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IL SECONDO RINASCIMENTO

Verdiglione, primo tempo GIACINTO SPAGNOLETTI

Conosco solo quattro libri di Armando Verdiglione, probabilmente gli ultimi quattro; e adopero questespressione a ragion veduta. Verdiglione, infatti, mentre opera scrive, e viceversa, come accade a pochi autori contemporanei. E perci probabile che i volumi da me letti non siano in perfetta sequenza cronologica. A parte ci, quasi nulla io saprei dire de La dissidenza freudiana, apparsa da Feltrinelli nel 1978, n del libro successivo, La psicanalisi, questa mia avventura, pubblicato da Marsilio nello stesso anno. Si tratta di un anno fatidico, per lui (e non soltanto per lui), che ha segnato un limite a quo delle esperienze intellettuali e sociali di questo secolo, conclusa la terza guerra mondiale secondo una definizione divenuta ormai classica di Verdiglione iniziata nel 45. Si conclude anche in quellanno, com detto nel Manifesto del secondo rinascimento, ci che stato in Europa il Novecento. Cito da p. 47: Da questo momento sinizia per un verso quello che stato chiamato il riflusso, il tentativo comunque di salvaguardare le discipline, le avanguardie, quel che era sorto su un modello universalistico dal 1912 al 1978, per laltro verso linstaurazione in Europa di unarte e di uninvenzione senza pi bisogno di un legame con lideologia. Questo passo ha la sua importanza; e da qui vorrei muovermi per tentare di analizzare questaspetto del pensiero di Verdiglione che trova un modello adeguato nel libro che lha preceduto di pochi mesi, La mia industria. Il Manifesto parte da una prospettiva assai pi determinata, spaziale e temporale: tre citt, New York, Roma e Tokio, divenute tre tappe obbligatorie di una reinvenzione delle arti e delle scienze. C un congresso che ha avuto luogo nella prima settimana di aprile dell84, divenuto pertanto un locus simbolico come Colono lo rispetto a Tebe e come questultima resta nei confronti di Corinto. Io, per, trattandosi di un pensatore che restituisce al simbolico una pienezza di

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fondo, un principio vitale e generatore di vita, lascerei in sospeso anche per mio difetto di informazione la psicanalisi, luogo ideale dove si iscrivono tutte le gherminelle degli antropologisti e degli psicologi camuffati da scienziati di una clinica che non esiste ormai se non sotto forma di psicofarmaci; lascerei per un momento da parte la psicanalisi, questavventura del pensiero che stiamo celebrando, per soffermarmi sul tema della periodizzazione simbolica, accertandone leventuale valore storico. Prima di tutto occorre verificare se questo sia vero sotto il profilo dellesperienza che abbiamo vissuto. C stato un momento (e non solo quello della cosiddetta guerra fredda, termine che poi servito a coprire diplomaticamente uno stato di fatto ideologico), in cui la macchina militare decisamente soverchiante dalle due superpotenze riuscita a permeare tanto a fondo la situazione della cultura, che il giuoco della menzogna ideologica, con laiuto dei mass media facile preda del comunismo ha potuto prodursi nella forma di compromesso di base, dando alla parola pace un significato di panacea universale (neppure nella guerra dei Trentanni era accaduto). Per i politici tutto ci valido ancora oggi, mentre si scatenano, o meglio sono alimentate, nuove guerre e guerriglie in tutto il mondo. Non un caso che tutti i dittatori abbiano in bocca come primo vocabolo la pace, e ne ricordiamo tutte le variazioni possibili, da Mussolini a Hitler. Questa situazione assurda, cio capovolta, del fenomeno guerra non pu in nessun modo prescindere dal grave stato inquisitoriale che ha bruciato le coscienze del mondo. Linquisizione dietro cui si sono barricati i presunti spiriti amanti della pace la stessa che rese possibile, per esempio, in letteratura, il rifiorire dellutopia. Vale la pena soffermarsi un momento su tale evento. Dietro il successo mondiale di 1984 di Orwell si deve parlare addirittura di unestetica dellutopia, che a suo tempo Paul Valry aveva definito unestetica ancora sconosciuta. Da una parte, dunque, nella cultura lincoraggiamento alla morte, la tanatologia, di cui Verdiglione non cessa di parlare nei suoi libri e conferenze; dallaltra lidea, purtroppo di stampo romantico, che qualcosa finir per stabilizzarsi sulla superficie del globo, abolendo stati e interessi privilegiati, non esclusa naturalmente la cultura, per instaurare quel sistema di vita entusiasmante che pu fare a meno dellarte, che deve sottrarre alla cultura ogni fascino, alla pittura, alla musica, alla danza ogni possibilit espressiva.

