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Lorenzo de Medici

Poemetti in ottava rima

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

Edizioni di riferimento elettroniche Liz, Letteratura Italiana Zanichelli a stampa Lorenzo de Medici, Opere in versi, a cura di A. Simioni, Bari, Laterza, 1913

Design Graphiti, Firenze

Impaginazione Thsis, Firenze-Milano

Lorenzo de Medici

Poemi in ottava rima

Sommario
Uccellagione ................................................................................................................................ 5 Uccellagione di starne ............................................................................................................. 5 Nencia ...................................................................................................................................... 16 Nencia da Barberino ............................................................................................................. 16 Ambra ....................................................................................................................................... 28 Ambra .................................................................................................................................. 28 Selve 1 ...................................................................................................................................... 40 Selve ..................................................................................................................................... 40 Selve 1,142 ............................................................................................................................... 74 Selve 2 ...................................................................................................................................... 75 Selva 2,31 ................................................................................................................................. 82

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 3 ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

Lorenzo de Medici

Poemi in ottava rima Uccellagione

Uccellagione

Uccellagione di starne Era gi rosso tutto loriente e le cime de monti parean doro; la passeretta schiamazzar si sente e l contadin tornava al suo lavoro; le stelle eran fuggite, e gi presente si vedea quasi quel cham lalloro; ritornavansi al bosco molto in fretta lallocco e l barbagianni e la civetta. La volpe ritornava alla sua tana e l lupo ritornava al suo deserto: era venuta e sparita Diana, per forse saria suto scoperto; avea gi la sollecita villana alle pecore e porci luscio aperto; netta era laia, fresca e cristallina, e da sperar buon d per la mattina. Quando io fu desto da certi romori di buon sonagli e allettar di cani: Ors, andianne presto, uccellatori, perch gli tardi e luoghi son lontani; el canettier sia el primo chesce fuori acci che i pi de cavalli stamani non ci guastassin di can qualche paio. Deh, vanne avanti presto, Cappellaio!. Adunque el Cappellaio nanzi cammina; chiama Tamburo e Pezzuolo e Martello, la Foglia, la Castagna e la Guercina, Fagiano, Fagianin, Rocca e Cappello, e Frizza e Biondo e Balocco e Rossina, Ghiotto, la Corta, Viuola e Pestello, Zambracco e Sacco e l mio Buontempo vecchio e Staccio, Burattel, Fuso e Pennecchio.

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Quando i cani han di campo preso un pezzo, quattro seguiron con quattro sparvieri: Guglielmo, che per suo antico vezzo sempre questarte ha fatta volentieri, Giovan Francesco, e Dionigi l sezzo, chinnanzi a lui cavalca il Foglia Amieri. Ma, perchegli era a buonor la mattina, per riverenza Dionigi inchina. E la Fortuna, che ha sempre piacere di far diventar brun quel ch pi bianco, dormendo Dionigi fa cadere appunto per disgrazia al lato manco, sicch, cadendo addosso allo sparviere, ruppegli unalia e macerogli l fianco; questo gli piacque assai, bench nol dica, ch la sua dama la poca fatica. Non cadde Dionigi, anzi rovina, e, come debbi creder, tocc fondo, ch, come un tratto egli ha preso la china, presto lo truova come un sasso tondo. Disse fra s: Meglio era stamattina restar nel letto come fe Gismondo, scalzo e n camicia in su le pocce al fresco: ma non cincappo pi, se di questa esco. Io ebbi pure un poco del cucciotto a uscire staman per tempo fuori, ch, sio mi stavo, come il Birria, sotto, facea per me e per gli uccellatori, ch si saria meglio ordinato e cotto e la tovaglia coperta di fiori: meglio straccar la coltrice e l piumaccio che l cavallo e guastar luccello in braccio. Intanto lo sparvier vuol rimpugnare, ma egli s rotto che non pu far lerta,

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perch i frascon cominciano a cascare e da lun lato pendea la coverta; pur Dionigi il voleva aiutare, ma, rassettando la manica aperta, la man ghermgli, onde sotto sel caccia, saltgli addosso e fanne una cofaccia. Restano adunque tre da uccellare; e drieto a questi andava molta gente, chi per piacere e chi pur per guardare: Bartolo e Ulivier, Braccio e l Parente, che mai non vide pi starne volare; e io mi messi con lor; similmente Piero Alamanni e l Portinar Giovanni, che pare in su la nona un barbagianni. Strozzo drieto a costor, come maestro di questa gente, andava scosto un poco, come colui challarte molto destro e molte volte ha fatto simil giuoco. E tanto va, chi a caval, chi pedestro, che finalmente ei son venuti al loco, il qual per uccellar fe sol natura, con tutta larte e ordine e misura. E si vedea una gentil valletta, un fossatel con certe macchie in mezzo, da ogni parte rimunita e netta: sol nel fossato star posson al rezzo; era da ogni lato una piaggetta, che duccellar faria venir riprezzo a un gottoso e cieco, tanto bella: el mondo non ha una pari a quella.

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Scaldava il sole al monte gi le spalle e l resto della valle ancora ombrosa, quando giugnea la gente in su quel calle; 100 prima a vedere e disegnar si posa

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e poi si spargon tutti per la valle; e, perch a punto riesca ogni cosa, chi va co can, chi alla guardia o a getto, s come Strozzo ha ordinato e detto. 105 Era da ogni lato uno sparviere, alto, in buon luogo da poter gittare; laltro a capo ne va del canattiere, cha la brigata la vorr scagliare; era Bartolo al fondo; ed Uliviere 110 ed alcuni altri, per poter guardare, a mezza piaggia, in una bella stoppia. El canattiere a can leva la coppia. Non altrimenti, quando la trombetta sente alle mosse il lieve barberesco, 115 parte correndo o, vuoi dir, vola in fretta; cos quei can, che sciolti son di fresco; e, se non pur che l canattier gli alletta, chiamando alcuno e a chi scuote il pesco, sarebbe il seguitargli troppa pena; 120 ma la pertica e l fischio gli raffrena. Tira, buon can! Su, tira, su cammina!, andianne! andianne!, torna qui, te, torna!, ah, sciagurato, Tamburo e Guercina!, abbiate cura a Sacco, che soggiorna: 125 ah, bugiardo, ah poltron!, volgi, Rossina!, guata buon can, guata brigata adorna!, te, Fagianino..., oh, che volta fu quella!, vedila qui, quella starnina, vella!. State avveduti a Staccio...!, frulla, frulla!, 130 ecco e leva cacciando, lamor mio, ma io non veggo per levar nulla, e nha pur voglia, e nha pur gran disio!, guarda la Corta l che si trastulla!. Oh, che romor faranno, gi l sentio:

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135 chi salta e balla, e chi la lever di questi cani il miglior can sar! Io veggo che Buontempo in sulla traccia; Ve che le corre: e le far levare; abbi cura a Buontempo, che le caccia; 140 parmi vederle e sentirle frullare; bench sia vecchio, ancor non ti dispiaccia, chio lho veduto e so qual chei sa fare: i so che l mio Buontempo mai non erra. Ecco a te, Ulivier, guardale a terra! 145 Guarda quellaltra allerta, una al fossato: non ti dissi io che mi parea sentille? Guardane una alla vigna, allaltro lato guardane due e tre, guardane mille!. Alla brigata prima avea gittato 150 Giovan Francesco, e riempiea le ville di grida e di conforti: Ah, buono uccello!, ma, per la fretta, gitt col cappello. Ecco, Guglielmo, a te una ne viene: cava il cappello, ed alzerai la mano; 155 non istar pi, Guglielmo! Ecco, a te, bene!. Guglielmo getta e grida: Ahi, villano!. Fugge la starna, e drieto ben li tiene quello sparvier, che mai non esce invano: dettegli in aria forse cento braccia, 160 poi cadde in terra, e gi la pela e straccia. Garri a quel can! Guglielmo grida forte, che corre per cavargliele di pi. E, percha ci le pertiche eran corte, un sasso prese e a Guercina di, 165 per riscampar s buon uccel da morte; e, quando presso allo sparvier pi , non lo veggendo, cheto usava stare, per veder se sentissi sonagliare.

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E, cos stando, gliel venne veduto: 170 Presto grida a cavallo, e lha pur presa!. E poi saccosta, destro e avveduto, come colui che larte ha bene intesa; presegli il geto e per quel lha tenuto; dagli il capo e l cervel, ch non gli pesa; 175 sghermito, e lugne e l becco gli avea netto; poi rimisse il cappello e torna al getto. Giovan Francesco intanto avea ripreso il suo sparviere e preso miglior loco: pargli veder cha lui ne venga teso 180 uno starnone; e, com presso un poco, aperta la man presto, il braccio steso, gitt come maestro di tal giuoco; giunse la starna, e, perch ella la vecchia, si fe lasciare e tutto lo spennecchia. 185 Invero egli era un certo sparverugio, che somigliava un gheppio, e in un calappio non credo che pigliassi un calderugio, legato bene stretto con un cappio; non avere speranza nello indugio, 190 cha giuoco ne va poi come un fatappio; e la cagion cha qual tratto non prese fu che non vavea il capo e non vattese. Intanto egli era uno starnone allerta; videlo il Foglia e fegli un gentil getto: 195 lo sparvier vola per la piaggia aperta e presegnene innanzi al dirimpetto. Corre gi il Foglia e pargnene aver certa, per che lo sparvier molto perfetto: preselo al netto, ove non era stecco 200 in terra, e insanguingli i piedi e l becco; e questo fe, ch lo sparviere soro. E intanto Ulivier forte chiamava:

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Chiama gi il Cappellaio, chiama costoro! e n qui una (e col dito mostrava); 205 rilega i can, per che basta loro la Rocca, che di sotterra le cava; vien gi, Guglielmo, non istare al rezzo, e tu e l Foglia le mettete in mezzo. Cos fu fatto; e come e sono in punto, 210 el canattier diceva: Sotto, Rocca! Qui cadde, ve. Ah, se tu larai giunto, siesi tuo; torna qui, te pogli bocca!. Poi dice: Avetel voi guardato a punto?. E in quel lo starnon del fondo scocca. 215 Ecco, a te, Foglia!. Il Foglia grida e getta, e simil fe Guglielmo molto in fretta. Lasci la starna andarne lo sparvieri e attende a fuggir quel chegli ha drieto. Disse Guglielmo: Tu lhai, Foglia Amieri!, 220 e bench nol dimostri, ei n pur lieto. Corri tu, che vi se presso, Ulivieri!, diceva il Foglia, e Guglielmo sta cheto. Corse Ulivieri, e comegli gi sceso, vide che luno sparvier laltro ha preso. 225 Quel del Foglia avea preso per la gorga quel di Guglielmo e crede che l suo sia; par che a Guglielmo ta parole porga: La tua stata troppa villania! Credo che l tuo sparvier massiccio scorga 230 a sparvier certo; e, per la fede mia, tu pigli assai villani e stran trastulli; ma io pazzo a mpacciarmi con fanciulli! Questa stata, per Dio, piacevol cosa, che per la gorga preso il mio sparviere!. 235 Disse Guglielmo: E fanno alla franciosa!, e non poteva le risa tenere,

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ch cos fa lallegrezza nascosa. Intanto pi saccosta il Foglia Amiere; e, come agli sparvier nand, di botto 240 vide che quel di Guglielmo di sotto. E getta presto il suo logoro in terra, e lo sparvier di sbito vandava, e come vincitor di quella guerra, gli fece vezzi, ch lo meritava. 245 Guglielmo intanto savvede chegli erra, e lo sparvier suo guasto; onde gridava: Tu se pur, Foglia, stato tu il villano!, e manc poco e nol disse con mano. Ma l Foglia innanzi alla furia si leva, 250 e stassi cheto, ed ha pur pazienza: altro viso e parole non aveva quel chaspettava in favor la sentenza, e poi subitamente la perdeva. Disse Guglielmo: Io voglio usar prudenza: 255 ritroverrenci in luogo forse un tratto, chio ti far ben savio stu se matto!. Gi il sole in verso mezzogiorno cala e vien lombre stremando e le raccorcia; d lor proporzione e brutta e mala, 260 come a figura dipinta in iscorcia; rinforzava il suo canto la cicala e l mondo ardea, come fussi una torcia; laria sta cheta e ogni fronde salda nella stagion pi dispettosa e calda. 265 Quando il mio Dionigi tutto rosso, sudando come fussi un uovo fresco, disse: Star pi con voi certo non posso. Deh, vientene ancor tu, Giovan Francesco!. Pietro Alamanni ancor disse: Io son mosso, 270 ch star qui pi a me stesso rincresco,

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ch pazzia , ch par la terra accesa, aspettar pi per pascer poi di presa. Diceva Dionigi: Scalzo e scinto a uno infrescatoio vo starmi unora. 275 E finalmente il partito fu vinto di partir tutti, ch l sol gli divora. El Cappellaio ne va che par sospinto co bracchi ansando con la lingua fuora; quanto pi vanno, il caldo pi raddoppia: 280 parea appiccato il fuoco in ogni stoppia. Tornossi a casa, chi tristo e chi lieto e chi ha pieno il carnaiuol di starne; alcun si sta sanza esse molto cheto, e bisogna procacci daltra carne. 285 Guglielmo viene dispettoso a drieto, n pu di tanta ingiuria pace farne; Gioan Francesco gi non se ne cura, chuccella per piacer, non per natura: Ov l Corona? Ov Giovan Simone? 290 - domanda - Braccio, ov quel del gran naso?. Braccio rispose: A me consolazione che ciascun di costor sia rimaso. Non prese mai il Corona uno starnone, se per disgrazia non lha preso o a caso; 295 e pi sparvier ha morti gi meschini chOrlando non uccise Saracini. Egli ar forse preso qualche grillo: lascialo andar, ch questa poca ingiuria, ch me sarebbe perder, che smarrillo: 300 menarlo meco i mho recato a ingiuria. Gioan Simone, gli tocca un certo grillo, sella il cavallo o, se gli ha, mula, a furia el sacco toglie, e questo suo mal vecchio: per mio consiglio e non verr a Fucecchio;

