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%2%|I|
Era l'aire sereno e lo bel tempo
e cantavan gli augei per la rivera,
e in quel giorno apparve primavera
quand'io te vidi prima, bella zoia.
Ben fosti zoia, che tal m'apparisti
e col novo color nel tuo bel viso,
che gi dalla mia mente non si parte.
E quando sono in pi lontana parte,
pi mi sovven del tuo piacente riso,
s dolcemente nel mio cor venisti
per un soave sguardo che facisti
da' tuoi begli occhi che mi mirar fiso,
s che zamai da te non fa diviso,
tanta allegrezza mi da' fuor di noia.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Guido Novello da Polenta
%3%|II|
Novella zoia 'l core
me move d'allegrezza
per la somma dolcezza
che tuttor sento per grazia d'Amore.
Pi d'altro amante mi deggio allegrare
e star sempre zoioso,
ch'Amor per grazia m'ha fatto montare
in stato dignitoso,
e ha dato riposo
al mio grave languire,
facendomi sentire
come om senta il suo gentil valore.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Guido Novello da Polenta
%4%|III|
Madonna, per vertute
d'amor la pena m' zoia, pensando
ca iusto affanno fai dolce salute
e sempre vive quii che more amando.
Quest' la vita e 'l ben per ch'io ve servo
e per che 'l vostro orgoglio amor non parte
del cor, ma pur ennalza 'l suou potere,
che 'l meo servir col bon penser comparte
en vostro onor, per cui desio conservo
e quanto ve contenta m' 'n piacere.
De voi cos volere
m' tanto d'alegreza, imaginando
ca sol bontate fai servir valere,
nel qual deletto ognor vo pur montando.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Guido Novello da Polenta
%5%|IV|
D'Amor non fo za mai veduta cosa
tanto lezadra e bella,
come questa donzella
per cui semel desio nel meo cor posa.
Cos porto 'l desio com' la vista
che l'alto imaginar nel cor depenge,
quand'aver gli ochi p s dolce vista:
onde foco d'amor la mente cenge,
s che tutt'ardo, che 'l piacer l'aquista
che sempre en desiar lei pi me penge,
sperando la vert, che donna strenge
a la merc verace,
de tal guerr'aver pace,
come degno conven che cheder l'osa.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Giovanni Quirini
%6%|GIOVANNI QUIRINI|
%7%|I|
"Io sum regina in l'amoroso regno
e ho di onor in man la segnoria
e qual vita beata aver desia
drizi gli ochi vr mi come a suo segno.
Qui si vedr la belt che io contegno
ornata de la onesta cortesia,
che d conforto e piacer tuttavia
a chi mi guarda s'el di ci degno.
Venete, donque, a me, voi che credete
ne la fede de Amor, in lui sperando,
e cum sospiri nel suo fuoco ardete:
io sola compir il vostro dimando:
per me del ben servir merito avrete."
Cos una donna a l'altre gi cantando.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Giovanni Quirini
%8%|II|
Ora che 'l mondo se adorna e se veste
di foglie e fiori e ch'ogni prato ride
e fredo e nebia el ciel da s divide,
e gli animali comincian lor feste
e in amor ciascun par che s'apreste,
e gli augelletti, cantando, lor gride,
che lascian guai e di lamenti stride,
fanno per boschi e selve e per foreste
per che 'l dolce tempo allegro e chiaro
di primavera col suo verde vene,
rinfresco di gioia e rinovo mia spene,
come colui che vita e onor tene
da quel signor che sopra gli altri caro,
lo qual a me suo servo non fie amaro.
%13%|I|
L'orgoglio e la superbia ch'en vui regna,
signor veniciani, for mesura,
aprestavi sentenza acerba e dura
da la potenza sopra tute degna,
s ch'ornai conven che vostra ensegna
de santa desia conosca l'altura,
a lei fazendo ferma fede e pura,
se le soi braze voli ve sostegna
Ch'en altra guisa non podi campare,
s grande altrui avete posto 'l carco,
contro rasone, del beato Marco
Donqua guardati, enanzi al vostro varco,
che colpo scenda per voler purgare
la colpa iniqua del vostro pecare.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Niccol Quirini
%14%|II|
No vi meravegliate s'eo sospiro
e vo planzendo a guisa di dolenti,
ch'ig' spirti mei ormai sono s venti,
che solo in morte mia salute miro,
poi Mercede e Pietate, a cui me ziro,
mostra no possa intender mei lamenti,
perch ig' pianeti e 'l pi dig' elementi
seno a contraro de lo meo desiro.
