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RICCARDO MOTTA

CARLO VIDUSSO.
L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA
CARLO VIDUSSO.
L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA*

Premessa

A distanza di quattro anni dalla morte di Carlo Vidusso avvenuta a


Milano il 7 agosto 1978, la Rai – dietro suggerimento del noto pianista e
musicologo Riccardo Risaliti1 – decise di riversarne su microsolco le re-
gistrazioni, conservate nei propri archivi, e rimaste sconosciute al grande
pubblico. Il tutto, come avverte giustamente Risaliti, «non tanto per un
bisogno repertoriale della discografia, ma per documentare con quel poco
che resta delle innumerevoli esecuzioni effettuate da Vidusso, la porta-
ta storica di quel pianismo». Distribuito in esemplari limitati, l’album
Omaggio a Vidusso rendeva giustizia – almeno in parte – a quest’artista
così importante, la cui figura resta ancora non pienamente valorizzata.
Il prezioso documento discografico era accompagnato da alcuni scritti,
a firma di allievi ed estimatori del Maestro, che intendevano testimoniare
così il loro personale affetto nei confronti dell’artista scomparso2.

* Il presente saggio ha origine in un seminario dallo stesso titolo da me tenuto al Conservatorio


Arcangelo Corelli di Messina nel giorno 30 marzo 2001. Ringrazio sentitamente la Signora Stella
Vidusso Kuo Tseng-Me, vedova del Maestro, per l’affettuosità e disponibilità sempre mostratami, e
per avermi gentilmente concesso l’autorizzazione a pubblicare ampi estratti dai manoscritti di Carlo
Vidusso e dalle partiture da lui diteggiate.
1 RICCARDO RISALITI, recensione a Omaggio a Carlo Vidusso, cofanetto di LP edito dalla Fonit
Cetra-Archivio RAI, LAR 24, in «Musica», n. 468 (1983).
2 Cfr. gli interventi di Maurizio Pollini, Piero Rattalino, Alberto Mozzati, Giorgio Vidusso,
Marcello Abbado, nella presentazione all’Omaggio a Carlo Vidusso, LP (2), Fonit Cetra-Archivio
RAI, LAR 24.
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Maurizio Pollini, l’allievo più prestigioso, sintetizzò solo in poche


righe il lungo e proficuo rapporto didattico che intercorse con il Maestro.
Piero Rattalino, allievo di Vidusso e poi suo collega al Conservato-
rio di Milano, ne sottolineò l’acume didattico e la vivacità dell’ingegno,
non senza, tuttavia, rimarcarne gli aspetti grotteschi e maniacali.
Giorgio Vidusso e Marcello Abbado, entrambi allievi di Vidusso,
espressero senza mezzi termini l’ammirazione per il loro Maestro. Asso-
lutamente toccante lo scritto di Alberto Mozzati3, che, riviveva le emo-
zioni suscitate da un giovanissimo Vidusso alle prese, in concerto, nella
Sala Puccini del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, con pezzi
quali la Fantasia cromatica e fuga di Bach la Sonata in Si bemolle mi-
nore di Chopin e la Parafrasi sul Rigoletto di Liszt. Mozzati metteva
soprattutto in luce – circostanza che trova adeguata sottolineatura nelle
altre descrizioni – l’enorme talento e la singolarità d’artista.
Ma la documentazione discografica, gli scritti dei musicisti che ho
prima citato non fanno pienamente luce sul personaggio. A me sembra,
infatti, che l’attività didattica ed artistica di Vidusso siano poco note e
che riflessioni, ed ulteriori approfondimenti, trovino piena legittimazio-
ne considerato lo spessore artistico del pianista scomparso. Pertanto le
motivazioni che mi hanno indotto ad occuparmi di questo musicista
traggono le mosse, oltre che da personali ragioni affettive, anche dalla
necessità di chiarire alcuni aspetti della sua complessa personalità.

Cenni biografici e la carriera artistica e didattica

L’attività artistica e didattica di Vidusso copre un arco di tempo che


decorre dalla fine degli anni Venti fino al 1976/77, anni, questi ultimi
in cui egli, sofferente e provato a causa di una grave forma di tumore,
meditò di abbandonare completamente l’insegnamento.

3 Alberto Mozzati (1917-1982), pianista e didatta, amico e collega di Vidusso al Conservatorio


di Milano.
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Si spense a Milano il 7 agosto 1978.


Tuttavia i primordi dell’attività concertistica si possono fare risalire al
1922, anno in cui, tornato dal Cile, dopo aver conseguito il diploma al
Conservatorio di Buenos Aires ed essersi affermato quale fanciullo prodi-
gio, venne a stabilirsi in Italia, nella sua Trieste, dove tenne un concerto.
I genitori, triestini, si erano trasferiti nel lontano Cile per motivi di
lavoro; a Talcahuano il 10 febbraio 1911 ebbe i natali Carlo Vidusso.
Successivamente allo scopo di consentire al promettentissimo figlio di
seguire degli studi più severi ed offrirgli prospettive di carriera migliori,
i genitori decisero di rientrare in patria. Per Carlo, infatti, che intanto a
Buenos Aires aveva studiato con Ernesto Drangosch4, bisognava trova-
re un maestro adeguato al suo talento ed alle sue potenzialità veramente
rilevanti. Si rivolsero all’illustre Alfredo Casella5 che, in quegli anni,
teneva una cattedra di pianoforte presso il Conservatorio di Santa Ceci-
lia a Roma.
Nella locandina del concerto di Trieste (30 ottobre 1922, si veda la
Fig. 1) è dato adeguato risalto alla notizia che il concerto è da solo pre-
parato, e che il pianista undicenne darà, in questa occasione, «l’addio
alla sua Trieste per recarsi a Roma, onde irrobustire e perfezionare le
belle doti artistiche della sua anima» (si allude all’imminente audizione
con il Maestro Alfredo Casella).
Purtroppo tale incontro non ebbe un esito positivo, in quanto Ca-
sella, pur essendo colpito dall’enorme talento di questo ragazzino, ma
nello stesso tempo infastidito dalla sua sicurezza musicale, decise di
non occuparsene6.

4 Ernesto Drangosch, pianista, direttore d’orchestra, pedagogo nato a Buenos Aires nel 1822 e
morto nel 1925. Studiò a Berlino dove ebbe modo di entrare in relazione con personaggi quali Max
Bruch, Joseph Joachim, Ferruccio Busoni, Ignacy Paderewski, Arturo Toscanini, Artur Rubinstein;
quest’ultimo lo ricorda nella sua autobiografia.
5 Alfredo Casella (1883-1947), compositore, pianista e didatta.
6 Questa circostanza mi è stata riferita personalmente da Vidusso nella sua abitazione di via
Marocco 20 a Milano. Essa tuttavia è confortata dal riscontro documentale dell’annuncio del
concerto, che però accenna al solo viaggio a Roma.
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Fig. 1
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I Vidusso contattarono, allora, Giovanni Anfossi7, professore al Con-


servatorio Giuseppe Verdi di Milano e che fu anche maestro di Arturo
Benedetti Michelangeli. In quel conservatorio studiò, sino al settimo
anno, composizione con Renzo Bossi e Giulio Cesare Paribeni.
Conseguì il diploma di pianoforte nel 1931 pur avendo già acquisito
il massimo titolo, a soli nove anni, al Conservatorio di Buenos Aires.
A Milano, dove si era stabilito, Vidusso, del tutto casualmente, entrò
in contatto con un ricco mecenate che, sinceramente interessato all’av-
venire di questo ragazzino di dodici anni, gli propose di allietare – dietro
compenso – i nebbiosi pomeriggi lombardi con delle esecuzioni al
pianoforte; anzi con dei veri e propri concerti, a patto che i programmi,
proposti a scadenza settimanale, fossero sempre diversi.
È evidente che il giovane pianista, legittimamente desideroso di gua-
dagnare, ogni settimana una piccola somma di denaro, accolse con entu-
siasmo la proposta dell’illustre personaggio – di cui è rimasto sconosciuto
il nome – e si buttò a capofitto nello studio di programmi sempre diversi.
I concerti, o intrattenimenti, avvenivano nella patrizia casa di questo
nobiluomo che radunava amici e musicofili. Il Maestro Piero Rattalino,
in un’occasione d’incontro, mi ha anche riferito che il padre di Vidusso
cercò, attraverso taluni innocenti espedienti, di far apparire il figlio,
durante le esibizioni, (non solo, ovviamente, nella casa del mecenate)
sempre in età infantile, per dare maggiore risalto alla sua precocità di
pianista. Lo vestiva con pantaloni corti, e, con commovente attenzione,
radeva l’incipiente peluria delle gambe dell’attonito adolescente. Devo
a questo punto precisare che la circostanza con lo sconosciuto benefat-
tore non credo abbia alcun riscontro documentale; mi è stata raccontata
dal Maestro – unitamente alle sue scelte di repertorio effettuate per
quelle occasioni – nella sua casa di Via Marocco 20, a Milano, nel 1974.
Egli mi confessò di aver tratto beneficio da queste esibizioni perché lo
costrinsero a studiare ed a costruirsi il repertorio.