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305 ch l ciambellotto ha gi presa la piega dandarne sanza dire agli altri addio, il cappelluccio, e vassene a bottega, a un grembiule, ch l cucco e l suo desio; lui gi, quando il fiero naso spiega 310 cani e cavalli aombra e fa restio; n de sentir della rosa lodore, se non conficca la punta nel fiore. Luigi Pulci anco rimaso fia: e se nand l oggi in un boschetto, 315 chaveva il capo pien di fantasia: vorr fantasticar qualche sonetto; guarti, Corona, per la fede mia, che borbotte staman molto nel letto, e ricordava ogni volta il Corona, 320 e lha a cacciar in frottola o in canzona. Giungono a casa, e chi ripone il cuoio, chi i cangoverna e mette nella stalla; poi, fatto cerchio a uno infrescatoio, truovansi tutti co bicchieri a galla. 325 Quivi si fa un altro uccellatoio, quivi si dice un gru dogni farfalla; e par trebbiano el vin, sendo cercone: s fa la voglia le vivande buone. Il primo assalto fu sanza romore: 330 ognuno attende a menar le mascella; ma poi, passato quel primo furore, chi duna cosa e chi daltra favella; ciascuno al suo sparvier dava lonore cercando duna scusa pronta e bella; 335 e chi molto non fe col suo sparviere, si sfoga or qui col ragionare e l bere. Ogni cosa guastava la quistione del Foglia e di Guglielmo finalmente;

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ma Dionigi con parole buone 340 dicea: Guglielmo, e non si tiene a mente a caccia nulla e a luccellagione: basta che l Foglia del caso si pente; fa che tu sia, come fu io, discreto, chuccisi il mio e stommi in pace cheto. 345 Ora ecco il sol ne locen n ito, e Luigi, e Luigi gi tornato; e l Corona anche a desco comparito; Giovan Simone ha fatto al modo usato: per arte di maiolica sparito. 350 E, poi che molto si fu cicalato, a letto tutti, e prima un centellino, ch dogni cosa porta pena il vino. Or quel che poi si sognassi la notte, questo sarebbe bello a poter dire, 355 chio so chognun rimetter le dotte e insino a terza vorranno dormire; poi ce nandreno in Sieve, a quelle grotte, e qualche lasca farem fuori uscire. E cos passa, o compar, lieto il tempo, e con mille rime a zucchero e a tempo.

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Nencia

Nencia da Barberino Ardo damore et conviemmi cantare per una dama che mi strugge il core, cognotta chi la sento ricordare el cor mi brilla et par che gli esca fore. Ella non truova di bellezze pare, cogli occhi gitta fiaccole damore; io sono stato in cipt et castella et mai non vidi gnuna tanto bella. Io sono stato a Empoli al mercato, a Prato, a Monticelli, a San Casciano, a Colle, a Poggibonzi, a San Donato, et quindamonte insino a Decomano; Feghine, Castelfranco ho ricercato, San Piero, e l Borgo, Mangona et Gagliano: pi bel mercato che nel mondo sia Barberino, dov la Nencia mia. Non vidi mai fanciulla tanto honesta, n tanto saviamente rilevata; non vidi mai la pi pulita testa, n s lucente, n s ben quadrata; et ha du occhi che pare una festa, quandella gli alza ched ella ti guata; et in mezzo ha el naso tanto bello, che par proprio bucato col succhiello. Le labra rosse paion di corallo, et havi drento duo filar di denti che son pi bianchi che que del cavallo, et dognillato ella nha pi di venti; le gote bianche paion di cristallo, sanzaltri lisci o <i>scorticamenti, et in quel mezzo ell comuna rosa: nel mondo non fu mai s bella cosa.

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Ben si potr tenere aventurato, chi fia marito di s bella moglie; ben si potr tenere im buon d nato, chi ar quel fioraliso sanza foglie; ben si potr tener sancto et beato, et fien contente tutte <le> suo voglie, dhaver la Nencia, et tenersela im braccio, morbida et bianca che pare un sugnaccio. I tho aguagliata alla fata Morgana, che mena seco tanta baronia; i tasomiglio alla stella diana, quando apparisce alla capanna mia; pi chiara se che acqua di fontana, et se pi dolce che la malvaga, quando ti sguardo da sera o mattina, pi bianca se che l fior della farina. Ellha du occhi tanto rubacuori, chella trafiggere con essi un muro; chiunche la vede convien che nnamori, ellha il suo cor <e> pi cun ciottol duro, et sempre ha seco un migliaio damadori che da quegli occhi tutti presi furo; ma ella guarda sempre questo et quello, per modo tal che mi strugge il cervello. La Nencia mia, che pare um perlino, ella ne va la mattina alla chiesa: ellha la cotta pur di dommaschino, et la gamurra di colore accesa, et lo scheggiale ha tutto doro fino; et poi si pone in terra, alla distesa, per esser lei veduta, et, bene adorna, quando ha udito messa, a casa torna. La Nencia affar covelle non ha pari: dandare al campo per durar fatica,

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guadagna a filatoio di buon danari, di tesser panni lini, Dio te l dica! Ci chella vede convien chella impari, et di brigare in casa ella amica; ed pi tenerella che un ghiaccio, morbida et bianca, che pare un migliaccio. La mha s concio et in modo governato, che pi non posso maneggiar marrone; et hammi drento s aviluppato, chi non posso inghio <t>tir gi pi bo <c>cone, et son comun graticcio diventato, tanta pena mi d, et passione; et ho fatica un mondo, e pur soportole, ch mha legato con cento ritortole. I son s pazzo della sua persona, che tutta nocte i vo traendo guai; pel parentado molto si ragiona, ognun dice: Vallera, tu lharai!; pel vicinato molto si stanzona chi vo la nocte intorno a tuo pagliai et, si mi caccio a cantar a ricisa, tu se nel lecto, et scoppi delle risa. Non ho potuto stanocte dormire, millanni mi parea che fussi giorno, sol per poter colle bestie venire con esso teco, et col tuo viso adorno; et pur del lecto mi convien uscire, posami sotto il portico del forno, et livi stetti pi duna hora et mezzo, finchlla luna si ripose, al rezzo.

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La Nencia mia non ha gnun mancamento, lunga et grossa et di bella misura, ellha un buco nel mezzo del mento 100 che rimbellisce tutta suo figura;

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ell ripiena dogni sentimento, credo che la formasse la natura, morbida et bianca, et tanto appariscente, chella trafigge il cuor a molta gente. 105 I tho arecato umazzo di spruneggi con co <c>ole, chi colsi avale avale; i te gli donerei, ma tu grandeggi, et non rispondi mai n ben n male; stato m detto che tu mi dileggi, 110 et io ne vo pur oltre alla reale; quando ci passo, che sempre ti veggio, ognun mi dice come io ti vagheggio. Tutto d, hieri, taspettai al mulino, sol per veder se passavi indiritta; 115 le bestie son passate el poggiolino: vientene su, che tu mi par confitta! Noi ci staremo um pezzo a un caldino, hor chi mi sento la ventura ritta; noi ce nandreno suso alle Poggiuole, 120 e nsieme tocchereno le bestiuole. Quando ti vidi uscir della capanna col cane in mano et colle pecorelle, el cor mi cre<b>be allor pi duna spanna, le lagrime ne vennon pelle pelle; 125 i maviai <in> gi con una canna, toccando e mie giovenchi elle vitelle; i me nandai in un burron quindentro: i taspectavo, et tu tornasti dentro. Quando tu vai per lacqua collorcetto, 130 un tracto venistu al pozzo mio! Noi ci daremo un pezzo di diletto, ch so che noi farem buon lavoro, et cento volte i sare benedetto quando fussimo insieme al pozzo mio;

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135 et se tu de venir, ch non ti spacci, aval che viene il mosto e castagnacci? E fu dapril quando minnamorasti, quando ti vidi coglier la nsalata; io te ne chiesi, et tu mi rimbro<t>tasti, 140 tanto che se nadette la brigata; i dissi bene allhora: Ove nandasti?, chio ti perdetti a manco dunocchiata; dallora inanzi i non fu mai pi desso, per modo tale che mhai messo nel cesso. 145 Nenciozza mia, chio me ne voglio andare, hor chelle pecorelle voglion bere, a quella pozza, chio ti vo aspectare; et livi in terra mi porr assedere, tanto che te vi veggia valicare; 150 voltolerommi um pezzo per piacere, aspecterotti tanto che tu venga, ma fa che a disagio non mi tenga. Nenciozza mia, chi vo sabato andare fino a Firenze, a vender duo somelle 155 di schegge, chi mi puosi hieri a tagliare <in> mentre che pascevon le vitelle; procura ben si ti posso arecare, o se tu vuoi chi tarrechi cavelle: o liscio o biacca dentro un cartoccino, 160 o di spiletti o dgora un quattrino. Ell dirittamente ballerina, chella si lancia comuna capretta, et gira pi che ruota di mulina, et dassi della mano nella scarpetta; 165 quandella compie il ballo, ella sinchina, poi torna indrieto e duo tratti scambie<t>ta ella fa le pi belle riverenze che gnuna ciptadina da Firenze.

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Ch non mi chiedi qualche zaccherella, 170 che so nadopri di cento ragioni? O uno intaglio per la tuo gonnella, o uncinegli, o magliette, o bottoni, o pel tuo camici<o>tto una scarsella, o cintolin, per legar gli scuffioni, 175 o vuoi, per amagliar la gamurrina, una cordella a seta cilestrina. Se tu volessi per portare al collo un collarin di que bottoncin rossi, con un dondol nel mezzo, arecherollo: 180 ma dimi se gli vuoi piccoli o grossi; et sio dovessi trargli del midollo del fusol della gamba o degli altrossi, et sio dovessi impegnar la gonnella, i te gli arrecher, Nencia mia bella. 185 Se mi dicessi, quando Sieve grossa: Gttati dentro!, i mi vi gitteria; et sio dovessi morir di percossa, el capo al muro per te batteria; comandami, se vuoi, cosa chi possa, 190 et non ti peritar de facti mia; io so che molta gente timpromette: fanne la pruova dun paio di scarpette. Non ci passa nessun per la contrada che non dican: Va gi, chella taspecta; 195 allor mi caccio gi per questa strada, mettendo e bisantin nella berretta, perchio so chell vaga chi vi vada; sempre la truovo chella si rasetta e dove ell, che pure ella mi senta, 200 duo fanfaluche da balcon maventa. Io mi sono aveduto, Nencia bella, chun altro ti vagheggia a mie dispe<t>to,

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et si dovessi trargli le budella et poi gittarle in su n un tetto, 205 tu sai chi porto allato la coltella, che taglia e pugne che pare un dilecto, che sio il trovassi nella mia capanna, io gliele caccerei pi duna spanna. Pi bella roba chella Nencia mia, 210 n pi dolciata non si troverrebbe: ell grossecchia, tarchiata et giula, frescozza, grassa, chessi fenderebbe, se non chellha in un occhio ricada (chi non la mira bene, non se ladrebbe); 215 ma col suo canto rif ogni festa, et di menar la danza ell maestra. Ogni cosa so fare, o Nencia bella, pur che me l cacci nel buco del cuore: io mi so mettere et trarre la gonnella, 220 et di porci son buon comperatore; sommi cignere allato la scarsella, et sopra tutto buon lavoratore; so maneggiar<e> la marra e l marrone, et suono la staffetta et lo sveglione. 225 Tu se pi bella che non um papa, et se pi bianca chuna madia vecchia; piacimi pi calle mosche la sapa, et pi che fichi fiori alla forfecchia; tu se pi bella che l fior della rapa, 230 et se pi dolce che l mel della pecchia; vorreti dare in una gota um bacio, chell pi saporita che un cacio. Io mi posi assedere lungo la gora, baciando in su quella herba voltoloni, 235 et ivi stetti pi duna mezzora, tanto che valicorono e castroni.

