tedesco
Da Maria Fiorella Suozzo - 9 Novembre 2015
Se c’è un autore tedesco costantemente citato a proposito del romanticismo, quell’autore è senza ombra di dubbio Novalis.
Limitarsi a identificarlo – insieme ai fratelli Schlegel – come l’iniziatore e principale teorico del
romanticismo, colui che ha spostato l’attenzione dai lumi settecenteschi al caldo e accogliente caos
primordiale simboleggiato dalla notte, risulta però poco produttivo. Ci domandiamo allora: chi era
veramente Friedrich von Hardenberg, alias Novalis, e cos’ha fatto di così importante?
A volte accade che certi personaggi – come attesta anche la storia della musica dell’ultimo cinquantennio – diventino leggende anche a causa
della loro morte precoce. Non possiamo escludere che questo sia valso anche per Novalis, morto a meno di trent’anni, nel 1801: qualcuno ha
avanzato addirittura l’ipotesi, audace ma argomentabile, che il romanticismo stesso, nella sua accezione più stretta e originaria, sia morto
assieme a lui già all’inizio del secolo.
Questo perché dobbiamo a Novalis la teorizzazione e attuazione più compiuta del fondamento del romanticismo, quello che, prendendo le
mosse dalla filosofia di Fichte, afferma l’Io come assoluto, la realtà come attività dell’Io e la poesia come espressione più alta di tale attività.
Non si può comprendere l’opera, seppur esigua, di Novalis, senza questa premessa.
Concentriamoci quindi sul concetto di poesia, che per Novalis è, in quanto creazione dell’Io, non solo parola scritta e ideale, ma realtà concreta.
Scrive Friedrich Schlegel in un frammento pubblicato sulla rivista Athenäum:
LA POESIA ROMANTICA È UNA POESIA UNIVERSALE PROGRESSIVA. […] ESSA È ANCORA IN DIVENIRE, E QUESTO, ANZI, È LA
SUA ESSENZA GENUINA: ESSA PUÒ SEMPRE SOLO ETERNAMENTE DIVENIRE, E MAI ESSERE COMPIUTA… ESSA SOLA È
INFINITA, COME ESSA SOLA È LIBERA, E RICONOSCE COME SUA PRIMA LEGGE CHE L’ARBITRIO DELL’ARTISTA NON SOFFRA SU
DI SÉ LEGGE ALCUNA.
Aggiunge Novalis nel suo Heinrich von Ofterdingen:
Cos’è dunque la poesia? È una tendenza, non già qualcosa che possa essere compiutamente espresso, a sintetizzare le arti, ad abbracciare la
realtà, caotica com’essa è, nelle maglie della scrittura. Per questo motivo essa è progressiva, ossia in-finita, nel senso di mai totalmente
compiuta.
Bisogna infatti evidenziare che i romantici tedeschi, a differenza di come a volte erroneamente si crede, furono essenzialmente ottimisti: essi
guardavano al futuro, pur se tingendolo dei colori del passato. I testi di Novalis sono rappresentativi di questo ottimismo, perché contengono
l’aspirazione al raggiungimento di un’età dell’oro: essa non si concretizza nella rievocazione nostalgica del passato, ma nella speranza di
costruire, con la propria scrittura, un’utopia futura.
Secondo il già citato Friedrich Schlegel, “compito imprescindibile del romanzo è la commistione e l’intreccio di parti quanto mai eterogenee fra
loro”. La forma-romanzo era in sostanza concepita come una sorta di contenitore che fosse in grado di racchiudere e sintetizzare gli elementi
più disparati: nel caso di Novalis, la storia della formazione del giovane Heinrich si attua attraverso canzoni, poesie e persino fiabe. Proprio la
fiaba, come vedremo, svolge un ruolo fondamentale nel pensiero dell’autore.
L’Heinrich contiene una serie di immagini e temi che saranno costanti nel romanticismo, a partire dal suo
protagonista, leggendario cantore che nel XIII secolo avrebbe preso parte ad una gara poetica svoltasi nel
castello di Wartburg [1].
I cosiddetti Minnesänger erano compositori e cantori di poesie d’amore della tradizione germanica, affini
ai più noti trovatori provenzali: la riscoperta della produzione letteraria del Medioevo tedesco si inserisce
nel più vasto discorso della rivalutazione di quelli che per l’illuminismo erano stati secoli di barbarie.
L’immagine più nota del romanzo è quella del fiore azzurro: Heinrich sogna un viaggio meraviglioso in un Die blaue Blume, Fritz von Wille
paesaggio montuoso, che si conclude con la contemplazione di un fiore all’interno della cui corolla si cela
il volto dolcissimo di una fanciulla. Il suo sogno ha l’essenziale funzione di guidarlo nel percorso della sua vita.
NON È FORSE OGNI SOGNO, SIA PURE IL PIÙ IMBROGLIATO, UNA SINGOLARE MANIFESTAZIONE CHE, ANCHE A NON PENSARE
A UN INVIO DIVINO, È UNO SQUARCIO SIGNIFICANTE NEL VELO MISTERIOSO CHE IN MILLE PIEGHE AVVOLE IL NOSTRO
ESSERE?
ASSAI CURIOSA È LA SOMIGLIANZA DELLA NOSTRA STORIA SACRA CON LE FIABE. [FRAMMENTO]
Profondamente cristiano, Novalis accostava la storia del cristianesimo ad una fiaba (ted. Märchen), in quanto entrambe annuncerebbero
profeticamente la venuta di un’esistenza futura in cui regnerà l’armonia e la bellezza.
Si tratta di un’età dell’oro, un’utopia, profetizzabile ma mai attuabile in maniera compiuta: l’unico modo per
realizzarla è, appunto, nella scrittura. La potenza immaginifica e creatrice dell’Io sarebbe l’unica in grado
di creare tale esistenza.
È CONSOLANTE VEDERE IL GRADUALE CALMARSI DELLA NATURA. UN SEMPRE PIÙ INTIMO ACCORDO, UNA PIÙ PACIFICA
COMUNANZA, UN SOCCORSO E UN RAVVIVAMENTO RECIPROCI SEMBRANO ESSERSI PRODOTTI, E NOI POSSIAMO GUARDARE
Un’ultima riflessione: i romantici prediligevano la notte in quanto simbolicamente più vicina a quell’idea di “caos primordiale” che non era
negativo, ma confortante, quasi come un ventre materno; un’idea del caos completamente opposta a quella che oggi ci insegna la scienza.
Aumenta l’entropia, il nostro sistema-universo tende irrimediabilmente al disordine, eppure la parola poetica continua a splendere, a creare
ordine e armonia nella mente di chi legge. Soltanto in questo senso possiamo percepire l’età dell’oro prefigurata dalle fiabe di Novalis come
sinceramente possibile.
Fonti e note
[1] luogo in cui Lutero tradusse gran parte della Bibbia, molto caro ai giovani del Vormärz, vero e proprio movimento risorgimentale tedesco nella
prima metà dell’Ottocento.
Inni alla notte, canti spirituali, Novalis, traduzione e cura di Susanna Mati, Feltrinelli
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