7 Giovanni Maria Anfossi (1864-1946), pianista e compositore, allievo di Giuseppe Martucci.


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La carriera concertistica proseguì con alti e bassi (parallelamente a


quella didattica) e si svolse dagli inizi degli anni Trenta fino al 1950,
anno in cui – di fatto – smise di dare concerti. L’interruzione dell’attività
concertistica sarebbe da imputare ad una difficoltà d’articolazione del
terzo dito della mano destra; malanno certamente curabile ma che fornì
al nostro l’input per abbandonare la carriera concertistica, almeno da
solista. Per qualche anno, ancora, collabora con I Virtuosi di Roma
(dove faceva il continuo); poi rinuncia definitivamente a presentarsi in
pubblico, anche in complessi da camera. Sembra che proprio in occa-
sione di questi concerti con I Virtuosi di Roma, per superare la «noia»
di un accompagnamento privo di quelle difficoltà di meccanismo che
gli erano tanto care, si impegnasse a suonare omettendo di usare, ad
esempio, il quarto dito, od il terzo, allo scopo, ovviamente, di crearsi un
ostacolo esecutivo e quindi un’occasione di interesse.
Comunque i momenti salienti della sua carriera artistica possono
così sintetizzarsi. Viene scelto da Ildebrando Pizzetti per la prima as-
soluta alla Scala di Milano dei Canti di una stagione alta (direttore
lo stesso Pizzetti) e all’Augusteo di Roma sotto la direzione di Ber-
nardino Molinari (1933), debutta alla Società del Quartetto di Milano
nel 1934 con un programma che specificherò, nei dettagli, in seguito
quando mi soffermerò sul repertorio di Vidusso. L’inizio delle inte-
grali in concerto decorre dal 1940, unitamente all’esecuzione alla Sca-
la del Secondo Concerto di Bramhs, per pianoforte, e la Petite messe
solennelle di Rossini (con Gino Gorini e Herbert Von Karajan alla di-
rezione).
Ripetute le presenze in Sicilia: prima a Palermo, al Teatro Biondo
nel 1937 e a Messina, dove figura in cartellone con recitals solistici, nel
1939, 1942, 1950 e con il trio nel 1941. Vidusso, infatti, nel 1936
aveva iniziato un sodalizio artistico con Michelangelo Abbado (padre
di Claudio e Marcello) e Gilberto Crepax (sostituito poi da Benedetto
Mazzacurati), dando vita ad una celebre formazione cameristica. Nel
1950, in occasione dell’anno bachiano esegue il Clavicembalo ben
temperato in tre serate in molte città italiane ed a Milano (Politecnico e
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Teatro nuovo). A coronamento di una breve ma intensa carriera stanno


le sue registrazioni radiofoniche (effettuate negli anni 1950/51/52) ri-
versate su microsolco.

Gli incontri

Gli anni dell’adolescenza e giovinezza di Vidusso furono costellati da


una serie di incontri – taluni proficui altri meno – con pianisti, direttori
d’orchestra, compositori. Particolarmente significativo fu quello con
Wilhelm Backhaus perchè rimonta agli anni adolescenziali. Egli ebbe la
ventura di assistere ad un concerto del celebre pianista tedesco – allora
molto giovane – quando, ancora ragazzino, si trovava a Buenos Aires, (do-
ve, come ho avuto modo di dire si era recato per studiare con Drangosch).
Non so se dopo il concerto il giovane, ma precoce spettatore, ebbe l’ardire
di avvicinarsi a quello che sarebbe diventato un suo idolo. Fatto sta che
l’ammirazione e lo stupore che colsero Vidusso di fronte al «tecnico
Backhaus» e alla sua leggendaria precisione, non lo abbandonarono mai. Il
pianista tedesco, tuttavia era antitetico a Vidusso, anche se le scelte reper-
toriali di Backhaus – che agli inizi della carriera si proponeva come auten-
tico virtuoso – erano talvolta coincidenti. Nei suoi recitals figuravano le
Variazioni su un tema di Paganini di Brahms, gli Studi op. 10 e 25 di Cho-
pin (per molti anni nel repertorio di Vidusso) e alcune trascrizioni Strauss-
Elver che costituivano anche i cavalli di battaglia del pianista italiano.
Questi ascoltò, ancora Backhaus a Milano, alla Società del Quartetto, esat-
tamente il 6 marzo del 1927 alle ore 15, e registrò l’evento – per lui memo-
rabile – alla fine del manoscritto del Preludio in Do maggiore del Secondo
Volume del Clavicembalo ben temperato da lui più volte diteggiata. Il pro-
gramma del concerto milanese, oggi, farebbe storcere il naso a molti critici
e filologi in quanto era d’impostazione miscellanea. Esso conteneva:
— J. S. Bach: dal Primo Volume del Clavicembalo ben temperato: Pre-
ludio e fuga in Do maggiore – Dal Secondo Volume: Preludio e fuga
in Do maggiore
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— L. v. Beethoven: Sonata Patetica in Do minore op. 13


— R. Schumann: Studi sinfonici op. 13
— S. Rachmaninov: 3 Preludi
— F. Chopin: 5 Studi e Scherzo in Si bemolle minore op. 31
Il commento di Vidusso, scritto di suo pugno – assieme alla detta-
gliata indicazione del programma nel foglio manoscritto è: «concerto
indimenticabile».
Egli incontrò pure Walter Gieseking negli studi RAI di Milano allor-
quando, nei primi anni Cinquanta, procedette alla registrazione dell’inte-
grale di Iberia di Albéniz. In questa occasione ebbe modo di chiedere al
grande pianista tedesco consigli circa l’esecuzione di un celebre quanto
scomodissimo passo di Fête-Dieu. Ma un evento altrettanto importante
fu un concerto del grande Dinu Lipatti che il giovane Carlo ascoltò a
Milano, per la prima volta, con la Partita in Si bemolle maggiore di Bach
(che, per inciso, aveva eseguito poco prima anche Gieseking).
Egli mi disse che anche questo concerto – che era da collocarsi tra
quelli memorabili – gli tolse molte, ma molte ore di sonno.
Un altro importante incontro fu quello con Moritz Rosenthal8, grande
virtuoso polacco, che ascoltò Vidusso e scrisse, di suo pugno, un giudi-
zio entusiastico su di lui. Purtroppo questo documento, che insieme ad
altre preziose testimonianze era in possesso della madre del Maestro,
è andato perduto. Fu ascoltato da Arturo Toscanini il quale, alla fine
dell’esecuzione batté la mano sulla gamba del brillante e promettente
pianista dicendo entusiasticamente: «Bravo!» (questa importante circo-
stanza mi è stata riferita dalla gentilissima Signora Stella, vedova del
Maestro). Fu ingaggiato da Ildebrando Pizzetti per la prima esecuzione
dei Canti della stagione alta, che eseguì alla Scala. Ma l’episodio più
significativo e singolare fu quello occorso a Vidusso quando incontrò
Artur Schnabel. Il grande pianista austriaco soggiornava per molti mesi

8 Moritz Rosenthal (1862-1946), pianista e virtuoso polacco particolarmente versato nel reper-
torio romantico.
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a Tremezzo, sul lago di Como. Vidusso era desideroso di studiare con


Schnabel, pianista di tradizione classica, ma più fantasioso di Backhaus.
Si fece ascoltare e Schnabel si dichiarò dispostissimo ad aiutarlo. Pur-
troppo la richiesta del pianista tedesco si rivelò imponente: ben cin-
quanta lire a lezione! Vidusso non essendo in grado di sostenere il peso
di quest’onere economico rinunciò a studiare con Schnabel. Sfumata
l’occasione di proseguire il proprio percorso artistico con una celebrità
del concertismo internazionale il giovane Carlo lavorò da solo e «creb-
be» autonomamente.
Da quanto ho riferito credo che si possa facilmente arguire quale
dovesse essere la personalità artistica di Vidusso se musicisti, per natura
non inclini a giudizi lusinghieri nei confronti di colleghi e giovani
pianisti, esprimevano valutazioni così entusiastiche nei suoi confronti.
Di contro – riflettendo ancora sull’interesse che egli suscitava – appare
strano che con nessuno degli artisti con cui egli ha avuto le occasioni
d’incontro che ho appena citato, abbia cercato d’impostare una più assi-
dua frequentazione, una collaborazione più ampia, uno scambievole
rapporto didattico o professionale.
Anche l’ostacolo delle famose cinquanta lire a lezione – che, beninteso,
agli inizi degli anni Trenta erano una cifra ragguardevole – poteva facil-
mente essere aggirato solo se avesse avuto una profonda motivazione a
«lavorare» con l’artista austriaco. Probabilmente egli cercava solo dei
contatti, delle conferme al proprio talento e non una guida che lo sostenesse
lungo il cammino del proprio progredire. Certamente c’è anche da ag-
giungere che la sua personalità musicale – pur in fase di crescente forma-
zione – era restia ad accettare «manipolazioni» esterne, in quanto, le sue
scelte artistiche e culturali, nelle linee fondamentali, erano già consolidate.
Si consideri che Vidusso, nel periodo in cui facciamo riferimento
– anni Trenta – aveva già debuttato alla Scala di Milano, era vincitore
nel 1933 a soli ventidue anni – per concorso – della cattedra di pia-
noforte al Liceo Musicale di Padova, aveva partecipato, ricevendo
una targa, alla più importante competizione pianistica del momento: il
Concorso Chopin di Varsavia.
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Ciò nonostante sembrava un artista combattuto tra la necessità di


dare un orientamento diverso al suo formidabile pianismo (da qui, for-
se, la richiesta didattica rivolta a Schnabel, avvantaggiandosi, così, di
una prospettiva culturale che – alimentandosi solo del suo pur ecce-
zionale virtuosismo – non lo avrebbe mai pienamente soddisfatto) e la
tendenza, legittima per chi è tanto dotato, di sbrogliarsela da solo e non
avere accanto nessuno. Sorge anche spontaneo il sospetto che Vidusso,
in fondo, non avesse quest’ansia di approfondimento introspettivo verso
i fatti della cultura. Mero sospetto, perché si collocò invece, tra gli anni
Quaranta-Cinquanta, come autentico pionere attraverso un’operazione
culturale coraggiosa, che, ancora oggi, trova ostacoli ad affermarsi.
Altamente meritoria nella sua carriera artistica è stata, di fatti, l’intui-
zione di proporre le esecuzioni «integrali».
In un momento storico in cui – fatta eccezione per Arthur Schnabel
che presentò già dalla fine degli anni Venti l’integrale delle Sonate
di Schubert e di pianisti, quali Backhaus, che eseguivano l’intero ciclo
delle Sonate di Beethoven, l’idea di eseguire integralmente un corpus
di composizioni concepite sin dall’origine come un tutt’uno (Studi
op. 10 e 25 di Chopin, Clavicembalo ben temperato, Studi trascenden-
tali e Studi da concerto di Listz, Iberia di Albéniz, Goyescas di Gra-
nados, ecc.) non era pienamente penetrata nelle coscienze degli artisti
e degli ascoltatori. Il pianista italiano, forte dei potenti mezzi stru-
mentali di cui disponeva e con un atteggiamento indagatore ed analiti-
co da autentico studioso, eseguì, i due volumi del Clavicembalo ben
temperato di Bach e fu tra i primi pianisti ad affrontare l’esecuzione
degli Studi trascendentali di Listz oltre ai Grandi studi da Paganini
e agli Studi da concerto, degli Studi e dei Preludi di Chopin, di Iberia
e di Goyescas ecc.
Considerato però che proprio sul Clavicembalo ben temperato Vi-
dusso effettuò quella che a me sembra la revisione più significativa ed
analitica da lui mai realizzata, sarebbe stato proprio interessante cono-
scere l’esecuzione di quest’opera alla luce di tutto l’imponente lavoro
preparatorio che egli aveva organizzato.
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La carriera didattica