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Poemi in ottava rima Nencia

Cheffa tu, Nencia, che tu non vien fora? Vientene su per questi saliconi, chi metta le mie bestie fra le tua, 240 che parremo uno, et pur saremo dua. Nenciozza mia, chi me ne voglio andare et rimenar le mie vitelle a casa; fatti con Dio, chio non posso pi stare, chio mi sento chiamare a mona Masa; 245 lascioti il cor, deh, nomme lo tribbiare, fa pur buona misura et non sia rasa; fatti con Dio et con la buona sera, sieti raccomandato il tuo Vallera. Nenciozza mia, vuo tu un poco fare 250 meco alle neve per quel salicale?. S, volentieri, ma non me la sodare troppo, che tu non mi facessi male!. Nenciozza mia, deh, non ti dubitare, ch lamor chio ti porto s tale, 255 che quando avessi mal, Nenciozza mia, colla mia lingua te lo leveria. Andiam pi qua, ch qui n molta poca, dove non tocca il sol nel valloncello; rispondi tu, ch i ho la voce fioca, 260 se fussimo chiamati dal castello. Lievati il vel di capo, et meco gioca, chi vegga il tuo bel viso, tanto bello, al qual rispondon tutti li tui membri, s che a unangiolecta tu massembri. 265 Cara Nenciozza mia, i aggio inteso un carpettin che bela molto forte; vientene gi, chelupo s lha preso, et cogli denti gli dar la morte; fa che tu sia gi nel vallone sceso, 270 dagli dun fuso nel cuor per tal sorte

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Poemi in ottava rima Nencia

che tu luccida, che si dica scorto: la Nencia el lupo col <suo> fuso ha morto. I tho trovato al bosco una nidiata, in un certo cispuglio, duccellini; 275 i te gli serbo, e son una brigata, et mai vedesti e pi be guascherini; doman tarecher una schiacciata, ma per che non saden questi vicini, i far vista, per pigliare scusa, 280 venir sonando la mie cornamusa. Nenciozza mia, i non ti parre sgherro, se di seta io havessi un farsettino, et colle calze chiuse, si non erro, i ti parrei un grosso ciptadino; 285 et non mi fo far sazzera col ferro, perchal barbier non do pi dun soldino, ma se ne viene questaltra ricolta, io me la far far pi duna volta. A Dio, gigliozzo mio del viso adorno, 290 io ve<g>go e buoi candre<b>bono a far danno; arecherotti un mazzo, quando torno, di fragole, sal bosco ne saranno; quando tu sentirai sonare el corno, vientene dove suoi venir questanno, 295 appi dellorto, in quella macchierella: arrecherocti un po di frassinella. I tho facta richiedere a tuo padre, Beco nha strascicato le parole, et rimaso sol dalla tua madre, 300 che mi par dica pur chella non vuole; ma io vi vo venir con tante squadre, che meco ti merr, sia che <s> vuole; io lho pi volte decto allei et Beco: diliberato ho acompagnarmi teco.

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Poemi in ottava rima Nencia

305 Quando ti veggio fra una brigata, sempre convien che ntorno mi tagiri; <et> comio veggio chun altro ti guata, par proprio che del pecto il cor mi spiri; tu mi se s nel cuore intraversata, 310 chi rovescio ogni d mille sospiri, et con sospiri tutti luci<o>lando, et tutti ritti a te, Nencia, gli mando. Nenciozza mia, deh, vien meco a merenda, chi vo chennoi facciamo una nsalata, 315 mi fa chella promessa tu mattenda, et che non se navegga la brigata; non ho tolto arme con che ti difenda da quella trista Beca sciagurata, et so chell cagion di questo male, 320 che l diavol s la possa scorticare. La Nencia mia, quandella va alla festa, ella sadorna che pare una perla, ella si liscia, imbiacca et rasetta, et porta bene in dito sette anella; 325 ellha dimolte gioie in una cassetta, sempre le porta sua persona bella; di perle di valuta porta assai, pi belle, Nencia, non vidi gi mai. Se tu sapessi, Nencia, il grande amore, 330 chi porto a tuo begli occhi stralucenti, le lagrime chi sento, e l gran dolore che par<e> che mi svglin tutti e denti, se tu il sapessi, e ti crepere il cuore, et lasceresti gli altri tuo serventi, 335 et ameresti solo il tuo Vallera, che se colei che l mio cuor s dispera. I ti vidi tornar, Nencia, dal sancto: eri s bella che tu mabagliasti;

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Poemi in ottava rima Nencia

tu volesti saltare entro quel campo, 340 et un tal micolino sdrucciolasti; io mi nascosi di presso, a un canto, e tu cos pian piano ne soghignasti, et poi venni oltre, et non parve mie fa<c>to, tu mi guastati, et volgesti<ti> a un tracto. 345 Nenciozza <mia>, tu mi fai strabigliare, quando ti veggio cos colorita; stare un anno sanza manicare, sol per vederti sempre s pulita; sio ti potessi allotta favellare, 350 sarei contento sempre alla mie vita; se io ti toccassi um miccino la mano, mi parre<b>be esser papa a mano a mano. Ch non ti svegli et vienne allo balcone, Nencia? che non ti postu mai levare! 355 Tu senti bene chi suono lo sveglione, tu te ne ridi et fami trabiliare; tu non se usa a star tanto in prigione, tu suo pur esser pazza del cantare; e n tutto d non tho dato di cozzo, 360 chi ti vorrei donare um berlingozzo! Or chi sarebbe quella s crudele, che havendo un damerino s dassai non diventassi dolce come un mle? Et tu mi mandi pur trahendo guai! 365 Tu sai chio ti son suto s fedele, meriterei portar corona et mai; deh, ssi um poco piacevole almeno, chi sono atte come la forca al fieno! Non miglior maestra in questo mondo, 370 che la Nencia mia di far cappegli; ella gli fa con que bricioli intorno, chio non vidi gi mai e pi begli; et le vicine le stanno dintorno, Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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Poemi in ottava rima Nencia

et d di feste vengon per vedegli; 375 ella fa molti graticci et canestre, la Nencia mia el fior delle maestre. I son di te pi, Nencia, innamorato, che non il farfallin della lucerna; et pi ti vo cercando in ogni lato, 380 pi che non fa il moscione alla taverna; pi tosto ti vorrei havere allato, che mai di nocte una accesa lucerna; hor, se tu mi vuo ben, hors, fa tosto, hor che ne viene e castagnacci e l mosto. 385 O povero Vallera sventurato, ben thai perduto il tempo et la fatica! Solevo dalla Nencia essere amato, et hor m diventata gran nimica; et vo urlando come un disperato, 390 et lo mio gran dolor convien chi dica: la Nencia mha condotto attale stremo, quando la ve<g>go, tutto quanto triemo. Nenciozza mia, tu mi fai consumare, et di stratiarmi ne pigli piacere; 395 se sanza duolo mi potessi sparare, mi spareria per darti a divedere si tho nel cuore, et pur tho a soportare; te l porrei in mano, et far e telo vedere; sello toccassi con tuo mano snella, 400 e griderebbe: Nencia, Nencia bella!. Nenciozza mia, tutti fara con Dio, chio veggo le bestiuole presso a casa; io non vorrei per lo baloccar mio nessuna fusse im pastura rimasa; io veggo ben chellhan passato el rio, et sentomi chiamar da mona Masa; fatti con Dio, candar me ne vo tosto, chi sento Nanni che vuol far del mosto. Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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Poemi in ottava rima Ambra

Ambra

Ambra Fuggita la stagione che havea conversi e fiori in pomi gi maturi et clti; in ramo non pu pi foglia tenersi, ma sparte per li boschi assai men folti si fan sentire, se adviene che gli atraversi el cacciatore, et i pochi paion molti; la fera, se ben lorme vaghe absconde, non va segreta per le secche fronde. Tra li lbori secchi stassi il laur lieto, et di Cyprigna lodorato arbusto; verdeggia nelle bianche alpe labeto, et piega e rami gi di neve honusto; tiene il cipresso qualche uccel secreto, et co venti combatte il pin robusto; lhumil ginepro con le acute foglie la man non porge altrui, chi ben lo coglie; la uliva in qualche dolce piaggia aprica secondo il vento par hor verde hor bianca: Natura in questi tali serba et nutrica quel verde che nellaltre fronde manca. Gi e peregrini uccei con gran fatica hanno condocto la famiglia stanca di l dal mare, et pel camin lor mostri Nereide, Tritoni et altri mostri. Ha combattuto dello imperio et vincto la Nocte, et prigion mena el breve giorno: nel cielo sereno decterne fiamme cincto lieta el carro stellato mena intorno n prima surge, che in Occeano tinto si vede laltro aurato carro adorno; Orion freddo col coltello minaccia Phebo, se mostra annoi la bella faccia.

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Seguon questo nocturno carro ardente Vigilie, Excubie et sollecite Cure, el Somno (et benche sia molto potente, queste importune il vincon talhor pure), e dolci Sogni, che ingannon la mente, quando oppressa da fortune dure: di sanit, dassai thesoro fa festa alcun che infermo et povero si desta. Oh miser quello che in nocte cos lunga non dorme, et il disiato giorno aspecta, se advien che molto et dolce disio il punga, quale il futuro giorno li promecta! Et, bench ambo le ciglia insieme adgiunga, e pensieri tristi excluda e dolci ametta, dormendo o desto, acci che il tempo inganni, gli pare la nocte un secol di cento anni. Oh miser chi tra londe truova fuora s lunga nocte, assai lontano dal lito, e l cammin rompe della cieca prora el vento, et freme il mare un fero mugito! Con molti prieghi et voti Aurora chiamata, sta col suo vecchio marito. Numera tristo et disioso guarda e passi lenti della Nocte tarda. Quanto diversa, anzi contraria sorte de lieti amanti nella algente bruma, a cui le nocte sono chiare et corte, il giorno obscuro et tardo si consuma! Nella stagione cos gelida et forte, gi rivestiti di novella piuma, hanno deposto gli ugelletti alquanto non so sio dica o e lieti versi o l pianto. Stridendo in cielo e gru vegonsi allunge laer stampare di varie et belle forme;

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et lultima col collo steso agiunge ove quella dinanzi, alle vane orme; et, poi che nelli aprichi lochi giunge, vigile un guarda, et laltra schiera dorme: cuoprono e prati et van leggieri pe laghi mille spetie duccei dipinti et vaghi. Laquila spesso col volato lento minaccia tutti, et sopra il stagno vola: levonsi insieme et caccionla col vento delle penne stridente; et, se pur sola una fuor resta del pennuto armento, luccel di Giove subito la invola: resta ingannata, misera, se crede andarne a Giove come Ganimede. Zephiro s fuggito in Cipri, et balla con Flora, otiosi per la herbetta lieta; laria non pi serena, bella et gialla Borrea et Aquilone rompe e inquieta; lacqua corrente et querula incristalla el ghiaccio, et stracca hor si riposa cheta: preso il pesce nellonda dura et chiara resta come in ambra aurea zanzara. Quel monte che se oppone a Cauro fero, che non molesti il gentil fior, cresciuto nel suo grembo dhonor, ricchezze et impero, cigne di nebbie el capo gi canuto; gli omeri candenti, gi dal capo altero, cuoprono e bianchi crini, e l pecto irsuto la horribil barba, che pel ghiaccio rigida; fan gli occhi e l naso un fonte, e l gel lo infrigida.

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La nebulosa ghirlanda che cigne lalte tempie gli mette Noto in testa; Borrea da lalpe poi la caccia et spigne, 100 et nudo et bianco el vecchio capo resta;

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Poemi in ottava rima Ambra

Noto sopra lale humide et maligne la nebbia porta, et par di nuovo il vesta: cos Morello irato, hor carco hor lieve, minaccia al piano subiecto hor acqua hor neve. 105 Partesi de Ethyopia caldo et tinto Austro, et satia lassetate spugne nellonde salse di Tirreno intinto; appena a destinati luoghi giugne, gravido dacqua et da nugoli cinto 110 et stanco, stringe poi ambo le pugne: e fiumi lieti contro allacque amiche escono allhor delle caverne antiche. Rendon gratie ad Occean padre, adorni dulva et di fronde fluviali le tempie; 115 suonan per festa e rochi et torti corni; tumido il ventre, gi superbo, sempie; lo sdegno, conceputo molti giorni contro alle ripe timide, sadempie: spumoso ha rotto gi lo inimico argine, 120 n serva il corso dello antico margine. Non per vie lunghe o per cammino oblico a guisa di serpenti, a gran volumi, sollecitan la via al padre antico: congiungon londe insieme e lontan fiumi 125 et dice luno allaltro, come amico, nuove del suo paese et de costumi: cos insieme, in una strana voce, cercon, n truovon, la smarrita foce. Quando gonfiato et largo si ristrigne 130 tra li alti monti duna chiusa valle, stridon frenate, turbide et maligne londe, et miste con terra paion gialle; et grave petre sopra petre pigne, irato a sassi dello angusto calle;

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Poemi in ottava rima Ambra

135 londe spumose gira, horribil freme: vede il pastor da alto, et, secur, teme. Tal fremito piangendo rende trista la terra dentro al cavo ventre adusta: caccia col fumo fuor fiamma cqua mista 140 gridando, chesce per la bocca angusta, terribile alli orecchi et alla vista: teme, vicina, il suon alta et robusta Volterra, et e lagon torbidi che spumano, et piove aspecta se pi alto fumano. 145 Cos cruciato il fer torrente frende superbo, et le contrarie ripe rode; ma, poi che nel piano largo si distende, quasi contento alhora appena se ode: incerto se in su torna o se pur scende, 150 ha de monti distanti facto prode: gi vincitore al cheto lago incede, di rami et tronchi pien, montane prede. A pena suta a tempo la villana pavida prire alle bestie la stalla; 155 porta il figlio, che piange, nella zana; segue la figlia grande, et ha la spalla grave di panni vili, lini et lana; va laltra vecchia masseritia a galla nuotono e porci et, spaventati, e buoi, 160 le pecorelle, et non si toson poi. Alcun della famiglia s ridocto in cima della casa, et su dal tecto la povera ricchezza vede ir socto, la fatica, la speme; et, per sospecto 165 di se stesso, non duolsi et non fa mocto: teme alla vita el cuor nel tristo pecto, n delle cose car par conto faccia: cos la magior cura ognaltra caccia.