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Lutopia, vecchio lascito ottocentesco dei Butler, dei William Morris, dei Wells e di decine di loro seguaci assai meno originali, riprese voce e potere subito dopo il 45; ma nessuno se la sentirebbe di accettare nellautentica letteratura creativa tanto le utopie positive (scarse) quanto quelle di segno negativo (numerosissime), se non come ipotesi catastrofiche, dove ogni atteggiamento umano viene catalogato. Insomma la sociologia, aborrita da un vero pensatore come Verdiglione, sviluppata sul piano letterario, ha finito per essere larca dove la letteratura va a rinchiudere i propri segreti, i propri sogni o i propri terrori, questi ultimi accresciuti dallipotesi della guerra nucleare, mai cancellata in quarantacinque anni di vita universale. Una sociologia assurda perch si basa su fatti e su dati che possono cambiare, come cambiano, di anno in anno, ma la cui sfera dazione rientra nellillusionismo del postmoderno, del mondo postnucleare, del mondo gi distrutto. La questione fondamentale della sopravvivenza domina, si pu dire, la fantasia degli scrittori come degli artisti in genere (cineasti anche, di serie B o C). Credo sia inutile fare degli esempi. Ciascuno di noi ne ha in mente dieci e forse anche di pi, giacch labbaglio divenuto molto fruttuoso ai fini commerciali dellimbonimento artistico: e produce i suoi fans, come lutopia positiva di tipo romantico. Non c mistero basta leggere i libri di Verdiglione per convincersene in questo duplice processo di violenza attuato in nome dellarte: tutto si commercilizza assai presto, quando vien dato in pasto ai mass media. Lutopia negativa di cui stiamo parlando, sintende, la bestia nera di Verdiglione, capace con il suo ritmo mentale accelerato (nelle idee come nella scrittura) di bruciare ogni illusione. Il libro ultimo del filosofo, La mia industria, che si pu leggere con profitto a sigillo del suo pensiero, sembra dare unimplicita risposta allopinione di Tolkien, unautorit indiscussa in materia di fantastico. In The Hobbit, lautore de Il signore degli anelli cos si esprime: strano, ma le cose migliori e i giorni pi belli si raccontano presto e in modo che non convince nessuno. Verdiglione, che d allinformatica il suo peso determinante nello sviluppo umano, sarebbe assai meno soddisfatto forse nel giudizio di Swift sul modo di considerare la condizione umana, se sia giusto o meno parlare degli angeli che contemplano le impalcature dellinferno. Essendo cos scarso il materiale del panegirico, osserva

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Swift esso si esaurito da tempo. Poich, come la salute una sola, ed sempre stata la medesima, laddove le malattie sono migliaia, oltre a quelle nuove che si aggiungono di giorno in giorno, cos tutte le virt che sono sempre state proprie delluomo si possono considerare e contare sulle dita di una mano, ma le sue follie e i suoi vizi sono innumerevoli e il tempo ne aumenta la somma di ora in ora. Che accade dunque a chi legge il Manifesto di Verdiglione? Credo che questo lettore possa compiere una duplice esperienza: quella di accettare fino in fondo la sua scommessa di riso e di verit, e partecipare alle ipoteche legate a ciascuna questione (qui se ne trattano parecchie e tutte di primissima importanza); e in secondo luogo lesperienza di badare molto a quella osservazione contenuta a p. 15: Lintellettuale non va definito come il cronista della corruzione, del male, del peccato e della necessit del sacrificio. Non da situare in un quadro di disciplina e di servizio delle nazionalit. La prima delle due salutari esperienze, la scommessa di riso e di verit, va messa in rapporto sul piano culturale col disegno gi proposto ne La peste, di deideologizzare la psicanalisi. In un discorso tenuto a Venezia, Verdiglione, con una lucidit che gli fa davvero onore, osservava che questa scommessa da parte di chi, come lui, non si riconosce in alcuna nazionalit, pareva fatta su misura per un paese come il nostro dove la cultura messa al servizio dei gruppi ideologici organizzati e al servizio dei partiti e dove larte deve militare con bandiere alterne. E poi, con un tratto di spirito, di cui personalmente gli sono molto grato, aggiunge: In unItalia dove Giovanni Gentile aveva fornito la versione romantica adatta a questo paese. Gli sono grato perch a questopinione ero giunto da ragazzo nel 1937, ascoltando le lezioni di Gentile allUniversit di Roma. Ma non c chi non veda che questo flash filosofico adattato al carattere italiano riflette esattamente una serie di dittature culturali, dalla prima crociana, a quella gentiliana, e infine alla gramsciana, durata assai pi a lungo e inesorabilmente sveglia anche oggi. Questa successione ben delineata finisce per essere una parabola perfetta, che riprende sotto la falsa specola dellidealismo ottimistico le vecchie impostazioni dellordine e del disordine romantico, secondo cui felice, e pu assurgere alla grazia della saggezza, chi si mette sullinsegna di una bandiera. Si spiega naturalmente allo stesso modo il trionfo marxista durato tanto a lungo. Risorge in ultima analisi quella che un tempo veniva chiamata con una certa enfasi la visione del mondo. Il pi romantico Bachofen, dichiara Verdiglione ne La mia