E dami pena per l'altrui falire
che m'ha s rotto zascun osso e polpa,
che duol di guai, ove mi son, incolpa.
Ma se rason, ch'a dretura mi scolpa,
potesse in breve il torto convertire,
poriasse en vita ancor l'alma tenire.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Matteo Frescobaldi
%15%|MATTEO FRESCOBALDI|
%16%|I|
Cara Fiorenza mia, se l'alto Iddio,
da cui ogni perfetto ben discende,
non procura e attende
contra la tua veloce e rea fortuna,
i' ti veggio venire a punto ch'io
gi piango per lo duol che 'l cor ne prende,
il,qual tanto m'offende,
%21%|I|
L'alta bellezza tua tanto nova,
chi subito ti vede isprende tutto;
ciascun altro piacer si fa distrutto
ch'a lato al tuo di s vogli far pruova.
Tu se' colei ch'a ogni cosa giova;
in te ogni vert fa suo ridutto,
radice, ramo, fronda, fiore, frutto
d'ogni dolcezza ch'al mondo si truova.
In compagnia di tua somma biltade
gentilezza, puritade e fede,
vi adornezza e perfetta onestade.
Tu se' tal maraviglia a chi ti vede,
alto valor sovr'ogni umanitade,
che discesa dal ciel ciascun ti crede.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Sennuccio del Bene
%22%|II|
O salute d'ogni occhio che ti mira,
%27%|I|
Gentil madonna, mia speranza cara,
poi che dipinta per la man d'Amore
se' in mezzo del mio core,
convien ch'io t'ami pi de la mia vita.
Tu se' dolcezza ad ogni cosa amara,
conforto e lieta pace al mio dolore:
di vert e di valore
sopra tutt'altre adornata e vestita.
O bel granato, o chiara margherita,
splendida gemma, oriental zaffiro,
topazio puro e lucido smeraldo,
beato quel ch' caldo
de l'amor tuo e beato 'l sospiro
che per te l'alma disiando move,
e l'occhio che per te lagrime piove.
Prima che niun pel mi fosse al volto
cominciai a far tua l'anima mia,
per che mi sentia
tutto arrossirmi quando ti mirava;
e poi cantava e sospirava molto,
ed era amore e non me ne accorgia.
$E la tua leggiadria
in ciascun d pi bella si mostrava:
la tua persona in quella forma stava
qual rosa tenerella, che al sole
ancor le fronde sue non manifesta,
con un fronzale in testa,
dicendo poche e savie parole;
e le mammelle tue, se ben aviso,
parian duo pomi nati in paradiso.
Poscia col tempo amor cresciuto tanto,
ch'i' ho pi volte meco ragionato
come io sono scampato
da l'aspre brighe e da le mortal pene
che spesse volte Amor m'adduce in pianto;
e poi mi lancia un pensier disiato,
el qual mi tien zelato
tanto che il sangue aghiaccia ne le vene.
E s'el mi dice alcun: "Che ti sostiene?"
io dico i tuoi costumi e la bellezza
e 'l lume etterno che da gli occhi scende:
e questo mi difende
da pianto, da sospiri e da tristezza,
e veste el cor d'una letizia nova
tal che la vita in me tutta rinnova.
Move de la tua bocca, quando ridi,
una fiorita e gaggia primavera
e con dolce maniera,
che fa ne l'andar tuo ciascun contenti.
$E le labra sottil quando dividi
nel soave parlar, mostran la schiera
ben composta e sincera
%31%
Non si pu dir che tu non possi tutto,
non si pu dir che tu non veggi a tondo,
Dio, ci che si fa al mondo,
e che giusto non sia ci che tu fai;
pur si pu dir che ogni vizio ha frutto
or qui e ch'ogni virtute casca al fondo,
e dir si pu, secondo
che si suoi dir: "Sia reo, che viverai."
Questo, pi volte omai
silogizando (quanto pi disputo
ne la mia mente pi divento muto!),
fatt', con l'altre vere, la maggiore.