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Poemi in ottava rima Ambra

La nota et verde ripa alhor non frena 170 e pesci lieti, che han pi ampli spatii; lantica et giusta voglia alquanto piena di vedere nuovi liti; et, non ben satii, questo nuovo piacere vaghi gli mena a vedere le ruine et grandi stratii 175 delli edificii, et sopto lacqua e muri veggon lieti et anchor non ben sicuri. In guisa alhora di piccola isoletta Ombrone amante superbo Ambra cigne; Ambra, non meno da Laur dilecta, 180 geloso se l rivale la tocca et strigne; Ambra dride, a Delia sua accepta quanto alcuna che stral fuor darco pigne; tanto bella et gentile che alfine li nuoce, leggieri di piedi et pi chaltra veloce. 185 Fu da primi anni questa nympha amata dal suo Laur gentile, pastore alpino, dun casto amore, n era penetrata lasciva fiamma al pecto peregrino. Fuggendo il caldo un d nuda era entrata 190 nellonde fredde de Ombrone, dAppennino figlio, superbo in vista et ne costumi pel padre antico et cento frati fiumi. Come le membra virginali entrorno nella acqua bruna et gelida sento, 195 et, mosso daleggiadro corpo adorno, della spilonca usc laltero iddio; dalla sinistra prese il torto corno, et nudo el resto, acceso di disio, difende il capo inculto a phebei raggi 200 coronato dabeti et montn faggi. Et verso il loco ove la nympha stassi giva pian piano, coperto dalle fronde;

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Poemi in ottava rima Ambra

n era visto, n sentire e passi lasciava il mormorio delle chiare onde. 205 Cos vicino tanto alla nympha fassi che giugner crede le suo trecce bionde, et quella bella nympha in braccio havere, et, nudo, el nudo et bel corpo tenere. S come pesce, alhora, che incauto cuopra 210 el pescator con rara et soptil maglia, fugge la rete, qual sente di sopra, lasciando, per fuggire, alcuna scaglia; cos la nympha, quando par si scuopra, fugge lo dio, che addosso si li scaglia, 215 n fu s presta, anzi fu s presto elli, che in man lasciolli alcun de sua capelli. Et, saltando dellonde, strigne il passo; di timor piena fugge nuda et scalza; lascia e panni et li strali, larco e l turcasso; 220 non cura e pruni acuti o laspra balza; resta lo dio dolente aflicto et lapso; pel dolore le man strigne, al cielo li occhi alza; maladisce la mano crudele et tarda, quando e biondi capelli svelti guarda. 225 Et seguendola, alhora, diceva: O mano, a vellere e be crini presta et feroce, ma attener quel corpo pi che humano et farmi lieto, ohim, poco veloce!. Cos piangendo il primo errore invano, 230 credendo almeno agiugner con la boce dove arrivar non puote il passo tardo, gridava: O nympha, un fiume sono, et ardo! Tu maccendesti in mezzo alle fredde acque el pecto duno ardente disir cieco: 235 perch, come nellonda el corpo giacque, non giace, ch staria meglio assai, con meco?

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Poemi in ottava rima Ambra

Se lombra et lacqua mia chiara ti piacque, pi bella ombra, pi bella acqua ha el mio speco. Piaccionti le mia cose, et non piaccio io: 240 et son pur dAppennino figliuolo, et dio. La nympha fugge, et sorda a prieghi fassi; a bianchi pi agiugne ale il timore. Sollecita lo dio, correndo, e passi, facti a seguir veloci dallo amore; 245 vede da pruni et da taglienti sassi e bianchi pi ferire con gran dolore; cresce el disio, pel quale et ghiaccia et suda, vedendola fugire s bella et nuda. Timida et vergognosa Ambra pur corre; 250 nel corso a venti rapidi non cede; le leggier piante sulle spighe porre potria, et sosterrieno il gentil piede; vedesi Ombrone ognor pi campo trre, la nympha ad ogni passo manco vede: 255 gi nel piano largo tanto il corso avanza, che di giugnerla perde ogni speranza. Gi pria per li alti monti aspri et repenti vena tra sassi con rapido corso; e passi allei manco expediti, et lenti, 260 faceano allui sperare qualche soccorso; ma giunto, lapso, gi ne pian patenti, fu messo quasi al fiume stanco un morso: poi che non pu col pi, per la campagna col disio et cogli occhi lacompagna. 265 Che debbe fare lo innamorato iddio, poi che la bella nympha pi non giugne? Quanto gli pi negata, pi disio lo nnamorato core accende et pugne. La nympha era gi presso ove Arno mio 270 riceve Ombrone, et londe si congiugne:

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Poemi in ottava rima Ambra

Ombrone, Arno veggendo, si conforta, et surge alquanto la speranza morta. Grida dallungi: O Arno, a cui refugge la magior parte di noi fiumi thoschi, 275 la bella nympha, che come uccel fugge, da me seguta in tanti monti et boschi, sanza alcuna piatate el cor mi strugge, n par che amor el duro cor conoschi: rendimi lei, et la speranza persa, 280 et el legier corso suo rompi e ntraversa. Io sono Ombrone chelle mia cerule onde per te raccoglio: atte tutte le serbo, et facte tue diventon s prophonde, che sprezzi et ripe et ponti, alto et superbo; 285 questa mia preda, et queste trecce bionde, qual in man porto con dolore acerbo, ne fan chiar segno; in te mie speme sola: soccorri presto, ch la nympha vola!. Arno vedendo Ombrone, da piet mosso, 290 per che el tempo non basta a far risposta, ritenne lacqua, et gi gonfiato et grosso dallungi al corso della bella Ambra osta. Fu da nuovo timore freddo et percosso el vergin pecto, quanto pi sacosta: 295 drieto Ombron sente, et innanzi vede un lago, n sa che farsi, il cor gelato et vago. Come fera cacciata et gi difesa da can, fuggendo la bocca bramosa, fuor del periglio gi, la rete tesa 300 veggendo innanzi agli occhi, paurosa, quasi gi certa dovere essere presa, n fugge innanzi o indrieto tornar osa, teme e cani, alla rete non si fida, non sa che farsi, et spaventata grida;

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Poemi in ottava rima Ambra

305 tal della bella nympha era la sorte: da ogni parte da paura oppressa, non sa che farsi, se non disiar morte; vede lun fiume et laltro che sapressa, et disperata alhor gridava forte: 310 O casta dea, a cui io fui concessa dal caro padre et dalla madre antica, unica aiuta allultima fatica! Diana bella, questo pecto casto non macul giammai folle disio: 315 guardalo hor tu, perchio, nympha, non basto a dua nimici; et luno et laltro dio. Col desio del morire m sol rimasto al core el casto amore di Laur mio; portate, o venti, questa voce extrema 320 alLaur mio, che la mia morte gema!. N eron quasi della bocca fore queste parole, che i candidi piedi furno occupati da novel rigore; crescerli poi et farsi un saxo vedi, 325 mutar le membra e l bel corpo colore ma pur, che donna fussi anchor tu credi: le membra mostron come suol figura bozzata et non finita in pietra dura. Ombrone pel corso faticato et lapso, 330 per la speranza della cara preda prende nuovo vigore et strigne il passo, et par che quasi in braccio havere la creda: crescer veggendo innanzi agli occhi il sasso, ignaro anchora, non sa donde proceda; 335 ma poi, veggendo vana ogni suo voglia, si ferma pieno di maraviglia et doglia. Come in un parco cerva o altra fera, ch di materia o picciol muro chiuso,

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Poemi in ottava rima Ambra

soprafacta da cani campar non spera 340 vicina al muro, et per timor l suso salta, et si lieva innanzi al can legiera, resta el can dentro misero et deluso; non potendo seguire dove salita, fermasi, et guarda el loco onde fuggita; 345 cos lo dio ferma la veloce orma, guarda piatoso il bel saxo crescente, el saxo, che anchor serba qualche forma di bella donna, et qualche poco sente; et come amore et la piet lo nforma, 350 di pianto bagna il sasso amaramente, dicendo: O Ambra mia, queste son lacque, ove bagnar gi el bel corpo ti piacque! Io non haria creduto in dolor tanto che la propia piat, vinta da quella 355 della mia nympha, si fugissi alquanto: per la maggior piet dAmbra mia bella, questa, non gi la mia, muove in me il pianto. Et pur la vita trista et meschinella, anchor che ecterna, quando meco penso, 360 peggio in me, che in lei non haver senso. Lapso, ne monti miei paterni excelsi son tante nymphe, et sicura ciascuna; tra mille belle la pi bella scelsi, non so come; et amando sol questa una, 365 primo segno di amore e crini svelsi, et cacciala della acqua fresca et bruna; tenera et nuda poi, fuggendo exangue tinse le spine e sassi el sacro sangue. Et finalmente in un sasso conversa, 370 per colpa solo del mio crudele disio, non so, non sendo mia, come lho persa, n posso perder questo viver mio:

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Poemi in ottava rima Ambra

in questo troppo la mia sorte adversa, misero essendo et inmortale dio; 375 ch, sio potessi pure almen morire, potria il giusto inmortale dolor finire. Io ho imparato come si compiacci a donna amata et il suo amor guadagni, che a quella che pi ami pi dispiacci! 380 O Borea algente, che gelato stagni, lacque correnti fa sinduri et ghiacci, che, petra facto, la nympha acompagni: n sol gi mai co raggi chiari et gialli risolva in acqua e rigidi cristalli.

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Poemi in ottava rima Selve 1

Selve 1

Selve Dopo tanti sospiri e tanti omei, ancor non veggo quel bel viso adorno; dopo tanti dolori e pianti rei non fanno, om, quei belli occhi ritorno. O fallace Speranza, o pensier miei tenuti tanto gi di giorno in giorno! Quando sar che quei belli occhi guardi? Non so: sia quando vuol, che sar tardi. Occhi miei belli, o parolette accorte, pi non vi veggo, lasso, e non vi sento! O ore or lunghe, e fusti gi s corte, nimiche alora ed ora al mio contento! O mio destino, o maladetta sorte, abbiate omai piet del mio tormento: rendete quei belli occhi agli occhi miei, ch senza lor pi viver non potrei. Lasso, io non vivo e morir non potrei lontano, om, da quei bei lumi santi: non vivo, ch la mia vita con lei; qui resta il corpo sol, sospiri e pianti; una cieca Speranza i dolor miei nutrisce, e non permette il fil si schianti. Amore, a cui per sempre mi son dato, mi tien mirabilmente in questo stato. Perch son pi felici, occhi miei lassi, che voi le fere e boschi e monti e fiumi? Perch son pi di voi felici e sassi, che veggon pur talor e vaghi lumi? La vita mia, che senza loro stassi, convien che lacrimando si consumi. Almen sia presto, sio debbo star molto sanza veder quello amoroso volto.

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Poemi in ottava rima Selve 1

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Almen mavessi, sopra quel bel monte, ove or lei senza me soletta stassi, le belle luci con lor forze pronte converso in un di quei pi duri sassi! Forse marebbe con pietosa fronte talor guardato, or tocco i leggier passi; sio lo sentissi, arei ogni mia voglia, se non, io sarei fuor di tanta doglia. Almen mavessi quella luce santa converso nelle fronde ondio mi chiamo! Forse, passando poi da quella pianta, pietosa navria clto qualche ramo; e, mentre con Amore or parla or canta, forse navria la man, quale io tanto amo, fattone una ghirlanda e messa in testa! Almen fussi erba da quel bel pi pesta! Almen mavessi col suo mirar fiso converso in fonte quello sguardo umano, sopra al bel monte ov il mio paradiso! Forse talor la candida sua mano saria bagnata, e specchiato il bel viso nellacque, da cui son tanto lontano. Se almen mavessi in fera convertito, veggendo lei, so non sarei fuggito. Io pur sospiro, e i sospir vanno in vento; io chiamo il tuo bel nome, e non risponde; io piango indarno, dolgomi e lamento; lumide luci mie pi non asconde un dolce sonno, e sento un foco drento che marde sempre e i miei pensier confonde. Non posso pi, o mia Speme fallace: altro che lei o morte non mi piace. O dolcissime notte, o giorni lieti, amorosi sospiri, o dolci pianti!

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Poemi in ottava rima Selve 1

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O Amor testimon de bei secreti, lunghe vigilie, o parolette, o canti! O reo destin, perch questo or mi vieti, e rompi il bel disio a tristi amanti? Dato mhai tanto bel, poi me nhai privo, per far maggior la doglia in la qual vivo. Sio non debbo veder pi gli occhi belli serrinsi e miei, n veghin mai pi luce, per che ogni altra cosa in fuor che quelli che io vegga, maggior doglia al cor conduce. Amor, che del mio mal meco favelli e in queste pene se mia scorta e duce, rendimi con quelli occhi la mia pace, o tronca il viver mio, se pur ti piace. Io so ben, caro e dolce signor mio, la pena che tu hai de miei tormenti, e veggo insin di qua quel viso pio bagnar di pianti, e odo i tuoi lamenti; le tue parole, la piet e l disio, li amorosi pensier mi son presenti, mille altri segni della ardente voglia; e questo cresce pi tanta mia doglia. Amore e mia usanza pur mi mena nel loco dove fr gli ultimi sguardi, fine al mio ben, principio a tanta pena; n veggo quei belli occhi ovunque io guardi; onde dolente e tristo e vivo a pena mi parto, e muovo e passi lenti e tardi in qualche parte, per vedere allora da lungi almeno ove il mio ben dimora.