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industria. Dopo di lui ogni rivoluzione politica aspira a produrre la metamorfosi degli umani attraverso la necessaria presa dello stato (p. 143). Questo secolo romantico e psicologico (le due facce della medesima medaglia) ha mirato nella sostanza a far sua unideologia del potere fattasi concreta durante il precedente periodo dellIlluminismo: come rendere estetica la visione della realt, come darle corpo e trasformarla in un ideale di vita e di potere: tutti devono diventare iniziati, veggenti, tutti devono essere in grado di salire sul trono e rimanerci un po (come dice Novalis, il monarchico Novalis); e per ciascuno di noi il mondo deve tendere a una rivoluzione perpetua, naturalmente sotto forma di autosuggestione, la migliore arma per offendere e conquistare. Luso magico-artistico della conoscenza sensibile, estremo punto unificante della filosofia romantica, agisce come un telecomando nella nostra visione della vita. la conseguenza necessaria, che comporta un tipo di automatismo simile al cammino notturno di un ipnotizzato, in presenza di mobili e oggetti. E a questo proposito c un momento dellanalisi di Verdiglione, che mette conto rilevare: Il mondo stesso stato creato in crisi per confezionare lordine sociale attraverso la tragedia, per fungere da supporto dellesercito della salvezza e in vista dellutopia quale citt definitivamente spazializzata, quale necropoli dove le pulsioni siano interamente sottomesse alla ragione (La mia industria, p. 146). A partire da questo punto non c che una logica progressione che Le Bon osserv con molta acutezza gi nel 1895 nel suo libro Psicologia delle folle. Uno dei lasciti di questa diagnosi fu, nel romanzo italiano, La folla (1901) di Paolo Valera, un libro da riscoprire, come stato fatto da qualche critico isolato. Ed era il tempo, neanche a dirlo, in cui nel mondo della cultura, specialmente in quella franco-germanica, aveva preso cittadinanza il problema dellinconscio, da alcuni definito alla buona subconscio, quasi una marionetta azionata da unaltra marionetta. Come stato notato, Freud era ancora agli studi, nel decennio 1870-80, mentre gi erano apparsi sette libri con la parola inconscio nel titolo, tanto in Inghilterra che in Francia e in Germania. Lo studio della folla andrebbe di pari passo allora con quello dellinconscio? E linconscio di cui si parla in quegli anni in che rapporto con quello freudiano? Verdiglione su questo punto ha gi risposto (ma non cerchiamo tale risposta nel Manifesto). Ne La peste aveva scritto: Da quando Freud lungo un lavoro

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scientifico ha introdotto linconscio, la scena culturale stata frequentata dalla sua delimitazione. Dal suo isolamento. Dalla sua localizzazione. Insomma dal suo esorcismo [...]. Freud spinge lo psichico verso linconscio. Verso una topologia delle dimensioni e verso una logica pulsionale (p. 211). Tuttaltra cosa dalla dimensione irrazionale dove lavevano posta i cartesiani e i loro seguaci pi stretti, Charcot compreso. Fondamentale , pertanto, questa distinzione che troviamo nel Manifesto: Il romanticismo passava attraverso i concetti che erano dominanti per la psicologia, quelli secondo cui esisterebbe una malattia ultima, nonch una psicoterapia degli stati e dei sudditi, del collettivo e del personale (pp. 52-53). Donde il corollario: psicologia uguale Novecento, sino al sessantottismo, che ha rappresentato lapogeo di questa falsa mutazione universalistica. Per chi pratica larte o se ne occupa, non c dubbio che Novalis sia indispensabile per comprendere questo passaggio di tipo illuministico rimasto immutato per oltre un secolo, dalluno allaltro stato psicologico col peso drammatico, teatrale, di unoperazione sostanzialmente a noi sconosciuta. In quanto io do al comune un senso elavato, al consueto un aspetto misterioso, al noto la dignit dellignoto, al finito lapparenza dellinfinito, io lo romanticizzo. Contraria loperazione per il superiore, lignoto, il mistico, linfinito. Dunque, fin da Novalis. Ma nulla pi astuto dellinconscio, osserverebbe Verdiglione. Sappiamo tutti che, assieme ad altre censure, non manca in Russia quella contro la psicanalisi; esattamente come avveniva in Italia durante il fascismo. Allora anche linconscio si trasferisce nella sfera del politico? Veniamo al punto. Io vedo, so e desidero trasformare. Ma chi agisce per me, chi parla per me? Il dinamismo che mi guida va verso il noto, verso il visibile; tutta laltra parte di me che che mi appartiene non risponde, non ha nessuna voglia di romanticizzare alcunch. Romanticizzare vuol dire credere nel proprio potere di trasformazione, supporre di modificarsi per modificare. Come lattore che, entrato in scena, deve assumere la parte del personaggio. E allora, diciamo con Verdiglione: Psicologico il Novecento, in quanto ha ritenuto che la scena potesse cambiarsi, rappresentarsi, che il gioco potesse essere essere strumentale e che larte potesse funzionare per le bandiere (Manifesto, pag. 28). Il diritto di prodursi sulla scena diventa schiavit, automatismo, quando non la nostra parte che rappresentiamo, ma quella scritta da