I' m'avea posto in core
pur di non dire, e pur non ho possuto,
tanto disio che ci mi sia soluto:
per drizzo la lingua a te, che puoi
solo, e non altri, risponder, se vuoi.
Dio, sol per colpa il sommo sacerdote
rovinar testi, Eli, in terra morto:
deh, non li festi torto,
poi in tal sedia in duol molt'anni stato.
Oza facesti presso da le rote
morto cader, drizando il carro torto
de l'arca santa al porto,
che nullo usurpi ufficio altrui collato.
$Poi come ha usurpato
oggi ben vedi il braccio spirituale
l'ufficio altrui e il gladio temporale,
e come il mondo tutto n' confuso.
Perch non dunque giuso
cade giudicio alcun celestiale
sopra chi questo fa, se questo male,
come facesti a' due detti di sopra,
che puoi e sai e sempre fai giust'opra?
Festi Gez lebbroso, e Simone
mago San Pier dann, e 'l foco santo,
ch'arse sott'acqua tanto
nel tempo bambillonico, ammorzasti
per breve simonia. Per qual ragione
sofferi dunque ancoi veggendo quanto
ciascun da ogni canto
fa quel per che nel tempio ti crucciasti?
Non so se questo basti
dir di color che vivono a tue spese,
veggendo tu l'occulto e tu il palese,
po' vuoi che sian quaggi per nostro essempio.
Tu volesti nel tempio
che si ponesser genti in virt accese
di castit, non d'avarizia offese,
e or pur vedi 'n la tua chiesa genti
tratte a lussuria e a ricchir parenti.
Al popol non s tuo, cio l'Ebreo,
principio desti che legge gli dava,
e, se prevaricava,
con morte, sete, fame gli punivi:
%33%|I|
Senza la guerra di Fortuna ria,
la qual vincer si puote per valore,
non pu mai gentil core
esser felice in stato alcun che sia.
Non ha diletto Iddio pi grazioso
se volger degna li occhi suoi in terra,
com' di riguardar un vertuoso
a cui l'aspra Fortuna faccia guerra;
e quanto pi di male ella diserra
verso l'animo ch' di valor pieno,
cotanto 'l cura meno,
perch di chi la fa la villania.
Per ingannar soffrir vari tormenti,
soffrir infamia, povertade e morte,
non creda alcun che gentil cor paventi,
perch di quel che fuor di lui pi forte:
el vince tutto quel che manda Sorte
e 'l muta in ben n si lascia mutare,
come fa il vivo mare
i fiumi che riceve in compagnia.
$
Or quel che dotta esser in esilio,
deh guardi ci ch'el nocque a Scipione
e pensi quant'el spiacque a quel Rutilio
che disdegn tornare a sua magione.
Sollazzo questo de le menti bone,
che 'l savio per profitto ogni or porta
per dritta via e per torta,
e patria con amici dov'el sia.
D'assai soffrir tormenti e non turbarse
Regulo valoroso avr in essemplo;
e Muzio, che la mano stesso s'arse,
con santi e sante assai a ci contemplo.
La voglia mia per tal voglia adempio,
che donne han vinto il disio de la carne:
onde, s'el p turbarne,
le femmine avanzian in codardia.
La povert, che par mortal supplizio,
necessit contemplo ai cuori elati:
guardi ciascun che nocque al buon Fabrizio,
a Zenone, a Diogene, ai santi abati:
nulla bramando costor fur beati,
per che poco sazia la natura
ne la cupida cura,
ond' beato pi chi men disia.
Se 'l bon per molti ispesso si disfama,
perch'egli bono, questo falsamente.
El bon d'esser biasmato dal vii ama
perch gli loda il biasmo di tal gente;
$e se turbazion di questo el sente,
pensi che vizio in lui ancor tien loco,
ch'el non s'accende il foco
se non in cosa dove ha signoria.
S'el pensa l'omo ch'una morte sola
veloce, inoppinata aver convene,
%36%
Quella virt, che 'l terzo cielo infonde
ne' cuor che nascon sotto la sua stella,
servo mi fe' di quella
che ne' belli occhi porta la mia pace,
la qual nulla distanza a me nasconde,
s ne la mente Amor me la suggella;
e la dolce favella
udir mi par ognor ch'ella pi tace.
