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Da V. Ilari, P. Crociani e G. C.

Boeri, Le Due Sicilie nelle guerre napoleoniche 1800-1815, Roma, USSME (© 2005), in
corso di pubblicazione, Tomo I, pp. 348-371.

9. LA MILIZIA NAPOLETANA
E I CORPI VOLANTI
(1800-06)

A. Le antiche milizie del Regno

L’antica milizia reale di leva napoletana (1563 – 1800)


Istituito nel 1563 dal viceré Perafan de Ribera duca de Alcalà su 74 compagnie di 300
uomini, reclutati in ragione di 5 per ogni 100 fuochi e riordinato alla fine del Seicento su 112
compagnie di 230 riunite in 9 “sergenzie maggiori”, nel 1704-06 il Battaglione di milizia
napoletano aveva fornito 2.000 uomini all’armata borbonica in Catalogna e le leve forzate
erano state una delle cause principali dell’insurrezione anti borbonica.
Soppressa il 26 dicembre 1708 dal viceré austriaco conte Daun per recuperare all’erario
l’importo delle franchigie fiscali godute dai militi (180.000 ducati), ma richiamata in servizio
già nel febbraio 1711, la milizia di leva fu riattivata nel 1743 da Carlo III e i primi 5 reggimenti
combatterono a Velletri. Riordinata il 7 luglio 1749 su 12 battaglioni di 7 compagnie, ma con
un organico di appena 5.040 uomini, nel 1765 la milizia fu di fatto soppressa, riunendo i
battaglioni a coppie per formare 6 nuovi reggimenti regolari, detti “nazionali” proprio in
riferimento alla loro origine provinciale.
La milizia provinciale (Real Battaglione) fu ripristinata dal ministro Acton. Ispirato ai criteri
suggeriti nel 1760 dal trattato di Sanchez de Luna duca di Sant’Arpino, celebrato da Melchiorre
Delfico e Giuseppe Maria Galanti come lo stabilimento della “nazione armata”, il decreto del
17 ottobre 1782 si limitava in realtà a istituire una riserva di 15.000 contadini dai 18 ai 36 anni,
con esclusione non solo degli ecclesiastici e delle classi elevate, ma anche dei loro domestici,
degli artigiani, degli addetti alle aziende pubbliche e degli studenti. I militi erano reclutati per
sorteggio con ferma decennale ed obbligo di istruzione domenicale, più 8 riviste e 1 adunata
annuali. La milizia era inquadrata da 11 colonnelli e 240 ufficiali inferiori tratti dalla nobiltà
della capitale, con riserva del grado di colonnello ai primogeniti e di capitano ai secondogeniti,
mentre ai figli della nobiltà provinciale erano riservati i posti di cadetto. Formava 120
compagnie di 125 teste, distribuite fra i vari colonnellati (20 Aversa e Sessa, 13 Campagna, 11
Montefusco, 10 Matera, 22 Amantea, 8 Bari, 9 Lecce, 11 Lucera, 7 Chieti, 8 L’Aquila).
Direttamente reclutata e organizzata dal re, la milizia provinciale aveva come scopo
prevalente, se non esclusivo, di costituire la riserva di mobilitazione dell’esercito. Con
ordinanza del 31 dicembre 1787 le compagnie furono aggregate per sei ai 20 reggimenti di
fanteria e in caso di guerra costituivano il loro terzo battaglione, con compiti presidiari e di
deposito. Per completare gli organici di pace, il 28 gennaio 1792 furono chiamati alle armi i
quattro quinti (12.000) dei militi provinciali, cento per compagnia. In realtà furono impiegati
solo 4.800 volontari riuniti a Capua e Gaeta mobilitare l’intera 2a Divisione e metà delle altre
due. Il 28 ottobre, in occasione del temuto sbarco francese nel Golfo, furono chiamati alle armi
3.300 miliziotti di 58 compagnie per sostituire nelle piazze i 18 battaglioni schierati alla
frontiera e sul litorale.
Completamente assorbita dall’esercito durante la mobilitazione del 1798, dopo la
restaurazione la milizia provinciale fu riorganizzata localmente dai presidi sulla base delle
antiche ordinanze e il 20 marzo 1800 furono stabilite le nuove paghe degli ufficiali. Cessò
tuttavia ogni rapporto organico con i nuovi reggimenti regolari costituiti sulla base dei corpi
sanfedisti e reclutati per ingaggio volontario e pochi mesi dopo la vecchia milizia “militare” fu
incorporata in una nuova milizia di tipo “politico”, con compiti prevalenti, se non esclusivi, di
sicurezza interna.

La milizia volontaria feudale e i volontari di frontiera (1794-98)


In occasione delle tre mobilitazioni contro la Francia alla milizia di leva furono aggiunte due
milizie volontarie, una feudale per tutto il Regno di Napoli e una locale di cacciatori reclutati
nella fascia di frontiera; anch’esse, come la milizia provinciale organizzata dallo stato, con
compiti esclusivamente militari di riserva ausiliaria e di complemento dell’esercito.
La milizia feudale fu “allistata” per la prima volta il 5 agosto 1794, con un contingente di
51.300 “volontari ausiliari” (pari all’11 per mille della popolazione) reclutato e armato a
proprie spese dai soli baroni che nel 1792 avevano sottoscritto i “doni gratuiti” per la difesa del
Regno. L’allistamento ebbe successo perché garantiva l’esenzione dal sorteggio per la
contemporanea leva del 4 per mille destinata a fornire 16.000 complementi per l’esercito.
Il 16 maggio 1796, mentre la cavalleria napoletana combatteva in Lombardia contro
Bonaparte, fu chiamata alle armi parte (40.000) dei volontari allistati nell’agosto 1794 per
formare un “corpo di milizia sciolta” di 40.000 volontari senza uniformi, con armi proprie,
esenzione decennale dai pesi fiscali e diaria di 25 grana (di cui 13 di “prest”) a carico degli enti
locali, inquadrati dai baroni. Decimati dalle terribili condizioni igienico–sanitarie degli
accampamenti tenuti in estate lungo la frontiera, i volontari furono in parte congedati il 16
ottobre. Parte (7.119 fanti e 4.032 cavalieri) fu però inquadrata in 13 nuovi reggimenti (2 di
fanteria, 5 cacciatori e 6 di cavalleria) formati da baroni, autorizzati a coprire i posti da ufficiale
inferiore mediante la vendita della carica.
Una nuova milizia baronale fu chiamata alle armi il 20 aprile 1798, estendendo l’obbligo a
tutti i baroni e considerando solo aggiuntivi gli eventuali “doni gratuiti”. I feudi, inclusi quelli
“moderni” che si protestavano esenti dal munus militiae, dovevano infatti fornire entro un mese
un volontario ogni 100 anime. Sotto la stessa data furono assoggettati ad analogo obbligo anche
vescovi, abati e capitoli, calcolando però un volontario ogni 1.000 ducati di rendita, mentre i
monasteri dovevano darne uno ogni 5 monaci. Erano eccettuati gli usufruttuari di terreni
allodiali o in enfiteusi, perché si specificava che le reclute dovevano essere scelte tra i
braccianti oppure in categorie non addette all’agricoltura, cioè artigiani, guardiani, facchini,
marinai, famigli, armigeri e altri impiegati baronali atti alle armi.
Nel 1794 erano previsti 60 battaglioni di fanteria di 800 teste aggregati per tre ai 20
reggimenti di linea, più 3.300 cavalieri ausiliari. Nel 1796-97 furono costituiti, come si è detto,
13 reggimenti (14 battaglioni e 24 squadroni). Nel 1798 questi ultimi furono portati sul piede di
guerra e furono inoltre costituiti 25 battaglioni cacciatori volontari, di cui 19 aggregati a
reggimenti di linea.
Il 21 aprile 1798 furono infine istituiti i volontari cacciatori di frontiera, 5.030 volontari da 16
a 45 anni, inclusi ammogliati e figli unici, robusti ed esperti di arte venatoria, reclutati nella
fascia di 12 miglia lungo il confine con lo Stato romano. Destinati esclusivamente alla difesa
locale, formavano 5 reggimenti (Truentini, Amiternini, Marsi, Liri e Formiani) su 2 battaglioni
di 4 compagnie di 124 teste.

B. I Reggimenti Urbani e Provinciali


del Regno di Napoli
Il nuovo modello napoletano di sicurezza interna
L’idea di poter prevenire e reprimere la rivoluzione mediante una forza di sicurezza interna
selezionata politicamente e capillarmente distribuita su tutto il territorio fu sperimentata in varia
misura in tutte le società di antico regime sia in Europa che in America, ma in Italia attecchì
soprattutto nel Regno di Napoli, dove, paradossalmente, fu ereditata e perfezionata dai re
francesi, che la rivolsero, con maggiore efficacia, contro la resistenza filo borbonica.
Concepita dal cardinale Ruffo, e promessa il 3 ottobre 1799 per dare una sistemazione ai
capimassa esclusi dall’esercito, la milizia urbana e provinciale del Regno di Napoli fu istituita
con R. editto del 12 luglio 1800, nel clima creato dalla sconfitta di Marengo e dall’armistizio di
Alessandria, fondendo in un unico corpo l’antica milizia di leva e le milizie volontarie create
nel 1794-98. Ma, accanto agli scopi militari immediati (consentire la radunata delle truppe
regolari alle frontiere e sostenerle in caso di invasione), traspaiono anche gli scopi politici e
sociali, decisamente prevalenti, di dare assistenza economica ai capimassa, nonché di
riconoscere l’ascesa sociale di quelli provenienti dai ceti più umili e di garantire il loro
strapotere sottraendoli alla giurisdizione ordinaria.
Diversamente dall’antica, la nuova milizia provinciale non era concepita come riserva
dell’esercito, ormai trasformato, come si è detto, in un “esercito di caserma” reclutato per
ingaggio volontario e svincolato dalla leva forzosa. Proprio per questa ragione la sua istituzione
fu criticata da Logerot, che la considerava un inutile spreco di risorse sottratte all’esercito
regolare (“molto male si è inteso, e con infinito dispendio”). Si trattava invece di una forza di
pubblica sicurezza, meno neutra, dal punto di vista politico, della guardia civica di tipo
francese. Da quest’ultimo il modello napoletano (applicato nel 1803 nello stato pontificio e
ripreso e perfezionato nel 1806 sotto Giuseppe Napoleone e nel 1809 sotto Gioacchino Murat)
differiva in due punti essenziali, il reclutamento e l’inquadramento.
La guardia nazionale di tipo francese si basava infatti sull’obbligo generale e personale e sul
principio democratico (senza gerarchie stabili e retribuite, bensì elettive, gratuite e temporanee
con frequente rotazione e divieto di immediata iterazione delle cariche). La milizia napoletana
era invece composta di volontari di sicura fede politica eventualmente integrati da una leva
selettiva, con gerarchie stabili e ben retribuite nominate dall’alto. Era in realtà il “partito
armato” dei monarchici, la perpetuazione dello squadrismo sanfedista legalizzato e inserito
nell’apparato repressivo e di controllo sociale capillarmente diffuso su tutto il territorio: un
incunabolo, insomma, di quella che sarebbe poi stata la Milizia Volontaria per la Sicurezza
Nazionale.
Negli ambienti sanfedisti non mancarono opposizioni contro la milizia. A Caserta
scoppiarono tumulti quando il preside Salomone tentò, senza riuscirvi, di requisire le armi
occorrenti per la milizia: “governo scellerato – diceva un cartello, non riguardate che noi siamo
tutti soldati e volete disarmarci? Fate i fatti vostri, Giacobi scellerati”. Dal canto suo il governo
non si fidava neppure della milizia: Colajanni li considerava al tempo stesso notori manutengoli
dei ladri e “il sostegno del trono e la forza del regno” e nella riunione della giunta di stato del
23 agosto 1801 si disse che la milizia era piena di elementi “intrigati in tutt’i delitti” e per lo più
“feccia della gente”.

