. Labbondanza e la

mescolanza alimentari che spezzano la monotonia quotidiana venivano realizzate dai ceti popolari
nel corso delle feste comandate.
Quasi dovunque, nel passato e ancora oggi, vi , seppure in forme meno vistose ed esibite, la pratica
di comprare e mangiare cibo crudo o cotto, di differenti variet, nei vicoli, nelle strade e nelle
piazze.
La combinazione di cibi e colori antichi con quelli di nuova introduzione evidente nelle provviste
e conserve alimentari.
Mescolare a tavola era un rito magico, religioso, sacrale ed erano anche gesti creativi.
La vita nelle societ tradizionali del Mediterraneo dipendeva dalla combinazione, fatta in maniera
attenta e sapiente, di prodotti, alimenti, sapori e colori. Questa combinazione avveniva anche
attraverso esclusioni e contrapposizioni alimentari. La magia, lesplosione, lestetica dei colori
alimentari appaiono come esito della ricerca di equilibrio e di vita, della necessit di mescolare,
creare e inventare. I mille colori dei cibi, con la loro variet, simbologia, mescolanza ecc, hanno
giocato un ruolo fondamentale per laffermarsi, il rinnovarsi, il caratterizzarsi e il concretizzarsi del
modello alimentare mediterraneo.

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