Ogni pensier, fuor che di lei, si sface
prima che ne la mente giunto sia
de la mia fantasia,
che sanza lei non pu punto durare.
Ma perch'i' veggo Italia guastare,
i' priego Amor che per sua cortesia
tanta triegua mi dia,
ch'i' possa in sua difesa recitare
quello ch'io in vision udii narrare
a una donna con canuta chioma,
la qual mi disse ch'era l'alma Roma.
Sol con Amore un giorno a picciol passo,
de la mia donna ragionando, mossi
e, uscito de' fossi,
tenni per un sentier d'un bel boschetto,
per lo qual molte volte vommi a spasso
purgando gli umor freddi, secchi e grossi,
e montai gli alti dossi
de' verdi colli per pi mio diletto.
$
Quivi mi puosi sanza alcun sospetto
tutto disteso in un prato di fiori
e poi a quelli odori
sopra le braccia riposai la testa.
%38%|I|
Nel tempo che s'infiora e cuopre d'erba
la terra, s che mostra tutta verde,
vidi una donna andar per una landa,
la qual con gli occhi vaghi in essa serba
amore e guarda s che mai nol perde.
Luceva intorno a s da ogni banda:
per farsi una ghirlanda,
ponevasi a sedere in su la sponda,
dove batteva l'onda
d'un fiumicello, e co' biondi capelli
legava fior qua' le parean pi belli.
D'arbori chiuso dentro a un bel rezzo,
su la rivera d'un corrente fiume,
legando insieme l'uno a l'altro fiore,
i raggi suoi passavan per lo mezzo
de' rami e de le foglie, con quel lume
che si vedea nel suo gentil valore.
Quivi con lei Amore
istar vedea con tanta leggiadria,
che fra me dir sentia:
%43%|VI|
O sommo bene, o glorioso Iddio,
ch'alluminasti inanzi a Faraone,
come la Bibbia pone,
Ioseppo, onde fu scampo a quella gente,
lumina, Padre, lo 'ntelletto mio,
s che dir possa d'una visione
la vera intenzione,
la qual m' apparita nuovamente.
Mi parea visilmente
sopr'un bel fiume in un prato di fiori
una donna trovar, che ne la vista
mostrava tanto trista,
che facea pianger me de' suoi dolori:
per che m'era aviso
che, con quanto tormento fusse in lei,
gi mai gli occhi miei
veduto non avieno un simil viso.
Non men che la piet era il disiro
di spiar di suo stato e s del pianto:
ond'io mi trassi alquanto
pi verso lei e di ci la richiesi.
Ed ella, tratto ch'ebbe un gran sospiro
e gli occhi asciutti con suo scuro manto,
cos rispuose: "Ahi quanto
pi che pensi son gravi i miei pensieri!
$Tu vuoi ch'i' ti palesi
de l'esser mio e del tempo felice,
quando fiori portava e frutti e foglia;
che de la mia doglia
ancor ti manifesti la radice.
Certo il tuo dolce priego,
poi ch'a tanta piat per me se' mosso,
nasconder non mi posso:
e per in parte al tuo piacer mi piego.
Da Roma vennor gli antichi miei primi
e parte ne scenderon del bel monte,
che m' sopra la fronte,
quando gi cadde in tutto il suo potere.
E vo' che certamente pensi e stimi
ch' per le genti valorose e conte
e al ver tutte impronte,
che molto tosto crebbi in gran piacere
e vidi a' mie' voleri
quelle seguire, ch'or mi dan de' calci
(io dico ben qual mostra la maggiore),
alcuna per amore
e qual temia le mie taglienti falci.
E per darti omai copia
qua' fur gli antichi, sappi che ciascuno
in nel mio ben comuno
guardava pi che 'n la sua cosa propia.
In fin ch'i' fui con questi cotali,
i' vissi con vert onesta e pura
e non avea paura
di giudicio di Dio per mio peccato.
$Ma, lassa!, ora mi struggo a dirti i mali
onde son nati de la mia sventura,
temasi la vendetta
del Signore, a cui tanto manifesto".
Canzon, compiuto ch'ebbe il suo lamento,
la dolorosa donna trasse un grido;
po' disse: "O dolce e dilettoso nido,
quanto per voi tormento s'apparecchia!