La carriera didattica si svolse parallelamente a quella concertistica


sino all’inizio degli anni Cinquanta. Essa lo vide impegnato, nell’inse-
gnamento, come primo incarico, presso il Liceo Musicale di Padova
(1933). Il Liceo Musicale di Padova aveva infatti bandito il concorso
per una cattedra di pianoforte, tra i numerosi concorrenti vi erano Vi-
dusso e Vincenzo Vitale9.
I due si conoscevano già, e, ovviamente, come avviene tra persone
di grande levatura, si stimavano reciprocamente, pur sostenendo meto-
dologie didattiche diverse.
Il concorso prevedeva, oltre all’esecuzione d’importanti composi-
zioni scelte tra il repertorio romantico, classico, moderno anche l’ese-
cuzione di un Preludio e fuga di Bach, estratto ventiquattro ore prima
tra tutti i 48 del Clavicembalo ben temperato che il candidato era obbli-
gato a presentare. Vidusso, pur dotato di una strabiliante capacità
d’assimilazione, non aveva ancora maturato l’idea di eseguire a memoria
– come fece in seguito – tutti i 48 Preludi e fughe di Bach. Pertanto pur
avendoli studiati (o quasi) tutti, conosceva a memoria bene solo il XXI
del Primo Volume. La fortuna volle che al momento dell’estrazione fosse
sorteggiato proprio il numero ventuno. Vista la fortuità del caso a lui
estremamente favorevole chiese ed ottenne dalla commissione il per-
messo di eseguire il pezzo seduta stante senza attendere le quarantotto
ore. L’esecuzione sbalordì la commissione che trasse «l’erronea» con-
clusione che il candidato avesse in repertorio, a memoria, l’intero Clavi-
cembalo ben temperato. Quando furono rese note le graduatorie finali,
Vidusso si trovò a precedere – per pochi centesimi di punto – il suo
illustre antagonista Vincenzo Vitale, e vinse la cattedra. Ma l’antefatto
egualmente significativo come l’intera circostanza, fu che prima che la
commissione si pronunciasse e formulasse la graduatoria, i due si erano

9 Vincenzo Vitale (1908-1984), pianista e didatta napoletano, caposcuola ed arguto saggista.


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incontrati, e Carlo aveva mostrato riconoscenza al suo amico e collega


per averlo indotto ad estrarre il Preludio e fuga. Infatti, in coscienza,
non si era sentito proprio soddisfatto dell’esecuzione dei pezzi della
prova precedente, ed aveva deciso di ritirarsi dal concorso. Era stato
proprio Vitale a convincerlo a desistere da questo proposito incorag-
giandolo a continuare con la fortunata conclusione che abbiamo visto.
Egli fu sempre grato al suo collega ed amico per il sostegno rice-
vuto; di ciò ne rimane traccia nel Preludio XXI del Clavicembalo, più
volte diteggiato, dove si legge: «devo la mia carriera didattica a questo
preludio e fuga»10.
Proseguì l’insegnamento presso il Liceo Musicale di Verona (1937)
e quindi al Conservatorio di Bologna. Da Bologna, (dove subentrò
ad Arturo Benedetti Michelangeli) al Conservatorio di Parma (1939) e
successivamente a Milano (1951), dove vi rimase sino al 1977.
Tra i suoi allievi sono almeno da ricordare: Marcello Abbado, Maria
Rosa Bodini, Elisabetta Capurso, Leonardo Leonardi, Sergio Marzorati,
Piero Rattalino, Maria Gloria Tanara. È invece infondata la notizia, ripor-
tata su alcuni dizionari, che cita il compianto Dino Ciani come allievo di
Vidusso. A Milano ebbe come allievo privato Maurizio Pollini.
Il rapporto tra i due, per le informazioni di cui dispongo, (attinte
queste dalle conversazioni che spontaneamente nascevano durante le
ore di lezione che il Maestro, generosamente, mi impartiva presso la sua
abitazione di Via Marocco 20 a Milano ed al Conservatorio «G. Verdi»),
credo non sia stato tra i più idilliaci. Si raccontano vari aneddoti a ri-
guardo, ma vorrei qui riportarne uno, che costituisce veritiera circostan-
za, perché raccontatomi direttamente dal Maestro nel 1974. Premetto
che il sodalizio artistico didattico tra i due si consolidò all’insegna degli
Studi op. 10 e 25 di Chopin. Pollini pare avesse proprio iniziato dal
Quarto Studio dell’op. 10 su suggerimento del suo Maestro. Questi

10
L’episodio cui faccio riferimento mi è stato riferito direttamente da Vidusso e confermato
dal Maestro Vitale a Napoli nella sua casa di Via Mergellina. La coincidenza dei due racconti mi
sembra la prova migliore della veridicità della circostanza.
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poteva proporre ogni sorta di diteggiatura al suo dotatissimo allievo che,


sia pure, talvolta, riottosamente, alla fine le accettava. In occasione di
una lezione proprio su questo studio, Vidusso impose la propria diteg-
giatura alla battuta 32 coincidentemente con quanto è generalmente
consigliato: un giustificatissimo scambio di dito nella percussione ripe-
tuta del Do diesis alla mano sinistra.
Pollini non accolse di buon grado questo suggerimento e continuò a
ribattere il Do diesis con lo stesso dito (cosa che gli riusciva agevolmen-
te). Il suo maestro, che in quanto a diteggiatura era inflessibile, pose
un aut-aut: «o cambi diteggiatura o ti indico la porta». L’atteggiamento
ostinato di Pollini fece sì che Vidusso dovette veramente indicare al suo
pupillo la strada per imboccare alla svelta l’uscio di casa. Tuttavia, pur
convinto di avere coerentemente agito, si pentì di essere stato così rigi-
do, e si rammaricò per aver perso il miglior allievo che avesse mai avuto.
Fortuna volle che il pentimento colse anche il giovanissimo Mauri-
zio che bussò alla porta del suo precettore e si sottopose nuovamente
alle sue «amorevoli» cure.
Vidusso non ebbe una carriera di respiro veramente internazionale,
anche se suonò all’estero in numerose occasioni. Partecipò assieme al
pianista Nunzio Montanari11, al Concorso Chopin di Varsavia dove rice-
vette una menzione premiata con una targa. Allo stesso concorso vi tornò
quale giurato quando, dopo la vittoria di Maurizio Pollini, nell’edizione
del 1960, crebbe la sua notorietà internazionale di prestigioso didatta.
Il suo repertorio era assolutamente imponente. Come ho già avuto mo-
do di dire, egli aveva potuto costituirsi questo bagaglio già in giovane età,
attraverso quella curiosa esperienza «para-professionale» del mecenate.
Ovviamente in tutto ciò era stato favorito dal suo talento e dalla sua
vivacissima capacità di apprendimento.
Questo repertorio includeva molte Sonate di Beethoven, tra cui le
opp. 110 e 111, quasi tutto Chopin, molti pezzi di Listz tra cui la Sonata

11 Nunzio Montanari, pianista e didatta, professore di pianoforte al Conservatorio di Bolzano,


fu il pianista del Trio di Trieste prima di Dario De Rosa e successivamente del Trio di Bolzano.
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in si minore, gli Studi trascendentali e i Grandi studi da Paganini, la


Parafrasi sul Rigoletto (di cui dà notizia Mozzati), il Carnaval, gli Studi
Sinfonici, e la Sonata in Sol minore di Schumann che fu un suo cavallo
di battaglia (a questo proposito mi pare opportuno segnalare che Vidus-
so eseguiva, al posto del tradizionale «Presto» che costituisce il terzo
movimento della sonata, il «Presto passionato» di cui esiste una versio-
ne per pianoforte e orchestra e che raramente viene incluso nell’opera).
Ricordo che egli stesso però mi disse che non proponeva di frequente
in concerto il Carnaval, gli Studi Sinfonici e la Sonata in Si minore12,
perché non fu mai completamente soddisfatto del modo in cui li eseguiva.