I compiti, la precedenza sugli armigeri e l’istruzione


Il R. Editto del 12 luglio destinava la nuova milizia “a mantenere la tranquillità nell’interno
della Monarchia ed a farla rispettare al di fuori, come tutti gli altri corpi effettivamente
costituenti il nostro Real Esercito”. Il servizio ordinario di pace, disciplinato dagli artt. XIII e
XIV del RE e dal R. dispaccio del 17 aprile 1802, prevedeva servizi gratuiti (ronde notturne,
guardia dei teatri, arsenali e posti vicini alle carceri, travagli militari e altri posti destinati da S.
M.) e retribuiti, a carico dello stato (guarnigione) o degli enti locali (riviste generali di
ispezione, accampamenti, esercizi di battaglione). A carico di questi ultimi era anche il servizio
in tempo di guerra (marcia, accampamento, guardia ai confini, azioni fuori provincia). Norme
complementari aggiunsero la ricerca dei disertori, con premi di 6 ducati per l’arresto da pagarsi
al reggimento (20 luglio e 8 settembre 1801), le spedizioni contro i malviventi (14 settembre) e
i servizi individuali comandati dagli ufficiali per spedire carte d’ufficio ai superiori (11 gennaio
1802). L’alloggio in missione era a cura dei sindaci (11 gennaio 1802).
Tra le disposizioni volte a tutelare il prestigio della milizia c’erano la punizione dell’oltraggio
(R. dispacci 25 giugno 1801 e 13 novembre 1802) e la precedenza delle pattuglie di milizia
sugli armigeri, tenuti a dimostrare verso di esse la maggior circospezione e subordinazione (R
Ordinanze del 1789. cap. XVIII, art. VIII, R. decreto 3 aprile 1800, art. X). I poliziotti (“birri e
venturieri”) erano del resto esclusi dalla milizia e quest’ultima doveva essere impiegata
secondo i criteri generali stabiliti dalla R. ordinanza sul servizio delle piazze (“la forza militare
deve somministrarsi in sostegno della politica ne’ soli casi momentanei e urgenti e deve agire
militarmente, senza mescolarsi i soldati co’ sbirri, o assegnarsi in tal incontri partite fisse”).
L’art. XII del RE prevedeva il distacco di sottufficiali regolari nei capoluoghi delle
compagnie e squadroni per l’istruzione di base dei miliziani, da svolgersi in tutti i giorni festivi.
Gli ufficiali “non ancora esperti” dovevano esercitarsi nelle guarnigioni, e una volta all’anno si
dovevano svolgere “grandi manovre colle artiglierie”. Per i dragoni erano previsti istruzione e
servizio tanto a piedi quanto a cavallo (art. XV).

L’immissione obbligatoria e il reclutamento volontario e di leva


L’art. VI del RE immetteva nella nuova milizia, con ferma di 5 anni, le reclute della leva del
2 settembre 1798 e anteriori e gli appartenenti alla vecchia milizia che non avevano ultimato la
ferma decennale. Con separato editto del 12 luglio 1800 vi furono incorporati inoltre anche i
cacciatori franchi e i volontari cacciatori di frontiera. Erano ammessi inoltre volontari ordinari e
miliziotti congedati che volevano arruolarsi nei nuovi corpi. Tuttavia, in deroga alla RO del
1789 p. III, c. XIII, art. III, con R. dispaccio del 1° dicembre 1801 fu vietata la riammissione in
servizio in caso di condanna a galera o a presidio.
I ruoli erano completati col sorteggio di un uomo ogni 100 anime secondo il censimento
ecclesiastico del 1798. Erano soggetti alla leva gli uomini dai 18 ai 50 anni, atti alle armi, non
inquisiti e di buona condotta, eccettuati soltanto gli ecclesiastici ordinati in sacris e gli
impiegati negli uffici regi. Il tasso del 10 per mille era calcolato con una certa larghezza, tenuto
conto che gli organici della milizia, incluse le reclute delle altre categorie, corrispondevano al
14 per mille della popolazione, ma questo limite massimo non si applicava nella città di Napoli,
la cui milizia urbana aveva un organico pari al 45 per mille degli abitanti. Nella capitale
l’esecuzione della leva era demandata all’ispettore e comandante generale della milizia urbana,
in Terra di Lavoro al commissario di campagna e nelle altre province al preside. Il sorteggio
(“bussola”) era effettuato localmente dal “governo civico” e doveva avvenire “in pubblico
parlamento” e con l’intervento del governatore locale e del parroco.
Erano ammessi surrogazioni e cambi (art. VI RE e R. dispacci del 26 ottobre e 30 novembre
1801 e 8 giugno 1802) nonché l’ingaggio nelle truppe regolari (15 marzo 1802). La mancata
presentazione per l’ascrizione ai Reggimenti di Milizia era punita con la condanna a 8 anni di
ferma nella linea (R. dispaccio del 25 novembre 1800). Dalla leva e dall’ascrizione volontaria
erano esclusi gli inquisiti e indultati per trascorsi rivoluzionari e repubblicani e, con R.
dispaccio del 25 maggio 1801, anche birri e venturieri di dogane, arredamenti, tribunali e corti,
ancorché soggetti alle leve forzose del 1794-98.

La selezione dei Quadri


Gli ufficiali, aiutanti, cadetti, cappellani, chirurghi e sergenti della milizia erano nominati su
proposta dell’ispettore comandante generale, il quale, “prese le dovute notizie”, li indicava tra i
militari senza soldo e i “pagani” che, “nell’aborrire il partito rivoluzionario, si (fossero)
veramente distinti nell’attuale guerra per la fedeltà e per le coraggiose operazioni a favore della
Real Corona e dello Stato, inclusi gli appartenenti all’antica milizia provinciale e un’aliquota di
ufficiali aggregati alle piazze o “senza fisso destino”, con l’impegno del re ad accordare la paga
intera “a taluni pochi” distintisi con “azioni singolari ed illustri per liberare il Regno dagli
invasori” (art. VIII RE). Gli ufficiali erano destinati ai reparti più vicini alla loro residenza (art.
X RE).
Con R. ordine dell’11 gennaio 1801 gli ispettori delle armi di linea furono incaricati di
spurgare i reggimenti trasferendo alla milizia gli ufficiali esuberanti e provenienti dalle masse e
in tale occasione passarono nella milizia almeno tre ufficiali dei fucilieri di montagna. Il 2
febbraio vari ufficiali di linea furono distaccati ad organizzare i reggimenti provinciali,
specialmente in Abruzzo e Terra di Lavoro. Il 21 giugno passarono nei dragoni provinciali i
bassi ufficiali e alcuni individui del disciolto battaglione dei dragoni leggeri. Il 21 marzo 1802
vari sottufficiali del treno furono trasferiti nella milizia urbana.

Il foro militare e l’istituzione degli uditori di guerra per la milizia


Il più importante privilegio, stabilito nell’interesse della milizia e perciò non rinunciabile
individualmente, era il “foro militare” nelle cause passive civili e criminali, con esclusione
delle cause attive e di quelle relative all’amministrazione degli enti locali. La milizia aveva
sempre goduto del foro militare, fin dall’epoca spagnola. Ma la riorganizzazione del 12 luglio
1800, integrata dalle Reali Istruzioni del 15 dicembre 1801, ritagliò, all’interno della stessa
giurisdizione militare, uno spazio specifico ed esclusivo per la milizia provinciale, per meglio
tutelare lo strapotere e perfino lo squadrismo degli ex-sanfedisti. A differenza della milizia
urbana, soggetta alle due corti militari di Napoli (udienza generale di guerra e casa reale e
consiglio supremo di guerra), quella provinciale fu infatti sottratta non solo all’autorità
giudiziaria civile, ma in parte anche ai tribunali militari provinciali, presieduti dal preside e
composti di togati (assessore, avvocato e procuratore dei poveri, procuratore fiscale), ai quali
furono lasciate solo le cause criminali passive relative agli ufficiali, cadetti e volontari di
milizia ascritti come gentiluomini.
Le cause civili passive (tranne quelle relative all’amministrazione degli enti locali) e la
cognizione dei delitti commessi dai chirurghi, sottufficiali e truppa provinciale furono invece
attribuite ad un nuovo giudice monocratico (“uditore di guerra per la milizia”) addetto
esclusivamente ad uno specifico battaglione e incaricato anche della vigilanza disciplinare sulla
condotta e i costumi dei membri della milizia (RE art. XVIII, RI art. XIII) e della raccolta di
informazioni sui disertori (RI art. VIII, XI e XII).
Gli uditori, scelti dal tribunale militare provinciale (e in Terra di Lavoro dal governatore
militare di Capua o dal commissario di campagna) tra i laureati (RE art. XVIII), dipendevano
dai presidi, loro diretti superiori, ma non potevano procedere senza il permesso e l’intelligenza
del colonnello (RO c. XIII, art. LXXXII, RI art. XI e XIII, R. dispaccio del 9 agosto 1802) e
senza l’assistenza di un ufficiale da lui destinato (RE art. XIII, R. dispaccio 29 giugno 1801 art.
I). Il decentramento della giurisdizione militare incideva anche su quella civile, perché, in caso
di complicità tra civili e membri della milizia, la causa era sottratta al giudice del locus
commissi delicti e trasferita al giudice del luogo di residenza dell’uditore militare che doveva
procedere “unitamente” a lui. (RE art. XVIII e R. dispaccio del 29 giugno 1801 art. I).
L’uditore sceglieva il cancelliere (attitante), salva l’approvazione del preside (RD 29.6.1801
art. V). Ad uditori e attitanti spettava la tassa (diritti giudiziari) concessa alle corti del Regno,
con divieto però di esigere alcuna somma nelle cause criminali in residenza, ancorché offerta
volontariamente dalle parti. Per trasferte fuori sede ad istanza delle parti, queste erano tenute a
pagare una “dieta” di 10 carlini all’uditore e 5 all’attitante, oltre ad “accesso” e “ricesso”. Nelle
cause meramente fiscali l’importo delle diete era dimezzato e liquidato sui proventi fiscali esatti
per pene contumaciali dai sottoposti alla giurisdizione militare (RI art. VI).
Con RD 10 marzo 1802 fu assegnato un uditore ad ogni battaglione di fanteria o dragoni
provinciali. Dovevano essere perciò 96 (70 + 26), ma nell’annuario di corte del 1804 ne
troviamo soltanto 73, distribuiti inoltre irregolarmente, con una vistosa eccedenza in Terra di
Lavoro (23 anziché 14) e cifre in difetto nelle altre province, una delle quali (Lucera) ne era del
tutto priva, mentre a Chieti le funzioni dei 6 uditori previsti erano supplite da 4 governatori
locali. I laureati erano solo 18, tutti impiegati in Terra di Lavoro.

Restrizioni all’arresto di militari da parte dei giudici civili


L’arresto dei militari, specie degli ufficiali, era soggetto a particolari restrizioni. L’ordine era
riservato al preside, dietro rapporto e richiesta del comandante di reggimento o di “altro a cui
spetti” (RI art. VIII). In materia penale l’ordine d’arresto spiccato dal giudice pagano doveva
eseguirsi per il tramite del braccio militare, salvo in casi di fuga o nascondimento. Nelle cause
civili passive gli arresti personali e il sequestro di beni in esecuzione di giudicati di tribunali
pagani erano disposti “coll’intelligenza e col braccio” dei rispettivi superiori militari (RO art.
II).
Tuttavia, trovandosi nell’edificio del tribunale, l’ufficiale era tenuto ad ubbidire
all’intimazione d’arresto fattagli nel Real Nome da un magistrato nell’esercizio del suo ufficio
(“amministrante attualmente la giustizia”). In caso di resistenza, gli armigeri (“famiglia
armata”) erano autorizzati ad usare la forza, ma soltanto per impedirgli la fuga . In “flagranza di
scandaloso eccesso di un ufficiale”, la famiglia armata poteva intimargli l’arresto di propria
iniziativa, ma senza mettergli le mani addosso, limitandosi a circondarlo con le armi spianate,
dandone immediato avviso al corpo di truppa o al comando militare più vicino. In entrambi i
caso l’autorità pagana doveva farne relazione al ministro della guerra e al comandante militare
del luogo. (RO c. XVIII, art. I e II; RD 3 aprile 1801 artt. I-III e V).
Le forze di polizia (“forze politiche”) erano autorizzate all’arresto di rei flagranti, fuggiaschi
e disertori, con obbligo di immediata consegna al posto militare più vicino. L’autorità civile era
tenuta a consegnare gli arrestati all’ufficiale che lo richiedesse con prescritti rapporti. Le
perquisizioni disposte nei confronti di civili ma in case in cui fossero alloggiati ufficiali
superiori con guardie o ordinanze, dovevano essere effettuate col permesso degli ufficiali
maggiori. Si minacciava “severo castigo” ai militari che facessero resistenza, e “reale
indignazione e pene a real arbitrio” ai magistrati che contravven(issero) ai sovrani stabilimenti
o in qualunque modo ecced(essero) contro i soldati” (RO, artt. VI, VII e IX, RD art. VIII, IX e
XI).