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Quivi con Amor parlo e con me stesso, e dico mille volte: Oim lasso! L il mio bel signore, e stassi appresso 100 allombra forse darbori o dun sasso;

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Poemi in ottava rima Selve 1

qualche rozzo villan parla con esso o altri, e non sen cura o sconcia un passo. E io, che vivo sol della sua vista, son s di lungi: or piangi, anima trista!. 105 Io non so, non che dir, se pensar deggia senza uno stuol dinfiniti sospiri: ch forse alcun quei belli occhi vagheggia, e par che fiso e da presso li miri, e quella bella man tocca e maneggia; 110 e, per crescere in tutto e miei martri, Amore in preda daltri alfin mi mostra la sua bellezza e la dolcezza nostra. Lasso, che pena ho io, se mi rimembra chi gode in pace tanta sua bellezza, 115 e vede e tocca le pulite membra ad ogni or, quando vuole, e non le prezza! Me divide Fortuna, alunga e smembra dal suo bel viso e da tanta dolcezza: n bramo al mondo o prezzo se non quelle 120 membra, e non posso udirne pur novelle. E, se qualche novella sento pure, sol questo , che l pensier mi rapresenta tra tanti mie martr, mille paure; e voglia e gelosia pur mi tormenta, 125 disio, dispetto, invidia e triste cure; e Fortuna, al mio mal pronta e attenta, mi perseguita sempre; Amor mi uccide, poi di tanto mio mal si allegra e ride. Mentre che l cor cos saffligge e geme 130 e di tanto mio mal meco si duole, alor che pi disia e che pi teme, il pianto in preda lha, e Morte il vuole, surge una dolce e disiata speme, che mi conforta con le sue parole,

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Poemi in ottava rima Selve 1

135 e dice: Ancor quel bel viso vedrai lieto, dolce, amoroso pi che mai. Quelli occhi belli, lieti ed amorosi, poche accorte e dolcissime parole queteranno e pensier tuoi disiosi 140 e lalma afflitta, che a ragion si duole. Faran quelli occhi, che or ti sono ascosi, come fa tra le folte nebbie il sole: fuggir il pianto e tuoi sospir dolenti dinanzi alle amorose luci ardenti. 145 Tosto che appare al tuo cieco orizzonte la luce che nel cor sempre ti splende, e dalla cima di quel sacro monte quello amoroso raggio agli occhi scende, non convien por la man sopra la fronte, 150 ch questo dolce lume non offende. O che bella alba! O Titon vecchio, allora abbiti sanza invidia la Aurora. Vedrai le piagge di color diversi coprirsi, come a primavera suole; 155 n pi la terra del tempo dolersi, ma vestirsi di rose e di viole. E segni in cielo, al dolce tempo avversi, far dolci e benigni il novo Sole; e la dura stagion frigida e tarda 160 non si conoscer, sella si guarda. Lieta e maravigliosa e rami secchi vedr di nuove fronde rivestire, e farsi vaghi fior gli acuti stecchi e Progne e Filomena a noi redire; 165 lasciar le pecchie e casamenti vecchi, liete di fiore in fior ronzando gire; e rinovar le lassate fatiche con picciol passo le sagge formiche.

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Poemi in ottava rima Selve 1

El dolce tempo il buon pastore informa 170 lasciar le mandrie, ove nel verno giacque el lieto gregge, che, belando, in torma torna alle alte montagne, alle fresche acque. Lagnel, trottando, pur la materna orma segue, ed alcun che pur ora ora nacque, 175 lamorevol pastore in braccio porta; il fido cane a tutti fa la scorta. Un altro pastor porta in su la spalla una pecora ch nel cammin zoppa; laltro, sopra una gravida cavalla, 180 le rete e l maglio e laltre cose ha in groppa, per serrarvele alor che l sole avalla, cos nel lupo alcuna non intoppa, torte di latte e candide ricotte mangion poi lieti, e russan tutta notte. 185 Romperanno e silenzi assai men lunghi, cantando per le fronde, allor gli uccelli; alcuno al vecchio nido par che agiunghi certe festuche e piccoli fuscelli. Campeggeran ne verdi prati e funghi, 190 liete donne corranno or questi or quelli; lascer il ghiro il sonno e loco ove era, e lassiuol si sentir la sera. Vedrai ne regni suoi non pi veduta gir Flora errando con le ninfe sue; 195 il caro amante in braccio lha tenuta, Zefiro, e insieme scherzan tutti due. Coroner la sua chioma canuta di fronde il verno alla nova virte; tigri aspri, orsi, leon diverran mansi; 200 di dure, lacque liquide faransi. Lascer Clizia il suo antico amante, volgendo lassa il palidetto volto;

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Poemi in ottava rima Selve 1

a questo nuovo amoroso levante lo stuol degli altri fior tutto fia vlto, 205 attenti a mirar fiso il radiante lume degli occhi e venerarlo molto. La rugiada per lerba e in ogni frasca non creder pi che febei raggi pasca. Sentira per lombrose e verdi valli 210 corni e zampogne fatte duna scorza di salcio o di castagno; e vedrai balli delli olmi allombra, quando il sol pi sforza; E pesci sotto e liquidi cristalli di quei belli occhi sentiran la forza. 215 Nereo e le figlie in mare arn bonaccia; mosterr il mondo lieto unaltra faccia. Come arbuscel inserto gentilmente si maraviglia, quando vede poi nuovi fior, nuove frondi in s virente 220 nutrire e maturar pomi non suoi: tal maraviglia ar la bruma algente, quando s bella mosterrassi a noi la terra del novo abito vestita, fra s dicendo: Or sono io rimbambita?. 225 Durer questa nuova maraviglia infin che l lume de belli occhi appare e si presenti alle gelate ciglia; quando vedr le dolci luci e chiare, o si convertir nella sua figlia 230 o gli conviene agli antipodi andare: chi mira fiso questa gentil faccia, convien gentil diventi o si disfaccia. Se questa gentil forza a lei sappressa, se quel bel viso si vedr dintorno, 235 presto la prima maraviglia cessa che porta il disiato e nuovo giorno.

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Poemi in ottava rima Selve 1

Tacita allor dir pur fra se stessa: Maggior maraviglia ho che l viso adorno, come toglie ogni forza a febei rai, 240 ancor non facci maggior cose assai. Lascer poi la bruma innamorata partendosi la luce de belli occhi; la via gi da molti fior segnata, lieti aspettando che l bel pi li tocchi; 245 laria che fende lucida e beata; uno amoroso nembo par che fiocchi sopra lei fior fragranti, un dolce odore; splendon per tutto spiriti dAmore. Vengon per onorare il mio bel Sole 250 satir saltando coronati e destri; Pan vien sonando e in sua compagnia vuole fauni, e in mano hanno verdi mai alpestri; candide rose e pallide viole porton le ninfe in grembo e ne canestri; 255 vengono i fiumi di molle ulva adorni, di fiori e fronde empiendo i torti corni. Lascia la vecchia madre Falterona e le caverne dello antico monte Arno mio lieto, e di verde corona 260 di popul cuopre la cerulea fronte; nel suo mormoreggiar seco ragiona e duolsi Arno daver troppo bel ponte; Arno che, quanto pu, si sforza e brama aver, come il fratello, eterna fama. 265 Ecco apparire alle vedove mura veggiamo il dolce lume de belli occhi; triemono i cor villani ed han paura che questo gentil foco non li tocchi; nelli altri, dalta e di gentil natura, 270 Amore e Gentilezza par trabocchi;

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Poemi in ottava rima Selve 1

corron gi per veder donne e donzelle, non hanno invidia, anzi si fan pi belle. Poi che sar drento al bel cerchio entrata, quanta dolcezza sentiran coloro 275 che con tanto disio lhanno aspettata, veggendo alor la dolce pace loro! O cara patria, or non sia pi invidiata da te gi mai la prima et delloro, lisole Fortunate in occidente, 280 o dove gi pecc il primo parente. Ciascun lapplaude, ciascun la saluta, a dito luno allaltro costei mostra. Dicono i cor gentil: Ben sia venuta la dolcezza, la pace e vita nostra!. 285 La vil gente star dolente e muta e fuggir de belli occhi la giostra. Ecco gi in casa questa mia gentile, felice casa, bench alquanto umle. Non colonne marmoree in altezza 290 reggon le picciolette e basse mura dello edificio: non li d bellezza petra di gran saldezza, chiara e dura; non opra di scultor che l vulgo prezza, non musaico alcun, non v pittura, 295 non gemme orientali, argento o oro, ma molto pi gentile e bel lavoro. Nella porta Bellezza e Leggiadria, dolci Sguardi amorosi e bei Sembianti; Piet drento si mostra e in compagnia 300 Speme e Merz par dolcemente canti (oh che dolce e divina melodia!); Costumi ornati, e Modi onesti e santi, dolci Parlar, Motti arguti in la scala; Fede, Amor, Gentilezza con lei in sala.

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Poemi in ottava rima Selve 1

305 Solo una vecchia in uno oscuro canto, pallida, il sol fuggendo, si sedea, tacita sospirando, ed uno amanto duno incerto color cangiante avea; cento occhi ha in testa, e tutti versan pianto, 310 e cento orecchi la maligna dea; quel che , quel che non , trista ode e vede; mai dorme, e ostinata a s sol crede. Nel primo tempo che Cas antico partor il figlio suo diletto Amore, 315 nacque questa maligna dea chio dico: nel medesimo parto venne fore. Giove, padre benigno, al mondo amico, la releg tra lombre inferiore con Pluton, con le Furie; e sti con loro, 320 mentre regn Saturno e let doro. Poi, sendo spesso e gravemente offesi dal fer Cupido glimmortali di ora a un laccio, ora a un altro presi, feron tornar dalli inferi costei 325 per decreto divin, di sdegno accesi, e che dove Amor , fussi ancor lei. Cos questa inimica il mondo ingombra: segue Amor sempre come il corpo lombra. Temeva forte il sommo padre Giove 330 che di Cas il bello e dolce filio non si facessi con le forze nuove rettore in luogo suo del gran concilio, il scettro e l regno transferissi altrove; per rivoc questa dallo esilio, 335 giurando alor per la palude Stigia che segua di Amor sempre le vestigia. Pens con questa molta forza trre el sommo Padre alli amorosi strali,

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Poemi in ottava rima Selve 1

e duri nodi e tutti i lacci scirre: 340 perch, veggendo gli di immortali in quante pene qualunche ama incorre, in che pianti e sospiri e in quanti mali, leverebbon damore ogni pensiero, fuggendo il grave giogo e duro impero. 345 Cos fatta la legge e l giuramento e consentita dal divin senato, poco pass che ne fu mal contento, e invan pentissi allora aver giurato, provando in s questo mortal tormento: 350 prima era amor sicur, lieto e beato; e, se non fussi la gi data fede, lara rimessa alla tartarea sede. Di Cas nata e da Pluton, nutrita del latte delle Furie (o tristo nume!), 355 fa sentire a mortali ancora in vita le pene del gran regno senza lume; non sana mai la sua immortal ferita; porta una spada tinta nelle schiume di Cerbero laggi nel basso seggio; 360 del ben fa male e sempre crede il peggio. Dombre vane e pensier tristi si pasce: rode un cor sempre la infelice bocca e come consumato, alor rinasce (o miser quello a cui tal sorte tocca!) 365 nelle prime sue cune e nelle fasce: nel petto tristo invidia, odio trabocca; fugge sempre ove il mio bel Sole arriva, n si parte per la morte viva. Oh quante volte ha tentato il mio Sole 370 cacciar da s questo terribil mostro or con minacce, or con buone parole! LAmor, la F: Questo il nimico nostro,

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Poemi in ottava rima Selve 1

dicon piangendo; e invan ciascun sen duole, invan soppone il basso voler nostro 375 al decreto che in ciel gi fermo e santo. Lei fugge duno, e va in uno altro canto. O venenoso mostro al ciel dispetto o vivo fonte dogni uman tormento, dAmor mortal nimico e di diletto, 380 di Speranza, di F, dogni contento: tu incendi di furore il tristo petto. Rompi, o Giove, lo ingiusto giuramento, rimetti la infelice al foco eterno: ma non laccetter forse linferno. 385 Gli uomin, gli di pregano a giunte mani che la estermini al tutto e che la spenga: de lamenti del ciel, de pianti umani nel generoso petto piet venga. Deh, tanti e giusti prieghi non sien vani, 390 E l giuramento pi non si mantenga fatto a danno comun, come chiar veggio: error fu farlo, e mantenerlo peggio. Come gi giustamente persuaso sciogliesti di Iapeto il saggio filio, 395 legato eternalmente in Caucso, per render qualche merto al buon consilio, perch fai ora, o sommo padre, caso rimetter questa trista al primo esilio? Al primo esilio, e non son cose nuove: 400 puoi tutto: e giusto quel che piace a Giove. Come una antica quercia in alto posta, quando percossa dal furor de venti, ora assalita duna, or daltra costa, cascon le foglie, e suoi rami pendenti 405 si piegan s che a terra alcun saccosta; sta fermo il tronco e par che non paventi,

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Poemi in ottava rima Selve 1

poco prezzando di Eolo la guerra, tenendo ferme le radici in terra; cos, padre benigno e giusto, alquanto 410 ti muove, se perviene a santi orecchi il nostro duro e quasi eterno pianto. Vorresti usar piet, purch non pecchi; ma, quando pensi al giuramento santo, convien che l fonte di piet si secchi, 415 perch il divin voler mai si corregge: cos sta ferma questa dura legge. O mia cieca Speranza, ove hai condutti e dolcemente lusingando scrti di pensiero in pensier e disir tutti! 420 Mentre che falsamente li conforti di vaghi fiori e belle fronde, e frutti acerbi, duri, acri e amari or porti: mostrando invano a me la donna mia, veggo in suo luogo Amore e Gelosia. 425 Lasso a me, quando entrasti nel pensiero, io vidi cos veri e vaghi lumi, coprir di fior lamoroso sentiero, correr le ninfe, Pan, satiri e fiumi, come vede ciascun che vede il vero. 430 O fallace Speranza, or mi consumi; or fugge il vero e l dolce inganno invola, e resta con Amor Gelosia sola. Amor, che prende ogni mio male in gioco, senza piet si ride dello inganno; 435 Speranza se si mostra ancora un poco, drieto allei tutti e van pensier ne vanno; n per manca lamoroso foco, ma questi inganni assai maggior lo fanno; con feroci occhi Gelosia mi mira, 440 e l cor nha doglia e nel dolor sadira.