Aveva in repertorio un nutritissimo numero di concerti per pianoforte


e orchestra; il Primo di Mendelssohn, il Primo di Chopin, il Secondo di
Brahms, il Primo Concerto e il Totentanz di Liszt, il Concerto di Schumann
e quello di Grieg, il Secondo di Saint-Saëns, il Primo di Cajkovskij,
Notti nei giardini di Spagna di De Falla, il Concerto di Margola.
Come si vede, era un repertorio di derivazione classica, che guarda-
va più al tardo Ottocento che al Novecento, anche se Vidusso fu tra i
primi a concepire e a realizzare l’integrale di Albéniz (Iberia) e di Gra-
nados (Goyescas).
Ne costituisce un esempio il programma che egli eseguì per la So-
cietà del Quartetto di Milano, che cito a memoria avendo avuto modo
di leggerlo in casa Vidusso:
— J. S. Bach: Preludio e fuga per organo in Re maggiore
— D. Scarlatti: 4 Sonate
— J. Brahms: Intermezzo e Variazioni su un tema di Paganini (I e II
fascicolo)
— F. Chopin: Ballata op. 23 e 3 Studi (op. 10 n. 3, op. 25 nn. 6 e 11)
— F. Liszt: Studio in Fa minore e Rapsodia ungherese n. 6
— S. Prokof’ev: Toccata op. 11

12 Carnaval e Studi Sinfonici di Schumann, Sonata in Si minore di Liszt.


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È un tipico programma da grande virtuoso in cui prevale quel carat-


tere miscellaneo che oggi susciterebbe le critiche di quei «puristi» che
non considerano che il pubblico, se pure interessato ai programmi mo-
nografici, non disdegnerebbe ogni tanto un recital maggiormente varie-
gato e articolato.
Purtroppo ogni altra documentazione è andata non solo perduta, ma
addirittura distrutta da lui stesso che, alla morte della madre, bruciò
tutto quanto riguardava la sua attività artistica, (così è andata al rogo
anche la famosa «lettera testimonianza» che Moritz Rosenthal scrisse
per Vidusso dopo averlo ascoltato ancora ragazzino).
Era uno strumentista più incline ad un pianismo brillante (e le sue
qualità tecniche glielo consentivano) che ad uno coloristico ed intro-
spettivo, come dimostrano anche le sue incisioni discografiche.
Purtroppo gli unici documenti sonori che di lui restano sono quelli
riversati su disco dalla RAI, che aveva nel suo archivio importanti regi-
strazioni. Alludo all’Invito alla Danza di Weber-Tausig, agli Studi da
Concerto e ai Grandi studi da Paganini di Liszt, a Iberia (Libro III e
IV) di Albéniz, a Goyescas di Granados, a Milhaud ed al Primo Concer-
to di Liszt. È chiaro che tutto ciò non basta a caratterizzare un artista,
ma è pur sempre utile per darci un’idea delle sue tendenze culturali ed
estetiche. Restando in tema di registrazioni discografiche vale la pena
di accennare al «giallo Vidusso» e cioè alle registrazioni su microsolco
attribuite a Vidusso e da lui stesso mai riconosciute.
Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, probabilmente a ragione degli
scarsi controlli che venivano effettuati, nacque un’intensa attività di
pirateria discografica principalmente ad opera di due case che avevano
sede in Inghilterra: Allegro Royale e Royale. Ma anche altre case discogra-
fiche furono coinvolte: Allegro Elite, King, Vanity, Halo, Grammophone
e Concertone. Sostanzialmente questa attività si svolse su due diversi
fronti. Uno tendente ad attribuire a pianisti sconosciuti esecuzioni tratte
da registrazioni live di grandi pianisti (come Kempff e Backhaus). Nel
caso nostro, la casa inglese sfruttò il suo nome chiamandolo, in alcuni
casi, Conni Vidusso e presentandolo come «a quite well- known italian
242 RICCARDO MOTTA

pianist» (un pianista italiano abbastanza famoso) per alcune incisioni su


LP. Ma in seguito Rattalino attestò che questi non aveva mai riconosciuto
come sue quelle incisioni13. Si trattava del Concerto di Schumann, del
Primo di Mendelssohn, del Concerto op. 11 di Chopin, del Concerto
KV 414 e del Doppio Concerto KV 365 di Mozart. Nei dischi figuravano
anche incisioni di singoli pezzi pianistici.

Il metodo di lavoro

Vidusso era un pianista dotato di una diabolica ed incredibile facili-


tà di lettura. La veridicità di alcune circostanze accorsegli, veridicità
attestata da testimonianze di persone non sospette (Mozzati, Rattalino,
Vitale) è di difficile accettazione soprattutto, ove si pensi, alla spettaco-
larità degli avvenimenti.
Il suo metodo di lavoro allora, viene letto ed interpretato come una
naturale conseguenza di questa sua enorme versatilità strumentale. Ad
esempio Rattalino sostiene che Vidusso, proprio perché provvisto di
potenti mezzi, dopo aver letto un pezzo (ovviamente egli apparteneva a
quella «fortunata» categoria di strumentisti per i quali la differenza tra
la «prima lettura» e l’«esecuzione» non è poi così marcata) e dopo aver-
lo suonato, lo metteva da canto perché si annoiava; per crearsi un nuovo
interesse lo riditeggiava con un criterio che ai più sembrava assolu-
tamente paradossale14. Non istintivamente rivolto all’introspezione,
del brano ne mutava solo l’elemento estrinseco, reinventandolo digital-
mente, rinnovando, così, di volta in volta, il proprio interesse.
La convinzione, invece, che io ho personalmente maturato, sulla
scorta dell’applicazione pratica di questo sistema, prima come allievo

13 Cfr. ERNST A. LUMPE, Pseudonymous Performers on Early LP Records, in «ARSC Journal»,


Vol. 21 n. 2, (aggiornato 11/1/99) <http://www.hensteeth.com/lumpe01.html> (ultima consultazio-
ne 19/12/2000).
14 Cfr. PIERO RATTALINO, Da Clementi a Pollini. 200 anni con i grandi pianisti, Ricordi-Giunti
Martello, Milano/Firenze, 1983, p. 446.
CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 243

di Vidusso poi come docente, è che le sue diteggiature si ispirassero


ad una logica sotterranea che obbedisce a tre fondamentali principi:
• adottare una diteggiatura che coinvolga tutte le dita;
• applicare una diteggiatura che dia assoluta prensilità;
• diteggiare in modo da ottenere un legato di tipo organistico.
Tipico di Vidusso era apporre ad ogni nota un numero corrisponden-
te alle cinque dita della mano. Tuttavia ammetteva anche il sei, il sette,
l’otto, il nove ed, eccezionalmente il dieci.
Il sei indicava le tre dita 5.4.3 assieme, con in mezzo il pollice,
quando la sonorità doveva essere piena e corposa; il sette le stesse tre
dita in posizione traversa per le ottave sonore sui tasti neri; l’otto il
pollice che tiene assieme due tasti; il nove l’indice rovesciato per i suoni
da prendersi leggerissimamente; il dieci il pugno chiuso sui tasti.
Anche se questo era un lavoro che lo annoiava moltissimo, indicava
il pedale in maniera alquanto particolareggiata. Le sue indicazioni di
pedale erano talmente circostanziate che segnalava i casi in cui il pedale
doveva essere abbassato ma non rialzato interamente, bensì per metà,
un quarto, un ottavo.
Segnava, inoltre, con due stanghette più scure ricalcate su quelle già
stampate, tutti gli accorpamenti di battute che egli riteneva avessero,
nel loro insieme, senso compiuto.
Il significato da attribuire a quest’operazione è piuttosto incerto
anche se, penso, che Vidusso volesse sottolineare gli incisi ed eviden-
ziare, così, la simmetricità o meno di una frase. Ciò di cui andava, poi,
particolarmente orgoglioso era quello di superare talune difficoltà
pianistiche praticando i suoi famosi aggiusti: dividendo un passaggio
tra mano sinistra e mano destra (come soluzione più agevole) quando
esso è affidato, tanto per citare un caso frequente, ad una sola mano.
Personalmente mi sembra di poter rinvenire nella diteggiatura vi-
dussiana due nuclei generatori. Uno di tipo «ideologico» l’altro di tipo
«strettamente pianistico».
244 RICCARDO MOTTA

Il primo si riscontra nella chiara linea di tendenza volta ad esaltare


l’impianto polifonico anche a costo di qualche sforzo digitale. La rego-
la assoluta da rispettare è quella di non lasciare mai una nota se prima,
essa, non abbia completamente concluso la sua risonanza. È chiaro che
tutto ciò impone un’inusuale perizia per le soluzioni maggiormente
rispettose del legato assoluto.
Il secondo si manifesta nel principio dello «scambio» o sostituzione
del dito. Emblematica in tal senso mi sembra l’analisi del Primo Prelu-
dio e fuga del Clavicembalo ben temperato, opera, verso la quale, ha
profuso significativi sforzi quale interprete e quale didatta. Ho più volte
accennato alle sue celebrate esecuzioni del Clavicembalo ben tempera-
to, ma ugualmente pregevole è la sua revisione del Clavicembalo, mai
andata in stampa15, che, a mio avviso, potrebbe costituire una possibile
chiave di lettura della sua metodologia d’insegnamento.
Il suo sistema didattico prevedeva anche l’uso sistematico del metro-
nomo e l’adozione di un criterio meccanico per l’apprendimento dei pezzi
da mandare a memoria. Quell’oggetto era onnipresente e risponde al vero
che egli ne possedesse una quantità enorme. Ogni pezzo, anche quelli
intrinsicamente refrattari alle imposizioni del tic-tac, veniva lavorato
con il metronomo secondo una gradualità numerica che veniva sancita
dallo scorrere della tacca lungo l’asta di esso. Queste «scalate» erano
una prassi consolidata che non consentiva margini di autonomia alcuna.
Altrettanto singolare mi sembra il procedimento che egli utilizzava,
(senza tuttavia imporlo a differenza di quanto faceva con le diteggiature),
per l’apprendimento mnemonico dei brani. Devo dire a tal proposito che
secondo alcuni la memoria di Vidusso non era pari alle altre sue qualità
(lettura, capacità d’apprendimento, capacità tecnica); tuttavia egli adotta-
va un metodo che consentiva una rapida ed efficace memorizzazione.
Esso consisteva nell’imparare, isolatamente, tutte le prime righe (della
prima, seconda, terza e quarta pagina) le seconde, e così via dicendo.