Oda chi ha orecchia
e a cui tocca noti ci ch'io veggio:
trasformar Marte in oscura selva
e me latrando andar s come belva,
se mai non tornan tal qual io li cheggio".
E, detto questo, parve sparer via
ed io poi mi destai dov'io dormia.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Fazio degli Uberti
%44%|VII|
I' son la magra lupa d'avarizia,
de cui mai l'appetito non sazio,
e, com pi ho di vita lungo spazio,
pi moltiplica in me questa tristizia.
Io vivo con paura e con malizia;
limosina non fo n Dio rengrazio;
deh, odi s'i' me vendo e s'i' me strazio:
ch'io mor' di fame e ho de l'or divizia.
Io non bramo parenti n memoria;
n credo sia diletto n pi vivere
che l'imborsar e far rasgion e scrivere.
Lo 'nferno monimento de mia storia
e questo mondo 'l ben in cui m'annidolo:
il fiorino quel dio ch'io ho per idolo.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Fazio degli Uberti
%45%|VIII|
Stanca m'apparve a l'onde ben tranquille
quella, che pu di me far pi ch'i' stesso;
stanca m'apparve quella, in cui ho messo
gi tempo vano e d ben pi di mille.
#Honestus erat tantum visus ille#,
che chi mirar potuto avesse in esso,
sarebbe morto per le luci apresso,
pel gran folgor che spargien le pupille.
#O spes dilecta et vita cordis mei#,
vedi a che porto sono in questa barca
(#tu sola potes dare vitam ei#),
che per gran pena d'esto mondo varca.
#O cara soror, miserere mei#,
levando il peso il quale Amor mi carca,
pregando Citerea che d'aspri artigli
mi tragga e poi con dolci mi ripigli.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Antonio da Ferrara
%46%|ANTONIO DA FERRARA|
%47%|I|
e le piacevolezze,
le qua' de giorno in giorno in vui s'impinze.
$Per sappiati ben che non s'infinze
el spirto mio d'amarve infin a morte
e non me sere' forte
de soffrir pena e sostener tormento,
pur ch'io ve sia, Madonna, in piacimento:
ch se me provareti esser fidele,
so ben che puoi non me seri' crudele.
Ma se seriti dentro s piatosa
come de for appande el dolce riso,
io non ser diviso
d'aver piacer senz'aspettar lontano;
deh, chiara luce, bella e graziosa,
che de mi sola siti 'l paradiso,
fati che 'l vostro viso
in ver de mi se faccia umle e piano.
El don tanto pi val quant' tostano,
n aspetti tempo chi l'ha chiaro e verde,
che 'n un punto se perde
cosa ch'a recovrar el poder manca,
e questo quel penser che s me stanca,
che s'i' me parto senza vostra zoglia,
non so chi debba mai sanar mia doglia.
Canzon, tu te n'andrai s come fura,
che va de notte scura
perch persona non la veggia o senta;
e non te star contenta
pur de baciarli i pi, ma dilli tosta:
- Madonna, io vegno a vui per la resposta -.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Antonio da Ferrara
%53%|VII|
Lagrime i occhi e 'l cor sospiri amari
hanno sofferto tanto
ch'el me conven alquanto
sfogar la mente col tristo parlare.
Dolci diletti, miei compagni cari,
ben ve recordi quanto
Amor nel dolce manto
me porse grazia del bel vaghezzare!
Ch palese e secreto praticare
soleva Amor, come da tempo norma,
non dischiarando l'orma,
secondo el mio saper, del suo comando.
E or m'ha posto in bando
novellamente per mio gran defetto,
quasi come sospetto,
in cui non abbia sua fede pienera,
ch s'alcun la vert de sua bandera
per altro vizio lassa,
del suo quaderno el cassa
n fa del bel piacer seguir l'effetto,
e poi se perdonanza cher del fallo,
pi grav' assa' 'l perdon che non 'l fallo.
Quanto eran i occhi miei de mirar vaghi
quelle sue trezze bionde,
revolte a le ritonde,
%63%|I|
Chi non meco a rinovare il pianto
%68%|I|
Giravan gli occhi miei di dolor prengni
per voglia di veder quella lezadra
che nuovamente il cuor mi piega e squadra
come a lei piace senza troppi inzengni.