Franchigia della carta bollata, nobiltà personale e onori funebri


Altro privilegio comune era l’esenzione dall’obbligo di usare la carta bollata negli atti
pubblici, concessa con R. dispaccio 22 dicembre 1801). Ai dragoni che servivano con cavallo
proprio era riconosciuta inoltre la “nobiltà personale” per tutto il tempo del servizio, con gli
stessi privilegi dei naturali delle città demaniali pur essendo di paesi baronali (art. VII). Ai
militi spettavano inoltre gli stessi onori funebri della truppa “viva” (10 agosto 1801).

Sanzioni per il matrimonio senza permesso


Conseguire il grado di ufficiale della milizia aveva l’inconveniente, per gli scapoli, di essere
assoggettati alle dure sanzioni previste dal R. editto 28 novembre 1796 per il matrimonio senza
reale permesso. L’ufficiale era privato per 15 anni dell’avanzamento e di un terzo della paga,
ma la sua era la punizione minore: l’editto comminava infatti addirittura la relegatio in insulam
al celebrante (4 anni a Favignana), ai superiori e al cappellano per omessa vigilanza (3 anni a
Pantelleria) e al padre della sposa reo di non aver impedito le nozze (2 anni ad Ustica). In
mancanza del padre, era punita la madre titolare della patria potestà (due anni al conservatorio).
La sanzione per la sposa erano 15 anni di reclusione in conservatorio, mantenuta con la ritenuta
sullo stipendio del marito.

Cassazione dai ruoli


In tutte le società di antico regime la rivalità tra birri e soldati dava spesso luogo a incidenti,
specialmente quando i soldati cercavano di impedire un arresto o di liberare un arrestato. L’art.
X delle RO e l’art. XII del RD 3 aprile 1801 prescrivevano l’arresto immediato di pagani,
subalterni e armigeri che avessero “dato preventiva causa” ai disordini commessi dai militari.
L’“esimizione di rei dalla giustizia ordinaria” da parte di membri della milizia era nondimeno
sanzionata con la perdita del foro miliare, mediante cassazione dai ruoli e consegna ai tribunali
ordinari (R. dispaccio 15 giugno 1802).
La cassazione era comminata anche ai militi notoriamente di “mal costume” o inquisiti per
delitti commessi prima dell’arruolamento e comportanti pena di corpo afflittiva (R. dispacci del
27 giugno 1801 e 27 gennaio 1802). Erano però graziati dalla cassazione gli inquisiti per ferite,
qualora non fossero recidivi specifici e avessero ottenuto la remissione di parte e la fede di
salute dell’offeso (R. dispaccio 15 giugno 1802). L’“asportazione di somme senza previo
permesso dei superiori”, provata da flagranza, fatto notorio o confessione spontanea, era
sanzionata con la condanna a 8 anni di ferma nella linea (R. dispacci 14 settembre e 1°
dicembre 1801).

C . L’organizzazione dei Reggimenti

Ordinamento e organici della milizia


Secondo l’art. VIII del RE, la milizia era posta sotto la “protezione” del principe ereditario
Francesco (tornato però a Napoli solo il 31 gennaio 1801 assieme ad Acton) e il comando in
capo del maresciallo Luigi Adolfo di Rosenheim ispettore e comandante generale, da cui
dipendevano 12 sub ispettori e comandanti provinciali. Tali funzioni erano attribuite ai presidi
e, per la Terra di Lavoro, al comandante della piazza di Capua. Comandante e sub ispettore
della milizia urbana di Napoli era il colonnello Scipione Lamarra (che esordì nell’incarico
subendo il furto della carrozza).
La fanteria provinciale del 1800 era leggermente meno numerosa della fanteria volontaria del
1794: 44.234 uomini contro 48.000, ma in compenso aveva un maggior numero di ufficiali: 68
battaglioni invece di 60 e 340 compagnie invece di 240. La cavalleria era poi il doppio, con 12
reggimenti e 48 squadroni contro 6 e 22. Inoltre erano aggiunte la milizia urbana di Napoli su
100 compagnie (13.010) e 12 squadroni, Complessivamente 67.228 uomini riuniti in 60
reggimenti, 44 di fanteria (57.244) e 16 dragoni (9.984 uomini e 8.768 cavalli), più una riserva
di 2.024 soprannumerari. e 2.024 animali da tiro per il traino dei 176 pezzi da campagna
nominalmente assegnati ai reggimenti di fanteria. Questi ultimi (34 provinciali e 10 urbani)
erano ordinati su 2 compagnie granatieri e 2 battaglioni di 4 compagnie fucilieri, con un
organico di 1.301 teste inclusi 46 ufficiali, 2 aiutanti, 2 cappellani e 20 cadetti. I reggimenti
dragoni (4 per Napoli e uno per ognuna delle 12 province) avevano lo stesso organico della
cavalleria regolare (624 uomini inclusi 25 ufficiali e 548 cavalli, su 4 squadroni di 150/130).
L’organico della milizia provinciale fu stabilito al tasso del 14 per mille della popolazione,
già adottato nel 1798 per le milizie volontarie feudali dei Regni di Napoli e Sicilia. Tuttavia,
poiché si dovevano formare reggimenti di uguale organico, il carico sulle province non poté
essere distribuito in misura uniforme. Si andò così dal 14 di Abruzzo Ultra, al 13 di Cosenza,
Matera e L’Aquila, al 12 di Salerno, Montefusco, Lucera e Catanzaro sino al 10 di Trani e
Lecce. Queste riduzioni furono compensate dal maggior carico imposto a Napoli e Terra di
Lavoro, mediamente del 18 per mille. Apparentemente la capitale era penalizzata, perché
l’organico dei 14 reggimenti urbani corrispondeva al 47 per mille degli abitanti, mentre il
contingente provinciale della Terra di Lavoro corrispondeva solo al 7.4 per mille della popolosa
provincia (anche se poi fu aumentato di due reggimenti, V di fanteria e II dragoni). In realtà la
città forniva solo i primi tre reggimenti urbani (I, II, III) e il I dragoni (4.527), mentre gli altri
10.939 erano reclutati nei limitrofi “casali” della Terra di Lavoro.

Paghe, uniformi, bandiere e bande


Agli ufficiali della nuova milizia, nominati tra i militari in ritiro e i benemeriti della
resistenza sanfedista, fu attribuita la paga stabilita il 20 marzo 1800, inferiore da un terzo alla
metà di quella degli ufficiali di fanteria in servizio attivo, senza indennità né maggiorazioni per
i dragoni. Al colonnello spettavano perciò 36 ducati mensili, al tenente colonnello 33, al primo
maggiore 24, al secondo 21, al quartiermastro e ai capitani 18, all’aiutante maggiore e ai tenenti
15, ai sottotenenti 12, al primo aiutante 10 e al secondo 8. Gli ufficiali locali erano però esclusi
dalla franchigia spettante ali ufficiali di truppa viva impiegati nel Regno (R. dispaccio dell’11
agosto 1802).
L’art. XIII accordava ai miliziani di grado inferiore una semplice diaria (prest) per i servizi
retribuiti di durata superiore alle ventiquattro ore, dell’importo di 20 grana per cappellani,
chirurghi, cadetti e sottufficiali, 15 per caporali e carabinieri e 12 per i comuni.
L’uniforme (art. XVII) era a carico dei miliziani, ma soltanto gli ufficiali e i sottufficiali
erano tenuti a provvedersene. La truppa doveva però dotarsi di cappello con falda rialzata e
mostre (colletto e paramani) del colore distintivo della provincia. A carico dell’erario era il
vestiario per le aliquote chiamate in servizio di guarnigione, che al momento della muta lo
passavano al distaccamento montante. I colori delle uniformi (rosso per la fanteria e blu per i
dragoni) e delle mostre furono stabiliti dall’ispettore e comandante generale con ordinanza del
28.10.1800. Il R. dispaccio 15 giugno 1802 concesse la facoltà di far uso di uniforme grigio con
mostre rosse e cordoncino del colore provinciale. Le bandiere e gli stendardi recavano impresso
da una parte lo stemma delle armi reali e dall’altra quello della provincia, con l’indicazione del
numero reggimentale (art. XVI).
Numerose disposizioni complementari riguardarono poi le bande dei reggimenti, non previste
dagli organici, ma formate dai tamburi e dalle trombe e dirette da un tambur maggiore. Il
mantenimento delle bande era a carico degli enti locali (R. dispacci 4 febbraio 1801 e 1° marzo
1802) ma il 25 febbraio 1802 furono sottoposte ad un’amministrazione speciale, la “giunta
economica delle Bande”, con a capo il maresciallo Micheroux, formata da 8 membri (colonnelli
duca della Manta, principe di Supino e duca di Minervino, tenente colonnello principe di
Torchiarolo, tenente Giacinto Orsini, conte di Sinopoli, marchese di Sinno e Antonio Favi) e un
segretario (capitano Francesco Camerota).

I ruoli provinciali dei cavalli da sella e degli animali da tiro


I cavalli e il foraggio erano a carico dei dragoni volontari oppure dei proprietari dei cavalli
requisiti per il servizio della milizia provinciale. A tal fine era prevista la formazione di ruoli
provinciali dei cavalli atti al servizio, stabiliti mediante sorteggio fra i benestanti proprietari di
almeno tre cavalli e rinnovati ogni quinquennio esentando quelli del turno precedente. La tassa
era di un cavallo per i proprietari di tre e di due per i proprietari di cinque o più. I cavalli
dovevano essere forniti a cura e spese del proprietario di sella e finimenti militari, rimpiazzati
ove mancati e tenuti a disposizione del reggimento per la durata della ferma. La requisizione
era ordinata di volta in volta dagli ufficiali superiori nei soli giorni di istruzione e servizio, con
restituzione al proprietario. Le spese di foraggio erano anticipate dalle comunità, con rivalsa sul
proprietario. Lo stesso metodo era previsto per formare il ruolo degli animali da tiro destinati al
traino di 4 cannoni da campagna per ogni reggimento di fanteria (art. VII RE)