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Poemi in ottava rima Selve 1

Madonna stassi in quelle parti eccelse ove il mio bel disio da prima nacque, ch Amore ogni pensier del core svelse e piant quel che sempre verde giacque, 445 e la mia donna tra le donne scelse e me la die; n poi altro mi piacque. Questo amoroso loco or me la invola: l si sta, senza me, pensosa e sola. In questo loco ove madonna gira, 450 lasso, le luci belle e lacrimose, amorosi mister dolente mira e rimembra le prime dolci cose: ad ogni passo mi chiama e sospira (e chi chiama ode, e di lontan rispose), 455 piange, e piangendo cresce pi il tormento, e fra se stessa cos dir la sento: Qui laspettai, e quinci pur lo scorsi; quinci sentii landar de leggier piedi, e quivi la man timida li porsi; 460 qui con tremante voce dissi: Or siedi; qui volle allato a me soletto porsi, e quivi interamente me li diedi; quivi leg Amore ambo duo noi dun nodo che gi mai si sciolse poi. 465 Quando il sentii tra lombre e vidi apresso, el cor tremava pavido nel petto: era il disio e dubbioso e perplesso; da timor lieto e timido diletto in un tempo era il vago core opresso, 470 n so in quel punto quel che avessi eletto. Mentre Amor spinge i passi e l timor frena, mi giunse di letizia incerta piena. Quivi - li dissi - ormai contento giaci: sia lieto il cor, poi che ha quel che disia.

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Poemi in ottava rima Selve 1

475 O parolette, o dolci amplessi, o baci! O sospirar che dambo i petti uscia! O mobil tempo, o brievi ore fugaci, che tanto ben ve ne portasti via! Quivi lasciommi piena di disio, 480 quando gi presso al giorno disse: Adio. Era gi, lassa a me, vicino il giorno, quasi era Febo allorizzonte giunto, che la dolcezza di quel bel soggiorno facea parer che fussi un brieve punto. 485 Lui disse: O vivo o morto a te ritorno. Cos partissi, e da me fu disiunto. Scorgendo questa mano il cammin cieco, strinse e baciolla, e l cor mio port seco. Drieto, quanto io pote, da questo loco, 490 li tenni gli occhi lacrimosi e l volto; soletto andava acceso in dolce foco co passi avversi e l viso ver me vlto. La notte ombrosa fece durar poco questa ultima dolcezza, e mi fu tolto. 495 Agli occhi pi virt non concessa, ma rest drento al cor la forma impressa. Questo dice madonna, e chi gli presso nol sente; ed io, che son s lontan, lodo. Questa memoria nel pensiero ha messo 500 quel primo tempo che strinse il bel nodo, e mi ribella tanto da me stesso chi veggo quasi quel bel tempo e l modo come alor mi leg la bianca mano; ma poco dura il breve piacer vano. 505 O inimica memoria tenace, che innanzi agli occhi quel bel tempo mette! O pi cruda Speranza mia fallace, che questo e meglio ancora al cor promette!

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Poemi in ottava rima Selve 1

N per veggo quel che sol mi piace, 510 n tornan quelle luce benedette; luno occhio indrieto e laltro innanzi mira e l cor irato e stanco ognor sospira. Perch seguite, o pensier vani e folli, tante volte ingannati, ancor costei? 515 Ed io pi stolto, a che seguir voi volli? Deh, fermatevi, o stanchi pensier miei! Pi presto eleggo star con gli occhi molli, e gridar lora mille volte omei in doglia, in foco il tempo che mavanza, 520 e morir poi, che vivere in speranza. Almen, se la memoria il disio punge, dinanzi al core il ver mi rapresenta; ma questa vana finge un bene a lunge, che, se tapressi, pi lontan diventa. 525 Fugge di tempo in tempo e mai non giunge, sperando e disiando il cor tormenta. Amor, che sempre in compagnia la mena, cos dipigne questa dolce pena. una donna di statura immensa, 530 la cima de capelli al ciel par monti, formata e vestita di nebbia densa, abita il sommo de pi alti monti. Se, e nugoli guardando, un forma e pensa nuove forme veder danimal pronti 535 che l vento muta e poi di nuovo figne, cos Amor questa vana dipigne. Par molto bella e grande dalla lunga, con lombra quasi tutto il mondo piglia; se avvien che apresso disioso giunga, 540 a poco a poco manca e sassottiglia; e, come suol quando par Borea punga, vedi sparire il nugol dalle ciglia,

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Poemi in ottava rima Selve 1

cos mai giugni ove trovar la credi, ma sempre innanzi agli occhi te la vedi; 545 s come un can che la bramosa bocca crede bagnar nel sangue duna fera che fugge innanzi, e gi quasi la tocca, pur non la giugne e pur giugnerla spera: cos la voglia disiosa e sciocca 550 non sazia, e digiun resta come sera; lei pi veloce innanzi allui si fugge, lui pien di rabbia e di disio si strugge. O come, se la schiena scalda il sole, chi vuol giugner quella ombra che ha dinanzi, 555 salmen co passi pareggiar la vuole, convien di spazio equal pur lombra avanzi: se corre come cervio correr suole, li resta drieto alfin quanto era dianzi; or par la priema, or par lavanzi un prezzo, 560 al fine del corso poi pur resta il sezzo. Giugner non posson le volubil rote bue o caval, che innanzi il carro tira, cos costei gi mai toccar si puote: la vana fronte occhio mortal non mira. 565 Uno occhio ha in testa e cose alte e remote innanzi guarda e drieto mai nol gira, Minerva sol con legida gi vide la fronte, e di noi miseri si ride. Sopra a nebulosi omeri li nascono 570 due pennute ali oltra misura grande; vola per li alti lochi, onde poi cascono quei che credon che lei alto gli mande; vento e vane ombre questa fera pascono, e rade volte gusta altre vivande; 575 vola la notte, e sempre fuggir suole, come aurora, la luce del sole.

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Poemi in ottava rima Selve 1

Il ciel da s, Pluton da s larretra; vola per questa mezza regione, ove il liquido umor adiaccia e mpetra 580 e solve in acqua e nugoli Iunone; l fabbrica Vulcan la sua fulgetra, indi Eolo Austro muove ed Aquilone, fuochi, comete e cadenti vapori, e la bella Iris di mille colori. 585 Seguon questa infelice in ogni parte il Sogno, lo Augurio e la Bugia, e chiromanti ed ogni fallace arte, sorte, indovini e falsa profezia, la vocale e la scritta in sciocche carte, 590 che dicon, quando stato, quel che fia, larchimia e chi di terra il ciel misura, e fatta a volont la coniettura. Alla cieca ombra delle sue grande ali il mondo vano alfin tutto ricovera. 595 Oh cecit de miseri mortali! Oh ignoranzia troppo vana e povera! E chi potessi contar tutti e mali, le stelle in cielo e pesci in mare annovera, li uccelli in autunno che l mar passano, 600 o le foglie che rami nudi lassano. Ma che male che luom mortal patisca, che da te maladetta non proceda? O che grave dolor che non nutrisca? Quanti tristi hai ad Amor dato in preda? 605 Che forte periglio che non ardisca il cor, savvien che l misero ti creda? Tu fusti dal ciel data a noi mortali vita e conservazion di tutti i mali. O figlio di Iapeto al tutto stolto, 610 non valse il saggio frate tammonisse

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a non mirar Pandora bella in volto o ccettar dono che da lei venisse. Rendi il furto, Prometeo, che, tolto, nel miser mondo tanti morbi misse. 615 Qual fu pi stolto puoi discerner poco, chi prese il dono o chi fur gi il foco. Stolta prudenzia e cieco accorgimento fu il tuo, e del fratel folle stultizia. Deh rendi il furto, se Giove contento 620 ritrar del mondo e morbi e la malizia. Tu non sapevi ancor che l pentimento va drieto sempre a quel che mal sinizia: credesti ingannar Giove, o error gravi! Cos maggiori error fanno e pi savi. 625 Se tu non eri, non dava loffizio Giove a Vulcan di fabricar Pandora; Pallade larte belle e lo esercizio non vi agiugnea per farla pi decora: nel volto ogni bellezza, in bocca il vizio; 630 la grazia Vener non li dava ancora e dolci sguardi e l bel sembiante umano; n Giove poi la nostra morte in mano. Cos leggiadra e bella non avria offerto il vaso al folle, come offerse. 635 Lui, come sai, bench ammonito pria, il vaso prese e subito laperse. Sbito uscr del vaso e fuggr via pel mondo e morbi e passion diverse; del vaso fatto dal celeste fabro 640 Speranza sola si rest nel labro. E cos fu troppo dannoso e caro il foco che furasti nella ferula: da poi fu il mondo crudele ed avaro, la mente sempre disiosa e querula,

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645 le guerre, incendi, e torti e l pianto amaro; da poi sulcorno e legni londa cerula; la menzogna, linganno e l romper fede, da questa vana ciascun mal procede. Tu ti restasti in sullorlo soletta, 650 perch la Speme a terra mai non casca; se l disio nasce, ed ella tel prometta, dellun vago pensier par laltro nasca: del male il bene e del ben meglio aspetta, s come augello va di ramo in frasca, 655 certa non mai: per n drento o fra rest nel vaso che don Pandora. Troppo sforza e mortal, troppo presume questa inimica della umana mente; ancor nel cieco regno senza lume 660 estender vuol la sua forza latente: parse ad alcun degno e gentil costume la dolce vita abbandonar presente: la dolce vita sprezza e morte brama alcun, sperando poi viver per fama. 665 Pria che venissi al figlio di Iapeto del tristo furto il dannoso pensiero, reggeva nel tempo aureo quieto Saturno il mondo sotto il giusto impero. Era il viver uman pi lungo e lieto; 670 era e pareva un medesimo vero; frenato e contento era ogni disio, n conosceva il mondo tuo o mio. La terra liberal dava la vita comunemente in quel bel tempo a tutti; 675 non da vomere o marra ancor ferita, produceva e frumenti e vari frutti, di odorifere erbette e fior vestita, non mai dal sol, non mai dal gel destrutti;

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lacque correnti dolce, chiare e liete 680 spegneno alor la moderata sete. Per lerbose campagne lieti e sciolti givan gli armenti senza alcun timore, senza sospetto che gli fusser tolti da orso o lupo il timido pastore. 685 Erano i tori indomiti alor molti, non privi ancor del genital calore, n per fatica di lungo intervallo, del giogo avendo al collo il duro callo. E si potea vedere in una stoppia 690 col lupo lieta star la pecorella, sanza sospetto lun dellaltro, in coppia; non fero il lupo alor, non timida ella. N la volpe era maliziosa o doppia; e non bisogna che la villanella 695 pe polli tenga il botol che la cacci, ma par, se pur vi vien, festa li facci. La lepre e l bracco in un cespuglio giace: lun non abbaia e laltra ancor non geme; tra l veltro e l cavriolo e cervio pace, 700 n alcun ne pi veloci spera o teme; scherzan tra loro e provocar lor piace talor lun laltro; e, se corrono insieme, non corron per fuggire il fero morso, ma sol per superar lun laltro in corso. 705 Semplice, bianca e senza una magagna, ove li piace la colomba annidia lieta, senza temer che la compagna o il maschio guasti luova per invidia; non teme del falcon per la campagna, 710 n tra le fronde dello astore insidia. Sora stridendo lieto lo aghirone, n teme il colpo e lunghia del falcone.