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altri, gli autori teatrali. Ed per questo che noi sapremo dire, nellumiliazione serena del doverci escludere dal teatro, dalla scena, infine dal potere. Una questione che forse a Verdiglione appariva superfluo sottolineare nellultimo libro, subentra importuna, nel concludere questo mio breve e parziale esame del libro. Parlo del giudizio assai grave che dallinizio dellera romantica in poi gli artisti, alcuni pensatori o scrittori hanno dato dellindustria: considerata nellaccezione pi impropria e localizzata, cio la fabbrica. Elmire Zolla in un libro che molti ricorderanno, di impronta adorniana, Eclisse dellintellettuale, sera reso interprete attraverso quasi due secoli di letteratura del dramma di una cultura incapace di sopravvivere allera industriale. La sua partigianeria era evidente, beninteso. E tuttavia, nel badare alle osservazioni di tanti scrittori da lui citati, non si potrebbe restare estranei al problema. Quasi fosse giunta la resa finale dei conti; e che dellumanit sarebbe sopravvissuta solo quella parte che avesse detto no alla follia industriale. Da queste impostazioni non si discostano molto, nonostante le apparenze di modernit, persino gli ultimi bagliori del Romanticismo letterario, il Futurismo e il Surrealismo: due grandi operazioni culturali, incapaci di assorbire il fenomeno industriale nel senso primario e elementare del termine. Basta leggere Breton per rendersi conto che ancora agli inizi degli anni Trenta il destino delluomo veniva messo in rapporto con quello della schiavit industriale. Il mondo gelido della divisione delle classi diventava ancora pi freddo e ghiacciato nella visione mistico-apocalittica dei Surrealisti. Nel dopoguerra interviene, a complicare la questione, quello schematico personaggio che lo scrittore operativo, o impegnato, di sartriana memoria. Tutti coloro che possono ricordare il passaggio dagli anni Cinquanta ai Sessanta, restano oggi allibiti di fronte a romanzi come Memoriale di Volponi, considerato il capolavoro dellalienazione (complici anche i film di Antonioni), verbale dellimpossibilit di accordo con il sistema della fabbrica. E poi ricorderanno i tanti discorsi fatti sui rapporti industria-letteratura promossi dalla rivista Il Menab, auspici i due amici-nemici Pasolini e Fortini. Vittorini guardava assai da vicino questo problema, come se lo avesse inventato lui. quasi incredibile, se ci si pensa, con tutta la letteratura dellOttocento stanata da Zolla. Mai il provincialismo culturale italiano aveva dato prove pi cattive. Di fronte a questa serie di piccoli eventi, che ricorrono ormai come

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fantasmi del mondo letterario di ieri, Verdiglione si atteggia a maestro consapevole di color che non sanno. Egli scommette sul riso e sulla verit, come abbiamo detto. Scommette sul potere persuasivo del nostro domani. una scommessa di ottimismo? un taglio filosofico nuovo dato al rapporto uomo-destino, come si esprimerebbe Giacomo Debenedetti? E infine, si tratta di una sopraffazione letteraria a rovescio, nei confronti di quella ora esposta? In questo caso Verdiglione sarebbe uno Jerry degli anni nostri. unipotesi verosimile, perch gli estremi talvolta si confondono in ununica scommessa. Dinanzi ai nostri occhi ci sono le parole riguardanti la psicanalisi, contenute nel libro Dio che potrebbero toglierci dimbarazzo, e rassicurarci. Sono fra le pi forti e sicure che io abbia letto in questi anni di generale conformismo. Eccone qualcuna: La psicanalisi non procede per dimostrazioni e confutazioni e non pu non disilludere chi cerca in essa la chiarificazione generale o quel lume che possa tutto rischiarare. Disillude chi cerca di sostituire il proprio catechismo con un altro catechismo (pag. 51). Nella Poetica di Aristotele, che lautore stesso cita, ci sono nuove parole che possono farci riflettere: A che si ridurrebbe il compito di chi parla, se lopera apparisse per se stessa e non entro le parole?. 1984

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