15 Ms., collezione privata della Signora Stella Vidusso Kuo Tseng-Me.


CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 245

Era un sistema, come da lui stesso ammesso, assolutamente non rispet-


toso della logica musicale ma sintomatico degli sforzi meccanici cui
egli si sottoponeva.
Alla fine eseguiva tutto il pezzo, così ricomposto nella sua conse-
guenzialità discorsiva e temporale, corredato dal pedale, indicazioni
timbriche e dinamiche.

Vidusso e il Clavicembalo ben temperato

I criteri metodologici e didattici che ho avuto modo di descrivere


trovano piena applicazione nel Clavicembalo ben temperato di Johann
Sebastian Bach, opera che, come ho già detto, è stata oggetto di un’inte-
ressante quanto approfondita revisione da parte di Carlo Vidusso.
Aggiungo che egli usava apporre direttamente sulla partitura, cioè
sulla carta stampata, la sua diteggiatura, con una penna a sfera. Li-
mitatamente ad alcune composizioni (Clavicembalo ben temperato
di Johann Sebastian Bach, Fantasia cromatica e fuga dello stesso au-
tore, Corale del Preludio, corale e fuga di Caesar Franck) Vidusso
operava una vera e propria trascrizione; ricopiava, cioè, l’intera com-
posizione sulla carta da musica e annotava, sotto o sopra ogni nota, la
diteggiatura.
Pertanto, quando parlo di «manoscritto», mi riferisco al risultato de-
rivante da quest’ultima operazione. Ho scelto, come esemplificazione,
il Primo Preludio e fuga di Johann Sebastian Bach, dal Primo Volume
del Clavicembalo ben temperato che è «manoscritto» nel senso poco
prima indicato.
Il Primo Preludio viene intanto trascritto integralmente senza alcuna
indicazione dinamica o segni di fraseggio. La diteggiatura è alquanto
regolare, anche perché l’andamento delle quartine di sedicesimi non offre
grandi spunti per modifiche digitali sostanziali. Alla fine, esattamente
nella penultima battuta, quando viene proposto il motivo del Preludio
sull’accordo di settima di dominante, emerge chiaramente un tipo di
246 RICCARDO MOTTA

numerica «vidussiana»: 1-2-3 5-2-1 4-2-1-5. In essa traspare il princi-


pio della «diteggiatura a scambio» e dell’idea della «prensilità»:

Es. 1: J. S. Bach, Preludio BWV 846, batt. 31-35, manoscritto di C. Vidusso.

Molto interessante mi sembra l’esame della Fuga. Innanzittutto Vi-


dusso scriveva le fughe copiando ogni voce su un rigo diverso usando
solo le due chiavi di violino e basso. L’esecutore, pertanto, si trovava
a dover leggere una fuga riportata su tre, quattro, cinque pentagrammi,
a seconda delle voci che caratterizzavano la sua struttura polifonica.
Erano segnalate tutte le entrate dei soggetti, anche quelli per moto
contrario. Alla fine della composizione egli riportava il numero com-
plessivo delle entrate del soggetto, e, in qualche fuga, anche quelle del
controsoggetto. Ad esempio: ventuno entrate, distinte per moto retto
o contrario. Le doppie stanghette segnalavano l’accorpamento di frasi o
battute aventi un senso compiuto.
Il confronto tra la revisione di Vidusso e quella di un qualsiasi altro
revisore impone subito una considerazione che potrà apparire pleo-
nastica, ma che è appropriata, sembra, ai fini della completezza della
trattazione. Risulta intanto evidente che il modo di procedere del re-
visore milanese è totalmente estraneo alla concezione, ad esempio, di
Alfredo Casella.
CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 247

Casella ammette, com’era in uso nel periodo in cui procedette alla


sua revisione, segni di espressione, legature, indicazioni di dinamica, di
agogica, e suggerimenti riguardanti le modalità esecutive16.
Anche Bruno Mugellini17 indica, come Casella, la dinamica e il
fraseggio, sia pure con un indirizzo musicale ed estetico oggi non più
proponibile18.
Invece nelle revisioni di Vidusso troviamo l’asettica trasposizione
del preludio e della fuga, che sono entrambi trascritti (come abbiamo
già avuto modo di notare, la fuga nella struttura tridimensionale o qua-
drimensionale risultante dalla collocazione delle voci su singoli penta-
grammi, e il preludio, se di impianto polifonico, anch’esso riportato con
le voci separate) senza alcun segno d’espressione. Ma è l’aspetto digitale
che qui interessa; a tal proposito è giusto sottolineare, a riprova della
versatilità e dell’acume didattico del Maestro, che esistono ben due re-
visioni di Vidusso del Clavicembalo ben temperato19.
Difatti egli, come era solito fare, tornava dopo alcuni anni a ridi-
teggiare ciò che aveva già diteggiato, non apportando però sostanziali
modifiche.
Nella seconda revisione del Clavicembalo, inoltre, formulò un’altra
ipotesi, se così si può dire: poiché la lettura in partitura su tre e quattro
righi poteva risultare troppo difficile, egli, successivamente adottò, una
diteggiatura su due soli righi, per facilitare il compito dello studente.
Ho precisato che non si ravvisano segni di espressione o suggeri-
menti circa le modalità esecutive. Tuttavia, dai miei personali ricordi,
Vidusso, nei preludi che erano di andamento non dichiaratamente len-
to, propendeva per un’interpretazione brillante, pianistica. Nelle fughe,

16 Cfr. JOHANN SEBASTIAN BACH, Il Clavicembalo ben temperato, revisione di Alfredo Casella,
Curci, Milano, 1946.
17 Bruno Mugellini (1871-1912), pianista e didatta, allievo di Giuseppe Martucci.
18 Cfr. JOHANN SEBASTIAN BACH, Il Clavicembalo ben temperato, revisione di Bruno Mugelli-
ni, Breitkopf und Härtel, Wiesbaden, (1908).
19 Entrambi i manoscritti fanno parte della collezione privata della Signora Stella Vidusso Kuo
Tseng-Me.
248 RICCARDO MOTTA

consigliava un andamento moderato, fatta eccezione per quelle in cui


la brillantezza era intrinseca al carattere della composizione. In esse
proponeva di differenziare timbricamente i divertimenti e auspicava
che il soggetto fosse sempre messo ben in rilievo. In un’operazione così
accurata come quella effettuata da Vidusso (trascrizione del preludio
e della fuga, divisione delle voci su singoli pentagrammi, numerazione
dei soggetti e dei controsoggetti, sviluppo accurato, anche se talvolta
opinabile, degli abbellimenti) avrebbe giustamente trovato posto un’in-
dicazione delle singole parti della fuga: esposizione, divertimenti, stret-
ti, pedale.
Egli, inoltre, avrebbe potuto segnalare, proprio al fine di soddisfa-
re per intero la «curiosità» dello studente o dell’esecutore, le risposte
tonali o reali e ricavarne così una sorta di percentuale. Fare, cioè, uno
screening più approfondito, in senso strutturale, delle fughe bachiane.
Ma veniamo adesso al confronto tra il Preludio e fuga diteggiato da
Casella e da Vidusso.
È subito evidente che la diteggiatura di Vidusso non è di tipo tra-
dizionale:

Es. 2: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 1-3, manoscritto di C. Vidusso.


CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 249

Preliminarmente vorrei mettere in risalto che, a differenza di quanto


si riscontra in altre revisioni, il salto di quarta, tra il Re e il Sol alla batt. 2
della Fuga, non risulta evidenziato con quella cesura che viene, per con-
suetudine, posta tra le due note; ma già nel controsoggetto, troviamo una
diteggiatura non tradizionale: 4-1-2-3 4-1-3-4. Nella battuta successiva
abbiamo 2-3-1-2. Comincia pertanto a delinearsi il principio secondo cui
una nota, se prima è stata suonata con un dito, quando si presenta nel
pezzo a breve distanza, deve essere marcata con un dito diverso. Nella
fattispecie Fa-Mi-Fa-Re 2-3-1-2 (battuta 3) alla mano sinistra.
Il raffronto con Casella (Es. 4) non ci dice nulla in proposito; questo
revisore, infatti, non segna alcuna numerica limitatamente alla terza
misura; ma proprio la mancanza di indicazioni di diteggiatura sta a
dimostrare che egli ritiene il passo, digitalmente scontato.
Nella batt. 4 al soprano troviamo il disegno a sedicesimi in cui
(seconda e terza quartina) viene applicato lo stesso principio digitale, e
cioè: 5-3-4-5 4-2-3-4:

Es. 3: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 4-6, manoscritto di C. Vidusso.

Sarebbe stato molto più semplice, ed in linea con un’idea tradizio-


nale della diteggiatura, applicare invece il tipo di numerica che indica
Casella: 5-2-3-4 5-2-3-4:
250 RICCARDO MOTTA

Es. 4: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 1-4, revisione di A. Casella.