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Lorenzo de Medici

Poemi in ottava rima Selve 1

Non teme la pernice che l terzuolo la stringa, come il ferro suol tanaglia, 715 n restar presa in sul levar del volo dallo sparvier, quando grassa, la quaglia; gode lo smerlo che dal basso solo lallodola cantando al ciel su saglia; n alla serpe dubitar bisogna 720 desser esca a pulcin della cicogna. Tu puoi pel prato scalzo ir senza rischio di far crucciar, calcando, il frigido angue, e serpenti non han veleno o fischio, onde dal volto al cor si fugge il sangue: 725 sicuro mirar fiso il bavalischio, n pel guardo mortal tristo alcun langue. N gli animali al fonte han pazienzia che lunicorno facci la credenzia. El tigre e l fer leone e la pantera 730 come conigli, mansueti e pigri, ed ogni vile e mansueta fera feroce par come leoni e tigri. Non fugge lanimal lumana cera; gli augei bianchi, vermigli, gialli e nigri 735 gi per le folte macchie non si ascosono: in mano, in testa, in spalla alluom si posono. Non era ancor nel petto de mortali di carne saziar la fera voglia. Pel nutrimento diventiam bestiali, 740 che l sangue uman di sua natura spoglia; quinci guerra tra luomo e gli animali, quinci fugge luccel di foglia in foglia, e si lamenta con pietoso strido quando non truova e cari figli al nido. 745 Non si sentiva il doloroso belo della madre che perde il caro agnello,

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Lorenzo de Medici

Poemi in ottava rima Selve 1

la vacca non empiea di mughi il cielo tornando senza il figlio dal macello, n per difender le membra dal gelo 750 muoion le fere, per averne il vello. Secura agli animali era la traccia, n per nutrirsi o per piacer si caccia. Gli augei cantando van di ramo in ramo senza sospetto di rete o di lacci; 755 truova la starna e figli al suo richiamo se avvien che gli rassegni o il conto facci; n sotto lesca avien trovato lamo e pesci ancora, o rezze o altri impacci. La porpora sicura dalli inganni, 760 n tigne il sangue e preziosi panni. Sicuro gi non teme, anzi saccosta con cento code il polpo alla murena, n serra ambo le bocche alla aligosta n la aligosta morde in su la schiena 765 la murena a difendersi indisposta, n fa vendetta luna allaltrapena; oggi lun altro vince, e par che ceda, e l vinto l primo vincitore ha in preda. Cos, pien di fatica e luce, il giorno 770 pallida e rossa laurora caccia, lei poi la notte, qual fuggendo intorno convien che l giorno infin sua preda faccia; e, mentre suona il cacciatore il corno, vinto rimane in questa eterna caccia: 775 cos tra queste fere in mare occorre, se si de queste cose a quelle opporre. Teneva occulte nel ventre la terra le triste vene in s dogni metallo, n il fer disio i cor mortali afferra 780 doro, e non era per paura giallo;

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Poemi in ottava rima Selve 1

n ferro si trovava atto alla guerra, n col freno o col pi suona il cavallo, n il bronzo propagava la memoria, n sete alcuna era di mortal gloria. 785 Nereo quieto e ciascuna sua figlia dArgo ancor la prima ombra ne lor regni non aven visto pien di maraviglia, o dal remo o dal vento muover legni, n misurare il mare e liti a miglia, 790 con mille altri dannosi e nuovi ingegni. Disole ancor non sera il nome udito, parea finissi il mondo ove era il lito. Nelle piante era il fior, la foglia e l pome, n tempo o sito lordine confonde; 795 in ogni loco la natura prome ogni animale in terra, in aria, in onde; ogni cosa chiamata pel suo nome secondo il natural valor risponde. Non era alcuna cosa vecchia o nuova, 800 n maraviglia a quel tempo si truova. El corpo uman s bene era disposto, s bilanciati e partiti gli umori, che l disio era frenato e composto: non speme, non invidia, ira o dolori; 805 n la natura appetito ha proposto che per le vie comune o peli pori superfluo venga alcuno: e nulla avanza per dolcezza di cibi o abondanza. Cos belli, robusti, sani e netti non senton, ch non era, caldo o gelo, n fuggon brina o acqua sotto e tetti, n fa tremar il cor di Giove il telo. Il dolce sonno per gli erbosi letti quando senza sole il nostro cielo;

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Poemi in ottava rima Selve 1

quando e razzi del sol le nebbie purgono, cogli animal, co fiori insieme surgono. Damore accesi senza passione, Speranza o Gelosia non li accompagna: un amor sempre, qual il ciel dispone e la natura, che senza magagna. Con questa simil di complessione soletti e lieti van per la campagna; let non mai o puerile o grande; e panni son le fronde, e fior ghirlande. Qual porpora non perde a que colori, qual grana o chermis in lana o in seta? quale argento o qual oro agguaglia e fiori? Cos menan la vita sempre lieta. Oh dolce tempo, oh dolcissimi amori! Oh vita sempre disiosa e queta, ch lacceso disio mai non tormenta, n, spento, il corpo languido diventa. Tanto il disio quanto natura vuole, e vuol quel che ha, e quel che ha non loffende, n mai daverlo o non aver si duole, n manca mai o maggior forza prende. Quel che oggi piace piacer sempre suole, 810 non sazia o penitenzia indrieto rende: da se stesso se adempie e da s frena, n per luno o per laltro sente pena. Ogni appetito, che altri offenda, dorme: ambizion non occupava e regni. 815 Era natura alora assai conforme tra luom beato e li celesti segni: queste propriet, quelle alte forme vedevan gli occhi, vedevan glingegni; non dubbio alcun, non fatica ha il pensiero, 820 senza confusione intende il vero.

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Poemi in ottava rima Selve 1

Lingegno era aguagliato col disio, la voglia con la forza dello intendere: stavan contenti a conoscer di Dio la parte che ne puote luom comprendere; 825 n la presunzion del vano e rio nostro intelletto dee pi alto ascendere, n ricercar con tanta inutil cura le cause che nasconde a noi natura. Oggi il mortal ingegno pur presume 830 essere un bene occulto, al quale aspira; muove luman disio il basso acume, n truova ove fermarlo; onde sadira e duolsi che la mente ha troppo lume, quel ben presupponendo; e, se nol mira, 835 si duol del poco e vede che non vede: esser cieco o il veder perfetto chiede. Al troppo manca, e par che avanzi al poco: men vegga il troppo, e l poco assai presuma; e, come in verde legno debil foco, 840 non splende chiar, ma gli occhi umidi affuma. Gli uccei notturni son degli altri gioco, cercando il sole; e linsolita piuma Icaro perde se troppo alto sale, e resta in mezzo al ciel uccel senza ale. 845 Come uccel peregrin che il lito amato pel freddo lassa e il mar volando varca, stanco gi a mezzo londe dogni lato lacqua sol vede e di dolor si carca: non ramo o scoglio ferma il suo volato; 850 se pur londe solcar vede una barca, de luom le mani e del mar la tempesta teme, e dubbioso in mezzo londe resta; cos se lassa il suo nativo sito la mente, da se stessa si confonde;

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Poemi in ottava rima Selve 1

855 se vuol cercar uno incognito lito, dubbiosa e stanca alfin resta tra londe. Alor vedeva lo ingegno espedito quel ver che alle sue forze corresponde, n la presunzion questo ben guasta: 860 voglion quanto hanno, e quel che intendon basta. Quel che l ciel da s mostra e la natura, intendon senza aver dubbio o fatica, n la troppa sottile e vana cura muove la bile o adusti umor nutrica. 865 La nuda verit gentile e pura lunghe vigilie o studio non mendica: questa vera dolcezza e bella vede la mente, e, qui contenta, altro non chiede. Questo felice tempo al mondo tolse, 870 a luom la vera sua beatitudine Prometeo, che troppo saper volse: dal saper troppo nasce inquietudine. Per saper poco il van fratello sciolse la morte poi, e morbi in moltitudine. 875 Troppo e poco saper la vita attrista, ch l troppo e l poco equal dal mezzo dista. El folle antiveder, la stolta cura e la presunzion del vano ingegno il foco trasse della sua natura: 880 le forze estese alor fuor del suo regno. Quinci la guerra nacque, che ancor dura, tra li elementi, che nebbono sdegno; triema la terra, il ciel lampeggia e piove: ogni distemperanza di qui muove. 885 Questo mal foco il fer disio accese di superar lun laltro gli elementi; la trista voglia poi pi basso scese ne mortal corpi e nelle umane menti;

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Poemi in ottava rima Selve 1

dalla Speranza ogni sua forza prese, 890 che soffia nel mal foco co suoi venti. Cos sta il mondo ed ogni mortal vita per guerra, che non ancor finita, s come nave in alto mar, percossa da rapidi e tra lor contrari venti, 895 travaglia, ma del luogo non mossa se avvien che sieno equalmente potenti, ma, se lun sforza e pi che laltro possa, stanca alfin vinta va drieto a perdenti. Oh miser mondo, anzi stolto a chi piace 900 o crede in tanta guerra trovar pace! Arda almeno, arda questo foco tanto che gli altri tristi umor tutti consumi, poi si ritorni al primo loco santo, n altri pi di furarlo presumi. 905 Torni il dolce ozio senza Speme o pianto, sudin le querce il ml, corrano e fiumi nettare e latte, e dolor sien cacciati, ardin di dolce amor e cor beati. In questi dolci luoghi, in questi tempi 910 pommi, Amor, con la bella donna mia, nellet verde, ne primi anni scempi, senza Speranza, senza Gelosia; n l tempo mai let matura adempi, ma il nostro dolce amore eterno sia: 915 non pi bellezza in lei, non altro foco in noi, ma sol quel dolce tempo e loco. Quel dolce loco e basso paradiso, quel bel tempo, non ha altro difetto che di veder Madonna bella in viso; 920 questo lo fa dolcissimo e perfetto, se sente le parole o il suave riso, sopra quel ch vero amore e diletto.

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Poemi in ottava rima Selve 1

Loro di quella et quasi divina nel dolce foco di mia donna affina. 925 E, se pur questo lalta legge vieta, Amor, tanta Speranza caccia almeno, inimica, domestica e secreta, che uccide il cor col suo dolce veleno. Rendimi lamorosa luce e lieta 930 e l dolce sguardo angelico e sereno; fa il dolce sguardo a questa cruda e trista s come il bavalischio a mortal vista. Se tu mi rendi bella ed amorosa la mia donna gentil, comio lasciai, 935 quella et doro, o vera o fabulosa, io non ti chieder, Amor, gi mai, n altro paradiso o altra cosa. Ove donna mia, come tu sai, concorre ogni virt, ogni dolcezza: 940 e ci che bello, nella sua bellezza. Lasso a me, or nel loco alto e silvestre, ove dolente e trista lei si truova, doro let, paradiso terrestre, e quivi il primo secol si rinuova. 945 Se, trista e lassa, in quelle parti alpestre avvien che ogni dolcezza e grazia muova, se, dolorosa, tanti beni ha seco, or che far quando fia lieta meco? Quel che far, se l tristo cor vi pensa, 950 tanto disio, il misero, laccende, che offeso poi da crudel doglia immensa a fatica da morte si difende. Se pur Amor gli promette, o l dispensa che pensi ad altro, questo pi loffende. 955 Viver non pu senza pensier damore, e, pensando anche alla sua donna, muore.

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Poemi in ottava rima Selve 1

Amor, che vedi il suo misero stato, pietoso, come io credo, del suo male, vola velocemente in quel bel lato, 960 portami la mia donna, o le tue ale metti agli omeri, e dammi il tuo volato, chio per lei vada: se mi se rivale, comio penso, ed acceso de belli occhi, ho gelosia se nel portar la tocchi. 965 Se mi farai uno amoroso uccello, io arder, come fenice suole, ne febei raggi, e mi far pi bello, regenerato dal mio chiaro Sole. Se le tue ale abruceranno in quello 970 foco gentile, il torto hai se ten duole, e non giusto te ne chiami offeso, perch tu hai quel gentil foco acceso. Questo foco fur da te lo sguardo della mia donna, e l cor con esso accese: 975 tu ne sdegnasti, io ne patisco ed ardo dun diverso disio, che forza prese. Tra l cor veloce e l corpo grave e tardo tira il foco e l pensier al bel paese: qui resta il corpo, ed e segue il pensiero; 980 n vo, n sto, n son diviso o intero. Questo foco duna gentil natura: stassi nel cor nella pi alta cima e la materia, che era rozza e dura, con qualche suo dolor consum prima; 985 alfin lincendio si fe luce pura, che par nel cor diafano si esprima: cos nel cor, non che in s luce abbi elli, luce la luce de due occhi belli. Con gran fatica drento al petto lasso 990 lo tengo, che non fugga con la vita:

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Poemi in ottava rima Selve 1

questo gentil cos puote star basso, se per forza la via non gli impedita, come in mezzo del ciel fermarsi un sasso, ch luno il centro e laltro il ciel invita: 995 natura ogni riposo gli disdice se non torna alla bella furatrice. Cos son io una rete distesa, la qual il legno van tien sopra londa, e l grave piombo che da basso pesa 1000 la tira nella parte pi profonda; alfin ciascun di lor perde la mpresa, bagnasi il legno e l piombo non si affonda, n lun disio, n laltro par si faccia; la rete intanto si consuma e straccia. 1005 Limagin bella, che nel core stampa la bianca man s come fusse viva, inganna in modo lamorosa vampa che si sta seco ed cagion che io viva. Quel dolce inganno la mia vita scampa, 1010 e, se non fusse, via con lei sen giva: vede nel cor la sua ladra s bella, che si quieta e crede esser con quella. S come il cacciator, che e cari figli astutamente al fero tigre fura, 1015 e, bench innanzi assai campo li pigli, la fera, pi veloce di natura, quasi gi il giugne e insanguina gli artigli; ma, veggendo la sua propria figura nello specchio che truova su la rena, 1020 crede sia il figlio e l corso suo raffrena; cos drento allo specchio del mio core si queta questo bel foco amoroso; ma, poi che riconosce il vano errore, questo fer tigre surge furioso;

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Poemi in ottava rima Selve 1