Il costo finanziario della nuova milizia


Il costo teorico della nuova milizia rappresentava per il Regno di Napoli una “stangata” di
2.4 milioni di ducati, esclusi gli oneri individuali per la requisizione di cavalli e animali da tiro
e la provvista dell’uniforme. Le sole spese d’impianto gravavano gli enti locali di 1.7 milioni,
384.073 gravanti sulla capitale e casali limitrofi e 1.280.658 sulle province. Il solo armamento
(52.932 fucili con baionetta e 16.720 cangiarri da fanteria, 9.136 carabine, 9.488 sciabole e
18.976 pistole da cavalleria, con dotazione individuale di 60 cartucce) comportava un costo di
731.376 ducati, pari al 43.9 per cento del totale. Erano inoltre previsti 264.441 ducati (15.9%)
per l’equipaggiamento individuale, 350.249 (21%) per tende, marmitte e borracce e 318.665
(19.1%) per un fondo speciale per macchine d’artiglieria. Le ultime due voci rimasero però
sulla carta e anche la spesa per armamento ed equipaggiamento fu probabilmente più contenuta,
oltre ad essere spalmata sugli esercizi successivi.
Gli enti locali dovevano inoltre conservare armi, equipaggiamento ed utensili di campagna in
una stanza “ben condizionata” come magazzino e farli tenere in buon ordine da persona idonea
destinata dai capi militari (art. XI RE e R. dispacci 14 e 27 marzo 1801).
Il mantenimento della milizia gravava inoltre gli enti locali di altri 701.384 ducati all’anno, di
cui un quarto su Napoli e casali. Il 65 per cento (455.520) era costituito dalle paghe di 2.420
ufficiali e 120 aiutanti, il resto (245.864) dall’importo di un mese di prest, tenuto in deposito
per remunerare i servizi prestati dai miliziani di grado inferiore. L’art. XIV del R. E. destinava a
tale scopo i “sopravanzi” degli enti locali, con facoltà, qualora insufficienti, di imporre
“discrete tasse sopra i soli benestanti secolari ed ecclesiastici: mentre Noi nell’imposizione de’
pesi dello Stato terremo presente quest’articolo, per non gravare i Nostri amatissimi sudditi”.
L’amministrazione da parte degli enti locali si rivelò ben presto impossibile. Con R. ordine
del 17 novembre 1801 se ne dette incarico all’intendenza militare, disponendo che le fossero
versate le somme raccolte dalle università Si calcolava un introito di 1.975.000 ducati ma
l’incasso non fu neppure di un terzo, appena 585.000, più 114.000 che figuravano già spesi in
acquisto di armi (“in gran parte fraudolentemente”). L’insufficienza dei fondi giustificò
nell’agosto 1802 la decisione di sospendere la formazione dei reggimenti e la segreteria di
guerra e marina impiegò il denaro per provvedere alle altre pressanti esigenze. Nella relazione
del 12 aprile 1804 Colajanni rilevò che la segreteria di guerra non aveva “curato di prender
conto né del danaro speso sulla esazione della tassa per compera d’armi e correame né delle
frodi occorse in tale esazione, né della esistenza e valore di quei generi, né del danaro esatto e
rimaso in mano de’ sindace ed esattori”, insinuando dubbi anche su Nunziante.

La formazione dei Reggimenti


Con la consueta energia, il 16 ottobre 1800 il preside di Teramo, marchese Rodio, intimava
alle autorità locali di presentargli entro tre giorni i conti relativi alla milizia, dando ragione ai
proprietari e ai benestanti che si erano lagnati con lui dell’“ingiusto ratizzo” fatto da taluni
amministratori, parroci e governatori e minacciava severe punizioni a chi, invece di utilizzare “i
sopravanzi” come stabilito dalle norme, aveva attinto alle somme accantonate per pagare i
debiti comunitativi. Il 26 ottobre avvisava che avrebbe passato l’ispezione ai corpi provinciali e
ordinava alle autorità di intimare ai miliziani di tenersi pronti ad ogni chiamata di rivista o di
marcia, pena l’arresto dei parenti e il sequestro dei beni. Il 19 novembre, in vista di una
possibile ispezione del principe ereditario, appena arrivato a Napoli con Acton, dava
disposizione di leggere in chiesa, per tre feste consecutive, un appello ai miliziani a “vestirsi del
proprio”, acquistando il panno in deposito a Teramo presso Erasmo Muzii e Pancrazio
Marcellesi, al prezzo di Napoli maggiorato delle sole spese di trasporto.
Al 22 gennaio 1801 Rodio aveva raggiunto il 96 per cento della sua quota, ma era al secondo
posto dietro al collega dell’Aquila, che aveva già completato i suoi tre reggimenti. Nelle altre
province, però, la formazione delle liste era ancora in alto mare. La Terra di lavoro e la città di
Napoli, al terzo posto, erano ancora al 65 per cento, Salerno al 53, Catanzaro al 47, Montefusco
al 46, Lucera al 38, Trani al 24 e Lecce appena al 18, mentre Chieti, Matera e Cosenza non
avevano neppure cominciato il reclutamento. Erano iscritti a quella data 30.793 miliziani,
inclusi 3.970 dragoni. Risultavano però “vestiti e armati” solo 2.180 militi urbani di Napoli e
540 provinciali a Nola, Aversa e S. Maria Capua Vetere.
La formazione della milizia proseguì anche dopo la pace di Firenze, integrando l’editto con
disposizioni sulle bande (4 febbraio 1801), i magazzini (14 e 27 marzo), il servizio ordinario in
pace (17 aprile), le modalità di pagamento del vestiario (24 aprile), l’esclusione di birri e
venturieri dalla milizia (25 maggio), la tutela del prestigio (25 giugno), i premi per l’arresto di
disertori (20 luglio e 8 settembre), le spedizioni contro i malviventi (14 settembre), il rilascio
delle patentiglie (14 settembre e 31 ottobre), le surrogazioni e i cambi (26 ottobre e 30
novembre), l’esenzione dall’obbligo della carta bollata (22 dicembre), i servizi individuali e
l’alloggio in missione (11 gennaio 1802), il soldo ai SU per i generi di vestiario da bonificarsi
da parte della dismessa deputazione del vestiario (20 gennaio), l’amministrazione delle bande
(25 febbraio), l’ingaggio nelle truppe regolari (15 marzo), l’uso dell’uniforme (29 marzo e 15
giugno), l’età minima di 16 anni per essere ammessi nelle bande (2 maggio), le trombe (15
settembre) e ancora sui cambi (8 giugno) e la tutela del prestigio (13 novembre). Queste
disposizioni furono poi raccolte e commentate dal preside di Lecce, marchese della Schiava,
insieme con quelle relative al foro militare.
Il 13 dicembre 1800 si dispose la costituzione di un Reggimento di milizia anche a Gaeta per
il servizio della piazza. L’istituzione di una milizia di 244 uomini nell’enclave pontificia di
Benevento, suscitò nel 1803 le proteste del papa. L’8 settembre 1801 otto battaglioni urbani,
assieme a 14 di linea, presero parte per la prima volta alla consueta parata di Piedigrotta:
secondo il diarista De Nicola la parata riuscì bene, nonostante la pioggia, ma fu “guastata” dagli
urbani, “tanto per la loro figura quanto per la loro inerspertezza”. Al 1° gennaio 1803 la milizia
aveva 788 ufficiali pagati di regio conto e 550 a carico degli enti locali. Nel 1803 gli effettivi
erano 50.603, inclusi 6.828 dragoni.
Sospesa a tempo indeterminato nell’agosto 1802, l’organizzazione dei reggimenti rimase
incompleta. Come risulta dall’annuario di corte, solo due reggimenti (VI e VIII di Napoli)
avevano coperto i tre incarichi di vertice (direttore, tenente colonnello e maggiore), mentre in
altri tre (Venosa, Tursi e Foggia) erano tutti vacanti. Trenta reggimenti (29 provinciali e 1
urbano) erano senza direttore, 28 (23 e 5) senza tenente colonnello e 41 (31 e 10) senza
maggiore. In compenso, nelle province di Salerno e Montefusco c’erano due colonnelli
organizzatori (G. de Roches e A. Siricio). Nell’elenco dei quadri superiori spicca l’assenza di
Fra Diavolo, ossia il colonnello Michele Pezza, ma troviamo in compenso tutti i più famosi
“ras” sanfedisti: Nunziante, Schipani, Curcio, de Settis direttori, Papa, Autuori, Fascetti,
Falsetti, Salomone tenenti colonnelli, Guariglia e Gualtieri maggiori.

Lo scioglimento della milizia


Nella convulsa situazione creata dal ritiro delle truppe francesi dalla Puglia, dallo sbarco
anglo-russo a Napoli e dalla mobilitazione napoletana, l’art. XII del R. decreto 4 dicembre 1805
che disponeva la leva di 30.000 uomini, “abolì” i reggimenti provinciali, essendo scaduta la
loro ferma quinquennale. Provvisoriamente furono però trattenuti in servizio i distaccamenti
nelle guarnigioni e i reggimenti urbani di Napoli e Casali e i tre dell’Abruzzo, con aumento di
forza a 1.521 per quelli di fanteria e a 664 per quelli di dragoni.
Mutato lo scenario per il concentramento dell’Armée de Naples a Roma e il reimbarco degli
alleati, il 20 gennaio 1806 furono “rimessi in piedi” 2 reggimenti della Terra di Lavoro con
organici aumentati a 150 uomini per compagnia e il 24 gennaio i Reggimenti urbani di Napoli
armando urgentemente 200 dragoni, gli altri di Terra di Lavoro e quelli di Montefusco, tutti con
aumento di forza. Il 30 gennaio si reiterò l’ordine di “immediata attivazione” dei reggimenti
urbani e del I e II di Salerno. La milizia però non esisteva più da tempo e la contemporanea
destinazione dei suoi capi più influenti o energici alla formazione dei corpi volanti le inflisse il
colpo di grazia. La paura dei ceti abbienti che si ripetesse il copione del gennaio 1799 indusse
la reggenza del Regno e i sedili della capitale a ignorare la milizia urbana e ad istituire l’11
febbraio, giorno della partenza della regina col resto della corte, la guardia d’interna sicurezza
composta esclusivamente da cavalieri, magistrati e persone di condizione “civile”, che assicurò
l’ordine fino all’entrata delle truppe francesi.
Al momento dell’invasione gli 8 reggimenti abruzzesi contavano 6.671 effettivi (5.185 fanti e
1.486 dragoni) e 2.932 mancanti al nuovo completo (2.426 + 506), pari al 30.5 per cento. Ma si
diceva che Rodio, ora ispettore dei corpi volanti lungo la frontiera, avesse scritto al padre di
essere pronto ad unirsi ai francesi e che a tale scopo avesse richiamato presso di sé tutti gli
ufficiali provinciali che erano “attaccati alla R. Corona”, in modo da impedir loro di
organizzare la resistenza.
D. I corpi volanti

La formazione dei corpi volanti nell’estate 1800


La mobilitazione del luglio 1800 si differenziò dalle tre precedenti del 1794, 1796 e 1798
perché, oltre alla milizia, si pensò di integrare nel piano di difesa anche le masse dei tre
Abruzzi, che un anno e mezzo prima erano state chiamate alle armi da Ferdinando col famoso
proclama dell’8 dicembre ai “cari abruzzesi, bravi Sanniti, paesani miei”, seguito il 15 dal
dispaccio del segretario di stato Arriola e dall’istruzione inglese per la leva in massa tradotta e
commentata dal tenente colonnello d’artiglieria Torrebruna.
Fu però una misura presa senza convinzione, tanto per dare l’idea di fare qualcosa nella
speranza di dissuadere l’invasione francese, più che di affrontarla realmente. Nel parere scritto
del 29 giugno Cassaro scrisse che dell’esercito non ci si poteva fidare e che “il popolo
unicamente potrebbe fare delle difese; ma questo, come la esperienza ha dimostrato, si darebbe
al saccheggio e alle stragi”. Gli faceva eco il brigadiere Thurn: “non v’è però da potervi
contare, avendo (il popolo) per primo oggetto la rapina, le dovizie e la malafede”. Il 22 luglio si
rispose al capomassa laziale Luigi Franchi, che aveva chiesto soldi per formare un corpo
volante da unire a quelli di Sciabolone sul Tronto, che il re lo ringraziava e lo avrebbe chiamato
se necessario. Il 27 luglio, a seguito di un’ispezione, il capo di stato maggiore, tenente
colonnello Vintimille du Luc, scriveva che le masse aquilane erano al tutto disorganizzate.
Molto buone, ma impiegabili solo all’interno della provincia, erano invece le teramane
riordinate da Rodio.
Il 2 agosto si attribuì alle masse “autorizzate” il distintivo del pennacchio rosso al cappello,
poi concesso anche alla milizia. Il 10 agosto si decise però di soprassedere per il momento alla
riunione delle masse e di limitarsi a predisporle, formando ruoli e depositi di armi, con
regolamento del 2 settembre ed editto del 18 ottobre.
Il 30, poco dopo aver firmato l’editto, Cassaro esprimeva tuttavia un lucido pessimismo sul
valore delle masse. Delusi dalla mancata attenzione del governo per i loro bisogni, i contadini
non erano più disposti a combattere per il re. I veterani covavano un forte risentimento verso i
capimassa che, a differenza di loro, avevano fatto fortuna. Paghi di onori e prebende spesso
immeritati, costoro non avevano alcuna intenzione di esporsi ancora e non erano nemmeno in
grado di farlo, avendo perso ogni credito e prestigio presso i veterani. Del resto proprio in
ottobre, quando si era riacceso l’allarme di invasione, Cassaro fece arrestare 63 capipopolo
della capitale per scongiurare una ripetizione delle tre tragiche giornate del gennaio 1799. E
altri arresti vi furono nel maggio 1801 per timore di resistenze contro le truppe d’occupazione
francese.