Questo revisore adotta un principio che trae la sua origine dalla con-
siderazione che il cervello rifiuta un numero eccessivo di informazioni, e,
pertanto, è sempre meglio che passaggi simili vengano diteggiati con la
stessa numerica. Vorrei far notare ancora quanto avviene alla successiva
batt. 5 (Es. 3) dove, per legare organisticamente il soprano al contralto, Vi-
dusso sceglie una soluzione che prevede il passaggio del quarto dito sotto il
terzo al soprano, mentre al contralto, conformemente ai suoi principi digi-
tali, il sedicesimo che segue il Fa, già legato, viene preso con il secondo
dito invece che con il primo. L’entrata del soggetto al basso, entrata nume-
rata col 4, è caratterizzata dalla successione 5-5-5-5. Questa sembra un’ap-
parente contraddizione al principio, già esposto, dello scambio di dito. Ma
le ragioni di questa singolare numerica risiedono nella necessità di marcare
energicamente il tema. Si tratta infatti della quarta entrata, di una fuga a
quattro voci e tutte le prime entrate devono essere messe nel giusto risalto.
Proseguendo quest’analisi pongo a confronto la numerica proposta
da Vidusso con quella indicata da Alfredo Casella relativamente alla
battuta 5 della medesima Fuga. Noteremo che la diteggiatura proposta
dal didatta triestino, naturalizzato milanese (Es. 3), è più rispettosa del
tracciato polifonico rispetto a quella utilizzata dal suo collega, nonché
mancato maestro (Es. 4). Prova ne è il secondo dito sotto la quartina di
sedicesimi del soprano Fa-Mi-Fa-Sol: autentica raffinatezza digitale che
CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 251

consente di ben legare la voce sottostante, il Re del tenore, con il Do del


tenore alla mano destra20, alla battuta successiva.
Diversa, invece, la soluzione prospettata da Alessandro Longo21 che
propone di suonare il Fa del contralto con il pollice della destra, ed arri-
vare al Si, affidato alla sinistra, con il quinto dito. Così si è ovviamente
costretti ad alzare la mano, respirando sull’entrata del tema al basso22:

Es. 5: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 4-5, revisione di A. Longo.

Nella battuta 6 (Es. 3) troviamo un’applicazione della diteggiatura


che prevede lo scavalcamento del quarto dito della mano destra sul
quinto dito; procedimento, questo, di derivazione clavicembalistica ed
organistica di cui Vidusso fa abbondantemente uso.
L’attenzione alla polifonia e, quindi, alla tenuta delle note, in Vidus-
so era maniacale. L’esempio più clamoroso è rappresentato dalla battuta
nove nella quale il rispetto del valore del Do, croma, segnato, alla mano
sinistra con la diteggiatura del secondo dito, era assolutamente obbliga-
toria ed oggetto di numerosi e rigorosi controlli:

20 Il lettore avrà certamente intuito che i numeri scritti sopra le note si riferiscono alla mano
destra, quelli sotto alla mano sinistra. Ciò è importante perché non sono rari i casi in cui, una voce,
o parte di essa, la cui esecuzione sembrerebbe affidata ad una mano, viene poi modificata proprio
in ragione dell’apparizione della numerica sotto o sopra le dita.
21 Alessandro Longo (1864-1945), compositore, pianista e didatta, allievo di Beniamino Cesi.
22 Personalmente preferisco quest’ultima soluzione, più consona al modello interpretativo
organistico bachiano, in cui le entrate dei soggetti vengono proposte, specie quando sono in levare
(e la maggior parte dei soggetti bachiani sono in levare) con un leggero ritardo per conferire alla
testa del tema maggiore autorevolezza.
252 RICCARDO MOTTA

Es. 6: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 7-9, manoscritto di C. Vidusso.

Alla battuta 13 riscontriamo una di quelle tipiche diteggiature, appa-


rentemente scomode, ma efficaci. La simultaneità dell’esecuzione delle
due voci soprano e contralto (questa voce procede per sedicesimi) impo-
ne un ardito – ma efficace – allargamento della mano. La sinistra, poi, è
costretta a prodursi in una prodezza digitale (tale è per le mani non troppo
dotate) legando il Sol diesis al La. Nella medesima battuta ci imbattiamo
su una risoluzione d’abbellimento nella quale, oltre ad evidenziarsi il fon-
damentale criterio digitale di Vidusso – che era quello dello scambio del
dito – la fioritura, strutturalmente, presenta uno sviluppo scolastico sul
quale innestare successivamente, un’interpretazione più libera:

Es. 7: J. S. Bach, Fuga BWV 846, batt. 13-14, manoscritto di C. Vidusso.


CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 253

Gli esempi potrebbero essere ancora numerosi e le comparazioni,


senza dubbio, illuminanti. Ma lo scopo precipuo di questa mia breve
analisi era quello di mettere nel giusto risalto l’applicazione pratica dei
principi didattici di Vidusso (in particolare la diteggiatura) dai quali
traeva origine l’attività quasi quotidiana del suo insegnamento.

Le curiosità del Clavicembalo ben temperato


Il lavoro analitico che Vidusso ha svolto sul Clavicembalo ben tem-
perato ha fatto emergere talune curiosità che svelano aspetti inediti ed
interessanti di quest’opera.
Vidusso era piuttosto parco di osservazioni sulle partiture; costitui-
scono delle eccezioni quelle riportate sul Concerto in Mi bemolle mag-
giore di Liszt. Tuttavia nel Clavicembalo vi sono annotazioni, sparse
qua e là, che denotano il suo carattere un po’ bizzarro ed originale, ma
anche altre che invece confermano la sua capacità di analisi e il suo
profondo spirito d’osservazione.

PRIMO VOLUME
Preludio XI: troviamo l’osservazione di «2 in 2»23;
Preludio XIV: Vidusso vede una citazione dal Rigoletto di Verdi24
che riporta a margine della partitura:

Es. 8: J. S. Bach, Preludio BWV 859, batt. 1-2, diteggiatura di C. Vidusso.

23 Vidusso accorpa le battute di due in due apponendo le sue famose stanghette.


24 Atto II, Scena terza (numero 9 della partitura).
254 RICCARDO MOTTA

Preludio XV: c’è l’indicazione di 24/16 (mentre nel Preludio XXI


del Secondo Volume quella di 22/16);
Preludio XXI: «devo la mia carriera didattica a questo preludio»25;
Preludio XXIII: «il preludio e fuga iniziano con la stessa nota»;
Preludio XXIV: «preludio con i ritornelli»;

II VOLUME

Preludio IX: «tonalità di mi magg. che impone i ritornelli»26;


Preludio XI: «anche questo preludio, come il precedente, è costi-
tuito da episodi di 2 in 2»;
Preludio XII: «preludio con ritornello»;
Preludio XVII «il tema della fuga è tratto, o quantomeno identico, ad
un frammento della fuga XII del primo volume»27.

La Sonata di Alban Berg

Dall’analisi della Prima Fuga del Clavicembalo ben temperato


emergono i principi fondamentali che animano la teoria digitale di Vi-
dusso. Che questi siano i principi cardini del suo sistema lo dimostra
la circostanza che un brano, dato alla luce, quasi trecento anni dopo la
fuga bachiana, sia stato diteggiato applicando lo stesso criterio. Il riferi-
mento è alla Sonata op. 1 di Alban Berg, che affascina per la sua inten-
sità espressiva e la perfetta costruzione formale.

25 Si allude al concorso per la cattedra di pianoforte al Liceo Musicale di Padova, nel 1933.
26 Alcune composizioni di Bach scritte nella tonalità di Mi maggiore figurano con i ritornelli
(Suite Francese in Mi maggiore n. 1, Invenzione a 2 voci in Mi maggiore n. 6, Preludio IX in Mi
maggiore del Secondo Volume del Clavicembalo ben temperato). Vidusso, che amava il paradosso,
trasse la conclusione che questa tonalità quasi imponesse i ritornelli.
27 Cfr. la testa del tema della Fuga XVII del Secondo Volume del Clavicembalo ben temperato
di Johann Sebastian Bach con la battuta 25 della Fuga XII del Primo Volume, in particolare il fram-
mento affidato alla mano sinistra.
CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 255

Vista l’omogeneità che intercorre tra le sue composizioni – omoge-


neità digitale, beninteso! – mi chiedo se sia possibile diteggiare Berg
allo stesso modo di Bach.
Pur ammettendo che l’organizzazione digitale di una composizione
segua dei criteri rigidi, desunti aprioristicamente, è altrettanto vero che
la pratica applicazione dovrebbe tener conto del contenuto musicale del
pezzo, delle sue intrinseche caratteristiche. Accogliendo invece l’idea
che la diteggiatura sia un fatto puramente meccanico e che, il revisore,
non sia vincolato, nella sua opera di digitazione, al contenuto musicale
del brano ed allo stile, la diteggiatura, può essere codificata a priori ed
i criteri cui si ispira, possono essere applicati incondizionatamente.
L’accentuazione degli elementi extramusicali, ad esempio, è stato
uno dei punti saldi di una celebre scuola pianistica italiana; questa ave-
va posto nel giusto rilievo il rapporto intercorrente tra azione muscolare
e sonorità predisponendo le condizioni fisiologiche di base per ottenere
un sano approccio alla tastiera. Ma essa si era spinta anche ad indivi-
duare il tipo di attività muscolare necessaria per ottenere una determi-
nata sonorità giungendo anche a sostenere che certi autori si suonano
col braccio, altri con le spalle, certi con le sole dita, ecc.; un brano ha,
invece, una sua propria dimensione sonora, musicale, psicologica che
sfugge, talvolta, alle codificazioni pianistiche.
Anche la diteggiatura dovrebbe pertanto tenere conto di alcuni aspetti,
non eminentemente meccanici, ed armonizzarsi con essi. Il gesto pianisti-
co, per esempio, in taluni non rari casi, rappresenta l’elemento di traino
dell’esecuzione di un certo passaggio tecnico, di un disegno melodico e
di un’accentuazione musicale e condiziona, ovviamente, la diteggiatura.
A questo proposito devo precisare che alcuni celebri caposcuola italiani
(Vincenzo Vitale, Alberto Mozzati, Antonio Trombone28, lo stesso Vidusso)
hanno completamente azzerato il gesto come elemento di produzione