1025 e, se non giugne il ladro cacciatore, non truova irato alcun breve riposo. Amor, che vedi e la pena e il periglio, o tu maiuta o tu mi da consiglio. Se pur la bella donna non mi rendi, 1030 serri un placido sonno gli occhi molli: se dormendo la veggo, tu difendi la vita coi pensieri erranti e folli. O sonno, che col pianto ognor contendi di prender gli occhi, spiana li alti colli, 1035 laspra via leva e sassi e boschi e fiumi, e mostrami dappresso i vagli lumi. Io veggo non so che nellombra oscura: un foco che di cielo in terra casca, quasi un vapore, e la sua luce pura 1040 arriva in terra, e par che l rinasca: torna la fiamma in verso il cielo e dura, senza che nuovo nutrimento il pasca. Qualche propizio nume agli occhi mostra che presto rivedrem la donna nostra. 1045 I sento un suave venticel, che spira dalla aurora rutilante e rossa, ogni animal, che accieca quando mira la febea luce, credo fuggir possa. Raddoppia e baci lamante, e sospira 1050 che sia gi della notte ogni ombra scossa; pien di maggior disio, con gran fatica esce di braccio alla sua dolce amica. Gi alcun de pi solleciti augelli chiamono il sol con certi dolci versi, 1055 e impongon la canzona; e segue quelli il coro poi di mille augei diversi. E fior, che senza sol si fan men belli, non posson pi nella boccia tenersi:

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Poemi in ottava rima Selve 1

pria dun color e poi, dal sol dipinti, 1060 si fan di mille, da niuna arte vinti. Cacciata fugge innanzi laurora: laer gi spoglia la cangiante vesta e vestesi di luce che lo indora, di negro quel che senza Febo resta. 1065 Ecco il mio Sol che vien del monte fora, e lascia quella parte ombrosa e mesta: veggo la luce e sento gi il calore, la luce la bellezza e il caldo amore. Questa luce conforta e non offende 1070 gli occhi, ma leva loro ogni disio di veder altro, e l foco non incende, ma scalda dun calor suave e pio. Madonna questi dua per la man prende: dalla sinistra mena il cieco dio, 1075 e la Bellezza dalla destra tiene, e lei pi bella in mezzo a questi viene. Amor, che mira e due belli occhi fiso, raddoppia il foco onde se stesso incende: la Bilt, che si specchia nel bel viso, 1080 pi bella e pi s a se stessa rende. Madonna muove in quello un suave riso, dal quale ogni bellezza il mondo prende: questa sola bellezza lo innamora, in varie cose il bel principio ignora. Cantando vengon lietamente insieme, ne sente ognun la dolce melodia: el cor la intende, e di ridirla teme agli altri. Avvien della bella armonia come della celeste in queste estreme parti del mondo, che par muta sia, ch l basso orecchio a quel tuon non saccorda: cos la gente a quel bel canto sorda.

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Lorenzo de Medici

Poemi in ottava rima Selve 1

Dicemi pure il cor secretamente che le parole di questa canzona composte ha la Bellezza, e dipoi sente che Amore il canto gentilmente intuona; e, bench labbi in secreto la mente, pur non si esclude ogni gentil persona; ridirlo a questi al cor non molesto, e, per quel che ritrae, il canto questo:

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Poemi in ottava rima Selve 1, 142

Selve 1,142

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O vaghi occhi amorosi, che in questo e in quel bel viso, quando mirate fiso, vedete mille bellezze diverse; mentre vi sono ascosi questi due vaghi lumi, stolto alcun non presumi aver veduto la bellezza intera. Qui la bilt vera tutta accolta in un volto; quinci lo esemplo han tolto laltre, che in varie cose son disperse. Chi questa bilt mira, di eterno e dolce amor sempre sospira.

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Poemi in ottava rima Selve 2

Selve 2

O dolce servit che liberasti el cor dogni servizio basso e vile, quando a s bel servizio me obbligasti sciogliesti il cor da cento cure umle. O bella man, quando oggi mi legasti, tu mi facesti libero e gentile. Che benedetti sieno e primi nodi, Amor, che mi legasti in tanti modi. O dolce e bel signore, in cui saduna beltade e gentilezza tal, che eccede ogni altra in altri, e poi tra lor ciascuna il primo grado in la mia donna chiede, quanto dolce e beata la fortuna, che servo a s gentil signor mi diede e servo pi che alcun libero e degno, servendo a tale, il cui servire regno! Cos, se luna e laltra ripa frena, el fiume lieto il lento corso serva, suave agli occhi londa chiara mena e pesci nel queto alveo conserva; di vaghi fior la verde ripa piena bagna, e cos par lietamente serva; sta nel cieco antro, indi preme e distilla con dolce mormorio londa tranquilla. Ma, se leva del sol la luce a noi, piovendo, un nimbo tempestoso e spesso, a poco a poco il vedi gonfiar poi, tanto che alfin non cape pi se stesso, e le fatiche de gi stanchi buoi e selve trarre e pinger sassi in esso: lerbosa ripa in mezzo e l curvo ponte resta, e torbido lago l chiaro fonte. Allor che un venticel suave spira con dolce legge, e fiori a terra piega,

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e scherzando con essi intorno gira, talor gli annoda, or scioglie, or gli rilega; le biade impregna, ondeggia alta e sadira lerba vicina alla futura sega; suave suon la giovinetta frasca rende, n pure un fiore a terra casca. Ma se d libert dalla spelunca Eolo a venti tempestosi e feri, non solamente e verdi rami trunca, ma vanno a terra e vecchi pini interi, e miser legni con la prora adunca minaccia il mare irato e par disperi; laria di folte nebbie prende un velo; cos si duol la terra, il mare e l cielo. Poca favilla, dalla pietra scossa, nutrita in foglie e in picciol rami secchi, scalda, e, dal vento rapido percossa, arde gli sterpi pria, virgulti e stecchi; poi, vicina alla selva folta e grossa, le querce incende e roveri alti e vecchi; cruda inimica al bosco lira adempie, fumo e faville e stran stridor laria empie. Lombrose case in fiamme e i dolci nidi vanno e lantiche alte silvestre stalle, n fera alcuna al bosco par si fidi, ma spaventata al foco d le spalle; mpieno il ciel diversi mughi e stridi, percossa rende il suon lopaca valle; lincauto pastor, cui s fuggito il foco, piange attonito e invilito. Benigna legge allacqua ha il termin posto che non lo passi e la terra ricuopra; in mezzo del gran corpo l centro ascosto, grave e contrario al foco, che di sopra;

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diverse cose un tutto hanno composto, tra lor contrarie fan conforme lopra. Ordina e muove il ciel benigna legge; dolce catena il tutto lega e regge. Dolce e bella catena al collo misse quel lieto d la dilicata mano, che aperse il petto e drento al core scrisse quel nome, e sculse il bel sembiante umano. Da poi sempre mirr le luci fisse s begli occhi, chogni altro obietto vano. Questunica bellezza or sol contenta la vista, pria in mille cose intenta: non ornate di fronde apriche valli, non chiaro rivo che lerbetta bagni di color pitta bianchi, rossi e gialli, non citt grande o edifizi magni, ludi feri, stran giuochi, o molli balli, non legni in mar che Zefiro acompagni, non vaghi uccei, nuovi animali o mostri, non sculta pietra, r, gemme agli occhi nostri. In queste cose senza legge alcuna givan gli occhi cercando la lor pace ascosa, e non sapevano in questa una che, conosciuta, poi tanto a lor piace. Occultamente mia lieta fortuna conduceva il disio che nel cor giace: condotto era il mio core, e non sapeva, a riveder chi gi veduto aveva.

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Quel giorno adunque che nel cor dipinse quella amorosa man limagin bella, con volontario fren gli occhi costrinse 100 lei sol mirar, non questa cosa o quella; mille vari pensieri in un ristrinse, n poi la lingua mia daltro favella,

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Poemi in ottava rima Selve 2

n cercon altro gli amorosi passi: con lei sempre il mio cor legato stassi. 105 Legato sta nel gran tempio di Iano con mille e mille nodi il fer Furore; cerca discirsi luna e laltra mano, freme di sangue tinto e pien dorrore. Cerber nel basso regno cieco e vano 110 latrando allombre triste d terrore; stretto da tre catene, par che ira aggia, rabbia, schiuma, venen da denti caggia. Non gi cos la mia bella catena: stringe il mio cor gentil pien di dolcezza; 115 di tre nodi composta, lieto il mena: con le sue mani el primo fe Bellezza, la Piet laltro per s dolce pena, e laltro Amor, n tempo alcun gli spezza; la bella mano insieme poi gli strinse 120 e di s dolce laccio il core avinse. Mostrommi Amor quel benedetto giorno pi che mai belle le luci serene, le Grazie tutte alla mia donna intorno; n us per rilegarmi altre catene. 125 Qual maraviglia se a me non torno? o qual disio si fugge dal suo bene? Somma Bellezza, Amor, dolce Clemenzia, al cor fan volontaria violenzia. Quando tessuta fu questa catena, 130 laria, la terra e l ciel lieto concorse; laria non fu gi mai tanto serena, n il sol gi mai s bella luce porse; di fronde giovinette e di fior piena la terra lieta, ove un chiar rivo corse; 135 Ciprigna in grembo al padre il d si mise, lieta mir dal ciel quel loco, e rise.

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Dal divin capo ed amoroso seno prese con ambo man rose diverse, e le sparse nel ciel queto e sereno: 140 di questi fior la mia donna coperse. Giove benigno, di letizia pieno, gli umani orecchi quel bel giorno aperse a sentir la celeste melodia, che in canti, ritmi e suon dal ciel vena. 145 Movevan belle donne al suono e piedi ballando, duno amor gentile accese; lamante apresso la sua donna vedi, le disiate mani insieme prese, sguardi, cenni, sospir, damor rimedi, 150 breve parole e sol tra loro intense, dalla donna cascati e fior ricrre, baciati pria, in testa e in sen riporre. In mezzo a tante cose grate e belle la mia donna bellissima e gentile, 155 vincendo laltre, ornava tutte quelle in una vesta candida e sottile; parlando in nuove e tacite favelle con li occhi al cor, quando la bocca sile, Vientene - disse - a me, caro cor mio: 160 qui la pace dogni tuo disio. Questa suave voce el petto aperse e a partirse il cor lieto costrinse; la bella mano incontro se li offerse a mezza via, e dolcemente el strinse; 165 pria rozzo, in gentilezza lo converse, poi quel bel nome e l volto vi dipinse: cos ornato e di s belle cose, nel petto alla mia donna lo nascose. Quivi si sta, indi non pu partire; non pu partir, perch poter non vuole:

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pi dolce obietto el suo alto disire n ha n puote aver, per non vuole; lui a s stesso legge, lui servirea questa gentil legge elegge e vuole; con le sue man lui stesso ha fatto e lacci, n vuol poter voler che altri li piacci. Miri chi vuol, diverse cose miri 170 e vari obietti agli occhi ognor rinuovi, se avvien che ora uno e poi un altro il tiri, non par vera bellezza in alcun truovi, ma, come avida pecchia e vaga, giricercando per nutrirsi ognor fior nuovi; n muteria s spesso il lento volo se quel ch in molti fior fussi in un solo. 175 Nel primo tempo che Amor gli occhi aperse, questa beltade innanzi al disio pose, e poi che, come bella, me la offerse, ridendo, lasso, agli occhi la nascose. Con quanti pianti bellezze diverse 180 poi cercr, quanto tempo, in quante cose! Talor vedevan pur lafflitte ciglia cosa la qual questa belt simiglia. Allor, s come can bramoso in caccia tra le fronde trovar locculta fera, 185 se vede terra impressa dalla traccia, conosce al segno che indi passata era, perch la simiglianza par che faccia certo argumento alla bellezza vera, cos, cercando questa cosa e quella, 190 Amor mostrommi alfin mia donna bella. Disson gli occhi allor lieti al cor mio: Questa quella che mostr la prima volta Amor, da noi sol desiata e chiesta, mostra e renduta poi che ci fu tolta. 195 La sua vera dolcezza manifesta Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli quella che mostr

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quanta grazia e virtute abbi raccolta. In molte non trovammo mai questa una che sola in s ogni bellezza aduna. Anzi sempre si truova in ogni parte 200 che ci che agli occhi bel da questa viene. Varie bellezze in varie cose sparte d al mondo el fonte vivo dogni bene, e quel che mostron laltre cose in parte, in lui tutto e perfetto si contiene; 205 e se la simiglianza agli occhi piace, quanto qui pi perfetta ogni lor pace! Contrarie voce fanno un suon suave, e diversi color bellezza nuova; piace la voce acuta per la grave; 210 nel negro el bianco la sua grazia truova. Mirabilmente lalta bellezza have fatto che lun nimico allaltro giova, lalta bellezza, che ogni cor disia ed io sol veggo nella donna mia. 215 Questa sol bramo, e le mie luci ardenti non fanno in altra cosa alcun soggiorno; e come gli beati spirti intenti stanno alla santa faccia sempre intorno, n posson le celesti pure menti 220 altro mirar, ch ogni altro manco adorno, cos quel primo tempo e quel bel luogo al collo misse un simil dolce giogo. Sento il mio cor, nellamoroso petto di mia donna gentil, che cantar vuole 225 e, nel laudar quel tempo benedetto, usar la bella bocca (come suole) della mia donna a cos grato effetto, dolce istrumento al canto, alle parole. Non pu tenersi il cor lieto e felice: cos cantando in la sua bocca dice: Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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O benedetto giorno, giorno che fusti el primo agli occhi nostri, che con la luce vera ogni ombra cacci, e che fussi ombra mostri! Ombra invisibile era che agli occhi nostri sempre era dintorno; e pur questa vedino, e il lume alto e sereno non potevan vedere, o occhi tristi! O per me fortunato tempo, che gli occhi a s bel sol mapristi! Forse chio parr ingrato, tempo dolce, se viene da te ogni mio bene, se il cor per te felice or sol disia che senza tempo alcun questo ben sia.

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Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli

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