Differenze tra leva in massa e corpi volanti


La leva in massa (tumultus, milizia generale, insurrectio, somatenes, fencibles,
Volksbewaffnung,) era la forma militare tipica delle società contadine, a prescindere dal tipo di
struttura (“democrazia guerriera” tribale, latifondo feudale, campagna dominata dalla città); e
gli stati di antico regime erano esperti nell’arte di sfruttare entrambi i fattori psicologici della
mobilitazione, l’autodifesa contro le requisizioni e i saccheggi dei soldati e la jacquerie a spese
del “nemico interno”. La relativa efficacia di un tale sistema di difesa poggiava in definitiva sul
comportamento gregario e comunitario delle popolazioni rurali. Di conseguenza il principio
necessario di organizzazione era di far corrispondere le gerarchie e i ruoli militari alle gerarchie
e ai ruoli della vita quotidiana (come faceva, ad esempio, la Notificazione sulla leva in massa
negli stati pontifici emanata il 31 gennaio 1793 dal cardinal Zelada).
L’editto napoletano sui corpi volanti non adottava questo criterio. Le autorità locali non erano
neppure menzionate, mentre si davano il reclutamento, l’organizzazione e l’“immediato
comando” dei corpi volanti a regi “commissionati”, sia pure subordinati al preside della
provincia, i quali dovevano a loro volta scegliere il proprio vice e i capi delle centurie e delle
squadre. Come fu poi confermato dalle nomine del 1805-06, il governo non pensava di dare le
commissioni dei corpi volanti alle autorità locali, ma ai vecchi capimassa sanfedisti del 1799.
Nella maggior parte delle province l’insorgenza sanfedista era stata una guerriglia combattuta
da piccole unità partigiane formate non da contadini, ma piuttosto dai loro abituali sfruttatori
(armigeri, contrabbandieri, banditi), che usavano le masse come moltiplicatore di fuoco e i
paesi come basi logistiche e capisaldi temporanei per coprire gli sganciamenti, abbandonandoli
alla rappresaglia nemica. Le masse paesane erano l’equivalente napoletano dei somatenes
spagnoli, ma i corpi volanti somigliavano di più ai micheletti catalani (e nel 1806-07 alcuni
passarono al servizio dei francesi, proprio come aveva fatto nel 1793 una parte dei micheletti).
Nel 1799 questa forma di guerra si era prodotta spontaneamente ed era stata relativamente
efficace, ma solo per un complesso di fattori e circostanze irripetibili: lo scopo limitato
dell’occupazione francese (nutrire l’esercito, non instaurare un nuovo regime), l’estremismo e
gli errori dei repubblicani (il licenziamento degli armigeri!), il crollo improvviso dell’autorità e
l’assalto dei ceti emergenti al potere locale. Lo scetticismo di Cassaro dimostra che, in privato,
il governo non si faceva illusioni sulla possibilità di ripetere l’irripetibile. Ma l’idea del sovrano
amato e difeso dal popolo era un elemento della propaganda e borbonica e, nell’immediato,
ebbe forse anche una certa efficacia dissuasiva.

L’editto sulla formazione dei corpi volanti (18 ottobre 1800)


Militia ex populis certis regulis subijcitur; così la collezione delle prammatiche napoletane
rubricava la XLIX de re militari. “Le masse o siano corpi volanti”, erano formati da tutta la
gente atta alle armi non arruolata nell’esercito o nella milizia (§. 1) e considerati “in sostanza la
massa della nazione che nel bisogno accorre alla propria difesa” (§. 7). L’editto stabiliva un
obbligo generale di “difesa del sovrano contro i nemici”, implicante il dovere dei sudditi di
“soccorrere, aiutare e proteggere” i corpi volanti e delle autorità di “riguardarli con affetto,
considerarli e onorarli” (§. 24) e l’esclusione “da ogni sovrana beneficenza” di coloro che si
mostrassero “indifferenti” (§. 21). Posti in attività solo per espresso ordine del re o del generale
comandante di una provincia nell’imminente pericolo di un’invasione nemica (§. 6), i corpi
erano impiegati, di massima, nel distretto della provincia di concerto con le truppe permanenti e
i reggimenti provinciali e urbani, potendo, in casi straordinari, accorrere a difendere altre
province (§. 18).
Con locuzione aggrovigliata, l’editto distingueva tra “allistamento degl’individui e mera
formazione dei corpi” e “arruolamento o sia designazione di detta gente atta alle arme”. I primi
due competevano al preside, sotto la dipendenza dell’ispettore comandante generale dei
Reggimenti Provinciali, ma dell’arruolamento era incaricato lo stesso comandante immediato
del corpo (§. 2) nei paesi determinati nell’atto di nomina (§. 3). Gli ascritti ai corpi volanti
erano registrati in libri appositi tenuti dalle rispettive università e in un ruolo generale presso
l’udienza della provincia (§. 11). I presidi dovevano tenere in luogo sicuro della provincia una
competente provvista di polvere, piombo e pietre focaie, provvedendo alla spesa con
sottoscrizioni spontanee dei vescovi, baroni, benestanti e conventi facoltosi (§. 17).
Erano esclusi dai corpi volanti i miliziani e i militari, a meno che non fossero in congedo (§.
12 e 13), nonché gli infami per mestiere o per delitto (“menoché abbiano fatto tali distinte
azioni che facciano assolutamente dimenticare i loro delitti”). La diserzione semplice era punita
col pubblico disprezzo, quella al nemico secondo le leggi militari (§. 27 e28).
Soggetti al sorteggio per la milizia urbana e provinciale (§. 14), gli ascritti ai corpi volanti
avevano come unico distintivo, a loro riservato, un pennacchio rosso al cappello (§. 15). Tenuti
ad avere fucile e 60 tiri (§. 17), non potevano portare alcuna arma (§. 10) né godere nel foro
militare (§. 7) se non in effettivo servizio. I corpi volanti servivano senza soldo né utensili di
campagna. I soccorsi alle famiglie indigenti e il vitto dei massisti erano a cura e spese dei loro
paesi. Solo se erano comandati in posizioni molto lontane il generale comandante della
provincia faceva loro somministrare le razioni e gli averi previsti per i battaglioni cacciatori
dell’esercito (§. 20-23).
L’editto prometteva reali ricompense a coloro che si fossero “distinti con azioni segnalate di
fedeltà e valore”, “lapidi marmoree coi nomi dei caduti a lettere d’oro da collocarsi a pubbliche
spese all’ingresso della rispettiva chiesa parrocchiale” (§. 11) e “cura particolare” alle famiglie
indigenti dei caduti e invalidi di guerra (§. 23). Ai corpi distintisi in azione era promessa una
bandiera con lo stemma delle R. Armi e la data dell’impresa, da conservare nella chiesa
principale del capoluogo (§. 35).
I comandanti “immediati” dei corpi volanti erano scelti dal re fra (persone di condizione)
“civile” che avessero “dato le più distinte prove di valore e di attaccamento alla Sagra Sua Real
Persona”, posti però alle dipendenze superiori del preside e del generale comandante della
provincia (§. 2). La gerarchia includeva un sotto comandante del corpo, capi e sottocapi
centuria, capisquadra e un tamburo di centuria. Distintivo dei capisquadra era la sciabola, dei
superiori un “bavaretto rosso con gigli d’oro ricamati” alle estremità. Il capo centuria aveva
inoltre un galloncino dorato attorno al bavero, il vice comandante e il comandante un gallone
largo al cappello e il comandante anche un secondo pennacchio bianco. Se erano militari,
applicavano tali distintivi sull’uniforme (§. 16).
Ogni paese compreso nella circoscrizione del corpo volante doveva dare almeno una squadra
di 5 uomini, sdoppiandola se superava i 16, ma il capo centuria doveva poi ripartirli in 10
squadre di dieci uomini. (§. 5). Raggiunti i mille uomini, gli eccedenti formavano corpi separati
e, raggiungendo altri mille, il comandante proponeva un “comandante in secondo”, a lui
subordinato (§. 4).
I corpi potevano essere riuniti, anche per ispezione o istruzione, solo dal generale
comandante della provincia e solo in tempo di guerra e dovevano tornare alle loro case
all’ordine del comandante, senza “entrare nella pretensione di aver costanti soldi e di rimaner
sempre in attività” (§. 7 e 23). Le centurie, invece, potevano essere riunite per istruzione alla
marcia e al tiro anche in tempo di pace, in un giorno festivo e su ordine congiunto del
comandante, del preside e del comandante della provincia (§. 8 e 9). I capi centuria dovevano
inoltre compilare estratti degli articoli principali del regolamento e farli leggere dai capi
squadra (§. 35).
I corpi erano tenuti alla “massima subordinazione”, ossia “cieca e pronta ubbidienza ai
superiori, senza cavillare, senza replicare, senza interpretare in verun modo gli ordini, ad onta
di ogni pericolo e di ogni difficoltà” (§. 26). Due sole erano “le regole essenziali della
disciplina militare”: “qualunque eccesso si faccia da soldati, quando lo facciano per ordine de’
superiori, niente può loro imputarsi. Qualunque azione di valore essi facciano, e benché
riportino segnalate vittorie, sono sempre indisciplinati e colpevoli di grave delitto, se abbiano
agito senza ordine o permesso di chi li comanda” (§. 29).
I generali comandanti dovevano vigilare che gli uomini fossero “virtuosi e religiosi” e
“neppure nei paesi nemici si commett(essero) rapine, violenze e crudeltà (§. 31), provvedendo
se necessario a sostituire comandanti e capi o anche a sciogliere il corpo (§. 32), nonché a
“togliere ogni discordia o livore” tra i capi e i comandanti (§. 33) e a badare che costoro
fossero “persone veramente coraggiose” e “non acquist(assero) mai un’alta idea dei nemici ed
un’idea svantaggiosa di sé medesimi” (§. 34).