28 Antonio Trombone (1913-1985), pianista e didatta palermitano professore in quel Conser-


vatorio per lunghissimi anni: è autore di un metodo per pianoforte (Il primo libro per lo studio del
pianoforte) e varie raccolte di composizioni per principianti .
256 RICCARDO MOTTA

della sonorità. Solo in alcuni rari casi hanno poi tentato di recuperarlo o
come elemento scenografico o espressivo (la pausa di gesto), ma mai
come punto di forza della loro didattica. Per inciso dirò che analizzando
il modo di suonare di alcuni grandi pianisti di epoca non recente mi ha
particolarmente colpito un filmato nel quale Josef Hofmann esegue il
celebre Preludio in Do diesis minore di Rachmaninov. Chi conosce
questa esecuzione (avendo avuto modo di visionare una video-cassetta
che la riproduce) 29 noterà che ci troviamo di fronte ad una gestualità di
tipo muscolare e non meramente scenografica che mira non ad amma-
liare lo spettatore bensì a favorire le condizioni muscolari per una resa
sonora ottimale dell’esecuzione.
Ritornando ancora sulla Sonata di Berg30 mi sembra di poter rinve-
nire in essa la stessa struttura digitale (Es. 9) che ha animato la Prima
Fuga di Bach: rispetto assoluto del dettato polifonico (a costo di qual-
che affaticamento muscolare) ed esaltazione di quei materiali melodici
(«residui motivici», come li chiama Adorno31) che costituiscono la
caratteristica strutturale e compositiva del lavoro di Berg.
La disamina specifica della partitura ci porterebbe ad una lunga analisi:
valgano, tuttavia, a titolo d’esempio la battuta 1 nella quale, per consen-
tire il legato alla voce superiore parte dell’accordo di terza è suonato
con la mano sinistra, e la battuta 4 dove l’attenzione di Vidusso ha per
oggetto il dettato polifonico e l’incipiente poliritmia.

29Cfr. The Golden Age of the Piano: Great Pianists of the 20th Century, Philips, VHS 070
153-3, 1994.
30 La partitura della Sonata di Berg diteggiata da Vidusso fa parte della collezione privata
della Signora Stella Vidusso KuoTseng-Me.
31 Cfr. THEODOR WIESENGRUND ADORNO, Alban Berg, Il Maestro del minimo passaggio, a cura
di Paolo Petazzi, Feltrinelli, Milano, 1983, p.61.
CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 257

Es. 9: A. Berg, Sonata op. 1, batt. 1-7, diteggiatura di C. Vidusso.

Fantasia cromatica e fuga

Un’esperienza che, a parer mio, è interamente da percorrere, è quella


del Vidusso trascrittore. Vidusso, come più volte ho detto, era partico-
larmente attratto da un certo tipo di ingegneria pianistica, affidare, cioè,
alla mano destra ciò che era scritto per la sinistra, e, viceversa.
Tuttavia poco nota è la sua attività di trascrittore, di cui costituisce
esempio la Fantasia cromatica e fuga di Johann Sebastian Bach. Questa
composizione pone all’esecutore complessi problemi stilistici ed interpre-
tativi. Il più arduo risiede nella difficoltà di conciliare, già nella fantasia
l’aspetto improvvisativo con quello austeramente contrappuntistico.
Il brano, nella revisione di Carlo Vidusso (Es. 10), è tutto manoscritto
(ovviamente mai andato in stampa) 32; emerge palesemente il tentativo di

32 Il manoscritto fa parte della collezione privata della Signora Stella Vidusso Kuo Tseng-Me.
258 RICCARDO MOTTA

armonizzare la sua innata tendenza a modificare, architettare, inventare,


con il serio impegno di studioso attento a posporre ogni esigenza di pro-
tagonismo alle regole che un’esegesi accurata ed onesta della partitura
impone. Ciò che all’inizio cogliamo è l’indicazione metronomica sugge-
rita dal revisore. Essa, lungi dall’essere solo ed esclusivamente un’indi-
cazione di velocità, è invece, espressione di una precisa idea musicale.
Le scale ascendenti e discendenti devono essere proposte con autorevo-
lezza, quasi un’improvvisazione estemporanea. L’indicazione metrono-
mica posta all’inizio, 152 per la semiminima (lo stacco di tempo dello
sviluppo, terza riga, invece è 100 per la semiminima) induce a ritenere
che Vidusso abbia voluto esaltare il carattere enigmatico, come se
ad una domanda (dominante) seguisse una risposta (tonica). Dalla terza
riga il tempo è, come ho accennato, relativamente mosso: 100 per la
semiminima. Si sviluppa così un disegno di terzine affidato alla mano
destra e su di esse viene apposta una tipica diteggiatura a scambio; essa
conferisce al passaggio brillantezza e aiuta a realizzare il «non legato».
Il resto della partitura vede il frequente uso del pollice sui tasti neri.
La diteggiatura di Vidusso consente in questo pezzo un’esecuzione
energica, drammatica, e ritengo che tutto ciò non sia casuale ma espres-
sione implicita di una precisa idea estetica. Proseguendo in questa breve
analisi vorrei mettere in rilievo quanto avviene alla battuta 33 (Es. 11),
dove, oltre ad imbatterci in una delle rarissime indicazioni che non ri-
guardano la diteggiatura («con libertà di ritmo»), troviamo lo sviluppo
degli accordi con figurazioni a terzine che a mio parere ne facilitano sia
la comprensione che l’esecuzione.
Nella medesima battuta fa capolino, come ho accennato, l’indica-
zione con «libertà di ritmo». Il suggerimento è senza dubbio pleonasti-
co, ma esprime il desiderio di trascendere il fatto puramente meccanico
digitale. Raramente, nelle sue revisioni, egli ha utilizzato considera-
zioni di tipo espressivo: ciò appare curioso se si pensi a quale dovesse
essere la sua conoscenza del repertorio pianistico (per averlo praticato
direttamente) e quali consigli esecutivi, espressivi avrebbe potuto se-
gnalare in calce alla partitura. In linea con l’iniziale impegno program-
CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 259

Es. 10: J. S. Bach, Fantasia cromatica e fuga BWV 903, batt. 1-8, manoscritto di C. Vidusso.

Es. 11: J. S. Bach, Fantasia cromatica e fuga BWV 903, batt. 32-35, manoscritto di C. Vidusso.
260 RICCARDO MOTTA

mato (conciliare il carattere improvvisativo con il rigore formale) nel


recitativo (Es. 12) Vidusso sviluppa tutti quanti gli abbellimenti alla
luce dei suoi personali principi, ma li incasella in una trasposizione
scolastica, metronomica, non in sintonia con il carattere di recitativo
strumentale di questa sezione.
Troviamo, per chiarezza espositiva, il raddoppio di tutti i valori delle
note allo scopo di rendere più agevole la lettura dei sedicesimi. Consi-
gliava, secondo una giusta prassi, di arpeggiare sempre gli accordi eccetto
quelli dissonanti, nei confronti dei quali l’arpeggio mitigherebbe l’urto

Es. 12: J. S. Bach, Fantasia cromatica e fuga BWV 903, batt. 47-55, manoscritto di C. Vidusso.
CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 261

causato dalla dissonanza. Nella Fuga, che è trascritta su tre pentagram-


mi, esiste qualche rara osservazione, in particolare nella battuta 27 e
seguenti, dove Vidusso consiglia di fare emergere la linea del contralto.

Le Variations seriéuses di Felix Mendelsshon-Bartholdy

La struttura polifonica, che Vidusso ha esaltato nel Clavicembalo


ben temperato di Bach, è egualmente presente in una composizione ro-
mantica: le Variations seriéuses di Mendelsshonn33, opera nella quale,
per quanto possibile, attraverso una diteggiatura che sottolinea il trac-
ciato polifonico, egli tende a realizzare il legato assoluto (Es. 13).

Es. 13: F. Mendelssohn, Variations seriéuses op. 54, batt. 1-18, diteggiatura di C. Vidusso.

33 La partitura delle Variations seriéuses di Mendelssohn con le diteggiature di Vidusso fa


parte della collezione privata della Signora Stella Kuo Tseng-Me.
262 RICCARDO MOTTA

Gli aspetti relativi alla tecnica del legato sono stati approfonditi da
studiosi di cose pianistiche e da famosi didatti; Vidusso – e di ciò egli
ne ha dato contezza nel Clavicembalo ben temperato – propende per il
«legato di dito» che impone un uso molto parco del pedale e obbliga
alla diteggiatura cosiddetta «a scambio».
La matrice di tutto ciò è di derivazione classica, di quell’orien-
tamento cioè che privilegia l’attività del dito, in ogni suo aspetto, rele-
gando ad un ruolo gregario il braccio, la spalla e l’avambraccio.
La valenza della tecnica del «legato di dito» è stata ampiamente rico-
nosciuta da Chopin; egli pur ponendosi, di fronte ai suoi contemporanei,
quale geniale innovatore sia sul piano esecutivo che su quello didattico
(leggendaria era la sua meticolosità d’insegnante: incontentabile nel
disegno di una frase, pretenzioso al massimo nella bellezza del suono)
faceva uso del tradizionale legato di dito.
A ragione di ciò il compositore polacco non amava il Thalberg
pianista, che invece otteneva il suono legato attraverso una particolare
quanto moderna pedalizzazione.
La ragione storica, ovviamente, della diversa impostazione che Cho-
pin e Thalberg avevano in ordine ad un aspetto così importante della tecni-
ca pianistica è la seguente, a mio avviso. Chopin, per quanto possedesse un
istinto didattico ardito e avveniristico (ricordiamo quanto egli stesso scrive
negli Appunti per un metodo) 34 a proposito della diteggiatura, della po-
sizione della mano, dell’avambraccio, rimane pur sempre ancorato alla
tradizione classica, che vede nella polifonia «l’humus» entro cui si
muove l’estro compositivo; la sua didattica, pertanto, ne è condizionata.
Thalberg35 è invece propugnatore della differenziazione del «can-
to», della «melodia», dal suo accompagnamento attraverso due diversi
atteggiamenti muscolari del braccio. In sostanza egli era orientato verso

34 Cfr. ALFRED CORTOT, Alcuni aspetti su Chopin, Curci, Milano, 1950, pp. 54-66. Nel decimo
foglio del manoscritto di Chopin (trascritto a p. 63 del libro di Cortot) vi sono osservazioni sulla
posizione della mano e sulla diseguale conformazione delle dita.
35 SIGMUND THALBERG, L’Arte del canto applicata al pianoforte, F.lli Bucca, Milano-Lucca, 1850.
CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 263

«la tecnica del peso del braccio», e, ovviamente, legava poco col dito
perché il tasto era tenuto in fondo dal peso del braccio e il dito forniva
solo il sostegno al braccio. A me pare che l’impostazione di Vidusso per
come essa emerge dalle sue diteggiature, sia più vicina a Chopin che
a Thalberg.