Ai, maladetti e dolorosi sengni,
di canto en canticel, di quadre in quadra,
che me appariro in quella notte ladra,
principio de martiri e de disdegni!
Allora ben previddi il gran dolore
del mio partire et anco il protestava
un tremito moderno e 'l batticore.
Possa nel luogo ove madonna stava
ad occhi chiusi riconobbi Amore,
per mio conforto, a lei che mi guidava.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Francesco di Vannozzo
%69%|II|
Sia benedetto el vespro e 'l predicare,
dove la vaga mia tal sonno colse
che stetter gli ochi miei, non quanto volse,
ma lieti in pace al suo viso mirare.
Io credo ben che Amore el fece fare,
come colui che di me si condolse,
menbrando il tempo che 'n fasse mi tolse
fuor de la culla in figlio a notricare.
D, quanto allor zoioso mio distino
mostrme el cielo, a reguardar madonna
seder con gli ochi chiusi a capo chino
su lato destro, e la vermiglia gonna
partir col bianco (in megio era oro fino),
la palma letto e 'l bel braccio colonna.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Francesco di Vannozzo
%70%|III|
Legiadro mio giardin, lucido e bello,
sussitator de zascun corpo morto,
tutto d'intorno chiuso di conforto,
dove s'asconde ogni zentil ucello,
perch trattato m'hai come fratello
coprendo bellamente ogni mie torto,
avegna che sia tardi, i' ti fo accorto
che 'l t' furato il tuo caro gioiello.
Non pur per te mo il dico, ancor per io:
io sento mormorar quind'oltre genti
che trattano de torne el nostro dio.
Per piangemo insieme ambi dolenti:
da ca' Zustinian
li prese tutti do per man
e feseli ballar.
Vu av a rasonar
che li era ben 'na allegrezza vardar
cotanta bella zenta co i' 'nghe vitti:
e puo' quel Marco Gritti e Pier Grioni,
Ugo da ca' Garzoni vezadi
e 'nmantelladi per entrar en danza,
s co s usanza de la cittade.
$Pu de suo voluntade
lo sposo fese artegnir,
s co 'l vette vegnir,
lo Marmora, che iera so compar,
e dise-i: "Dolce frar,
io te voio caramente pregar
che 'l te plaqua de cantar
e de vegnir a tresca".
Lo Marmora con la suo ciera fresca:
"Non voia Dio che me recresca,
an diroio una canzon:
"Tui ghe se' e io ghe son";
e dise: "d, l' bon, bel diridon";
e co la canzon fo riva,
'lo grida, ch'ognom l'oldiva,
ver lo sposado:
"Se Die te varenta 'l novizado
e se Dio te varda da mal morir,
plaquave de dir una canzon".
Affenido, co un castron,
prese a dir un madrigal,
e respose-i Zannin da Canal;
e la canzon fo tal co vu oldir:
"Puo' che se' gionta al partido,
fia mia, che tu se' sposa,
varda ben de non far cosa
che desplaqua a to marido.
E quando ch'el vien de notte,
che tu ve' ch'i' son irado,
non pensar ch'io te dia botte:
$fatte arente al mio costado,
che co ie son adormentado
da doman io son 'mendado".
Co la sposa l'ave oldido,
stette forte vergognada,
e puo' dixe: - Tas, brigada,
ch'io vo' dir una ballada -:
"Ardente mio marido,
caro frar, dolze Affenido,
el ver ch'io son to sposa:
vardarme de far cosa
che me sepi; io te 'nd'afido.
Quando ch'el ser di notte,
se tu vien apiornado,
io te dar tante botte
che tu non gaver flado;
e se avesse a z pensado,
no 'nd'avria tolto marido". Co sier Affenido
old quella resposta,
%82%|I|
Ogni cosa mortal convien che manchi,
ben che tal men e tal pi tempo dura;
unde, crescendo al fin di sua statura,
l'uom prima avanza e po' par che se stanchi:
el capo langue, el ventre, i piedi, i fianchi;
de giorno in giorno cade la natura;
la pelle increspa e perde soa figura
e i capii biondi imbruna e poi vien bianchi.
E s brive e ratta la dimora
nostra nel mondo qui pien di difetto,
che la maor parte se ritrova a l'ora
de la partita senza alcun protetto.