La mobilitazione dei corpi volanti (4 gennaio – 27 febbraio 1806)


Con R. dispacci del 4 e 8 gennaio 1806 furono richiamate le norme sui corpi volanti e
disposto l’armamento delle masse sotto il comando superiore del generale Damas.
L’organizzazione dei corpi fu affidata a “soggetti che (avevano) ben meritato negli anni
passati”.
Nell’elenco figurano cinque colonnelli in Terra di Lavoro, tra cui Michele Pezza per Gaeta e i
direttori dei Reggimenti provinciali di Nola, Aversa e Caserta (Pietro Vivenzio, duca di
Lusciano, Vito Nunziante e Costantino Papa) e cinque nei tre Abruzzi, Francesco Carbone
(preside di Teramo), Giovanni Salomone e Tommaso Falconi (il primo governatore del castello
e l’altro direttore del Reggimento provinciale dell’Aquila), Fiorenzo Giordano e Casimiro
Bonetti, comandante dei cacciatori Marsi. Rodio fu nominato ispettore dei corpi volanti lungo
la frontiera e già il 12 gennaio emanò le sue “istruzioni nel caso si presentino i francesi”
I corpi volanti del Principato Citra dovevano essere riuniti a Giffoni dal commissario di
guerra Gherardo Antonio Sorgenti e nel Vallo di Diano dal maggiore Antonio Guariglia di S.
Mauro. Di sua iniziativa, la regina dette però a Gerardo Curcio “Sciarpa” ben 30.000 ducati,
pari ad un quarto dell’assegno mensile dell’esercito di campagna, per organizzare un corpo
autonomo.
L’11 gennaio altri nove ex-sanfedisti furono incaricati della leva delle masse in Calabria, sei a
Cosenza (il preside Simone de Riseis, i tenenti colonnelli Vincenzo Campagna, Agostino
Fascetti e Raffaele Falsetti, il maggiore Nicola Gualtieri “Panedigrano” e il canonico Antonio
d’Epiro) e tre a Catanzaro (il colonnello Antonio de Settis, direttore del Reggimento di Tropea,
Michele Artusi de Michele e il maggiore Domenico Manti). Tuttavia, per le loro gelosie, il 26
gennaio l’incarico di formare i corpi calabresi fu accentrato ai soli presidi.
Le Istruzioni del 18 gennaio modificarono l’ordinamento dei corpi riducendoli su 4 centurie
di 150 uomini sul modello dei battaglioni cacciatori. Il 21 Nunziante fu incaricato di formare,
oltre ai corpi volanti (tra cui il battaglione di Forino, comandato dal tenente Lorenzo de
Conciliis e dal possidente Cesare Parise) e al reggimento di Caserta, anche il corpo volante
salernitano “detto La Piaggine” e quello dei “mojanari a cavallo”, mobilitato anche nel 1798 e
1801, e il 24 di inviare 250 uomini ai costituendi ridotti di Cava, Monteforte e Arpaia e ala
batteria della scafa di Caiazzo. Curcio, Guariglia e Schipani promisero 5.000 uomini, Gherardi
altri 1.000, ma Sorgenti fu richiamato a Napoli su pressioni del preside Marulli, geloso del suo
attivismo.
Alla fine Nunziante consigliò al principe Francesco di congedare i vecchi capimassa (“il
dovere di suddito fedele e la mia coscienza – spiegò - mi obbligano con mio dispiacere a farle
umilmente presente (di) non aver ritrovato in essi dell’energia, dell’attaccamento, ma bensì una
fredda indifferenza, che mi fa dubitare di un esito felice”).

L’ordine della regina di sciogliere le masse (3 febbraio 1806)


.Il 30 gennaio il successore di Winspeare, conte Marulli, convocò a Salerno Sciarpa, Stoduti,
Tommasini e Guariglia ordinando loro di concentrare le masse a Cava dei Tirreni, dove si
pensava allora di resistere. Il 1° febbraio Francesco Landi fu autorizzato ad allistare corpi
volanti in Terra di Lavoro e ancora il 2 furono concesse altre autorizzazioni, ma il 3 febbraio, su
decisione della regina, il vicario generale principe Francesco ordinò a Rodio, Pezza e ai presidi
dei tre Abruzzi di sciogliere i corpi e non opporre resistenza ai francesi. L’ordine fu eseguito da
Rodio e dai presidi. Ottenuta la conferma del suo incarico, Sorgenti aveva riunito a Salerno i
volontari di Nocera, Scafati, S. Valentino Torio e Cava, ma il preside Marulli gli negò i fondi
occorrenti per mantenerli, fece arrestare vari capimassa e il 10 febbraio congedò senza paga i
111 arrivati il giorno prima dal Vallo di Diano e comandati dall’alfiere Antonio Mazzarella.
L’11 febbraio, rimasto con soli 116 uomini, Sorgenti si unì alla colonna del generale Minutolo
in marcia da Napoli a Lagonegro.

L’ordine da Palermo di riarmare le masse (27 febbraio 1806)


L’ordine della regina fu implicitamente sconfessato da Palermo con R. dispaccio del 27
febbraio, che nominava Filippo Cancellieri direttore generale interino dei corpi volanti di
Salerno e Basilicata, “verso quella parte del Regno ch’è guardata dall’ala sinistra della R.
Armata” e Francesco Carbone direttore di quelli calabresi (“ove poggia l’ala dritta”).
Ai comandanti, capi e loro vicari era riconosciuto il rango di 1° e 2° maggiore, capitano e
secondo tenente, accordando il grado in base al numero degli uomini raccolti. Gli ecclesiastici
potevano essere incorporati solo come cappellani. L’editto accordava il foro militare per la
durata della guerra, diaria di 25 grana a caposquadra e comuni (5 carlini al capo centuria, 3 al
sotto capo, 7 al sotto comandante e 10 al comandante) e infine la remissione da ogni pena a chi
si fosse battuto per la “buon causa”. Disponeva inoltre la lettura dell’appello al popolo da parte
dei parroci e governatori sulla pubblica piazza e sotto la Croce.
Per assicurare ai volontari il carattere di legittimi combattenti e la tutela del diritto di guerra
in caso di cattura, il dispaccio sottolineava il carattere militare dei corpi, ordinati come
battaglioni su 4 centurie di 150 teste, con propria bandiera (col motto In hoc signo vinces e
l’effigie del Santo Patrono) e speciali distintivi (oltre al pennacchio rosso i volontari dovevano
portare paramani e collaretto di vario colore).
Per l’arruolamento dei battaglioni calabresi furono accordate 24 commissioni (a Fascetti,
Falsetti, Gualtieri, d’Epiro, Calvelli, Necco, Perri, Presta, De Michele, De Rosa, Miceli, Golia,
Assisi, Pettoli, Gambini, Rende, Amoroso, Berardi, due Giuranna, Via, Tavolaro, Bravo e del
Pezzo). Fu però un fiasco clamoroso. Alla rivista organizzata a Cosenza da de Riseis alla
presenza del principe ereditario si presentarono appena una ventina di massisti, a stento
Fascetti, Calvelli e Berardi riuscirono a raccogliere ognuno una centuria, Presta si giustificò
sostenendo che i suoi volontari, riuniti a Fiumefreddo, si erano dispersi una volta arrivati a
Cosenza, demoralizzati dall’assenza di Carbone e dallo sbandamento delle truppe regolari dopo
la rotta di Campo Tenese. I capimassa si rinfacciarono l’un l’altro il fallimento e sul turbolento
canonico d’Epiro piovve addirittura l’accusa di essere una spia dei francesi a Corte.

Il fiasco dei corpi volanti salernitani e calabresi (marzo 1806)


Sciarpa aveva promesso a Minutolo di difendere il ponte di Campestrino, ma invece si
nascose a Polla e avviò trattative coi francesi. Guariglia partì il 3 marzo con altri 150 per
Lagonegro, ma si fermò a Sapri avendo appreso che i regolari si erano sbandati. Il 6 marzo si
trovavano a Lagonegro solo 60 massisti dei corpi Sorgenti, Gargiulo e d’Epiro, e il primo ebbe
9 caduti. A Campo Tenese Cancellieri comandava forse 300 massisti salernitani e calabresi,
appostati sul contrafforte meridionale della Cupola di Paolo, ma i volteggiatori francesi li
spazzarono via senza difficoltà. La sera del 18 marzo Sorgenti sbarcò a Messina con gli ultimi
30 salernitani.