Ondine e XI Variazione degli Studi sinfonici

Un’ulteriore affermazione della tecnica del dito si rinviene in Ondi-


ne di Ravel (Es. 14), tratto dalla suite Gaspard de la Nuit. Vidusso pro-
pone un tipo di diteggiatura – ad esempio, nella seconda battuta, 3-4-3-3
5-3-3-5 3-4-3-3 5-3-3-5 – che se ad un tempo consente di eseguire
chiaramente tutte le note di questa scomodissima quanto suggestiva
pagina, peraltro risulta prima facie, disagevole e non in sintonia con
il carattere generale del pezzo che richiede un’esecuzione vaporosa ed
evanescente, cosa che questa numerica, più consona ad un’esecuzione
«martellata», probabilmente forse non consente.
Le ragioni che a mio avviso hanno indotto il didatta milanese a
«sposare» le ragioni del dito, risiedono nell’area culturale e didattica
d’appartenenza. Il suo nucleo d’origine era, come ho avuto modo di
dire, sostanzialmente di derivazione classica (per Sâint-Säens il princi-
pe dell’esecuzione è il dito). Non fu influenzato dalle teorie di Deppe36,
di Breithaupt37, di Matthay38, che avevano avuto scarsa incidenza nel
nostro paese; conosceva Attilio Brugnoli39, ma, sollecitato da me affin-
ché esprimesse un giudizio intorno alle nuove teorie di Brugnoli elabo-
rate nella Dinamica pianistica 40, mi disse che aveva una grande paura

36 LUDWIG DEPPE, Klavier Leherer, Lipsia, 1885.


37 RUDOLF MARIA BREITHAUPT, Die naturliche Klaviertechinik, Lipsia, 1905.
38 TOBIAS MATTHAY, L’arte del tocco, F.lli Bucca, Milano-Roma, 1911.
39 Attilio Brugnoli (1880-1937), pianista e didatta.
40 ATTILIO BRUGNOLI, Dinamica pianistica, Ricordi, Milano, 1942.
264 RICCARDO MOTTA

Es. 14: M. Ravel, Ondine, batt. 1-9, diteggiature di C. Vidusso.


CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 265

di suonare. Implicitamente avvertiva l’inutilità di quanto elaborato dal


didatta romano.
Se invece confrontiamo l’undicesima variazione degli Studi sinfoni-
ci op. 13 di Schumann (Es. 15) notiamo una circostanza, a mio parere,
degna di nota. In questa pagina, particolarmente nell’accompagnamen-
to affidato alla sinistra, vista la diteggiatura che Vidusso ha applicato in
Ondine ci si aspetterebbe di trovare una consimile soluzione. Viceversa
egli non appone una sostituzione di dito favorendo così, un’esecuzio-
ne più suggestiva e persino impressionistica. Questa potrebbe essere
una contraddizione; ma il tutto va invece interpretato come il segnale
dell’adattabilità delle rigide regole alle esigenze musicali che di volta in
volta sopravvengono.

Conclusioni e riflessioni

Heinrich Neuhaus, nel suo celebre libro L’arte del pianoforte 41 si


occupa del problema della diteggiatura e fissa dei principi che così
sintetizza:
• la diteggiatura deve sempre seguire il senso musicale;
• la diteggiatura può adattarsi alla mano;
• va sempre rispettata la diteggiatura autografa indicata dall’autore.
Regole importanti, poste da uno dei più accreditati didatti del mondo,
che annoverava tra i suoi discepoli nientemeno che Emil Gilels, Sviatoslav
Richter e Radu Lupu (Neuhaus ammette, non senza civetteria, di avere
avuto ben diciotto allievi vincitori di concorsi internazionali) 42. E tuttavia
tali principi pedagogici mi sembrano assolutamente antitetici a quelli
che risultano dall’esame delle diteggiature di Vidusso.

41 HEINRICH NEUHAUS, L’arte del pianoforte, a cura di Valerij Voskobojnikov, Rusconi, Mila-
no, 1985, pp. 195-201.
42 HEINRICH NEUHAUS, Riflessioni, memorie, diari, a cura di Valerij Voskobojnikov, Sellerio,
Palermo, 2002, p. 64.
266 RICCARDO MOTTA

Es. 15: R. Schumann, Studi sinfonici op. 13: Variazione XI, batt. 1-10, diteggiature di C. Vidusso.
CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 267

Il didatta milanese non sempre rispettava le diteggiature autografe e


la sua intolleranza a mutare la numerica da lui stesso imposta, dimostra
quanto il suo atteggiamento fosse contrastante con il secondo postulato
del didatta e pianista russo.
Di contro la diteggiatura ed il senso musicale dovrebbero percorrere
strade parallele; spesso, invece, quest’ultimo viene sacrificato all’inse-
gna delle soluzioni pianistiche più agevoli.
Gli aggiusti poi, se non altro, provocando un mutamento del timbro,
costituiscono una discutibile autonomia del revisore nei confronti dell’au-
tore. Vediamo pertanto, come due grandi didatti, appartenenti a due
scuole diverse, pur accomunati da un’indiscussa credibilità, professino,
su questo argomento, idee contrastanti, quasi opposte. D’altro canto
non mi sembra che neppure nei vecchi e celebri trattati di pianoforte
(Clementi, Hummel, Fétis, Adam, Czerny, Kalkbrenner ecc.) si trovino
dei principi digitali che in qualche modo possano essere stati recepiti o
fatti propri da Vidusso. Credo pertanto che l’attività di digitazione operata
dal didatta milanese sia personalissima. Solo l’uso degli scavalcamenti
farebbe pensare a Chopin (spesso confutato) 43 e ai clavicembalisti.
Prima di concludere vorrei accennare alla sua attività compositiva e
specificatamente alla Danza Cilena 44 che assieme alla Fantasia Cinese 45
costituiscono le sue principali composizioni per pianoforte composte in
età giovanile. La Danza (Es. 16) è un lavoro di un precoce compositore-
pianista; ciò si deduce dalla testimonianza di Mozzati46, che lo ascoltò da
adolescente (i due erano quasi coetanei, essendo nato Mozzati nel 1917),
durante un concerto tenuto da Vidusso al Conservatorio di Milano.

43 Ad es. nel Notturno op. 27 n. 1, Vidusso sostituisce alcune delle diteggiature originali di
Chopin con le proprie. La partitura del Notturno op. 27 n. 1 di Chopin diteggiata da Vidusso fa parte
della collezione privata della Signora Stella Vidusso Kuo Tseng-Me.
44 CARLO VIDUSSO, Danza cilena, Edizioni Metron, Milano, 1945. (Edizioni Metron n. 622).
45 CARLO VIDUSSO, Fantasia cinese, Guglielmo Zanibon, Padova, 1935.
46 Cfr. l’intervento di Alberto Mozzati nella presentazione all’Omaggio a Carlo Vidusso, LP (2),
Fonit Cetra-Archivio RAI, LAR 24.
268 RICCARDO MOTTA

Es. 16: C. Vidusso, Danza cilena, batt. 1-9.

Ad un primo esame la composizione sembra riecheggiare l’impo-


stazione formale di Alborada del Gracioso di Maurice Ravel dove
troviamo una danza, una parte melodica e quindi la ripresa.
Armonicamente presenta degli spunti interessanti ma ciò che più
colpisce sono i frequenti riferimenti al pianismo di Liszt e Ravel attra-
verso delle vere e proprie citazioni. Le indicazioni metronomiche sono,
ovviamente, apposte dall’autore.
Appare tuttavia curioso che un virtuoso della statura di Vidusso
abbia concepito una danza nella sua dimensione storica popolare, senza
trarre elementi per una sperimentazione pianistica del tutto originale
e più consona al suo istinto pianistico principalmente rivolto agli aspetti
tecnico-meccanici della musica.
CARLO VIDUSSO. L’ATTIVITÀ DIDATTICA E ARTISTICA 269

Alla morte di Vidusso, la vedova, che è depositaria di tutte le com-


posizioni da lui diteggiate, ha donato alla Biblioteca Civica Sormani di
Milano (e non, come ci si sarebbe aspettati, alla biblioteca del Conser-
vatorio dove pure il marito aveva insegnato per tanti anni) parte della
sua consistente e preziosa biblioteca musicale, che comprendeva parti-
ture rare e più di novanta edizioni del Clavicembalo ben temperato.
Incamerata dalla Sormani come Fondo Vidusso, questa raccolta non
è stata ancora catalogata né sistemata (alcuni scatoloni sono depositati
in una sede distaccata) né è resa fruibile agli studiosi. In aggiunta la
Sormani ha regalato alle istituzioni che ne hanno fatto richiesta (biblio-
teca del Conservatorio di Campobasso) alcune edizioni a stampa di par-
titure ritenute doppioni, e che invece erano edizioni e revisioni diverse
della stessa opera collezionate da Vidusso a scopi didattici.
In questo fondo si trovano le tre composizioni scritte e pubblicate
da Vidusso: Intermezzo e Studio di fuga (1937), Fantasia cinese, Danza
cilena.

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