Ma quel saggio che sol s'inamora
di Dio, s ch'abia pace in suo conspetto.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Giovanni Dondi dall'Orologio
%83%|II|
Nel summo cielo con eterna vita
gode l'alma felice tua, Petrarca;
quivi de sodo sasso in nobel arca
la terena caduca parte sita.
La fama del tuo nome gi gradita
sonando va con gloriosa barca
di vera lode e, d'ogni pregio carca,
per l'universo in ogni canto udita.
Ne le scrite sentenze toe se vede
%88%|I|
- Deh fammi una canzon, fammi un sonetto mi dice alcun c'ha la memoria scema,
e parli pur che, datomi la tema,
i' ne debba cavare un gran diletto.
Ma e' non sa ben bene il mio difetto
n quanto il mio dormir per lui si strema,
ch prima ch'una rima del cor prema,
do cento e cento volte per lo letto.
Poi lo scrivo tre volte a le mie spese,
per che prima corregger lo voglio
che 'l mandi fuor tra la gente palese.
Ma d'una cosa tra l'altre mi doglio:
ch'i' non trovai ancora un s cortese
che mi dicesse: - Te' il danai' del foglio. Alcuna volta soglio
essere a bere un quartuccio menato
e pare a loro aver soprapagato.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Antonio Pucci
%89%|II|
Andrea, tu mi vendesti per pollastra
sabato sera una vecchia gallina
ch'era de gli anni pi d'una trentina
stata de l'altre genitrice e mastra.
E non fu mai s affamato il Calastra,
che mangiato avesse tal cucina,
per che la paria carne canina
e quell'omore in s c'ha una lastra.
Volevasi mandare a la fornace
e tanto far bollire ogni stagione
ch'ammorbidasse sua carne tenace.
Ma primamente il tegolo o 'l mattone
o calcina saria stata verace,
che quella mossa avesse condizione.
Mangia'ne alcun boccone
per fame e misi a repentaglio i denti:
per fa' che di altre mi contenti.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Antonio Pucci
%90%|III|
Quando 'l fanciul piccolino iscioccheggia,
correggil con la scopa e con parole,
e, passati i sette anni, s si vole
adoperar la ferza o la coreggia.
E se passati i quindici folleggia,
fa' col baston, ch altro no gli dole,
e tante gliene d che, dove sole
disubbidirti, perdonanza cheggia.
E se di venti 'n su 'l ben far nemica,
%95%|I|
Om il bel viso e om il dolce sguardo,
om gli atti leggiadri, onesti e alteri,
e om gli occhi suoi chiari e sinceri
ond'usc prima l'amoroso dardo!
Om l'antico amor per cui io ardo
e per cui tu, mio cor, convien che peri
fra tanta doglia e s grievi pensieri,
che mi fan di mia vita esser bugiardo!
Om il soave ragionar d'amore,
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Io porto scritto con lettere d'oro
ne la mia mente de le donne donna:
il perch d'esser servo a cotal donna
assai m' caro pi che tutto l'oro.
Quando i biondi capelli in lucente oro
veggio annodati da man di tal donna,
lieto ardo tutto per bilt di donna
e pi m'affino che nel foco l'oro.
Ond'io ringrazio te, caro signore,
che di tal donna m'hai or fatto amante,
che vince di color balasci e perle.
E sempre te chiamar vo' per signore
e lei per donna e star palido amante
a l'ombra de le sue guance di perle.
$@Trecento: Rimatori di scuola - Cino Rinuccini
%99%|II|
Chi costei, Amor, che quando appare
l'aer si rasserena e fassi chiara
e qual donna con lei tenuta cara
per le virt che prendon nel suo andare?
Ne gli occhi vaghi allor ti metti a stare,
nel cui lume Natura non fu avara,
signor, s che da te e lei s'impara
di non poter parlar, ma sospirare.
Bench se fusse Omer, Virgilio e Dante
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Le 'nfastidite labbra in ch'io gi pose
mille vaghe dolcezze, e quelle apersi
s come Citarea volse e serrai,
con altri ingegni omai, con altri versi,
mischiati con le lagrime angosciose,
qui si convien che cantino i lor lai!
O Furie infernali, ov'io sperai
gi son molti anni alla mia debil vita,
poi che grazia dal ciel pi non aspetto,