La sorte dei prigionieri catturati senza uniforme


Il generale di brigata Louis Compère, comandante l’avanguardia del II corpo dell’Armée de
Naples, raccontò in seguito, per le risate dei colleghi, di aver incontrato il 2 marzo a Sapino,
poco prima di Salerno, un parlamentare napoletano speditogli dall’“illustrissimo maresciallo
Raymondo, capo di stato maggiore di Ferdinando”, a notificargli che tutti i soldati francesi
presi dalle truppe napoletane sarebbero stati trattati come briganti e di avergli risposto, con
fiero sarcasmo: “Monsieur le mercenarie, allez dire à l’Ilustrissime imbécile de maréchal
Raymondo que, si nous le prenons vivant, il sera fouetté, fesses nues, devant les cornets”.
Secondo Luigi Blanch, fu Reynier, il 5 marzo alla Certosa di Padula, a ricevere da un
parlamentare di Minutolo la notifica che presso le truppe si trovavano reclute prive di uniforme,
munite però di contrassegni militari “che li distinguevano dalle leve in massa, per cui non
dovevano essere sottomesse al severo trattamento, contro quelle proclamato. Il generale
francese rispose che avrebbe fatto questa differenza, per cui dalle due parti era convenuto che le
leve in massa restavano fuori del diritto comune della guerra”.
Il bozzetto dipinto da Compère è per più versi di pessimo gusto, tanto più che egli stesso
ammette di aver fatto “quelque exemple” fra i prigionieri presi il 6 marzo a Lagonegro. Il 4
luglio fu catturato a Maida e portato a Messina dove gli amputarono un braccio. Comandante di
Salerno, poi della gendarmeria, governatore di Gaeta e infine di Napoli, figuriamoci se non
conosceva il giusto nome di quell’”illustrissime imbécile de maréchal Raymondo”, visto che se
lo trovò dal 1812 al 1815 comandante della guardia reale di Murat fino a Tolentino.
Il cinico comportamento di Minutolo, che stringendo un patto tra gentiluomini gallonati
legittimava l’esecuzione degli stessi volontari che voleva lasciare indietro a coprirgli la fuga,
solleva una questione giuridica e morale di enorme portata, che si ripropone in tutte le guerre di
conquista, dopo la sottomissione del notabilato indigeno, di fronte alla prosecuzione della
resistenza da parte del popolo. Senz’alcuna attenuante per il cinico sfruttamento della resistenza
popolare fatto dagli inglesi e dalla corte borbonica, non può esservi dubbio alcuno che i
volontari dei corpi volanti erano legittimi combattenti, soggetti come tali nei doveri, ma anche
nei diritti, al jus in bello dell’epoca. Furono invece quasi sempre uccisi dopo la cattura, non di
rado in modo atroce e perfino con successive rappresaglie familiari. Il diritto, loro lo
ignoravano. Combatterono come Eurialo e Niso, pro aris et focis, senza chiedere pietà né dare
quartiere. Quel seme, nella civile Italia, è per sempre estinto, come la loro memoria.
Tab.91 – Organici dei Reggimenti Urbani e Provinciali del Regno di Napoli (1800)
Reggimenti Fanteria Reggimenti Dragoni
Ranghi Uno 10 MU 34 MP Totale Uno 4 MU 12 MP Tot.
Colonnello 1 10 34 44 1 4 12 16
Ten. Col. 1 10 34 44 1 4 12 16
1° Maggiore 1 10 34 44 1 4 12 16
2° Maggiore 1 10 34 44 1 4 12 16
Aiut. Magg. 1 10 34 44 - - - -
Quartiermastro 1 10 34 44 1 4 12 16
Cappellani 2 20 68 88 2 8 24 32
Aiutanti 2 20 68 88 2 8 24 32
Chirurghi 2 20 68 88 2 8 24 32
Portabandiera 4 40 136 176 4 16 48 64
Forieri 2 20 68 88 2 8 24 32
Profosso 1 10 34 44 1 4 12 16
Armieri 2 20 68 88 2 8 24 32
Maniscalchi - - - - 2 8 24 32
Sellai - - - - 2 8 24 32
Capitano 10 100 340 440 4 16 48 64
1° Tenente 10 100 340 440 4 15 48 64
2° Tenente 10 100 340 440 4 16 48 64
Alfiere 10 100 340 440 8 32 96 128
Cadetti 20 200 680 880 8 32 96 128
1° Sergente 10 100 340 440 4 16 48 64
2° Sergente 20 200 680 880 8 32 96 128
Caporali 40 400 1.360 1.760 24 96 288 384
Carabinieri 40 400 1.360 1.760 24 96 288 384
Trombe - - - - 8 24 96 128
Tamburi 20 200 680 880 - - - -
Pifferi 20 200 680 880 - - - -
Maniscalco - - - - 4 16 48 64
Dragoni - - - - 500 2.000 6.000 8.000
Granatieri 214 2.140 7.276 9.416 - - - -
Fucilieri 856 8.560 29.104 37.664 - - - -
Totale 1.301 13.010 44.234 57.244 624 2.496 7.488 9.984
Soprannum. 50 500 1.700 2.200 20 80 240 320
Cavalli - - - - 548 2.192 6.576 8.768
Bestie da tiro 46 460 1.564 2.024 - - - -
Regg. fanteria su 10 compagnie (2 granatieri e 8 fucilieri riunite in 2 battaglioni), con
46 ufficiali (tot. 2.024). Regg. dragoni su 4 squadroni, con 25 ufficiali (tot. 400)..
Tab. 92 – Spesa per armare ed equipaggiare i Reggimenti Provinciali (1802)
Reggimento di fanteria Reggimento Dragoni
Generi Quant. Prezzo Importo Generi Quant. Importo
Fucili /baionetta 1.203 9.7½ 10.912:22 Carabine 571 2.575:24
Spade 13 2:00 26:00 Pistole x SU 102 375:87
Cangiarri 380 2:18 1.020:20 Pistole Comuni 1.084 3.015:10
Pietro focaie 3.009 80 17:32 Sciabole 593 2.668:80
Cartocci polvere 72.180 - 757:90 Pietre focaie 5.271 25:30
Cartocci piombo “ - 519:04 Cartocci 105.360 605:80
Armamento - - 13.252:6 Armamento - 9.266:11
8
Padroncine 1.203 1:45 1.744:38 Padrone 571 571:00
Bandoliere 1.203 1:00 1.203:00 Bandoliere 571 571:00
Cinturoni 1.203 0:70 873:10 Cinturoni 592 450:08
Ciappe da cent. 1.203 0:25 310:18 Fiocchi sciab. 593 47:44
Zappatiglie 1.213 0:08 32:08 Portabacchetta 571 34:26
Coree di fucili 1.213 0:20 240:60 Balici 380 696:00
Fiocchi Cang. 368 8:00 29:44 - - -
Mucciglie 1.193 0:60 715:50 - - -
Equipaggiament - - 5.148:28 Equipaggiam. - 2.369:78
o
Tenda da Col. 1 80:00 80:00 Tenda da Col. 1 80:00
Tenda da TC 1 78:00 78:00 Tenda da TC 1 78:00
T. da magg. 2 75:00 150:00 T. da magg. 2 150:00
T. da capitano 10 72:00 720:00 T. da capitano 4 288:00
T. da subalterno 38 48:00 1.710:00 T. da subalt. 22 990:00
Tende da comuni 182 20:00 2.038:00 T. da comuni 107 1.326:00
T. da vivandiera 1 130:00 130:00 T. da vivand. 1 130:00
T. da cappella 1 130:00 130:00 T. da cappella 1 130:00
T. da mansarda 4 24:00 96:00 T. di menzarda 1 24:00
T. x fasci d’arme 40 7:00 280:00 T. fasci d’arme 10 112:00
Marmitte rancio 182 3:70 673:40 Marmitte 107 395:90
Fiaschi di latta 1.245 0:30 373:40 Fiaschi 580 174:00
Cordelline canne 88 0:022 1:65 Pali 543 206:24
Cordelline canne 220 0:026 5:77 Fune per i pali 24:30
Utensili da camp. 6.466:22 Utensili camp. 4.108:44
Dote per macchine d’art. 7.242:40
TOT. SPESA d’impianto ducati 32.109:58 TOT. SPESA d’impianto 15.744:33
Deposito di un mese di prest 4.746:00 Deposito 1 mese di prest 2.315:00
Con l’aggiunta del prest ducati 36.855:58 Con l’aggiunta del prest 18.059:33
Costo pro capite ducati 28:33 Costo pro capite ducati 28:94
Somma gravante sulle comunità: 298 ducati ogni 10 miliziani.
Tab. 93 – Ripartizione della Milizia fra le Province del Regno di Napoli (1800)
Province Popolazione Contingente Impianto 22.01.1801
(stima 1803) uomini cavalli bestie e prest effettivi %
Napoli 341.000 4.527 548 138 128.626 9.407 60
Casali /\ 10.929 1.644 322 312.157 \/ \/
T. Lavoro 956.000 7.129 548 230 220.397 5.332 75
Salerno 480.000 5.828 548 184 165.482 3.123 53
Montefusco 279.000 3.226 548 92 91.770 1.486 46
Lucera 490.000 5.828 548 184 165.482 2.228 38
Trani 306.000 3.226 548 92 91.770 778 24
Lecce 319.000 3.226 548 92 91.770 596 18
Matera 346.000 4.527 548 138 128.626 - 0
Cosenza 339.000 4.527 548 138 128.626 - 0
Catanzaro 496.000 5.828 548 184 165.482 2.766 47
Chieti 370.000 3.226 548 92 91.770 - 0
Teramo |/ 1.925 548 46 54.915 1.851 96
L’Aquila 250.000 3.226 548 92 91.770 3.226 100
Totale 4.972.000 67.178 8.768 2.024 1.928.643 30.793* 46
* Inclusi 3.970 dragoni (1.641 Napoli, 219 T. di Lavoro, 558 Salerno, 96 Lucera, 201 Catanzaro,
631 Teramo e 624 L’Aquila). Armati e vestiti 2.180 a Napoli e 540 a Nola, Aversa e S. M. Capua
Vetere.
Effettivi dei Reggimenti Abruzzesi nel gennaio 1806: I Chieti 1.125, II Vasto 1.173, Teramo 944,
I L’Aquila 957, II Celano 986, Dragoni Vasto 484, Teramo 415, L’Aquila 587. Totale 6671
(5.185 fanti e 1.486 dragoni). Mancanti al completo 2.932 (2.426 + 506).

Tab. 94 – Colori delle mostre dei Reggimenti provinciali


Province Fanteria Dragoni Province Fanteria Dragoni
T. Lavoro Bianco Limoncello Matera Blu Cremisi
Salerno Argentino Verde cupo Cosenza Celeste Arancio
Montefusco Grigio Pistacchio Catanzaro Amaranto Dante
Lucera Nero Amaranto Chieti Pistacchio Grigio
Trani Dante (pelle) Celeste Teramo Verde cupo Argentino
Lecce Cremisi Rosso L’Aquila Limoncello Bianco
Colore dell’uniforme: blu per la fanteria, rosso per i dragoni. La fanteria con cappello tondo a
falda rialzata, galloncino d’argento e due piume, una rossa e una del colore delle mostre. I
reggimenti di una stessa provincia distinti dal numero sul bottone color oro. I dragoni con
berrettone, fascia rossa, crovattino nero e calzabraga in pelle di daino (detta alla spagnola
“dante”)..
Tab.95 - Quadri della Milizia Urbana della Città di Napoli 1804-05
Reggimenti Direttore Ten. Colonnello Maggiore
I fanteria Conte di Sinopoli (vacante) Giacomo de Riva
II fanteria Marchese F. Leto Emanuele Carreras –
III fanteria Luigi Buonsollazzi Crisanto Guardi –
IV fanteria March. di S. Luca Amelio Capparelli –
V fanteria Marchese de Sinno Ruggero S. Croce –
VI fanteria Principe di Supino Antonio De Witte Antonio Erriquez
VII fant. Duca di Grottolelle Giustiniano Albani –
VIII fant. Antonio Favi Ferdinan. Palenza Vincenzo Cotta
IX fanteria Fabio Castelli (vacante) Francesco Blondel
X fanteria (vacante) F. A. Pittiserna –
I Dragoni Pr. di Torchiarolo – –
II Dragoni Duca di Parete G. B. Spinelli –
III Dragoni A Comite – –
IV Dragoni Giacinto Orsini – –
Giunta economica delle Bande: capo maresciallo Micheroux, membri Col. duca
della Manta, principe di Supino, duca di Minervino, ten. col. principe di
Torchiarolo, ten. Giacinto Orsini, conte di Sinopoli, marchese di Sinno e Antonio
Favi; segretario cap. Francesco Camerota.

Tab. 96 - Quadri dei Reggimenti Dragoni Provinciali 1804-05


Province Regg. Direttore Ten. Col. e Magg.
Terra di I Aversa – TC G. B. della Rocca
Lavoro – – M Antonio de Sivo
II Venafro TC conte Cestari –
Salerno Nocera – TC Luigi Ferrajoli
Montefusco Montemarrino – –
Matera Matera – –
Lucera Foggia – –
Trani Molfetta – TC Vincenzo Noja
Lecce Taranto – TC Felice Strada
Cosenza Cosenza – –
Catanzaro Gerace – TC Vincenzo Veneti
– – M Gaspare Fioriserra
Chieti Vasto – M Giovanni Trigona
Teramo Teramo – Col. Giuseppe Vanni
L’Aquila L’Aquila Marchese Quinzi M Filippo Ciavoli
Tab.97 - Quadri dei Reggimenti di Fanteria Provinciale 1804-05
Province Regg. Direttore Ten. Col. e Magg.
Terra di I Nola Pietro Vivenzio TC Errico Sparano
Lavoro – – M Nicola Brancari
II Aversa Duca di Lusciano –
III Caserta Vito Nunziante TC Costantino Papa
IV Sessa – M Francesco Candia
V S. Germ. – TC Giovanni Benet
– – M Giuseppe Clary
Salerno I Salerno Alessandro Schipani TC Crescenzo Autuori
(col. organ. M.Corvino – TC Pasquale Grimaldi
Giuseppe III Polla Gerardo Curcio –
de Roches) IV Vallo – TC Alfonso Diez
– – M Antonio Guariglia
Montefusco I Avellino – TC Bartol. Bermonti
(col. organ. II Montella – M Tomaso Guarnieri
A. Siricio) III Ariano Marchese Figlioli –
Matera I Matera Col. Pietro Galluzzo –
II Venosa – –
III Tursi – –
Lucera I Campob. – M. Gasp. Blumenthal
II Termoli Col. Franc. Lozza –
III Lucera Col. Barn. Carascon –
IV Foggia – –
Trani I Trani – TC Giuseppe Pons
II Bari – TC Eusebio Capitaneo
Lecce I Lecce – M Andrea Tresca
II Manduria Costantino Primiceri –
Cosenza I Cassano – TC Vinc. Campagna
II Cosenza – TC Agostino Fascetti
– – M Nicola Gualtieri
III Rossano – TC Raffaele Falsetti
Catanzaro I Catanzaro – TC Giov. Salomone
II Tropea Col. Ant. de Settis –
III Reggio – TC Gennaro Matriello
– – M Domenico Manti
IV Gerace – TC Giov. Mendoza
Chieti I Chieti – TCZacc. De Blasi
II Vasto Carlo Fontana –
Teramo I Teramo – TCLadron de Guevara
– – M Giacinto Ciotti
L’Aquila I L’Aquila – TC Tommaso Falconi
II Celano Luigi Tomassetti –
Tab. 98 – Competenze dei Giudici Militari (RO del 1789 e RI del 15.12.1801)
GIUDICI MIL. COMPETENZE
Tribunali militari a) cause criminali passive di ufficiali, cadetti, aiutanti, porta bandiera e
e combinati delle volontari di milizia ascritti come gentiluomini che si trovino nelle
province province (RO p. II, c. VIII, a. III; RE a. XVIII);
b) delitti dei soldati provinciali commessi in diverse giurisdizioni o in
diversi recinti dei Reggimenti di una stessa provincia (RD 29 giugno
azione ed esecuz. 1801 a. IV);
penale riservata al c) delitti dei miliziotti commessi anteriormente al 29 settembre 1801
preside e assessore quando si trovassero incominciati i processi da detti tribunali dando
In sua assenza il luogo alla Revisione a’ Tribunali Militari Superiori competenti (RD 11
tribun. è presieduto novembre 1801);
dall’Uff. del Regg. d) delitti in cui sono complici miliziotti e individui della giurisdizione
Prov. più elevato in militare dell’Udienza generale di Guerra e Casa R., uniti o no a’ pagani.
grado più vicino Se in tali delitti c’è complicità di individui soggetti ai consigli di guerra
o al cons. supremo, le processure si debbono accapare, come se si
trattasse contro di questi soli individui. Il giudice locale deve però
(RE a. XVIII, RD 10 intervenire qualora la complicità si estenda ai pagani (RO, c. XIII, a.
mar. 1802) LXXI e LXXII);
e) giudizi d’appello nelle cause civili e criminali trattate dagli uditori di
guerra o dalle corti militari delle piazze e castelli (RE a. XVIII).
Uditori di guerra a) delitti di tutti soldati, chirurghi e bassi ufficiali
RD 10 mar. 1802 b) delitti dei miliziotti anteriori al 28 settembre 1801 quando non si
Corti militari delle trovassero cominciati i processi dai tribunali mil. e combinati (RD 11
piazze e castelli novembre 1801);
(RE a. XVIII; RD. ► in caso di complicità di pagani l’uditore procede unitamente al
10 mar. 1802; RI a. giudice pagano locale, il quale deve essere sempre il giudice del luogo di
XI–XIII) residenza dell’uditore anche se il delitto è commesso in altra
giurisdizione (RE a. XVIII, RD 29 giugno 1801, a. I).
L’uditore non può c) cause passive civili degli ufficiali, aiutanti, cadetti, chirurghi, bassi
procedere senza ufficiali e soldati, anche quelle riservate al tribunale mil. e combinato
permesso e della provincia per giurisdizione ordinaria o per delegazione speciale
intelligenza del (RE a. XVIII, RD 29 giu. 1801 a. III) ed esclusi gli affari relativi
comandante all’amministrazione universale (RD 29 gennaio 1801);
(RO c. V, a. III, IV; c. d) comunicazione della notitia criminis all’immediato superiore, cioè al
XIII, a. LXXXII; RE preside, cui compete l’ordine d’arresto dei fuggitivi (RI a. VIII, XI, XII).
a. XX; RD 25 ott. e) informazioni (istruttoria) circa le diserzioni dei miliziotti (RO p. II, c.
1800 e 29 giu. 1801 XIX, R. I. a. XII).
a. VII). f) vigilanza disciplinare sulla condotta e i costumi dei miliziotti
informando i loro superiori per le eventuali correzioni (RI a. VIII, X e
XII).
Udienza generale a) giudizi immediati nelle cause passive civili e criminali degli individui
di guerra e Casa dei reggimenti urbani;
Reale b) giudizi di ultimo appello nelle cause civili degli individui dei
reggimenti provinciali;
(istituita il 17 c) giudizi di revisione nelle cause criminali dei bassi ufficiali, chirurghi e
febbraio 1786) soldati, salvo i giudizi di pena affittiva a vita o di morte, la cui ultima
revisione appartiene al supremo consiglio di guerra (R. O. c.- V, a. III;
RE a. XVIII; RI a. VI)
Consiglio a) cause passive criminali degli ufficiali, cadetti, aiutanti, porta bandiera
supremo di guerra e volontari iscritti come gentiluomini nei regg. urbani
(supplito dalla b) giudice di revisione delle medesime cause dei quadri dei regg.
Giunta di guerra) provinciali;
c) giudice di revisione di tutte le cause di tutti gli individui di milizie per
Le sentenze sono cui si sia pronunciata sentenza di morte o di pena affittiva a vita;
inappellabili d) giudice delle cause criminali passive degli uditori di guerra, delle
piazze e dei castelli e in tutti i delitti in cui vi fosse complicità di
individui soggetti ai consigli di guerra e allo stesso supremo consiglio,
cumulativamente e separatamente (RO p. I, c. IV, a. VIII e XI; c. XIII, a.
LXXII e LXXV; p. II, c. VIII, a. III; RE a. XVIII; RD 29 giugno 1801 a.
VI; RI a. VI).
RD = Reale dispaccio. RE = Reale Editto del 12 luglio 1800 sui Reggimenti Urbani e
Provinciali. RI = Reali Istruzioni del 15 dicembre 1801 per i tribunali militari delle province e
per gli uditori delle piazze, castelli e isole e di guerra del Regno. RO = Reali Ordinanze del 22
maggio 1789 sulla giurisdizione militare.
Tab. 99 – Giudici Militari R. Napoli (Calendario e Notiziario della Corte 1804)
Supremo Consiglio di guerra
Presidente: ten. gen. de Gambs. Consiglieri ordinari militari: mar. Emanuele de Almagro,
Prospero Ruiz de Carvantes, Antonio Alberto Micheroux e barone de Bock; brigadieri marchese
di Pietramaggiore e Pasquale de Tschudy; per le cause d’interessi di S. M. ed anzianità degli
ufficiali, l’incaricato della firma dell’Intendenza, ten. col. Federico Salomone. consiglieri
togati: pres. di camera Raffaele de Giorgio, cons. Francesco Saverio Scurch, Matteo La Fragola,
AF Vincenzo Vollaro, AP Filippo d’Urso, S Tommaso Colajanni (uff. della R. segreteria di
Giustizia), PF Luigi Barone, PP Giuseppe Praitano. Attuario Vincenzo Auricchio.Consiglieri
straordinari fissi: militari: mar. barone Acton e Rosenheim. togati: Raffaele Giovannelli e altro
vacante.
Udienza generale di Guerra e Casa Reale
Presidente: ten. gen. Diego Naselli. Vice presidente: caporuota marchese Girolamo Mascaro.
Consiglieri: Giuseppe Carfora, Gerardo Gorgoglione, Gaspare Vanvitelli, AF Vincenzo Vollaro,
AV Stefano Caporeale, S Giuseppe de Martino, PF Antonio Vitale, PF Vincenzo Vischi, attuario
Francesco Catalano.
Tribunali militari delle province
Province Presidente Assessore Avv. Poveri Procur. Fiscale
Proc. Poveri Segretario
Terra di Lavoro Nicola Vacante F. Carrana Pasq. d’Auria
Liberatore B. Donadio A. d’Addiego
Salerno Col. Antonio Vacante L. Pino F. Milano
Winspeare F. Ricciardi Vacante
Montefusco Col. de Vera Caporuota Fr. A. Magaletti L. Balletti
d’Aragona Maria Mazza L. D’Egidio D. Galdi
Matera Col. Pietro Uditore Donato P Giuda GB Logallo
Galluzzo Barbati C. Torricelli D. de Filippis
Lucera Col. Dionisio Caporuota Vinc. Mosca A del Giudice
Corsi Michele Marini Lorenzo Caso Gaetano Bolognini
Trani Vacante Vacante Gius. Sarto Vacante
d’Alessandro Vacante
Lecce Col. march. Ignazio Massimi N. de Saverio Bonav. Carnevale
della Schiava F. Quarta Francesco Vaccari
Cosenza Col. Luigi de Caporuota Pietro G. Palazzi V. G. Politi
Riseis Simone Pugliese P. G. Pelusi Vitaliano Scinti
Catanzaro Col. Costant. de Giuseppe Perrotti T. Marincola Saverio Bagnati
Filippis L. Tropeano Rosario Neri
Chieti Brig. conte Uditore Dom. P. Ricciardoni Giov. Carnessale
Marescotti Girolami V. Biondi Concezio Consalvi
Teramo Col. Franc. Uditore Serafino Erasmo Muzi Gioacchino Pacilli
Carbone Arcieri M. Perecchi F. S. de Cecco
L’Aquila Col. Giovanni Caporuota Bar. Bonanni Vacante
Galiani Mariano Franchi A. de Marino Vincenzo Perrone
AF = Avvocato Fiscale. AP = Avvocato dei poveri. PF = Procuratore Fiscale. PP = Procuratore
dei Poveri. S = segretario
Tab. 99 bis – Uditori di guerra per le milizie (Cal. e Notiziario della Corte 1804)
Terra di Lavoro Salerno
Aquino Dott. Camillo Ricci Angri Natale Maria Garrippo
Arce Dott. Tommaso Fontana Castellamm. Michele Spremolla
Arpino Dott. G. A. Pellegrini Cava Pasquale Rondanini
Aversa Dott. Alessio de Sariis Eboli Giuseppe Andreola
Cajazzo Dott. G. B. Marocco Monteforte Filippo Vasetti
Capua Gov. Michele de Curtis Montuoro Saverio Gentile
Caserta Dott. Ottavio Ginosti Nocera Salvatore Prmicerio
Durazzano Dott. Bald. Abbenante Polla Carlo Maria Musonio
Gaeta Dott. Gius. Lombardi Postiglione Giuseppe Maria Greco
Ischia Mazzetta T. Orsaja Francesco Grazioso
Nola Pietro Parisi Montefusco
P. d’Alife Dott. Raffaele D’Errico Airola Giovanni Francesco Lancia
Pozzuoli Dott. Franc. Zavarese Altavilla Angelo d’Amore
Procida Giud. And. de Licteriis Ariano Alessandro Nava
S.G.Incarico Dott. Michele Bruni Fragnetto Giuseppe Cappabianca
R.Guglielma Idem M. Falcione Pasquale Capone
S. Germano Dott. Carlo Perolini S A Conza Francesco Saverio Selli
Sessa Dott. F. M. Trevisani Matera
Sora Dott. Gio. Gigliozzi Armento Raffaele Parisi
Sorrento Domenico Martino Bella Giuseppe Marciano
Teano Dott. Gius. A. Mancini Lagonegro Carlo Antonio de Lena
T. d. Greco Dott. Gius. Mastracchi Matera Vincenzo Bolano
Valle Dott. Filippo Vappiani Tolve Angelo lo Fruscio
Venafro Dott. F. A. Palma
Trani Lecce
Bari Carlo Mossa Francavilla Domenico Cipollaro
Barletta Felice Raffaele Lecce Domenico Capone
Monopoli Marino Simonetti Massafra Domenico Romano
Trani Oronzo Sarti Mottola Pasquale Semerara
Andria vacante S. Eufemia Gaetano Perrelli
Modugno vacante Vernotico Vincenzo Baldi
L’Aquila
Aquila Gherardo Pagano Cittaducale Angelo Mastracchio
Avezzano Gennaro Jatosti Gagliano Gio. Domenico Cardelli
Capestrano Tommaso Zaccone Sulmona Emidio Papi
Teramo
Atri Gennaro Maria Galanti Giulia Domenico Campanella
Civitella Serafino Franchi Penne Giustino Olivieri
Chieti Catanzaro
I gov. di Archi e Bomba, Lanciano, S. Gerace Felice Scaglione
Valentino e S. Salvo Nicastro Raffaele Ricca
Reggio Il gov. della piazza
Cosenza
Soriano Saverio Bravo y Benavides
Amantea Daniele Antonio Fava Stilo Gaetano Soria
Mormanno Michele Valentoni Taverna Riccardo Onesti
Verzino Gregorio de Novellis Tropea Paolo Fedele
Tab. 99 ter - Uditori delle Piazze e Castelli del Regno (Cal. e Not. d. Corte 1804)
REGNO UDITORI PUGLIE ASSESSORI
Pescara Giuseppe Sarno Vieste Vacante
Civitella Francesco Cornacchia Manfredoni Dott. Salvatore Stabile
L’Aquila Marzio Girasole a Dott. Felice Raffaele
Gaeta Dott. Pompeo Ernandez Barletta Dott. Oronzo Sarri
Capua Dott. Gabriele de Renzi Trani Carlo Massa
Amantea Dott. Daniele Fava Bari Mariano Simonetti
Reggio Tobia Barilla Monopoli Francesco Monticelli
L’alto numero di uditori (10) nelle Puglie Brindisi Dott. Pasquale Grassi
è da mettersi in rapporto con la presenza Otranto Francesco Massa
delle truppe francesi. Gallipoli Dott. Valentino Zingaropoli
Taranto

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